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EGITTO-TURCHIA. El Sisi rinuncia alla pace con Erdogan. La sua priorità è il gas


Con un decreto firmato questa settimana, el Sisi taglia a metà le Zee di Libia e Turchia, così come previste con il memorandum turco-libico. L'Egitto ora punta forte allo sfruttamento e all'esportazione del suo gas. L'articolo EGITTO-TURCHIA. El Sisi rin

della redazione

Pagine Esteri, 15 dicembre 2022 – Resta, almeno per ora, un gesto simbolico senza effetti concreti la stretta di mano che il presidente egiziano Abdel Fattah el Sisi e il leader turco Recep Tayyip Erdogan si sono dati il mese scorso davanti all’emiro Tamim bin Hamad al Thani del Qatar, lasciando presagire una normalizzazione delle relazioni tra Egitto e Turchia. Questa settimana, con l’obiettivo di replicare al memorandum d’intesa tra Tripoli e Ankara nel Mediterraneo, el Sisi a sorpresa ha firmato un decreto che definisce i confini occidentali della Zona economica esclusiva (Zee) dell’Egitto. Il decreto firmato da el Sisi taglia a metà le Zee di Libia e Turchia, così come previste con il memorandum turco-libico. Si attende ora la risposta turca.

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La mossa unilaterale di el Sisi frena il riavvicinamento con la Turchia in atto da circa un anno. I due paesi sono avversari irriducibili dal giorno del colpo di stato che nel 2013 portò al potere el Sisi e alla rimozione dei Fratelli musulmani alleati di Erdogan. Ma lo sono anche per motivi strategici ed economici poiché hanno forti interessi nello sfruttamento delle ingenti riserve di gas sottomarino nel Mediterraneo orientale.

Il Cairo ha voluto delimitare nel Mediterraneo ciò che ritiene debba essere sotto il suo controllo e rappresenti un interesse nazionale egiziano. Le entrate miliardarie che lascia intravedere nei prossimi anni lo sfruttamento del gas sottomarino di cui anche l’Egitto è ricco – all’enorme giacimento Zohr si è aggiunta la scoperta di recente di quello di Narges IX, di fronte alla città di El Arish (Sinai) -, hanno spinto el Sisi a rompere gli indugi e a inserirsi con prepotenza nel contesto energetico emerso dalla guerra tra Russia e Ucraina e dalle sanzioni occidentali all’energia di Mosca.

A contrapporsi nella regione sono in particolare gli interessi della Turchia e dei Paesi del forum del gas nel Mediterraneo orientale (Emgf: Francia, Cipro, Grecia, Israele, Italia, Giordania e Autorità nazionale palestinese). Le parti si combattono a suon di definizione delle rispettive acque territoriali e delle Zone economiche esclusive. Adesso è stato il turno dell’Egitto. Allo stesso tempo il Cairo prova ad ostacolare l’EastMed (1), il gasdotto che dovrebbe convogliare il gas di Israele e Cipro verso Italia e Grecia. Meno gas passerà per l’EastMed e più ricaverà l’Egitto con l’esportazione del suo gas liquido prodotto negli impianti di Damietta e Idku (disponibile anche per il passaggio del gas israeliano e cipriota). L’Egitto inoltre sogna di esportare verso l’Europa elettricità prodotta nel suo territorio.

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Un eventuale ridimensionamento del progetto dell’EastMed non dispiace neppure ad Ankara che punta a diventare un hub energetico con gas russo, azero e anche Gnl. La Turchia infatti ha la maggior capacità di rigassificazione della regione. Pagine Esteri

NOTE

1) Il gasdotto del Mediterraneo orientale o semplicemente EastMed è un gasdotto pianificato offshore/onshore per collegare direttamente le risorse energetiche del Mediterraneo orientale alla Grecia continentale attraverso Cipro e Creta. Ancora in fase di progettazione, trasporterà il gas naturale dalle riserve di gas off-shore nel Bacino Levantino in Grecia e, insieme ai gasdotti Poseidon e IGB, in Italia e in altre regioni europee. Avrà una lunghezza di circa 1.900 km, raggiungerà una profondità di tre chilometri e avrà una capacità di 10 miliardi di metri cubi all’anno.

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#uncaffèconluigieinaudi ☕ – La società futura sarà la società d’oggi…


La società futura sarà la società d’oggi, perfezionata, […] mossa sempre più da sentimenti elevati e spirituali da Corriere della Sera, 8 novembre 1921 L'articolo #uncaffèconluigieinaudi ☕ – La società futura sarà la società d’oggi… proviene da Fondazion
La società futura sarà la società d’oggi, perfezionata, […] mossa sempre più da sentimenti elevati e spirituali


da Corriere della Sera, 8 novembre 1921

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PD: ‘filosofie’ da cercare, ticket da dimenticare


Lo dico con tutta la cautela del caso, lo dico con le dita strettamente incrociate, lo dico con l’ironico distacco di chi sa che la dice grossa, ma l’impressione mia è che, per una volta, qualcuno nel PD agisce chiaramente. Non senza qualche sorpresa, per carità sempre di PD si parla, ma schiettamente sì: alludo […]

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L’ultimo vertice Ue dell’anno, il primo per Giorgia Meloni, tra dossier critici, un fondo per la sovranità europea e lo scandalo Qatargate.


Strategia 000.000 Covid1 milione di decessi in Cina per il Coronavirus. Questo è lo scenario pessimistico previsto nei prossimi mesi dal Centro cinese per il controllo e la prevenzione delle malattie di fronte allo smantellamento in corso della strat…


Papa Francesco come mediatore di pace: il Vaticano può porre fine alla guerra ucraina?


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Perché l’Islam (diviso) corteggia il nazionalismo indù


La rivalità del soft power religioso musulmano, una battaglia per l’anima dell’Islam, è appena diventata più calda. L’ultimo campo di battaglia della rivalità non è La Mecca, Medina, Il Cairo, Teheran o Istanbul. È la Delhi nazionalista indù. Questo perché, per il prossimo anno, l’India presiede il Gruppo delle 20 maggiori economie del mondo. La […]

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Costruzione dei dispositivi di IA: quali costi sociali?


Il costo sociale nella costruzione dei sistemi di Intelligenza Artificiale è alto. Ancora oggi, la produzione di questi sistemi è alimentata da lavoratori spesso sfruttati e sottopagati in tutto il mondo, che svolgono compiti ripetitivi in condizioni di l

Partendo dalla visione che il mondo delle Big Tech ci propone dell’intelligenza artificiale (IA) come dello strumento che darà un nuovo volto all’umanità, è necessaria una riflessione su come effettivamente l’IA impatti la vita dell’uomo. Come vedremo più avanti, analisi e reportage hanno svelato la matrice invisibile del lavoro umano e dell’impatto ambientale che si nascondono dietro costruzione...

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UE-Balcani occidentali: fine dell’era del ‘corteggiamento’ dell’Occidente


Il 6 dicembre è stato organizzato a Tirana il vertice Unione europea (UE) – Paesi dei Balcani occidentali. È stata l’occasione per discutere la risoluzione congiunta delle questioni emerse a seguito dell’invasione russa dell’Ucraina, l’intensificazione del dialogo politico e della politica di allargamento, nonché il rafforzamento della sicurezza e la costruzione della resilienza alle interferenze […]

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#NotiziePerLaScuola

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Iran: divisioni politiche, la più grande minaccia per il regime


Il regime iraniano sta incontrando diversi segnali di allarme a livello nazionale che potrebbero mettere in pericolo la sua presa sul potere se non risolti o affrontati adeguatamente. Prima di tutto, è importante sottolineare che il regime iraniano è tradizionalmente un’istituzione monolitica, in cui i vari partiti e figure politiche sono uniti con una sola […]

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La deterrenza attraverso lo Stretto di Taiwan richiede un tocco diplomatico


Pochi osservatori delle relazioni USA-Taiwan avrebbero previsto gli eventi epocali che si sono verificati nel 2022. C’è stata la visita a sorpresa della presidente della Camera dei rappresentanti Nancy Pelosi, l’ impegno del Presidente Joe Biden a difendere Taiwan con le forze militari statunitensi in caso di attacco cinese e un forte sostegno al Taiwan Policy […]

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Ucraina: la fallimentare invasione di Vladimir Putin sta alimentando l’ascesa dell’estrema destra russa


Una nuova e significativa forza politica sta emergendo all’ombra dell’invasione russa dell’Ucraina. Mentre Vladimir Putin ha coltivato a lungo un marchio aggressivo di nazionalismo russo basato sull’identità imperiale, le sconfitte sul campo di battaglia in Ucraina stanno avendo un effetto radicalizzante sull’opinione pubblica interno e ponendo l’estrema destra al centro del mutevole panorama politico della […]

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E se gli Stati Uniti e la Cina collaborassero davvero sul cambiamento climatico?


Quando il Presidente Biden e il suo omologo cinese Xi Jinping sono arrivati ​​sull’isola turistica di Bali, in Indonesia, per il loro ‘vertice’ del 14 novembre, le relazioni tra i loro due Paesi erano in una spirale discendente da far rizzare i capelli, con le tensioni su Taiwan vicine al punto di ebollizione. I diplomatici […]

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Come appartenere alla Ue? Identità, diversità e la sfida di parlare con una voce sola


Le questioni di identità all’interno dell’Europa sono state a lungo discusse. Uno studio condotto dal German Marshall Fund (Gmf) cita i risultati dell’Eurobarometro su due domande poste a tutti i Paesi dell’Ue che danno un’idea del motivo per cui i Paesi

Le questioni di identità all’interno dell’Europa sono state a lungo discusse. Uno studio condotto dal German Marshall Fund (Gmf) cita i risultati dell’Eurobarometro su due domande poste a tutti i Paesi dell’Ue che danno un’idea del motivo per cui i Paesi europei possono o meno voler entrate nell’Ue. I cittadini si identificano in primis come cittadini del proprio Paese o in egual misura come europei? Inoltre, preferirebbero che più decisioni venissero preso a livello dell’Ue? I risultati sono un po’ sorprendenti. I cittadini che si identificano principalmente come cittadini del proprio Paese sono anche i più desiderosi che le decisioni vengano prese a livello centrale nell’Ue. E viceversa: coloro che si sentono tanto europei quanto cittadini del proprio Paese sono anche i meno desiderosi che l’Ue faccia di più.

Questo dato è un po’ controintuitivo, in quanto si potrebbe supporre che la volontà dei cittadini di avere più potere decisionale nell’Ue vada di pari passo con un’identità europea più sviluppata. Questo ci dice, come minimo, che non tutti i Paesi vedono il ruolo dell’Ue allo stesso modo e che non hanno avuto le stesse ragioni per aderire all’Ue e al suo predecessore, la Comunità economica europea.

I Paesi, soprattutto del Nord Europa, che si affidano maggiormente al commercio come importante motore del loro modello economico, sono stati molto propensi a creare un mercato unico. Infatti le regole comuni e l’assenza di frontiere avrebbero incoraggiato un commercio fluido tra le nazioni. Con l’ingresso di altri Paesi nell’Unione, il mercato unico si è ampliato e così anche il raggio d’azione delle grandi nazioni commerciali. Allo stesso tempo, in quanto grande area commerciale, l’Ue si trova in una posizione migliore per negoziare accordi commerciali al di là dei suoi confini con il resto del mondo a nome di tutti i Paesi.

Il passo successivo all’integrazione commerciale è stata l’eliminazione dell’incertezza dei tassi di cambio. La volatilità delle valute nazionali interferiva con il valore di beni e servizi e impediva un commercio senza interruzioni. La creazione di una moneta unica per tutti i Paesi appartenenti al mercato unico avrebbe eliminato la volatilità delle valute. Tuttavia, anziché i grandi Paesi commerciali, fu un altro gruppo di Paesi, quelli con un’inflazione elevata, a voler adottare una moneta unica. Il motivo era quello di “importare” la stabilità dei prezzi dal Nord caratterizzato da una bassa inflazione. La formula della “moneta unica e stabile” era quindi molto più attraente per i Paesi con un’inflazione elevata che per quelli che facevano grande affidamento sul commercio.

Ma al di là delle diverse motivazioni economiche che hanno spinto i Paesi ad aderire all’Ue, la prospettiva di integrarsi in Europa ha fornito una piattaforma di modernizzazione. Per molti, in particolare per i Paesi più piccoli e mal governati, la prospettiva di entrare a far parte di un’unione economica è stata anche una spinta a modernizzare le proprie istituzioni. La cooperazione economica in un quadro comune è un modo per migliorare le strutture di governance. Esistono diverse interpretazioni del significato di «appartenenza all’Europa». Per alcuni Paesi, in particolare per quelli piccoli al confine orientale dell’Ue, dalla Finlandia fino a Cipro, la questione della difesa è molto più rilevante che per quelli della parte occidentale dell’Ue che si affacciano sull’Atlantico.

Quanto più stretta è l’integrazione con l’Ue, tanto maggiore è il senso di questa sicurezza, anche se non è supportata da esplicite disposizioni in materia di sicurezza. Il rapporto dei Paesi scandinavi, un gruppo di economie e società relativamente simili, con l’Ue dimostra questo legame tra una maggiore integrazione e lo sviluppo di un maggiore senso di sicurezza. All’estremità orientale della Scandinavia, la Finlandia è membro dell’Ue e della zona euro. Spostandosi verso ovest, Svezia e Danimarca sono membri dell’Ue, ma non della zona euro e, fino a poco tempo fa, la Danimarca aveva anche un opt-out per la difesa. Più a ovest si trovano Norvegia e Islanda, che non sono membri dell’Ue, ma con essa hanno stretti legami economici e sociali.

Partendo dalla parte orientale della Scandinavia e spostandosi verso ovest, la minaccia alla sicurezza da parte di vicini aggressivi si riduce, così come il grado di integrazione nell’Ue. Infine, oltre alla cooperazione economica, alla governance e alla sicurezza, c’è la questione dei valori. Si tratta di accedere e di adottare un sistema di valori al di là di un quadro giuridico, ed è particolarmente visibile nei Paesi con lo status di candidato.

La concessione dello status di candidato all’Ucraina è stata una grande vittoria per il Paese rispetto all’aggressione russa. L’Ucraina ha avuto accesso al sistema di valori necessario per formare alleanze profonde, e avere alleati forti e pieni di risorse è esattamente ciò di cui un Paese ha bisogno quando la sua sicurezza è compromessa. Questo non è un tentativo esaustivo di discutere cosa significhi l’Ue per ogni Paese, che sia membro attuale o futuro. La direzione in cui l’Ue si evolverà in futuro dipenderà dalla ricerca di un minimo comune denominatore. Tutti concordano sul fatto che il potere dell’Ue dipende dalla capacità di parlare con una sola voce. Non tutti sono d’accordo su quale debba essere questa voce.

Il Sole 24 Ore

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Meteosat, nuovi satelliti meteo a caccia di tempeste


Nel giorno di Santa Lucia, che le chiese cattolica e ortodossa per tradizione invocano come protettrice della vista, un Ariane 5 ha portato con successo nello spazio il satellite meteorologico MTG-I1, dalla base di Kourou, situata nella Guyana francese. La data è un caso, ma possiamo esser certi che il satellite avrà un occhio attento […]

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Pardon Assange: 45 MEPs, Stella Assange & journalist federations sign open letter to US President Biden


Today, four Pirate Party Members of the European Parliament (Greens/EFA) and Stella Assange address US President Joe Biden in an open letter co-signed by 41 EU lawmakers, … https://european-pirateparty.eu/wp-content/uploads/2022/12/Letter-to-the-Presiden

Today, four Pirate Party Members of the European Parliament (Greens/EFA) and Stella Assange address US President Joe Biden in an open letter co-signed by 41 EU lawmakers, NGOs, the International Federation of Journalists (IFJ) and many more, asking him to pardon Julian Assange. WikiLeaks co-founder Assange is currently imprisoned in the United Kingdom and waiting for extradition to the United States to stand trial on charges of espionage and computer misuse.

For over a decade, Julian Assange and WikiLeaks have been at the forefront of investigative journalism, publishing information that has revealed significant abuses of power and corruption at the highest levels of powerful institutions. The charges against him raise serious concerns about the extent to which a democratic government can criminalize the publication of truthful information.

This week, Julian Assange’s wife Stella represents her husband, a nominee for the Sakharov Prize 2022 for Freedom of Thought, at the European Parliament in Strasbourg. Together with her and all undersigned, the European Pirates respectfully call on US President Joe Biden to pardon Julian Assange.

Patrick Breyer, Member of the European Parliament for the German Pirate Party, comments:

“The detention and prosecution of Assange set an extremely dangerous precedent for all journalists, media actors, and freedom of the press. No journalist should be prosecuted for publishing ‘state secrets’ of public interest because this is their job. The public has a right to know about state crimes committed by those in power, to be able to stop them and bring them to justice. Julian Assange has changed the world we live in for the better, bringing in an era where injustice can no longer be swept under the carpet.”

Marcel Kolaja, Member and Quaestor of the European Parliament for the Czech Pirate Party, comments:

“Julian Assange revealed information of significant importance to the public while performing the work of an investigative journalist. His imprisonment is in direct contradiction with American core values, such as freedom of speech and freedom of the press. His persecution for publishing the truth must stop.”

Markéta Gregorová, Member of the European Parliament for the Czech Pirate Party, comments:

“Assange should not be the model case for how whistleblowers are treated. On the contrary, we should protect him, so they are not afraid to keep publishing truthful information in the public interest. Without Julian Assange, we would have never found out about cases like the war crimes of the American soldiers against civilians in Iraq. Therefore, I believe he deserves a full presidential pardon with the immediate release from prison.”

Mikuláš Peksa, MEP and Chairperson of the European Pirate Party, comments:

I spoke with Stella Assange about the great importance of defending freedom of expression and about the right to seek and share the truth. As a Member of the European Parliament and the Pirate Party, I stand with Stella and Julian in their fight for justice. I am fundamentally against the persecution of whistleblowers and journalists. We cannot let governments silence the ones, who are exposing their wrongdoings.”


patrick-breyer.de/en/pardon-as…

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Per le pelli animali le industrie di auto disboscano il Paraguay


Grandi case automobilistiche acquistano pellami da aziende italiane. Queste ultime si riforniscono da allevamenti che occupano illegalmente la terra delle tribù peruviane L'articolo Per le pelli animali le industrie di auto disboscano il Paraguay provien

a cura di Survival International –

Pagine Esteri, 15 dicembre 2022 – Tra la deforestazione illegale del territorio degli Ayoreo Totobiegosode del Chaco paraguaiano, le pelli importate in Italia dal Paraguay, e alcune aziende automobilistiche come BMW e Jaguar Land Rover c’è un legame diretto.

Per realizzare interni, sedili e volanti, infatti, molte case automobilistiche acquistano pellami da due aziende italiane leader del settore: Pasubio Spa e Gruppo Mastrotto Spa. A loro volta, le due aziende si riforniscono da concerie che commerciano con allevamenti colpevoli di occupare la terra ancestrale degli Ayoreo e quella dei loro gruppi isolati e di disboscarla illegalmente mettendo a rischio la loro stessa sopravvivenza. Gli Ayoreo sono l’ultimo popolo incontattato del Sud America sopravvissuto al di fuori del bacino amazzonico.

Questo legame è al cuore dell’Istanza depositata oggi da Survival International – in collaborazione e con l’autorizzazione degli Ayoreo Totobiegosode – contro Pasubio, presso il Punto di Contatto Nazionale italiano (PCN) dell’OCSE.

Alcune settimane fa, Survival aveva inviato lettere di diffida a entrambe le società sollecitandole a interrompere queste importazioni. Ma mentre Gruppo Mastrotto ha risposto avviando con Survival un dialogo che è ancora in corso e sarà poi oggetto di valutazione finale, Pasubio ha fatto pervenire solo una breve e sterile comunicazione di discolpa generica, senza mostrare alcuna volontà di confronto. Da qui, la decisione di ricorrere subito all’OCSE contro l’azienda Pasubio.

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Un camion di pelli dell’azienda Chortizer, uno degli allevamenti che occupano e disboscano illegalmente la terra degli Ayoreo Totobiegosode. Immagine tratta dal documentario “South America – Episode 4” di BBC. © Simon Reeve/BBC

Il legame tra le pelli utilizzate nell’industria automobilistica e la distruzione illegale della foresta degli Ayoreo è stato svelato per la prima volta da un’indagine della ONG britannica Earthsight. Risalendo fino all’origine della filiera, nei rapporti Grand Theft Chaco I e Grand Theft Chaco II, Earthsight rivela infatti che quasi tutti i 2 terzi delle pelli esportate dal Paraguay ogni anno nel mondo vanno alle aziende italiane, e principalmente a Pasubio, che dipende per oltre il 90% dei suoi 313milioni di euro di ricavi annuali proprio dall’industria automobilistica.

Nell’Istanza depositata oggi da Survival al PCN, si legge che la Conceria Pasubio sembra non aver rispettato diversi principi contenuti nelle Linee Guida OCSE, tra cui quelli sulla Divulgazione di informazioni (III), sui Diritti umani (IV), sull’Ambiente (VI) e sugli Interessi del consumatore (VIII).

Nell’Istanza, Survival chiede, tra le altre cose, che la multinazionale “accetti di interrompere immediatamente l’importazione di pelli dalle concerie del Paraguay responsabili e/o coinvolte nella deforestazione dell’area protetta degli Ayoreo Totobiegosode. La condotta perpetrata dalla società, infatti, contribuisce ad alimentare la deforestazione illegale e la violazione dei diritti del popolo Ayoreo Totobiegosode, privandolo della foresta da cui dipende per tutte le sue vitali necessità; forzandolo a uscire dalla propria terra in cerca di cibo e cure, e costringendolo a contatti forzati e indesiderati con il mondo esterno – cosa che porterà loro, inevitabilmente, morte e malattie come già accaduto in passato”.

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Namje Picanerai, uomo Ayoreo Totobiegosode, con il nipote. Gli Ayoreo Totobiegosode lottano da oltre 30 anni per la restituzione della loro terra ancestrale, nel Chaco paraguaiano. © Survival

“Il governo paraguaiano ha consegnato la maggior parte del territorio ancestrale degli Ayoreo ad aziende agroindustriali che abbattono la foresta senza sosta: prima tagliano gli alberi preziosi, poi incendiano la foresta e infine introducono il bestiame sulla terra disboscata” ha dichiarato oggi la responsabile della campagna di Survival Teresa Mayo, che recentemente ha visitato le comunità degli Ayoreo Totobiegodose raccogliendo la loro disperata richiesta di sostegno. “Nel frattempo, gli Ayoreo si vedono distruggere i loro mezzi di sostentamento, la salute fisica e mentale, e anche la vita. Ma restano determinati a lottare per continuare ad esistere insieme ai loro parenti incontattati, costretti a vivere in fuga perenne dai bulldozer in oasi di foresta che diventano ogni giorno sempre più piccole.”

“Se gli stranieri continueranno a tagliare gli alberi, i nostri parenti incontattati non sapranno più come sopravvivere… Dobbiamo proteggere la foresta che rimane” ha detto Porai Picanerai, leader Ayoreo Totobiegosode.

“Gli Ayoreo Totobiegosode stanno rischiando il genocidio a causa di una deforestazione selvaggia che è decisamente illegale, ma continua a crescere di pari passo con le importazioni di pelli dell’Italia” ha aggiunto Francesca Casella, direttrice della sede italiana di Survival. “Gli esperti prevedono addirittura che la domanda di pelle per auto aumenterà di oltre il 5% all’anno fino al 2027. Clienti e consumatori finali devono esserne consapevoli, e poiché l’Italia è il più grande acquirente di pelli paraguaiane al mondo, ha il potere e la responsabilità di intervenire smettendo di fare affari con gli allevamenti di bestiame che operano illegalmente all’interno della terra indigena con la connivenza di politici e funzionari corrotti. Non ci si può arricchire sulla pelle degli Ayoreo!”

Gli Ayoreo Totobiegosode lottano per la restituzione delle terre ancestrali dal 1993[/b], anno in cui hanno presentato una formale rivendicazione territoriale al governo.

Nel 2001 il governo del Paraguay ha riconosciuto legalmente un territorio di 550.000 ettari nell’Alto Paraguay come “Patrimonio naturale e culturale del popolo indigeno Ayoreo Totobiegosode” (PNCAT). Tuttavia, ad oggi le autorità hanno trasferito agli Ayoreo titoli di proprietà solo su alcune migliaia di ettari di terra e continuano a violare sia le misure cautelari emesse dalla Commissione Inter-Americana per i diritti umani (IACHR) sul territorio (che richiedono allo Stato del Paraguay di proteggere e tutelare il PNCAT e i gruppi incontattati che vi abitano prevenendo l’ingresso di terzi e contatti indesiderati), sia le risoluzioni emesse nel 2018 dall’Istituto forestale nazionale (INFONA), che rendono inequivocabilmente illegale la deforestazione.

La carne e il pellame del Paraguay sono responsabili, per unità di peso, di più deforestazione di qualsiasi altra materia prima sulla terra (Grand Theft Chaco I, p.36).

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MIGRANTI. Si torna a respingere al confine italo-sloveno


L'intento del governo Meloni è chiaro: respingere non solo via mare ma anche via terra chiunque provi di entrare in territorio italiano, tentando di giustificare tali azioni mistificando i numeri. L'articolo MIGRANTI. Si torna a respingere al confine ita

di Anna Clementi e Diego Saccora – Associazione Lungo la rotta balcanica

Pagine Esteri, 14 dicembre 2022 – “La Lampedusa del Nord non va sottovalutata e quella delle riammissioni è una delle soluzioni a cui stiamo pensando”. Le parole pronunciate lunedì a Martignacco (Udine) da Luca Ciriani, ministro per i Rapporti con il Parlamento, danno seguito ai recenti ripetuti annunci del governo Meloni sulla riattivazione delle “riammissioni informali” al confine tra Italia e Slovenia sulla base della direttiva firmata da Maria Teresa Sempreviva, capo di gabinetto del Viminale relativa “all’incremento dei flussi migratori della rotta balcanica”.

Ciriani parlando di “Lampedusa del nord” intende l’area del Friuli-Venezia Giulia a ridosso del confine sloveno e definisce riammissioni i respingimenti delle persone operati dalla polizia italiana verso la Slovenia, pratiche che costituiscono una grave violazione dei diritti umani. Il piano del nuovo governo è chiaro: respingere non solo via mare ma anche via terra chiunque tenti di entrare in territorio italiano, tentando di giustificare tali azioni mistificando i numeri. A fronte di un aumento percentuale delle persone prive di regolare permesso di soggiorno intercettate al confine pari al 204% si tiene in secondo piano che il dato numerico sia di 4101 in tutto il 2022.

“Su un piano umano prima ancora che giuridico la notizia della ripresa delle riammissioni informali ha destato un vero e proprio sconcerto” ha dichiarato l’avvocata Caterina Bove dell’Associazione Studi Giuridici Immigrazione (Asgi), in una conferenza stampa online organizzata lunedì 13 dicembre dalla rete RiVolti ai Balcani. “Ci è già noto il destino delle persone riconsegnate alla rotta balcanica, destino che le vedrà diventare soggetti o meglio oggetti di riammissioni a catena dall’Italia alla Slovenia, alla Croazia e da lì fino alle porte dell’Unione europea, in Bosnia o in Serbia, un destino che li costringerà ad affrontare di nuovo le violenze perpetrate ai confini croati, nonostante le numerose denunce da parte di tante organizzazioni” e a una sentenza della Corte Europea per i Diritti Umani che nel novembre 2021 ha condannato le stesse autorità croate per la morte della piccola Madina Hussiny, bambina afghana respinta verso la Serbia insieme alla famiglia nel 2017.

Ma lo sgomento, come ci spiega la Bove assieme alla sua collega di Asgi, Anna Brambilla, è anche giuridico. Non sono passati due anni da quando il Tribunale di Roma nel gennaio 2021, a seguito di un ricorso presentato dalle due avvocate, dichiarò illegittime le riammissioni dall’Italia alla Slovenia perchè fondavano la propria base giuridica su di un accordo siglato tra i due Paesi nel 1996 e mai ratificato dal Parlamento, violando leggi interne, europee e internazionali, oltre ad esporre le persone a “trattamenti inumani e degradanti” lungo i Paesi dei Balcani e a “torture” in Croazia. Nessun rilascio di documentazione scritta, nessuna informativa sui propri diritti, detenzione in una caserma, per poi essere fatti salire su un furgone prima di essere consegnati alle autorità slovene. E spesso da lì, fuori dai confini dell’Unione europea. Dopo la sentenza, le riammissioni, che tra il 2019 e il 2020 hanno costituito l’illegittima base giuridica per il respingimento di oltre 1200 persone verso la Slovenia e molte a catena verso Serbia e Bosnia ed Erzegovina, sono state sospese.

Ma ora il governo sembra di nuovo muoversi in direzione contraria incurante dell’illegittimità di queste pratiche, che rimangono illegali anche nei casi in cui non venga registrata la manifestazione di volontà di richiesta della protezione internazionale. Infatti, come ci ricorda l’avvocata Brambilla, “in Italia le condotte della polizia di frontiera sono già state oggetto di pronunce sia di giudici nazionali sia di corti sovranazionali soprattutto per quanto riguarda il diritto d’informazione”. Pertanto l’assenza della registrazione da parte della polizia della manifestazione di presentare la richiesta di protezione internazionale non significa che la persona non abbia espresso la volontà di chiedere asilo ma può semplicemente essere che non sia stata messa nella condizione di manifestare tale volontà e che non sia stata informata sulle implicazioni in merito.

L’altro rischio è quello dei respingimenti collettivi in cui gruppi di persone vengano respinti, sulla base degli accordi, da un Paese all’altro senza che vi sia una valutazione individuale del singolo caso. “Non si parla mai dei destinatari delle riammissioni” ci ricorda Gianfranco Schiavone, presidente del Consorzio Italiano Solidarietà.

Ed è proprio delle persone che non dobbiamo mai dimenticarci. Perchè troppo spesso nel botta e risposta alla ricerca della disposizione a sostegno della legittimità o meno di un’azione, si perde di vista il contesto storico, sociale e politico entro il quale ogni singola persona che da anni percorre le rotte lungo i Paesi dei Balcani, dentro e fuori i confini d’Europa, si trova ad affrontare, subendo violenze fisiche e psicologiche. Il diritto negato è la cartina di tornasole di una persona violata. Perchè costretta a vivere rinchiusa in un campo, a sopravvivere in un accampamento informale, quotidianamente respinta nel tentativo di entrare in Unione europea, se non di essere riportata indietro al proprio Paese d’origine o in un Paese terzo dove i diritti e le vite delle persone vengono ancora una volta negati. Violazioni ampiamente documentate da numerose inchieste giornalistiche, tra tutte ricordiamo quelle pubblicate dal collettivo di giornalisti Lighthouse Report in collaborazione con diverse testate europee e quelle raccolte da volontari e attivisti ai confini interni ed esterni dall’Ue contenuti nel “Libro Nero dei respingimenti” prodotto dal Border Violence Monitoring Network. Pagine Esteri

L'articolo MIGRANTI. Si torna a respingere al confine italo-sloveno proviene da Pagine Esteri.



Etiopia, la Giustizia Non Deve Essere Uccisa Da Un Accordo di Pace


Ritenere responsabili i criminali di guerra in Etiopia è l’unico modo per garantire una pace duratura nel Paese. All’inizio di novembre, la comunità internazionale ha…

Ritenere responsabili i criminali di guerra in Etiopia è l’unico modo per garantire una pace duratura nel Paese.

All’inizio di novembre, la comunità internazionale ha accolto quasi all’unanimità l’ accordo di pace firmato a Pretoria tra il governo dell’Etiopia e il Fronte popolare di liberazione del Tigray (TPLF). Ma mentre l’accordo è un passo positivo, una dichiarazione di intenti per mettere a tacere le armi, rimangono alcune domande difficili.

In particolare, la questione della responsabilità per la litania di crimini di guerra e crimini contro l’umanità commessi nel Tigray rimane in gran parte irrisolta. Dall’inizio del conflitto nel novembre 2020, oltre 500.000 persone sono morte nei combattimenti o per carestia e mancanza di assistenza sanitaria. Più di 5 milioni sono stati messi sotto assedio e deliberatamente affamati; decine di migliaia sono state aggredite sessualmente; e ben oltre 2 milioni sono stati sfollati a causa dei combattimenti e della pulizia etnica.

Tuttavia, l’accordo di pace fa poco per le vittime della violenza che vogliono giustizia. Le sue disposizioni sulla responsabilità per le atrocità criminali sono formulate in modo troppo approssimativo. L’accordo afferma che il governo etiope adotterà “una politica nazionale globale di giustizia di transizione volta alla responsabilità, all’accertamento della verità, al risarcimento delle vittime, alla riconciliazione e alla guarigione, coerente con la Costituzione [dell’Etiopia] e il quadro politico della giustizia di transizione dell’Unione africana”. .

Questa affermazione è troppo generica e aperta all’interpretazione e dà abbastanza spazio al governo etiope per sottrarsi alle responsabilità e non avviare mai veramente un processo di giustizia transitoria che riterrà responsabili i criminali di guerra.

Ci sono già stati i primi segnali che non c’è volontà politica di cercare responsabilità. Basta guardare alla lotta della Commissione internazionale degli esperti dei diritti umani in Etiopia (ICHREE), incaricata di indagare sui crimini atroci nella guerra nel Tigray. La commissione è stata minata sistematicamente fin dall’inizio.

Quando è stato creato l’ICHREE, il governo etiope ha cercato di impedirgli di ottenere finanziamenti. Ha fallito, ma il budget assegnato alla commissione non era ancora sufficiente per garantirne il corretto funzionamento.

Quando l’ICHREE ha iniziato a lavorare, ha riferito di soffrire di “vincoli di tempo e di personale”, poiché sei posizioni all’interno del suo segretariato sono state tagliate. Peggio ancora, non ha avuto la piena collaborazione delle autorità locali e gli è stato negato l’accesso ai siti di presunte atrocità in Etiopia. Si è persino lamentato del fatto che le sue richieste ad altre entità delle Nazioni Unite per “documenti e materiali di interesse [sono state] ampiamente deviate, o hanno risposto dopo un ritardo eccessivo”.

Anche il Joint Investigation Team (JIT), composto da membri della Commissione etiope per i diritti umani e dell’Ufficio dell’Alto commissario delle Nazioni Unite per i diritti umani (ONCHR), è stato lento nel condividere il suo database interno, ha riferito l’ICHREE.

La commissione ha affrontato tutti questi tentativi di minare il suo lavoro nonostante il fatto che stia indagando su presunti crimini di tutte le parti in conflitto e non solo delle forze governative e dei loro alleati. E il suo rapporto pubblicato a settembre lo riflette.

Afferma che “la Commissione ha ragionevoli motivi per ritenere che i membri delle [Forze di difesa nazionale etiopi] abbiano commesso i seguenti crimini di guerra: violenza alla vita e alla persona, in particolare omicidio; oltraggi alla dignità umana, in particolare trattamenti umilianti o degradanti; dirigere intenzionalmente attacchi contro la popolazione civile e oggetti civili; saccheggio; stupro; schiavitù sessuale; violenza sessuale; e usando intenzionalmente la fame dei civili come metodo di guerra. La Commissione ha ragionevoli motivi per ritenere che le forze del Tigray abbiano commesso gli stessi crimini di guerra, con l’eccezione della schiavitù sessuale e della fame dei civili come metodo di guerra, indipendentemente dall’entità delle violazioni”.

Il rapporto afferma inoltre che l’esercito etiope ei suoi alleati hanno “commesso diffusi atti di stupro e violenza sessuale contro donne e ragazze tigrine. In alcuni casi, gli aggressori hanno espresso l’intenzione di rendere sterili le vittime e hanno usato un linguaggio disumanizzante che suggeriva l’intenzione di distruggere l’etnia tigraia. Le forze del Tigray hanno anche commesso atti di stupro e violenza sessuale, anche se su scala minore”.

In una riunione di settembre del Consiglio per i diritti umani delle Nazioni Unite, i rappresentanti della commissione hanno concluso : “gli orribili e disumanizzanti atti di violenza commessi durante il conflitto… sembrano andare oltre il semplice intento di uccidere e, invece, riflettono un desiderio di distruggere”.

Alla luce di questi risultati, non sorprende che il governo etiope abbia paura dell’inchiesta ICHREE ed è per questo che non vuole e non può condurre un processo di responsabilità per crimini di guerra utilizzando il sistema legale etiope.

Tuttavia, il processo di responsabilità è minato non solo da Addis Abeba, ma anche da attori regionali. I tre membri africani del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite – Kenya, Gabon e Ghana (noto anche come A3) – hanno costantemente bloccato l’azione del Consiglio di sicurezza sul conflitto nel Tigray.

Tuttavia, non è nel loro interesse o nell’interesse dell’Unione africana farlo. La giustizia e la responsabilità sono direttamente legate alla pace in Etiopia e quindi alla stabilità nella regione. Ecco perché l’ A3 e l’Unione Africana devono sostenere questa indagine.

Ci sono una serie di misure che devono essere prese per garantire un equo processo di responsabilità in Etiopia.

In primo luogo, l’ICREE dovrebbe essere sostenuto con tutti i finanziamenti necessari e le estensioni del mandato per svolgere il suo lavoro di indagine e documentazione delle atrocità in Etiopia. Il governo etiope deve essere spinto a concedere l’accesso ai siti di interesse e a cooperare con le indagini.

In secondo luogo, la Corte penale internazionale dovrebbe essere coinvolta nel processo di responsabilità. L’Etiopia non è uno Stato parte dello Statuto di Roma, ma il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite potrebbe e dovrebbe deferire il caso alla Corte penale internazionale. Russia e Cina potrebbero bloccare questa mossa, come hanno fatto in passato con risoluzioni a cui il governo etiope si è opposto.

Se ciò accade, c’è ancora un modo per coinvolgere la CPI, se le autorità di Addis Abeba accettano la sua giurisdizione ai sensi dell’articolo 12, paragrafo 3, dello Statuto di Roma. Ciò ovviamente accadrebbe solo sotto una forte pressione internazionale.

In terzo luogo, l’Unione africana potrebbe guidare il processo di responsabilità istituendo un tribunale ibrido in un altro paese africano. Lo ha fatto per l’accusa dell’ex presidente ciadiano Hissène Habré, che è stato processato in Senegal nel 2015. Ciò garantirebbe il rispetto degli standard internazionali sul giusto processo e svierebbe le pressioni per mantenere l’impunità per i criminali di guerra.

Responsabilità e giustizia sono strumenti potenti per prevenire il ripetersi di atrocità e conflitti in futuro. Indagare correttamente sulle atrocità e quindi avviare un processo di responsabilità è l’unico modo per garantire una pace duratura in Etiopia. L’accordo di pace di Pretoria non durerà a lungo senza questi passaggi.

Ci sono già segnali che la pace è stata minata. I rapimenti e le uccisioni di civili tigrini continuano e la violenza in altre parti del paese non si è arrestata. Un processo di giustizia di transizione riuscito nel Tigray non solo consoliderebbe la pace, ma aprirebbe anche l’onda per tali processi in altre parti del paese che sono state in conflitto e hanno visto uccisioni di massa, come Oromia.

Le vittime della guerra nel Tigray e altrove in Etiopia hanno già sofferto immensamente. Non devono essere derubati dei loro diritti alla giustizia e al risarcimento.

Autore: Dott. Mehari Taddele Maru è un studioso di pace e sicurezza, diritto e governance, diritti umani e problemi di migrazione.


FONTE: aljazeera.com/opinions/2022/12…


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Etiopia, Causa al Governo per implicazione in Crimini di Guerra e Contro l’Umanità in Tigray


Martedì 13 dicembre 2022, LAW e i suoi partner, la Pan African Lawyer’s Union (PALU) e Debevoise and Plimpton LLP, hanno depositato istanze di merito…

Martedì 13 dicembre 2022, LAW e i suoi partner, la Pan African Lawyer’s Union (PALU) e Debevoise and Plimpton LLP, hanno depositato istanze di merito e ammissibilità dinanzi alla Commissione africana per i diritti umani e dei popoli (la Commissione), contro lo Stato dell’Etiopia (Etiopia) a nome delle vittime e dei sopravvissuti del Tigray del conflitto scoppiato nel novembre 2020.
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La presentazione mette in luce in dettaglio le diffuse violazioni dei diritti umani commesse contro i civili del Tigray durante il conflitto, stabilendo il caso fattuale e legale dei denuncianti sull’ammissibilità e sul merito, e include testimonianze di vittime e testimoni delle violazioni commesse dall’Etiopia, specificando la loro ampia portata.

Questa è la prima volta che le vittime del Tigray vengono ascoltate da un organismo che ha la capacità di decidere se l’Etiopia abbia infranto il diritto internazionale nel Tigray e la sua responsabilità di porre rimedio a tali violazioni.

Le violazioni affrontate nella presentazione includono orribili resoconti di massacri e uccisioni extragiudiziali, violenza sessuale e di genere diffusa e brutale, attacchi aerei indiscriminati, bombardamenti e attacchi a infrastrutture civili critiche come scuole e ospedali, detenzione arbitraria sistematica e tortura di civili tigrini, tra gli altri.

Il governo degli Stati Uniti, l’UE, gli esperti delle Nazioni Unite e numerose organizzazioni per i diritti umani hanno scoperto che alcune di queste violazioni possono costituire crimini di guerra, crimini contro l’umanità e pulizia etnica.

L’accordo di pace di novembre, firmato dall’Etiopia e dal Fronte popolare di liberazione del Tigray (TPLF), non riesce a stabilire adeguatamente una tabella di marcia per la giustizia interna e la responsabilità per le violazioni e gli abusi commessi dall’Etiopia e dalle forze associate durante il conflitto. Sorge la domanda se l’accordo di pace aprirà effettivamente la strada all’impunità, piuttosto che alla responsabilità, negando in ultima analisi alle vittime e ai sopravvissuti di questo conflitto la giustizia che meritano.

La domanda è stata depositata presso la Commissione il 13 dicembre 2022. L’Etiopia avrà ora un periodo di 60 giorni per rispondere alla domanda, dopodiché LAW e i suoi partner avranno 30 giorni per presentare una controreplica.


FONTE: legalactionworldwide.org/gende…


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Dagli al ricco


Le multe fatte ai ricchi siano più care. Questa la nuova frontiera della politica con a cuore il sociale. Uno dei capisaldi della vigorosa scuola “tassazione & rottamazione”: prima faccio la voce grossa e poi ti condono, prima ti stango e poi ti mantengo.

Le multe fatte ai ricchi siano più care. Questa la nuova frontiera della politica con a cuore il sociale. Uno dei capisaldi della vigorosa scuola “tassazione & rottamazione”: prima faccio la voce grossa e poi ti condono, prima ti stango e poi ti mantengo. Il ricco paghi. Ci sono due ragioni per cui questa roba non può funzionare e non funzionerà.

La prima consiste nel fatto che il sistema fiscale progressivo (al crescere del reddito non solo paghi di più, ma con quote crescenti di quel che guadagni) è buono e giusto, nonché previsto dalla Costituzione. Evviva. Tale sistema è ispirato a un principio di solidarietà, che non sempre funziona, ma che può diventare una persecuzione. In Italia sono poco meno di 5 milioni i contribuenti che pagano più di quel che ricevono. Sono gli stessi contribuenti, assieme a molti altri considerati “ricchi” (ci arriviamo) che non hanno accesso a facilitazioni e pagano per intero determinate prestazioni, sanitarie comprese. Ora li si vuole multare più degli altri, con il che si lascia la sgradevole sensazione che si stia dando la caccia al ricco, anziché all’evasore.

Lasciamo perdere le benedizioni e le predestinazioni, talora guadagnare bene può anche solo essere fortuna. Comunque non è una colpa. Non è il ricco ad avere la colpa dell’esistenza del povero, semmai è la socialità assistenzialista e non meritocratica che ostacola il povero (soprattutto suo figlio) che abbia la capacità di superare il ricco (soprattutto suo figlio).

Ma anche volendo dare la caccia ai ricchi, ed è la seconda ragione per cui non funzionerà, sarà solo immaginaria. Fallimentare. Perché i ricchi non esistono, in Italia. A leggere le dichiarazioni Irpef se ne ricava che solo lo 0.24% dei contribuenti dichiarano più di 200mila euro. Ammesso e assolutamente non concesso che 200mila euro lordi di reddito significhi essere ricchi. Sopra 1 milione c’è solo lo 0.01%. Questi ultimi ho come l’impressione che abbiano l’autista e la vettura intestata a una società. Per mettere le multe salate a qualche persona in più si deve considerare ricchi quelli che dichiarano fra i 75mila e i 200mila euro l’anno, così da fustigare il 2.23% dei contribuenti. Una presa in giro. Sotto i 75mila il concetto di ricchezza è da attribuirsi alla fantasia sprovveduta di realtà, posto che il 56.05% dei contribuenti si colloca sotto i 20mila euro l’anno.

Se lasci la vettura in divieto di sosta è giusto che tu sia multato ed è ingiusto che poi ti condonino la multa che non hai pagato. Ma che la macchina del ricco sia un disvalore superiore all’analoga macchina del povero è moralismo da strapazzo. Tale da suggerire la lettura dei profondi pensieri di Superciuk, <<la minaccia alcolica>>, creato da Max Bunker (faceva lo spazzino e amava i ricchi, detestando i poveri perché sporcano di più). A parte la curiosa conseguenza secondo cui le multe al Nord sarebbero più care che al Sud, mi vengono in mente talune ricche città europee, ove non c’è una macchina che sia una fuori dai parcheggi regolari (e a pagamento). Non sarà che a rendere inefficaci le nostre multe siano le rottamazioni reclamate e attuate, piuttosto che la presunta esiguità dell’ammontare?

Ma c’è la più sollazzevole delle implicazioni: la multa all’evasore fiscale sarà più bassa di quella all’onesto contribuente. E in un Paese che ha il record europeo dell’evasione Iva, il che comporta pagamenti non fatturati o registrati, portando con sé evasione sul reddito e sulla previdenza, mi sa che con le multe fustigatrici dei ricchi (inesistenti) si cominci ad esagerare con l’istigazione all’evasione fiscale.

A tal proposito: Meloni ha ragione e sarebbe incostituzionale stabilire il prezzo delle transazioni con carte di credito e debito. Quelle commissioni, però, sono sempre e continuamente scese. Miracolo? No, concorrenza. Come è capitato con le tariffe telefoniche e i biglietti aerei: mercato, concorrenza e controlli. È la socialità del “dagli al ricco” a produrre miseria ed evasione fiscale.

La Ragione

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#uncaffèconluigieinaudi ☕ – La chiacchiera ucciderà il sistema parlamentare


… altrimenti, la chiacchiera ucciderà il sistema parlamentare ed instaurerà l’onnipotenza della burocrazia da Corriere della Sera, 18 agosto 1921 L'articolo #uncaffèconluigieinaudi ☕ – La chiacchiera ucciderà il sistema parlamentare proviene da Fondazi
… altrimenti, la chiacchiera ucciderà il sistema parlamentare ed instaurerà l’onnipotenza della burocrazia

da Corriere della Sera, 18 agosto 1921

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‘Qatargate’, mazzette in cambio di idee: dolo sì, reato forse


C’è una sorta di costante nei commenti e nelle analisi dei nostri politicanti e tirapiedi vari, ma anche nella stampa, specie in ‘quella che conta’ o dice di contare, una costante, dico, nei commenti alla vicenda di Bruxelles. Una vicenda, apparentemente come vedremo, di ordinaria corruzione, volgare come sempre la corruzione, che non è più […]

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Ucraina: a Parigi, una conferenza di ‘non-pace’


‘Solidali con il popolo ucraino’: questo il titolo della conferenza internazionale svoltasi il 13 dicembre a Parigi su invito congiunto del Governo francese e di quello di Kiev. Ha fatto seguito, nel pomeriggio dello stesso giorno, un incontro bilaterale franco-ucraino dedicato alla futura ricostruzione del Paese e al contributo che ad essa potranno dare gli […]

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Il Summit Usa-Africa in corso a Washington cerca di rilanciare una relazione sbiadita, su cui pesa l’influenza crescente di Russia e Cina.


Tavolata numerosaPrimo vertice di sempre tra i 27 capi di stato e di governo dell’Ue e i loro omologhi dell'Associazione delle Nazioni del Sud-Est Asiatico (ASEAN).


La Germania e il terrorismo statale di destra


“Rimane il fatto che capire la gente non è vivere. Vivere è capirla male, capirla male e poi male e, dopo un attento riesame, ancora male. Ecco come sappiamo di essere vivi: sbagliando” (P. Roth, Pastorale americana) Una notizia che in questi giorni è passata alquanto collaterale rispetto a temi mediatici più appetibili per l’informazione […]

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Il cross posting di Un Tweet può non funzionare quando si imposta la modalità non elencato


Crea con l'IA un'immagine ispirata a Privacy Chronicles e vinci un abbonamento gratuito!


Sei mesi di abbonamento per il primo classificato, tre mesi per il secondo, un mese per il terzo!

Ciao a tutti,

grazie a un lettore oggi ho scoperto un software di intelligenza artificiale che permette di creare immagini a partire da un prompt umano. Lo strumento è davvero molto potente e l’unico limite è la fantasia.

Questo lettore l’ha usato per chiedere al software di creare delle immagini di copertina per Privacy Chronicles:

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Il software si chiama Midjourney ed è davvero semplice da usare. Bisogna soltanto scaricare Discord, creare un account e poi entrare nel server del bot (discord.gg/midjourney).

Una volta dentro, sarà sufficiente entrare in una delle stanze denominate #newbies e chiedere al bot di creare qualcosa con il comando /imagine. Qui trovate tutte le istruzioni per conoscere le varie configurazioni del bot e avere risultati ottimali, ma in verità non ce n’è neanche bisogno.

Crea un’immagine a tema Privacy Chronicles


Ho giocato anch’io un po’ con il bot, e mi è piaciuto così tanto che ho pensato: hey, perchè non vedere cosa riescono a tirar fuori anche gli altri lettori di Privacy Chronicles?

E allora eccoci qui, vediamo cosa riuscite a tirare fuori dal cappello — o meglio, dall’intelligenza artificiale.

Stimoliamo la fantasia con un po’ di sana competizione tra noi. I lettori che riusciranno a creare l’immagine più bella vinceranno un abbonamento a Privacy Chronicles.

Ecco le regole:

  • Crea un’immagine a tema Privacy Chronicles — cioè un’immagine che raffiguri ciò che per te rappresenta Privacy Chronicles. Senza alcun limite, se non quello di spiegarmi l’immagine se eccessivamente astratta.
  • Inviami via posta elettronica (crypt04n4rch1st@tutanota.com) la tua immagine con titolo “IA prompt PC” (max 1 a persona)
  • Descrivi brevemente l’immagine (anche solo col prompt usato per crearla). Se non la capisco non la prendo in considerazione!

Le prime tre immagini che mi piaceranno di più vinceranno un abbonamento gratuito a Privacy Chronicles, in questi termini:

1° classificato/a: sei mesi di abbonamento gratuito

2° classificato/a: tre mesi di abbonamento gratuito

3° classificato/a: un mese di abbonamento gratuito

N.B. gli abbonati riceveranno un’estensione all’abbonamento già attivo

Verranno prese in considerazione solo le immagini inviate entro le 23:59 del 23 dicembre 2022. Non so quanti di voi parteciperanno a questa piccola gara amichevole, ma siete migliaia e mi ci potrebbe volere del tempo per scegliere i vincitori. Abbiate pazienza 😁

Cercherò comunque di postare le immagini che mi hanno colpito di più sul canale telegram, a prescindere dai primi tre posti. Se non sei ancora iscritto/a, è un buon momento per farlo!

Vi lascio con delle immagini che ho creato oggi e che mi piacciono particolarmente. Al software ho chiesto di immaginare una società in cui le persone sono valutate e punite per ciò che pensano:

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privacychronicles.substack.com…



USA: la guerra dei chip colpisce gli alleati, ma non molto la Cina


Il Bureau of Industry and Security (BIS) del Dipartimento del Commercio degli Stati Uniti ha implementato fino ad oggi i controlli più completi sulla fabbricazione di semiconduttori e sul supercalcolo. Nel corso dell’ottobre 2022, l’amministrazione Biden ha ampliato i propri controlli sull’esportazione di semiconduttori, supercomputer e relativi input e apparecchiature in Cina. Anche la vendita di tecnologie […]

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Venezuela – USA: Biden parli ai venezuelani


Mentre riprendono i negoziati tra il governo venezuelano e l’opposizione, l’amministrazione Biden ha l’opportunità di sostenere accordi sostanziali che possono affrontare i diritti umani e le crisi umanitarie del paese. Farlo, tuttavia, richiederà un maggior grado di coordinamento multilaterale e garantire che il processo coinvolga la società venezuelana, non solo la sua classe politica. Il […]

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Pace in Ucraina: i fantasmi di Versailles


Un cambio di stagione porta un cambio di prospettiva. Con St Martin che appare su un cavallo bianco per segnalare le prime nevicate nell’Europa centrale e orientale, con il medio termine alle spalle e il costo per l’Occidente che cresce come un deficit di bilancio degli Stati Uniti, il discorso si è rivolto alla pace. […]

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MIGRANTI. Si torna a respingere al confine italo-sloveno


L'intento del governo Meloni è chiaro: respingere non solo via mare ma anche via terra chiunque provi di entrare in territorio italiano, tentando di giustificare tali azioni mistificando i numeri. L'articolo MIGRANTI. Si torna a respingere al confine ita

di Anna Clementi e Diego Saccora – Associazione Lungo la rotta balcanica

Pagine Esteri, 14 dicembre 2022 – “La Lampedusa del Nord non va sottovalutata e quella delle riammissioni è una delle soluzioni a cui stiamo pensando”. Le parole pronunciate lunedì a Martignacco (Udine) da Luca Ciriani, ministro per i Rapporti con il Parlamento, danno seguito ai recenti ripetuti annunci del governo Meloni sulla riattivazione delle “riammissioni informali” al confine tra Italia e Slovenia sulla base della direttiva firmata da Maria Teresa Sempreviva, capo di gabinetto del Viminale relativa “all’incremento dei flussi migratori della rotta balcanica”.

Ciriani parlando di “Lampedusa del nord” intende l’area del Friuli-Venezia Giulia a ridosso del confine sloveno e definisce riammissioni i respingimenti delle persone operati dalla polizia italiana verso la Slovenia, pratiche che costituiscono una grave violazione dei diritti umani. Il piano del nuovo governo è chiaro: respingere non solo via mare ma anche via terra chiunque tenti di entrare in territorio italiano, tentando di giustificare tali azioni mistificando i numeri. A fronte di un aumento percentuale delle persone prive di regolare permesso di soggiorno intercettate al confine pari al 204% si tiene in secondo piano che il dato numerico sia di 4101 in tutto il 2022.

“Su un piano umano prima ancora che giuridico la notizia della ripresa delle riammissioni informali ha destato un vero e proprio sconcerto” ha dichiarato l’avvocata Caterina Bove dell’Associazione Studi Giuridici Immigrazione (Asgi), in una conferenza stampa online organizzata lunedì 13 dicembre dalla rete RiVolti ai Balcani. “Ci è già noto il destino delle persone riconsegnate alla rotta balcanica, destino che le vedrà diventare soggetti o meglio oggetti di riammissioni a catena dall’Italia alla Slovenia, alla Croazia e da lì fino alle porte dell’Unione europea, in Bosnia o in Serbia, un destino che li costringerà ad affrontare di nuovo le violenze perpetrate ai confini croati, nonostante le numerose denunce da parte di tante organizzazioni” e a una sentenza della Corte Europea per i Diritti Umani che nel novembre 2021 ha condannato le stesse autorità croate per la morte della piccola Madina Hussiny, bambina afghana respinta verso la Serbia insieme alla famiglia nel 2017.

Ma lo sgomento, come ci spiega la Bove assieme alla sua collega di Asgi, Anna Brambilla, è anche giuridico. Non sono passati due anni da quando il Tribunale di Roma nel gennaio 2021, a seguito di un ricorso presentato dalle due avvocate, dichiarò illegittime le riammissioni dall’Italia alla Slovenia perchè fondavano la propria base giuridica su di un accordo siglato tra i due Paesi nel 1996 e mai ratificato dal Parlamento, violando leggi interne, europee e internazionali, oltre ad esporre le persone a “trattamenti inumani e degradanti” lungo i Paesi dei Balcani e a “torture” in Croazia. Nessun rilascio di documentazione scritta, nessuna informativa sui propri diritti, detenzione in una caserma, per poi essere fatti salire su un furgone prima di essere consegnati alle autorità slovene. E spesso da lì, fuori dai confini dell’Unione europea. Dopo la sentenza, le riammissioni, che tra il 2019 e il 2020 hanno costituito l’illegittima base giuridica per il respingimento di oltre 1200 persone verso la Slovenia e molte a catena verso Serbia e Bosnia ed Erzegovina, sono state sospese.

Ma ora il governo sembra di nuovo muoversi in direzione contraria incurante dell’illegittimità di queste pratiche, che rimangono illegali anche nei casi in cui non venga registrata la manifestazione di volontà di richiesta della protezione internazionale. Infatti, come ci ricorda l’avvocata Brambilla, “in Italia le condotte della polizia di frontiera sono già state oggetto di pronunce sia di giudici nazionali sia di corti sovranazionali soprattutto per quanto riguarda il diritto d’informazione”. Pertanto l’assenza della registrazione da parte della polizia della manifestazione di presentare la richiesta di protezione internazionale non significa che la persona non abbia espresso la volontà di chiedere asilo ma può semplicemente essere che non sia stata messa nella condizione di manifestare tale volontà e che non sia stata informata sulle implicazioni in merito.

L’altro rischio è quello dei respingimenti collettivi in cui gruppi di persone vengano respinti, sulla base degli accordi, da un Paese all’altro senza che vi sia una valutazione individuale del singolo caso. “Non si parla mai dei destinatari delle riammissioni” ci ricorda Gianfranco Schiavone, presidente del Consorzio Italiano Solidarietà.

Ed è proprio delle persone che non dobbiamo mai dimenticarci. Perchè troppo spesso nel botta e risposta alla ricerca della disposizione a sostegno della legittimità o meno di un’azione, si perde di vista il contesto storico, sociale e politico entro il quale ogni singola persona che da anni percorre le rotte lungo i Paesi dei Balcani, dentro e fuori i confini d’Europa, si trova ad affrontare, subendo violenze fisiche e psicologiche. Il diritto negato è la cartina di tornasole di una persona violata. Perchè costretta a vivere rinchiusa in un campo, a sopravvivere in un accampamento informale, quotidianamente respinta nel tentativo di entrare in Unione europea, se non di essere riportata indietro al proprio Paese d’origine o in un Paese terzo dove i diritti e le vite delle persone vengono ancora una volta negati. Violazioni ampiamente documentate da numerose inchieste giornalistiche, tra tutte ricordiamo quelle pubblicate dal collettivo di giornalisti Lighthouse Report in collaborazione con diverse testate europee e quelle raccolte da volontari e attivisti ai confini interni ed esterni dall’Ue contenuti nel “Libro Nero dei respingimenti” prodotto dal Border Violence Monitoring Network. Pagine Esteri

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pagineesteri.it/2022/12/14/mon…



JENIN. Uccisa una palestinese di 16 anni durante un raid dell’esercito israeliano


Jana Zakarna, 16 anni, è stata trovata morta sul balcone di casa colpita alla testa da un proiettile. L'esercito israeliano riconosce che potrebbe essere stata uccisa "accidentalmente" dal fuoco dei suoi soldati. L'articolo JENIN. Uccisa una palestinese

AGGIORNAMENTO ORE 18.30

L’esercito israeliano comunica che con “alta probabilità” un cecchino della polizia di frontiera ha “accidentalmente” sparato e ucciso la sedicenne Jana Zakarna che, dice il comunicato, sarebbe stata vicina a uomini armati che da un tetto sparavano ai soldati durante un raid a Jenin.

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della redazione

(nella foto Jana Zakarna)

Pagine Esteri, 12 dicembre 2022 – Con una sorta di ammissione parziale delle sue responsabilità, l’esercito israeliano ha comunicato di aver avviato indagini per “accertare” se i suoi soldati hanno aperto il fuoco verso una ragazzina palestinese, uccidendola, la scorsa a Jenin, in Cisgiordania. Una uccisione che descrive come “accidentale” perché, afferma in un comunicato il portavoce militare, è avvenuta “durante uno scontro a fuoco con uomini armati palestinesi”. Jana Zakarna, 16 anni, è stata trovata morta sul balcone di casa con una ferita da arma da fuoco alla testa dopo che le truppe israeliane si erano ritirate da Jenin.

Secondo la tv israeliana Kan e il portale di notizie Ynet, Zakarna potrebbe “essere stata erroneamente presa di mira” mentre osservava le truppe dal terrazzo. I soldati, affermano gli stessi media israeliani, hanno effettivamente sparato contro i tetti di diverse abitazioni di Jenin, da dove, affermano, combattenti palestinesi avrebbero aperto il fuoco sulle forze israeliane che stavano arrestando due fratelli “ricercati”, Thaer e Muhammad Hatnawi, di 40 e 33 anni, e Hassan Marei, 30 anni. Altri tre palestinesi sono stati feriti negli scontri a fuoco.

La “Brigata Jenin” ha comunicato di aver resistito con un intenso fuoco di armi automatiche al raid israeliano al quale hanno preso parte anche soldati di unità speciali sotto copertura e cecchini piazzati sui tetti. Tra gli israeliani non si segnalano feriti. La scorsa settimana i militari avevano ucciso altri tre palestinesi a Jenin.
Questa mattina due giovani militanti sono rimasti feriti in un’esplosione avvenuta nel campo profughi della città causata, secondo la Brigata Jenin, dal fuoco di un drone israeliano. Questa versione non ha però trovato una conferma indipendente.

Jana Zakarna è il 218esimo palestinese ucciso dalle forze armate israeliane quest’anno, in gran parte in Cisgiordania durante ripetute incursioni in città e villaggi scattate dopo gli attacchi armati della scorsa primavera a Tel Aviv e altre città che hanno ucciso 18 civili israeliani. Tra le vittime palestinesi figurano una cinquantina di minori e una giornalista, Shireen Abu Akleh, della tv qatariota Al Jazeera, anche lei colpita “accidentalmente” secondo la versione fornita dall’esercito israeliano. Pagine Esteri

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Noi e il « ciecopacifismo » (che tanti danni ha fatto)


Gli ucraini hanno nella cultura popolare una parola intraducibile, che però descrive bene l’approccio di vasta parte dell’opinione pubblica occidentale alla guerra d’aggressione russa: poluda. In certe loro favole nere, il diavolo si diletta a offuscare c

Gli ucraini hanno nella cultura popolare una parola intraducibile, che però descrive bene l’approccio di vasta parte dell’opinione pubblica occidentale alla guerra d’aggressione russa: poluda.
In certe loro favole nere, il diavolo si diletta a offuscare con questa sorta di cataratta gli occhi di chi vuole ingannare, spiega Oksana Zabuzko nel libro «Il viaggio più lungo», compendio della nostra cecità di fronte all’imperialismo putiniano. Le parole talvolta si rincorrono nel tempo e nello spazio, così svelandocisi appieno. Mosca prepara un inverno di fame e gelo per piegare milioni di ucraini. E ieri il presidente Zelensky ha chiesto ancora aiuto all’Occidente paventando altri attacchi missilistici alle infrastrutture volti a «provocare nuovi blackout».

In un contesto così estremo, la poluda richiama molto da vicino il senso del cieco pacifismo di cui parlava vent’ anni or sono Giovanni Sartori. Si tratta di quella tenebra che ottunde chi, «tutto cuore e niente cervello», rifiuta qualsiasi guerra, anche quella difensiva, anche quella che servirebbe a fermare un assassino quando questi compie i suoi misfatti proprio sotto il nostro sguardo. I pacifisti degli anni Trenta «hanno aiutato Hitler a imporsi», annotava il grande politologo.

Oggi la voglia di pace è grande, naturalmente, e cresce ormai assieme alla nausea per questa guerra «blasfema», come ripete senza sosta Papa Francesco. Tale intenso e sano desiderio può tuttavia generare equivoci, accecarci. E forse è alla base d’un curioso abbaglio: a Parigi s’ è tenuta ieri una conferenza internazionale, con Macron quale principale promotore. Obiettivo: consentire agli ucraini di «resistere durante l’inverno» e, accanto, porre le prime basi della ricostruzione che verrà. Ammontano a un miliardo i fondi promessi per i prossimi quattro mesi.

L’iniziativa ha raccolto una settantina di partecipanti d’alto rango (per noi, il ministro Tajani) nel supporto a Kiev in settori vitali come energia, trasporti e alimentazione. Confondendo desideri e realtà, su alcuni media era stata tramutata in una «conferenza di pace»: che certo sarebbe ottima cosa, se ci fosse qualcuno a Mosca disposto a parlarne sul serio. E qui torna in scena la poluda , perché ci vuole davvero una benda davanti agli occhi per non vedere.

A inizio dicembre, infatti, il ministro degli Esteri russo, Lavrov, nella conferenza stampa annuale coi media, ha rimesso mano al più trito repertorio con cui il regime aveva giustificato l’invasione del 24 febbraio, dall’invettiva contro «lo sconsiderato allargamento della Nato» alla «minaccia esistenziale» che noi occidentali avremmo lanciato contro la Russia tramite Zelensky, fino a uno strabiliante attacco al Papa, accusato di «dichiarazioni non cristiane», con tanti saluti ai tentativi di mediazione del Vaticano.

Inoltre, poiché i russi dedicano speciali attenzioni all’Italia sperando in una nostra defezione, assai improbabile vista la postura di Giorgia Meloni, l’ambasciatore Razov ha lanciato la fake news di un blindato italiano distrutto in terra ucraina (ammonendoci, «tutti i contribuenti italiani sono felici di questa destinazione dei loro soldi?») proprio mentre stavamo discutendo sulla proroga dell’invio di armi a Kiev.
Insomma, c’è da pregare per un cessate il fuoco, è ovvio: Gideon Rachman sul Financial Times immagina un armistizio «coreano», che a un certo punto congeli la situazione senza un trattato formale.

Ma lui stesso ammette che Putin delira ancora di vittoria e si paragona a Pietro il Grande, un raffronto forse non casuale sui tempi e i propositi, visto che lo zar vinse la Grande guerra del Nord dopo 21anni di combattimenti. Di buono c’è che Putin fa ciò che dice, basterebbe ascoltarlo e regolarsi. Rovesciando la lettura di Lavrov, Kaja Kallas ricorda su Foreign Affairs che a dicembre dell’anno scorso la Russia aveva minacciato la Nato con il suo ultimatum: stop alla politica delle porte aperte e stop al dispiegamento di forze in Paesi entrati nell’Alleanza dopo il 1997 o sarebbe stata la guerra. Due mesi dopo, guerra è stata. Ma fino al giorno prima i nostri ciecopacifisti sostenevano che il suo
spauracchio era un’invenzione della Cia e che 190 mila soldati russi al confine ucraino fossero lì a esercitarsi.

Insomma, l’idea del dialogo per ora è velata di irenismo. È un «dialogo col sordo», ha scritto Paola Peduzzi sul Foglio . L’ottundimento dei sensi è tema ricorrente. Qui, il sordo è Putin che finge di non capire, spiegandoci che «un accordo sarà inevitabile» prima o poi, a patto che vengano riconosciuti «i nuovi territori della Federazione Russa», cioè quel quinto di Ucraina che lui occupa illegalmente e stupra ogni giorno. Le parole, in una guerra che passa molto attraverso la conquista di cuori e menti, sono assai importanti ma assumono diversa intensità a seconda della distanza dai missili russi. Sicché gli ucraini hanno riscoperto sulla loro pelle il significato di Holodomor : la carestia con cui Stalin li decimò il secolo scorso e che Putin ripropone adesso, coi suoi bombardamenti sugli impianti civili che mirano a ridurre l’Ucraina a una landa ghiacciata (un incubo cui si oppone appunto la conferenza di Parigi).

Noi, più fortunati, possiamo dilettarci, per ora senza conseguenze così estreme, con la parola «guerrafondaio», rispolverata contro il
governo Meloni dal leader d’opposizione Conte dopo avere votato lui stesso con la maggioranza precedente i decreti sull’invio di armi. Il termine ha una storia illuminante. Usato dal Pci addirittura contro De Gasperi per rimproverargli la sudditanza verso gli (allora) odiatissimi americani, non era disdegnato neppure da Hitler che voleva presentare la sua guerra come atto puramente difensivo: nel 1939 il Führer lanciò una campagna mediatica in cui, accingendosi a invaderne il territorio, dava del «guerrafondaio» al governo di Varsavia, accusato di «atrocità» contro la gente di etnia tedesca che viveva in Polonia.

Pochi anni prima, il poeta Arturo Serrano Plaja s’ era trovato ad affrontare la contraddizione tra il proprio pacifismo e la necessità di opporsi a franchisti e fascisti nella guerra civile che dilaniava la sua Spagna. Nulla sapendo di poluda, aveva concluso comunque che i guerrafondai erano loro. E che a lui, proprio nel nome della pace che amava, toccava combatterli senza quartiere.

Il Corriere della Sera

L'articolo Noi e il « ciecopacifismo » (che tanti danni ha fatto) proviene da Fondazione Luigi Einaudi.



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