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Mentre il mondo si riunisce a Sharm el-Sheikh per la COP27 in un contesto sempre più problematico per la lotta al cambiamento climatico (sia dal punto di vista geopolitico che finanziario), in attesa del vertice dei leader G20 in programma la prossim…



Opposing expansion of Bristol airport


Solidarity from Florence, Italy, where they are trying to expand Peretola airport

grassrootsalternatives.uk/2022…



Perché resta pericolosa l'esportazione di dati verso gli USA


agendadigitale.eu/sicurezza/pr…


The MED This Week newsletter provides expert analysis and informed comments upon the MENA region’s most significant issues and trends.


DiPorto


In porto è andata assai male. Così si arreca un danno all’Italia fingendo di presidiarne gli interessi. Fuori dal porto è andata anche peggio, perché si è avuta l’impressione che il governo non avesse cognizione di quel che stava accadendo. Abbiamo anche

In porto è andata assai male. Così si arreca un danno all’Italia fingendo di presidiarne gli interessi. Fuori dal porto è andata anche peggio, perché si è avuta l’impressione che il governo non avesse cognizione di quel che stava accadendo. Abbiamo anche ringraziato la Francia per averci, non a torto, rimproverato. Se si vuole difendere gli interessi italiani si sappia che l’ottuso nazionalismo li danneggia e il propagandismo monotono e negatore della realtà è stucchevole. Mettiamo in fila gli errori e immaginiamo come si possa evitarne la replica.

Più della metà degli sbarchi irregolari, secondo i dati del ministero degli Interni, avviene dopo una traversata fatta a bordo di barconi. Quelli o li fai scendere o li condanni a morte. Poco meno della metà degli sbarchi avviene a seguito di ribaltamenti e naufragi, quindi arrivano a terra, per la grande parte, a bordo delle imbarcazioni italiane, in primis Guardia Costiera. Le Ong coprono il 16%, in questa seconda metà. Ammesso abbia un senso dichiarare loro guerra, resterebbero i tre quinti del problema. Ciò basti per capire che la propaganda della fermezza smotta sulla realtà.

Alcuni degli sbarchi da navi Ong avvengono in modo concordato con le autorità italiane. Da ultimo in Calabria. Per gli altri, senza generalizzare, la questione è: se si ritiene di avere gli elementi per accusare una nave di avere agito in combutta con i trafficanti, si fanno scendere gli occupanti e si sequestra la nave. Il ministro Minniti, uomo della sinistra sbranato dalla sinistra (e sono colpe che non si cancellano), era andato oltre: le Ong firmino un protocollo, altrimenti non ci parliamo.

Pensare di fare scendere alcuni e non altri, come stabilito dal governo, è un doppio errore. Intanto perché non c’è base giuridica, difatti sono poi sbarcati tutti. Per giunta con la tremula ipocrisia del certificato medico. Poi perché far scendere malati e fragili significa avere di sé stessi l’idea d’essere un ospedale. O un lazzaretto. Facciamo scendere solo quelli che ci costeranno e non quelli che potranno produrre. Non è fermezza, è fissità allocca.

L’Italia è il Paese che riceve più fondi europei, come ci ha delicatamente ricordato la Francia, pensare di agire in contrasto con leggi e Unione europea per il solo gusto di affermare una propaganda di parte significa subordinare gli interessi nazionali ai propri.

Detto ciò, posto che propaganda fessa è questa e propaganda fessa è anche quella del volemose bene e venite tutti a farci compagnia, che fare? Primo, regolare i rapporti con le Ong, considerando quelle navi non pescherecci di passaggio, ma strumenti dedicati alla raccolta di emigranti, come, del resto, hanno scritto sulla fiancata. Se vuoi collaborare con l’Italia ti registri e firmi un accordo, senza presentarci i casi a uno a uno.

Secondo, si chiede che gli accordi di Dublino (firmati prima dalla destra e poi dalla sinistra, in ogni caso accettati dall’Italia, ove abbia un senso parlarne in termini di nazione) siano modificati: una cosa è il signore che becco alla frontiera da irregolare, sicché è mio dovere territoriale identificarlo e valutarne l’ingresso o il respingimento, altra, assai diversa, sono gli arrivi in massa, quel che va chiesto è che gli sbarchi di questi ultimi avvengano in zona sicura, pronti al soccorso, ma extraterritoriale, di competenza Ue.

In altre parole: non ci si rivolge al Tar, ma alla Commissione Ue. In quella zona la competenza e giurisdizione esclusiva è Ue, operata per il tramite delle forze nazionali presenti nel punto di sbarco. Quindi non si sbarca più in Italia o in Francia, ma in Ue, con quel che consegue. Compreso il fatto che i soldi non li prendiamo più noi, ma finanziano quella struttura.

Il tutto ricordando che abbiamo bisogno di immigrati, che dovremmo sceglierli e per farlo si devono emanare decreti flussi continui e congrui. Sempre che si stia parlando di interessi italiani e non di propagande da diporto.

La Ragione

L'articolo DiPorto proviene da Fondazione Luigi Einaudi.



Il fondatore di Mastodon, rivale di Twitter, ha una visione per la democratizzazione dei social media


Articolo originale: time.com/6229230/mastodon-euge…

Mentre Twitter cambiava proprietario alla fine di ottobre, un altro sito di social media molto simile stava vivendo una sorta di ondata.

Mastodon, un sito di microblogging decentralizzato che prende il nome da un tipo di mammut estinto (sic, ndt), ha registrato 120.000 nuovi utenti nei quattro giorni successivi all'acquisizione di Twitter da parte del miliardario Elon Musk, come racconta il suo fondatore tedesco Eugen Rochko a TIME. Molti di loro erano utenti di Twitter alla ricerca di un nuovo luogo uogo di residenza online.

Questi utenti, che lo sapessero o meno, stavano seguendo le orme di Rochko, 29 anni, che ha iniziato a creare Mastodon nel 2016 dopo essere rimasto deluso da Twitter. "Pensavo che potermi esprimere online con i miei amici attraverso brevi messaggi fosse molto importante per me, importante anche per il mondo, e che forse non avrebbe dovuto essere nelle mani di un'unica società", racconta Rochko. "Era generalmente legato a un sentimento di sfiducia nei confronti del controllo dall'alto che Twitter esercitava".

Mastodon, che proclama con orgoglio di non essere "in vendita" e di avere circa 4,5 milioni di account utente, è piuttosto simile a Twitter, una volta che gli utenti superano il complicato processo di registrazione. La differenza principale è che non si tratta di un'unica piattaforma coesa, ma di un insieme di server diversi, gestiti in modo indipendente e autofinanziati. Gli utenti dei diversi server possono comunque comunicare tra loro, ma chiunque può creare il proprio server e stabilire le proprie regole di discussione. Mastodon è un'organizzazione no-profit finanziata dal crowdfunding, che finanzia il lavoro a tempo pieno di Rochko, il suo unico dipendente, e diversi server popolari.

La piattaforma non ha il potere di obbligare i proprietari dei server a fare qualcosa, nemmeno a rispettare gli standard di moderazione dei contenuti. Sembra la ricetta per un paradiso online per i troll di estrema destra. Ma in pratica, molti dei server di Mastodon hanno regole più severe di Twitter, dice Rochko. Quando appaiono server che incitano all'odio, gli altri server possono unirsi per bloccarli, ostracizzandoli essenzialmente dalla maggior parte della piattaforma. "Credo che si possa chiamare processo democratico", dice Rochko.

Secondo Rochko, il recente afflusso da Twitter è stato una conferma. "È una cosa molto positiva scoprire che il proprio lavoro viene finalmente apprezzato, rispettato e conosciuto in modo più ampio", afferma. "Ho lavorato molto, molto duramente per spingere l'idea che c'è un modo migliore di fare social media rispetto a quello che le aziende commerciali come Twitter e Facebook permettono".

TIME ha parlato con Rochko il 31 ottobre.

Questa intervista è stata condensata e modificata per chiarezza.

Cosa pensa di ciò che Elon Musk sta facendo a Twitter?

Non lo so. Quest'uomo non è del tutto comprensibile. Non condivido molti dei suoi comportamenti e delle sue decisioni. Credo che l'acquisto di Twitter sia stata una decisione impulsiva di cui si è presto pentito. E che si sia trovato in una situazione che lo ha costretto a impegnarsi nell'affare. Ora è coinvolto e deve affrontare le conseguenze.

In particolare, non sono d'accordo con la sua posizione sulla libertà di parola, perché penso che dipenda dalla vostra interpretazione di cosa significhi libertà di parola. Se si permette alle voci più intolleranti di esprimersi a voce alta, si rischia di far tacere anche le voci di opinioni diverse. Quindi, permettere la libertà di parola consentendo tutti i discorsi non porta alla libertà di parola, ma solo a una fogna di odio.

Credo che questa sia un'idea tipicamente americana, quella di creare un mercato delle idee in cui si possa dire tutto ciò che si vuole senza limiti. È molto estranea alla mentalità tedesca dove, nella nostra Costituzione, la priorità numero uno è il mantenimento della dignità umana. Quindi, l'incitamento all'odio non fa parte del concetto tedesco di libertà di parola, ad esempio. Quindi credo che quando Elon Musk dice che tutto sarà permesso, o qualsiasi altra cosa, in genere non sono d'accordo.

Come fate a garantire su Mastodon, visto che è decentralizzato e non avete il potere di bandire gli utenti, che lo spazio sia accogliente e sicuro?

Beh, questa è la strana dicotomia di come le cose si sono evolute. Da un lato, la tecnologia stessa permette a chiunque di ospitare il proprio server di social media indipendente e di poterne fare tutto ciò che vuole. Non c'è modo per Mastodon, per l'azienda o per chiunque altro - a parte le normali procedure di applicazione della legge - di perseguire chiunque gestisca specificamente un server Mastodon. Il modo in cui si chiude un normale sito web è lo stesso in cui si chiude un server Mastodon, non c'è alcuna differenza. Quindi, da questo punto di vista, risulta essere la piattaforma definitiva per la libertà di parola. Ma ovviamente questo è solo un effetto collaterale della creazione di uno strumento che può essere usato da chiunque. È un po' come le automobili. Le auto sono usate da tutti, anche da persone cattive, anche per scopi sbagliati, e non c'è niente che si possa fare, perché lo strumento è là fuori. Tuttavia, credo che il fattore di differenziazione rispetto a qualcosa come Twitter o Facebook sia che su Mastodon, quando si ospita il proprio server, si può anche decidere quali regole far rispettare su quel server, il che consente alle comunità di creare spazi più sicuri di quelli che potrebbero altrimenti avere su queste grandi piattaforme che sono interessate a servire il maggior numero di persone possibile, magari aumentando il coinvolgimento di proposito per aumentare il tempo che le persone trascorrono sul web.

Le comunità possono avere regole molto più rigide di quelle di Twitter. E in pratica, molte di esse sono più severe. E questo è un aspetto in cui, ancora una volta, la tecnologia si interseca con la guida o la leadership dell'azienda Mastodon. Credo che, grazie al modo in cui comunichiamo pubblicamente, abbiamo evitato di attirare una folla di persone come quelle che si trovano su Parler o Gab, o qualsiasi altro forum di odio su Internet. Abbiamo invece attirato il tipo di persone che, quando gestiscono i propri server, si moderano contro i discorsi d'odio. Inoltre, fungiamo anche da guida per chiunque voglia unirsi a noi. Sul nostro sito web e sulle nostre app, infatti, forniamo un elenco predefinito di server curati su cui le persone possono creare account. E grazie a ciò, ci assicuriamo di curare l'elenco in modo tale che qualsiasi server che voglia essere promosso da noi debba accettare un certo insieme di regole di base, una delle quali è che non sono consentiti discorsi di odio, sessismo, razzismo, omofobia o transfobia. In questo modo ci assicuriamo che l'associazione tra i Mastodon, il marchio e l'esperienza che le persone desiderano sia quella di uno spazio molto più sicuro rispetto a qualcosa come Twitter.

Ma cosa succede se le persone che incitano all'odio creano un server?

Beh, ovviamente non vengono promossi sul nostro sito web "Join Mastodon" o nella nostra app. Quindi, qualsiasi cosa facciano, la fanno per conto loro e in modo completamente separato, e gli altri amministratori che gestiscono i propri server Mastodon, quando scoprono che c'è un nuovo server di incitamento all'odio, possono decidere di non voler ricevere alcun messaggio dal server e di bloccarlo da parte loro. Attraverso il processo democratico, il server che incita all'odio può essere ostracizzato o può essere diviso in una piccola camera d'eco, che non è né migliore né peggiore di un'altra camera d'eco. Internet è pieno di spam. È pieno di abusi, ovviamente. Mastodon fornisce le strutture necessarie per gestire i contenuti indesiderati, sia per gli utenti che per gli operatori.

Cosa l'ha spinta a creare un servizio come questo nel 2016?

Ricordo che non ero molto soddisfatto di Twitter e mi preoccupavo di dove sarebbe andato a finire. C'era qualcosa di molto discutibile nel suo futuro. Questo mi ha fatto pensare che la possibilità di esprimermi online con i miei amici attraverso brevi messaggi era molto importante per me e anche per il mondo, e che forse non dovrebbe essere nelle mani di un'unica società che può farne quello che vuole. Ho iniziato a lavorare su una cosa mia. L'ho chiamato Mastodon perché non sono bravo a dare un nome alle cose. Ho scelto quello che mi veniva in mente in quel momento. Ovviamente all'epoca non c'era l'ambizione di diventare grandi.

Deve essere una sensazione speciale vedere qualcosa che hai creato crescere dal nulla fino a dove è ora.

È vero. È una cosa molto positiva scoprire che il proprio lavoro viene finalmente apprezzato, rispettato e conosciuto in modo più ampio. Ho lottato a lungo per questo, ho iniziato a lavorare su Mastodon nel 2016, ma allora non avevo alcuna ambizione che andasse lontano. All'inizio era un progetto molto hobbistico, poi quando l'ho lanciato pubblicamente è sembrato toccare le corde almeno della comunità tecnologica ed è stato allora che ho ottenuto i primi sostenitori di Patreon che mi hanno permesso di intraprendere questo lavoro a tempo pieno. Da allora ho lavorato molto, molto duramente per rendere questa piattaforma il più possibile accessibile e facile da usare per tutti. E per portare avanti l'idea che c'è un modo migliore di fare social media rispetto a quello che permettono le aziende commerciali come Twitter e Facebook.




Migranti, Francia, Germania 1989: inadeguatezza ‘carte alla mano’


A Catania con i migranti il governo non ci mette la faccia, i medici si, e altri medici si vergognano di aver fatto bene il loro dovere, mentre il giochetto con la Francia è tutto da vedere quanto ci costerà. Intanto il Ministro dell'Istruzione prova riscivere la storia e interpretare il comunismo, ma parrebbe alla maniera del ventennio

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Midterm USA 2022: cinque ragioni per cui i risultati elettorali contano


Con l’arrivo dei risultati delle elezioni di medio termine negli Stati Uniti, è evidente che l'”onda rossa” repubblicana prevista da molti esperti non si è concretizzata. I primi numeri indicano che è probabile che i repubblicani riprenderanno la Camera dei Rappresentanti, ma con numeri più esigui del previsto, anche se il Senato degli Stati Uniti […]

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I team di #privacy e sicurezza di #Twitter sono in subbuglio dopo che le modifiche apportate da Elon Musk al servizio hanno aggirato i suoi processi standard di governance dei dati. Ora, un avvocato dell'azienda sta incoraggiando i dipendenti a cercare la protezione degli informatori "se ti senti a disagio per qualcosa che ti viene chiesto di fare".

theverge.com/2022/11/10/234511…



Armenia – Azerbaigian: per la pace si deve ripartire dal passato


Il lungo conflitto tra Azerbaigian e Armenia sulla regione del Karabakh – una sanguinosa occupazione durata 30 anni che ha visto 30.000 azerbaigiani uccisi e centinaia di migliaia di migliaia espulsi dalle loro terre – sta mostrando segnali positivi di avvicinamento a una pace duratura. La calma segue una tempesta senza precedenti di aggressione militare, […]

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Il nuovo accordo di sicurezza Giappone-Australia


L’incontro del 22 ottobre tra il primo ministro giapponese Kishida Fumio e il primo ministro australiano Anthony Albanese a Perth ha fatto notizia soprattutto grazie al saluto tipicamente australiano in attesa del primo ministro giapponese, un abbraccio con un koala e un servizio fotografico con i giubbotti verdi abbinati. Dietro gli animali da coccolare e lo […]

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Il raggruppamento di unità russe in Bielorussia continua a crescere


Dall’inizio della campagna di ‘mobilitazione parziale’ in Russia, in Bielorussia sono iniziati processi che hanno creato un maggiore potenziale di escalation armata in questa direzione, in particolare nell’Ucraina settentrionale. In quanto tale, il 14 ottobre, secondo il ministro degli Esteri bielorusso Vladimir Makei, la Bielorussia ha iniziato a introdurre un regime di operazioni antiterrorismo (CTO) […]

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Ricostruire il ruolo della Cina nella sicurezza regionale asiatica


Oggi la possibilità di consolidare un’architettura regionale inclusiva per una sicurezza globale nell’Asia del Pacifico è diventata quasi inconcepibile. Questo perché la tensione Cina-USA in corso sembra aver escluso tale opzione. Gli Stati Uniti sono stati impegnati a consolidare le loro vecchie alleanze militari ea metterne insieme di nuove nella regione per competere e contenere […]

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Questa sera è stato firmato l’accordo politico tra il Ministero dell’Istruzione e del Merito e le organizzazioni sindacali del comparto istruzione e ricerca su cui si costituirà il contratto da sottoscrivere domani in Aran.


Ho iniziato a leggere le specifiche di ActivityPub, il protocollo del Fediverso.

Oltre ad essere di indubbio interesse, mi sono state subito simpatiche perché, pur essendo un documento molto tecnico, non mancano di umorismo che le rende meno noiose. Inoltre hanno una bella introduzione ad alto livello, che agevola molto la comprensione.

Ma soprattutto perché negli esempi compaiono Alyssa e Ben. Altro che Alice e Bob!

Poliverso & Poliversity reshared this.



La Dunkerque degli utenti Twitter viaggia attraverso il software libero e batte la bandiera di Mastodon: nasce così la nuova istanza poliversity.it dedicata al mondo della ricerca e dell'informazione poliverso.org/display/0477a01e…

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Attenti al commercio


La sua fluidità e la vigilanza sui rischi che comporta è oggi l’aspetto più importante della politica estera europea Il dilemma del commercio Laissez faire, laissez passer è la famosa frase, attribuita all’economista francese del XVIII secolo de Gournay,

La sua fluidità e la vigilanza sui rischi che comporta è oggi l’aspetto più importante della politica estera europea


Il dilemma del commercio Laissez faire, laissez passer è la famosa frase, attribuita all’economista francese del XVIII secolo de Gournay, che riassume il principio secondo il quale il governo non deve intromettersi nell’attività economica di imprese ed individui. Il laissez-faire è diventato nel linguaggio corrente a il sinonimo del liberismo economico, ma il suo corollario è altrettanto importante perché senza far passare alle merci i confini geografici l’attività produttiva diventa zoppa.

Lunedì 31 ottobre si sono riuniti a Praga i ministri del commercio estero dell’Unione Europea alla presenza della collega americana Katherine Tai e in questo incontro sono venuti al pettine tre nodi fondamentali. Il primo e più pressante: come comportarsi con gli Stati-canaglia oltre ad infliggergli sanzioni sempre più pesanti?

Secondo quesito: cosa fare con i paesi alleati o comunque non ostili che adottano misure protezionistiche?
Terzo dilemma: accettare sempre i soldi per investimenti da parte di chi gode di vantaggi ingiustificati in termini di sussidi o persegue fini politici?

La domanda iniziale parte da un presupposto: le sanzioni economiche sono dannose sia per chi le infligge che per chi le subisce. I sovranisti fanno oggi questa strabiliante scoperta per cercare di diminuire la pressione sulla Russia putiniana, ma che il commercio dia vantaggi ad entrambi le parti è noto da secoli, e lo hanno ben spiegato Hume, Smith e Ricardo. È importante capire cosa si vuole raggiungere con un embargo e gli obiettivi sono molteplici: condanna morale, infliggere danni allo Stato trasgressore più di quelli che si subiscono (e per ora questo aspetto funziona), scoraggiare ulteriori aggressioni. L’insegnamento è che non ci si deve rendere dipendenti per beni essenziali da paesi ostili o instabili.

La seconda questione aveva un punto concreto, gli incentivi alle vetture elettriche decise dall’amministrazione Biden con una misura altamente protezionistica secondo la quale i benefici sono diretti solo alle auto costruite su suolo americano (anche se con componenti straniere). La risposta giusta sono misure di rappresaglia? No: ci sono organismi internazionali come il Wto per risolvere queste controversie ed in ogni caso tenere le frontiere aperte è comunque un vantaggio anche se altri le chiudono. Insegnamento: bisogna spingere sui trattati di libero scambio (ad esempio, la vittoria di Lula – che non è certo un liberale- sembra di buon auspicio per l’entrata in vigore di quello Europa-Mercosur e bisogna evitare che sia la Francia ad opporsi) e inserire in essi clausole che proibiscano o sanzionino come in Europa gli aiuti di Stato.

Il terzo problema è rappresentato in questi giorni dalla querelle nata in Germania per la cessione del 24,9% di un’importante banchina del porto di Amburgo ad un’azienda pubblica cinese che sta facendo incetta di porti europei e dal travaglio della raffineria di Priolo vicino Siracusa.

L’impianto è di proprietà della società russa Lukoil, raffina il 20% del petrolio consumato in Italia e oggi importa solo quello russo (perché nessuna banca concedeva più credito e garanzie vista la proprietà) che a partire da inizio dicembre cadrà sotto l’embargo europeo. La raffineria rischia di chiudere con pesanti ricadute occupazionali. In Germania un simile problema con un impianto di proprietà della russa Rosneft è stato risolto con un commissariamento e congelamento delle quote della società moscovita. In Italia si vedrà.

Insegnamento: l’Europa deve necessariamente muoversi in modo coordinato per risolvere i problemi creati dagli investimenti russi e per evitare un domani di trovarsi immobilizzata da legami economici con una molto più economicamente potente Cina, soprattutto nel campo delle infrastrutture e delle industrie strategiche. Attualmente la normativa Golden Power concede fin troppi poteri al governo per bloccare acquisizioni anche in settori non realmente strategici da parte di imprese nazionali, europee ed occidentali. Se si vuole prevenire la penetrazione economica da parte di paesi che possono mettere a rischio la sicurezza nazionale diventa assolutamente necessario liberalizzare il mercato dei capitali quando tale rischio non c’è.

In conclusione, il commercio internazionale, la sua fluidità e la vigilanza sui rischi che comporta è oggi l’aspetto più importante della politica estera europea: è bene se ne renda conto anche il governo italiano.

La Repubblica

L'articolo Attenti al commercio proviene da Fondazione Luigi Einaudi.



Cavallo di Troia?I russi hanno annunciato la ritirata da Kherson. Secondo quanto riportato dal comandante delle forze russe in Ucraina, Mosca non era più in grado di garantire rifornimenti alla città.


Al via l’edizione 2022 della Scuola di Liberalismo di Messina: mercoledì 16 novembre la conferenza stampa di presentazione.


Mercoledì 16 novembre, alle ore 10.30, presso la Sala Senato dell’Università di Messina, si terrà la conferenza stampa di presentazione dell’edizione 2022 della Scuola di Liberalismo di Messina, promossa dalla Fondazione Luigi Einaudi ed organizzata in co

Mercoledì 16 novembre, alle ore 10.30, presso la Sala Senato dell’Università di Messina, si terrà la conferenza stampa di presentazione dell’edizione 2022 della Scuola di Liberalismo di Messina, promossa dalla Fondazione Luigi Einaudi ed organizzata in collaborazione con l’Università degli Studi di Messina e la Fondazione Bonino-Pulejo.

Alla presenza del Magnifico Rettore, prof. Salvatore Cuzzocrea, e del Vicario, prof. Giovanni Moschella, il Direttore Generale della Scuola, prof. Pippo Rao, e il Direttore Scientifico, prof. Giuseppe Gembillo, presenteranno la dodicesima edizione messinese del corso dedicato agli autori più rappresentativi del pensiero liberale ed alle loro opere.

Parteciperanno all’incontro con la stampa: Enzo Palumbo (Membro della Commissione Giustizia della Fondazione Luigi Einaudi), Edoardo Milio (Responsabile Relazioni istituzionali), Gabriella Sorti (Responsabile del Comitato di Segreteria), Francesco Sarà (Responsabile Comunicazione), Paolo Cicciari (Rappresentante degli
studenti) ed i membri del Comitato organizzatore (Fulvio Arena, Enrico Bivona, Daniela Cucè Cafeo, Angelica Esposito, Giovanni Marino, Giuseppe Scibilia e Gianni Toscano). Saranno presenti anche i Presidenti degli Ordini professionali che hanno concesso il loro patrocinio: Architetti, Avvocati, Ingegneri, Medici e Notai.

Messina, 09/11/2022

Pippo RAO

Direttore Generale Scuola di Liberalismo di Messina

L'articolo Al via l’edizione 2022 della Scuola di Liberalismo di Messina: mercoledì 16 novembre la conferenza stampa di presentazione. proviene da Fondazione Luigi Einaudi.



Il presidente Joe Biden parla di “buon giorno per la democrazia” e lascia la porta aperta ad una ricandidatura nel 2024.


Le democrazie del mondo si chiedono perché il sistema americano non possa aggiustare se stesso, era il tema di un articolo del New York Times di alcuni giorni fa. Perché è evidente che qualcosa non funzioni.


Eritrea, Qual è il Prossimo Passo nella guerra in Tigray?


La presenza meditativa e calcolatrice del presidente Isaias incombe sull’attuale accordo di pace tra il governo etiope e il Tigray. Già nel 2018 è stato…

La presenza meditativa e calcolatrice del presidente Isaias incombe sull’attuale accordo di pace tra il governo etiope e il Tigray. Già nel 2018 è stato la forza trainante nel tracciare la guerra in Tigray, ma cosa sta pianificando adesso?

Certo, nessuno può esserne certo, ma possiamo leggere i segni.

Tanto per cominciare, ci sono notizie credibili secondo cui le forze eritree sono ancora all’offensiva nel Tigray.

L’ex presidente della Mekelle University ha twittato proprio ieri:

Le forze eritree sono impegnate in una massiccia campagna di saccheggio, uccisione e distruzione, inclusa la distruzione di terreni coltivati ​​e l’incendio di erbe accatastate in molte aree del Tigray. Ciò sta accadendo dopo che una settimana a Pretoria è stata firmata una cessazione permanente delle ostilità


Come ha affermato questa mattina il rispettato analista Rashid Abdi :

L’Eritrea non si oppone a Pretoria. Ha aiutato a progettarlo. Abiy non avrebbe stipulato un patto con il Tigray senza il consenso di Afewerki. Abbiamo esagerato con il ruolo di spoiler dell’Eritrea. Asmara è il vincitore strategico del Tigray. Ha eviscerato il TPLF, diventando lo stato profondo dell’Etiopia.


Che presa ha Isaias su Abiy?


Per affermare l’ovvio: è altamente improbabile che il Tigray avrebbe lottato così duramente per resistere alle ripetute offensive che ha subìto se solo avesse affrontato le truppe etiopi. Ma i Tigrini stavano combattendo le forze di tre nazioni (Etiopia, Eritrea e Somalia) così come la milizia di diverse regioni etiopi.

Questa è stata un’operazione che Abiy e Isaias hanno iniziato a pianificare già nel 2018, dopo che Abiy è volato ad Asmara e le due nazioni si sono riconciliate. Questa è stata seguita da una serie di incontri e discussioni, culminate in visite dei due leader alle rispettive basi militari più importanti, il tutto prima dello scoppio della guerra del novembre 2020 con il Tigray.

Quindi Abiy ha un enorme debito con Isaias, ma questo va ben oltre la gratitudine.

Il presidente Isaias ha alcune carte chiave nella manica. Il più importante è il numero di truppe etiopiche attualmente all’interno dell’Eritrea. Poco prima dell’inizio dell’ultimo round di combattimenti, il 24 agosto 2022, ci sono state segnalazioni di trasferimenti su larga scala di forze etiopi in Eritrea. Hanno continuato a combattere al fianco degli eritrei mentre attaccavano lungo il confine settentrionale del Tigray e verso ovest da Shire.

Dagli alleati agli ostaggi


La domanda ora è: che ne sarà delle forze etiopi all’interno dell’Eritrea?

Per vedere cosa potrebbe svilupparsi, dobbiamo guardare al destino dei 5.000 soldati somali inviati in Eritrea per “addestramento”, solo per essere coinvolti nella guerra nel Tigray.

Nel luglio di quest’anno il neoeletto presidente della Somalia, Hassan Sheikh Mohamud, ha visitato Asmara. Andò persino a vedere i suoi stessi soldati.

Nonostante i suoi migliori sforzi, il presidente Hassan Sheikh non è stato in grado di ottenere la loro libertà. Erano diventati ostaggi, pedine nel gioco a lungo termine del presidente Isaias. Il leader somalo dovrebbe volare di nuovo in Eritrea la prossima settimana per cercare di farli rilasciare ancora una volta.

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Quale sarà il destino degli etiopi in Eritrea?


Non possiamo esserne certi, ma c’è una goccia nel vento.

Si sostiene che a circa 300 autisti etiopi, che avrebbero dovuto trasportare le truppe etiopi a casa, è stato detto di andarsene, ma sono stati costretti ad abbandonare i loro autobus all’interno dell’Eritrea. Alcuni sono stati fermati a Tessenei, mentre trasportavano truppe etiopiche e soldati feriti a Gondar.

Questo suggerisce che le forze etiopi subiranno la stessa sorte ai somali – intrappolati come ostaggi all’interno dell’Eritrea – per assicurarsi che il primo ministro Abiy faccia ciò che il presidente Isaias vuole da lui? Solo il tempo lo dirà.


FONTE: eritreahub.org/what-is-eritrea…


tommasin.org/blog/2022-11-10/e…



A complex normalisation process is underway in the South Caucasus. Despite the numerous violations of the 2020 ceasefire, Armenia and Azerbaijan may be closer than ever to a peace agreement this time with unprecedented support from the US and, especi…


Cybersecurity: EU bans anonymous Internet sites


The EU Parliament today approved the directive to increase cyber security (“NIS 2”) by a large majority. According to it, the registration of internet domain names shall … https://www.patrick-breyer.de/wp-content/uploads/2022/11/A-9-2021-0313-AM-281-281_

The EU Parliament today approved the directive to increase cyber security (“NIS 2”) by a large majority. According to it, the registration of internet domain names shall in the future require the correct identification of the owner in the Whois database (Article 28). The obligation to register the identity explicitly also applies to “privacy” and “proxy” registration services and resellers (Article 6). Public authorities and private individuals wil have access in case of “legitimate interest”. “Whois privacy” services for proxy registration of domains thus become illegal, threatening the safety of activists and whistleblowers.

Pirate Party Member of the European Parliament Patrick Breyer, shadow rapporteur in the opinion-giving Civil Liberties Committee, explains:

“If the operators of leak sites like Wikileaks were to be listed by name in the future, they risk long prison sentences for publishing US war crimes, just like Julian Assange. The Catalonian independence referendum also had to be organised via anonymously registered websites because of the threat of imprisonment in Spain.

This government-dictated identification requirement is unique in the world and breaks with international principles of internet governance. It will be gratefully adopted by regimes in Russia, Iran, China etc. and will have dire consequences for courageous human rights and democracy activists.

Mandatory identification endangers website operators because only online anonymity effectively protects against data theft and loss, stalking and identity theft, doxxing and ‘death lists’. The right to anonymity online is particularly indispensable for women, children, minorities and vulnerable persons, victims of abuse and stalking, for example. Whistleblowers and press informants, political activists and people in need of counselling, fall silent without the protection of anonymity. Only anonymity prevents the persecution and discrimination of courageous people in need of help and ensures the free exchange of sometimes vital information.

We Pirates fully support the parts of the directive that will increase network security. But making identification mandatory for domain holders has nothing to do with network security.”

Breyer’s group had requested a separate vote on the identification requirement, but this was rejected by the parliamentary majority.

The Directive will still need to be implemented by the EU member states.

Annex: Article 28

Article 28 Database of domain name registration data

  • For the purpose of contributing to the security, stability and resilience of the DNS, Member States shall require TLD name registries and entities providing domain name registration services to collect and maintain accurate and complete domain name registration data in a dedicated database with due diligence in accordance with Union data protection law as regards data which are personal data.
  • For the purposes of paragraph 1, Member States shall require the database of domain name registration data to contain the necessary information to identify and contact the holders of the domain names and the points of contact administering the domain names under the TLDs. Such information shall include:
    • (a) the domain name;
    • (b) the date of registration;
    • (c) the registrant’s name, contact email address and telephone number;
    • (d) the contact email address and telephone number of the point of contact administering the domain name in the event that they are different from those of the registrant.
  • Member States shall require the TLD name registries and the entities providing domain name registration services to have policies and procedures, including verification procedures, in place to ensure that the databases referred to in paragraph 1 include accurate and complete information. Member States shall require such policies and procedures to be made publicly available.
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  • Member States shall require the TLD name registries and the entities providing domain name registration services to provide access to specific domain name registration data upon lawful and duly substantiated requests by legitimate access seekers, in accordance with Union data protection law. Member States shall require the TLD name registries and the entities providing domain name registration services to reply without undue delay and in any event within 72 hours of receipt of any requests for access. Member States shall require policies and procedures with regard to the disclosure of such data to be made publicly available.
  • Compliance with the obligations laid down in paragraphs 1 to 5 shall not result in a duplication of collecting domain name registration data. To that end, Member States shall require TLD name registries and entities providing domain name registration services to cooperate with each other.

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Perché non esiste un’’alleanza Cina-Russia’


La visita a Pechino del cancelliere tedesco Olaf Scholz questa settimana ha prodotto risultati diplomatici modesti ma reali. Il leader cinese Xi Jinping ha rilasciato una forte dichiarazione in cui avverte tutti i paesi di non usare o minacciare di usare armi nucleari, qualcosa che può essere letto soprattutto come un avvertimento a Mosca di […]

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La comunità internazionale deve prepararsi per una Russia post-Putin


Nove mesi sono sufficienti per far nascere un essere umano, ma a quanto pare non bastano perché il Presidente russo Vladimir Putin si renda conto della follia della sua guerra contro l’Ucraina. Invece, sta diventando sempre più chiaro che nessun accordo significativo sarà possibile finché Putin rimarrà al potere. La comunità internazionale deve quindi cercare […]

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Etiopia, Chi può Fidarsi dell’Accordo di Pace?


Mentre molti hanno celebrato l’accordo di cessate il fuoco, alcuni importanti gruppi tigrini lo vedono come una resa. Dopo due anni di guerra devastante, il…

Mentre molti hanno celebrato l’accordo di cessate il fuoco, alcuni importanti gruppi tigrini lo vedono come una resa.

Dopo due anni di guerra devastante, il 2 novembre il governo federale etiope e il Fronte di liberazione del popolo del Tigray (TPLF) hanno firmato uno storico accordo di cessate il fuoco. L’accordo, firmato a Pretoria a seguito di colloqui mediati dall’Unione Africana, è sorprendentemente completo.

Secondo i suoi termini, il TPLF accetterà un ritorno al precedente ordine costituzionale, inclusa l’autorità federale nel Tigray. Una nuova amministrazione provvisoria governerà la regione fino alle elezioni. E il TPLF disarmerà completamente entro 30 giorni, riconoscendo che l’Etiopia ha “una sola forza di difesa”.
L'accordo di pace fa sperare che due anni di guerra devastante nella regione del Tigray in Etiopia potrebbero volgere al termine, ma le vere sfide si trovano davanti. Credito: Rod Waddington.L’accordo di pace fa sperare che due anni di guerra devastante nella regione del Tigray in Etiopia potrebbero volgere al termine, ma le vere sfide si trovano davanti. Credito: Rod Waddington.
In cambio, il governo federale ha accettato di migliorare la rappresentanza del Tigray nelle istituzioni federali, compreso il parlamento. Accelererà gli aiuti umanitari nella regione, dove oltre 13 milioni di persone hanno bisogno di assistenza alimentare. Faciliterà il ritorno delle comunità sfollate. E ripristinerà i servizi essenziali, alcuni dei quali bloccati dallo scoppio del conflitto.

Entrambe le parti hanno anche convenuto di porre fine alla “propaganda ostile, retorica e incitamento all’odio” e di stabilire una nuova “politica di giustizia di transizione” per garantire responsabilità, risarcimento per le vittime e riconciliazione.

Reazioni miste


I leader regionali e internazionali hanno ampiamente elogiato l’accordo, con il principale mediatore dell’UA Olusegun Obasanjo che lo ha definito “l’inizio di una nuova alba per l’Etiopia”. Il governo federale è stato altrettanto positivo, con il primo ministro Abiy Ahmed che ha detto a folle esultanti che l’Etiopia aveva ottenuto “il 100%” di ciò che voleva.

Alcuni gruppi, tuttavia, sono stati meno soddisfatti. Diversi gruppi dominanti del Tigrino hanno risposto con incredulità e negazione, vedendo l’accordo come una resa. La Global Society of Tigrayan Scholars & Professionals (GSTS), ad esempio, ha affermato che l’esercito etiope non può garantire la sicurezza e ha respinto il disarmo delle forze di difesa del Tigray (TDF). La rete ha anche criticato l’accordo di cessate il fuoco per non aver invitato le forze dell’Eritrea a partire e ha lamentato la mancanza di una tempistica chiara per facilitare gli aiuti, ripristinare i servizi e rimpatriare gli sfollati.

Alcuni gruppi Amhara, anch’essi coinvolti in conflitti, sono stati altrettanto critici e delusi per non essere stati inclusi nei colloqui. La milizia fanese ha denunciato l’accordo di adesione all’attuale costituzione , che vede marginalizzare gli interessi di Amhara. Nel frattempo, un politico dell’opposizione National Movement of Amhara (NAMA) si è lamentato del fatto che l’accordo non riconosce la pretesa di Amhara su due aree – Welkait e Raya – che sono fortemente contese con il Tigray.

Sfide in arrivo


La combinazione di reazioni indica sia l’enorme potenziale che le sfide che l’Etiopia deve affrontare.

Da un lato, l’opportunità di una pace duratura creata dall’accordo di pace è stata difficile da immaginare per gran parte degli ultimi due anni. Dallo scoppio della guerra, centinaia di migliaia di persone sono state uccise e milioni di sfollati. Ci sono state accuse di crimini di guerra e uso della violenza sessuale come arma di guerra da entrambe le parti. La società etiope si è polarizzata in un aumento di pericolosa retorica. In questo contesto, qualsiasi accordo che possa porre fine alle ostilità è uno sviluppo positivo.

Inoltre, è rassicurante che i mediatori riconoscano che il duro lavoro deve ancora venire. Obasanjo ha sottolineato che “questo momento non è la fine del processo di pace, ma l’inizio di esso”. Uhuru Kenyatta, un altro dei mediatori, ha avvertito che “il diavolo sarà nell’attuazione”.

D’altra parte, molte delle critiche all’accordo di pace sono valide e indicano sfide difficili da affrontare. È vero che l’accordo manca di un calendario chiaro per la fornitura di aiuti umanitari disperatamente necessari e il ripristino dei servizi. Molti dei disaccordi più controversi e intrattabili – come le aree contese in cui sia Tigray che Amhara accusano l’altra parte di pulizia etnica – rimangono irrisolti, con l’accordo che dice solo che saranno risolti secondo la costituzione. E la promessa di disarmare i combattenti del TPLF entro 30 giorni sembra molto ambiziosa.

È difficile immaginare come i soldati del Tigray si sentiranno sicuri di deporre le armi quando si ritiene che i soldati eritrei, intervenuti a sostegno del governo federale, siano ancora presenti nella regione, ma non sono menzionati nell’accordo di pace. Allo stesso modo è difficile vedere come riposeranno la loro fiducia nell’esercito etiope, che è stato accusato di innumerevoli crimini di guerra contro le loro forze negli ultimi due anni, per essere il loro garante della sicurezza. L’accordo apre la strada alle forze federali per entrare nella capitale del Tigrino Mekelle e prendere il controllo di tutti gli aeroporti, autostrade e strutture federali. Inoltre, il disarmo e il reinserimento in genere richiedono mesi, se non anni.

In effetti, la fiducia sarà il fattore più difficile da ricostruire in futuro, a molti livelli. Per due anni, i funzionari etiopi – incluso il primo ministro Abiy – hanno parlato del TPLF e dei Tigray come di un cancro e di un’erbaccia. L’incitamento all’odio etnico ei crimini ispirati dall’odio sono aumentati vertiginosamente, con la società etiope sempre più divisa . Ed entrambe le parti hanno negato la colpevolezza nei diffusi crimini di guerra nonostante le prove.

In questo contesto, il reinserimento dei combattenti del TPLF nell’esercito nazionale e l’idea di riconciliazione e giustizia di transizione saranno lotte in salita. Così sarà anche la riconciliazione di altri conflitti correlati in Etiopia, come in Oromia, che non sono menzionati nell’accordo.

I cannoni non sono ancora taciuti nel Tigray. I firmatari dell’accordo, che lascia molto non detto, ne stanno ancora discutendo i dettagli e l’attuazione. Molto si basa sulla buona volontà dell’UA e di altri organismi internazionali per garantire che l’accordo sia rispettato. Ma qualsiasi passo anche solo provvisorio verso la pace dopo due anni strazianti è un passo nella giusta direzione.


Autore: Mohamed Kheir Omer, è un ricercatore e scrittore afro-norvegese con sede a Oslo, in Norvegia. È un ex membro del Fronte di Liberazione Eritreo (ELF).


FONTE: africanarguments.org/2022/11/w…


tommasin.org/blog/2022-11-10/e…



Scuola e merito: lo studio è un mestiere faticoso


Lo ricordava anche Antonio Gramsci: studiare «è un processo di adattamento, è un abito acquisito con lo sforzo, la noia e anche la sofferenza». L’unica cosa che nella vita si può ottenere senza fatica è la vincita al superenalotto. Tuttavia, a parte che s

Lo ricordava anche Antonio Gramsci: studiare «è un processo di adattamento, è un abito acquisito con lo sforzo, la noia e anche la sofferenza».


L’unica cosa che nella vita si può ottenere senza fatica è la vincita al superenalotto. Tuttavia, a parte che si tratta di un evento più unico che raro, anche in questo caso un piccolo sforzo va fatto: per vincere è necessario giocare. Dunque, se la fortuna aiuta gli audaci, non si capisce perché si sia immaginato di poter combinare qualcosa di buono senza mettere in conto di lavorare e di meritare il progresso individuale, familiare, sociale.

Forse, in tanti, in troppi hanno sognato di poter vincere al superenalotto ottenendo il massimo con il minimo. Ecco perché ha fatto benissimo Angelo Panebianco a sottolineare che in troppi in Italia non hanno voluto scuole di qualità cioè scuole che «premino lo studio» ossia «la fatica di imparare» perché «senza fatica non si impara mai nulla» (Corriere della Sera, 31 ottobre).

Così è accaduto che quando, con il nuovo governo in carica, si è associata la scuola al merito – per ora solo nominalmente – si è addirittura gridato allo scandalo sostenendo che il merito crea diseguaglianza. Dimenticando due cose fondamentali: 1) l’articolo 34 della Costituzione che dice che «i capaci e meritevoli, anche se privi di mezzi, hanno diritto di raggiungere i gradi più alti degli studi»; 2) che a pagare le conseguenze di una svalutazione del lavoro meritevole sono i più deboli che per migliorare hanno una sola via: la serietà degli studi.

Insomma, studiare è un lavoro e, anzi, il primo lavoro che i giovani devono imparare a fare per affrontare vita e società. Non a caso Antonio Gramsci insisteva in un suo scritto, da poco ripubblicato (Anche lo studio è un mestiere, Edizioni di Comunità), che «occorre persuadere molta gente che anche lo studio è un mestiere, e molto faticoso, con un suo speciale tirocinio, oltre che intellettuale, anche muscolare-nervoso: è un processo di adattamento, è un abito acquisito con lo sforzo, la noia e anche la sofferenza». Altrimenti non resta che il superenalotto.

Il Corriere della Sera

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Riccastri


L’intento di non disturbare chi vuole lavorare, proclamato in Parlamento dalla presidente del Consiglio, era da accogliersi con soddisfazione. Poi con qualche precauzione. Ora, viste le cose che si dicono sul fronte fiscale, anche con preoccupazione. Non

L’intento di non disturbare chi vuole lavorare, proclamato in Parlamento dalla presidente del Consiglio, era da accogliersi con soddisfazione. Poi con qualche precauzione. Ora, viste le cose che si dicono sul fronte fiscale, anche con preoccupazione. Non vorremmo fare i conti con la delusione.

Se un Paese vuole vedere crescere la ricchezza deve incoraggiare, o quanto meno non scoraggiare, chi s’impegna a lavorare di più. Questi ultimi, se non sono tutti cavalli Gondrano (Fattoria degli animali), lavorano di più per avere di più. Il ricercatore sente vicina la scoperta e rinuncia a dormire; il contadino vuole ampliare l’orto e rinuncia alla pausa; il professore vede che i suoi studenti si appassionano e non li molla neanche a ricreazione e così via, ciascuno nel proprio lavora per il collettivo. Ciascuno mosso da smithiano egoismo, che sia per la gloria o per la grana.

Il sistema fiscale coadiuva l’incoraggiamento evitando il taglieggiamento. Nella nostra Costituzione è iscritto il sano principio della progressività, significa: chi più guadagna più contribuisce. Per evitare che divenga un modo per scoraggiare il lavoro e il guadagno, producendo miseria anziché ricchezza, la progressività funziona in modo che: fino al livello x non si paga niente; fino a y (detratto x) si paga tot; fino a z (detratto x e y) si paga di più e così via. La maggiore tassazione si riferisce, quindi, non al totale del reddito, ma alla parte che supera gli scaglioni con più basse aliquote. La falsa flat tax scassa tutto, produce evasione fiscale e crea ingiustizia, sicché disturba. E manco poco.

Ci sarebbero i contribuenti onesti, di cui sarà bene non dimenticarsi. Si dividono in due partiti: gli onestamente fessi e i fessamente onesti. I primi ritengono sia giusto essere onesti. I secondi non riescono ad essere disonesti. Pagano. E siamo in 5 milioni, su quasi 60 di residenti, a contribuire più di quel che (mediamente) costiamo.

Vi ho già detto che siamo fessi, ma accessoriamente onesti. Però è fastidioso essere indicati come i riccastri da punire. La destra fiscale somiglia davvero tanto alla sinistra radicale, quelli per cui anche i ricchi, se onesti, devono piangere. Spiego.

Negli allegati alla nota di aggiornamento di economia e finanza, roba del governo, giustamente non la chiamano flat tax, ma con il suo nome: regime forfettario per autonomi fino a 65mila euro. Che pagano il 15%. Vorrei ricordare che un dipendente paga il 23% fino a 15mila; il 25 fino a 28mila; il 35 fino a 50mila e il 43% oltre. Lo pagano tutti i fessi onesti, anche se non dipendenti, anche se autonomi sopra la soglia. Nel regime forfettario si rinuncia alle detrazioni: 15% sugli incassi e finiamola lì. Ma se superi i 65mila, torni alle aliquote Irpef.

Ora vogliono portare la soglia a 85mila. Ma non funziona come l’Irpef e così impostata crea povertà o evasione. Come dimostrano gli stessi conti del governo, visto che l’evasione Iva è molto scesa grazie alla fatturazione elettronica (andate a vedere chi era contrario), grazie a quella sono saliti i redditi e nel complesso il Tax gap, ovvero la stima di evasione è scesa. Evviva. Ma è risalita da quando s’è introdotta la falsa flat. Perché?

Facile: mi trovo vicino alla soglia, ovunque sia fissata, tanto cambia niente, dovrei emettere una fattura che mi porta oltre, delle due l’una: o non accetto il lavoro o non emetto la fattura. La prima cosa brucia ricchezza la seconda accende evasione.

Ma non basta, perché per pagare il costo di questa prodezza ora vogliono anche togliere detrazioni ai riccastri, ingordi, profittatori, accaparratori, accumulatori maniacali. Quei 5 milioni che pagano per tutti la devono finire di godere e devono soffrire, piangere, sborsare, come suggeriscono gli arrossati e piace agli anneriti.

Il che, tornando da dove partimmo, disturba. Disturba assai. Insolentisce pure. Fa sentire gli onesti fessamente fessi. E no, non è bello.

La Ragione

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Luisa Morgantini: “La guerra? Fra uccidere e morire c’è una terza via: vivere”


Luisa Morgantini, già vicepresidente del Parlamento europeo, è stata tra le fondatrici delle Donne in Nero italiane, dell’Associazione per la pace in Palestina di cui è presidente e della rete internazionale delle Donne contro la guerra. L'articolo Luisa

di Frida Nacinovich – Sinistra sindacale*

Luisa Morgantini, quanto andrà ancora avanti questa follia? Quando Russia e Ucraina si decideranno finalmente a negoziare il cessate il fuoco?

Questa situazione è allucinante. Si diceva che questo mondo era razionale, invece è un mondo totalmente irrazionale. Impazzito. Costruire, continuare a fabbricare armi è irrazionale. Costruiamo cose per distruggere. La bomba nucleare è fatta per distruggere ogni cosa. Perchè siamo arrivati a questo punto è difficile dirlo, ma la risposta non possono essere altre armi. Non si può incentivare, incrementare la distruzione e la morte. Dobbiamo dire basta, come donne, come pacifiste. Mi viene a mente una frase bellissima della scrittrice tedesca Christa Wolf, messa in bocca all’amazzone: “Fra uccidere e morire c’è una terza via, vivere”. Se ci siamo spinti così avanti è perché rinunciamo a pensare. Siamo di fronte alla morte dell’umanità. Non sarà l’apocalisse, ma per noi che siamo contro le guerre, contro la violenza, si intrecciano sentimenti di grande tristezza e preoccupazione”.

Specialmente nei primi mesi del conflitto russo ucraino, l’informazione ha messo l’elmetto ed è partita verso il fronte …

“Negli ultimi trent’anni, forse ancora di più, la guerra si è affermata e riproposta in tutte le sue dimensioni. Urlavamo “fuori la guerra dalla storia”, invece la guerra è rientrata prepotentemente nella storia. È pazzesco questo mondo va a rovescia. Oggi si parla di Europa per dire che non ha una linea comune, che non ha fatto una scelta politica. Non sono d’accordo.

Purtroppo l’Europa nelle sue dimensioni istituzionali, ha fatto una scelta politica ben precisa, che è quella di essere al servizio della Nato. Sono gli Stati Uniti che decidono e comandano, nelle basi militari del nostro paese ospitiamo le loro pericolosissime armi. Per anni abbiamo detto e ripetuto “via le basi americane dall’Italia”. Invece le ritroviamo ancora tutte, sempre di più”.

Dall’Europa ci si deve aspettare molto di più?

“L’Europa non è riuscita ad avere una voce autonoma. Questa è la realtà. Le istituzioni non sono state capaci di avere una propria autonomia, lo scollamento con il popolo è evidente. Dico di più, l’Europa non ha neppure cercato di prendere una strada diversa. Al contrario, è diventata sempre più guerrafondaia nelle parole dei suoi governi, a partire da quello italiano. Guerrafondaia come la presidente della Commissione europea. Abbiamo risposto alla guerra immorale scatenata da Putin con una politica di guerra. Così facendo abbiamo incentivato le distruzioni, e le morti degli ucraini e dei soldati russi. Abbiamo distribuito armi all’Ucraina invece di tentare come Europa di avere una politica diversa da quella degli Stati Uniti. Ed è una cosa incredibile, non si capisce perché dobbiamo essere al servizio della crescita a dismisura della presenza nord americana in Europa. Ricordo l’aggressione all’Iraq da parte degli Stati Uniti, anche allora con la nostra connivenza e complicità. Saddam Hussein aveva detto nel consesso arabo che, al posto del dollaro, la moneta di scambio sarebbe stato l’euro. E questa sarebbe stata una cosa importantissima. Niente da fare, l’Europa si è sempre accodata alle scelte degli Stati Uniti. Penso che lo abbia fatto con consapevolezza. Non ha mai voluto giocare un ruolo autonomo, e se l’ha fatto per un breve periodo ha assunto una posizione in qualche modo di ‘soft power’. Ma di fatto abbiamo sempre aderito a queste scelte di guerra: l’Iraq, la Libia, la Jugoslavia. Eppure avevamo un governo con Massimo D’Alema ministro degli Esteri. Credo che, in quel preciso momento, se invece di fare una dichiarazione di alleanza occidentale, con la Nato, avessimo avuto la forza e il coraggio di dire di no, noi la guerra non la facciamo, ripudiamo la guerra come dice la nostra Costituzione, sarebbe cambiato il mondo. Non so cosa sarebbe successo, forse avrebbero fatto un colpo di Stato contro di noi. Ma sicuramente ci troveremmo in una situazione completamente diversa. Perché, a partire dalle prime guerre del Golfo, per arrivare a quella in Jugoslavia, abbiamo visto crescere sempre di più la presenza degli Stati Uniti dalla nostraparte, Kosovo, Iraq, Afghanistan, sono serviti nei fatti ad accrescere la potenza statunitense”.

Sempre in prima linea contro la guerra, la ricordiamo vestita di nero ai tempi della guerra nell’ex Jugoslavia, per denunciare anche allora la follia di ogni conflitto armato.

Le guerre si fanno perché si producono le armi. E le armi devono essere sempre usate e poi cambiate, così si fanno nuovi investimenti e ci sono nuovi profitti per le aziende che realizzano armamenti. Questa guerra non è più russo-ucraina, è una guerra geopolitica. Come dicono molti studiosi, anche non di sinistra, questa è una guerra geopolitica in cui gli Stati Uniti continuano, noi tutti continuiamo a dare armi all’Ucraina per distruggere, invece di puntare fortemente su un piano negoziale. Anche le manifestazioni chiedono questo, il cessate il fuoco fuoco e puntare sui negoziati”.

All’inizio del secolo il Partito della pace fu definito dal New York Times la seconda superpotenza mondiale, ma a mani nude non è facile contrastare il Partito della guerra.

“Nel 2003 c’è stata l’ultima grandissima manifestazione per la pace. Ma secondo me in qualche modo ha segnato anche la rottura della nostra democrazia. Perché milioni e milioni di persone sono scese in piazza, non solo in Italia ma in tutto il mondo, contro la guerra, e invece la guerra l’hanno fatta lo stesso. Non si è più tenuto conto della posizione della società civile, dell’opinione pubblica. Io vedo il 2003 come un punto di non ritorno. La mia impressione è che da allora non viviamo più in un sistema democratico, ma in un sistema in cui la democrazia e la partecipazione delle persone non sono più prese in considerazione. Non soltanto rispetto alla guerra e alle pace, anche rispetto ai problemi di carattere sociale, al lavoro, ai diritti. E allora alle elezioni vanno a votare sempre meno persone. Da questo punto di vista hanno giocato un ruolo decisivo i media. La disaffezione alla politica, dovuta a un qualunquismo per cui son tutti uguali, tutti rubano, tutti sono corrotti. C’è la casta da abbattere. Il trentennio berlusconiano ha distrutto la partecipazione, ovviamente ci abbiamo messo del nostro anche noi di sinistra. Invece di essere uniti ci dividiamo in mille rivoli, prevale ancora il settarismo”.

Come ogni pacifista, ormai per trovare sintonia politica deve leggere il quotidiano dei vescovi l’Avvenire e ascoltare il pontefice?

“Leggo l’Avvenire, il Fatto quotidiano, il manifesto. E le parole giuste le usa Papa Francesco, non soltanto sulla pace e sulla guerra, anche sul lavoro, sulla produzione di armi. E forse non è un caso che questo Papa non sia nato in Italia, Germania, Polonia. In Argentina ha vissuto la dittatura dei militari, ha conosciuto le interferenze nordamericane nei sistemi dittatoriali. Questo mondo è grandissimo, grande e terribile, diceva Gramsci. Però, nello scacchiere ci sono ormai altri interlocutori, che vengono messi da una parte, come hanno fatto con Lula. Allora vedi quanto i media stiano influenzando la cultura. Come si nascondono le verità. Come ci siano due pesi e due misure nelle diverse situazioni. Pensiamo ai curdi. E io penso soprattutto alla Palestina. Se un ragazzino palestinese tira un sasso contro un carro armato è un terrorista, mentre viene invece esaltato da parte dei media occidentali l’eroismo di un ragazzino ucraino che spara. Intanto si permette a Israele di applicare l’apartheid, ammazzare tutti i giorni, rubare terra ai palestinesi, demolire le case, uccidere ragazzini. Tutto viene denunciato, i rapporti delle Nazioni Unite espongono chiaramente i fatti. Però nessuno tocca Israele”.

Occhio per occhio e il mondo sarà cieco, lo gridavano gli studenti di Berkeley ai tempi della guerra in Vietnam…

“Spero che le piazze siano piene per dire no alle guerre. Questo popolo che si schiera per la pace chiede basta guerre, basta violenza. Negoziate, cessate il fuoco, e poi vedremo cosa succede. Siamo tutti sconfitti nella follia della guerra. Abbiamo distrutto mezzo Medio Oriente, mezza Europa. Basta. Io spero, mi auguro che la gente capisca, sappia urlare il proprio ripudio della guerra, mostri una forza che possa far cambiare le linee politiche dei nostri governi. Dobbiamo disarmare questo mondo, e forse dobbiamo impegnarci di più per farlo. Contro guerre, sfruttamento, ingiustizie, diseguaglianze. Pochi giorni fa ero a un’iniziativa politica per sostenere Mimmo Lucano, contro di lui è stato intentato un processo aberrante, lo accusano di cose gravissime, anche se fortunatamente dagli atti è venuto fuori chiaramente che lui non si è mai appropriato di nulla. Al più ha commesso reati di umanità. No, non mi stancherò mai di scendere in piazza. Credo che valga comunque la pena di tener aperta questa luce, questa speranza. “Magari fossi una candela in mezzo al buio”. Vale la pena, vale sempre la pena”.

*https://www.sinistrasindacale.it/images/numero18_2022/SinistraSindacale18_2022.pdf

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Sicurezza sismica: quali sono le aree più a rischio in Italia?


L’Italia è una nazione caratterizzata dalla presenza di aree a rischio sismico di diversa entità e, unitamente alla fragilità del territorio, è possibile che si verifichino terremoti con conseguenze potenzialmente gravi per persone e insediamenti. In linea generale, l’Italia è considerata una zona sismica di rischio elevato, sia per la frequenza con la quale si […]

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INCHIESTA. Un decennio di sangue per i difensori dell’ambiente


Negli ultimi dieci anni, nel mondo sono stati assassinati almeno 1733 difensori dell'ambiente. La maggior parte degli omicidi si concentrano in America Latina e nell'area amazzonica. Multinazionali, narcos e apparati di sicurezza statali godono di una imp

di Marco Santopadre*

Pagine Esteri, 9 novembre 2022 – Una vita soppressa ogni due giorni, tre a settimana, più di centocinquanta ogni anno. Le cifre fornite dal rapporto dell’ong Global Witness parlano di un’enorme, infinita strage.
Dal 2012 al 2021 l’organizzazione riporta la morte, in tutto il pianeta, di ben 1733 attivisti assassinati a causa del loro impegno nella difesa dei loro territori e delle loro comunità. I dati sugli omicidi, avverte la stessa organizzazione non governativa, rappresentano solo la punta dell’iceberg e sono sicuramente sottostimati; molti casi non vengono denunciati perché si verificano in territori dove esistono conflitti armati o restrizioni alla libertà di stampa, o a causa della complicità con le aggressioni da parte delle autorità locali quando non dei governi centrali.
«Questi numeri – scrive Vandana Shiva nell’introduzione al rapporto presentato alla fine di settembre – non diventano reali finché non si sentono alcuni dei nomi di coloro che sono morti. Marcelo Chaves Ferreira, Sidnei Floriano Da Silva, José Santos Lopez. Ognuno di loro era una persona amata dalla propria famiglia, dalla propria comunità. Jair Adán Roldán Morales, Efrén España, Eric Kibanja Bashekere. Ognuno di loro è stato considerato sacrificabile per motivi di lucro. Regilson Choc Cac, Orsa Bhima, Angelo Riva. Ognuno è stato ucciso difendendo non solo i propri luoghi preziosi, ma la salute del pianeta che tutti condividiamo».

Le vittime sono giornalisti, sindacalisti, attivisti sociali o ambientali, esponenti politici, membri delle comunità indigene, contadini, guardiaparchi. Tutti uccisi dai sicari di imprese – spesso multinazionali – voraci e senza scrupoli, oppure da coloni che per sopravvivere distruggono foreste, montagne, fiumi e laghi e tolgono di mezzo chi li difende, oppure ancora da contrabbandieri, membri di bande paramilitari o narcos. Spesso, poi, gli assassini sono agenti di polizia, militari o comunque emissari dei governi locali o nazionali.

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Le vittime del 2021 per paese

Il 2021, uno degli anni peggioriTra quelli esaminati da Global Witness il 2021 è stato uno degli anni peggiori, con circa 200 morti, una media di quattro ogni settimana. Un decimo delle vittime sono donne, per lo più indigene.
A guidare la triste classifica è stato il Messico, con ben 54 vittime; dietro ci sono la Colombia con 33 e il Brasile con 26 omicidi; seguono le Filippine con 19, il Nicaragua con 15, l’India con 14, l’Hunduras e il Congo con 8.
Circa 50 delle persone uccise nel 2021 erano piccoli agricoltori, travolti dall’invadenza e dalla voracità dell’agricoltura industriale, il cosiddetto agrobusiness. Ogni anno le grandi piantagioni orientate che producono prodotti destinati all’esportazione o all’industria assorbono migliaia di chilometri quadrati di terre, spazzando via i piccoli appezzamenti a gestione familiare o comunitaria.
Un numero equivalente di vittime, spiegano gli autori del rapporto, è legato alle attività di imprese impegnate nello sfruttamento delle risorse naturali – dalla deforestazione all’estrazione di minerali, gas e petrolio – oppure nella realizzazione di dighe e infrastrutture di vario genere.

Un decennio di sangueCome già appare evidente dai numeri del 2021, la maggior parte degli omicidi di difensori dell’ecosistema si concentra in America Latina, quasi il 70% del totale. Il 39% delle persone assassinate appartenevano alle comunità indigene (che pure rappresentano meno del 5% della popolazione mondiale).
A guidare la “lista nera” degli ultimi dieci anni è il Brasile con 342 omicidi, seguito dalla Colombia con 322 vittime, dal Messico con 154 morti, dall’Honduras con 117, dal Guatemala con 80, dal Nicaragua con 57 e dal Perù con 51.
Le Filippine sono il paese asiatico che ha registrato più omicidi, ben 270, seguite dall’India con 79 vittime. In Africa, invece, il paese più pericoloso per i difensori dell’ambiente è di gran lunga la Repubblica Democratica del Congo con 70 morti – la maggior parte degli omicidi sono avvenuti nel Parco Nazionale di Virunga – seguita dal Kenya con 6.

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YULI VELAZQUEZ, RAPPRESENTANTE LEGALE DELL’ORGANIZZAZIONE AMBIENTALE FEDEPESAN GUARDA LE FOTO DEI DIFENSORI ASSASSINATI, BARRANCABERMEJA, COLOMBIA. NEGRITA FILMS/GLOBAL WITNESS

Brasile, Colombia e Messico: il trangolo della morte
Più della metà degli omicidi di difensori della terra del 2021 si concentra in soli tre paesi: Brasile, Colombia e Messico.

Per il terzo anno consecutivo, Global Witness ha documentato un aumento degli attacchi letali in Messico; delle 54 vittime del 2021, la metà circa erano membri di popoli indigeni.
Due terzi degli omicidi sono avvenuti negli stati di Oaxaca e Sonora, presi di mira da imponenti progetti di sfruttamento minerario. Tra le più colpite ci sono le popolazioni Yaqui che abitano i territori meridionali del Sonora, aggredite anche dai cartelli della droga oltre che dalle imprese minerarie. Tra le vittime messicane spicca Irma Galindo Barrios, scomparsa nell’ottobre del 2021 dopo anni di minacce e campagne di diffamazione subite a causa delle sue attività in difesa delle foreste.

In Brasile l’era del presidente di estrema destra Bolsonaro ha portato ad un aumento della violenza contro i difensori dell’ambiente e in particolare contro i protettori dell’Amazzonia. «Da quando Bolsonaro è salito al potere ha incoraggiato il disboscamento e l’estrazione illegale, annullato la protezione dei diritti sulla terra degli indigeni, attaccato i gruppi di conservazione e smantellato e tagliato i budget e le risorse delle foreste e delle agenzie di protezione degli indigeni. Ciò ha portato bande criminali a invadere impunemente le aree indigene e protette» scrive Global Witness.
Nel gennaio dell’anno scorso Fernando Araujo, un membro del Movimento Sem Terra, è stato assassinato nella sua fattoria a Pau d’Arco, nello stato del Pará. Nel 2017 il contadino aveva assistito all’assalto della polizia contro la comunità di Santa Lúcia, che si saldò con la morte di dieci lavoratori rurali, ed aveva avuto un ruolo chiave nel successivo procedimento giudiziario, che però finora non ha prodotto nessuna condanna.
A febbraio, invece, un agente della polizia militare brasiliana ha ucciso Isaac Tembé, uno dei leader del popolo Tenetehara; secondo gli indigeni, il corpo di sicurezza militare funge da milizia privata al soldo degli agricoltori e degli allevatori che occupano illegalmente vaste aree del loro territorio, aprendo la strada alle grandi compagnie.
Nel giugno scorso, poi, sono stati assassinati l’indigenista Bruno Pereira e il giornalista Dom Phillips. Dopo l’ascesa al potere di Jair Bolsonaro, Pereira era stato rimosso dalla guida della Fondazione Nazionale dei Popoli Indigeni del Brasile (la Funai), “reo” di aver diretto una megaoperazione contro una delle più grandi miniere illegali del paese.

Anche in Colombia il 2021 è stato un anno drammatico, nonostante il quinto anniversario dell’accordo di pace tra il governo e le Farc. La maggior parte degli attacchi mortali hanno preso di mira attivisti, membri delle comunità indigene, contadini e leader delle comunità locali che si oppongono ai narcos e alle milizie delle grandi compagnie. La rete della società civile colombiana denominata “Programa Somos Defensores”, che documenta e denuncia gli attacchi contro i protettori dell’ambiente e delle comunità, ha ripetutamente condannato l’inerzia quando non la complicità dello Stato e in particolare della magistratura.

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MANIFESTANTI INDIANI PROTESTANO A CHENNAI CONTRO IL MASSACRO DI THOOTHUKUDI

Il massacro di ThoothukudiAnche in India, come altrove, i difensori dell’ambiente sono vittime delle istituzioni e dei corpi repressivi dello stato.
L’episodio più tragico risale al 22 maggio del 2018 quando la polizia ha attaccato violentemente una manifestazione a Thoothukudi, nello stato meridionale indiano del Tamil Nadu, uccidendo 11 persone e ferendone altre 100 che protestavano contro un impianto di produzione di rame, lo Sterlite Copper, di proprietà della multinazionale “Vedanta Limited”. Gli abitanti delle comunità circostanti si opponevano al raddoppio dell’impianto, accusato di contaminare l’aria e l’acqua. Numerosi testimoni hanno riferito che i cecchini della polizia sparavano contro i manifestanti pacifici e nei giorni seguenti altre quattro persone furono uccise. Per avere la meglio sulle proteste popolari le autorità statali imposero lo stato d’emergenza e bloccarono internet a Thoothukudi per alcuni giorni. A quattro anni dalla strage nessuno dei colpevoli è stato condannato, e molti promotori della protesta hanno dovuto sopportare arresti e minacce di vario tipo.

In dieci anni pochi progressi
Negli ultimi anni, anche grazie al lavoro di ong come Global Witness e delle organizzazioni locali, si è registrato in alcuni paesi un lieve miglioramento della situazione. Ma in generale la situazione non è cambiata molto. Più si intensifica la crisi climatica, più aumenta lo scontro tra multinazionali e stati per il controllo della terra e delle risorse, e più gli attivisti e le comunità che difendono i territori e gli ecosistemi sono considerati un ostacolo da rimuovere a qualsiasi costo.
La corruzione e la connivenza tra gli interessi imprenditoriali, quelli delle bande criminali e quelli delle leadership politiche concedono agli assassini e ai loro mandanti una generalizzata impunità. I governi non si dimostrano certo zelanti al momento di individuare e condannare i colpevoli degli eccidi e degli omicidi. Il dato del Messico è eclatante: oltre il 94% delle aggressioni contro i difensori dell’ambiente e dei territori non vengono denunciate, e solo lo 0,9% del totale conduce ad una condanna. In America Latina, lo scorso anno, è entrato finalmente in vigore l’Accordo di Escazù, che impegna i governi a proteggere i difensori dell’ambiente e a favorirne l’iniziativa, ma finora gli effetti pratici della pur lodevole iniziativa sono stati poco rilevanti. – Pagine Esteri

3535583* Marco Santopadre, giornalista e scrittore, già direttore di Radio Città Aperta di Roma, è un analista dell’area del Mediterraneo, del Medio oriente e dell’Africa. Scrive, tra le altre cose, di Spagna e movimenti di liberazione nazionale. Collabora con il Manifesto, Catarsi e Berria.

LINK E APPROFONDIMENTI:

globalwitness.org/en/

globalwitness.org/en/campaigns…

cambio16.com/1-733-activistas-…

ojo-publico.com/3516/defensore…

nytimes.com/es/2022/09/29/espa…

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