#uncaffèconLuigiEinaudi☕ – Si formino, oltre ed accanto ai partiti…
Si formino, oltre ed accanto ai partiti, comitati e movimenti intesi a propugnare idee che non trovano luogo od accoglimento nei programmi dei partiti
da I limiti ai partiti, «L’Italia e il secondo Risorgimento», 20 maggio 1944
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La ‘stanchezza’ gioca brutti scherzi … anche a Mattarella!
Se non fosse, come noto, prerogativa indiscussa del direttore la titolazione degli articoli, suggerirei, con riferimento al discorso del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, un titolo che alluda al dato di fatto storico che, col tempo, anche i migliori possono essere stanchi. Tra l’altro, la ‘regia’, forse intesa a sottolineare i cambiamenti di argomento, serviva […]
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OK, parliamo di quell'editoriale. Quello che ha insistito non solo sul fatto che la privacy è pericolosa, ma anche sul fatto che non inserire affermativamente la sorveglianza negli strumenti di comunicazione è una posizione ideologica radicale.
Schiacciare gli argomenti dell'editoriale è facile. Sono SHALLOW. E molti hanno schiacciato, spesso con la gentilezza di un professore che valuta una bozza di saggio di uno studente che non volevano scoraggiare completamente. Ti indirizzerò al thread successivo... 1/
web.archive.org/web/2023010119… dorseys-twitter-signal-privacy.html
Ma quello che sta succedendo qui non è sostanza. Ed è su questo che voglio concentrarmi. Quelli di noi che hanno investito nella difesa della privacy devono capire che questo editoriale non è stato scritto per persone con esperienza e il suo scopo non sarà turbato dalla confutazione degli esperti. Non siamo il pubblico. 2/
L'editoriale funziona per creare l'apparenza di un "dibattito" su una questione più o meno risolta. E questa è una funzione potente, rafforzata dalla sua collocazione nel NYT. In questo modo, può fungere da "citazione Potemkin", fornendo un riferimento apparentemente credibile a sostegno di cattive leggi e piattaforme sulla privacy. 3/
Quali leggi? Quali piattaforme politiche? Non lo so. Ma il requisito dell'identificazione dell'età approvato in CA questa settimana e le normative che richiederebbero alle app di comunicazione di scansionare e sorvegliare i contenuti attualmente in corso nell'UE e nel Regno Unito ci danno alcuni indizi. 4/
Soprattutto perché queste leggi, in effetti, impedirebbero alle persone che sviluppano tecnologia di NON costruire capacità di sorveglianza e censura di massa. Che, sebbene estremamente mal argomentato, è effettivamente la spinta principale dell'editoriale.
In breve, abbiamo ragione, le nostre argomentazioni sono solide e abbiamo fatto la lettura. Ma se vogliamo difendere la privacy, dovremo essere coordinati e audaci, e non commettere l'errore di presumere che essere corretti sia di per sé una strategia. Abbiamo molto lavoro da fare nel 2023! FINE
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Il Giappone raddoppia le spese militari
di Marco Santopadre*
Pagine Esteri, 22 dicembre 2022 – Non è la prima volta, negli ultimi anni, che il Giappone aumenta la spesa militare e decide di rafforzare il suo esercito, contravvenendo alle imposizioni “pacifiste” dettate dagli alleati – in particolare dagli Stati Uniti – dopo la sconfitta di Tokyo nella Seconda Guerra Mondiale.
Spese militari al 2% del Pil
Questa volta, però, il governo di Fumio Kishida ha deciso l’aumento più consistente dalla fine del secondo conflitto mondiale delle spese per la Difesa, che passano nel 2023 da 5200 miliardi a 6500 miliardi di yen, l’equivalente di 47 miliardi di dollari.
Come se non bastasse, il boom della spesa militare aprirà la strada ad un aumento fino al 2% del Prodotto interno lordo, portandola al livello dei paesi della Nato, alleanza militare di cui pure il paese non fa parte.
Il premier punta infatti ad aumentare il bilancio della Difesa per gli anni che vanno dal 2023 al 2027 fino a 318 miliardi di dollari, con un raddoppio di fatto rispetto al quinquennio che si sta chiudendo. Poco importa che l’articolo 9 della Costituzione giapponese, analogamente a quanto previsto dall’articolo 11 della Magna Carta italiana, reciti che «Il popolo rinuncia per sempre alla guerra come diritto sovrano della nazione e alla minaccia o all’uso della forza come mezzo per risolvere le controversie internazionali».
Le opposizioni denunciano il carattere militarista della decisione e il pericolo che questa scateni un’ulteriore escalation con Pechino e Pyongyang, e sottolineano che l’aumento delle spese militari sottrae importanti risorse ad un paese già sottoposto ad una forte crisi fiscale e ad un indebitamento pubblico da record. L’approvazione dell’aumento delle spese per la Difesa è stata preceduta da una polemica interna al Partito Liberal Democratico – principale forza del governo insieme al Komeito – tra coloro che proponevano di utilizzare i titoli di stato per coprire le nuove spese e il premier che invece ha optato per un aumento delle tasse. La Legge Finanziaria include un aumento graduale della tassazione sulle imprese a partire dal 2024 e altri provvedimenti volti a reperire le necessarie risorse addizionali.
Manifestazione pacifista a Tokyo
Pronti a colpire la Cina
Il boom delle spese militari servirà a rafforzare le forze armate e a finanziare un piano di massiccio riarmo per sostenere la competizione militare nella regione dell’Indo-Pacifico. L’obiettivo del Giappone, affermano fonti del governo Kishida, è dotarsi di una forza convenzionale di deterrenza in grado di tenere testa alle ambizioni militari della Repubblica Popolare Cinese e di difendersi dalle minacce della Corea del Nord.
Tokyo intende aumentare significativamente la proiezione a lungo raggio della propria capacità militare, e a questo scopo ha deciso l’acquisto dagli Stati Uniti di alcune centinaia di Tomahawk; i missili da crociera statunitensi hanno infatti una gittata massima di 1600 km, che permetterebbe al Giappone di colpire obiettivi in territorio cinese in caso di conflitto.
L’esecutivo Kishida si è inoltre impegnato ad aumentare la gittata dei propri missili anti-nave, a sviluppare armi ipersoniche e a creare una forza speciale di auto-difesa contro i cyber-attacchi. Tokyo si è detta anche interessata a partecipare alla realizzazione dei caccia di sesta generazione Tempest, alla quale partecipano già la britannica BAE Systems e l’italiana Leonardo.
A spingere Tokyo ad adottare una politica di difesa più aggressiva, afferma il Washington Post, sarebbe stata anche l’invasione russa dell’Ucraina. «Il Giappone voleva limitare la sua spesa in materia di difesa ed evitare l’acquisto di sistemi d’arma d’attacco. Tuttavia, la situazione internazionale non ci consente di farlo» ha spiegato al quotidiano l’ex ambasciatore giapponese a Washington Ichiro Fujisaki.
Nella scia di Shinzo Abe
La realtà è che già durante il lungo governo del nazionalista Shinzo Abe, esponente della corrente più conservatrice del Partito Liberal Democratico (al governo quasi ininterrottamente dal 1955), Tokyo ha intrapreso il cammino verso una politica estera più aggressiva e militarista.
Prima del suo assassinio nel luglio scorso, Abe ha operato per centralizzare le politiche di sicurezza; ha riformato la Costituzione per affermare il cosiddetto “diritto all’autodifesa collettiva” del paese consentendo alle forze armate di intervenire in un conflitto non solo per difendere il Giappone ma anche un alleato contro un attacco esterno; infine, ha più volte aumentato gli stanziamenti per la Difesa fino a portare Tokyo al nono posto della classifica mondiale della spesa militare.
È anche vero, però, che l’invasione russa dell’Ucraina e i timori di un imminente attacco cinese a Taiwan hanno fatto aumentare il sostegno dell’opinione pubblica giapponese – tradizionalmente pacifista – al riarmo e alla creazione di un esercito forte e moderno.
All’inizio di dicembre una fonte del governo giapponese aveva già rivelato che l’esecutivo intende aumentare la presenza del proprio esercito nell’isola sudoccidentale di Okinawa “in previsione di un possibile scontro con la Cina su Taiwan». Il Ministro della Difesa Yasukazu Hamada prevede di portare a due il numero di reggimenti di fanteria di stanza sull’isola. Inoltre Tokyo prevede di triplicare le unità di difesa contro i missili balistici nelle Nansei, un arcipelago in parte contiguo a Taiwan, mentre le Forze di autodifesa aerea giapponesi sono state inviate per la prima volta nelle Filippine per partecipare a esercitazioni congiunte.
Il premier giapponese Fumio Kishida
Gli Usa plaudonoLa nuova versione della Strategia di sicurezza nazionale varata dal governo di Fumio Kishida – a lungo ministro degli Esteri nei governi di Shinzo Abe – definisce la Cina «una sfida strategica senza precedenti», allineandosi così alla visione di Washington.
Non stupisce quindi l’entusiasmo manifestato nei confronti della storica decisione da parte degli Stati Uniti, che nel paese del Sol Levante mantengono da sempre un sostanzioso contingente militare dislocato in diverse basi. Da tempo la Casa Bianca chiede a Tokyo un maggiore protagonismo militare nel Pacifico in funzione anti-cinese. L’ambasciatore di Washington a Tokyo, Rahm Emanuel, ha definito la misura «una pietra miliare epocale» nelle relazioni tra i due paesi, indispensabile per fare dell’Indo-Pacifico un «territorio libero e aperto». Per il Consigliere per la Sicurezza Nazionale di Joe Biden, Jake Sullivan, «L’obiettivo del Giappone di aumentare significativamente gli investimenti nella difesa rafforzerà e modernizzerà anche l’alleanza Usa-Giappone».
Pechino: “non siamo una minaccia”Di segno opposto, ovviamente, la reazione di Pechino. Il governo cinese ha infatti denunciato che Tokyo «accusa falsamente la Repubblica Popolare Cinese di ricattare il Giappone attraverso misure economiche coercitive e di intraprendere attività militari minacciose che destano grande preoccupazione nella comunità internazionale».
L’ambasciata cinese in Giappone ha affermato che la nuova Strategia di sicurezza di Tokyo viola numerose intese raggiunte negli ultimi anni tra i due governi e alimenta le tensioni regionali invece di promuovere la stabilizzazione e la pace. «La Cina ha sempre aderito alla strada dello sviluppo pacifico, ha perseguito una politica nazionale di natura difensiva e non ha mai istigato né partecipato a una corsa agli armamenti», ha affermato la sede diplomatica di Pechino, difendendo la posizione del proprio governo su Taiwan e sulle isole Senkaku, che la Cina considera parte del proprio territorio nazionale. L’ambasciata ha infine invitato il Giappone a non giustificare il proprio riarmo con la «teoria della minaccia cinese» e a scegliere la strada del consenso politico considerando i due Paesi come «partner e non come reciproche minacce».
Ma proprio nei giorni scorso le unità navali del Giappone sono entrate in stato di allerta dopo l’individuazione di alcune unità militari cinesi, tra le quali la portaerei Liaoning, nelle acque territoriali rivendicate sia da Tokyo sia da Pechino. Secondo il Ministero della Difesa giapponese si tratterebbe della nona “incursione” cinese da novembre.
Nel tentativo di frenare le rivendicazioni di Pechino nel Mar cinese meridionale, Tokyo ha negli ultimi anni rafforzato la cooperazione diplomatica e militare con le Filippine e il Vietnam, paesi coinvolti in altrettanti contenziosi con Pechino per il controllo di alcune aree. Nei mesi scorsi, inoltre, Tokyo ha tentato di stringere i rapporti con l’Indonesia che finora ha sempre cercato di porsi come mediatrice nei conflitti regionali.
Anche la Repubblica Popolare di Corea ha reagito negativamente all’aumento record delle spese militari da parte del Giappone, definendolo un «pericoloso errore che muterà in maniera netta il contesto di sicurezza regionale». «Il Giappone sta causando una grave crisi di sicurezza nella Penisola coreana e nell’Asia orientale, adottando una nuova strategia di sicurezza che ammette a tutti gli effetti l’attacco preventivo contro Paesi terzi» afferma una nota del Ministero degli Esteri di Pyongyang. – Pagine Esteri
* Marco Santopadre, giornalista e scrittore, già direttore di Radio Città Aperta di Roma, è un analista dell’area del Mediterraneo, del Medio oriente e dell’Africa. Scrive, tra le altre cose, di Spagna e movimenti di liberazione nazionale. Collabora con il Manifesto, Catarsi e Berria.
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Come il nome stesso dell’esperimento suggerisce, Universe 25, ce ne sono stati altri 24 prima, e quasi tutti hanno portato al medesimo risultato. Il paradiso, inevitabilmente, diventava un inferno.
UNIVERSO 25 - FEDERICO FRANCO
Nel 1962, il ricercatore John B. Calhoun realizzò l’habitat ideale per roditori. Un luogo dove le cavie non avrebbero mai dovuto preoccuparsi di nulla, con cibo, acqua e un rifugio a disposizione per tutti. Un’utopia a misura di topo, la cui società nel giro di un anno raggiunse il suo massimo splendore, per poi ...
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“Ci siamo svegliati il 24 febbraio in un’altra vita…”
Cari ucraini! Quest’ anno è iniziato il 24 febbraio. Senza prefazioni né preludi. In modo netto. Presto.
Alle 4 del mattino. Era buio. E’ stato assordante. E’ stato difficile per molti di noi, spaventoso per alcuni.
Sono passati 311 giorni. Può essere ancora buio, rumoroso e complicato per noi. Ma sicuramente non avremo mai più paura. E non ci vergogneremo mai. E’ stato il nostro anno. L’anno dell’Ucraina. L’anno degli ucraini. Ci siamo svegliati il 24 febbraio. In un’altra vita. Eravamo un altro popolo. Un’altra Ucraina. I primi missili hanno alla fine distrutto il labirinto delle illusioni.
Abbiamo visto chi era chi. Di cosa sono capaci gli amici e i nemici e, soprattutto, di cosa siamo capaci noi. Il 24 febbraio, milioni di noi hanno fatto una scelta. Non una bandiera bianca, ma una bandiera blu e gialla. Non una fuga, ma un incontro. L’incontro con il nemico.
Resistere e combattere.
[…] Quest’ anno potrebbe essere definito un anno di perdite per l’Ucraina, per l’intera Europa e per il mondo intero. Ma è sbagliato. Non dovremmo dire questo. Noi non abbiamo perso nulla. Ci è stato tolto.
L’Ucraina non ha perso i suoi figli e le sue figlie – loro sono stati uccisi dagli assassini. Gli ucraini non hanno perso le loro case – sono state distrutte dai terroristi. Non abbiamo perso le nostre terre – sono state occupate dagli invasori. Il mondo non ha perso la pace – la Russia l’ha distrutta.
Volodymyr Zalensky, discorso di fine anno alla nazione Ucraina
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Netanyahu può dare la priorità al pivot asiatico di Israele?
Il partito Likud di Benjamin Netanyahu è pronto a formare una stabile coalizione di estrema destra di 64 seggi dopo le elezioni legislative del novembre 2022. La forma di questo governo, insieme al processo penale personale di Netanyahu, influenzerà il modo in cui questo nuovo governo affronta le relazioni di Israele con l’Asia. Durante il […]
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Guerra Russia – Ucraina: che aspetto ha la vittoria?
La guerra russo-ucraina è entrata in una nuova fase. Durante i 10 mesi di guerra, l’Ucraina è riuscita a recuperare parte dei suoi territori occupati dalla Russia, e anche a prevenire il collasso dell’economia. L’inverno non ha fermato le operazioni militari. La leadership militare ucraina sottolinea che la guerra non può essere messa in pausa, […]
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La digitalizzazione e la trasparenza sono vitali per la ricostruzione dell’Ucraina
Quando ti sei abituato alle continue interruzioni di corrente, ai regolari allarmi antiaerei e alle strade deserte della sera di Kiev, un viaggio d’affari negli Stati Uniti può sembrare di essere trasportato in un’altra dimensione. Tuttavia, quando ho visitato Washington DC nelle ultime settimane del 2022, ho subito scoperto che la situazione in Ucraina era […]
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Lula insediato, centrale la sovranità nel corso futuro del Brasile
La cerimonia di insediamento di Lula, il 1° gennaio, ha seguito tutti i passaggi tradizionali seguiti dal trasferimento pacifico del potere dal ritorno della democrazia alla fine degli anni ’80. I rappresentanti nel terzo mandato senza precedenti di Lula, per non parlare di ciò che lo stesso nuovo Presidente ha detto sulla sua visione di […]
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Tigray, L’ Ayder Hospital di Mekellé rimane a corto di forniture mediche nonostante l’accordo di pace // Etiopia
I medici dell’ospedale Ayder Comprehensive Referral Hospital, Mekellé, il più grande nella regione del Tigray devastata dalla guerra, hanno dichiarato ad Addis Standard che “la fornitura di medicinali rimane carente” nonostante l’accordo di pace.
Il dottor Kibrom G/Selassie, amministratore delegato dell’ospedale, che era amministrato dal governo federale prima della guerra, ha detto che stanno ancora aspettando che i medicinali riprendano le cure mediche salvavita.
“Nulla è cambiato anche dopo l’accordo di pace; il governo federale non sta fornendo all’ospedale le medicine tanto necessarie, inclusi i reagenti di laboratorio”, ha affermato il dott. Kibrom.
Ha aggiunto che organizzazioni internazionali come la Croce Rossa e il WFP stanno fornendo forniture mediche, ma è minimo, aggiungendo che in quanto istituzione federale, l’ospedale dovrebbe essere sovvenzionato dal governo federale.
L’ospedale ha twittato lunedì chiedendo aiuto al Ministero federale della sanità e ad altre organizzazioni.
“È noto che il 60-70% delle decisioni critiche nella diagnosi e nel trattamento coinvolge dati di laboratorio quantificabili. Più di due anni dopo la guerra, l’ospedale Ayder non ha ricevuto reagenti di laboratorio”
It is known that 60%-70% of critical decisions in diagnosis and treatment involve quantifiable laboratory data. More than two years since the war #AyderHospital has not received laboratory reagents. We request @FMoHealth and other organizations to help us. @WHO @ICRC pic.twitter.com/trgFken2uM— Ayder Hospital CHS_MU (@ayder_hospital) January 2, 2023
Secondo il dott. Kibrom, la filiale dell’Etiope Pharmaceutical Supply Agency (EPSA) a Mekelle ha risposto alla richiesta dell’ospedale affermando che il governo federale non ha inviato forniture mediche.
A ottobre, il dottor Kibrom ha dichiarato ad Addis Standard che l’ospedale era sull’orlo del collasso a causa dell’esaurimento dei farmaci essenziali, della mancanza di reagenti di laboratorio e di macchinari difettosi che possono essere mantenuti solo ad Addis Abeba.
La mancanza di farmaci essenziali come medicinali chemioterapici per la cura contro il cancro, gli antibiotici e i reagenti di laboratorio persiste ancora e, considerando le sfide che l’ospedale ha dovuto affrontare durante la guerra, il governo federale dovrebbe dedicarvi un’attenzione particolare, ha affermato il dott. Kibrom.
Il ministero federale della Salute ha tuttavia affermato, in una relazione sullo stato di avanzamento pubblicata a dicembre , che i medicinali e le forniture mediche essenziali sono stati distribuiti nella regione del Tigray, comprese Mekelle e Shire.
Secondo il rapporto, farmaci anti-malaria, insulina per il trattamento del diabete, medicinali per la dialisi renale, farmaci per la tubercolosi, antipertensivi, prodotti per la pianificazione familiare tra gli altri medicinali salvavita oltre 78 milioni di birr sono stati spediti a Mekele attraverso l’Organizzazione mondiale della sanità ( OMS) e il Comitato Internazionale della Croce Rossa (CICR).
Inoltre, il ministero ha affermato che 158,3 tonnellate di medicinali essenziali e forniture mediche sono state inviate a Mekele e alle strutture sanitarie vicine da partner internazionali e delle Nazioni Unite e che altre forniture sono state preparate dai servizi di forniture farmaceutiche etiopi.
Approfondimenti:
- Etiopia, l’impatto dell’assedio del Tigray sui pazienti cardiologici dell’ Ospedale Ayder, Mekelle
- Etiopia, la disastrosa situazione umanitaria del Tigray
- Etiopia: droni dell’Iran in violazione ONU per la guerra in Tigray, un genocidio ignorato
- Etiopia, colloqui di pace falliti prima di iniziare mentre in Tigray si muore per mancanza di medicinali
- Etiopia, bobardamenti con droni tra l’ ospedale ed il centro IDP a Mekellé, Tigray
- Tigray, resoconto della catastrofica situazione sanitaria
- Etiopia, gli ospedali del Tigray continuano a chiudere per mancanza delle forniture sanitarie
- Etiopia, gli ospedali del Tigray chiudono per catastrofe umanitaria in atto
FONTE: addisstandard.com/news-tigrays…
Benedetto XVI: l’ addio al Papa emerito Ratzinger, figura ‘nobile e gentile’
«Dopo il grande Papa Giovanni Paolo II i signori Cardinali hanno eletto me pontefice, un semplice e umile lavoratore nella vigna del Signore». Furono le prime parole con le quali il cardinale Joseph Ratzinger si presentò al mondo, nell’immediatezza della sua elezione al soglio pontificio, affacciandosi al balcone di San Pietro come Benedetto XVI il 19 aprile […]
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Dal 9 al 30 gennaio 2023 si aprono le #IscrizioniOnline!
Sarà possibile presentare la...
Dal 9 al 30 gennaio 2023 si aprono le #IscrizioniOnline!
Sarà possibile presentare la domanda per tutte le classi prime delle scuole statali primarie e secondarie di I e II grado e per i corsi di istruzione e formazione dei Centri di formazione pro…
Ministero dell'Istruzione
Dal 9 al 30 gennaio 2023 si aprono le #IscrizioniOnline! Sarà possibile presentare la domanda per tutte le classi prime delle scuole statali primarie e secondarie di I e II grado e per i corsi di istruzione e formazione dei Centri di formazione pro…Telegram
Report Corno d’Africa, Etiopia Tigray – EEPA n. 343 – 2 gennaio 2023
Negoziati di pace (per 02 gennaio)
- Il meccanismo di monitoraggio, verifica e conformità dell’UA (MVCM) è stato lanciato ufficialmente a Mekelle, nel Tigray, giovedì 29 dicembre, guidato dal maggiore generale keniota Stephen Radina, insieme al colonnello Rufai Umar Mairiga della Nigeria e al colonnello Teffo Sekole del Sudafrica.
- Secondo l’ufficio dell’ex presidente Uhuru Kenyatta e mediatore dell’accordo sulla cessazione delle ostilità (CoH), “la missione di tre membri formata dall’Unione africana ha il compito di monitorare, verificare e far rispettare l’accordo di pace di novembre”.
- Kenyatta ha detto che i lavori dovrebbero essere completati entro il 7 gennaio, nel Natale ortodosso.
- Il MVCM è composto da dieci esperti militari provenienti da diversi paesi africani.
- Radina ha detto che l’MVCM ha fatto progressi: “Ho visitato una guarnigione di meccanizzazione ad Agula, dove ho visto un assortimento di armi pesanti e la volontà di consegnare e continuare il processo di pace”.
- Il capo negoziatore dell’accordo CoH per lo stato del Tigray, Getachew Reda, ha confermato che un battaglione di ENDF era arrivato a Mekelle “per prendere in consegna le armi”, come da accordo.
- Il Ethiopian reporter afferma che quando il disarmo sarà completamente attuato, le forze eritree e amhara si ritireranno dalla regione del Tigray, secondo i funzionari del governo federale.
- Ethio360 afferma che il primo ministro Abiy ha dichiarato in un incontro con il Prosperity Party: “Stiamo entrando in un chiaro conflitto con l’Eritrea. Ciò è dovuto ai problemi dell’Eritrea.”
- Abiy ha detto che l’Etiopia avrebbe utilizzato il porto eritreo di Assab. Un paese del Medio Oriente doveva ricostruire il porto ma Isayas non sta rispettando questo accordo. L’Etiopia doveva fornire energia elettrica all’Eritrea, ma Isayas rifiutò. Abyi ha detto che l’Eritrea sta addestrando la milizia Amhara, Afar e OLF – Oromo Liberation Front, che mina il governo etiope.
- Rivolgendosi a 50 partiti di opposizione ad Addis Abeba presso l’African Leadership Excellence Academy il 28 dicembre, Amb Redwan, capo negoziatore del CoH per l’Etiopia, ha parlato della questione del Tigray occidentale.
- Il Tigray occidentale, o Wolkait, è controllato dalle truppe eritree e dalla milizia Amhara.
- Redwan ha affermato che la questione di Wolkait sarà affrontata attraverso un meccanismo proposto dal Consiglio della Federazione, inteso nel senso che la questione sarà decisa attraverso un referendum.
- Redwan ha sottolineato che il governo federale non ha intenzione di riorganizzare i confini.
- Redwan ha affermato che, “a differenza di alcune forze”, il governo federale non aveva intenzione di distruggere il TPLF.
- Redwan ha chiarito che nel Tigray sarà formato un governo ad interim, composto dal TPLF, dal governo federale e dai partiti di opposizione nel Tigray.
- L’ex diplomatico eritreo e attuale giornalista Fathi Osman afferma in RFI che è improbabile che l’Eritrea si ritiri dal Tigray, affermando che l’Eritrea sta addestrando militari a Gondar, la capitale dello stato regionale di Amhara e ha un’influenza politica in Etiopia a cui non vorrà rinunciare .
- L’Autorità federale etiope per la ricerca e la conservazione del patrimonio culturale ha annunciato di aver istituito una task force per indagare sull’impatto della guerra sul patrimonio nel Tigray e in Etiopia.
- A seguito dell’accordo CoH, la task force sta indagando su come il patrimonio è influenzato nelle regioni di Tigray, Amhara e Afar, tra cui il sito del patrimonio mondiale dell’UNESCO di Aksum, le chiese scavate nella roccia e una delle prime moschee in Africa (Moschea Al-Nejashi), nel Tigray, tutti colpiti dalla guerra.
- La dichiarazione afferma che la task force esamina anche “tesori culturali meno visibili, inclusi manoscritti, dipinti, tradizioni orali e manufatti detenuti da chiese e monasteri sparsi nelle aree rurali del Tigray nonostante la loro natura non documentata”.
Situazione nel Tigray (al 02 gennaio)
- Ci sono più segnalazioni da varie fonti che indicano che c’è ancora una presenza significativa di truppe eritree ad Aksum, Shire, Adwa e nei villaggi vicini, mentre altre mostrano truppe in partenza.
- Ethiopian Airlines ha ripreso i suoi voli regolari oggi 02 gennaio, da Addis Abeba a Shire come parte dell’attuazione dell’accordo CoH, afferma il Tigray Communication Affairs Bureau.
- Haftom Gebregziabher, direttore della Wegagen Bank Mekelle Branch, ha dichiarato a Tigray Television che la banca riprenderà i suoi servizi in città il 2 gennaio dopo 18 mesi.
Situazione in Eritrea (per 02 gennaio)
- Nella sua dichiarazione per il nuovo anno, il presidente Isayas Afeworki ha affermato che sebbene i focolai di Covid siano stati relativamente bassi nel 2022, c’è stata una “crisi economica e di sicurezza” causata dalle futili minacce del “dominio della giungla dei “signori” che stanno rivitalizzando il loro campo unipolare nell’anno in uscita.
- Ha affermato che nella regione i “signori” stanno promuovendo la loro agenda e creando una crisi attraverso i loro interventi cospiratori. Stanno rinvigorendo la loro “isteria” di un conflitto ostile contro l’Eritrea.
- Isaias ha affermato che nonostante tutte queste situazioni internazionali e regionali, il popolo eritreo, nazionale ed estero, ha resistito consapevolmente, tenacemente, unitamente, di cui dovrebbe essere orgoglioso.
- Isaias ha affermato che le forze di difesa eritree (EDF) hanno condotto storiche controffensive e hanno sventato i tentativi delle forze che minacciavano l’Eritrea. Ha aggiunto di essere orgoglioso del risultato di EDF, “oltre le parole”.
- Isayas ha affermato che sembra che “i poteri dominanti, i loro messaggeri e le loro azioni cospirative” non si fermeranno nel 2023 e gli eritrei dovranno fare solidi preparativi per la resistenza.
- Ha sottolineato la necessità di rafforzare gli sforzi di sviluppo dell’Eritrea nel nuovo anno. Ha detto che l’Eritrea ne uscirà vittoriosa, perché sta facendo scelte giuste e indipendenti.
- È stato annunciato che il presidente Isaias rilascerà un’intervista questa settimana ai media locali.
Situazione internazionale (per 02 gennaio)
- Non è stata adottata una risoluzione per revocare i finanziamenti alla Commissione internazionale delle Nazioni Unite di esperti in diritti umani sull’Etiopia, istituita per indagare sulle violazioni dei diritti umani in Etiopia.
Link di approfondimento:
- thereporterethiopia.com/29281/
- allafrica.com/stories/20221231…
- ethiopianreporter.com/114349/
- youtu.be/6usaf8eVSMI
- rfi.fr/fr/afrique/20221229-%C3… tigr%C3%A9
- facebook.com/100066658261553/p…
- facebook.com/100068990923111/p…
- shabait.com/2022/12/31/
FONTE: martinplaut.com/2023/01/03/eep…
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BRASILE. La simbologia dell’insediamento di Lula celebra l’unione e la diversità
di Glória Paiva –
Pagine Esteri, 3 gennaio 2023 – Il 1° gennaio, a Brasilia, Luiz Inacio Lula da Silva ha prestato giuramento come nuovo presidente del Brasile insieme al suo vice Geraldo Alckmin, iniziando il suo terzo mandato come protagonista del più grande evento di passaggio di potere nella storia del paese. La giornata è stata segnata da una grande festa popolare, da immagini molto emblematiche e dalla trasformazione di alcuni riti e protocolli.
Di primo mattino, gli addetti alle pulizie sono stati visti gettare sale grosso (utilizzato per “ripulire il malocchio” secondo la superstizione popolare) sulla rampa del Palazzo del Planalto. Prima delle 10, la piazza Três Poderes è diventata rapidamente affollata, con 40.000 persone all’interno e altre migliaia all’esterno, che guardavano tutto su grandi schermi. Per alleviare il caldo dei 27 gradi, i vigili del fuoco hanno schizzato acqua sulla folla colorata di rosso, il colore del Partito dei Lavoratori.
Nella tradizionale sfilata in auto scoperta, la Rolls Royce presidenziale, Lula e la first lady, Rosangela da Silva (detta “Janja”) hanno incluso, per la prima volta, il vicepresidente e sua moglie, Lu Alckmin, in linea con la sua campagna elettorale e il cosiddetto “fronte unico” per la democrazia. Lula ha anche pianto in diverse occasioni, ha fatto un cuoricino con le mani per la folla e ha persino interrotto la firma del suo mandato per onorare lo Stato del Piauí, raccontando un aneddoto sulla penna che gli è stata data da uno dei suoi sostenitori nella campagna presidenziale del 1989.
C’è stato anche un evento musicale intitolato “Festival del Futuro”, con 60 musicisti che si sono esibiti volontariamente per 17 ore di fila, celebrando i nuovi nomi della musica brasiliana e cantando anche canzoni storiche della lotta contro la dittatura militare.
Persino la tradizionale salita del presidente e del vice sulla rampa del Palazzo del Planalto ha avuto una componente originale: la cagnolina di nome Resistência, salvata dalle strade di Curitiba da Janja quando Lula era detenuto, nel 2018. Resistência ha fatto la passeggiata scodinzolando accanto all’entourage di Lula pochi istanti prima del passaggio della fascia presidenziale.
La popolazione rappresentata nella consegna della fascia
La partenza di Bolsonaro a Miami, il 30 dicembre, e la sua riluttanza ad ammettere la vittoria di Lula hanno inconsapevolmente propiziato l’immagine straordinaria che si è prodotta nel passaggio della fascia presidenziale. Nel rito, istituito nel 1910, il presidente eletto riceve l’ornamento dal suo predecessore. Prima di Bolsonaro, solo João Figueiredo si era rifiutato di consegnare la fascia al suo successore, nel 1985. Fino all’ultimo minuto, la squadra di Lula ha mantenuto il segreto su chi avrebbe consegnato la fascia.
Quando è arrivato il momento, otto persone si sono presentate al Planalto: un bambino nero di 10 anni, il capo indigena del popolo Kayapó, un metallurgico, un insegnante, una cuoca, un influencer con paralisi cerebrale, un artigiano e, infine, una raccoglitrice di rifiuti, Aline Sousa. Nera e madre di sette figli, Aline rappresenta uno dei più grandi segmenti della popolazione del Brasile, eppure, uno dei più vulnerabili. La fascia è stata passata di mano in mano fino a raggiungere Aline, che l’ha messa sul petto di Lula.
La scena ha suscitato grande commozione: politici e partecipanti presenti all’atto sono stati fotografati con le lacrime agli occhi, di fronte a quella che sembrava essere una riparazione simbolica per gli ultimi quattro anni, in cui le fasce più fragili della società brasiliana sono state escluse dalle priorità del governo federale.
Sebbene il rito di consegna della fascia non sia obbligatorio, è un’immagine importante per i valori che trasmette: l’alternanza pacifica del potere. Non è stata una sorpresa, quindi, che Bolsonaro e il suo vice, il generale dell’esercito Hamilton Mourão, si siano rifiutati di farlo, segnalando che il bolsonarismo non accetta così pacificamente questa alternanza.
Ciò che resta del bolsonarismo
Secondo gli esperti, il bolsonarismo, ideologia che ormai trascende la figura di Bolsonaro, sarà una delle grandi sfide del governo Lula, che trova un Senato e una Camera dei Deputati con grandi gruppi bolsonaristi tra i suoi membri.
Nei tre discorsi pronunciati durante la cerimonia di insediamento – al Congresso, al Palazzo del Planalto e al Festival del Futuro –, Lula ha promesso di governare “per tutti”, privilegiando l’unità, nonostante abbia detto anche che la Giustizia riterrà responsabili coloro che incitano atti antidemocratici e gli autori del cosiddetto “genocidio” conseguente alle politiche pubbliche durante la pandemia di covid-19. Nei suoi discorsi, Lula ha parlato della necessità di “ricostruire il paese sulle terribili rovine” lasciate dalla precedente amministrazione, insistendo sul suo impegno per il contrasto alle disuguaglianze e per la tutela dell’ambiente. Ha reiteratamente rafforzato l’idea di “democrazia per sempre” e ha fatto appello ai bolsonaristi, chiedendo “la fine dell’odio e delle fake news”.
La violenza dei gruppi estremisti è stata addirittura uno dei fattori di preoccupazione per il cerimoniale di Lula. Un tentativo di attacco terroristico il 24/12 ha portato a un rafforzamento della sicurezza nell’evento. Nell’occasione, il bolsonarista George Washington de Oliveira Sousa ha confessato di aver installato un esplosivo in un camion vicino all’aeroporto di Brasilia. Sousa avrebbe agito in collusione con altri manifestanti accampati nei pressi del quartier generale dell’esercito nella capitale federale. Secondo la Polizia Civile, il gruppo ha persino attivato l’ordigno, che fortunatamente non è esploso.
Ricostruzione democratica
Le proteste portate avanti dai manifestanti bolsonaristi sono state giustamente chiamati atti antidemocratici, per aver insistito su un intervento delle Forze Armate e per aver promosso vandalismo e violenza. Accampati da novembre davanti alle caserme dell’esercito in alcune capitali brasiliane, i gruppi sono diminuiti da quando Bolsonaro ha lasciato il Brasile.
Nel governo precedente, le fondamenta democratiche del Brasile sono state messe in discussione da una gestione caratterizzata dall’assenza di un progetto sociale, da disinformazione, discorsi di odio, accenni al militarismo, al negazionismo scientifico e all’intolleranza religiosa e politica. Tutto ciò, anziché combattere la polarizzazione della società, l’ha solo approfondita.
Nonostante questi ostacoli, la democrazia brasiliana ha dimostrato la sua resistenza. Il sistema di voto elettronico, tanto attaccato nella precedente amministrazione, ha dimostrato la sua sicurezza ed efficacia; i poteri legislativi hanno mantenuto il rispetto della Costituzione; la Giustizia Elettorale ha compiuto notevoli sforzi per la lotta alle fake news e per la difesa dei risultati delle urne. Le Forze Armate non si sono piegate alle richieste di intervento dei movimenti bolsonaristi. Durante l’insediamento di Lula, il battaglione della guardia presidenziale si è schierato in fila davanti al passaggio del presidente, sulla rampa del Palazzo del Planalto, come prevede il rito istituito dopo la Dittatura, nel 1988, che simboleggia la sottomissione delle Forze Armate al potere civile.
Lula, la cui maggioranza dei voti è stata espressa da donne, poveri e dalla popolazione del Nordest, ha ribadito più volte, nei suoi discorsi di giorno 1º, che la democrazia è stata la grande vincitrice di queste elezioni. Con una festa di inaugurazione colorata, allegra, piena di lacrime e di musica, con persone provenienti da tutto il paese, dalle famiglie tradizionali alla comunità LGBTQI+, con popoli indigeni, neri e bianchi, la festa di inaugurazione è stata un chiaro segno che la democrazia brasiliana, soffocata negli ultimi anni, desidera respirare un’aria di più rispetto, diversità e inclusione. Pagine Esteri.
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Virman Cusenza – Giocatori d’azzardo
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GERUSALEMME. L’ombra di Ben Gvir sulla Spianata delle moschee
di Michele Giorgio
(nella foto Itamar Ben Gvir con, a destra, il suo alleato il ministro delle finanze Bezalel Smotrich)
Pagine Esteri, 3 gennaio 2023 – «Itamar Ben Gvir non deve salire al Monte del Tempio (la Spianata delle moschee, ndr)…È una provocazione deliberata che costerà vite umane». Ad affermarlo ieri non è stato un esponente politico palestinese ma Yair Lapid, capo dell’opposizione israeliana e premier fino alla scorsa settimana. Una ulteriore conferma che la «visita» che Ben Gvir, non più un semplice deputato ma ora ministro della Pubblica sicurezza, alla Spianata delle moschee rischia di innescare proteste e scontri violenti a Gerusalemme. Ieri pomeriggio il primo ministro Benyamin Netanyahu si è incontrato con Ben Gvir. Sarebbe riuscito, secondo alcune fonti, a convincerlo a rinviare la visita. Ma la notizia non era fondata. Il leader del partito di estrema destra Otzma Yehudit questa mattina ha “passeggiato” sulla Spianata, incurante delle proteste palestinesi. Il
Le «visite» di rappresentanti della destra religiosa israeliana non sono nuove al sito considerato il terzo luogo santo dell’Islam dopo Mecca e Medina. La «passeggiata» che lo scomparso capo della destra e primo ministro Ariel Sharon fece nel settembre del 2000 sulla Spianata, in una fase di intenso scontro politico e diplomatico tra israeliani e palestinesi, accese la miccia della seconda Intifada contro l’occupazione. Delicato è anche questo momento in cui l’ascesa al potere in Israele dell’estrema destra religiosa genera tensioni e preoccupazioni, anche all’interno dello Stato ebraico. Ben Gvir è un accanito sostenitore del cambiamento dello status quo sulla Spianata in vigore dal 1967 e riconfermato dal trattato di pace del 1994 tra Israele e Giordania. Gli ebrei già pregano al loro sito più sacro, il Muro del Pianto – i musulmani sulla Spianata e i cristiani al Santo Sepolcro – ma l’estrema destra e i movimenti messianici vogliono imporre lo svolgimento di riti ebraici e la spartizione del sito islamico. Una questione che non riguarda solo i palestinesi. Mercoledì scorso re Abdullah di Giordania, custode dei luoghi santi islamici e cristiani, ha ammonito il governo Netanyahu a «non superare linee rosse» a Gerusalemme. Il movimento islamico Hamas ieri ha lanciato l’allerta e facendo capire di essere pronto a una nuova guerra con Israele: «Chiamiamo la nostra gente a difendere la moschea di Al Aqsa», ha esortato il portavoce Harun Nasser al Din. Una reazione è giunta anche dall’Autorità nazionale palestinese. «La minaccia di Ben Gvir di assalire Al-Aqsa come ministro della sicurezza – ha scritto su Twitter Hussein al Sheikh – è il culmine di una sfida palese e spudorata che richiede una risposta palestinese, araba e internazionale».
Il nuovo governo israeliano segnala che non terrà conto più di tanto delle posizioni internazionali. È stata minima infatti la reazione del governo Netanyahu alla decisione dell’Assemblea generale dell’Onu che ha approvato una risoluzione – 87 voti favorevoli, 53 astenuti e 26 contrari (tra i quali l’Italia) – che chiede alla Corte internazionale di giustizia (Cig) di esprimere un parere consultivo sulle conseguenze legali dell’occupazione israeliana, sugli insediamenti coloniali, le misure volte ad alterare la composizione demografica nei Territori occupati, il carattere e lo status di Gerusalemme. Il ministro del turismo israeliano Haim Katz ha commentato il voto a suo modo annunciando investimenti «in Giudea e Samaria, la nostra Toscana» usando termini ebraici per indicare la Cisgiordania. Nel 2004 i giudici internazionali stabilirono che il Muro costruito da Israele in Cisgiordania era illegale.
Proseguono anche nel 2023 le incursioni dell’esercito israeliano nei Territori occupati. Ieri due palestinesi, Mohammad Houshieh e Fouad Abed, sono stati uccisi durante scontri a Kafr Dan (Jenin) scoppiati mentre i militari demolivano le case dei due palestinesi che lo scorso settembre spararono contro un posto di blocco uccidendo un militare. È di quattro morti invece il bilancio di un bombardamento israeliano sull’aeroporto internazionale di Damasco messo «fuori servizio» per alcune ore. Pagine Esteri
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La scuola del merito e delle classi dominanti - Cumpanis
«Al centro della scuola del ministro, non ci sono i ragazzi con i loro reali bisogni formativi ma solo la volontà di fornire alle imprese un serbatoio di robot, precari e senza diritti, che si umiliano (“l’umiliazione è un fattore fondamentale nella crescita”) ed eseguono perfettamente tutti i compiti assegnati loro dal padrone di turno.»
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GERUSALEMME. L’ombra di Ben Gvir sulla Spianata delle moschee
di Michele Giorgio
(nella foto Itamar Ben Gvir con, a destra, il suo alleato il ministro delle finanze Bezalel Smotrich)
Pagine Esteri, 3 gennaio 2023 – «Itamar Ben Gvir non deve salire al Monte del Tempio (la Spianata delle moschee, ndr)…È una provocazione deliberata che costerà vite umane». Ad affermarlo ieri non è stato un esponente politico palestinese ma Yair Lapid, capo dell’opposizione israeliana e premier fino alla scorsa settimana. Una ulteriore conferma che la «visita» che Ben Gvir, non più un semplice deputato ma ora ministro della Pubblica sicurezza, alla Spianata delle moschee rischia di innescare proteste e scontri violenti a Gerusalemme. Ieri pomeriggio il primo ministro Benyamin Netanyahu si è incontrato con Ben Gvir. Sarebbe riuscito, secondo alcune fonti, a convincerlo a rinviare la visita. Ma la notizia non era fondata. Il leader del partito di estrema destra Otzma Yehudit questa mattina ha “passeggiato” sulla Spianata, incurante delle proteste palestinesi. Il
Le «visite» di rappresentanti della destra religiosa israeliana non sono nuove al sito considerato il terzo luogo santo dell’Islam dopo Mecca e Medina. La «passeggiata» che lo scomparso capo della destra e primo ministro Ariel Sharon fece nel settembre del 2000 sulla Spianata, in una fase di intenso scontro politico e diplomatico tra israeliani e palestinesi, accese la miccia della seconda Intifada contro l’occupazione. Delicato è anche questo momento in cui l’ascesa al potere in Israele dell’estrema destra religiosa genera tensioni e preoccupazioni, anche all’interno dello Stato ebraico. Ben Gvir è un accanito sostenitore del cambiamento dello status quo sulla Spianata in vigore dal 1967 e riconfermato dal trattato di pace del 1994 tra Israele e Giordania. Gli ebrei già pregano al loro sito più sacro, il Muro del Pianto – i musulmani sulla Spianata e i cristiani al Santo Sepolcro – ma l’estrema destra e i movimenti messianici vogliono imporre lo svolgimento di riti ebraici e la spartizione del sito islamico. Una questione che non riguarda solo i palestinesi. Mercoledì scorso re Abdullah di Giordania, custode dei luoghi santi islamici e cristiani, ha ammonito il governo Netanyahu a «non superare linee rosse» a Gerusalemme. Il movimento islamico Hamas ieri ha lanciato l’allerta e facendo capire di essere pronto a una nuova guerra con Israele: «Chiamiamo la nostra gente a difendere la moschea di Al Aqsa», ha esortato il portavoce Harun Nasser al Din. Una reazione è giunta anche dall’Autorità nazionale palestinese. «La minaccia di Ben Gvir di assalire Al-Aqsa come ministro della sicurezza – ha scritto su Twitter Hussein al Sheikh – è il culmine di una sfida palese e spudorata che richiede una risposta palestinese, araba e internazionale».
Il nuovo governo israeliano segnala che non terrà conto più di tanto delle posizioni internazionali. È stata minima infatti la reazione del governo Netanyahu alla decisione dell’Assemblea generale dell’Onu che ha approvato una risoluzione – 87 voti favorevoli, 53 astenuti e 26 contrari (tra i quali l’Italia) – che chiede alla Corte internazionale di giustizia (Cig) di esprimere un parere consultivo sulle conseguenze legali dell’occupazione israeliana, sugli insediamenti coloniali, le misure volte ad alterare la composizione demografica nei Territori occupati, il carattere e lo status di Gerusalemme. Il ministro del turismo israeliano Haim Katz ha commentato il voto a suo modo annunciando investimenti «in Giudea e Samaria, la nostra Toscana» usando termini ebraici per indicare la Cisgiordania. Nel 2004 i giudici internazionali stabilirono che il Muro costruito da Israele in Cisgiordania era illegale.
Proseguono anche nel 2023 le incursioni dell’esercito israeliano nei Territori occupati. Ieri due palestinesi, Mohammad Houshieh e Fouad Abed, sono stati uccisi durante scontri a Kafr Dan (Jenin) scoppiati mentre i militari demolivano le case dei due palestinesi che lo scorso settembre spararono contro un posto di blocco uccidendo un militare. È di quattro morti invece il bilancio di un bombardamento israeliano sull’aeroporto internazionale di Damasco messo «fuori servizio» per alcune ore. Pagine Esteri
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Il Battaglione Azov in visita in Israele «si purifica» a Masada
di Michele Giorgio*
Pagine Esteri, 22 dicembre 2022 – Accusati di antisemitismo e di essere neonazisti, eppure accolti con calore in Israele. Militari del famigerato Battaglione Azov, oggi chiamato Reggimento Azov, sono giunti la scorsa settimana, assieme a una delegazione ucraina, a Gerusalemme dove hanno incontrato tra gli altri ufficiali riservisti delle forze armate israeliane. Scopo del viaggio, di cui si è appreso solo due giorni fa da articoli apparsi su alcuni giornali locali, è stato quello di discutere con gli interlocutori israeliani dell’andamento della guerra con la Russia e di smentire quanto si dice a proposito dei sentimenti razzisti dei combattenti dell’Azov.
Sabato la delegazione ucraina è andata nell’area del Mar Morto dove ha visitato il sito archeologico di Masada, la cittadella dove l’esercito romano nel 73, al termine della prima guerra giudaica, mise sotto assedio un gruppo di ribelli zeloti arroccati in una fortezza. Alla fine, i Romani riuscirono ad espugnarla trovandovi i cadaveri di quasi tutti gli assediati che si erano suicidati in massa. Un luogo che, stando a ciò che riferiscono i media israeliani, ha ispirato la guida della delegazione, Ilya Samoilenko, uno degli ufficiali dell’Azov che si sono barricati mesi fa nelle acciaierie dell’Azovstal, al punto da spingerlo a paragonare la difesa di Mariupol dall’attacco russo a quella di Masada contro i Romani. «Quando oggi in Israele si parla della difesa di Mariupol, gli israeliani, comprendendo prima di tutto le differenze militari tra la guerra di 2000 anni fa e oggi, ripetono costantemente: Mariupol è la tua Masada», ha proclamato, attraverso un portavoce, Samoilenko, accompagnato in Israele da Yuliya Fedosyuk, dell’Associazione delle famiglie dei difensori dell’Azovstal. In Israele Samoilenko ha lungamente parlato dei soldati ucraini che hanno combattuto al suo fianco e che sono detenuti in Russia.
Il Reggimento Azov oggi afferma di essere diverso dal Battaglione Azov e di aver congedato i neonazisti che ne facevano parte. Proprio Samoilenko, durante l’assedio dell’Azovstal, descrisse in un’intervista le accuse secondo cui il reggimento è neonazista parte della «propaganda russa». L’Azov, disse, «è cambiato. Ha epurato il suo oscuro passato. L’unico radicalismo che abbracciamo è la nostra volontà di difendere l’Ucraina». A sostegno delle sue affermazioni la stampa israeliana, evidentemente imbarazzata da una visita tanto ingombrante, ha pubblicato un fiume di dichiarazioni di analisti ed esperti, locali e internazionali, che si affannano a confermare il «cambiamento radicale» avvenuto nell’Azov nel passaggio da Battaglione a Reggimento. I lupi in sostanza sarebbero diventati agnelli, semplici patrioti che combattono agli ordini della Guardia Nazionale dell’Ucraina e bravi padri di famiglia. I dubbi invece restano forti ed è ancora vivo il ricordo di crimini compiuti nel 2013-14 dal Battaglione Azov durante le violenze e spargimenti di sangue che aprirono la strada al colpo di stato contro il presidente filorusso Viktor Yanukovich.
Il suprematista ucraino Andriy Biletsky a colloquio con due miliziani dell’Azov
In rete circolano articoli e notizie, di cui non è possibile verificare il fondamento, di vendite avvenute negli anni passati di fucili Tavor israeliani agli uomini dell’Azov ritenuti dall’Onu e dai centri per i diritti umani responsabili di crimini di guerra nel Donbass tra cui torture, violenze sessuali e attacchi contro abitazioni civili. Uno dei fondatori dell’Azov, è stato un deputato nel parlamento ucraino. Sostiene la necessità di «ripristinare l’onore della razza bianca» e ha proposto leggi che vietano il «mescolamento razziale». Pagine Esteri
*Questo articolo è stato pubblicato in origine sul quotidiano Il Manifesto
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#uncaffèconLuigiEinaudi☕ – Importa che non si radichi l’idea nefasta…
Importa che non si radichi l’idea nefasta, trista eredità del ventennio, che ci sia qualcuno incaricato di opinare, di vegliare, di decidere per conto nostro
da I limiti ai partiti, «L’Italia e il secondo Risorgimento», 20 maggio 1944
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Il calcio (purtroppo) non è più Pelé
Con tutto il rispetto, con tutto il rispetto vero, consapevole, pensato e quindi misurato, ma con tutto il rispetto per la persona, ma specialmente per la morte, la sua in questo caso, fa impressione e, diciamola tutta, anche un po’ schifo leggere titoli sparati in prima pagina (una volta si sarebbe detto: a otto colonne) […]
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#xmpp spiegato male
Una delle cose più difficili per me è convincere gli amici a usare sistemi IM diversi da WA o Telegram.
Ed è difficile soprattutto perché tutto è così "appificato" che qualsiasi cosa vada oltre lo "scarica quest'app" per funzionare, viene bollata come "cosa da nerd".
E forse non è errato pensarla così, se pensate a come presentare xmpp. Intanto, come lo nominereste? Icsempipì? Jabber? Poi: quale app? Dove scaricarla? Quale provider? Se queste parole suoneranno familiari nel contesto di chi ha scelto il fediverso come social, per la maggior parte degli altri possessori di smartphone sarà ostrogoto. "I provider... Oddio!".
Non si è parlato ancora di OMEMO, selfhosting, ragioni etiche e di privacy, decentralizzazione, alternative a gafam, libertà di scelta del client: anche l'approccio più semplice e pronto all'uso è già troppo, troppo difficile.
Mi sono cimentato nella scrittura di un post col numero minimo di istruzioni terra-terra per fare provare XMPP a qualche amico, ma non sono riuscito a farla semplice come avrei sperato. È pieno di passaggi delicati che, probabilmente, faranno desistere anche chi avrebbe desiderato assecondarmi e provarci.
Che poi: facile lo è davvero, da usare. Ma manca qualcosa che renda il tutto davvero autoesplicativo, che permetta di dire "toh, scarica quest'app" e il resto sia un percorso guidato dove fare pochi passaggi per impostare tutto.
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è un peccato. Senza una buona app sul play store non si va da nessuna parte, il passaggio a un catalogo di applicazioni alternativo (f-droid) non è cosa da tuttə.
L'unica è trovare degli sponsor a Daniel, così può mettere Conversations gratuita.
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Papa Benedetto XVI: un’eredità di brillantezza intellettuale e controversie
Benedetto XVI lascia dietro di sé un’eredità complessa come Papa e teologo. Per molti osservatori, Benedetto, morto il 31 dicembre 2022 all’età di 95 anni, era noto per aver criticato quello che vedeva come il rifiuto di Dio da parte del mondo moderno e le verità senza tempo del cristianesimo. Ma come studioso della diversità […]
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Come far fruttare i soldi del conto in banca
Come far fruttare i risparmi di una vita 130 miliardi di risparmi: una cifra da capogiro che descrive perfettamente la propensione al risparmio delle famiglie del Bel Paese che oggi arriva a toccare percentuali così alte al punto da far aggiudicare, all’Italia, il primato europeo in filosofia del risparmio. Quello che manca a tutt’oggi, però, […]
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‘O Rey’ Pelè o l’arte della pedata
“Rimane il fatto che capire la gente non è vivere. Vivere è capirla male, capirla male e poi male e, dopo un attento riesame, ancora male. Ecco come sappiamo di essere vivi: sbagliando” (P. Roth, Pastorale americana) Tre si afferma essere il numero perfetto. La Scuola pitagorica del I secolo avanti Cristo lo considera perfetto […]
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2022, un anno di aggressione russa all’ Ucraina e il ruolo dell’America nella difesa della libertà
L’anno 2022 ha segnato il cambiamento definitivo nello spettro della pace e della stabilità regionale e globale, mentre assistiamo alla lunga marcia dell’autocrazia e della politica di potere che sono state inquadrate da una narrativa fuorviante e giustificate giocando la carta della vittima e ribaltando la situazione le norme e le regole accettate nel definire […]
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