Firenze, non chiamate mai i vigili del fuoco!
Non chiamate mai i vigili del fuoco!
Pubblicato il 11/01/2023 da Miguel Martinez
Ieri abbiamo avuto una lezione di urbanistica molto istruttiva.
Allora, riassunto delle puntate precedenti:
A dicembre, si apre una grossa buca nella nostra trecentesca strada, percorsa quotidianamente da centinaia di autobus.
I residenti dei palazzi vicini iniziano a segnalare crepe preoccupanti anche nei loro palazzi, che tremano a ogni passaggio.
In particolare, una Signora scopre una voragine nella propria cantina di casa, proprio di fronte alla buca appena tappata.
La Signora chiama i vigili del fuoco, che le consigliano la massima allerta, invitandola a tenere sempre pronta una valigia e scappare al minimo scricchiolio.
La polizia municipale, chiamata dai vigili del fuoco, fa piazzare delle transenne davanti a varie case, tra cui quella della signora.
Il traffico su quattro ruote viene bloccato a monte, con altre transenne.
Tutto chiaro?
Ieri mattina, la Signora a cui hanno detto di essere pronta a scappare riceve una telefonata.
“Sono dell’AVR“
“Cosa?”
“Sì, siamo la ditta che fornisce il Global Service al Comune di Firenze, in particolare siamo noi che mettiamo le transenne.
Il Comune ci sta mettendo pressione, vogliono riaprire la strada al traffico, lei ci dà il permesso?“
“Io? Ma è il Comune che ha chiuso la strada, mica io!”
“Ah, un’altra cosa, oggi le mandiamo la fattura.”
“Non ho capito…”
“Sì, ci deve pagare per le transenne. Le abbiamo messe per lei”.
“Ma perché devo pagare io? Io non le ho mai chieste!”
“No, guardi. La polizia municipale ci ha detto che è stata proprio lei a chiamare i vigili del fuoco, quindi ci rivaliamo su di lei.”
“Allora se devo pagare io, posso togliere le transenne davanti casa mia?”
“No. La rimozione deve essere autorizzata dalla polizia municipale, sono loro che ci hanno detto di metterle, non le può mica togliere lei.
Comunque stiamo preparando la fattura, più tardi gliela mandiamo, buona giornata!”
Qualche ora dopo, arriva per davvero la fattura.
Sono 875 (ottocentosettantacinque/00) euro per la “uscita dell’operaio” e per il godimento non richiesto delle suddette transenne per dieci giorni: ovviamente ogni giorno in più si aggiungeranno ulteriori costi, che verranno fatturati successivamente.
Ma per liberarsi da questo tributo alla Ditta Privata AVR, basta che la Signora esegua i necessari lavori per risistemare tutto, che un perito certifichi la perfetta condizione del palazzo, e soprattutto che la Signora si “assuma tutte le Responsabilità”: se il palazzo cade addosso a una famigliola e ne fa schiacciata co’ l’uva, l’assassina sarà la Signora.
IRAN. Proteste. Le idee diverse di cambiamento di conservatori e riformisti
di Valeria Cagnazzo*
Pagine Esteri, 11 gennaio 2023 – Ci sono due episodi nell’ultima settimana, tra le tante immagini di violenza e di aule di tribunale arrivate dall’Iran, che possono dare un’idea di quanto le proteste che scuotono il Paese stiano anche ferocemente scuotendo le alte sfere della politica, sia dalla parte del governo che da quella dell’opposizione. Al di là dell’opinione pubblica internazionale, delle denunce delle organizzazioni per i diritti umani, delle reazioni più o meno vigorose delle diplomazie occidentali, è all’interno del Paese e nelle sue stanze di governo che si decidono le sorti dell’Iran.
La prima immagine è quella del leader supremo Ali Khamenei che siede su un palchetto rivolto a un’assemblea di donne velate di nero. Lui è ingobbito nei soliti abiti di ordinanza e indossa una mascherina chirurgica che a causa delle barba gli si arriccia e gli risale fino al labbro inferiore. E’ il 4 gennaio, l’incontro si svolge a Teheran, e l’ayatollah afferma che il velo è “una necessità inviolabile della Sharia”. Poi, però, aggiunge: “Coloro che non indossano adeguatamente l’hijab non dovrebbero essere accusate di essere irreligiose o controrivoluzionarie”. E rivolge un invito ai suoi sostenitori: “Evitate di escludere dai circoli islamici e rivoluzionari coloro che indossano male l’hijab” perché anch’esse sono “le nostre mogli e le nostre figlie”.
La seconda immagine è il volto di Fatemeh Hashemi Rafsanjiani, le rughe le scavano il volto soprattutto intorno alle labbra e sotto alle occhiaie. E’ la figlia maggiore di Akbar Hashemi Rafsanjani, presidente moderato tra il 1989 e il 1997, deceduto nel 2017, deciso durante il suo mandato a migliorare i rapporti con l’Occidente e liberalizzare il mercato. Dal padre, Fatemeh Hashemi ha ereditato la passione per la politica, in un Paese in cui essere riformisti è sempre più difficile e l’opposizione è messa da parte. La sua fedina non è pulita, già nel 2012 è stata allontanata dalla politica e condannata al carcere per la sua propaganda “anti-statale” durante le elezioni del 2009.
Nella mattina di martedì 10 gennaio, il legale di Fatemeh Hashemi ha annunciato la condanna a 5 anni di carcere nei confronti della donna. Le accuse non sono ancora ufficiali, ma il suo attivismo e la sua propaganda contro il regime nell’ultimo anno e in particolare in questi ultimi mesi potrebbero essere la causa del suo ennesimo problema con la giustizia.
Secondo quanto dichiarato dall’agenzia Amwaj.media, Fatemeh Hashemi aveva incontrato nelle ultime settimane Mojtaba Khamenei, il figlio dell’ayatollah Khamenei e tra i suoi più papabili eredi. Al centro dell’incontro, secondo indiscrezioni e informazioni non ufficiali, ci sarebbe stata la richiesta da parte di Hashemi di ascoltare le richieste della popolazione e far imboccare al governo la via della riforma. L’esito non sembra essere stato dei migliori, e poco dopo su Hashemi si è abbattuta la condanna al carcere.
Una delle tante, in un Paese che giorno dopo giorno sentenzia e condanna anche alla pena capitale i leader delle proteste e gli attivisti. Nonostante le richieste provenienti da tutto il mondo di arrestare la macchina della morte e delle repressione messa in azione dal governo, i tribunali continuano a emettere sentenze draconiane. Muoiono per impiccagione manifestanti giovanissimi, colpevoli solo di aver partecipato alle proteste contro il regime o di aver diffuso critiche contro il governo.
Le manifestazioni, dal settembre 2022, si sono estese a oltre 160 città, in 31 province del Paese. Si marcia al canto di “Abbasso il dittatore”. La furia dei protestanti si rivolge contro lo status quo e contro la Repubblica islamica, non semplicemente contro la polizia morale o l’imposizione del velo.
Iniziate dopo la morte di Mahsa Amini, hanno convogliato in breve tempo la rabbia di tutto l’Iran. Anni di inflazione altissima, crollo della valuta, disoccupazione alle stelle, in un Paese in cui il dibattito pubblico non esiste e i partiti dell’opposizione sono stati ridotti al silenzio, dovevano inevitabilmente erompere prima o poi in un moto di rabbia. Uno tsunami, che continua a investire l’Iran, nonostante la repressione che il governo continua deliberatamente a operare a suon di condanne al carcere e alla pena capitale.
Mentre la repressione va avanti, però, l’ayatollah Khameini si mostra morbido e accondiscendente sull’obbligo del velo, un padre comprensivo delle “figlie” dell’Iran. Dall’altra parte, una donna dell’opposizione, dopo proteste e incontri clandestini con i suoi collaboratori, arriva a introdursi nelle stanze del Khameini figlio, perché la piazza venga ascoltata, perché qualcosa finalmente succeda. E del fatto che qualcosa debba succedere sembrano essere convinti i politici di entrambe le parti. Quelli che siedono al governo e che sostengono la repubblica islamica come quelli dell’opposizione. Ciascuno sta giocando le sue carte.
Tra i conservatori, si inizia a discutere di riforme. Le insurrezioni popolari non si fermano e il pericolo di una guerra civile è troppo alto per non cercare a questo punto di preservare lo status quo con qualche debole riforma che possa accontentare la popolazione e dare una parvenza di buona volontà.
Diversi politici conservatori ne starebbero discutendo a porte chiuse, ma nelle ultime settimane molti esponenti politici sono arrivati a rilasciare dichiarazioni pubbliche a sostegno di nuove aperture. L’ex relatore parlamentare Ali Larijani, ad esempio, un moderato e attualmente consigliere del leader supremo Ali Khamenei, secondo l’agenzia Amwaj avrebbe sostenuto che la Repubblica islamica dovrebbe ignorare l’applicazione dell’hijab obbligatorio, citando altre leggi che nella realtà dei fatti vengono ampiamente ignorate, come il divieto di utilizzo di antenne paraboliche.
Zarghami, ex capo conservatore della televisione di Stato e attualmente ministro della cultura e del turismo, avrebbe sottolineato che una riforma del sistema politico non significherebbe il suo collasso. Anche l’attuale portavoce del parlamento, Mohammed Baker Qalibaf, si sarebbe dichiarato a favore delle riforme, da operare all’interno del governo.
Alcuni bollettini diffusi a dicembre dal gruppo hacker “Black Reward” e attribuiti all’agenzia semi-ufficiale Fars, vicina all’Islamic Revolutionary Guard Corps (IRGC), sembrano supportare l’idea di un dibattito acceso all’interno della maggioranza dei conservatori. Al centro di esso, però, ci sarebbe ancora la questione del velo.
Nonostante il dibattito in seno alle alee conservatrici meno estremiste, nessun cambiamento potrà, però, effettivamente attuarsi, probabilmente, se non prima ratificato dall’Endurance Front, un gruppo religioso ultra-conservatore che controlla le posizioni più importanti della Repubblica.
Mentre alcuni conservatori, tra l’altro, si nascondono dietro al velo per preservare il loro potere, il cambiamento che i manifestanti chiedono è radicale. A intercettare le loro istanze, dovrebbero essere i riformisti, finalmente con un’occasione di tornare in prima linea – malgrado le ripercussioni e gli arresti previsti per i dissidenti.
Le strategie sembrano essere diverse, non ultima quella di rivolgersi direttamente al governo o ai garanti della Sharia e della Repubblica Islamica. Secondo un altro bollettino segreto diffuso dal gruppo hacker, l’ex presidente riformista Mohammad Khatami avrebbe scritto una lettera direttamente all’ayatollah per chiedere riforme strutturali. Proprio come Fatemeh Ashemi che si sarebbe rivolta direttamente a suo figlio.
I volti dell’opposizione tornano a riemergere e a spaventare l’establishment. A sostenerli, adesso, sarebbero milioni di iraniani insorti. E oltre ai politici noti di professione, i mesi di proteste hanno generato anche altre realtà.
Il 4 dicembre 2022, 30 organizzazioni locali coinvolte nell’organizzazione delle proteste, si sono riunite nella “Neighbourhood Alliance Youth of Iran”. Nel loro manifesto politico si chiede l’instaurazione di una forma di governo democratica e la separazione del potere politico da quello religioso, oltre al rispetto dei diritti universali dell’uomo e della donna.
ما جوانان و وارثان این مرز و بوم مرامنامه ای با محوریت سقوط ج.ا جدایی دین از سیاست و تشکیل یک دولت مردم سالار تحت حاکمیت قانون تهیه کرده ایم و بدینوسیله دوستان،گروهها و اصنافی را را که در تمامی هفت بند این مرام نامه با ما هم عقیده اند؛ به همکاری و ائتلاف دعوت میکنیم.#مهسا_امینی pic.twitter.com/x4ul6pyvdy— اتحاد جوانان محلات ایران (@UYI_fa) January 2, 2023
Ci sono poi gli iraniani della diaspora, che abbandonarono il Paese nel 1979 e il cui supporto è adesso fondamentale per incoraggiare i manifestanti e tenere puntati i riflettori dei loro Paesi ospiti su quello che sta succedendo. Hanno costituito organizzazioni per i diritti umani e reti di professionisti come la coalizione degli avvocati iraniani che potrebbero rivelarsi preziose anche nel sostenere un eventuale periodo di transizione, se mai le proteste dovessero effettivamente esitare in una rivoluzione e portare all’instaurazione di un nuovo governo.
E’ questo, infatti, l’interrogativo che maggioranza e opposizione si pongono ma sul quale si arrovellano ugualmente gli analisti nazionali e internazionali e i principali attori delle proteste che sfilano per le strade. E’ giusto chiamarla rivoluzione, e, soprattutto, potrebbe davvero ribaltare la Repubblica islamica?
Secondo l’avvocato iraniano-australiano Faraz Maghami, sarà possibile solo se le opposizioni ricorderanno la lezione del passato. Anche nel 1979, ha dichiarato alla rivista abc.net, il Paese era travolto da un’ondata di proteste violente e inarrestabili come quelle di oggi, ma il risultato fu una rivoluzione “dirottata”. La causa fu la totale assenza di un progetto. Commentatori, attivisti politici, gruppi diversi si erano riuniti tra loro “in modo molto approssimativo” con l’intento di “rovesciare lo Shah”, ma quando si concretizzò la possibilità di rovesciarlo effettivamente, non esisteva un piano di transizione. E ad approfittarne fu Khomeini.
Si dice ottimista Abbas Milani, direttore della facoltà di Studi iraniani all’Università di Stanford, che crede che l’opposizione e i movimenti emersi negli ultimi mesi nel Paese sarebbero in grado di formulare un piano di transizione efficace. “Sono nella diaspora da 35 anni”, ha dichiarato allo stesso giornale, “e non ho mai, mai visto la comunità iraniana, sia all’interno che all’esterno dell’Iran, tanto dedita quanto organizzata quanto mobilitata per il suo scopo”.
Le proteste potrebbero fallire e i restauratori conservare il loro potere. Gli attivisti e gli iraniani della diaspora per il momento dicono di non volerci pensare, di non poter immaginare questa opzione. Le ripercussioni sarebbero troppo violente, la vendetta si abbatterebbe su un Paese intero con proporzioni senza precedenti. Ormai, ripetono, “Siamo a un punto di non ritorno”.
*Valeria Cagnazzo (Galatina, 1993) è medico pediatra e praticante giornalista. Scrive poesie per le quali ha ottenuto premi e riconoscimenti. Ha collaborato con il Centro di Poesia Contemporanea di Bologna. Il suo libro “Inondazioni” (Capire Editore) nel 2020 è stato selezionato nella triade finalista del premio “Pordenone legge – I poeti di vent’anni”.
L'articolo IRAN. Proteste. Le idee diverse di cambiamento di conservatori e riformisti proviene da Pagine Esteri.
Soldati italiani nell’Europa dell’Est. 1500 pronti alla guerra con la Russia (parte 2)
di Antonio Mazzeo*
Pagine Esteri, 11 gennaio 2023 – Nell’agosto 2022 l’Italia – insieme ai reparti dell’esercito ungherese, croato e statunitense- è entrata a far parte del nuovo battaglione da guerra attivato dalla NATO in Ungheria per “rafforzare le attività di vigilanza” anti-Russia nel fianco sud-orientale. “L’Operazione Enhanced Vigilance Activity (eVA) in Ungheria è una misura di natura difensiva, proporzionata e pienamente in linea con l’impegno internazionale della NATO”, annota lo Stato Maggiore. “Con l’adesione all’iniziativa, dopo il previsto iter autorizzativo parlamentare, l’Italia si conferma tra i principali Paesi contributori, in termini di uomini, mezzi e risorse, al rafforzamento della postura di deterrenza e difesa della NATO sul fianco est”. (1)
A cannoneggiare nella puszta ungherese
La consistenza massima annuale autorizzata per il contingente in Ungheria è di circa 250 unità dell’Esercito; esso è composto – ancora una volta – da personale della Brigata Alpina “Taurinense”, in particolare del 3° Reggimento Alpini, rinforzato da componenti del 1° Reggimento Artiglieria Terrestre da montagna, del 1° Reggimento “Nizza Cavalleria” e del 32° Reggimento Genio Guastatori, oltre a un nucleo di polizia militare del 1° Reggimento Carabinieri Paracadutisti “Tuscania”. Numerosi i veicoli tattici in dotazione, dalle blindo “Centauro” ai VTMM (Veicoli tattici medi multiruolo), ai VTLM (Veicoli tattici leggeri multiruolo) e ai BV206 (Veicoli tattici ad elevata mobilità) tipici delle truppe alpine. A completare il potente dispositivo bellico ci sono pure i sistemi d’arma in dotazione alle unità di artiglieria, quali gli obici FH70, i mortai “Thomson” da 120mm e i sistemi controcarro di 3^ generazione “Spike” con missili a lungo raggio prodotti dall’azienda israeliana Rafael Ltd.. “Tutti i reparti coinvolti nell’operazione eVA provengono da un intenso ciclo addestrativo che li ha visti partecipare, solo nell’ultimo semestre, alle esercitazioni Volpe Bianca 22 nell’alta Val di Susa, Cold Response 22 in Norvegia, Maurin 22 nell’alta Valle Maira e Candelo 22 nella baraggia biellese, senza contare il continuo addestramento di specialità a vivere, muovere e combattere in montagna”, riporta con malcelata enfasi bellica lo Stato Maggiore dell’Esercito.
Le attività operative hanno preso il via il 18 agosto, una decina di giorni dopo il completamento dello schieramento in territorio magiaro. Il battesimo è stato consacrato dall’addestramento al “combattimento nei centri abitati e di navigazione terrestre”, a fianco dei paracadutisti della 101^ Divisione Aviotrasportata di US Army e di una compagnia dell’esercito croato. A fine agosto gli alpini della “Taurinense” hanno svolto un modulo addestrativo al “movimento e combattimento in ambiente notturno”, con pattuglie da ricognizione per i plotoni fucilieri, “simulazione” di esercizi di tiro con mortai da 120mm e obici da 155mm, acquisizione di obiettivi in movimento per le squadre controcarri, pattuglie esploranti con blindo “Centauro”, impiego degli esplosivi per “ridurre la mobilità nemica” e di robot per la bonifica di ordigni avversari per la componente guastatori.
Nel corso della prima settimana di settembre il contingente italiano ha condotto contestualmente due diverse attività addestrative: l’esercitazione a partiti contrapposti denominata “Patrol Storm” (pattuglia tempesta) per “combinare” le capacità di fuoco e di “acquisizione di obiettivi nemici in ogni condizione ambientale”; e “Fire Observer Concentration” per standardizzare le procedure per l’osservazione, la richiesta e la gestione del fuoco terrestre “erogabile mediante sistemi di artiglieria in dotazione alla NATO”. Subito dopo gli alpini si sono sottoposti a quattro giornate consecutive di attività di tiro, diurno e notturno e “sotto stress” con armamento individuale e di reparto presso il poligono ungherese di Ujmajor.
A fine settembre, nell’estesa area addestrativa ungherese di Varpalota, si è svolta invece “Brave Warrior” (guerriero valoroso) per la validazione del nuovo battlegroup e il suo passaggio sotto il comando NATO. A “Brave Warrior” hanno partecipato anche i contingenti di Ungheria, Stati Uniti, Croazia e Slovacchia, per una forza totale di oltre 1.200 militari e 300 tra carri armati, blindati e obici di artiglieria. Ospiti e osservatori “eccellenti” alle grandi manovre i vertici militari della NATO, il Comandante del Joint Force Command NATO di Brunssum, gen. Guglielmo Luigi Miglietta e il Comandante Operativo di Vertice Interforze COVI, gen. Francesco Paolo Figliuolo. “Consentitemi di dire che è un orgoglio personale vedere impegnati in questo sforzo collettivo voi alpini della Brigata Taurinense, unità che ho avuto il privilegio di guidare tra il 2010 e il 2011”, ha dichiarato Figliuolo alla cerimonia conclusiva dei war games. “Non è un caso che in una missione particolare come questa sia stata scelta proprio un’unità delle Truppe Alpine dell’Esercito, a riprova della versatilità e della resilienza di un Corpo che ha scritto pagine gloriose della storia nazionale e militare, con un impiego che va dal deserto ai territori montani e artici, ai quali siamo più votati, fino alla pianura ungherese. Inoltre, voi siete portatori di quelli che sono gli stessi valori della NATO, valori che esaltano la coesione e la solidarietà e che fanno di voi un baluardo a difesa della democrazia e della libertà”. (2)
A inizio ottobre nell’area di Veszprem si sono tenute le esercitazioni “Relentless 9” (implacabile) e “Strong Will 2022”. La “Relentless” ha riguardato la “capacità di ingaggio di bersagli corazzati alle lunghe distanze di giorno come di notte” da parte delle unità controcarri e di cavalleria pesante del battlegroup; la “Strong Will” è stata invece orientata ad affinare le capacità agli assetti ISR (Intelligence, Sorveglianza e Riconoscimento). Per esercitarsi a contrastare le minacce aeree “nemiche” e gli attacchi da parte di droni si è tenuta anche “Noble Imperat” (nobili comandi), con “combattimento a partiti contrapposti in ambiente caratterizzato da rischio CBRN (Chimico, Biologico, Radiologico, Nucleare)”. Anche in questa occasione era presente una componente della 101^ Divisione Aviotrasportata di US Army, insieme ad unità della polizia militare e del reparto specializzato anti-esplosivi delle forze armate croate e di “difesa” aerea e CBRN ungherese. “L’esercitazione, della durata di 7 giorni ha visto le unità del Battlegroup frenare e bloccare, mediante l’impiego combinato del fuoco aereo, di artiglieria, dei mortai pesanti e dei missili controcarro, oltre che degli ostacoli attivi e passivi realizzati dalle unità del genio (campi minati anticarro, fossati, terrapieni) un’unità nemica attaccante, per effettuare in seguito, mediante la componente corazzata di cavalleria e le unità di fanteria un contrattacco contro le forze avversarie”, riferisce l’Esercito italiano. Nel corso di “Noble Imperat” alcuni caccia F-18 di US Air Force ed elicotteri d’attacco Mi-24 ungheresi “hanno impiegato il loro munizionamento ordinario sui bersagli indicati dai team di controllo italiani, ungheresi e americani schierati sul terreno”.
Il 29 ottobre 2022 il personale militare medico degli alpini si è addestrato nell’area di Camp Croft al soccorso in “prima linea” congiuntamente con l’esercito croato e statunitense (Combat Medic Concentration). “Fondamentale, per i soccorritori militari, la conoscenza delle corrette procedure mediche, oltre che la capacità di operare con lucidità mentale anche in condizioni di elevato stress fisico, dovuto dal peso dell’equipaggiamento e dell’armamento in dotazione, nonché psicologico, derivante dall’impatto emotivo del ferimento, in questo caso simulato, di elementi della propria unità”, spiega l’Esercito. “Numerosi gli scenari di fronte ai quali si sono trovati ad operare i soccorritori, dagli scontri a fuoco con la presenza di feriti da colpi di armi leggere fino all’esplosione di ordigni quali mine e razzi controcarro a danno degli equipaggi dei veicoli”.
Novembre è ricordato per l’esercitazione a fuoco con obici e mortai “Noble Strike” (colpo nobile), orientata al “forzamento di ostacoli attivi e passivi posizionati dal nemico (campi minati e reticolati) per il successivo assalto a postazioni fortificate” e per “Noble Freedom”, operazione addestrativa “offensiva” con la partecipazione di oltre 500 unità e 100 veicoli da guerra. Il personale del 3° Reggimento Alpini ha condotto a dicembre due settimane di addestramento al “combattimento in aree urbanizzate” presso il Comando della 25ª Brigata Corazzata dell’esercito ungherese, situato nella città di Tata. Il 2022 si è concluso con l’esercitazione “Noble Defender” anch’essa orientata alla guerra urbana e in particolare “alla presa di un centro abitato occupato da forze nemiche con la presenza nell’area sia di personale civile non combattente, sia di trappole esplosive collocate dall’avversario”.
Il Tricolore comanda in Bulgaria
Con identiche finalità e obiettivi strategici del battlegroup “ungherese” dal marzo dello scorso anno ha preso il via l’operazione Enhanced Vigilance Activity (eVA) – Bulgaria, a cui la NATO ha assegnato oltre 1.100 militari delle forze terrestri di Bulgaria, Albania, Grecia, Italia, Repubblica della Macedonia del Nord, Montenegro e Stati Uniti. Il quartier generale si è insediato nell’area addestrativa di Novo Selo, nella regione di Vidin, prossima al confine con Romania e Serbia. Nella missione in terra bulgara l’Italia impiega circa 740 unità in forza alla Brigata Meccanizzata “Pinerolo” di stanza in Puglia. Dal 17 ottobre il nostro paese ha assunto il ruolo di Framework Nation, ovvero la leadership del nuovo battlegroup NATO, attraverso il comando dell’82° Reggimento di fanteria “Torino”. Alla cerimonia di trasferimento della guida di (eVA) – Bulgaria erano presenti il Presidente della Repubblica di Bulgaria, Rumen Radev, il Comandante supremo delle forze alleate in Europa, gen. Christopher G. Cavoli, l’allora ministro della Difesa Lorenzo Guerini, il Capo di Stato Maggiore della Difesa, ammiraglio Giuseppe Cavo Dragone e il Comandante del COVI, gen. Figliuolo. Nonostante le roboanti parole d’encomio sulla leadership italica è indubbio che il mentore di questo nuovo gruppo NATO sia di casa negli USA. Prima ancora della “benedizione” del gen. Christopher G. Cavoli (già a capo delle forze armate USA in Europa e in Africa), le unità schierate a Novo Selo sono state “ispezionate” il 25 agosto 2022 dal Comandante del 5° Corpo d’Armata di U.S. Army, gen. John S. Kolasheski e dal Comandante dell’immancabile 101^ Divisione aviotrasportata, gen. Joseph P. McGee. Il 12 settembre è stata la volta della visita ufficiale dell’ammiraglio di US Navy, Stuart B. Munsch, comandante del Joint Force Command Naples.
Il “comando” italiano di (eVA) – Bulgaria è stato sperimentato sul campo a fine ottobre con l’esercitazione “Alliance Wall”: quattro giorni di fuoco no-stop con l’impiego di oltre 50 mezzi (blindati italiani “Freccia”, carri armati e veicoli d’attacco greci, statunitensi e bulgari). A inizio novembre è stata la volta di “Iron Strike” (colpo d’acciaio) con il dispiegamento di 300 militari e 70 mezzi tattici: per l’Italia un sistema di “difesa e controllo aereo”, gli obici semoventi PZH2000 da 155/52 mm di produzione tedesca (uno dei principali sistemi d’arma che i paesi NATO hanno consegnato all’Ucraina dopo l’invasione russa), i blindo “Centauro” e ancora i “Freccia”. Così come in Ungheria anche in Bulgaria non sono mancate le attività addestrative al combattimento in ambiente urbano. “L’esercitazione svoltasi a inizio dicembre e suddivisa in cinque fasi ha visto una iniziale ricognizione d’area seguita dal movimento verso le zone di accesso al villaggio; l’isolamento del centro abitato dal possibile avvicinamento di forze nemiche intervenute a supporto e difesa; la bonifica da possibili minacce presenti all’interno del villaggio ed infine, il consolidamento delle truppe nell’area ed il mantenimento del controllo della stessa”, annota lo Stato Maggiore.
Cacciabombardieri sul Baltico e nel Mar Nero anche per venderli
In gergo tecnico-militare è definita “Air Policing (AP)”; si tratta della missione di cui si è dotata la NATO a partire dalla metà degli anni cinquanta per integrare gli apparati e gli assetti dei paesi membri in un unico sistema di difesa aerea e missilistico. Nello specifico l’AP consiste nella “continua sorveglianza” dello spazio aereo alleato e nell’identificazione di tutte le eventuali violazioni allo stesso; le operazioni sono svolte da caccia intercettori pronti al decollo in tempi radissimi (scramble). Le missioni di Air Policing sono condotte sotto il comando e controllo di due centri operativi NATO, ubicati rispettivamente a Uedem (Germania) e Torrejon (Spagna), sotto la supervisione dall’Allied Air Command di Ramstein (Germania). E, come ricorda con orgoglio lo Stato Maggiore dell’Aeronautica Militare, l’Italia è l’unica nazione dell’Alleanza Atlantica che ha partecipato a tutte le operazioni di Air Policing realizzate fino ad oggi.
Con la “spiralizzazione” della crisi russo-ucraina a inizio 2022 la NATO ha deciso di potenziare le attività di sorveglianza aerea dando vita alla cosiddetta enhanced Air Policing (eAP), in particolare sul fronte sud-orientale. In quest’ambito dallo scorso mese di novembre il nostro paese ha inviato una task force (TFA R Gladiator) presso l’aeroporto “Mihail Kogălniceanu” di Costanza (Romania), sul Mar Nero. TFA Gladiator impiega attualmente quattro cacciabombardieri Eurofighter EF-2000 “Typhoon” degli Stormi 4°, 36°, 37° e 51°dell’Aeronautica Militare, rispettivamente con base a Grosseto, Gioia del Colle, Trapani-Birgi e Istrana-Treviso. A Costanza sono presenti in tutto 150 tra piloti, controllori volo e tecnici, oltre alla componente di polizia militare assicurata dall’Arma dei Carabinieri. Nelle operazioni aeree sono pure coinvolti altri importanti enti dell’Aeronautica, tra cui il 14° Stormo di Pratica di Mare, la 46° Brigata Aerea di Pisa e il 16° Stormo Fucilieri dell’Aria con quartier generale a Martina Franca, Taranto.
In passato i caccia italiani avevano già svolto attività di “vigilanza aerea” NATO in Romania nel 2019 e – ininterrottamente – dai primi di dicembre 2021 fino al 1° luglio del 2022 con la task force “Black Storm” (tempesta nera). Durante quest’ultima missione i cacciabombardieri dell’Aeronautica hanno superato le 1.400 ore di volo con circa 750 sortite. “Si tratta di un risultato mai raggiunto da una TFA sul suolo europeo”, ricorda lo Stato Maggiore delle forze aree. “In parallelo è stato conseguito un elevato grado di interoperabilità con gli assetti aerei dell’Alleanza che in quei mesi erano impiegati nella regione (i Typhoon dell’Aeronautica tedesca e i caccia intercettori delle forze aeree rumene e statunitensi), con le unità della Marina militare francese e rumena e con i contingenti terrestri belgi, francesi, rumeni, britannici e statunitensi”. Durante TFA “Black Sorm” sono stati inviati in Romania per quasi due mesi pure i paracadutisti del 3° Reggimento “Savoia Cavalleria” della brigata “Folgore” per partecipare in particolare all’esercitazione multinazionale “Scorpion Legacy” presso il poligono di Smardan nell’ambito del Military Training Education Program della NATO.
Nel periodo di assenza dal territorio rumeno gli EF-2000 “Typhoon” italiani non sono stati certo con le mani in mano: hanno operato invece in uno scenario geo-strategico ancora più critico. Dalla fine di luglio a fine novembre i cacciabombardieri sono stati rischierati con la task force “White Eagle” presso l’aeroporto “Krolewo” di Malbork, Polonia nord-orientale (a meno di un centinaio di Km dal confine con l’enclave russa di Kaliningrad), già sede dell’Air Policing NATO nel 2014 e nel 2015 dopo l’escalation bellica in Donbass e l’occupazione russa della Crimea. In poco meno di quattro mesi di attività i velivoli italiani hanno effettuato dalla base polacca oltre 500 ore di volo, nonché 23 Alpha Scramble “per la presenza di velivoli russi che operavano senza autorizzazioni nella zona di competenza degli assetti aerei italiani”.
Che i caccia italiani abbiano davvero giocato con il fuoco durante la loro missione in Polonia appare evidente dalla lettura del comunicato emesso dallo Stato Maggiore dell’Aeronautica il 22 settembre. “Una settimana intensa quella che gli uomini della Task Force Air White Eagle hanno affrontato fino ad oggi, a causa dei numerosi interventi richiesti dal Combined Air Operation Center di Uedem”, spiega la forza aerea. “La contemporanea presenza nel Baltico anche di alcuni assetti navali della NATO, ha fatto sì che per garantire la sicurezza dei confini dell’Alleanza, la catena di Comando e Controllo della NATO ha realizzato un dispositivo di sicurezza massimo (…) Considerata la complessità del momento, le difficoltà di operare così vicini al confine (i piloti italiani si sono trovati a operare a soli 5 minuti di volo da Kaliningrand, a 20 minuti dalla Bielorussia e a 25 dal territorio ucraino) e, non ultimo, il rischio che qualunque errore possa essere considerato come una provocazione, è assolutamente pleonastico rappresentare come la prontezza operativa di tutta la Task Force, messa duramente alla prova dal continuo operare in tutte le ore della giornata, sia stata garantita dalla preparazione professionale del personale italiano e dell’apparato logistico che ogni giorno li supporta”. (3)
Rischiare il conflitto magari solo per una virata errata è davvero da folli ma a Roma c’è chi evidentemente persegue uber alles e sulla pelle di noi tutti la moltiplicazione dei profitti e dei dividendi azionari delle grandi industrie militari a capitale pubblico. Esageriamo perché pacifisti imbelli? Ecco cosa ha evidenziato l’analista Aurelio Giansiracusa, direttore di Ares Osservatorio Difesa in un articolo pubblicato a fine luglio: “Per l’Aeronautica Polacca il rischiaramento degli italiani è una preziosa occasione per interagire con i potenti caccia bombardieri prodotti dal consorzio Eurofighter costituito da Leonardo, BAE Systems ed Airbus. Non è un mistero che la Polonia, nell’ambito del potenziamento esponenziale in atto delle sue Forze Armate, sia interessata fortemente al velivolo europeo; del resto anche lo stesso consorzio Eurofighter (in Polonia guidato da Leonardo) spinge per l’adozione offrendo a Varsavia una nel programma”. (4)
Ecco ancora recitato il mantra della storia dell’ultimo secolo: in guerra per le armi e le armi per le guerra… Pagine Esteri
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Soldati italiani nell’Europa dell’Est. 1500 pronti alla guerra con la Russia (parte 1)
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*Antonio Mazzeo è un giornalista ecopacifista e antimilitarista che scrive della militarizzazione del territorio e della tutela dei diritti umani. Con Antonello Mangano, ha pubblicato nel 2006, Il mostro sullo Stretto. Sette ottimi motivi per non costruire il Ponte (Edizioni Punto L, Ragusa). Del 2010 è il suo I Padrini del Ponte. Affari di mafia sullo stretto di Messina (Edizioni Alegre).
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Soldati italiani nell’Europa dell’Est. 1500 pronti alla guerra con la Russia (parte 2)
di Antonio Mazzeo*
Pagine Esteri, 11 gennaio 2023 – Nell’agosto 2022 l’Italia – insieme ai reparti dell’esercito ungherese, croato e statunitense- è entrata a far parte del nuovo battaglione da guerra attivato dalla NATO in Ungheria per “rafforzare le attività di vigilanza” anti-Russia nel fianco sud-orientale. “L’Operazione Enhanced Vigilance Activity (eVA) in Ungheria è una misura di natura difensiva, proporzionata e pienamente in linea con l’impegno internazionale della NATO”, annota lo Stato Maggiore. “Con l’adesione all’iniziativa, dopo il previsto iter autorizzativo parlamentare, l’Italia si conferma tra i principali Paesi contributori, in termini di uomini, mezzi e risorse, al rafforzamento della postura di deterrenza e difesa della NATO sul fianco est”. (1)
A cannoneggiare nella puszta ungherese
La consistenza massima annuale autorizzata per il contingente in Ungheria è di circa 250 unità dell’Esercito; esso è composto – ancora una volta – da personale della Brigata Alpina “Taurinense”, in particolare del 3° Reggimento Alpini, rinforzato da componenti del 1° Reggimento Artiglieria Terrestre da montagna, del 1° Reggimento “Nizza Cavalleria” e del 32° Reggimento Genio Guastatori, oltre a un nucleo di polizia militare del 1° Reggimento Carabinieri Paracadutisti “Tuscania”. Numerosi i veicoli tattici in dotazione, dalle blindo “Centauro” ai VTMM (Veicoli tattici medi multiruolo), ai VTLM (Veicoli tattici leggeri multiruolo) e ai BV206 (Veicoli tattici ad elevata mobilità) tipici delle truppe alpine. A completare il potente dispositivo bellico ci sono pure i sistemi d’arma in dotazione alle unità di artiglieria, quali gli obici FH70, i mortai “Thomson” da 120mm e i sistemi controcarro di 3^ generazione “Spike” con missili a lungo raggio prodotti dall’azienda israeliana Rafael Ltd.. “Tutti i reparti coinvolti nell’operazione eVA provengono da un intenso ciclo addestrativo che li ha visti partecipare, solo nell’ultimo semestre, alle esercitazioni Volpe Bianca 22 nell’alta Val di Susa, Cold Response 22 in Norvegia, Maurin 22 nell’alta Valle Maira e Candelo 22 nella baraggia biellese, senza contare il continuo addestramento di specialità a vivere, muovere e combattere in montagna”, riporta con malcelata enfasi bellica lo Stato Maggiore dell’Esercito.
Le attività operative hanno preso il via il 18 agosto, una decina di giorni dopo il completamento dello schieramento in territorio magiaro. Il battesimo è stato consacrato dall’addestramento al “combattimento nei centri abitati e di navigazione terrestre”, a fianco dei paracadutisti della 101^ Divisione Aviotrasportata di US Army e di una compagnia dell’esercito croato. A fine agosto gli alpini della “Taurinense” hanno svolto un modulo addestrativo al “movimento e combattimento in ambiente notturno”, con pattuglie da ricognizione per i plotoni fucilieri, “simulazione” di esercizi di tiro con mortai da 120mm e obici da 155mm, acquisizione di obiettivi in movimento per le squadre controcarri, pattuglie esploranti con blindo “Centauro”, impiego degli esplosivi per “ridurre la mobilità nemica” e di robot per la bonifica di ordigni avversari per la componente guastatori.
Nel corso della prima settimana di settembre il contingente italiano ha condotto contestualmente due diverse attività addestrative: l’esercitazione a partiti contrapposti denominata “Patrol Storm” (pattuglia tempesta) per “combinare” le capacità di fuoco e di “acquisizione di obiettivi nemici in ogni condizione ambientale”; e “Fire Observer Concentration” per standardizzare le procedure per l’osservazione, la richiesta e la gestione del fuoco terrestre “erogabile mediante sistemi di artiglieria in dotazione alla NATO”. Subito dopo gli alpini si sono sottoposti a quattro giornate consecutive di attività di tiro, diurno e notturno e “sotto stress” con armamento individuale e di reparto presso il poligono ungherese di Ujmajor.
A fine settembre, nell’estesa area addestrativa ungherese di Varpalota, si è svolta invece “Brave Warrior” (guerriero valoroso) per la validazione del nuovo battlegroup e il suo passaggio sotto il comando NATO. A “Brave Warrior” hanno partecipato anche i contingenti di Ungheria, Stati Uniti, Croazia e Slovacchia, per una forza totale di oltre 1.200 militari e 300 tra carri armati, blindati e obici di artiglieria. Ospiti e osservatori “eccellenti” alle grandi manovre i vertici militari della NATO, il Comandante del Joint Force Command NATO di Brunssum, gen. Guglielmo Luigi Miglietta e il Comandante Operativo di Vertice Interforze COVI, gen. Francesco Paolo Figliuolo. “Consentitemi di dire che è un orgoglio personale vedere impegnati in questo sforzo collettivo voi alpini della Brigata Taurinense, unità che ho avuto il privilegio di guidare tra il 2010 e il 2011”, ha dichiarato Figliuolo alla cerimonia conclusiva dei war games. “Non è un caso che in una missione particolare come questa sia stata scelta proprio un’unità delle Truppe Alpine dell’Esercito, a riprova della versatilità e della resilienza di un Corpo che ha scritto pagine gloriose della storia nazionale e militare, con un impiego che va dal deserto ai territori montani e artici, ai quali siamo più votati, fino alla pianura ungherese. Inoltre, voi siete portatori di quelli che sono gli stessi valori della NATO, valori che esaltano la coesione e la solidarietà e che fanno di voi un baluardo a difesa della democrazia e della libertà”. (2)
A inizio ottobre nell’area di Veszprem si sono tenute le esercitazioni “Relentless 9” (implacabile) e “Strong Will 2022”. La “Relentless” ha riguardato la “capacità di ingaggio di bersagli corazzati alle lunghe distanze di giorno come di notte” da parte delle unità controcarri e di cavalleria pesante del battlegroup; la “Strong Will” è stata invece orientata ad affinare le capacità agli assetti ISR (Intelligence, Sorveglianza e Riconoscimento). Per esercitarsi a contrastare le minacce aeree “nemiche” e gli attacchi da parte di droni si è tenuta anche “Noble Imperat” (nobili comandi), con “combattimento a partiti contrapposti in ambiente caratterizzato da rischio CBRN (Chimico, Biologico, Radiologico, Nucleare)”. Anche in questa occasione era presente una componente della 101^ Divisione Aviotrasportata di US Army, insieme ad unità della polizia militare e del reparto specializzato anti-esplosivi delle forze armate croate e di “difesa” aerea e CBRN ungherese. “L’esercitazione, della durata di 7 giorni ha visto le unità del Battlegroup frenare e bloccare, mediante l’impiego combinato del fuoco aereo, di artiglieria, dei mortai pesanti e dei missili controcarro, oltre che degli ostacoli attivi e passivi realizzati dalle unità del genio (campi minati anticarro, fossati, terrapieni) un’unità nemica attaccante, per effettuare in seguito, mediante la componente corazzata di cavalleria e le unità di fanteria un contrattacco contro le forze avversarie”, riferisce l’Esercito italiano. Nel corso di “Noble Imperat” alcuni caccia F-18 di US Air Force ed elicotteri d’attacco Mi-24 ungheresi “hanno impiegato il loro munizionamento ordinario sui bersagli indicati dai team di controllo italiani, ungheresi e americani schierati sul terreno”.
Il 29 ottobre 2022 il personale militare medico degli alpini si è addestrato nell’area di Camp Croft al soccorso in “prima linea” congiuntamente con l’esercito croato e statunitense (Combat Medic Concentration). “Fondamentale, per i soccorritori militari, la conoscenza delle corrette procedure mediche, oltre che la capacità di operare con lucidità mentale anche in condizioni di elevato stress fisico, dovuto dal peso dell’equipaggiamento e dell’armamento in dotazione, nonché psicologico, derivante dall’impatto emotivo del ferimento, in questo caso simulato, di elementi della propria unità”, spiega l’Esercito. “Numerosi gli scenari di fronte ai quali si sono trovati ad operare i soccorritori, dagli scontri a fuoco con la presenza di feriti da colpi di armi leggere fino all’esplosione di ordigni quali mine e razzi controcarro a danno degli equipaggi dei veicoli”.
Novembre è ricordato per l’esercitazione a fuoco con obici e mortai “Noble Strike” (colpo nobile), orientata al “forzamento di ostacoli attivi e passivi posizionati dal nemico (campi minati e reticolati) per il successivo assalto a postazioni fortificate” e per “Noble Freedom”, operazione addestrativa “offensiva” con la partecipazione di oltre 500 unità e 100 veicoli da guerra. Il personale del 3° Reggimento Alpini ha condotto a dicembre due settimane di addestramento al “combattimento in aree urbanizzate” presso il Comando della 25ª Brigata Corazzata dell’esercito ungherese, situato nella città di Tata. Il 2022 si è concluso con l’esercitazione “Noble Defender” anch’essa orientata alla guerra urbana e in particolare “alla presa di un centro abitato occupato da forze nemiche con la presenza nell’area sia di personale civile non combattente, sia di trappole esplosive collocate dall’avversario”.
Il Tricolore comanda in Bulgaria
Con identiche finalità e obiettivi strategici del battlegroup “ungherese” dal marzo dello scorso anno ha preso il via l’operazione Enhanced Vigilance Activity (eVA) – Bulgaria, a cui la NATO ha assegnato oltre 1.100 militari delle forze terrestri di Bulgaria, Albania, Grecia, Italia, Repubblica della Macedonia del Nord, Montenegro e Stati Uniti. Il quartier generale si è insediato nell’area addestrativa di Novo Selo, nella regione di Vidin, prossima al confine con Romania e Serbia. Nella missione in terra bulgara l’Italia impiega circa 740 unità in forza alla Brigata Meccanizzata “Pinerolo” di stanza in Puglia. Dal 17 ottobre il nostro paese ha assunto il ruolo di Framework Nation, ovvero la leadership del nuovo battlegroup NATO, attraverso il comando dell’82° Reggimento di fanteria “Torino”. Alla cerimonia di trasferimento della guida di (eVA) – Bulgaria erano presenti il Presidente della Repubblica di Bulgaria, Rumen Radev, il Comandante supremo delle forze alleate in Europa, gen. Christopher G. Cavoli, l’allora ministro della Difesa Lorenzo Guerini, il Capo di Stato Maggiore della Difesa, ammiraglio Giuseppe Cavo Dragone e il Comandante del COVI, gen. Figliuolo. Nonostante le roboanti parole d’encomio sulla leadership italica è indubbio che il mentore di questo nuovo gruppo NATO sia di casa negli USA. Prima ancora della “benedizione” del gen. Christopher G. Cavoli (già a capo delle forze armate USA in Europa e in Africa), le unità schierate a Novo Selo sono state “ispezionate” il 25 agosto 2022 dal Comandante del 5° Corpo d’Armata di U.S. Army, gen. John S. Kolasheski e dal Comandante dell’immancabile 101^ Divisione aviotrasportata, gen. Joseph P. McGee. Il 12 settembre è stata la volta della visita ufficiale dell’ammiraglio di US Navy, Stuart B. Munsch, comandante del Joint Force Command Naples.
Il “comando” italiano di (eVA) – Bulgaria è stato sperimentato sul campo a fine ottobre con l’esercitazione “Alliance Wall”: quattro giorni di fuoco no-stop con l’impiego di oltre 50 mezzi (blindati italiani “Freccia”, carri armati e veicoli d’attacco greci, statunitensi e bulgari). A inizio novembre è stata la volta di “Iron Strike” (colpo d’acciaio) con il dispiegamento di 300 militari e 70 mezzi tattici: per l’Italia un sistema di “difesa e controllo aereo”, gli obici semoventi PZH2000 da 155/52 mm di produzione tedesca (uno dei principali sistemi d’arma che i paesi NATO hanno consegnato all’Ucraina dopo l’invasione russa), i blindo “Centauro” e ancora i “Freccia”. Così come in Ungheria anche in Bulgaria non sono mancate le attività addestrative al combattimento in ambiente urbano. “L’esercitazione svoltasi a inizio dicembre e suddivisa in cinque fasi ha visto una iniziale ricognizione d’area seguita dal movimento verso le zone di accesso al villaggio; l’isolamento del centro abitato dal possibile avvicinamento di forze nemiche intervenute a supporto e difesa; la bonifica da possibili minacce presenti all’interno del villaggio ed infine, il consolidamento delle truppe nell’area ed il mantenimento del controllo della stessa”, annota lo Stato Maggiore.
Cacciabombardieri sul Baltico e nel Mar Nero anche per venderli
In gergo tecnico-militare è definita “Air Policing (AP)”; si tratta della missione di cui si è dotata la NATO a partire dalla metà degli anni cinquanta per integrare gli apparati e gli assetti dei paesi membri in un unico sistema di difesa aerea e missilistico. Nello specifico l’AP consiste nella “continua sorveglianza” dello spazio aereo alleato e nell’identificazione di tutte le eventuali violazioni allo stesso; le operazioni sono svolte da caccia intercettori pronti al decollo in tempi radissimi (scramble). Le missioni di Air Policing sono condotte sotto il comando e controllo di due centri operativi NATO, ubicati rispettivamente a Uedem (Germania) e Torrejon (Spagna), sotto la supervisione dall’Allied Air Command di Ramstein (Germania). E, come ricorda con orgoglio lo Stato Maggiore dell’Aeronautica Militare, l’Italia è l’unica nazione dell’Alleanza Atlantica che ha partecipato a tutte le operazioni di Air Policing realizzate fino ad oggi.
Con la “spiralizzazione” della crisi russo-ucraina a inizio 2022 la NATO ha deciso di potenziare le attività di sorveglianza aerea dando vita alla cosiddetta enhanced Air Policing (eAP), in particolare sul fronte sud-orientale. In quest’ambito dallo scorso mese di novembre il nostro paese ha inviato una task force (TFA R Gladiator) presso l’aeroporto “Mihail Kogălniceanu” di Costanza (Romania), sul Mar Nero. TFA Gladiator impiega attualmente quattro cacciabombardieri Eurofighter EF-2000 “Typhoon” degli Stormi 4°, 36°, 37° e 51°dell’Aeronautica Militare, rispettivamente con base a Grosseto, Gioia del Colle, Trapani-Birgi e Istrana-Treviso. A Costanza sono presenti in tutto 150 tra piloti, controllori volo e tecnici, oltre alla componente di polizia militare assicurata dall’Arma dei Carabinieri. Nelle operazioni aeree sono pure coinvolti altri importanti enti dell’Aeronautica, tra cui il 14° Stormo di Pratica di Mare, la 46° Brigata Aerea di Pisa e il 16° Stormo Fucilieri dell’Aria con quartier generale a Martina Franca, Taranto.
In passato i caccia italiani avevano già svolto attività di “vigilanza aerea” NATO in Romania nel 2019 e – ininterrottamente – dai primi di dicembre 2021 fino al 1° luglio del 2022 con la task force “Black Storm” (tempesta nera). Durante quest’ultima missione i cacciabombardieri dell’Aeronautica hanno superato le 1.400 ore di volo con circa 750 sortite. “Si tratta di un risultato mai raggiunto da una TFA sul suolo europeo”, ricorda lo Stato Maggiore delle forze aree. “In parallelo è stato conseguito un elevato grado di interoperabilità con gli assetti aerei dell’Alleanza che in quei mesi erano impiegati nella regione (i Typhoon dell’Aeronautica tedesca e i caccia intercettori delle forze aeree rumene e statunitensi), con le unità della Marina militare francese e rumena e con i contingenti terrestri belgi, francesi, rumeni, britannici e statunitensi”. Durante TFA “Black Sorm” sono stati inviati in Romania per quasi due mesi pure i paracadutisti del 3° Reggimento “Savoia Cavalleria” della brigata “Folgore” per partecipare in particolare all’esercitazione multinazionale “Scorpion Legacy” presso il poligono di Smardan nell’ambito del Military Training Education Program della NATO.
Nel periodo di assenza dal territorio rumeno gli EF-2000 “Typhoon” italiani non sono stati certo con le mani in mano: hanno operato invece in uno scenario geo-strategico ancora più critico. Dalla fine di luglio a fine novembre i cacciabombardieri sono stati rischierati con la task force “White Eagle” presso l’aeroporto “Krolewo” di Malbork, Polonia nord-orientale (a meno di un centinaio di Km dal confine con l’enclave russa di Kaliningrad), già sede dell’Air Policing NATO nel 2014 e nel 2015 dopo l’escalation bellica in Donbass e l’occupazione russa della Crimea. In poco meno di quattro mesi di attività i velivoli italiani hanno effettuato dalla base polacca oltre 500 ore di volo, nonché 23 Alpha Scramble “per la presenza di velivoli russi che operavano senza autorizzazioni nella zona di competenza degli assetti aerei italiani”.
Che i caccia italiani abbiano davvero giocato con il fuoco durante la loro missione in Polonia appare evidente dalla lettura del comunicato emesso dallo Stato Maggiore dell’Aeronautica il 22 settembre. “Una settimana intensa quella che gli uomini della Task Force Air White Eagle hanno affrontato fino ad oggi, a causa dei numerosi interventi richiesti dal Combined Air Operation Center di Uedem”, spiega la forza aerea. “La contemporanea presenza nel Baltico anche di alcuni assetti navali della NATO, ha fatto sì che per garantire la sicurezza dei confini dell’Alleanza, la catena di Comando e Controllo della NATO ha realizzato un dispositivo di sicurezza massimo (…) Considerata la complessità del momento, le difficoltà di operare così vicini al confine (i piloti italiani si sono trovati a operare a soli 5 minuti di volo da Kaliningrand, a 20 minuti dalla Bielorussia e a 25 dal territorio ucraino) e, non ultimo, il rischio che qualunque errore possa essere considerato come una provocazione, è assolutamente pleonastico rappresentare come la prontezza operativa di tutta la Task Force, messa duramente alla prova dal continuo operare in tutte le ore della giornata, sia stata garantita dalla preparazione professionale del personale italiano e dell’apparato logistico che ogni giorno li supporta”. (3)
Rischiare il conflitto magari solo per una virata errata è davvero da folli ma a Roma c’è chi evidentemente persegue uber alles e sulla pelle di noi tutti la moltiplicazione dei profitti e dei dividendi azionari delle grandi industrie militari a capitale pubblico. Esageriamo perché pacifisti imbelli? Ecco cosa ha evidenziato l’analista Aurelio Giansiracusa, direttore di Ares Osservatorio Difesa in un articolo pubblicato a fine luglio: “Per l’Aeronautica Polacca il rischiaramento degli italiani è una preziosa occasione per interagire con i potenti caccia bombardieri prodotti dal consorzio Eurofighter costituito da Leonardo, BAE Systems ed Airbus. Non è un mistero che la Polonia, nell’ambito del potenziamento esponenziale in atto delle sue Forze Armate, sia interessata fortemente al velivolo europeo; del resto anche lo stesso consorzio Eurofighter (in Polonia guidato da Leonardo) spinge per l’adozione offrendo a Varsavia una nel programma”. (4)
Ecco ancora recitato il mantra della storia dell’ultimo secolo: in guerra per le armi e le armi per le guerra… Pagine Esteri
NOTE E LINK
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- aeronautica.difesa.it/2022/09/…4)
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*Antonio Mazzeo è un giornalista ecopacifista e antimilitarista che scrive della militarizzazione del territorio e della tutela dei diritti umani. Con Antonello Mangano, ha pubblicato nel 2006, Il mostro sullo Stretto. Sette ottimi motivi per non costruire il Ponte (Edizioni Punto L, Ragusa). Del 2010 è il suo I Padrini del Ponte. Affari di mafia sullo stretto di Messina (Edizioni Alegre).
L'articolo Soldati italiani nell’Europa dell’Est. 1500 pronti alla guerra con la Russia (parte 2) proviene da Pagine Esteri.
Soldati italiani nell’Europa dell’Est. 1500 pronti alla guerra con la Russia (parte 1)
di Antonio Mazzeo*
(le immagini di truppe e mezzi italiani in Lettonia sono di esercito.difesa.it)
Pagine Esteri, 10 gennaio 2023 – In meno di un anno è aumentato di cinque volte il numero dei militari italiani schierati in Europa orientale alle frontiere con Ucraina, Russia e Bielorussia. Sui 7.000 effettivi impiegati attualmente in missioni internazionali quasi 1.500 operano in ambito NATO nel “contenimento” delle forze armate russe. A partire del 2014 l’Alleanza atlantica ha dato vita ad un’escalation bellica sul fianco est come mai era accaduto nella sua storia. Nelle Repubbliche baltiche, in Polonia, Romania, Bulgaria e Ungheria, sono state realizzate grandi installazioni terrestri, aeree e navali, sono state trasferite le più avanzate tecnologie di guerra, sono state sperimentate le strategie dei conflitti globali del XXI secolo con l’uso dei droni e delle armi interamente automatizzate, cyber-spaziali e nucleari.
A seguito dell’invasione russa dell’Ucraina del 24 febbraio 2022 il processo di riarmo e militarizzazione dell’Europa orientale è pericolosamente dilagato e ancora oggi appare inarrestabile. E l’Italia c’è con le sue truppe d’élite, le brigate di pronto intervento, gli obici, i carri armati e i cacciabombardieri “gioielli di morte” del complesso militare-industriale nazionale e dei soci-partner stranieri, primi fra tutti USA e Israele. A inizio 2023 il tricolore sventola in Lettonia, Ungheria, Bulgaria e Romania. E ogni giorno, 24h, le truppe sono in stato d’allerta e si addestrano in condizioni estreme ad ogni possibile scenario di conflitto con il Cremilino, dai combattimenti casa per casa, vicolo per vicolo, piazza per piazza, agli sfondamenti nell’infinito bassopiano sarmatico, finanche all’impiego di armi atomiche, chimiche e batteriologiche e alla “sopravvivenza” al tragico inverno nucleare. Missioni di aperta e dichiarata cobelligeranza, pericolosamente provocatorie e infinitamente dispendiose sul piano politico-diplomatico e su quello economico-finanziario. Ma del tutto ignorate dai media mainstream che dallo scoppio della guerra fratricida hanno scelto di fare da cassa amplificata di Ares e Thanos e che gli italiani neanche immaginano quanto esse potrebbero trascinarci alla terza e ultima guerra mondiale.
Proviamo noi a raccontare chi sono e cosa fanno i reparti italiani inviati da una classe politica e di governo irresponsabile come topolino apprendista stregone. La componente più numerosa è quella terrestre: oggi è presente in Lettonia, Ungheria e Bulgaria, inquadrata all’interno delle forze di intervento rapido della NATO, i cosiddetti battlegroup, gruppi di battaglia. “Dinnanzi a una deteriorata percezione della sicurezza e a seguito di specifica richiesta avanzata da parte dei Paesi Baltici e della Polonia, al Summit di Varsavia del luglio 2016 la NATO ha ritenuto opportuno rafforzare la propria presenza sul fianco est dello spazio euro-atlantico, varando una misura di enhanced Forward Presence (eFP) che contempla lo schieramento di quattro Battle Group rispettivamente in Estonia, Lettonia, Lituania e Polonia, supportate dagli altri Alleati”, ricorda lo Stato Maggiore della difesa. “L’eFP è una misura di natura difensiva, proporzionata e pienamente in linea con l’impegno internazionale della NATO che intende rafforzare il principio di deterrenza dell’Alleanza. In particolare, aver rafforzato la presenza sul fianco est rappresenta un chiaro esempio della determinazione nell’assolvere la missione primaria di sicurezza collettiva dell’integrità territoriale euro-atlantica contro ogni possibile aggressione e minaccia, nonché di riaffermazione della coesione e della solidarietà tra i Paesi membri”. (1) Meno edulcorata e più realista la versione del Comando generale della NATO. “Questi battlegroup sono multinazionali e pronti al combattimento e dimostrano la forza del legame transatlantico”, spiegano i vertici dell’Alleanza. “Essi operano insieme alle forze di difesa del paese ospitante, conducendo esercitazioni e attività di vigilanza. La loro presenza rende chiaro che un attacco ad uno degli Alleati sarà considerato un attacco all’intera Alleanza. I battlegroup sono parte del più grande rinforzo della difesa collettiva della NATO da una generazione a questa parte”. (2)
Dopo l’invasione russa dell’Ucraina la NATO ha rafforzato la propria presenza in Europa orientale dispiegando migliaia di truppe supplementari e istituendo in tempi rapidissimi altri quattro nuovi gruppi tattici multinazionali in Bulgaria, Ungheria, Romania e Slovacchia. “Oggi gli otto gruppi tattici si estendono lungo tutto il fianco orientale della NATO, dal Mar Baltico a nord al Mar Nero a sud”, spiega lo Stato Maggiore italiano. “Oltre 40.000 truppe, insieme a significativi mezzi aerei e navali, sono ora sotto il diretto comando della NATO, supportate da altre centinaia di migliaia di truppe provenienti dai dispiegamenti nazionali degli Alleati. Inoltre, al Vertice di Madrid del giugno 2022, gli alleati hanno concordato un cambiamento fondamentale nella deterrenza della NATO. Ciò include il rafforzamento delle difese avanzate, il potenziamento dei gruppi tattici nella parte orientale dell’Alleanza fino al livello di brigata, la trasformazione della Forza di risposta della NATO e l’aumento del numero di forze ad alta prontezza a ben oltre 300.000 unità”. (3)
Italiani in Lettonia
Tutte le attività operative e addestrative condotte dalle forze armate Italiane sul fianco orientale della NATO sono disposte dal Capo di Stato Maggiore della Difesa e sono coordinate dal Comando Operativo di Vertice Interforze (COVI), istituito – non certo casualmente – nel luglio 2021 per rimodulare l’architettura militare nazionale e “abbracciare il concetto del multi-dominio, terrestre, marittimo, aereo, spaziale e cyber”. (4) Comandante del COVI è il gen. Francesco Paolo Figliuolo, il padre-alpino a cui sono stati attribuiti ampi poteri nella gestione socio-sanitaria dell’emergenza e post emergenza da Covid19.
L’Esercito italiano opera ininterrottamente da quasi un biennio all’interno del battlegroup NATO schierato in Lettonia (Operazione eFP Baltic Guardian), quello che annovera il maggior numero di nazioni partecipanti: oltre a Italia e Lettonia sono presenti Canada, Albania, Repubblica Ceca, Islanda, Montenegro, Macedonia del Nord, Polonia, Slovenia, Slovacchia e Spagna. Attualmente il contingente nazionale impiegato è di 250 militari appartenenti alla Brigata bersaglieri “Garibaldi” di stanza in Campania e da altri assetti forniti dal 17° Reggimento artiglieria controaerea “Sforzesca” (Sabaudia), dal 132° Reggimento carri (Cordenons, Pordenone), dal 7° Reggimento per la difesa CBRN “Cremona” (Civitavecchia), dal 3° Reggimento artiglieria da montagna (Remanzacco, Udine) e dall’11° Reggimento trasmissioni (Civitavecchia). Ingente è il numero di mezzi nella disponibilità di questi reparti: 139 tra veicoli da combattimento “Dardo”, carri armati “Ariete” e blindo “Centauro”.
I bersaglieri della “Garibaldi” sono arrivati nella grande installazione lettone di Adazi nel giugno 2022 prendendo il posto degli alpini della Brigata “Taurinense” (di stanza in Piemonte) e del 2° Reggimento trasmissioni alpino di Bolzano. “La partecipazione dell’Italia alla missione in Lettonia, oltre a testimoniare la solidarietà e la coesione dei Paesi dell’Alleanza Atlantica, rappresenta, nel panorama delle operazioni fuori area, un’opportunità straordinaria per il personale italiano impiegato, che ha modo di dedicarsi esclusivamente all’addestramento al warfighting, con il valore aggiunto del confronto continuo con gli eserciti di altri Paesi alleati”, scrive lo Stato Maggiore dell’Esercito. Warfighting, cioè combattimento, e l’interminabile elenco e le dimensioni delle “esercitazioni” effettuate nella Repubblica baltica e nei paesi confinanti sono un’indubbia testimonianza che la task force NATO è nata e cresce per la “battaglia”. Tra le maggiori e più complesse attività addestrative della scorsa primavera è possibile enumerare “Horned Viper” (vipera cornuta), finalizzata all’applicazione delle procedure del Tactical Combat Casualty Car (la medicina tattica da combattimento e il soccorso dei militari feriti), sotto la supervisione del personale medico dell’esercito danese, canadese e statunitense. A maggio 2022 le truppe alpine hanno addestrato i cadetti della National Defense Academy lettone nelle attività di “infiltrazione” in ambiente boschivo ed “occupazione di postazioni difensive”, mentre il mese successivo hanno partecipato all’esercitazione controaerea “Ramstein Legacy” presso la base aerea lettone di Lielvarde. Pianificata e condotta dal Comando generale della NATO e da quello delle forze armate USA in Europa (USEUCOM), “Ramstein Legacy” è stata svolta in contemporanea nello spazio aereo della Polonia e delle altre due Repubbliche baltiche; accanto agli italiani sono stati schierati i reparti di U.S. Army specializzati nella “difesa aerea” e missilistica.
Sempre a giugno gli alpini della “Taurinense” sono stati impiegati in attività di supporto aereo ravvicinato (Close air Support) fuori dai confini lettoni: in Estonia con l’esercitazione “Furious Wolf” (lupo furioso),congiuntamente al battlegroup ivi schierato e ai caccia della NATO presenti nel Baltico; in Slovenia con “Adriatic Strike 22”, esercitazione di cooperazione aerea che ha coinvolto 28 paesi dell’Alleanza. Subito dopo l’arrivo in Lettonia a metà giugno, la Brigata “Garibaldi” si è addestrata al combattimento individuale e con i mezzi da fuoco “Dardo”, “Centauro” e “Ariete”. “Inoltre, nell’ambito delle iniziative finalizzate a mostrare la presenza della NATO in Lettonia, sono state svolte diverse mostre statiche di mezzi e materiali a favore non solo della popolazione ma anche degli allievi ufficiali della National Defence Academy lettone”, aggiunge lo Stato Maggiore dell’Esercito, enfatizzando il ruolo dei propri reparti quali ambasciatori-piazzisti delle armi made in Italy.
In piena estate si è tenuta l’esercitazione multinazionale “Rampart Forge” (forgia del bastione) con lo scopo di “consolidare lo stato di prontezza ed incrementare le capacità di combattimento delle unità su un terreno fortemente compartimentato”. Una “cellula” per la guerra cibernetica distaccata in Lettonia dal Comando interforze per le Operazioni in Rete (COR) di Roma ha condotto con i partner NATO operazioni cyber al fine di “rilevare, contrastare e neutralizzare minacce che possano limitare la libertà di manovra nel dominio cibernetico”. A fine agosto il contingente della “Garibaldi” ha effettuato con l’esercito di Stati Uniti d’America, Spagna e Lettonia un’esercitazione di combattimento terrestre ed aereo con l’impiego di elicotteri d’attacco Bell AH-1 “Cobra” e UH-1 “Iroquois Huey”.
A settembre è stata la volta dell’esercitazione “Rampart Shield” (scudo del bastione) che ha consacrato il raggiungimento della piena capacità operativa del battlegrup NATO eFP “Latvia”. Durante i war games il personale militare ha condotto “attività tattiche difensive attraverso il posizionamento di ostacoli sul terreno per la battaglia”; inoltre un plotone difesa CBRN (chimica, batteriologica, radiologica e nucleare) proveniente dal 7° Reggimento “Cremona” ha svolto un’intensa attività di formazione teorico-pratica a favore di tutte le unità operative del battlegroup per la “gestione complessa di un incidente CBRN in ambiente war e decontaminazione operativa”. Sempre a settembre nel poligono di Adazi si sono svolte due fasi distinte di “Silver Arrow” (freccia d’argento): la prima ha visto schierati in formazioni contrapposte il battlegroup NATO in Lettonia e quello dispiegato in Polonia; alla seconda hanno invece partecipato 4.200 unità e oltre 1.000 mezzi da guerra di 17 Paesi dell’Alleanza (oltre a quelli della task force in Lettonia, Danimarca, Francia, Germania, Ungheria, Regno Unito e USA). Nel corso di “Silver Arrow 2” ha fatto la sua comparsa il sistema di artiglieria ad alta mobilità M142 “HIMARS”, dispiegato dall’esercito USA per lanciare razzi contro bersagli fissi e mobili nel Mar Baltico. L’M142 “HIMARS” è stato poi fornito alle forze armate ucraine che lo hanno impiegato nella controffensiva d’autunno contro i carri armati russi.
Dal 28 ottobre al 2 novembre l’Esercito italiano è stato impegnato in Lettonia in un’esercitazione a fuoco su bersagli a mare congiuntamente allo Standing NATO Maritime Group 1 (SNMG-1), gruppo navale di pronto intervento con unità da guerra delle Marine di Danimarca, Norvegia e Paesi Bassi, allo scopo di “incrementare la reciproca conoscenza tra forze terrestri e navali della NATO presenti sul fianco Est”, così come riposta l’ufficio stampa della Difesa. “Iron Spear” (lancia di ferro) è stata l’attività addestrativa multinazionale di metà novembre pianificata e diretta dal contingente italiano, a cui hanno preso parte le unità corazzate e blindate provenienti da 12 contingenti alleati di stanza nei Paesi Baltici. “Si è trattata di una dimostrazione della potenza di fuoco, notturna e diurna, di tutti i mezzi partecipanti (…) con valutazione sia della precisione che dei tempi di esecuzione delle manovre”, spiega lo Stato Maggiore dell’Esercito. Gli istruttori del contingente italiano hanno curato presso le aree sportive della base di Camp Adazi anche un corso per il personale appartenente al battlegroup NATO su una serie di attività ginniche “volte a mostrare l’efficacia del metodo di combattimento individuale militare italiano impiegato in un contesto operativo (MCM Academy)”. Sport e ginnastica verde-bianco-rosso per i guerrieri moderni dell’Alleanza con tanto di esercizi di condizionamento fisico, “imprescindibile per il personale che opera in area di operazione”, tecniche mirate alla difesa da arma lunga e corta, impiego dello sfollagente, di armi bianche e “combinazioni di percussioni volte a contrastare le forze nemiche in opposizione, con tempi di reazione veloci e condizioni disagiate”. “Gli istruttori – aggiunge lo Stato Maggiore – hanno evidenziato la forte componente psicologica che coinvolge il combattente militare, analizzando conseguentemente le principali tecniche di gestione dello stress, attuando un impiego della forza in aderenza al concetto di force escalation”. (5) (fine parte 1).
NOTE E LINK
1difesa.it/OperazioniMilitari/o…
2 nato.int/cps/en/natohq/news_20…
3 difesa.it/OperazioniMilitari/o…
4 difesa.it/SMD_/COVI/Pagine/def…
5difesa.it/OperazioniMilitari/o…
*Antonio Mazzeo è un giornalista ecopacifista e antimilitarista che scrive della militarizzazione del territorio e della tutela dei diritti umani. Con Antonello Mangano, ha pubblicato nel 2006, Il mostro sullo Stretto. Sette ottimi motivi per non costruire il Ponte (Edizioni Punto L, Ragusa). Del 2010 è il suo I Padrini del Ponte. Affari di mafia sullo stretto di Messina (Edizioni Alegre).
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#uncaffèconLuigiEinaudi☕ – L’uomo moralmente libero sfida il tiranno…
L’uomo moralmente libero sfida il tiranno dal fondo della galera o cammina diritto verso la catasta di legna sulla quale sarà bruciato vivo per voler tener fede alla sua credenza.
da Liberalismo, “L’Italia e il secondo Risorgimento”, 29 luglio 1944
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La guerra in Ucraina e la deliberata distorsione della realtà
«Ieri mattina, Kiev ha lanciato missili su Bakhmut e Mosca ha reagito: la tregua è stata così violata da entrambe le parti»: Vittorio Da Rold. Non so chi sia costui e, francamente, non mi pongo il problema. Quello che appare è che con quella frase si intende dare una notizia. Solo che, la notizia è […]
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Il Governo cambia, la precarietà resta (anzi, cresce) | Coniare Rivolta
"Tra gli amori che non finiscono, fanno dei giri immensi e poi ritornano, va annoverato senza dubbio quello tra la classe politica italiana e la precarizzazione del mercato del lavoro. Da ormai un trentennio, come abbiamo più volte ripetuto, i governi di tutti i colori, in piena ottemperanza delle direttive europee, si sono prodigati nell’introduzione di varie forme di precarietà, che si cristallizzano nel facilitare la sottoscrizione di contratti a tempo determinato, nella progressiva eliminazione delle tutele contro i licenziamenti ingiustificati e nella legalizzazione dell’intermediazione privata tra domanda e offerta di lavoro (leggasi, agenzie interinali)."
Concordando
Da una parte le chiacchiere, le interviste, le sparate; dall’altra i fatti e, nell’incontro fra la presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen e la presidente del Consiglio Giorgia Meloni, si conferma l’impegno italiano sul Pnrr. Bisogna che ci si chiarisca tutti, quali che siano le opinioni politiche, sul contesto in cui collocare le relazioni fra i singoli governi nazionali e le autorità dell’Unione europea.
Evitare l’argomento, scantonarlo calciando la palla fuori dal campo, danneggia l’Italia e imbroglia i cittadini. Non prendendo il toro per le corna si finisce con l’essere incornati o dall’irrilevanza o dall’ipocrisia. È del tutto legittimo sostenere l’opportunità di uscire dall’euro e abbandonare l’Unione europea. Sarebbe un suicidio, ma è ben possibile pensarla diversamente. C’era chi lo sosteneva, in Italia, come chi raccontava che Brexit avrebbe reso libero e ricco il Regno Unito. Mi par di capire che tale approccio non abbia più corso neanche fra chi lo abbracciò.
Sono due i cardini generali di un corretto rapporto fra Stato e Unione. Il primo è la consapevolezza che la sovranità nazionale esista e possa essere difesa intanto in quanto esiste l’Ue, che fuori da quella nessuno degli aderenti sia in grado di avere forza (istituzionale, politica ed economica) per far valere la propria sovranità, sicché l’uso di quel termine come fosse antitetico all’Ue è ingannevole. Il secondo cardine consiste nel razionalizzare che – a parte gli alti enunciati dei trattati – l’Unione non sia una confraternita di buone intenzioni e anime elette, ma la convivenza e la crescita collaborativa di interessi particolari, nazionali o relativi ad aree o settori. Il che ne comporta la rappresentanza
esplicita e – se necessario – puntuta, senza l’infantilismo di minacciare fuoriuscite. Chi, all’opposto, pensa che si sia europeisti solo in quanto propalatori di alati sentimenti s’iscriva pure a una accolita di predicatori scalzi.
Questo aiuta a capire due punti affrontati ieri, con il terzo sullo sfondo. 1. L’Italia chiede di ridiscutere alcuni aspetti del Pnrr, il che è possibile ma non può essere un terreno di scontro né di polemica pubblica. I ministri che ripetono di volerlo cambiare, rivolgendosi ai giornali italiani, stanno cercando una ribalta per sé stessi ma lo rendono più difficile. Ngeu, ovvero il programma cofinanziato e che accende debito comune, destinato a superare gli squilibri e di cui siamo i principali beneficiari, non si tocca. La nostra speranza è che cresca e si stabilizzi, il che dipende dal sapere farlo funzionare, non dal lamentarsi. Singoli aspetti del piano italiano (Pnrr) possono essere modificati, ma in accordo con la Commissione e non a strappi. Ricordiamo d’essere quelli che ricevono.
2. Il nostro interesse è che il problema degli sbarchi sia un problema di tutti, anche se in passato qualche governo italiano (l’Italia è una sola e sempre la stessa) ragionò in termini diversi. L’interesse di chi non è esposto al Sud del Mediterraneo è che sia problema di altri. Per uscirne non si deve portare altrove gli sbarcati, come a dividersi la disgrazia, ma portare sulle coste l’Ue. Il che significa cedere sovranità per far rispettare la sovranità. Fuori da questo siamo alla propaganda sterile.
3. I tassi d’interesse sono faccenda Bce e la Commissione c’entra nulla. Quando ci si lamenta perché crescono (o perché non crescono abbastanza) si ha il dovere di chiarire quale interesse si rappresenta: per chi ha risparmiato sono ancora bassi, per chi deve indebitarsi saranno sempre alti. Lo Stato italiano deve indebitarsi, gli italiani sono grandi risparmiatori. In ogni caso: ratifichiamo in fretta il Mes, altrimenti è troppo facile neanche stare ad ascoltare chi vuole protezione ma demolisce le protezioni. L’incontro di ieri non è il primo, non sarà l’ultimo ed è stato una tappa positiva. Perché non sia effimera si devono abbandonare le finzioni ed evitare di contraddirsi dopo
poche ore.
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Malesia – Indonesia: rinnovata cooperazione contro le minacce comuni
L’importante visita ufficiale del primo ministro Anwar Ibrahim in Indonesia appena conclusa ha segnalato l’intenzione della Malesia di dare priorità alla regione e ai vicini cruciali nel rafforzare la voce comune e il consolidamento diplomatico. Un solido impegno cooperativo bilaterale basato sui valori di fiducia, sana interdipendenza, principi di giustizia e buon governo e un mantra […]
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Il PD e le leggi della termodinamica
“Rimane il fatto che capire la gente non è vivere. Vivere è capirla male, capirla male e poi male e, dopo un attento riesame, ancora male. Ecco come sappiamo di essere vivi: sbagliando” (P. Roth, Pastorale americana) Si assiste con una punta di noia ansieggiante al quasi forse-dibattito nel Pd (no, il dibattito no! con Nanni […]
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Malesia: una ferrovia, una trappola cinese
Il progetto East Coast Rail Link (ECRL) che collega il porto principale di Port Klang nella Malesia occidentale alla Malesia orientale rimane un’impresa gonfiata, gravosa e sovradimensionata che ha afflitto la Malesia per anni. La decisione di continuare il progetto, capitalizzando la sua presunta “vincita” risparmiando circa 11 miliardi di RM dal prezzo negoziato originale, […]
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Le Nazioni Unite votano per estendere gli aiuti transfrontalieri alla Siria per altri 6 mesi
Lunedì il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite ha votato all’unanimità un progetto di risoluzione che estende l’autorizzazione del meccanismo di consegna degli aiuti alla Siria per altri 6 mesi. Domenica, secondo quanto riferito dai media, quello che è considerato l’ultimo convoglio umanitario che trasportava rifornimenti si è diretto verso l’ultima roccaforte siriana controllata dai […]
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2023: apertura, riforma e svolta per l’ economia della Cina
Dopo un anno di volatilità economica interna e turbolenze internazionali, quest’anno la Cina si concentrerà sulla crescita economica. Ciò significa che il Paese approfondirà ulteriormente le riforme e amplierà l’apertura. A dicembre, la leadership cinese ha tenuto a Pechino la sua conferenza sul lavoro economico centrale. A giudicare dai discorsi del Presidente Xi Jinping, del […]
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“Le vittime del dovere e il principio costituzionale di uguaglianza”: è online l’elenco dei vincitori del concorso nazionale indetto dal Ministero dell'Istruzione - Direzione Generale per lo Studente, l'Inclusione e l'Orientamen…
Ministero dell'Istruzione
#NotiziePerLaScuola “Le vittime del dovere e il principio costituzionale di uguaglianza”: è online l’elenco dei vincitori del concorso nazionale indetto dal Ministero dell'Istruzione - Direzione Generale per lo Studente, l'Inclusione e l'Orientamen…Telegram
Ecco perché una maggiore flessibilità dell’Europa sugli aiuti di Stato può rappresentare un problema per l’Italia
Fa una certa impressione il dialogo di ieri tra Meloni e Von der Leyen sulla competitività dell’industria europea e sulla riforma degli aiuti di Stato. La presidente della Commissione propone di alleggerire le regole che vietano i sussidi in modo da poter sostenere gli investimenti green. La premier è invece preoccupata da una corsa agli aiuti, dove i paesi con poco spazio fiscale come il nostro sarebbero nei guai rispetto ai partner virtuosi del Nord. È un rovesciamento di fronte rispetto a qualche anno fa. Ricordate la rigidità della Commissione sull’utilizzo di fondi pubblici da parte dei governi nazionali per sostenere le banche in crisi (nel nostro caso la liquidazione delle banche venete o il salvataggio del Monte dei Paschi di Siena), imponendo vincoli ancora più stretti di quelli della direttiva sulla risoluzione delle banche dell’Unione bancaria? Rigidità in linea con il forte orientamento al mercato della Commissione, campione nella tutela della concorrenza, molto più determinata delle autorità americane, almeno fino agli anni più recenti.
La proposta di Von der Leyen, già condivisa con i partner europei a metà dicembre, deriva dalla consapevolezza che oggi è molto difficile tutelare il mercato senza un maggiore sostegno pubblico dell’economia. Le ragioni di questo nuovo orientamento sono tre. La necessità per i governi nazionali di aiutare le imprese di fronte a ripetute crisi dovute a ragioni estranee al funzionamento dei mercati: la pandemia e la crisi energetica dovuta alla guerra in Ucraina. E dunque la temporanea esenzione dal divieto dei sussidi con lo State Aid Temporary Framework.
La seconda è la grande quantità di investimenti necessari alla transizione energetica che difficilmente avverrebbe sulla base di una pura logica di mercato e che dunque necessita di supporto pubblico. In quest’ ottica è già stato varato il piano REPowerEU, in aggiunta al Next Generation EU. Infine, terza ragione, i sussidi concessi dagli Stati Uniti alle imprese che producono sul proprio territorio, nell’ambito dell’Inflation Reduction Act (Ira), anch’ essi legati alla transizione verde.
L’iniziativa americana determina un forte vantaggio competitivo alle proprie imprese a scapito di tutti i concorrenti, non solo europei. Il nuovo corso delle regole sugli aiuti di Stato, per quanto non ancora definito, solleva non pochi problemi. Intanto, le questioni geopolitiche. Reagire con sussidi europei a quelli americani significa innescare una corsa al ribasso (o meglio al rialzo del supporto alle imprese), con azioni e reazioni che inevitabilmente coinvolgeranno anche altri partner commerciali a cominciare da quelli asiatici. Oltretutto, le regole della Wto, che vietano l’uso di questi strumenti verrebbero deliberatamente infrante.
Sarà dunque difficile varare una politica europea autonoma, senza trovare forme di accordo a livello bilaterale con gli Stati Uniti e poi con altri paesi. L’obiettivo della transizione energetica riguarda tutti e nonostante le difficoltà della Cop 27 rimane uno dei terreni su cui è forse ancora possibile esplorare accordi e regole globali. Esiste poi un chiaro problema europeo. Allentare le regole sugli aiuti di Stato innescherebbe una corsa al ribasso tra i paesi dell’area, con grande vantaggio dei ricchi. Da qui la diffidenza italiana.
La Commissione, allora, propone la creazione di un fondo per la politica industriale, il “Fondo per la Sovranità Europea”, finanziato da debito comune. Si evita così di mettere in difficoltà chi non ha spazio di manovra fiscale. È una buona idea, ma ovviamente i paesi virtuosi storcono il naso all’idea di mutualizzare altro debito dopo quello emesso con il Next generation EU. Inoltre, il fondo ha ambizioni maggiori della transizione energetica, come lo sviluppo e la produzione dei microchip e l’integrazione dell’industria della difesa. L’Europa ha certo bisogno di maggior integrazione commerciale e produttiva su alcuni assist strategici fondamentali. Ma l’obiettivo della sovranità (vedi il nome del fondo) è materia delicata. Rischia di essere in totale conflitto con quello della concorrenza e del libero mercato e di alzare ancor più il livello del confronto con gli Usa.
Se a competere non sono solo le imprese, ma anche le Nazioni (o gruppi di Nazioni) che le sostengono, il terreno di gioco non è più uguale per tutti e i mercati non sono più aperti. La sovranità rischia insomma di essere sinonimo di protezionismo. Per questo l’area di intervento a sostegno del mercato deve essere ben definita e giustificata dai fallimenti del mercato stesso. E per questo un accordo tra concorrenti globali per evitare una corsa al ribasso rimane comunque assolutamente necessario.
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L’Armenia ha bisogno di alternative alla Russia e all’Iran
L’Armenia è tutt’altro che perfetta, ma è una democrazia. Due dei partner più stretti dell’Armenia sono la Russia e l’Iran. La Repubblica islamica dell’Iran è caratterizzata dalla repressione delle donne e dei gruppi minoritari. La Federazione Russa è definita dalle sue ambizioni imperialiste di invadere e annettere le ex repubbliche sovietiche. Che siano opzioni buone […]
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GERUSALEMME. L’ombra di Ben Gvir sulla Spianata delle moschee
AGGIORNAMENTO
Una ondata di reazioni internazionali, oltre a quelle dei palestinesi, è seguita alla “visita”, un vero e proprio blitz, sulla Spianata delle moschee di Al Aqsa e della Roccia a Gerusalemme fatta questa mattina dal ministro israeliano della pubblica sicurezza e leader dell’estrema destra, Itamar Ben Gvir. Da segnalare quella degli Stati uniti, che hanno chiesto a Israele di rispettare lo status quo del luogo santo islamico, e della Giordania paese custode della Spianata che ha convocato l’ambasciatore israeliano ad Amman.
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di Michele Giorgio
(nella foto Itamar Ben Gvir con, a destra, il suo alleato il ministro delle finanze Bezalel Smotrich)
Pagine Esteri, 3 gennaio 2023 – «Itamar Ben Gvir non deve salire al Monte del Tempio (la Spianata delle moschee, ndr)…È una provocazione deliberata che costerà vite umane». Ad affermarlo ieri non è stato un esponente politico palestinese ma Yair Lapid, capo dell’opposizione israeliana e premier fino alla scorsa settimana. Una ulteriore conferma che la «visita» che Ben Gvir, non più un semplice deputato ma ora ministro della Pubblica sicurezza, alla Spianata delle moschee rischia di innescare proteste e scontri violenti a Gerusalemme. Ieri pomeriggio il primo ministro Benyamin Netanyahu si è incontrato con Ben Gvir. Sarebbe riuscito, secondo alcune fonti, a convincerlo a rinviare la visita. Ma la notizia non era fondata. Il leader del partito di estrema destra Otzma Yehudit questa mattina ha “passeggiato” sulla Spianata, incurante delle proteste palestinesi.
Le «visite» di rappresentanti della destra religiosa israeliana non sono nuove al sito considerato il terzo luogo santo dell’Islam dopo Mecca e Medina. La «passeggiata» che lo scomparso capo della destra e primo ministro Ariel Sharon fece nel settembre del 2000 sulla Spianata, in una fase di intenso scontro politico e diplomatico tra israeliani e palestinesi, accese la miccia della seconda Intifada contro l’occupazione. Delicato è anche questo momento in cui l’ascesa al potere in Israele dell’estrema destra religiosa genera tensioni e preoccupazioni, anche all’interno dello Stato ebraico. Ben Gvir è un accanito sostenitore del cambiamento dello status quo sulla Spianata in vigore dal 1967 e riconfermato dal trattato di pace del 1994 tra Israele e Giordania. Gli ebrei già pregano al loro sito più sacro, il Muro del Pianto – i musulmani sulla Spianata e i cristiani al Santo Sepolcro – ma l’estrema destra e i movimenti messianici vogliono imporre lo svolgimento di riti ebraici e la spartizione del sito islamico. Una questione che non riguarda solo i palestinesi. Mercoledì scorso re Abdullah di Giordania, custode dei luoghi santi islamici e cristiani, ha ammonito il governo Netanyahu a «non superare linee rosse» a Gerusalemme. Il movimento islamico Hamas ieri ha lanciato l’allerta e facendo capire di essere pronto a una nuova guerra con Israele: «Chiamiamo la nostra gente a difendere la moschea di Al Aqsa», ha esortato il portavoce Harun Nasser al Din. Una reazione è giunta anche dall’Autorità nazionale palestinese. «La minaccia di Ben Gvir di assalire Al-Aqsa come ministro della sicurezza – ha scritto su Twitter Hussein al Sheikh – è il culmine di una sfida palese e spudorata che richiede una risposta palestinese, araba e internazionale».
Il nuovo governo israeliano segnala che non terrà conto più di tanto delle posizioni internazionali. È stata minima infatti la reazione del governo Netanyahu alla decisione dell’Assemblea generale dell’Onu che ha approvato una risoluzione – 87 voti favorevoli, 53 astenuti e 26 contrari (tra i quali l’Italia) – che chiede alla Corte internazionale di giustizia (Cig) di esprimere un parere consultivo sulle conseguenze legali dell’occupazione israeliana, sugli insediamenti coloniali, le misure volte ad alterare la composizione demografica nei Territori occupati, il carattere e lo status di Gerusalemme. Il ministro del turismo israeliano Haim Katz ha commentato il voto a suo modo annunciando investimenti «in Giudea e Samaria, la nostra Toscana» usando termini ebraici per indicare la Cisgiordania. Nel 2004 i giudici internazionali stabilirono che il Muro costruito da Israele in Cisgiordania era illegale.
Proseguono anche nel 2023 le incursioni dell’esercito israeliano nei Territori occupati. Ieri due palestinesi, Mohammad Houshieh e Fouad Abed, sono stati uccisi durante scontri a Kafr Dan (Jenin) scoppiati mentre i militari demolivano le case dei due palestinesi che lo scorso settembre spararono contro un posto di blocco uccidendo un militare. È di quattro morti invece il bilancio di un bombardamento israeliano sull’aeroporto internazionale di Damasco messo «fuori servizio» per alcune ore. Pagine Esteri
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Russia: la discreta ascesa di Adam Delimkhanov
Negli ultimi mesi, gli osservatori della Russia hanno lanciato l’allarme sulle ramificazioni interne della vacillante campagna di Mosca in Ucraina, che sembra essere sfociata in un denso incubo di conseguenze indesiderate. L’ascesa di una nuova e ancora rara razza di attori politici russi che sposano opinioni intransigenti ed esercitano un potere eccessivo è un fenomeno […]
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USA – Arabia Saudita: la svolta era solo una minaccia
L’amministrazione Biden non ha dato seguito a nessuna delle sue minacce di cambiare tono nei rapporti con l’Arabia Saudita e, secondo un nuovo rapporto, non ha intenzione di imporre alcun costo al proprio governo. Il Wall Street Journal ha riferito la scorsa settimana che l’amministrazione stava abbandonando le sue minacce contro il regno che aveva […]
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Firenze: full immersion nell’opera del ‘sovversivo’ Banksy
‘Inside Banksy: unauthorized exhibition‘, è una delle Mostre più frequentate di Firenze in questo lungo periodo festivo appena trascorso. La fila dei i visitatori che si forma all’ingresso della Chiesa di S. Stefano al Ponte Vecchio, è pressoché ininterrotta, data la curiosità di ‘immergersi’ nelle immagini riproposte dagli organizzatori di questa non autorizzata esposizione dell’ormai […]
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Lunedì, 9 gennaio, 2023 - 12:30
Africa
Ahead of the 27th United Nations Climate Change Conference (COP27) in Sharm El Shei
LinguaNon definito
Rafiq Raji
Rafiq Raji is a research fellow at the NTU-SBF Centre for African Studies at Nanyang Business School in Singapore. A former Africa economist at Standard Chartered in London, Dr. Raji is also an Africa expert with Euromoney Country Risk.ISPI
Trans-Atlantic Data Privacy Framework: elementi chiave
La decisione di adeguatezza della Commissione Europea sul Trans-Atlantic Data Privacy Framework ha scatenato un terremoto nel mondo della protezione dei dati. Il tema del trasferimento dei dati negli USA è stato, continua ad essere e con ogni probabilità sarà, l’elefante nella stanza presente in ogni conversazione che ha a che fare con la conformità dei sistemi informativi delle aziende.
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Nasce un partito ebreo e arabo: «Per un Israele di tutti i suoi cittadini»
di Michele Giorgio
(nella foto di Oren Ziv, l’incontro all’Abraham Hostel di Tel Aviv)
Pagine Esteri, 10 gennaio 2023 – Sami Abu Shahadeh ci accoglie al Cafè Paul, una storica caffetteria di Giaffa dove il leader del partito arabo Balad/Tajammo rilascia interviste e spesso discute di politica con amici e conoscenti. Abu Shahadeh non è più un deputato. La sua formazione politica, nazionalista di sinistra, parte fino alla scorsa estate della Lista unita araba, alle elezioni del primo novembre, ha ottenuto 140mila voti, un buon risultato ma non sufficiente per superare la soglia di sbarramento ed entrare nella Knesset. Una sorte toccata anche al Meretz, storico partito della sinistra sionista. «Non mi pento della scelta di correre da soli», esordisce Abu Shahadeh. Ora la Knesset è dominata dalla destra in tutte le sue espressioni laiche e religiose e da essa a fine dicembre è nato il governo estremista guidato da Benyamin Netanyahu. «In questo clima – aggiunge il leader di Balad – in cui forze fanatiche minacciano la democrazia e i diritti delle minoranze a cominciare da quella araba, il dialogo tra gruppi, organizzazioni e formazioni politiche di sinistra è utile e va favorito il più possibile».
Avraham Burg
Con questo spirito Abu Shahadeh ha accolto l’invito a partecipare, in qualità quasi di ospite principale, al primo incontro pubblico del partito ebraico-arabo «Di tutti i suoi cittadini», nato da poche settimane, che nei giorni scorsi ha riunito nell’Abraham Hostel di Tel Aviv circa 250 persone di varie ramificazioni della sinistra sionista e antisionista, incluso il Meretz. A presiedere il nuovo partito sono l’ebreo Avraham Burg, ex speaker laburista della Knesset che anni fa ha annunciato di non essere più sionista, e l’arabo (palestinese) Faisal Azaiza, preside della facoltà di previdenza sociale dell’università di Haifa. L’attore protagonista comunque è Burg che da tempo cercava senza successo di fondare una formazione politica. L’ascesa al potere del governo più a destra della storia di Israele, con evidenti venature razziste e antidemocratiche, la scomparsa quasi totale della sinistra in Parlamento e l’appetito per nuove idee unito al desiderio di colmare le divisioni, hanno finito per creare interesse intorno al suo progetto. Ispirati dal nome del partito di Burg e Azaiza, sul palco allestito all’Abraham Hostel esponenti della società civile, attivisti locali, intellettuali, accademici e personalità politiche hanno discusso dell’idea di un Israele non più Stato ebraico e democratico ma Stato di tutti i suoi cittadini, ebrei e arabi in completa uguaglianza.
Ad eccezione di quelli arabi, i leader dei partiti israeliani sionisti di qualsiasi orientamento difendono la definizione di Israele come Stato ebraico e democratico. Che nel 2018 è stata scritta in una legge fondamentale: Israele è lo Stato della nazione ebraica e in cui (anche nei territori occupati nel 1967) il popolo ebraico ha diritti esclusivi. «Israele – aggiunge Abu Shahadeh – è fondato sulla separazione, con la supremazia assegnata agli ebrei. Tutto ruota intorno a questo principio. Faccio un esempio. Come può essere democratico uno Stato che mentre sviluppa la rete ferroviaria non pianifica la costruzione di una stazione in un centro abitato arabo? Lo stesso vale per gli ospedali pubblici. Eppure gli arabi compongono più del 20% della popolazione».
Faisal Azaiza
La formula Israele Stato di tutti i suoi cittadini è considerata da molti israeliani l’incarnazione dell’antisionismo che respingono. «Per questo è difficile dire quanta strada potrà fare il partito di Burg e Azaiza» dice al manifesto il giornalista Meron Rapoport intervenuto al dibattito all’Abraham Hostel. Secondo Rapoport «‘Di tutti i suoi cittadini’ più che un partito dovrebbe essere un cantiere di idee per far maturare le coscienze». Il giornalista vede l’aspetto più positivo dell’incontro a Tel Aviv nel numero e nella varietà delle presenze politiche. «Un segnale interessante», afferma.
Avraham Burg ha spiegato che il nuovo partito non si definisce sionista o antisionista e sarà «una federazione di tendenze che concordano su una cosa: tutti gli israeliani devono essere uguali». Ma le differenze ideologiche tra le varie forze potenzialmente interessate restano ampie. Appare assai difficile che possa concretizzarsi una collaborazione tra «Di tutti i suoi cittadini» e il Meretz che resta ancorato ai principi del Sionismo. L’attrice ebrea Einat Weizman, compagna di partito di Sami Abu Shahadeh, ha alzato il tiro spiegando che non è possibile un partenariato tra ebrei e arabi in una realtà asimmetrica come quella israeliana e, pertanto, è necessaria una lotta guidata dai palestinesi per la decolonizzazione. All’Abraham Hostel inoltre non è sfuggita l’assenza di Ayman Odeh, leader di Hadash l’unico partito israeliano che si definisce di sinistra con un carattere arabo-ebraico. Nel vago sono rimaste questioni centrali. Israele Stato di tutti i suoi cittadini dovrà includere o escludere i cinque milioni di palestinesi che da 55 anni vivono sotto occupazione in Cisgiordania e Gaza? Quale sarà il destino degli altri cinque milioni di palestinesi profughi nel mondo arabo? Pagine Esteri
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Andrew Hodges – Alan Turing, storia di un enigma
Lo so che è vecchia, ma a me fa sempre ridere. Ed è terribilmente vera.
Sei un informatico? Allora:
Lavori a degli orari bizzarri
... come le prostitute
Sei pagato per rendere felice il tuo cliente
... come le prostitute
Il tuo cliente paga tanto, ma è il tuo padrone che intasca
... come le prostitute
Anche se sei bravo, non sei mai fiero di quello che fai
... come le prostitute
Sei ricompensato se soddisfi le fantasie del cliente
... come le prostitute
Ti è difficile avere e mantenere una famiglia
... come le prostitute
Quando ti domandano in che cosa consiste il tuo lavoro, tu non puoi spiegarlo
... come le prostitute
I tuoi amici si allontanano da te e resti solo con gente del tuo tipo
... come le prostitute
E' il cliente che paga l'hotel e le ore di lavoro
... come le prostitute
Il tuo padrone ha una gran bella macchina
... come le prostitute
Quando vai in "missione" da un cliente, arrivi con un gran sorriso
... come le prostitute
Ma quando hai finito, sei di cattivo umore
... come le prostitute
Per valutare le tue capacità ti sottopongono a dei terribili test
... come le prostitute
Il cliente vuole pagare sempre meno e tu devi fare delle meraviglie
... come le prostitute
Quando ti alzi dal letto dici "Non posso fare questo per tutta la vita"
... come le prostitute
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Soldati italiani nell’Europa dell’Est. 1500 pronti alla guerra con la Russia (parte 1)
di Antonio Mazzeo*
(le immagini di truppe e mezzi italiani in Lettonia sono di esercito.difesa.it)
Pagine Esteri, 10 gennaio 2023 – In meno di un anno è aumentato di cinque volte il numero dei militari italiani schierati in Europa orientale alle frontiere con Ucraina, Russia e Bielorussia. Sui 7.000 effettivi impiegati attualmente in missioni internazionali quasi 1.500 operano in ambito NATO nel “contenimento” delle forze armate russe. A partire del 2014 l’Alleanza atlantica ha dato vita ad un’escalation bellica sul fianco est come mai era accaduto nella sua storia. Nelle Repubbliche baltiche, in Polonia, Romania, Bulgaria e Ungheria, sono state realizzate grandi installazioni terrestri, aeree e navali, sono state trasferite le più avanzate tecnologie di guerra, sono state sperimentate le strategie dei conflitti globali del XXI secolo con l’uso dei droni e delle armi interamente automatizzate, cyber-spaziali e nucleari.
A seguito dell’invasione russa dell’Ucraina del 24 febbraio 2022 il processo di riarmo e militarizzazione dell’Europa orientale è pericolosamente dilagato e ancora oggi appare inarrestabile. E l’Italia c’è con le sue truppe d’élite, le brigate di pronto intervento, gli obici, i carri armati e i cacciabombardieri “gioielli di morte” del complesso militare-industriale nazionale e dei soci-partner stranieri, primi fra tutti USA e Israele. A inizio 2023 il tricolore sventola in Lettonia, Ungheria, Bulgaria e Romania. E ogni giorno, 24h, le truppe sono in stato d’allerta e si addestrano in condizioni estreme ad ogni possibile scenario di conflitto con il Cremilino, dai combattimenti casa per casa, vicolo per vicolo, piazza per piazza, agli sfondamenti nell’infinito bassopiano sarmatico, finanche all’impiego di armi atomiche, chimiche e batteriologiche e alla “sopravvivenza” al tragico inverno nucleare. Missioni di aperta e dichiarata cobelligeranza, pericolosamente provocatorie e infinitamente dispendiose sul piano politico-diplomatico e su quello economico-finanziario. Ma del tutto ignorate dai media mainstream che dallo scoppio della guerra fratricida hanno scelto di fare da cassa amplificata di Ares e Thanos e che gli italiani neanche immaginano quanto esse potrebbero trascinarci alla terza e ultima guerra mondiale.
Proviamo noi a raccontare chi sono e cosa fanno i reparti italiani inviati da una classe politica e di governo irresponsabile come topolino apprendista stregone. La componente più numerosa è quella terrestre: oggi è presente in Lettonia, Ungheria e Bulgaria, inquadrata all’interno delle forze di intervento rapido della NATO, i cosiddetti battlegroup, gruppi di battaglia. “Dinnanzi a una deteriorata percezione della sicurezza e a seguito di specifica richiesta avanzata da parte dei Paesi Baltici e della Polonia, al Summit di Varsavia del luglio 2016 la NATO ha ritenuto opportuno rafforzare la propria presenza sul fianco est dello spazio euro-atlantico, varando una misura di enhanced Forward Presence (eFP) che contempla lo schieramento di quattro Battle Group rispettivamente in Estonia, Lettonia, Lituania e Polonia, supportate dagli altri Alleati”, ricorda lo Stato Maggiore della difesa. “L’eFP è una misura di natura difensiva, proporzionata e pienamente in linea con l’impegno internazionale della NATO che intende rafforzare il principio di deterrenza dell’Alleanza. In particolare, aver rafforzato la presenza sul fianco est rappresenta un chiaro esempio della determinazione nell’assolvere la missione primaria di sicurezza collettiva dell’integrità territoriale euro-atlantica contro ogni possibile aggressione e minaccia, nonché di riaffermazione della coesione e della solidarietà tra i Paesi membri”. (1) Meno edulcorata e più realista la versione del Comando generale della NATO. “Questi battlegroup sono multinazionali e pronti al combattimento e dimostrano la forza del legame transatlantico”, spiegano i vertici dell’Alleanza. “Essi operano insieme alle forze di difesa del paese ospitante, conducendo esercitazioni e attività di vigilanza. La loro presenza rende chiaro che un attacco ad uno degli Alleati sarà considerato un attacco all’intera Alleanza. I battlegroup sono parte del più grande rinforzo della difesa collettiva della NATO da una generazione a questa parte”. (2)
Dopo l’invasione russa dell’Ucraina la NATO ha rafforzato la propria presenza in Europa orientale dispiegando migliaia di truppe supplementari e istituendo in tempi rapidissimi altri quattro nuovi gruppi tattici multinazionali in Bulgaria, Ungheria, Romania e Slovacchia. “Oggi gli otto gruppi tattici si estendono lungo tutto il fianco orientale della NATO, dal Mar Baltico a nord al Mar Nero a sud”, spiega lo Stato Maggiore italiano. “Oltre 40.000 truppe, insieme a significativi mezzi aerei e navali, sono ora sotto il diretto comando della NATO, supportate da altre centinaia di migliaia di truppe provenienti dai dispiegamenti nazionali degli Alleati. Inoltre, al Vertice di Madrid del giugno 2022, gli alleati hanno concordato un cambiamento fondamentale nella deterrenza della NATO. Ciò include il rafforzamento delle difese avanzate, il potenziamento dei gruppi tattici nella parte orientale dell’Alleanza fino al livello di brigata, la trasformazione della Forza di risposta della NATO e l’aumento del numero di forze ad alta prontezza a ben oltre 300.000 unità”. (3)
Italiani in Lettonia
Tutte le attività operative e addestrative condotte dalle forze armate Italiane sul fianco orientale della NATO sono disposte dal Capo di Stato Maggiore della Difesa e sono coordinate dal Comando Operativo di Vertice Interforze (COVI), istituito – non certo casualmente – nel luglio 2021 per rimodulare l’architettura militare nazionale e “abbracciare il concetto del multi-dominio, terrestre, marittimo, aereo, spaziale e cyber”. (4) Comandante del COVI è il gen. Francesco Paolo Figliuolo, il padre-alpino a cui sono stati attribuiti ampi poteri nella gestione socio-sanitaria dell’emergenza e post emergenza da Covid19.
L’Esercito italiano opera ininterrottamente da quasi un biennio all’interno del battlegroup NATO schierato in Lettonia (Operazione eFP Baltic Guardian), quello che annovera il maggior numero di nazioni partecipanti: oltre a Italia e Lettonia sono presenti Canada, Albania, Repubblica Ceca, Islanda, Montenegro, Macedonia del Nord, Polonia, Slovenia, Slovacchia e Spagna. Attualmente il contingente nazionale impiegato è di 250 militari appartenenti alla Brigata bersaglieri “Garibaldi” di stanza in Campania e da altri assetti forniti dal 17° Reggimento artiglieria controaerea “Sforzesca” (Sabaudia), dal 132° Reggimento carri (Cordenons, Pordenone), dal 7° Reggimento per la difesa CBRN “Cremona” (Civitavecchia), dal 3° Reggimento artiglieria da montagna (Remanzacco, Udine) e dall’11° Reggimento trasmissioni (Civitavecchia). Ingente è il numero di mezzi nella disponibilità di questi reparti: 139 tra veicoli da combattimento “Dardo”, carri armati “Ariete” e blindo “Centauro”.
I bersaglieri della “Garibaldi” sono arrivati nella grande installazione lettone di Adazi nel giugno 2022 prendendo il posto degli alpini della Brigata “Taurinense” (di stanza in Piemonte) e del 2° Reggimento trasmissioni alpino di Bolzano. “La partecipazione dell’Italia alla missione in Lettonia, oltre a testimoniare la solidarietà e la coesione dei Paesi dell’Alleanza Atlantica, rappresenta, nel panorama delle operazioni fuori area, un’opportunità straordinaria per il personale italiano impiegato, che ha modo di dedicarsi esclusivamente all’addestramento al warfighting, con il valore aggiunto del confronto continuo con gli eserciti di altri Paesi alleati”, scrive lo Stato Maggiore dell’Esercito. Warfighting, cioè combattimento, e l’interminabile elenco e le dimensioni delle “esercitazioni” effettuate nella Repubblica baltica e nei paesi confinanti sono un’indubbia testimonianza che la task force NATO è nata e cresce per la “battaglia”. Tra le maggiori e più complesse attività addestrative della scorsa primavera è possibile enumerare “Horned Viper” (vipera cornuta), finalizzata all’applicazione delle procedure del Tactical Combat Casualty Car (la medicina tattica da combattimento e il soccorso dei militari feriti), sotto la supervisione del personale medico dell’esercito danese, canadese e statunitense. A maggio 2022 le truppe alpine hanno addestrato i cadetti della National Defense Academy lettone nelle attività di “infiltrazione” in ambiente boschivo ed “occupazione di postazioni difensive”, mentre il mese successivo hanno partecipato all’esercitazione controaerea “Ramstein Legacy” presso la base aerea lettone di Lielvarde. Pianificata e condotta dal Comando generale della NATO e da quello delle forze armate USA in Europa (USEUCOM), “Ramstein Legacy” è stata svolta in contemporanea nello spazio aereo della Polonia e delle altre due Repubbliche baltiche; accanto agli italiani sono stati schierati i reparti di U.S. Army specializzati nella “difesa aerea” e missilistica.
Sempre a giugno gli alpini della “Taurinense” sono stati impiegati in attività di supporto aereo ravvicinato (Close air Support) fuori dai confini lettoni: in Estonia con l’esercitazione “Furious Wolf” (lupo furioso),congiuntamente al battlegroup ivi schierato e ai caccia della NATO presenti nel Baltico; in Slovenia con “Adriatic Strike 22”, esercitazione di cooperazione aerea che ha coinvolto 28 paesi dell’Alleanza. Subito dopo l’arrivo in Lettonia a metà giugno, la Brigata “Garibaldi” si è addestrata al combattimento individuale e con i mezzi da fuoco “Dardo”, “Centauro” e “Ariete”. “Inoltre, nell’ambito delle iniziative finalizzate a mostrare la presenza della NATO in Lettonia, sono state svolte diverse mostre statiche di mezzi e materiali a favore non solo della popolazione ma anche degli allievi ufficiali della National Defence Academy lettone”, aggiunge lo Stato Maggiore dell’Esercito, enfatizzando il ruolo dei propri reparti quali ambasciatori-piazzisti delle armi made in Italy.
In piena estate si è tenuta l’esercitazione multinazionale “Rampart Forge” (forgia del bastione) con lo scopo di “consolidare lo stato di prontezza ed incrementare le capacità di combattimento delle unità su un terreno fortemente compartimentato”. Una “cellula” per la guerra cibernetica distaccata in Lettonia dal Comando interforze per le Operazioni in Rete (COR) di Roma ha condotto con i partner NATO operazioni cyber al fine di “rilevare, contrastare e neutralizzare minacce che possano limitare la libertà di manovra nel dominio cibernetico”. A fine agosto il contingente della “Garibaldi” ha effettuato con l’esercito di Stati Uniti d’America, Spagna e Lettonia un’esercitazione di combattimento terrestre ed aereo con l’impiego di elicotteri d’attacco Bell AH-1 “Cobra” e UH-1 “Iroquois Huey”.
A settembre è stata la volta dell’esercitazione “Rampart Shield” (scudo del bastione) che ha consacrato il raggiungimento della piena capacità operativa del battlegrup NATO eFP “Latvia”. Durante i war games il personale militare ha condotto “attività tattiche difensive attraverso il posizionamento di ostacoli sul terreno per la battaglia”; inoltre un plotone difesa CBRN (chimica, batteriologica, radiologica e nucleare) proveniente dal 7° Reggimento “Cremona” ha svolto un’intensa attività di formazione teorico-pratica a favore di tutte le unità operative del battlegroup per la “gestione complessa di un incidente CBRN in ambiente war e decontaminazione operativa”. Sempre a settembre nel poligono di Adazi si sono svolte due fasi distinte di “Silver Arrow” (freccia d’argento): la prima ha visto schierati in formazioni contrapposte il battlegroup NATO in Lettonia e quello dispiegato in Polonia; alla seconda hanno invece partecipato 4.200 unità e oltre 1.000 mezzi da guerra di 17 Paesi dell’Alleanza (oltre a quelli della task force in Lettonia, Danimarca, Francia, Germania, Ungheria, Regno Unito e USA). Nel corso di “Silver Arrow 2” ha fatto la sua comparsa il sistema di artiglieria ad alta mobilità M142 “HIMARS”, dispiegato dall’esercito USA per lanciare razzi contro bersagli fissi e mobili nel Mar Baltico. L’M142 “HIMARS” è stato poi fornito alle forze armate ucraine che lo hanno impiegato nella controffensiva d’autunno contro i carri armati russi.
Dal 28 ottobre al 2 novembre l’Esercito italiano è stato impegnato in Lettonia in un’esercitazione a fuoco su bersagli a mare congiuntamente allo Standing NATO Maritime Group 1 (SNMG-1), gruppo navale di pronto intervento con unità da guerra delle Marine di Danimarca, Norvegia e Paesi Bassi, allo scopo di “incrementare la reciproca conoscenza tra forze terrestri e navali della NATO presenti sul fianco Est”, così come riposta l’ufficio stampa della Difesa. “Iron Spear” (lancia di ferro) è stata l’attività addestrativa multinazionale di metà novembre pianificata e diretta dal contingente italiano, a cui hanno preso parte le unità corazzate e blindate provenienti da 12 contingenti alleati di stanza nei Paesi Baltici. “Si è trattata di una dimostrazione della potenza di fuoco, notturna e diurna, di tutti i mezzi partecipanti (…) con valutazione sia della precisione che dei tempi di esecuzione delle manovre”, spiega lo Stato Maggiore dell’Esercito. Gli istruttori del contingente italiano hanno curato presso le aree sportive della base di Camp Adazi anche un corso per il personale appartenente al battlegroup NATO su una serie di attività ginniche “volte a mostrare l’efficacia del metodo di combattimento individuale militare italiano impiegato in un contesto operativo (MCM Academy)”. Sport e ginnastica verde-bianco-rosso per i guerrieri moderni dell’Alleanza con tanto di esercizi di condizionamento fisico, “imprescindibile per il personale che opera in area di operazione”, tecniche mirate alla difesa da arma lunga e corta, impiego dello sfollagente, di armi bianche e “combinazioni di percussioni volte a contrastare le forze nemiche in opposizione, con tempi di reazione veloci e condizioni disagiate”. “Gli istruttori – aggiunge lo Stato Maggiore – hanno evidenziato la forte componente psicologica che coinvolge il combattente militare, analizzando conseguentemente le principali tecniche di gestione dello stress, attuando un impiego della forza in aderenza al concetto di force escalation”. (5) (fine parte 1).
NOTE E LINK
1difesa.it/OperazioniMilitari/o…
2 nato.int/cps/en/natohq/news_20…
3 difesa.it/OperazioniMilitari/o…
4 difesa.it/SMD_/COVI/Pagine/def…
5difesa.it/OperazioniMilitari/o…
*Antonio Mazzeo è un giornalista ecopacifista e antimilitarista che scrive della militarizzazione del territorio e della tutela dei diritti umani. Con Antonello Mangano, ha pubblicato nel 2006, Il mostro sullo Stretto. Sette ottimi motivi per non costruire il Ponte (Edizioni Punto L, Ragusa). Del 2010 è il suo I Padrini del Ponte. Affari di mafia sullo stretto di Messina (Edizioni Alegre).
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ISRAELE. Futuro nero: Lgbt+, giudici e diritti nella morsa del Bibi III
di Michele Giorgio*
Pagine Esteri, 29 dicembre 2022 – Susciterà timori, solleverà interrogativi e animerà dibattiti il programma del governo che il risorto premier Benyamin Netanyahu, sotto processo per corruzione, farà giurare oggi alla Knesset. Il più a destra della storia della storia di Israele. Non perché i suoi ministri più estremisti come Itamar Ben Gvir (Pubblica sicurezza) e Bezalel Smotrich (Finanze), leader dei partiti accusati di razzismo Otzmah Yehudit e Sionismo Religioso, minacciano di attuare politiche più dure e punitive contro i palestinesi sotto occupazione militare da 55 anni. Dei diritti dei palestinesi non importa a nessun governo in giro per il mondo, le eccezioni sono rare. L’intenzione annunciata di dare un nuovo e più forte impulso alla colonizzazione israeliana nei Territori occupati non è poi diversa da quella realizzata dai governi precedenti. E l’esclusività nella biblica Terra di Israele alla piena autodeterminazione riservata solo al popolo ebraico e negata ai palestinesi dal primo ministro Netanyahu, è già affermata nella legge fondamentale, approvata nel 2018 dalla Knesset, che proclama Israele-Stato solo della nazione ebraica e non di tutti i suoi cittadini.
Dell’esecutivo messo in piedi da Netanyahu si parlerà tanto anche nelle comunità ebraiche, negli Usa più che in Europa, perché minaccia i diritti della comunità Lgbt+, perché punta a limitare i poteri dei giudici e la libertà di espressione, perché vorrebbe fare della religione sempre di più il fondamento dello Stato. E per tanti altri motivi che alcuni commentatori locali, vicini al centrosinistra, hanno elencato ogni giorno da quando lo scorso primo novembre la destra radicale e religiosa ha vinto le elezioni legislative, a conferma della tendenza all’estremismo che contagia settori sempre più larghi dell’opinione pubblica israeliana.
Uno di questi opinionisti, il noto scrittore David Grossman, ieri sulle pagine del quotidiano Haaretz, facendo riferimento a leggi in fase di elaborazione che ridimensionano la Corte Suprema, legittimano discriminazioni per motivi religiosi e favoriscono la costituzione di «una milizia privata nei Territori (palestinesi occupati)», ha dipinto il governo nascente come una minaccia «per il nostro futuro e per quello dei nostri figli». «Le dimensioni della catastrofe – ha scritto Grossman – vengono ora alla luce. Netanyahu rischia di scoprire che dal punto in cui ci ha portato non c’è una via di ritorno. Il caos che ha creato non potrà essere annullato o ammaestrato». Grossman in sostanza prova a scuotere Netanyahu, gli chiede di fermarsi prima che sia troppo tardi. Lo scrittore invece dovrebbe rendersi conto che Netanyahu non ha concesso così tanto alla destra estrema perché è debole e ricattabile a causa, si dice, dei suoi problemi con la giustizia. Lo ha fatto perché ideologicamente è vicino a quella parte politica. Non a caso ha destinato ben 125 milioni di dollari al partito religioso omofobo Noam che avrà l’incarico di salvaguardare «l’identità ebraica». La nomina a speaker della Knesset di Amir Ohana, un esponente gay del Likud, il partito di Netanyahu, è vista da più parti come una cortina fumogena per le politiche che le forze più conservatrici dell’esecutivo intendono attuare nella società.
Questa mattina gruppi di dimostranti di sinistra dovrebbero raggiungere Gerusalemme con un convoglio di automobili da Tel Aviv e si raccoglieranno di fronte alla Knesset. Si tratta però di piccole formazioni, fra cui Peace Now, Bandiere nere, Israeliani e palestinesi per la pace, associazioni Lgbt. E si è appreso che, dopo i comandi militari, anche cento ex diplomatici israeliani hanno pubblicato una lettera aperta rivolta a Netanyahu in cui esprimono la preoccupazione che la politica preannunciata del suo nuovo governo pregiudicherà i rapporti esteri di Israele. Non certo con il governo di destra di Giorgia Meloni, che all’inizio del 2023 sarà accolta con grandi onori in Israele dal governo di estrema destra di Netanyahu.
Il premier israeliano respinge le critiche, nega che saranno negati diritti e nei giorni scorsi ha accusato di sedizione il primo ministro uscente Yair Lapid. Netanyahu ieri ha fatto sapere che andrà tutto per il meglio, dentro e fuori Israele, grazie ai suoi progetti. Anche se con ogni probabilità ci scapperà un attacco aereo israeliano all’Iran (che lui invoca da anni). Ha annunciato, tra le altre cose, l’estensione degli Accordi di Abramo con i vicini arabi. Non si fida di lui re Abdullah II di Giordania, custode dei luoghi santi islamici e cristiani a Gerusalemme. In un’intervista alla Cnn il sovrano hashemita ha sottolineato che c’è «preoccupazione» per possibili violazioni da parte israeliana dello status quo sulla Spianata delle moschee di Gerusalemme. Pagine Esteri
*Questo articolo è stato pubblicato in origine dal quotidiano Il Manifesto
ilmanifesto.it/futuro-nero-lgb…
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#uncaffèconLuigiEinaudi☕ – L’uomo libero perfetto è colui…
L’uomo libero perfetto è colui il quale, per non rinunciare alle sue idee di fronte al tiranno, si è lasciato condannare alla galera e, pur di non chiedere al tiranno di essere liberato, resta in galera.
da Liberalismo, “L’Italia e il secondo Risorgimento”, 29 luglio 1944
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Papa Francesco mette nel mirino gli ‘scismatici’. Gänswein è avvisato
Guardate il mondo come ‘cammina’. Nello stesso giorno tre notizie, all’apparenza diversissime, ci (o almeno, mi) fanno pensare che forse è venuto il momento di prendere in mano più da vicino la nostra vita, sempre più disordinata da fenomeni, per lo più solo apparentemente, incontrollabili. L’orrendo e disgustoso extracomunitario (anzi, forse due), forse negro, certamente […]
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Sozaboy
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Fiorenzo Dainesi
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