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Ucraina: la Russia affronta lo stress post-traumatico su scala nazionale


Oltre ai problemi economici che la Russia deve affrontare e continuerà ad affrontare quando la guerra in Ucraina finirà, un’altra ondata di sfide arriverà in Russia indipendentemente dall’esito del conflitto: quella del ritorno dei soldati. Coloro che hanno commesso crimini di guerra o hanno semplicemente vissuto il combattimento torneranno alla società russa e alla vita […]

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L’Iran e l’’asiatizzazione’ della politica mondiale


In un’epoca caratterizzata dalla cospicua ascesa della Cina e dalla crescente aggressione russa, sta prendendo forma all’interno della politica internazionale un nuovo ordine mondiale post-occidentale . La Shanghai Cooperation Organization (SCO) è stata istituita per perseguire la strada ‘asiatica’ di un ordine mondiale post-occidentale e pre-plurale. Cina e Russia, nel tentativo di minare l’influenza globale […]

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USA – Russia: ricordando un’’età dell’oro’ della diplomazia


La storica nomina dell’Ambasciatrice Lynne Tracy da parte del Presidente Joe Biden a servire come prima donna ambasciatrice nella Federazione Russa è passata per lo più sotto il radar dei media. E con la sua udienza di conferma di fine novembre davanti alla commissione per le relazioni estere del Senato, la conferma finale di Tracy […]

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#IscrizioniOnline, il Ministero dell’Istruzione e del Merito accompagna le famiglie con una lettera dedicata, per valorizzare i talenti e le opportunità di studentesse e studenti.


Una legge per lo spazio: una discussione di alto livello


Il 15 dicembre 1964, il team guidato da Luigi Broglio e Carlo Buongiorno lanciava la sonda San Marco 1 dalla base americana di Wallops Island, portando l’Italia al terzo posto tra i Paesi in grado di concepire e realizzare una missione spaziale. Un primato, nel suo genere, visto che ad iniziare era stata l’Unione Sovietica […]

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Serve un’Autorità nazionale per i diritti umani: l’Onu ce la chiede da trent’anni.


Il recente scandalo che scuote il Parlamento Europeo ha coinvolto anche alcuni enti senza scopo di lucro, con sede in Italia o comunque riferibili a soggetti di nazionalità italiana, che operano nel campo della tutela dei diritti umani, compresi enti che

Il recente scandalo che scuote il Parlamento Europeo ha coinvolto anche alcuni enti senza scopo di lucro, con sede in Italia o comunque riferibili a soggetti di nazionalità italiana, che operano nel campo della tutela dei diritti umani, compresi enti che godono dello status di ONG, Organizzazioni Non Governative, presso prestigiose istituzioni internazionali.

Prescindendo dalla singola vicenda, i cui contorni dovranno essere chiariti nelle sedi opportune, e dagli enti e dalle persone coinvolti, che devono godere dei modi e dei tempi per dimostrare la propria estraneità che, per alcuni di essi sinceramente spero possa essere accertata al più presto, c’è una riflessione di carattere generale che deve essere immediatamente fatta, anche per porre rimedio ad una delle più vistose incongruenze della politica nazionale sui diritti umani.

Il 20/12/1993 l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite adottava una risoluzione con la quale faceva obbligo agli Stati membri di istituire un’Autorità Nazionale per i Diritti Umani che rispondesse ai requisiti di quelli che sono conosciuti come i Paris Principles, linee guida sulle competenze, la composizione, le garanzie e i metodi di lavoro delle autorità indipendenti per i diritti umani.

L’Italia, dopo quasi 30 anni, non ha ancora adempiuto il suo obbligo internazionale, non si è dotata di tale Autorità e non partecipa, quindi, alle attività della Alleanza Globale delle Autorità Nazionali per i Diritti Umani.

L’Italia, dopo quasi 30 anni, è priva di un’istituzione che abbia competenza sulla protezione e promozione dei diritti umani con poteri di formulare proposte per migliorare la normativa e per sollecitare la ratifica delle convenzioni internazionali in materia, di diffondere la corretta cultura della tutela dei diritti umani nelle scuole, nelle università e nella società, di offrire il proprio parere alle istituzioni internazionali che controllano l’adempimento dell’Italia ai propri obblighi internazionali nella materia, di sviluppare relazioni con le organizzazioni della società civile che operano seriamente e correttamente nel campo dei diritti umani e sostenerle nella loro azione.

Perché questo può accadere, nel silenzio generale, per un’iniziativa che, idealmente, non avrebbe dovuto trovare alcun ostacolo e avrebbe dovuto, anzi, ottenere una condivisione unanime delle forze politiche ?

I diritti umani nascono come limite alle intromissioni indebite dello Stato nei diritti individuali del cittadino e, quindi, che i Governi vedano un’autorità indipendente come un limite, piuttosto che come un’opportunità, è comprensibile, ma non è spiegazione da sola sufficiente.

Il vero interesse che frena qualsiasi iniziativa che tenda all’istituzione di tale autorità indipendente in Italia va, piuttosto, ricercato nell’acquisito monopolio culturale di una parte politica sulle associazioni che operano nel campo della tutela dei diritti umani le quali, in assenza dell’autorità pubblica indipendente, agiscono sulla scena nazionale ed internazionale come titolari esclusive e qualificate della promozione e dell’implementazione dei diritti umani in Italia.

Ciò ha come conseguenza, da una parte, che sulla scena nazionale ed internazionale vengano tematizzati solo aspetti specifici e settoriali della materia, coerenti con gli ideali, le scelte e le esigenze della parte politica di riferimento e, dall’altra, che i flussi finanziari pubblici vengano indirizzati con una certa naturalezza in larga parte verso associazioni dalle quali è anche possibile ottenere sostegno politico ed elettorale, senza il filtro di un istituzione indipendente che, in quanto tale, non garantirebbe scelte utili a procurare dal finanziamento delle ricerche e delle attività di tali associazioni ritorni politici o elettorali.

Attorno a questo sistema vive, infatti, tutto un mondo che, contrariamente a quanto può pensarsi, non è affatto costituto solo da idealisti volontari, ma anche da donne e uomini ben retribuiti per le loro attività all’interno delle organizzazioni di tutela dei diritti umani.

Non c’è molto da stupirsi, quindi, se un sistema che si piega ad esigenze e funzioni improprie trovi, nel tempo, le ragioni e le occasioni per tradire le ragioni per le quali dovrebbe esistere, con la creazione da parte di chi è interno a quel sistema di enti ad hoc, utili ad intercettare i flussi di finanziamento pubblici nazionali e internazionali, o, addirittura, con la vendita al miglior offerente della propria capacità, non frutto di merito ma di rendita di posizione, di influenzare le scelte politiche nazionali e internazionali.

Né c’è da stupirsi se le organizzazioni di tutela dei diritti umani serie e scientificamente più accreditate, composte in gran parte da volontari non retribuiti e quindi non condizionabili, stentino a sopravvivere e debbano limitare la propria attività di ricerca, assistenza tecnica e formazione culturale e professionale, pagando un alto prezzo al mantenimento della propria indipendenza.

E non sembra certo impossibile che tale preoccupante scenario si riproponga anche in settori diversi da quello della tutela dei diritti umani, ad iniziare dal settore culturale.

Lo status quo, quindi, conviene a qualcuno, ma certamente non conviene all’Italia.

Ancora di recente l’Italia, tra l’altro, ha ricevuto l’ennesimo sollecito dalle istituzioni internazionali a creare la propria Autorità Nazionale per i Diritti Umani, ma ancora una volta nessuna evidenza è stata data, e nessun seguito, a tali raccomandazioni che pur prevenivano da fonti autorevolissime come la Commissione Europea, nel suo 2022 Rule of Law Report, e il Comitato sui Diritti Economici, Sociali e Culturali delle Nazioni Unite, nel suo sesto report periodico, pubblicato nel 2022, sul rispetto delle regole dello Stato di Diritto in Italia, nell’ambito del quale ben 45 Stati, da tutti i continenti, hanno indirizzato una specifica e diretta raccomandazione all’Italia per l’istituzione di tale Autorità Nazionale.

Se una lezione, molto facile, dobbiamo imparare dalla triste vicenda caratterizzata dalle valigie piene di contanti all’interno del Parlamento Europeo, è certamente quella che il tema dei diritti umani in Italia va restituito al più presto al dibattito pubblico, senza restare confinato nelle soffocanti anticamere delle segreterie politiche, nell’unico modo possibile: istituendo finalmente l’Autorità Nazionale per i Diritti Umani.

E scopriremo un mondo nuovo e affascinante, un mondo nel quale i diritti umani hanno una dimensione universale e non limitata ad aspetti particolari identitari, un mondo nel quale non si rischia di trasformare il tema dei diritti fondamentali della persona in quello dei “capricci fondamentali” di alcune persone.

Basta poco, sarebbe sufficiente un’iniziativa parlamentare per riprendere e correggere il disegno di legge che giace nella morta gora della precedente legislatura e riproporlo in quella presente.

In Senato si sta per costituire, per lodevole iniziativa del senatore a vita Elena Cattaneo, la Commissione Straordinaria sui Diritti Umani: non c’è argomento più serio, importante e urgente di quello di dare adempimento a un obbligo internazionale di grande importanza politica, culturale e sociale, rimasto inevaso per trenta anni, che una Commissione tematica possa affrontare con la passione e l’urgenza che i recenti fatti di cronaca hanno svelato, offrendo a tutti una chiave di lettura posseduta sino a pochi giorni addietro solo dagli addetti ai lavori ma che oggi è patrimonio di conoscenza comune che non consente a nessuno di fingere che le cose accadano a propria insaputa.

L'articolo Serve un’Autorità nazionale per i diritti umani: l’Onu ce la chiede da trent’anni. proviene da Fondazione Luigi Einaudi.



Presentato “Il cielo di Sabra e Chatila”, il documentario di Pagine Esteri sui campi profughi palestinesi in Libano


La prima proiezione nazionale lo scorso 16 dicembre a Caserta, all'interno del Festival Intimalente. L'articolo Presentato “Il cielo di Sabra e Chatila”, il documentario di Pagine Esteri sui campi profughi palestinesi in Libano proviene da Pagine Esteri.

della redazione –

Pagine Esteri, 19 dicembre 2022 – Presentato il documentario prodotto da Pagine Esteri, “Il cielo di Sabra e Chatila”, girato nei campi profughi palestinesi del Libano in occasione dei 40 anni dalla strage compiuta dalla destra falangista libanese durante l’invasione israeliana del Libano.

La prima proiezione nazionale all’interno del Festival cinematografico “Intimalente”, tenutosi a Caserta tra il 14 e il 18 dicembre ha raccolto entusiasmo, apprezzamento e tanta curiosità.

“Il cielo di Sabra e Chatila” è stato realizzato grazie alla collaborazione con la Spring Edizioni e l’associazione Pixel aps, che ha lanciato la raccolta crowdfunding su Eppela.com

Il documentario, per la regia di Eliana Riva, racconta quello che è accaduto 40 anni fa ma anche la condizione, oggi, dei profughi palestinesi che ancora vivono i campi nati nel 1948, dopo la proclamazione dello Stato di Israele e l’inizio della Nakba che causò l’espulsione e l’esodo di circa 700.000 palestinesi. I profughi lasciarono le loro case e, in attesa di ritornarci, si rifugiarono in altri stati arabi. Israele, però, non ha mai consentito loro di esercitare il diritto al ritorno, così come sancito dalla Dichiarazione Universale dei diritti dell’uomo, dalla Convenzione di Ginevra e dalle Nazioni Unite. I palestinesi sono quindi rimasti all’interno dei campi. Ancora oggi non hanno diritto, in Libano, ad acquistare abitazioni, alla proprietà privata e ad esercitare moltissime professioni.

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La popolazione dei campi profughi è aumentata, anno dopo anno, generazione dopo generazione (oggi siamo alla quarta) ma la superficie non si è allargata, non è permesso, e così l’espansione abitativa si è sviluppata in alto. Un piano sopra l’altro, in situazioni di povertà, di difficoltà estrema, il cielo è spesso oscurato dai palazzi che quasi si toccano nei vicoli di Sabra e Chatila e dai cavi, un groviglio di cavi infinito che causano spesso incidenti e morti.

La voce delle abitanti dei campi, di giornalisti ed esperti accademici accompagna lo spettatore nella storia e nell’attualità di Sabra e Chatila e di tutti gli altri campi profughi palestinesi presenti in Libano, con le immagini di quella che è la quotidianità per centinaia di migliaia di persone, tra cui tantissimi bambini. La storia di Sabra e Chatila e del massacro è tramandata da generazione in generazione e le celebrazioni, nei giorni della strage, si svolgono all’interno di tutti i campi.

Siamo entrati nei campi insieme a uno dei protagonisti del documentario, Vittorio Rosa, cresciuto a Sabra e Chatila e uscito insieme ai combattenti palestinesi, secondo quelli che erano gli accordi con Israele e le garanzie degli Stati Uniti, poco prima che il massacro avvenisse. Abbiamo raccolto la sua storia, i suoi ricordi e l’emozione di tornare a casa dopo 40 anni.

“Il cielo di Sabra e Chatila” inizia da qui il suo viaggio nei Festival e in proiezione in diverse tappe italiane.

L'articolo Presentato “Il cielo di Sabra e Chatila”, il documentario di Pagine Esteri sui campi profughi palestinesi in Libano proviene da Pagine Esteri.



Dallo Stato Sociale al Great Reset


Duecento anni fa nasceva l'idea di Stato (sociale) come strumento di ingegneria sociale. Oggi ci riprovano con il Great Reset e con l'aiuto della tecnologia.

Come abbiamo visto nella prima parte di questo articolo, l’idea di Stato Sociale nacque negli Stati Uniti da uno strano ma molto efficace connubio tra religione (protestante) e politica.

I pietisti protestanti del tardo ‘800 furono infatti in grado di sfruttare lo Stato centrale come strumento per plasmare la società a loro immagine e somiglianza, spesso attraverso politiche proibizioniste o misure di “welfare universale” che nascondevano in realtà specifiche volontà politiche (come la diffusione delle scuole pubbliche — la prima vera macchina di propaganda). Questo nuovo movimento intellettuale venne poi conosciuto come “progressismo”.

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L’idea dei protestanti-progressisti era tanto semplice quanto inquietante: lo Stato era uno strumento di Dio, che doveva essere usato per creare la società perfetta e preparare il mondo per il secondo avvento.

Personalmente, trovo che ci siano molte analogie tra i primi movimenti progressisti e il Great Reset promosso dal World Economic Forum e ormai da moltissimi intellettuali e politici in tutto il mondo. La tecnologia oggi può concretamente trasformare lo Stato in uno strumento divino, proprio come profetizzato dai primi intellettuali progressisti del tardo ‘800.

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La Francia ritira i soldati dalla Repubblica Centrafricana. Cresce in Africa l’influenza degli Usa


La missione Mislog “non aveva più alcuna giustificazione operativa”, ha spiegato il ministero della difesa francese. Il focus di Parigi ora è in Benin, Ghana e Costa d’Avorio e in Niger, paese centrale per l'uranio che alimenta i suoi reattori atomici L'

della redazione

Pagine Esteri, 19 dicembre 2022 – Con l’intento di spostare gradualmente il suo focus in Benin, Ghana e Costa d’Avorio e, più di ogni altra parte, in Niger, paese centrale per le forniture di uranio che alimentano i suoi reattori atomici, la Francia ha ritirato gli ultimi soldati stanziati in Repubblica Centrafricana dove erano stati inviati, ufficialmente, per combattere i gruppi armati che destabilizzavano il Paese. A giugno si è anche concluso il ridispiegamento volto a dimezzare entro il 2023 da 5mila a circa 2.500 i soldati francesi stanziati in Mali (missioni Barkhane e Takuba). Il 13 dicembre il campo di M’Poko – ospitante le forze francesi – è stato consegnato alle autorità centrafricane in coordinamento con la missione dell’Onu (Minusca) e con quella dell’Unione europea.

La missione Mislognella Repubblica Centrafricana “non aveva più alcuna giustificazione operativa”, ha spiegato il ministero della difesa francese annunciando in rientro in patria di 47 soldati (inizialmente era 130 uomini) rendendo definitiva la separazione fra Parigi e Bangui annunciata lo scorso anno. Una scelta che, dissero gli analisti francesi, era la conseguenza dell’arrivo nel Paese africano del gruppo paramilitare russo Wagner come già avvenuto in precedenza in Mali. “Nel 2021, quando la presenza della compagnia militare privata Wagner era sempre più invadente nel Paese, la Francia ha constatato l’assenza delle condizioni per continuare a lavorare a beneficio delle forze armate centrafricane”, ha dichiarato il generale Francois-Xavier Mabin, comandante della Mislog.
In realtà il ritiro di Parigi, ex potenza coloniale in Africa – accusata di svolgere, seppur con modalità diverse, ancora quel ruolo – da Bangui deve leggersi all’interno del contesto regionale. La Francia, e il presidente Macron ne è ben consapevole, risulta sempre più perdente nella competizione con Russia e Cina che allargano e conquistano terreno, in termini economici e di influenza, nel continente africano ricco di risorse. Un ulteriore segnale del suo declino è stato anche il raffreddamento delle relazioni con il Burkina Faso, frutto di un crescente sentimento antifrancese.

L’invio in Africa di contingenti militari francesi come di altri Paesi occidentali per “combattere il terrorismo” si scontra sempre di più con l’idea che spetti agli Stati africani di decidere e attuare in piena autonomia le strategie più idonee per affrontare le formazioni jihadiste – Isis e al Qaeda – che infoltiscono i loro ranghi e rafforzano le loro posizioni. Diverse organizzazioni regionali negli ultimi mesi hanno programmato l’invio di forze militari in situazioni di crisi. Come nel caso della Comunità dell’Africa orientale (Eac) nella Repubblica democratica del Congo, della Comunità dei Paesi dell’Africa meridionale (Sadc) in Mozambico e della Comunità economica dei Paesi dell’Africa occidentale (Cedeao) che formerà una forza armata regionale incaricata di intervenire in questioni di terrorismo e sicurezza.

Se la Francia, cosciente delle difficoltà cheincontra a svolgere il ruolo che si era assegnata, di fatto, unilateralmente in Africa, ritira parte delle sue forze e le ridispiega in apparenza in forma più contenuta solo in alcune regioni africane, gli Stati Uniti al contrario continuano a penetrare nel continente allo scopo fin troppo evidente di limitare la crescente influenza di Mosca e Pechino, al momento molto marcata nell’Africa orientale. La strategia americana al momento è soprattutto economica ed “umanitaria”. Stati uniti e Unione africana, nei giorni scorsi, al summit dei leader Usa-Africa a Washington, hanno affermato il loro impegno a “rafforzare la sicurezza alimentare” nel continente, avviando una “partnership strategica” volta a guidare e accelerare il più possibile il sostegno ai Paesi africani. La collaborazione, non è certo una sorpresa, punta a rafforzare il settore privato in modo che faccia fronte, al posto dello Stato, alle carenze di cibo. Al vertice di Washington, il presidente Joe Biden ha annunciato che l’Agenzia statunitense per lo sviluppo internazionale (Usaid) ha approvato un pacchetto di aiuti umanitari da due miliardi di dollari per le popolazioni africane colpite dalla crisi legata alla pandemia, ai conflitti regionali, alla siccità e agli eventi meteorologici estremi. Aiuti che aprono la strada a una presenza statunitense che in futuro potrebbe essere anche militare nell’Africa sub-sahariana. Pagine Esteri

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SONDAGGIO. Senza negoziati né diritti, i palestinesi «votano» per la lotta armata


Un sondaggio mostra il cambiamento radicale e repentino nella società: il 72% vede con favore i gruppi armati che si oppongono all'esercito israeliano. Zero fiducia nell'Autorità Nazionale anche tra la classe media. L'articolo SONDAGGIO. Senza negoziati

di Michele Giorgio –

Pagine Esteri, 17 dicembre 2022 – Scorrendo i risultati del sondaggio appena pubblicato dal Palestinian Center for Policy and Survey Research (Pcpsr), il sociologo Khalil Shikaki non esita a parlare di un «cambiamento radicale avvenuto in pochi mesi» nell’opinione pubblica palestinese, in particolare in Cisgiordania. Il dato che più di altri balza all’occhio è quello dell’aumento netto, rispetto al sondaggio precedente, del sostegno alla lotta armata contro l’occupazione israeliana. «Il 72% dei 1.200 intervistati si è detto favorevole alla nascita di gruppi armati simili alla Fossa dei Leoni», dice Shikaki riferendosi all’organizzazione che ha la sua roccaforte nella casbah di Nablus e che riunisce militanti di diversi orientamenti politici.

Una crescita che Shikaki vede come conseguenza anche dell’escalation in Cisgiordania dove si ripetono, quasi con frequenza quotidiana, i raid dell’esercito israeliano. Il bilancio provvisorio di palestinesi uccisi nel 2022 è di 166, tra i quali donne e minori. Di pari passo, sottolinea il sociologo, «Stiamo assistendo a un calo evidente nella percentuale di coloro che appoggiano la soluzione a due Stati (Israele e Palestina), data l’assenza di negoziati diplomatici». Il sostegno a una risoluzione negoziata del conflitto è ora al 32%. Un decennio fa il supporto si attestava al 55%.

Il sondaggio ha solo rivelato in cifre ciò che è palpabile nelle strade della Cisgiordania. L’assenza di qualsiasi prospettiva di una soluzione politica all’occupazione cominciata nel 1967 e l’intensificarsi della campagna militare israeliana, sembrano aver convinto un numero crescente di palestinesi, soprattutto quelli più giovani, che l’unica opzione sia quella armata.

Nel frattempo, gran parte della popolazione perde fiducia nell’Autorità nazionale palestinese (Anp) del presidente Abu Mazen. L’87% degli intervistati ha detto ai ricercatori del Pcpsr che l’Anp non ha il diritto di arrestare i membri dei gruppi armati per impedire gli attacchi all’esercito israeliano. Il 79% si è anche detto contrario alla resa dei combattenti e alla consegna delle loro armi all’Anp.

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L’emblema del gruppo armato di Nablus “Fossa dei Leoni”

Questi numeri assumono una rilevanza maggiore se si tiene conto che la classe media palestinese – formata in prevalenza da impiegati dell’Anp, da imprenditori e professionisti – è stata negli ultimi venti anni in buona parte contraria non solo alla lotta armata ma anche riluttante ad appoggiare una nuova Intifada popolare contro l’occupazione poiché avrebbe messo in discussione il suo status. Una posizione che, spiegano gli analisti palestinesi, è mutata di fronte alla insostenibilità dell’occupazione che dura da 55 anni.

Gli imprenditori, piccoli e grandi, solo per fare un esempio, incontrano difficoltà crescenti a operare negli stretti margini consentiti da regole e procedure imposte dall’Amministrazione Civile (Ac) israeliana, che per conto delle forze armate è responsabile della gestione della vita quotidiana di milioni di palestinesi, a eccezione delle competenze specifiche dell’Anp di Abu Mazen. L’Ac, attraverso la concessione di permessi di lavoro in Israele a 140mila manovali palestinesi, ha reso dipendente dallo Stato ebraico una quota significativa di famiglie cisgiordane, pur migliorando le loro condizioni di vita. Allo stesso tempo, non ha fatto nulla per tutte le altre.

I palestinesi, dall’operaio all’imprenditore, sono soggetti ogni giorno all’ottenimento di permessi, autorizzazioni e altro ancora dagli occupanti mentre, talvolta a poche centinaia di metri dalle loro abitazioni, i coloni israeliani godono di libertà di movimento e pieni diritti. Anche questi aspetti si riflettono nei risultati del sondaggio del Pcpsr.

E i palestinesi si attendono un peggioramento del quadro generale quando entreranno in carica i ministri, nonché leader della destra ultranazionalista, del nuovo governo israeliano. Il 61% degli intervistati pensa che l’esecutivo guidato da Benyamin Netanyahu sarà più estremista, il 64% si aspetta che il prossimo governo espellerà le famiglie palestinesi dal quartiere di Sheikh Jarrah a Gerusalemme est, il 68% che evacuerà con la forza i beduini palestinesi di Khan al-Ahmar e il 58% che cambierà lo status quo alla moschea Al-Aqsa. Previsioni certo non infondate. Pagine Esteri

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MIGRANTI. Si torna a respingere al confine italo-sloveno


L'intento del governo Meloni è chiaro: respingere non solo via mare ma anche via terra chiunque provi di entrare in territorio italiano, tentando di giustificare tali azioni mistificando i numeri. L'articolo MIGRANTI. Si torna a respingere al confine ita

di Anna Clementi e Diego Saccora – Associazione Lungo la rotta balcanica

Pagine Esteri, 14 dicembre 2022 – “La Lampedusa del Nord non va sottovalutata e quella delle riammissioni è una delle soluzioni a cui stiamo pensando”. Le parole pronunciate lunedì a Martignacco (Udine) da Luca Ciriani, ministro per i Rapporti con il Parlamento, danno seguito ai recenti ripetuti annunci del governo Meloni sulla riattivazione delle “riammissioni informali” al confine tra Italia e Slovenia sulla base della direttiva firmata da Maria Teresa Sempreviva, capo di gabinetto del Viminale relativa “all’incremento dei flussi migratori della rotta balcanica”.

Ciriani parlando di “Lampedusa del nord” intende l’area del Friuli-Venezia Giulia a ridosso del confine sloveno e definisce riammissioni i respingimenti delle persone operati dalla polizia italiana verso la Slovenia, pratiche che costituiscono una grave violazione dei diritti umani. Il piano del nuovo governo è chiaro: respingere non solo via mare ma anche via terra chiunque tenti di entrare in territorio italiano, tentando di giustificare tali azioni mistificando i numeri. A fronte di un aumento percentuale delle persone prive di regolare permesso di soggiorno intercettate al confine pari al 204% si tiene in secondo piano che il dato numerico sia di 4101 in tutto il 2022.

“Su un piano umano prima ancora che giuridico la notizia della ripresa delle riammissioni informali ha destato un vero e proprio sconcerto” ha dichiarato l’avvocata Caterina Bove dell’Associazione Studi Giuridici Immigrazione (Asgi), in una conferenza stampa online organizzata lunedì 13 dicembre dalla rete RiVolti ai Balcani. “Ci è già noto il destino delle persone riconsegnate alla rotta balcanica, destino che le vedrà diventare soggetti o meglio oggetti di riammissioni a catena dall’Italia alla Slovenia, alla Croazia e da lì fino alle porte dell’Unione europea, in Bosnia o in Serbia, un destino che li costringerà ad affrontare di nuovo le violenze perpetrate ai confini croati, nonostante le numerose denunce da parte di tante organizzazioni” e a una sentenza della Corte Europea per i Diritti Umani che nel novembre 2021 ha condannato le stesse autorità croate per la morte della piccola Madina Hussiny, bambina afghana respinta verso la Serbia insieme alla famiglia nel 2017.

Ma lo sgomento, come ci spiega la Bove assieme alla sua collega di Asgi, Anna Brambilla, è anche giuridico. Non sono passati due anni da quando il Tribunale di Roma nel gennaio 2021, a seguito di un ricorso presentato dalle due avvocate, dichiarò illegittime le riammissioni dall’Italia alla Slovenia perchè fondavano la propria base giuridica su di un accordo siglato tra i due Paesi nel 1996 e mai ratificato dal Parlamento, violando leggi interne, europee e internazionali, oltre ad esporre le persone a “trattamenti inumani e degradanti” lungo i Paesi dei Balcani e a “torture” in Croazia. Nessun rilascio di documentazione scritta, nessuna informativa sui propri diritti, detenzione in una caserma, per poi essere fatti salire su un furgone prima di essere consegnati alle autorità slovene. E spesso da lì, fuori dai confini dell’Unione europea. Dopo la sentenza, le riammissioni, che tra il 2019 e il 2020 hanno costituito l’illegittima base giuridica per il respingimento di oltre 1200 persone verso la Slovenia e molte a catena verso Serbia e Bosnia ed Erzegovina, sono state sospese.

Ma ora il governo sembra di nuovo muoversi in direzione contraria incurante dell’illegittimità di queste pratiche, che rimangono illegali anche nei casi in cui non venga registrata la manifestazione di volontà di richiesta della protezione internazionale. Infatti, come ci ricorda l’avvocata Brambilla, “in Italia le condotte della polizia di frontiera sono già state oggetto di pronunce sia di giudici nazionali sia di corti sovranazionali soprattutto per quanto riguarda il diritto d’informazione”. Pertanto l’assenza della registrazione da parte della polizia della manifestazione di presentare la richiesta di protezione internazionale non significa che la persona non abbia espresso la volontà di chiedere asilo ma può semplicemente essere che non sia stata messa nella condizione di manifestare tale volontà e che non sia stata informata sulle implicazioni in merito.

L’altro rischio è quello dei respingimenti collettivi in cui gruppi di persone vengano respinti, sulla base degli accordi, da un Paese all’altro senza che vi sia una valutazione individuale del singolo caso. “Non si parla mai dei destinatari delle riammissioni” ci ricorda Gianfranco Schiavone, presidente del Consorzio Italiano Solidarietà.

Ed è proprio delle persone che non dobbiamo mai dimenticarci. Perchè troppo spesso nel botta e risposta alla ricerca della disposizione a sostegno della legittimità o meno di un’azione, si perde di vista il contesto storico, sociale e politico entro il quale ogni singola persona che da anni percorre le rotte lungo i Paesi dei Balcani, dentro e fuori i confini d’Europa, si trova ad affrontare, subendo violenze fisiche e psicologiche. Il diritto negato è la cartina di tornasole di una persona violata. Perchè costretta a vivere rinchiusa in un campo, a sopravvivere in un accampamento informale, quotidianamente respinta nel tentativo di entrare in Unione europea, se non di essere riportata indietro al proprio Paese d’origine o in un Paese terzo dove i diritti e le vite delle persone vengono ancora una volta negati. Violazioni ampiamente documentate da numerose inchieste giornalistiche, tra tutte ricordiamo quelle pubblicate dal collettivo di giornalisti Lighthouse Report in collaborazione con diverse testate europee e quelle raccolte da volontari e attivisti ai confini interni ed esterni dall’Ue contenuti nel “Libro Nero dei respingimenti” prodotto dal Border Violence Monitoring Network. Pagine Esteri

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Il Gufo. reshared this.

in reply to Andrea Russo

Io non so più cosa dire né fare, mi sento stanchissimo.

Andrea Russo reshared this.



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Incredibili


I tassi d’interesse continueranno a crescere, da noi in Unione europea, come negli Stati Uniti o nel Regno Unito. Sarebbe singolare che, ogni volta, si assistesse alla stessa scena vista questa settimana. Si può discutere se il rialzo dei tassi sia il rim

I tassi d’interesse continueranno a crescere, da noi in Unione europea, come negli Stati Uniti o nel Regno Unito. Sarebbe singolare che, ogni volta, si assistesse alla stessa scena vista questa settimana. Si può discutere se il rialzo dei tassi sia il rimedio migliore e più efficace al crescere dell’inflazione (negli Usa sta funzionando), così iscrivendosi a un dibattito scolastico che va avanti da decenni, ma è indubbio che i tassi europei restano più bassi di quelli americani o inglesi, nonché più bassi dell’inflazione. Ed è altrettanto indubbio che sono stati spinti fin oltre lo zero, finendo sotto, proprio per contrastare la recessione e riconquistare un’inflazione nell’intorno del 2% (eravamo ben sotto). Ora l’inflazione c’è, è stata indotta dall’esterno e i rimedi cambiano. Quel che preoccupa, sia sotto il profilo del comprendonio che sotto quello dell’onestà intellettuale, è il volere sempre vedere un solo aspetto dei problemi, facendo finta non esistano gli altri.

In Italia abbiamo molto risparmio, che è stato lungamente ed efficacemente protetto, grazie all’euro, tenendo bassa l’inflazione, ma certo non è stato premiato dai tassi portati allo zero. Qualche volta si è ingannati dall’illusione monetaria, per cui se i propri risparmi rendono il 10% si pensa di avere guadagnato, ma con l’inflazione al 20% si è perso. Eravamo messi così, negli anni ’80. Però veniamo da una stagione in cui i risparmi producevano con il contagocce e all’apparire dell’inflazione perdevano valore. Che si provi a rimediare è un bene.

L’inflazione è una brutta bestia per chi risparmia, in compenso è un cavallo alato per chi ha debiti, diminuendone il valore. L’Italia, come Paese, è molto indebitato, gli italiani, come persone, molto poco (fin troppo, poco). L’aumento dei tassi favorisce i secondi e crea un problema alla prima.

Ma c’è l’altra faccia della medaglia: aumentare il costo del denaro frena la crescita, alla vigilia di un anno, il 2023, in cui già si prevede una considerevole frenata. Vero. Ma a parte che da noi restano i tassi più bassi, i soldi che spingono la crescita sono quelli degli investimenti, mentre la crescita dei consumi è virtuosa se alimentata da salari e dilapidatrice se alimentata da sussidi che gonfiano la spesa pubblica corrente. In ogni caso, i soldi per gli investimenti ci sono eccome, sono quelli del Pnrr, che per la loro parte a prestito sono forniti ad un tasso assai agevolato. È vero che anche quelli aumentano il debito, ma prima del Draghi teorizzatore del debito buono e di quello cattivo, sarà bene dare un occhio al citatissimo e poco conosciuto Keynes, che sostenendo l’opportunità della spesa in deficit, per la crescita e la piena occupazione, era anche per il pareggio delle partite correnti. Tradotto: si fanno debiti per gli investimenti, non per i consumi (della pubblica amministrazione o privati), non per la spesa corrente.

I tassi agevolati del Pnrr non sono una decisione sovrana dell’inesistente reuccio europeo, ma il frutto della garanzia offerta da tutti i contribuenti europei, di cui l’Italia è il principale beneficiario. Dopo avere sostenuto che quella è un’occasione storica e che si era diligentemente in regola con tutti gli adempimenti, da qualche settimana si va dicendo che siamo in ritardo, non riusciremo a spenderli, ce ne vorrebbero di più, i tassi devono restare a zero, ma la gente va difesa dall’inflazione indicizzando pensioni e salari, ovvero gonfiando la spesa pubblica e, nonostante questa sia la ricetta che ci portò alla rovina in passato, pensiamo di sostenerla mandando a stendere il Meccanismo europeo di stabilità. Che è come dire: sono diabetico, ho già avuto un infarto e i reni funzionano maluccio, ma sono libero di mangiare dolciumi, fumare a piacimento, bere solo alcolici e, sia chiaro, sono contrario a che si faccia un Pronto soccorso vicino casa mia, perché non ci voglio finire. Occhio, perché chi osserva potrebbe mettere da parte i soldi per il necrologio.

La Ragione

L'articolo Incredibili proviene da Fondazione Luigi Einaudi.



La morale asimmetrica degli euro-atlantici - Contropiano

"Indignarsi solo per talune violazioni è ipocrita. E, nondimeno, fa sorgere il sospetto che il discorso dei diritti umani divenga un’arma per contrastare alcuni governi, di solito in posizione concorrenziale con quelli che ci sono amici."

contropiano.org/news/cultura-n…




#uncaffèconluigieinaudi ☕ – Il Parlamento compirà il suo ufficio degnamente…


Il Parlamento compirà il suo ufficio degnamente se con energia reclamerà che i postulati della giustizia tributaria siano attuati per tutti da Corriere della Sera, 27 novembre 1919 L'articolo #uncaffèconluigieinaudi ☕ – Il Parlamento compirà il suo uffi
Il Parlamento compirà il suo ufficio degnamente se con energia reclamerà che i postulati della giustizia tributaria siano attuati per tutti


da Corriere della Sera, 27 novembre 1919

L'articolo #uncaffèconluigieinaudi ☕ – Il Parlamento compirà il suo ufficio degnamente… proviene da Fondazione Luigi Einaudi.


fondazioneluigieinaudi.it/unca…



‘Nazione’, questa sconosciuta


Piace, talvolta a fine settimana, ripassare gli avvenimenti e spiluccare qua e là e raccontarne. Piacerebbe, ma in realtà spiace, perché di stranezze, sciocchezze, arroganze e specialmente prove di ignoranza crassa, non mancano mai nel nostro Paese, gestito dal ceto politico peggiore d’Europa, ma in realtà peggiore del mondo. E dunque spilucchiamo. Cominciando dalla illustrissima […]

L'articolo ‘Nazione’, questa sconosciuta proviene da L'Indro.



Elon Musk ha deciso che su Twitter è possibile promuovere piattaforme come Friendica, Pleroma, Misskey, Bonfire, Lemmy, Akkoma, SocialHome, Hubzilla, etc 😅

help.twitter.com/en/rules-and-…

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in reply to Poliverso - notizie dal Fediverso ⁂

Visto che la barca sta per affondare, ho voluto tentare di sostituire i link con la ricerca dei link con il servizio Let me Google that For You.
Può anche accorciare i link delle ricerche.
Fatemi sapere se funziona.
googlethatforyou.com/
Unknown parent

mastodon - Collegamento all'originale
S_FangX
Semplicemente ho sostituito i link dell'aggregatore e dell'account di mastodon del mio account twitter con dei siti che ti cercano in automatico su #google i suddetti.
Devo solo sperare che questo trucchetto possa funzionare e durare abbastanza prima che lo staff di #birdsite capisca il trucchetto.
Questa voce è stata modificata (2 anni fa)



Il Massacro dei Pequot del 1637


La guerra Pequot del 1636-1638 è un evento storico cruciale nella colonizzazione degli Stati Uniti d’America, che porta alla distruzione della tribù Pequot e alla creazione del primo stato della colonia britannica del New England.Continue reading

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Comodo parlare di morale invece che di politica e democrazia - Kulturjam

"alle spinte democratiche delle masse popolari si sono sostituite le pressioni lobbistiche dei mercati. I quali investono coperti dall’esaltazione del libero commercio come diritto umano. I governi a loro dovranno rendere conto nell’azione programmatica.
I partiti fungono da enti di intermediazione. Con le loro naturali diramazioni scabrose. Quello che Parri già intravedeva nel 1946 oggi si è fatto Stato. Costitutivamente privatizzato. Un vero e proprio divorzio tra liberalismo e democrazia."

kulturjam.it/politica-e-attual…



L’Etiopia chiede la fine del mandato del team degli esperti in diritti umani dell’ONU – ICHREE


L’Etiopia ha invitato l’Unione europea a “prendere misure per terminare il mandato della Commissione internazionale di esperti alla prima sessione della Commissione per i diritti…

L’Etiopia ha invitato l’Unione europea a “prendere misure per terminare il mandato della Commissione internazionale di esperti alla prima sessione della Commissione per i diritti umani delle Nazioni Unite”.

Demeke Mekonnen, vice primo ministro e ministro degli affari esteri dell’Etiopia, ha fatto la chiamata durante un incontro il 9 dicembre 2022, dove ha informato gli ambasciatori dell’UE e degli Stati membri con sede ad Addis Abeba.

Il Consiglio per i diritti umani delle Nazioni Unite ha formato la Commissione internazionale di esperti in diritti umani in Etiopia (ICHREE) nel dicembre 2021 e ha prorogato il suo mandato di un ulteriore anno lo scorso ottobre. L’ICHREE è stato istituito per indagare sulle violazioni dei diritti umani e sui crimini di guerra avvenuti durante i due anni di guerra nel nord dell’Etiopia e consegnare i responsabili alla giustizia.


Approfondimenti:


Tuttavia, il governo etiope si è opposto alla formazione della commissione sin dal suo inizio. Il governo ha anche accusato la commissione di politicizzare le questioni relative ai diritti umani. Il governo etiope ha anche insistito sul fatto che il Joint Investigation Team (JIT), composto dalla Commissione etiope per i diritti umani (EHRC) e dall’Alto commissario delle Nazioni Unite per i diritti umani (OHCHR), sta già conducendo le indagini.

D’altra parte, l’ICHREE ha detto al Consiglio per i diritti umani delle Nazioni Unite che il governo etiope non gli avrebbe permesso di raccogliere prove nelle zone di guerra.

Dopo che il mese scorso il governo federale dell’Etiopia e il TPLF hanno raggiunto un accordo di pace a Pretoria, l’Unione Europea e il governo degli Stati Uniti stanno ancora insistendo affinché siano garantite responsabilità e risarcimento per le vittime della guerra. Il governo degli Stati Uniti ha anche affermato che l’Etiopia deve consentire all’ICHREE di reclamare lo status di AGOA.

Tuttavia, Demeke si è fortemente opposto alla mossa, durante l’ultimo briefing con la comunità diplomatica. “La commissione ha rifiutato l’offerta di cooperazione del governo etiope, ha oltrepassato il suo mandato e si è impegnata in attività illegali cercando di collegare il suo lavoro con il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite”.

Demeke ha anche detto agli ambasciatori che “l’accordo raggiunto a Pretoria costituisce l’attuazione di un quadro di giustizia transitoria per perseguire responsabilità, dire la verità, guarigione e riconciliazione in linea con la Costituzione della Repubblica Federale Democratica d’Etiopia (FDRE)”.


Approfondimenti:


Ha anche affermato che il governo sta discutendo con l’EHRC e l’UN-OHCHR sull’invio di una squadra di osservatori dei diritti umani nelle aree dilaniate dalla guerra.

Gli ambasciatori presso l’UE, invece, si sono congratulati con l’Etiopia per il raggiungimento di un ambizioso accordo di pace e si sono detti pronti a collaborare con il governo etiope per garantire l’attuazione dell’accordo.

“Fare la pace è più difficile che fare la guerra”, ha verbalizzato l’Ambasciatore Ue in Etiopia, Roland Kobia, apprezzando i passi prudenti compiuti dalle parti dell’accordo di pace firmato a Pretoria e Nairobi. “Con questo in mente, l’UE è pronta ad aiutare a mettere in atto l’accordo”.


Tuttavia, l’accordo di pace fa poco per le vittime della violenza che vogliono giustizia. Le sue disposizioni sulla responsabilità per le atrocità criminali sono formulate in modo troppo approssimativo. L’accordo afferma che il governo etiope adotterà “una politica nazionale globale di giustizia di transizione volta alla responsabilità, all’accertamento della verità, al risarcimento delle vittime, alla riconciliazione e alla guarigione, coerente con la Costituzione [dell’Etiopia] e il quadro politico della giustizia di transizione dell’Unione africana”. .

Questa affermazione è troppo generica e aperta all’interpretazione e dà abbastanza spazio al governo etiope per sottrarsi alle responsabilità e non avviare mai veramente un processo di giustizia transitoria che riterrà responsabili i criminali di guerra.


Dott. Mehari Taddele Maru

Etiopia, la Giustizia Non Deve Essere Uccisa Da Un Accordo di Pace


Demeke Mekonnen ha anche delineato agli ambasciatori la gamma di aree di opportunità per la cooperazione con l’UE e gli Stati membri in relazione agli sforzi di pace.


FONTE: thereporterethiopia.com/28639/


tommasin.org/blog/2022-12-18/l…




Da domani, 19 dicembre, è possibile abilitarsi al servizio dedicato alle #IscrizioniOnline, effettuando l’accesso tramite SPID, CIE o eIDAS ▶ www.istruzione.


Condiviso via Fedilab

@Dr. Giuliano Liuzzi :verified: 🔗 mastodon.uno/users/starman/sta…


Quanto zucchero? Uno di #astronomia grazie

Curiosità del mattino #25

L'orbita di #Mercurio è stata un rompicapo per gli astronomi fino #Einstein, che riuscì a spiegarne il movimento del perielio.

Gli astronomi credettero che ci fosse un altro pianeta, Vulcano, all'interno dell'orbita. Leverrier nel 1860 ne annunciò la presunta scoperta, salvo poi essere sempre deluso dalle osservazioni seguenti. Finché, nel 1919, Einstein trovo conferma della relatività generale. Addio Vulcano!

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A lunedi!




Dallo spreco di energia si può uscire


#Derrochólicos è un’iniziativa promossa dal ministero spagnolo per la transizione ecologica, in particolare dall’Istituto per la diversificazione e il risparmio energetico (#IDAE): derrocholicos.es/

Il titolo gioca con i termini “derroche” spreco e “alcoholicos”, alcolisti.

Marcos Martinez ha segnalato il simpatico video di apertura, riprendo qui la sua presentazione che riassume i contenuti del video in spagnolo.

"Il video di apertura è divertente ma purtroppo vero. Imitando una seduta di alcolisti anonimi, si incontrano chi tiene il riscaldamento così alto d'inverno da girare in mutande per casa, chi va in macchina anche a prendere il pane, chi fa partire la lavastoviglie con tre soli piatti, chi non usa la bici mai e poi mai, chi vota contro l'installazione di pannelli solari nel proprio condominio e chi è contrario a migliorare gli imballaggi."

Dallo spreco di energia si può uscire


yewtu.be/watch?v=VfMI2PUtNDg

Qui il toot di Marcos Martinez: framapiaf.org/@euklidiadas@red… Gracias 😀

@maupao @Informa Pirata @Ambiente :verified: @Goofy 📖 🍝 :unverified: @euklidiadas@red.niboe.info

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"La disponibilità di questi dettagli – secondo gli autori del saggio – è molto importante perché permette di inquadrare le prime fasi del processo di formazione stellare che sono piuttosto difficili da cogliere e soggetti a numerose variabili."

globalscience.it/40212/svelati…



Inflazione, costo del denaro, crisi energetica: istruzioni per l’uso - Contropiano

"Ricapitolando: se dal lavoro si guadagna poco e contemporaneamente si spende troppo per vivere, vuol dire che ancora una volta stiamo pagando una crisi economica, prodotta da scelte che sfuggono al nostro controllo politico, e che anzi agiscono contro le regole democratiche, perché violano senza scrupoli tutti i diritti.

E sappiamo, perché lo abbiamo già vissuto, che una volta sfiancati per raggiungere l’agognata ripresa, dopo la crisi, pagheremo anche quella, la ripresa: la crisi è sempre per tutti, e la ripresa solo per pochi.

E se per una volta provassimo a mettere in crisi chi ci ha messo in crisi? Il fatto è che stavolta è il non tentar che nuoce."

contropiano.org/news/politica-…



Etiopia, Affamati di Pace : la Risposta Umanitaria nel Tigray dopo l’Accordo di Pretoria


“Secondo i dati sulla distribuzione alimentare raccolti dal Food Cluster a novembre , il Tigray era ancora sotto blocco umanitario quasi un mese dopo che…

“Secondo i dati sulla distribuzione alimentare raccolti dal Food Cluster a novembre , il Tigray era ancora sotto blocco umanitario quasi un mese dopo che il governo etiope aveva promesso di consentire e facilitare “l’accesso umanitario senza ostacoli” al Tigray. Questo nuovo impegno per revocare l’assedio del Tigray faceva parte dell’accordo sulla cessazione delle ostilità , firmato il 2 novembre a Pretoria, in Sudafrica.”

Analisi di Duke Burbridge per Tghat

Secondo i termini dell’accordo, il governo etiope è obbligato a porre fine all’uso della fame armata contro il popolo del Tigray. Oggettivamente, nel corso della “Guerra del Tigray”, la negazione di cibo e medicine sono state le principali armi di guerra utilizzate dal governo etiope e l’obiettivo principale è stata la popolazione civile del Tigray. Dal novembre 2020, secondo il professor Jan Nyssen dell’Università di Gand, si ritiene che il blocco umanitario abbia causato la morte tra 350.000 e 500.000 civili nel Tigray a causa della fame e della negazione dell’assistenza sanitaria. Questo si aggiunge ai 30.000-90.000 morti in combattimento.

Dopo Pretoria, gli aiuti umanitari dovrebbero poter oltrepassare la linea di controllo e fornire cibo alle popolazioni civili ovunque nel Tigray. Tuttavia, alla fine di novembre, l’assistenza umanitaria non era ancora stata ripresa nelle aree sotto occupazione militare, con alcune eccezioni lungo il confine meridionale con la regione di Amhara. Le aree che rimangono bloccate dall’accesso umanitario includono quasi tutta la zona nord-occidentale e metà delle zone centro-orientali, che rappresentano collettivamente più della metà della popolazione totale bisognosa. In modo più critico, le aree che rimangono sotto blocco tendono anche ad essere quelle che:

Nella settimana terminata il 30 novembre, la distribuzione ha raggiunto solo l’1% (~36.000) dei 3,6 milioni di civili che hanno urgente bisogno di cibo nelle zone nord-occidentali, centrali e orientali. Ciò nonostante due nuove rotte di rifornimento che vanno da Amhara direttamente nella zona nord-occidentale per la prima volta in un anno e un’impennata nella consegna di cibo al Tigray nella seconda metà di novembre.
A sinistra la distribuzione di cibo nel Tigray sotto blocco. A destra la distribuzione di cibo nel Tigray dopo un mese di “accesso senza ostacoli”. Immagini dal cluster FSA sinistra la distribuzione di cibo nel Tigray sotto blocco. A destra la distribuzione di cibo nel Tigray dopo un mese di “accesso senza ostacoli”. Immagini dal cluster FS
Vale la pena notare che il blocco umanitario non diventa più legale man mano che si riduce. È un crimine contro l’umanità far morire di fame intenzionalmente un singolo distretto o città del Tigray. L’intera zona nord-occidentale e la maggior parte della zona centrale erano sotto il controllo federale etiope da più di un mese alla fine di novembre e l’assistenza alimentare cominciava a raggiungere solo una frazione delle famiglie bisognose. Nelle aree intorno alla capitale, dove si ritiene che il governo locale del Tigray controlli ancora, la risposta umanitaria sembra riprendere senza ostacoli.

Tre strati del blocco del Tigray


Come notato dal rapporto della Commissione internazionale di esperti in diritti umani sull’Etiopia (ICHREE) pubblicato a settembre, il blocco del Tigray è multidimensionale.

La Commissione trova ragionevoli motivi per ritenere che il governo federale e i governi degli Stati regionali alleati abbiano attuato un’ampia gamma di misure volte a privare sistematicamente la popolazione del Tigray di materiali e servizi indispensabili alla sua sopravvivenza, tra cui assistenza sanitaria, riparo, acqua, servizi igienici, istruzione e cibo.

Report della Commissione internazionale di esperti in diritti umani sull’Etiopia (19 settembre 2022), p12

Cerco di affrontare la complessità del blocco umanitario del Tigray nel mio programma UMD Media “Tigray Humanitarian Update”. Nello spettacolo, descrivo tre “strati” critici di ostruzione , che sono stati utilizzati dal governo etiope per impedire agli aiuti umanitari di raggiungere i civili tigrini. Questi strati comportano l’ostruzione deliberata di (1) forniture umanitarie, (2) carburante per l’invio umanitario all’interno del Tigray e (3) accesso nel Tigray a popolazioni note per avere urgente bisogno di cibo e medicine. È importante notare che la presenza di uno qualsiasi dei tre strati può comportare una completa negazione dell’aiuto.

Dopo la cessazione delle ostilità, ho creato una linea di base da un’istantanea dello stato di ogni livello al momento dell’accordo. In sostanza, a tutti coloro che risiedevano al di fuori della capitale Mekelle nel Tigray veniva impedito di ricevere assistenza umanitaria. Ciò significa che circa il 90% delle persone nel Tigray che necessitano di assistenza alimentare esterna secondo il Programma alimentare mondiale stanno deliberatamente morendo di fame. L’unico motivo per cui questo 10% non era sotto blocco era che il divieto di carburante per le operazioni umanitarie ha creato un collo di bottiglia per il cibo che è stato consegnato a Mekelle in agosto.

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Secondo i dati della Food Security and LogisticsClusters, nel corso del 2022, il Tigray è stato completamente bloccato per cinque dei primi undici mesi. Per tre mesi, nel Tigray è stato concesso cibo sufficiente per sfamare i civili nella capitale, ma il blocco del carburante ha limitato l’assistenza umanitaria al di fuori di Mekelle. A giugno, le restrizioni sul carburante sono state leggermente allentate per consentire l’invio di cibo fuori dalla capitale, ma sono state ripristinate a luglio. Non è stato fino ad agosto quando c’erano cibo e carburante sufficienti per portare aiuti umanitari ovunque nel Tigray, dove l’accesso non era bloccato dall’occupazione militare ostile. I combattimenti sono ripresi nell’ultima settimana di agosto e il governo etiope ha bloccato ancora una volta tutto il cibo e il carburante in arrivo nel Tigray a settembre e ottobre.

Nelle prime due settimane successive all’accordo sulla cessazione delle ostilità, non vi è stato assolutamente alcun progresso verso la revoca del blocco. Nella seconda metà del mese, i rifornimenti hanno ripreso ad entrare nel Tigray e l’aggiunta di nuove linee di rifornimento nel Tigray da Gondar e Kombulcha ha ridotto significativamente il fabbisogno di carburante. Tuttavia, il terzo strato del blocco è rimasto quasi del tutto intatto entro la fine del mese. Al 30 novembre, circa il 60% delle persone bisognose nel Tigray (ovvero circa 3,2 milioni di persone) rimaneva completamente bloccato dall’assistenza umanitaria esterna.

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Livello 1: forniture umanitarie (0% bloccato)


A partire dalla fine di novembre, questo strato del blocco umanitario sembra essere stato rimosso dal Tigray. Secondo il Food Cluster, 53.500 tonnellate di cibo sono entrate nel Tigray nel periodo di 20 giorni tra il 16 novembre e il 6 dicembre. Da allora ho potuto confermare che questa quantità proviene dalle due principali agenzie umanitarie internazionali che trasportano merci umanitarie e non il governo etiope.

Sebbene la quantità riportata dal Food Cluster sia molto inferiore ad alcune delle affermazioni più stravaganti fatte dal governo etiope, è comunque una quantità significativa di cibo che entra nel Tigray in un periodo di 20 giorni. Matematicamente parlando, si tratta di cibo appena sufficiente per nutrire l’intera popolazione bisognosa per il tempo necessario per la consegna. Dopo tre mesi di blocco completo e un’altra offensiva militare, le scorte di cibo al di fuori di Mekelle sono scarse o nulle, il che significa che qualsiasi ritardo nella distribuzione o spedizione all’interno del Tigray o interruzione nella consegna di cibo nel Tigray sarebbe catastrofico.

Livello 2: Carburante (Est 10-25% bloccato)


Aprendo ulteriori corridoi di rifornimento nel Tigray, la necessità di carburante viene ridotta di una quantità significativa, sebbene sconosciuta. Prima della ripresa del conflitto in agosto, i rifornimenti umanitari sono stati costretti ad entrare nel Tigray quasi esclusivamente attraverso il corridoio Semera-Mekelle. Dopo l’arrivo a Mekelle, i rifornimenti sono stati poi distribuiti in tutto il Tigray. Tuttavia, a causa del divieto del governo sul carburante per le operazioni umanitarie nel Tigray, agosto è stato l’unico mese di quest’anno in cui la fornitura di carburante è stata sufficiente per la normale distribuzione di cibo.

La quantità di carburante che è entrata nel Tigray non è stata confermata, ma è riportata dall’UNOCHA in 415.000 litri. Questo sarebbe stato circa un quarto di quanto era necessario in precedenza, ma senza una stima più aggiornata non è possibile sapere se questo è carburante sufficiente per distribuire cibo, acqua e altri aiuti salvavita.

Livello 3: accesso (60% bloccato)


Il terzo livello di blocco sta ancora impedendo a un numero significativo di persone bisognose di accedere all’assistenza umanitaria nel Tigray. Si stima che al 60% delle persone bisognose nel Tigray venga deliberatamente impedito di accedere all’assistenza umanitaria durante le condizioni di carestia.

Nell’ultimo anno, l’assistenza umanitaria è stata bloccata nelle aree del Tigray sotto occupazione militare da parte dei militari etiopi o eritrei o delle milizie Amhara. Fino a settembre questo territorio comprendeva solo la zona occidentale del Tigray e le aree lungo il confine settentrionale con l’Eritrea. In particolare a causa dello sfollamento forzato da queste regioni, questo blocco ha colpito meno del 5% della popolazione totale bisognosa nel Tigray.

Tuttavia, dopo la ripresa del conflitto, la coalizione etiopico-eritrea ha iniziato a guadagnare più terreno, compresi i principali centri abitati nella zona nordoccidentale come Sheraro e Shire, che ospitavano anche centinaia di migliaia di tigrini sfollati. Dopo aver preso Shire a metà ottobre, l’avanzata eritreo-etiope ha accelerato nella zona centrale e alla fine del mese circa il 70% del Tigray era di nuovo sotto occupazione.

Pensieri di separazione e conclusioni


Mentre l’accordo sulla cessazione delle ostilità avrebbe dovuto portare a un accesso umanitario senza ostacoli nelle aree occupate del Tigray, questo chiaramente non è accaduto per la stragrande maggioranza delle persone bisognose. Non ci sono state obiezioni sollevate da alcun influente attore internazionale o paese donatore in merito al continuo fallimento nel raggiungere i civili nel Tigray che sono probabilmente a maggior rischio di morire di fame. C’è stato un allarmante ma atteso silenzio da parte del gruppo di monitoraggio dell’Unione africana che il segretario Anthony Blinken si è impegnato a sostenere dopo il suo recente incontro con il primo ministro etiope Abiy Ahmed.

Si può solo presumere che il processo di pace sia andato come previsto dopo gli accordi di Pretoria. Il silenzio dell’Unione Africana; capi negoziatori, inviati speciali e funzionari del Dipartimento di Stato, sembra dimostrare che la continua fame dei civili tigrini era accettata come danno collaterale. L’approccio di pacificazione nei confronti dell’etiope è stato costante per più di un anno di progresso glaciale, che è stato possibile solo attraverso il sacrificio delle famiglie tigrine. Con un accordo ora in mano, il mondo deve ora riconoscere dove il governo etiope non sta onorando il suo impegno. Finché ai civili bisognosi di cibo verrà deliberatamente impedito di ricevere assistenza umanitaria ovunque nel Tigray, il processo di pace continuerà a rappresentare un crimine contro l’umanità.


(Duke continuerà a monitorare l’accesso umanitario nel Tigray e aggiornerà regolarmente questa colonna fino a quando il blocco umanitario del Tigray non sarà completamente revocato. È anche l’ospite dell’aggiornamento umanitario del Tigray sul canale YouTube di UMD Media . )


Duke Burbridge è stato Senior Research Associate presso l’International Center for Religion & Diplomacy (ICRD) per quindici anni, dove ha fornito supporto alla ricerca per programmi di costruzione della pace basati sulla comunità in paesi colpiti da conflitti come Pakistan, Yemen e Colombia. Durante la sua permanenza all’ICRD, Burbridge ha anche condotto ricerche sul ruolo dell’educazione nella radicalizzazione e nel reclutamento in gruppi estremisti violenti in Arabia Saudita e Pakistan e sul ruolo dei leader religiosi conservatori nel contrastare l’estremismo violento nello Yemen e nell’Africa settentrionale e orientale. Ha lasciato il campo nel 2021 per scrivere un libro sulla riforma della costruzione della pace guidata dall’esterno. Ha sospeso il libro per aumentare la consapevolezza del genocidio in atto nel Tigray.


FONTE: tghat.com/2022/12/15/starved-f…


tommasin.org/blog/2022-12-17/e…



Fuori dal campo, il Marocco vince i Mondiali Qatar 2022?


La Francia ha battuto il Marocco 2:0 in campo, ma fuori dal campo il Marocco è in vantaggio di 4:0. Alla fine, gli effetti del successo fuori dal campo del Marocco potrebbero estendersi molto più a lungo delle ricadute della sua prestazione stellare nello stadio. A dire il vero, il Marocco condivide il suo successo […]

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SONDAGGIO. Senza negoziati né diritti, i palestinesi «votano» per la lotta armata


Un sondaggio mostra il cambiamento radicale e repentino nella società: il 72% vede con favore i gruppi armati che si oppongono all'esercito israeliano. Zero fiducia nell'Autorità Nazionale anche tra la classe media. L'articolo SONDAGGIO. Senza negoziati

di Michele Giorgio –

Pagine Esteri, 17 dicembre 2022 – Scorrendo i risultati del sondaggio appena pubblicato dal Palestinian Center for Policy and Survey Research (Pcpsr), il sociologo Khalil Shikaki non esita a parlare di un «cambiamento radicale avvenuto in pochi mesi» nell’opinione pubblica palestinese, in particolare in Cisgiordania. Il dato che più di altri balza all’occhio è quello dell’aumento netto, rispetto al sondaggio precedente, del sostegno alla lotta armata contro l’occupazione israeliana. «Il 72% dei 1.200 intervistati si è detto favorevole alla nascita di gruppi armati simili alla Fossa dei Leoni», dice Shikaki riferendosi all’organizzazione che ha la sua roccaforte nella casbah di Nablus e che riunisce militanti di diversi orientamenti politici.

Una crescita che Shikaki vede come conseguenza anche dell’escalation in Cisgiordania dove si ripetono, quasi con frequenza quotidiana, i raid dell’esercito israeliano. Il bilancio provvisorio di palestinesi uccisi nel 2022 è di 166, tra i quali donne e minori. Di pari passo, sottolinea il sociologo, «Stiamo assistendo a un calo evidente nella percentuale di coloro che appoggiano la soluzione a due Stati (Israele e Palestina), data l’assenza di negoziati diplomatici». Il sostegno a una risoluzione negoziata del conflitto è ora al 32%. Un decennio fa il supporto si attestava al 55%.

Il sondaggio ha solo rivelato in cifre ciò che è palpabile nelle strade della Cisgiordania. L’assenza di qualsiasi prospettiva di una soluzione politica all’occupazione cominciata nel 1967 e l’intensificarsi della campagna militare israeliana, sembrano aver convinto un numero crescente di palestinesi, soprattutto quelli più giovani, che l’unica opzione sia quella armata.

Nel frattempo, gran parte della popolazione perde fiducia nell’Autorità nazionale palestinese (Anp) del presidente Abu Mazen. L’87% degli intervistati ha detto ai ricercatori del Pcpsr che l’Anp non ha il diritto di arrestare i membri dei gruppi armati per impedire gli attacchi all’esercito israeliano. Il 79% si è anche detto contrario alla resa dei combattenti e alla consegna delle loro armi all’Anp.

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L’emblema del gruppo armato di Nablus “Fossa dei Leoni”

Questi numeri assumono una rilevanza maggiore se si tiene conto che la classe media palestinese – formata in prevalenza da impiegati dell’Anp, da imprenditori e professionisti – è stata negli ultimi venti anni in buona parte contraria non solo alla lotta armata ma anche riluttante ad appoggiare una nuova Intifada popolare contro l’occupazione poiché avrebbe messo in discussione il suo status. Una posizione che, spiegano gli analisti palestinesi, è mutata di fronte alla insostenibilità dell’occupazione che dura da 55 anni.

Gli imprenditori, piccoli e grandi, solo per fare un esempio, incontrano difficoltà crescenti a operare negli stretti margini consentiti da regole e procedure imposte dall’Amministrazione Civile (Ac) israeliana, che per conto delle forze armate è responsabile della gestione della vita quotidiana di milioni di palestinesi, a eccezione delle competenze specifiche dell’Anp di Abu Mazen. L’Ac, attraverso la concessione di permessi di lavoro in Israele a 140mila manovali palestinesi, ha reso dipendente dallo Stato ebraico una quota significativa di famiglie cisgiordane, pur migliorando le loro condizioni di vita. Allo stesso tempo, non ha fatto nulla per tutte le altre.

I palestinesi, dall’operaio all’imprenditore, sono soggetti ogni giorno all’ottenimento di permessi, autorizzazioni e altro ancora dagli occupanti mentre, talvolta a poche centinaia di metri dalle loro abitazioni, i coloni israeliani godono di libertà di movimento e pieni diritti. Anche questi aspetti si riflettono nei risultati del sondaggio del Pcpsr.

E i palestinesi si attendono un peggioramento del quadro generale quando entreranno in carica i ministri, nonché leader della destra ultranazionalista, del nuovo governo israeliano. Il 61% degli intervistati pensa che l’esecutivo guidato da Benyamin Netanyahu sarà più estremista, il 64% si aspetta che il prossimo governo espellerà le famiglie palestinesi dal quartiere di Sheikh Jarrah a Gerusalemme est, il 68% che evacuerà con la forza i beduini palestinesi di Khan al-Ahmar e il 58% che cambierà lo status quo alla moschea Al-Aqsa. Previsioni certo non infondate. Pagine Esteri

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PERÙ. Il popolo chiede la liberazione del presidente Castillo, militari uccidono quattro giovani


Dopo sei giorni di detenzione, Castillo dal carcere continua a inviare una serie di scritti attraverso il suo legale denunciando i soprusi e i maltrattamenti subiti. Parole che hanno innescato una rivolta popolare. Colombia, Bolivia, Messico e Argentina n

di Davide Matrone –

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Pagine Esteri, 13 dicembre 2022 – La situazione in Perù è incandescente. La giornata del 12 dicembre ha generato un cambiamento brusco e repentino della realtà del paese in pieno caos. Ieri si è registrato un botta e risposta tra il presidente destituito e detenuto Pedro Castillo e la neo Presidente Dina Boluarte. Dopo sei giorni di detenzione, Castillo dal carcere continua a inviare una serie di scritti attraverso il suo legale denunciando i soprusi e i maltrattamenti subiti. Dichiarazioni scritte che hanno acceso gli animi della popolazione peruviana che nelle ultime ore ha invaso le piazze e le strade di molte città del paese. Lima, Arequipa, Huancabamba, Piura, Ayabaca, Chota, Cusco, Puno, Trujillo, Ucayali ed Andahuaylas, sono solo alcune delle zone calde di questa rivolta popolare che si è incrementata nelle ultime 48 ore. La zona centro sud del Perù è praticamente in rivolta e purtroppo bisogna già fare i conti coi primi 4 morti nelle zone di Andahuaylas e Huancabamba dove anche due scolari minorenni hanno perso la vita durante le manifestazioni popolari. Dina Boluarte viene attaccata ora dai manifestanti con maggior vigore e rabbia per la morte dei due adolescenti.

Ci sono alcune rivendicazioni ferme e precise da parte del popolo peruviano: scarcerazione immediata dell’ex Presidente Pedro Castillo e Convocazione di una Nuova Assemblea Costituente. Quest’ultima è maturata negli anni nella società peruviana e dagli ambienti accademici ha poi conquistato i settori dei contadini e lavoratori del paese. La più grande manifestazione per la Nuova Assemblea Costituente si ebbe nel novembre del 2020 quando milioni di peruviani, in rappresentanze delle forze politiche rivoluzionarie e progressiste del paese, scesero in piazza per chiedere la fine della Costituzione liberista e fascistoide dell’epoca del Fujimorismo. Nel programma elettorale di Pedro Castillo, durante le elezioni del 2021 c’era anche appunto quella della Convocazione dell’Assemblea Costituente. Nonostante i buoni propositi però non c’è stato poi il tempo di metterla in pratica. Nella giornata di ieri l’ex presidente del Perù si è espresso con le seguenti parole attraverso il suo twitter: “Caro, grandioso e paziente popolo peruviano. Io, Pedro Castillo, è lo stesso che 16 mesi fa venne eletto dal popolo per essere Presidente Costituzionale della Repubblica. Vi parlo nel momento più difficile del mio governo umiliato, incomunicato, maltrattato e sequestrato ma ancora investito della fiducia del popolo sovrano, ma anche intriso dello spirito glorioso dei nostri antenati. Vi parlo per ribadire in modo incondizionato di essere fedele al mandato popolare e costituzionale che ricopro come Presidente. Non abbandonerò e non mi dimetterò dalle mie alte e sacre funzioni. Quanto è stato detto recentemente da una usurpatrice del potere è quanto vuole la destra golpista del paese. Pertanto, il popolo non dovrebbe innamorarsi del suo sporco gioco di chiedere elezioni anticipate. Basta con gli abusi. Assemblea Costituente, ora. Libertà immediata”.

Queste parole dure e ferme di Castillo vengono immediatamente dopo alle dichiarazioni di Dina Boluarte che ha dichiarato alla Nazione: “All’assumere l’incarico di Presidente ho ribadito sin dal primo minuto che il mio governo avrebbe cercato il dialogo e la concertazione con tutti per il bene del paese. Governare significa rappresentare gli interessi di tutti i peruviani. Il mio dovere come Presidente della Repubblica è leggere ed interpretare le aspirazioni del popolo peruviano. Mi assumo la responsabilità di realizzare un dialogo con il Congresso ed anticipare le elezioni per il prossimo anno”. Una serie di affermazioni vuote e piene di retorica che non convincono per niente il popolo in lotta se non gli interessi delle elite peruviane. Le dichiarazioni di Boluarte sembrano uscite da un copione già ascoltato e visto in Ecuador con l’allora Presidente Lenin Moreno che con la scusa del dialogo e della concertazione aprì la strada allo smantellamento dello stato sociale costruito coi 10 anni di Rafael Correa. Dina Boluarte va per lo stesso cammino a quanto pare.

Intanto anche il popolo indigeno del Perù si è unito alle proteste in difesa del programma politico del Presidente Castillo. Nella giornata del 12 dicembre, le nazionalità indigene del Perù hanno espresso la volontà di realizzare una marcia in tutto il paese attraversolo da nord a sud. In una conferenza stampa all’aperto hanno rilasciato le seguenti parole: “Non hanno permesso di lavorare il governo. Questo Congresso ha frenato l’iter di almeno una sessantina di progetti di legge a favore dei contadini e dei lavoratori che erano parte del programma elettorale di Castillo. Il Congresso in modo frenetico e arbitrario ha destituito il Presidente e ora lo vuole anche già sentenziare. Il popolo indigeno del Perù non può restare in silenzio di fronte a questo delitto perpetuato dal Congresso. Quindi, ci stiamo organizzando e stiamo allertando tutto il popolo affinché giunga fino a Lima per circondare e chiudere il Congresso del paese”.

Nel frattempo a livello continentale, in un comunicato congiunto, le cancellerie dei governi di Colombia, Bolivia, Messico ed Argentina non riconoscono Dina Boluarte come Presidente Costituzionale del Perù. Allo stesso tempo esprimono la loro preoccupazione per le sorti dell’ex Presidente Castillo che è stato vittina di un atto antidemocratico come sanzionato nell’articolo 23 della Convezione Americana sui Diritti Umani ratificato nel Patto di Costa Rica, approvato il 22 novembre del 1969. Inoltre, lo stesso Pedro Castillo è stato oggetto di un trattamento giuridico violento in violazione dell’articolo 25 della stessa Convenzione. I quattro governi latinoamericani dichiarano, oltretutto, che venga accettata la volontà del popolo peruviano attraverso le urne, nuovamente. Pagine Esteri

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La postdemocrazia tra elites boriose e analfabeti funzionali - Kulturjam

"Oggi, in un’epoca postdemocratica, si tende a negare al non competente la parola.

L’élite è mediamente spocchiosa ed arrogante e produce come reazione della massa una perdita di stimoli ad interagire con chi ne sa di più, un trincerarsi nella propria incompetenza o una inclinazione a reperire informazioni senza vagliare, selezionare, approfondire."

kulturjam.it/costume-e-societa…




La maratona dei tassiIeri la Bce ha alzato i tassi di interesse di altri 50 punti base. Dopo i due rialzi da 75 punti di settembre e ottobre, Francoforte rallenta.


‘Qatargate’: postille reputazionali


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Il piú grande difetto


"Il più grande difetto che abbiamo, il difetto ineliminabile, è di fare fatica a rimanere concentrati su quello che accade, nel momento preciso in cui viene bene un disegno, quando il respiro dei bambini si fa più lento, prima di addormentarsi. Pensiamo, speriamo, progettiamo, e ci manca qualcuno, ricordiamo il film dell'altra sera, ripensiamo a un messaggio, contiamo sulle dita quanto manca al nostro compleanno, ci distraiamo, ci preoccupiamo, mentre quello che desideriamo è già vicino, speriamo e ci diamo da fare, mentre tutto già brilla e quello che abbiamo voluto e chiesto al cielo molti anni prima è proprio lì, in quel momento."
- Sara Gamberini - Infinito Moonlit

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