PODCAST PERÙ. In piazza per Castillo e contro lo stato di polizia
di Eliana Riva –
Pagine Esteri, 20 dicembre 2022 – È salito a 24 il numero delle uccisioni tra i manifestanti peruviani che sono scesi in piazza per chiedere la scarcerazione del presidente destituito Pedro Castillo, le dimissioni della nuova premier Dina Boluarte e l’avvio di un nuovo processo costituente.
Il governo utilizza il pugno di ferro e risponde alle proteste con l’utilizzo di armi da fuoco. Ma le uccisioni gettano benzina sul fuoco e le dimostrazioni non calano d’intensità. Anzi, il fatto che tra i morti ci siano anche minorenni non fa che aumentare la rabbia dei manifestanti, che continuano, in misura sempre maggiore, a scendere nelle piazze e per le strade. Ne abbiamo parlato con Davide Matrone, analista e giornalista, che si occupa di America Latina.
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Sergio Rizzo – Potere assoluto
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La (difficile) metamorfosi liberale di Giorgia Meloni
Prima sull’atlantismo, poi sull’ispirazione economica: la premier abbandona vecchie culture di destra, ma senza una rivoluzione culturale rischia l’appannamento
A causa della lente deformante dei social e di una disponibilità alla messa in scena di sé ormai prossima all’esibizionismo compulsivo, le leadership, oggi, si dilatano. Si dilatano al punto da apparire sufficienti a se stesse come se vivessero solo di vita (politica) propria. È capitato tra gli altri, anche ai due Mattei.
Sia Matteo Renzi sia Matteo Salvini si sono affermati sulla scena nazionale in quanto leader di partiti “storici”. Partiti con un proprio vissuto, un proprio carattere, una propria identità, dei propri valori e una propria classe dirigente. Ma nel momento di massima potenza la leadership dei due Mattei ha oscurato e in apparenza cancellato ogni traccia del contesto nel quale era nata e con prepotenza si dispiegava. Sembrava ci fossero solo loro, i leader. Sembrava potessero legittimamente incarnare ogni ruolo e fare propria ogni tradizione e stile: destra e sinistra, alto e basso, politica e demagogia, Stato e mercato, ragione e sentimento…
Tutto quello che toccavano per un breve periodo brillava d’oro. Poi, improvvisamente, lo stato di grazia è finito e di punto in bianco sono stati percepiti come corpi estranei dagli stessi organismi politici che li avevano partoriti fino ad essere da questi espulsi, o quantomeno “normalizzati”.
È il rischio che corre Giorgia Meloni.
Già la prima delle sue scelte politiche, quella più netta e ad oggi quella strategicamente più efficace, ha in effetti rappresentato uno strappo. Uno strappo culturale. Schierandosi senza se e senza ma dalla parte della Nato e degli Stati Uniti nel conflitto ucraino Giorgia Meloni ha tagliato i ponti con quella parte della destra missina caratterizzata da un antiamericanismo tanto cerebrale quanto viscerale. La rappresentavano, un tempo, personaggi autorevoli: Beppe Niccolai, Filippo Anfuso, Pino Rauti, Enzo Erra, Giano Accame… Ce l’avevano con l’America perché aveva sconfitto il fascismo, ma anche perché rappresentava un modello culturale e di sviluppo diverso dal loro, per non dire da loro considerato nemico: il capitalismo. Il capitalismo inteso come l’eclissi dei valori e delle identità “tradizionali” e il trionfo dell’individualismo e del consumismo.
La Destra sociale era una minoranza politica, ma esercitava un’egemonia culturale sull’intera destra. Non molto è cambiato. L’appellativo “liberale” non era un complimento nel Movimento sociale italiano e fino a ieri non lo è stato neanche in Fratelli d’Italia. Un partito cresciuto col mito dello Stato, di conseguenza, salvo lodevoli ma rari casi, diffidente verso il mercato e insofferente nei confronti della cessione di sovranità all’Unione europea.
Sembrerebbe che questo sia il secondo strappo che Giorgia Meloni ha in mente. Lo ha lasciato intendere offrendo il ministero dell’Economia a Fabio Panetta, imponendo Carlo Nordio alla Giustizia, chiamando come consigliere economico a palazzo Chigi il capo del Servizio bilancio del Senato, uno stimato liberale membro del Consiglio di amministrazione della Fondazione Luigi Einaudi, Renato Loiero.
Del resto, lo aveva detto con rara chiarezza già nel discorso per la fiducia al Parlamento, quando annunciò nientemeno che una rivoluzione: “Una rivoluzione culturale nel rapporto tra Stato e sistema produttivo.. La ricchezza la creano le imprese con i loro lavoratori, non lo Stato tramite editti o decreti”, disse alla Camera e ripeté in Senato il presidente del Consiglio incaricato Giorgia Meloni lo scorso 25 ottobre. Lo Stato, aggiunse, deve solo cercare di non essere d’ostacolo allo spirito di intrapresa e al desiderio di autorealizzazione dei privati cittadini, che vanno di conseguenza lasciati liberi il più possibile.
Parole allora sottovalutate, per trascuratezza e/o per sfiducia, da buona parte dei media. Parole che se fossero vere presupporrebbero una radicale metamorfosi della destra: “conservatrice” si, ma “liberale” e forse persino libertaria. Una metamorfosi che, se ci crede davvero e se non vuole fare la fine dei due Mattei, Giorgia Meloni farebbe bene ad accompagnare con un sistematico e approfondito lavoro culturale e politico sugli eletti e sugli elettori della destra affinché “il contesto” le corrisponda il più possibile e ne riconosca la leadership e i valori che incarna anche quando, fatalmente, il suo carisma si appannerà e la fortuna le girerà le spalle.
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La globalizzazione ai tempi del friend-shoring - Contropiano
La globalizzazione ai tempi del friend-shoring - Contropiano
«È interessante perché porta fuori il conflitto dalle logiche prettamente geopolitiche, per proporre un respiro più ampio sulle strategie imperialiste post globalizzazione. Fare affari solo con gli amici è possibile se si produce la lista di proscrizione dei nemici e quindi se si impone a paesi amici o alleati di schierarsi, in una sorta di nuovo imperativo che si potrebbe esprimere con il vecchio o con noi o contro di noi.
Ecco che la retorica delle democrazie euro atlantiche che si devono difendere dalle “autocrazie” russa e cinese ha la funzione di spingere le opinioni pubbliche, e di conseguenza i consumatori, le imprese e i governi locali ad accettare le regole del nuovo assetto dei mercati.
Se finora la globalizzazione era venduta come veicolo propagandistico per il più grande assortimento di merci a basso prezzo della storia, perché, come spiegava Deng Xiaoping, “non importa se il gatto sia bianco o nero, l’importante è che acchiappi i topi”, la nuova dottrina “friend-shoring” ha bisogno di convincere, al contrario, che il colore dei soldi è importane, tanto che è meglio comprare dai “paesi amici”, anche se il prezzo è maggiore, come, per esempio, nel caso del gas Gnl americano.
[...]
Amici degli USA, dunque e della loro geopolitica. Per la quale l’Ue deve dimostrare nei fatti un sentimento di legame indissolubile, a cominciare dalla fedeltà alla NATO, cui si sono aumentati i contributi, fino al 2 per cento di PIL da parte di ciascuno degli stati membri.
Una fedeltà onerosa, per la quale si sta accettando l’idea che una nuova guerra nel Vecchio Continente sia giusta, non importa quanto pericolosa possa diventare. E non importa neppure se questa sudditanza acritica metta seriamente in crisi la retorica che voleva l’Unione come garanzia della pace, come conquista di civiltà giuridica in Europa, che è stato il leitmotiv della pubblicistica di Bruxelles.»
uncaffèconluigieinaudi ☕ – Dice l’idea liberale: “L’uomo non è persona libera…
Dice l’idea liberale: “L’uomo non è persona libera, autonoma, non è uomo veramente, se non conosci quali debbano essere i giudici naturali del suo operato.”
da Corriere della Sera, 24 dicembre 1921
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Calcio… e la chiami cultura?
Ora, beninteso, io di calcio non capisco nulla, specie dal punto di vista ‘tecnico’. Anzi, a dire il vero mi è sempre piaciuto poco e ora sempre meno. Non sopporto le urla sguaiate del “telecronisti” di classe ormai zeta: arruffoni, urlatori … inutili. Mi interessava, talvolta, riuscire a capire la ‘manovra’, la tattica, insomma: ma, […]
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Perù: golpe e contro-golpe
Il 7 dicembre in Perù è scoppiato il caos istituzionale e democratico quando il Presidente Pedro Castillo ha annunciato lo scioglimento del parlamento e l’instaurazione di un ‘governo di emergenza eccezionale’. Durante il suo discorso alla nazione, in cui è stato fatto l’annuncio, Castillo ha sottolineato che il parlamento non ha mai accetttato che un […]
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La crisi ucraina vista dalla Tunisia
In considerazione della pericolosa escalation del conflitto in Ucraina e dell’allarmante svolta in peggio che ne è derivata, nonché dell’isterica campagna guerrafondaia che l’accompagna, ho ritenuto utile portare alcuni chiarimenti e punti di vista personali su questo conflitto. Ho servito per diversi anni come Ambasciatore della Tunisia sia in Russia che in Ucraina. Quindi, tengo […]
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Il Segretario Generale Andrea Cangini ospite a TGCOM24
Il Segretario Generale Andrea Cangini sarà ospite a TGCOM24 lunedì 19 dicembre a partire dalle ore 21:45
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Nagorno-Karabakh: le esportazioni di droni iraniani in Armenia potrebbero minare il processo di pace
La recente guerra verbale tra l’Azerbaigian e l’Armenia e gli sviluppi delle ultime settimane hanno dimostrato che entrambe le parti sono lontane dal firmare un accordo di pace, promesso entro la fine del 2022. Sebbene entrambi gli Stati abbiano promesso di intensificare gli sforzi congiunti su il trattato di pace finale nell’ottobre 2022 a margine […]
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Scuola di Liberalismo 2022 – Messina: lezione di Giuseppe Gembillo sul tema “L’uomo a una dimensione”
Oggi lunedì 19 dicembre, dalle ore 17.00 alle ore 18.30, sulla piattaforma ZOOM si terrà la quinta lezione della Scuola di Liberalismo di Messina 2022.
Tuttavia, a causa di sopraggiunti impedimenti personali, il prof. Giuseppe Sobbrio (che oggi avrebbe dovuto relazionare sull’opera «La libertà» di John Stuart Mill) non potrà essere presente.
In sua sostituzione, la lezione sarà tenuta da Giuseppe Gembillo, che relazionerà sull’opera «L’uomo a una dimensione» di H. Marcuse, una delle più radicali disamine e critiche della condizione umana nelle società industriali avanzate.
La partecipazione all’incontro è valida ai fini del riconoscimento di crediti formativi per gli avvocati iscritti all’Ordine degli Avvocati di Messina, nonché per gli studenti dell’Università di Messina.
Pippo Rao Direttore Generale Scuola di Liberalismo di Messina
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Ucraina: la Russia affronta lo stress post-traumatico su scala nazionale
Oltre ai problemi economici che la Russia deve affrontare e continuerà ad affrontare quando la guerra in Ucraina finirà, un’altra ondata di sfide arriverà in Russia indipendentemente dall’esito del conflitto: quella del ritorno dei soldati. Coloro che hanno commesso crimini di guerra o hanno semplicemente vissuto il combattimento torneranno alla società russa e alla vita […]
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L’Iran e l’’asiatizzazione’ della politica mondiale
In un’epoca caratterizzata dalla cospicua ascesa della Cina e dalla crescente aggressione russa, sta prendendo forma all’interno della politica internazionale un nuovo ordine mondiale post-occidentale . La Shanghai Cooperation Organization (SCO) è stata istituita per perseguire la strada ‘asiatica’ di un ordine mondiale post-occidentale e pre-plurale. Cina e Russia, nel tentativo di minare l’influenza globale […]
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USA – Russia: ricordando un’’età dell’oro’ della diplomazia
La storica nomina dell’Ambasciatrice Lynne Tracy da parte del Presidente Joe Biden a servire come prima donna ambasciatrice nella Federazione Russa è passata per lo più sotto il radar dei media. E con la sua udienza di conferma di fine novembre davanti alla commissione per le relazioni estere del Senato, la conferma finale di Tracy […]
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Ministero dell'Istruzione
#IscrizioniOnline, il Ministero dell’Istruzione e del Merito accompagna le famiglie con una lettera dedicata, per valorizzare i talenti e le opportunità di studentesse e studenti.Telegram
Una legge per lo spazio: una discussione di alto livello
Il 15 dicembre 1964, il team guidato da Luigi Broglio e Carlo Buongiorno lanciava la sonda San Marco 1 dalla base americana di Wallops Island, portando l’Italia al terzo posto tra i Paesi in grado di concepire e realizzare una missione spaziale. Un primato, nel suo genere, visto che ad iniziare era stata l’Unione Sovietica […]
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Serve un’Autorità nazionale per i diritti umani: l’Onu ce la chiede da trent’anni.
Il recente scandalo che scuote il Parlamento Europeo ha coinvolto anche alcuni enti senza scopo di lucro, con sede in Italia o comunque riferibili a soggetti di nazionalità italiana, che operano nel campo della tutela dei diritti umani, compresi enti che godono dello status di ONG, Organizzazioni Non Governative, presso prestigiose istituzioni internazionali.
Prescindendo dalla singola vicenda, i cui contorni dovranno essere chiariti nelle sedi opportune, e dagli enti e dalle persone coinvolti, che devono godere dei modi e dei tempi per dimostrare la propria estraneità che, per alcuni di essi sinceramente spero possa essere accertata al più presto, c’è una riflessione di carattere generale che deve essere immediatamente fatta, anche per porre rimedio ad una delle più vistose incongruenze della politica nazionale sui diritti umani.
Il 20/12/1993 l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite adottava una risoluzione con la quale faceva obbligo agli Stati membri di istituire un’Autorità Nazionale per i Diritti Umani che rispondesse ai requisiti di quelli che sono conosciuti come i Paris Principles, linee guida sulle competenze, la composizione, le garanzie e i metodi di lavoro delle autorità indipendenti per i diritti umani.
L’Italia, dopo quasi 30 anni, non ha ancora adempiuto il suo obbligo internazionale, non si è dotata di tale Autorità e non partecipa, quindi, alle attività della Alleanza Globale delle Autorità Nazionali per i Diritti Umani.
L’Italia, dopo quasi 30 anni, è priva di un’istituzione che abbia competenza sulla protezione e promozione dei diritti umani con poteri di formulare proposte per migliorare la normativa e per sollecitare la ratifica delle convenzioni internazionali in materia, di diffondere la corretta cultura della tutela dei diritti umani nelle scuole, nelle università e nella società, di offrire il proprio parere alle istituzioni internazionali che controllano l’adempimento dell’Italia ai propri obblighi internazionali nella materia, di sviluppare relazioni con le organizzazioni della società civile che operano seriamente e correttamente nel campo dei diritti umani e sostenerle nella loro azione.
Perché questo può accadere, nel silenzio generale, per un’iniziativa che, idealmente, non avrebbe dovuto trovare alcun ostacolo e avrebbe dovuto, anzi, ottenere una condivisione unanime delle forze politiche ?
I diritti umani nascono come limite alle intromissioni indebite dello Stato nei diritti individuali del cittadino e, quindi, che i Governi vedano un’autorità indipendente come un limite, piuttosto che come un’opportunità, è comprensibile, ma non è spiegazione da sola sufficiente.
Il vero interesse che frena qualsiasi iniziativa che tenda all’istituzione di tale autorità indipendente in Italia va, piuttosto, ricercato nell’acquisito monopolio culturale di una parte politica sulle associazioni che operano nel campo della tutela dei diritti umani le quali, in assenza dell’autorità pubblica indipendente, agiscono sulla scena nazionale ed internazionale come titolari esclusive e qualificate della promozione e dell’implementazione dei diritti umani in Italia.
Ciò ha come conseguenza, da una parte, che sulla scena nazionale ed internazionale vengano tematizzati solo aspetti specifici e settoriali della materia, coerenti con gli ideali, le scelte e le esigenze della parte politica di riferimento e, dall’altra, che i flussi finanziari pubblici vengano indirizzati con una certa naturalezza in larga parte verso associazioni dalle quali è anche possibile ottenere sostegno politico ed elettorale, senza il filtro di un istituzione indipendente che, in quanto tale, non garantirebbe scelte utili a procurare dal finanziamento delle ricerche e delle attività di tali associazioni ritorni politici o elettorali.
Attorno a questo sistema vive, infatti, tutto un mondo che, contrariamente a quanto può pensarsi, non è affatto costituto solo da idealisti volontari, ma anche da donne e uomini ben retribuiti per le loro attività all’interno delle organizzazioni di tutela dei diritti umani.
Non c’è molto da stupirsi, quindi, se un sistema che si piega ad esigenze e funzioni improprie trovi, nel tempo, le ragioni e le occasioni per tradire le ragioni per le quali dovrebbe esistere, con la creazione da parte di chi è interno a quel sistema di enti ad hoc, utili ad intercettare i flussi di finanziamento pubblici nazionali e internazionali, o, addirittura, con la vendita al miglior offerente della propria capacità, non frutto di merito ma di rendita di posizione, di influenzare le scelte politiche nazionali e internazionali.
Né c’è da stupirsi se le organizzazioni di tutela dei diritti umani serie e scientificamente più accreditate, composte in gran parte da volontari non retribuiti e quindi non condizionabili, stentino a sopravvivere e debbano limitare la propria attività di ricerca, assistenza tecnica e formazione culturale e professionale, pagando un alto prezzo al mantenimento della propria indipendenza.
E non sembra certo impossibile che tale preoccupante scenario si riproponga anche in settori diversi da quello della tutela dei diritti umani, ad iniziare dal settore culturale.
Lo status quo, quindi, conviene a qualcuno, ma certamente non conviene all’Italia.
Ancora di recente l’Italia, tra l’altro, ha ricevuto l’ennesimo sollecito dalle istituzioni internazionali a creare la propria Autorità Nazionale per i Diritti Umani, ma ancora una volta nessuna evidenza è stata data, e nessun seguito, a tali raccomandazioni che pur prevenivano da fonti autorevolissime come la Commissione Europea, nel suo 2022 Rule of Law Report, e il Comitato sui Diritti Economici, Sociali e Culturali delle Nazioni Unite, nel suo sesto report periodico, pubblicato nel 2022, sul rispetto delle regole dello Stato di Diritto in Italia, nell’ambito del quale ben 45 Stati, da tutti i continenti, hanno indirizzato una specifica e diretta raccomandazione all’Italia per l’istituzione di tale Autorità Nazionale.
Se una lezione, molto facile, dobbiamo imparare dalla triste vicenda caratterizzata dalle valigie piene di contanti all’interno del Parlamento Europeo, è certamente quella che il tema dei diritti umani in Italia va restituito al più presto al dibattito pubblico, senza restare confinato nelle soffocanti anticamere delle segreterie politiche, nell’unico modo possibile: istituendo finalmente l’Autorità Nazionale per i Diritti Umani.
E scopriremo un mondo nuovo e affascinante, un mondo nel quale i diritti umani hanno una dimensione universale e non limitata ad aspetti particolari identitari, un mondo nel quale non si rischia di trasformare il tema dei diritti fondamentali della persona in quello dei “capricci fondamentali” di alcune persone.
Basta poco, sarebbe sufficiente un’iniziativa parlamentare per riprendere e correggere il disegno di legge che giace nella morta gora della precedente legislatura e riproporlo in quella presente.
In Senato si sta per costituire, per lodevole iniziativa del senatore a vita Elena Cattaneo, la Commissione Straordinaria sui Diritti Umani: non c’è argomento più serio, importante e urgente di quello di dare adempimento a un obbligo internazionale di grande importanza politica, culturale e sociale, rimasto inevaso per trenta anni, che una Commissione tematica possa affrontare con la passione e l’urgenza che i recenti fatti di cronaca hanno svelato, offrendo a tutti una chiave di lettura posseduta sino a pochi giorni addietro solo dagli addetti ai lavori ma che oggi è patrimonio di conoscenza comune che non consente a nessuno di fingere che le cose accadano a propria insaputa.
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Presentato “Il cielo di Sabra e Chatila”, il documentario di Pagine Esteri sui campi profughi palestinesi in Libano
della redazione –
Pagine Esteri, 19 dicembre 2022 – Presentato il documentario prodotto da Pagine Esteri, “Il cielo di Sabra e Chatila”, girato nei campi profughi palestinesi del Libano in occasione dei 40 anni dalla strage compiuta dalla destra falangista libanese durante l’invasione israeliana del Libano.
La prima proiezione nazionale all’interno del Festival cinematografico “Intimalente”, tenutosi a Caserta tra il 14 e il 18 dicembre ha raccolto entusiasmo, apprezzamento e tanta curiosità.
“Il cielo di Sabra e Chatila” è stato realizzato grazie alla collaborazione con la Spring Edizioni e l’associazione Pixel aps, che ha lanciato la raccolta crowdfunding su Eppela.com
Il documentario, per la regia di Eliana Riva, racconta quello che è accaduto 40 anni fa ma anche la condizione, oggi, dei profughi palestinesi che ancora vivono i campi nati nel 1948, dopo la proclamazione dello Stato di Israele e l’inizio della Nakba che causò l’espulsione e l’esodo di circa 700.000 palestinesi. I profughi lasciarono le loro case e, in attesa di ritornarci, si rifugiarono in altri stati arabi. Israele, però, non ha mai consentito loro di esercitare il diritto al ritorno, così come sancito dalla Dichiarazione Universale dei diritti dell’uomo, dalla Convenzione di Ginevra e dalle Nazioni Unite. I palestinesi sono quindi rimasti all’interno dei campi. Ancora oggi non hanno diritto, in Libano, ad acquistare abitazioni, alla proprietà privata e ad esercitare moltissime professioni.
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La popolazione dei campi profughi è aumentata, anno dopo anno, generazione dopo generazione (oggi siamo alla quarta) ma la superficie non si è allargata, non è permesso, e così l’espansione abitativa si è sviluppata in alto. Un piano sopra l’altro, in situazioni di povertà, di difficoltà estrema, il cielo è spesso oscurato dai palazzi che quasi si toccano nei vicoli di Sabra e Chatila e dai cavi, un groviglio di cavi infinito che causano spesso incidenti e morti.
La voce delle abitanti dei campi, di giornalisti ed esperti accademici accompagna lo spettatore nella storia e nell’attualità di Sabra e Chatila e di tutti gli altri campi profughi palestinesi presenti in Libano, con le immagini di quella che è la quotidianità per centinaia di migliaia di persone, tra cui tantissimi bambini. La storia di Sabra e Chatila e del massacro è tramandata da generazione in generazione e le celebrazioni, nei giorni della strage, si svolgono all’interno di tutti i campi.
Siamo entrati nei campi insieme a uno dei protagonisti del documentario, Vittorio Rosa, cresciuto a Sabra e Chatila e uscito insieme ai combattenti palestinesi, secondo quelli che erano gli accordi con Israele e le garanzie degli Stati Uniti, poco prima che il massacro avvenisse. Abbiamo raccolto la sua storia, i suoi ricordi e l’emozione di tornare a casa dopo 40 anni.
“Il cielo di Sabra e Chatila” inizia da qui il suo viaggio nei Festival e in proiezione in diverse tappe italiane.
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Dallo Stato Sociale al Great Reset
Come abbiamo visto nella prima parte di questo articolo, l’idea di Stato Sociale nacque negli Stati Uniti da uno strano ma molto efficace connubio tra religione (protestante) e politica.
I pietisti protestanti del tardo ‘800 furono infatti in grado di sfruttare lo Stato centrale come strumento per plasmare la società a loro immagine e somiglianza, spesso attraverso politiche proibizioniste o misure di “welfare universale” che nascondevano in realtà specifiche volontà politiche (come la diffusione delle scuole pubbliche — la prima vera macchina di propaganda). Questo nuovo movimento intellettuale venne poi conosciuto come “progressismo”.
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L’idea dei protestanti-progressisti era tanto semplice quanto inquietante: lo Stato era uno strumento di Dio, che doveva essere usato per creare la società perfetta e preparare il mondo per il secondo avvento.
Personalmente, trovo che ci siano molte analogie tra i primi movimenti progressisti e il Great Reset promosso dal World Economic Forum e ormai da moltissimi intellettuali e politici in tutto il mondo. La tecnologia oggi può concretamente trasformare lo Stato in uno strumento divino, proprio come profetizzato dai primi intellettuali progressisti del tardo ‘800.
La Francia ritira i soldati dalla Repubblica Centrafricana. Cresce in Africa l’influenza degli Usa
della redazione
Pagine Esteri, 19 dicembre 2022 – Con l’intento di spostare gradualmente il suo focus in Benin, Ghana e Costa d’Avorio e, più di ogni altra parte, in Niger, paese centrale per le forniture di uranio che alimentano i suoi reattori atomici, la Francia ha ritirato gli ultimi soldati stanziati in Repubblica Centrafricana dove erano stati inviati, ufficialmente, per combattere i gruppi armati che destabilizzavano il Paese. A giugno si è anche concluso il ridispiegamento volto a dimezzare entro il 2023 da 5mila a circa 2.500 i soldati francesi stanziati in Mali (missioni Barkhane e Takuba). Il 13 dicembre il campo di M’Poko – ospitante le forze francesi – è stato consegnato alle autorità centrafricane in coordinamento con la missione dell’Onu (Minusca) e con quella dell’Unione europea.
La missione Mislognella Repubblica Centrafricana “non aveva più alcuna giustificazione operativa”, ha spiegato il ministero della difesa francese annunciando in rientro in patria di 47 soldati (inizialmente era 130 uomini) rendendo definitiva la separazione fra Parigi e Bangui annunciata lo scorso anno. Una scelta che, dissero gli analisti francesi, era la conseguenza dell’arrivo nel Paese africano del gruppo paramilitare russo Wagner come già avvenuto in precedenza in Mali. “Nel 2021, quando la presenza della compagnia militare privata Wagner era sempre più invadente nel Paese, la Francia ha constatato l’assenza delle condizioni per continuare a lavorare a beneficio delle forze armate centrafricane”, ha dichiarato il generale Francois-Xavier Mabin, comandante della Mislog.
In realtà il ritiro di Parigi, ex potenza coloniale in Africa – accusata di svolgere, seppur con modalità diverse, ancora quel ruolo – da Bangui deve leggersi all’interno del contesto regionale. La Francia, e il presidente Macron ne è ben consapevole, risulta sempre più perdente nella competizione con Russia e Cina che allargano e conquistano terreno, in termini economici e di influenza, nel continente africano ricco di risorse. Un ulteriore segnale del suo declino è stato anche il raffreddamento delle relazioni con il Burkina Faso, frutto di un crescente sentimento antifrancese.
L’invio in Africa di contingenti militari francesi come di altri Paesi occidentali per “combattere il terrorismo” si scontra sempre di più con l’idea che spetti agli Stati africani di decidere e attuare in piena autonomia le strategie più idonee per affrontare le formazioni jihadiste – Isis e al Qaeda – che infoltiscono i loro ranghi e rafforzano le loro posizioni. Diverse organizzazioni regionali negli ultimi mesi hanno programmato l’invio di forze militari in situazioni di crisi. Come nel caso della Comunità dell’Africa orientale (Eac) nella Repubblica democratica del Congo, della Comunità dei Paesi dell’Africa meridionale (Sadc) in Mozambico e della Comunità economica dei Paesi dell’Africa occidentale (Cedeao) che formerà una forza armata regionale incaricata di intervenire in questioni di terrorismo e sicurezza.
Se la Francia, cosciente delle difficoltà cheincontra a svolgere il ruolo che si era assegnata, di fatto, unilateralmente in Africa, ritira parte delle sue forze e le ridispiega in apparenza in forma più contenuta solo in alcune regioni africane, gli Stati Uniti al contrario continuano a penetrare nel continente allo scopo fin troppo evidente di limitare la crescente influenza di Mosca e Pechino, al momento molto marcata nell’Africa orientale. La strategia americana al momento è soprattutto economica ed “umanitaria”. Stati uniti e Unione africana, nei giorni scorsi, al summit dei leader Usa-Africa a Washington, hanno affermato il loro impegno a “rafforzare la sicurezza alimentare” nel continente, avviando una “partnership strategica” volta a guidare e accelerare il più possibile il sostegno ai Paesi africani. La collaborazione, non è certo una sorpresa, punta a rafforzare il settore privato in modo che faccia fronte, al posto dello Stato, alle carenze di cibo. Al vertice di Washington, il presidente Joe Biden ha annunciato che l’Agenzia statunitense per lo sviluppo internazionale (Usaid) ha approvato un pacchetto di aiuti umanitari da due miliardi di dollari per le popolazioni africane colpite dalla crisi legata alla pandemia, ai conflitti regionali, alla siccità e agli eventi meteorologici estremi. Aiuti che aprono la strada a una presenza statunitense che in futuro potrebbe essere anche militare nell’Africa sub-sahariana. Pagine Esteri
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SONDAGGIO. Senza negoziati né diritti, i palestinesi «votano» per la lotta armata
di Michele Giorgio –
Pagine Esteri, 17 dicembre 2022 – Scorrendo i risultati del sondaggio appena pubblicato dal Palestinian Center for Policy and Survey Research (Pcpsr), il sociologo Khalil Shikaki non esita a parlare di un «cambiamento radicale avvenuto in pochi mesi» nell’opinione pubblica palestinese, in particolare in Cisgiordania. Il dato che più di altri balza all’occhio è quello dell’aumento netto, rispetto al sondaggio precedente, del sostegno alla lotta armata contro l’occupazione israeliana. «Il 72% dei 1.200 intervistati si è detto favorevole alla nascita di gruppi armati simili alla Fossa dei Leoni», dice Shikaki riferendosi all’organizzazione che ha la sua roccaforte nella casbah di Nablus e che riunisce militanti di diversi orientamenti politici.
Una crescita che Shikaki vede come conseguenza anche dell’escalation in Cisgiordania dove si ripetono, quasi con frequenza quotidiana, i raid dell’esercito israeliano. Il bilancio provvisorio di palestinesi uccisi nel 2022 è di 166, tra i quali donne e minori. Di pari passo, sottolinea il sociologo, «Stiamo assistendo a un calo evidente nella percentuale di coloro che appoggiano la soluzione a due Stati (Israele e Palestina), data l’assenza di negoziati diplomatici». Il sostegno a una risoluzione negoziata del conflitto è ora al 32%. Un decennio fa il supporto si attestava al 55%.
Il sondaggio ha solo rivelato in cifre ciò che è palpabile nelle strade della Cisgiordania. L’assenza di qualsiasi prospettiva di una soluzione politica all’occupazione cominciata nel 1967 e l’intensificarsi della campagna militare israeliana, sembrano aver convinto un numero crescente di palestinesi, soprattutto quelli più giovani, che l’unica opzione sia quella armata.
Nel frattempo, gran parte della popolazione perde fiducia nell’Autorità nazionale palestinese (Anp) del presidente Abu Mazen. L’87% degli intervistati ha detto ai ricercatori del Pcpsr che l’Anp non ha il diritto di arrestare i membri dei gruppi armati per impedire gli attacchi all’esercito israeliano. Il 79% si è anche detto contrario alla resa dei combattenti e alla consegna delle loro armi all’Anp.
L’emblema del gruppo armato di Nablus “Fossa dei Leoni”
Questi numeri assumono una rilevanza maggiore se si tiene conto che la classe media palestinese – formata in prevalenza da impiegati dell’Anp, da imprenditori e professionisti – è stata negli ultimi venti anni in buona parte contraria non solo alla lotta armata ma anche riluttante ad appoggiare una nuova Intifada popolare contro l’occupazione poiché avrebbe messo in discussione il suo status. Una posizione che, spiegano gli analisti palestinesi, è mutata di fronte alla insostenibilità dell’occupazione che dura da 55 anni.
Gli imprenditori, piccoli e grandi, solo per fare un esempio, incontrano difficoltà crescenti a operare negli stretti margini consentiti da regole e procedure imposte dall’Amministrazione Civile (Ac) israeliana, che per conto delle forze armate è responsabile della gestione della vita quotidiana di milioni di palestinesi, a eccezione delle competenze specifiche dell’Anp di Abu Mazen. L’Ac, attraverso la concessione di permessi di lavoro in Israele a 140mila manovali palestinesi, ha reso dipendente dallo Stato ebraico una quota significativa di famiglie cisgiordane, pur migliorando le loro condizioni di vita. Allo stesso tempo, non ha fatto nulla per tutte le altre.
I palestinesi, dall’operaio all’imprenditore, sono soggetti ogni giorno all’ottenimento di permessi, autorizzazioni e altro ancora dagli occupanti mentre, talvolta a poche centinaia di metri dalle loro abitazioni, i coloni israeliani godono di libertà di movimento e pieni diritti. Anche questi aspetti si riflettono nei risultati del sondaggio del Pcpsr.
E i palestinesi si attendono un peggioramento del quadro generale quando entreranno in carica i ministri, nonché leader della destra ultranazionalista, del nuovo governo israeliano. Il 61% degli intervistati pensa che l’esecutivo guidato da Benyamin Netanyahu sarà più estremista, il 64% si aspetta che il prossimo governo espellerà le famiglie palestinesi dal quartiere di Sheikh Jarrah a Gerusalemme est, il 68% che evacuerà con la forza i beduini palestinesi di Khan al-Ahmar e il 58% che cambierà lo status quo alla moschea Al-Aqsa. Previsioni certo non infondate. Pagine Esteri
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MIGRANTI. Si torna a respingere al confine italo-sloveno
di Anna Clementi e Diego Saccora – Associazione Lungo la rotta balcanica
Pagine Esteri, 14 dicembre 2022 – “La Lampedusa del Nord non va sottovalutata e quella delle riammissioni è una delle soluzioni a cui stiamo pensando”. Le parole pronunciate lunedì a Martignacco (Udine) da Luca Ciriani, ministro per i Rapporti con il Parlamento, danno seguito ai recenti ripetuti annunci del governo Meloni sulla riattivazione delle “riammissioni informali” al confine tra Italia e Slovenia sulla base della direttiva firmata da Maria Teresa Sempreviva, capo di gabinetto del Viminale relativa “all’incremento dei flussi migratori della rotta balcanica”.
Ciriani parlando di “Lampedusa del nord” intende l’area del Friuli-Venezia Giulia a ridosso del confine sloveno e definisce riammissioni i respingimenti delle persone operati dalla polizia italiana verso la Slovenia, pratiche che costituiscono una grave violazione dei diritti umani. Il piano del nuovo governo è chiaro: respingere non solo via mare ma anche via terra chiunque tenti di entrare in territorio italiano, tentando di giustificare tali azioni mistificando i numeri. A fronte di un aumento percentuale delle persone prive di regolare permesso di soggiorno intercettate al confine pari al 204% si tiene in secondo piano che il dato numerico sia di 4101 in tutto il 2022.
“Su un piano umano prima ancora che giuridico la notizia della ripresa delle riammissioni informali ha destato un vero e proprio sconcerto” ha dichiarato l’avvocata Caterina Bove dell’Associazione Studi Giuridici Immigrazione (Asgi), in una conferenza stampa online organizzata lunedì 13 dicembre dalla rete RiVolti ai Balcani. “Ci è già noto il destino delle persone riconsegnate alla rotta balcanica, destino che le vedrà diventare soggetti o meglio oggetti di riammissioni a catena dall’Italia alla Slovenia, alla Croazia e da lì fino alle porte dell’Unione europea, in Bosnia o in Serbia, un destino che li costringerà ad affrontare di nuovo le violenze perpetrate ai confini croati, nonostante le numerose denunce da parte di tante organizzazioni” e a una sentenza della Corte Europea per i Diritti Umani che nel novembre 2021 ha condannato le stesse autorità croate per la morte della piccola Madina Hussiny, bambina afghana respinta verso la Serbia insieme alla famiglia nel 2017.
Ma lo sgomento, come ci spiega la Bove assieme alla sua collega di Asgi, Anna Brambilla, è anche giuridico. Non sono passati due anni da quando il Tribunale di Roma nel gennaio 2021, a seguito di un ricorso presentato dalle due avvocate, dichiarò illegittime le riammissioni dall’Italia alla Slovenia perchè fondavano la propria base giuridica su di un accordo siglato tra i due Paesi nel 1996 e mai ratificato dal Parlamento, violando leggi interne, europee e internazionali, oltre ad esporre le persone a “trattamenti inumani e degradanti” lungo i Paesi dei Balcani e a “torture” in Croazia. Nessun rilascio di documentazione scritta, nessuna informativa sui propri diritti, detenzione in una caserma, per poi essere fatti salire su un furgone prima di essere consegnati alle autorità slovene. E spesso da lì, fuori dai confini dell’Unione europea. Dopo la sentenza, le riammissioni, che tra il 2019 e il 2020 hanno costituito l’illegittima base giuridica per il respingimento di oltre 1200 persone verso la Slovenia e molte a catena verso Serbia e Bosnia ed Erzegovina, sono state sospese.
Ma ora il governo sembra di nuovo muoversi in direzione contraria incurante dell’illegittimità di queste pratiche, che rimangono illegali anche nei casi in cui non venga registrata la manifestazione di volontà di richiesta della protezione internazionale. Infatti, come ci ricorda l’avvocata Brambilla, “in Italia le condotte della polizia di frontiera sono già state oggetto di pronunce sia di giudici nazionali sia di corti sovranazionali soprattutto per quanto riguarda il diritto d’informazione”. Pertanto l’assenza della registrazione da parte della polizia della manifestazione di presentare la richiesta di protezione internazionale non significa che la persona non abbia espresso la volontà di chiedere asilo ma può semplicemente essere che non sia stata messa nella condizione di manifestare tale volontà e che non sia stata informata sulle implicazioni in merito.
L’altro rischio è quello dei respingimenti collettivi in cui gruppi di persone vengano respinti, sulla base degli accordi, da un Paese all’altro senza che vi sia una valutazione individuale del singolo caso. “Non si parla mai dei destinatari delle riammissioni” ci ricorda Gianfranco Schiavone, presidente del Consorzio Italiano Solidarietà.
Ed è proprio delle persone che non dobbiamo mai dimenticarci. Perchè troppo spesso nel botta e risposta alla ricerca della disposizione a sostegno della legittimità o meno di un’azione, si perde di vista il contesto storico, sociale e politico entro il quale ogni singola persona che da anni percorre le rotte lungo i Paesi dei Balcani, dentro e fuori i confini d’Europa, si trova ad affrontare, subendo violenze fisiche e psicologiche. Il diritto negato è la cartina di tornasole di una persona violata. Perchè costretta a vivere rinchiusa in un campo, a sopravvivere in un accampamento informale, quotidianamente respinta nel tentativo di entrare in Unione europea, se non di essere riportata indietro al proprio Paese d’origine o in un Paese terzo dove i diritti e le vite delle persone vengono ancora una volta negati. Violazioni ampiamente documentate da numerose inchieste giornalistiche, tra tutte ricordiamo quelle pubblicate dal collettivo di giornalisti Lighthouse Report in collaborazione con diverse testate europee e quelle raccolte da volontari e attivisti ai confini interni ed esterni dall’Ue contenuti nel “Libro Nero dei respingimenti” prodotto dal Border Violence Monitoring Network. Pagine Esteri
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Incredibili
I tassi d’interesse continueranno a crescere, da noi in Unione europea, come negli Stati Uniti o nel Regno Unito. Sarebbe singolare che, ogni volta, si assistesse alla stessa scena vista questa settimana. Si può discutere se il rialzo dei tassi sia il rimedio migliore e più efficace al crescere dell’inflazione (negli Usa sta funzionando), così iscrivendosi a un dibattito scolastico che va avanti da decenni, ma è indubbio che i tassi europei restano più bassi di quelli americani o inglesi, nonché più bassi dell’inflazione. Ed è altrettanto indubbio che sono stati spinti fin oltre lo zero, finendo sotto, proprio per contrastare la recessione e riconquistare un’inflazione nell’intorno del 2% (eravamo ben sotto). Ora l’inflazione c’è, è stata indotta dall’esterno e i rimedi cambiano. Quel che preoccupa, sia sotto il profilo del comprendonio che sotto quello dell’onestà intellettuale, è il volere sempre vedere un solo aspetto dei problemi, facendo finta non esistano gli altri.
In Italia abbiamo molto risparmio, che è stato lungamente ed efficacemente protetto, grazie all’euro, tenendo bassa l’inflazione, ma certo non è stato premiato dai tassi portati allo zero. Qualche volta si è ingannati dall’illusione monetaria, per cui se i propri risparmi rendono il 10% si pensa di avere guadagnato, ma con l’inflazione al 20% si è perso. Eravamo messi così, negli anni ’80. Però veniamo da una stagione in cui i risparmi producevano con il contagocce e all’apparire dell’inflazione perdevano valore. Che si provi a rimediare è un bene.
L’inflazione è una brutta bestia per chi risparmia, in compenso è un cavallo alato per chi ha debiti, diminuendone il valore. L’Italia, come Paese, è molto indebitato, gli italiani, come persone, molto poco (fin troppo, poco). L’aumento dei tassi favorisce i secondi e crea un problema alla prima.
Ma c’è l’altra faccia della medaglia: aumentare il costo del denaro frena la crescita, alla vigilia di un anno, il 2023, in cui già si prevede una considerevole frenata. Vero. Ma a parte che da noi restano i tassi più bassi, i soldi che spingono la crescita sono quelli degli investimenti, mentre la crescita dei consumi è virtuosa se alimentata da salari e dilapidatrice se alimentata da sussidi che gonfiano la spesa pubblica corrente. In ogni caso, i soldi per gli investimenti ci sono eccome, sono quelli del Pnrr, che per la loro parte a prestito sono forniti ad un tasso assai agevolato. È vero che anche quelli aumentano il debito, ma prima del Draghi teorizzatore del debito buono e di quello cattivo, sarà bene dare un occhio al citatissimo e poco conosciuto Keynes, che sostenendo l’opportunità della spesa in deficit, per la crescita e la piena occupazione, era anche per il pareggio delle partite correnti. Tradotto: si fanno debiti per gli investimenti, non per i consumi (della pubblica amministrazione o privati), non per la spesa corrente.
I tassi agevolati del Pnrr non sono una decisione sovrana dell’inesistente reuccio europeo, ma il frutto della garanzia offerta da tutti i contribuenti europei, di cui l’Italia è il principale beneficiario. Dopo avere sostenuto che quella è un’occasione storica e che si era diligentemente in regola con tutti gli adempimenti, da qualche settimana si va dicendo che siamo in ritardo, non riusciremo a spenderli, ce ne vorrebbero di più, i tassi devono restare a zero, ma la gente va difesa dall’inflazione indicizzando pensioni e salari, ovvero gonfiando la spesa pubblica e, nonostante questa sia la ricetta che ci portò alla rovina in passato, pensiamo di sostenerla mandando a stendere il Meccanismo europeo di stabilità. Che è come dire: sono diabetico, ho già avuto un infarto e i reni funzionano maluccio, ma sono libero di mangiare dolciumi, fumare a piacimento, bere solo alcolici e, sia chiaro, sono contrario a che si faccia un Pronto soccorso vicino casa mia, perché non ci voglio finire. Occhio, perché chi osserva potrebbe mettere da parte i soldi per il necrologio.
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La morale asimmetrica degli euro-atlantici - Contropiano
"Indignarsi solo per talune violazioni è ipocrita. E, nondimeno, fa sorgere il sospetto che il discorso dei diritti umani divenga un’arma per contrastare alcuni governi, di solito in posizione concorrenziale con quelli che ci sono amici."
#uncaffèconluigieinaudi ☕ – Il Parlamento compirà il suo ufficio degnamente…
Il Parlamento compirà il suo ufficio degnamente se con energia reclamerà che i postulati della giustizia tributaria siano attuati per tutti
da Corriere della Sera, 27 novembre 1919
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‘Nazione’, questa sconosciuta
Piace, talvolta a fine settimana, ripassare gli avvenimenti e spiluccare qua e là e raccontarne. Piacerebbe, ma in realtà spiace, perché di stranezze, sciocchezze, arroganze e specialmente prove di ignoranza crassa, non mancano mai nel nostro Paese, gestito dal ceto politico peggiore d’Europa, ma in realtà peggiore del mondo. E dunque spilucchiamo. Cominciando dalla illustrissima […]
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Elon Musk ha deciso che su Twitter è possibile promuovere piattaforme come Friendica, Pleroma, Misskey, Bonfire, Lemmy, Akkoma, SocialHome, Hubzilla, etc 😅
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LibSpace con Andrea Pruiti Ciarello
Il Massacro dei Pequot del 1637
La guerra Pequot del 1636-1638 è un evento storico cruciale nella colonizzazione degli Stati Uniti d’America, che porta alla distruzione della tribù Pequot e alla creazione del primo stato della colonia britannica del New England.Continue reading
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Comodo parlare di morale invece che di politica e democrazia - Kulturjam
"alle spinte democratiche delle masse popolari si sono sostituite le pressioni lobbistiche dei mercati. I quali investono coperti dall’esaltazione del libero commercio come diritto umano. I governi a loro dovranno rendere conto nell’azione programmatica.
I partiti fungono da enti di intermediazione. Con le loro naturali diramazioni scabrose. Quello che Parri già intravedeva nel 1946 oggi si è fatto Stato. Costitutivamente privatizzato. Un vero e proprio divorzio tra liberalismo e democrazia."
L’Etiopia chiede la fine del mandato del team degli esperti in diritti umani dell’ONU – ICHREE
L’Etiopia ha invitato l’Unione europea a “prendere misure per terminare il mandato della Commissione internazionale di esperti alla prima sessione della Commissione per i diritti umani delle Nazioni Unite”.
Demeke Mekonnen, vice primo ministro e ministro degli affari esteri dell’Etiopia, ha fatto la chiamata durante un incontro il 9 dicembre 2022, dove ha informato gli ambasciatori dell’UE e degli Stati membri con sede ad Addis Abeba.
Il Consiglio per i diritti umani delle Nazioni Unite ha formato la Commissione internazionale di esperti in diritti umani in Etiopia (ICHREE) nel dicembre 2021 e ha prorogato il suo mandato di un ulteriore anno lo scorso ottobre. L’ICHREE è stato istituito per indagare sulle violazioni dei diritti umani e sui crimini di guerra avvenuti durante i due anni di guerra nel nord dell’Etiopia e consegnare i responsabili alla giustizia.
Approfondimenti:
- Etiopia, report ONU sui crimini di guerra e violazione dei diritti umani in Tigray
- Etiopia, ennesimo attacco aereo dopo report ONU su crimini contro l’umanità in Tigray
Tuttavia, il governo etiope si è opposto alla formazione della commissione sin dal suo inizio. Il governo ha anche accusato la commissione di politicizzare le questioni relative ai diritti umani. Il governo etiope ha anche insistito sul fatto che il Joint Investigation Team (JIT), composto dalla Commissione etiope per i diritti umani (EHRC) e dall’Alto commissario delle Nazioni Unite per i diritti umani (OHCHR), sta già conducendo le indagini.
D’altra parte, l’ICHREE ha detto al Consiglio per i diritti umani delle Nazioni Unite che il governo etiope non gli avrebbe permesso di raccogliere prove nelle zone di guerra.
Dopo che il mese scorso il governo federale dell’Etiopia e il TPLF hanno raggiunto un accordo di pace a Pretoria, l’Unione Europea e il governo degli Stati Uniti stanno ancora insistendo affinché siano garantite responsabilità e risarcimento per le vittime della guerra. Il governo degli Stati Uniti ha anche affermato che l’Etiopia deve consentire all’ICHREE di reclamare lo status di AGOA.
Tuttavia, Demeke si è fortemente opposto alla mossa, durante l’ultimo briefing con la comunità diplomatica. “La commissione ha rifiutato l’offerta di cooperazione del governo etiope, ha oltrepassato il suo mandato e si è impegnata in attività illegali cercando di collegare il suo lavoro con il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite”.
Demeke ha anche detto agli ambasciatori che “l’accordo raggiunto a Pretoria costituisce l’attuazione di un quadro di giustizia transitoria per perseguire responsabilità, dire la verità, guarigione e riconciliazione in linea con la Costituzione della Repubblica Federale Democratica d’Etiopia (FDRE)”.
Approfondimenti:
- Etiopia, firmato l’accordo di pace dopo due anni di guerra genocida
- Etiopia, secondo incontro per la pace in Tigray tra le alte cariche militari etiopie tigrine.
- Etiopia, non è mai troppo tardi per chiedere verità e giustizia per il Tigray – Appello al Governo Italiano
- Etiopia, Causa al Governo per implicazione in Crimini di Guerra e Contro l’Umanità in Tigray
Ha anche affermato che il governo sta discutendo con l’EHRC e l’UN-OHCHR sull’invio di una squadra di osservatori dei diritti umani nelle aree dilaniate dalla guerra.
Gli ambasciatori presso l’UE, invece, si sono congratulati con l’Etiopia per il raggiungimento di un ambizioso accordo di pace e si sono detti pronti a collaborare con il governo etiope per garantire l’attuazione dell’accordo.
“Fare la pace è più difficile che fare la guerra”, ha verbalizzato l’Ambasciatore Ue in Etiopia, Roland Kobia, apprezzando i passi prudenti compiuti dalle parti dell’accordo di pace firmato a Pretoria e Nairobi. “Con questo in mente, l’UE è pronta ad aiutare a mettere in atto l’accordo”.
Tuttavia, l’accordo di pace fa poco per le vittime della violenza che vogliono giustizia. Le sue disposizioni sulla responsabilità per le atrocità criminali sono formulate in modo troppo approssimativo. L’accordo afferma che il governo etiope adotterà “una politica nazionale globale di giustizia di transizione volta alla responsabilità, all’accertamento della verità, al risarcimento delle vittime, alla riconciliazione e alla guarigione, coerente con la Costituzione [dell’Etiopia] e il quadro politico della giustizia di transizione dell’Unione africana”. .Questa affermazione è troppo generica e aperta all’interpretazione e dà abbastanza spazio al governo etiope per sottrarsi alle responsabilità e non avviare mai veramente un processo di giustizia transitoria che riterrà responsabili i criminali di guerra.
Dott. Mehari Taddele Maru
Etiopia, la Giustizia Non Deve Essere Uccisa Da Un Accordo di Pace
Demeke Mekonnen ha anche delineato agli ambasciatori la gamma di aree di opportunità per la cooperazione con l’UE e gli Stati membri in relazione agli sforzi di pace.
FONTE: thereporterethiopia.com/28639/
Ministero dell'Istruzione
Da domani, 19 dicembre, è possibile abilitarsi al servizio dedicato alle #IscrizioniOnline, effettuando l’accesso tramite SPID, CIE o eIDAS ▶ www.istruzione.Telegram
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@Dr. Giuliano Liuzzi :verified: 🔗 mastodon.uno/users/starman/sta…
Quanto zucchero? Uno di #astronomia grazie
Curiosità del mattino #25
L'orbita di #Mercurio è stata un rompicapo per gli astronomi fino #Einstein, che riuscì a spiegarne il movimento del perielio.
Gli astronomi credettero che ci fosse un altro pianeta, Vulcano, all'interno dell'orbita. Leverrier nel 1860 ne annunciò la presunta scoperta, salvo poi essere sempre deluso dalle osservazioni seguenti. Finché, nel 1919, Einstein trovo conferma della relatività generale. Addio Vulcano!
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A lunedi!
Informa Pirata
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Questo è proprio il motivo per cui esistono autorità indipendenti... che Dio ce le tenga in vita ancora a lungo!