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Giustizia, Lega Reggio: siamo per la separazione delle carriere – 24emilia.com


Venerdì 10 febbraio alle ore 18.00 all’Hotel Posta (p.zza del Monte n.2) verrà presentato «Non diamoci del Tu» di Giuseppe Benedetto, Presidente della Fondazione Luigi Einaudi. Che il giudice e l’accusatore siano colleghi è una singolarità tutta italiana.

Venerdì 10 febbraio alle ore 18.00 all’Hotel Posta (p.zza del Monte n.2) verrà presentato «Non diamoci del Tu» di Giuseppe Benedetto, Presidente della Fondazione Luigi Einaudi.
Che il giudice e l’accusatore siano colleghi è una singolarità tutta italiana. Un’anomalia politica e sociale che si perpetua da decenni. Il libro di Giuseppe Benedetto evidenzia tale stortura ed auspica un cambiamento del sistema giustizia, illustrando l’urgente necessità della separazione delle carriere affinché si possa raggiungere realmente l’autonomia della giurisdizione. Un rigoroso lavoro di approfondimento scientifico, una minuziosa cura della ricostruzione storica, uno scrigno di passione civile che emerge da ogni pagina, questo e tanto altro è «Non diamoci del tu».

Sarà inoltre l’occasione per riflettere ad ampio raggio delle criticità del sistema giudiziario italiano e dei tanti temi riguardanti la giustizia penale e civile, a partire dai quesiti referendari dello scorso 12 giugno, che potranno essere oggetto di riforma.
Temi di stretta attualità, che coinvolgono la vita di tutti i cittadini e il futuro della nostra società.
L’evento sarà moderato da Stefano Zurlo de “Il Giornale” e vi sarà la presenza del Sottosegretario Andrea Ostellari, dell’ On Benedetta Fiorini, dell’Avv. Giuseppina Rubinetti e del prof e avvocato Giulio Garuti.

Saranno inoltre presenti Matteo Rancan, Commissario della Lega Emilia e Capogruppo della Lega in Regione, Roberto Salati, segretario provinciale Lega Reggio Emilia e Alessandro Rinaldi, segretario cittadino Lega Reggio Emilia.

24emilia.com

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Ucraina: niente economie in guerra


Ad un anno dall’inizio dell’operazione militare speciale, molte cose sono cambiate, e non solo in Ucraina o nella Federazione Russa. Ci si è resi conto che una guerra vecchia maniera in Europa è tutt’altro che un ricordo; che gli eserciti non servono solo per missioni di pace in Paesi lontani; che la globalizzazione non è poi così […]

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Mentre si compiono progressi nella definizione del regolamento europeo sull’intelligenza artificiale, rimane ancora aperta la questione della misura in cui i modelli di IA impiegati per gestire le infrastrutture critiche debbano essere coperti da requisiti stringenti. L’AI Act sta raggiungendo...


Il mio intervento all’evento “Verso un’agenda digitale per l’infanzia e l’adolescenza“, organizzato da Telefono Azzurro, in occasione del Safer Internet Day giunto alla ventesima edizione.


Addio ad Aldo Canovari, editore libero e liberale


È scomparso il fondatore di Liberilibri, appassionato difensore della cultura dei diritti individuali L’editore Aldo Canovari se n’è andato in una fredda notte invernale dopo aver lottato con una malattia che gli aveva tolto il corpo ma non la mente. Era

È scomparso il fondatore di Liberilibri, appassionato difensore della cultura dei diritti individuali


L’editore Aldo Canovari se n’è andato in una fredda notte invernale dopo aver lottato con una malattia che gli aveva tolto il corpo ma non la mente. Era nato a Macerata nel 1946 e il 14 febbraio avrebbe compiuto 77 anni. La sua creatura più importante è la casa editrice Liberilibri e se noi oggi possiamo leggere in italiano le opere di Anthony Collins, Walter Block, Albert Jay Nock, Ayn Rand, Michael Novak, Murray N. Rothbard, Elie Kedourie e persino Bruno Leoni e tanti altri lo dobbiamo alla fede liberale di Canovari che la fondò nel 1986: testi curatissimi, copertine essenziali e il marchio col personaggio del Buchernarr il «pazzo per i libri».

Per Canovari il liberalismo non era solo una dottrina politica, ma ragione e amore per la vita libera. La Liberilibri non era stata concepita solo come un progetto editoriale, ma come un’attività culturale che tramite la diffusione di opere o non tradotte in Italia o poco conosciute puntava ad ampliare la cultura della libertà nella patria di Croce e Einaudi sì, ma anche in un Paese a forte vocazione statalista e con il primato dei cattolici e dei marxisti. A scalfire tale primato mirava Canovari innestando sulla tradizione liberale e liberista l’anima libertaria e anarcocapitalista: così oggi se la cultura italiana coltiva una coscienza più ampia della libertà, lo deve a questo piccolo grande editore che non ha esitato a battersi contro il giustizialismo, il fiscalismo, lo statalismo, la censura per difendere la libertà di pensare, agire, scegliere, fosse anche la libertà di sbagliare.

Lo diceva lui stesso curando il volume Sui libri malvagi : «La potenza di fuoco dei libri è altissima ed è capace, rendendo possibile la conoscenza e il confronto d’idee, di modificare inveterate convinzioni, sovvertire istituzioni politiche e religiose, ed anche sbaragliare eserciti». Parole che testimoniano l’attualità di Canovari: più passerà il tempo e più la sua grandezza si manifesterà come un eterno «discorso sul pensiero libero».

Corriere della Sera

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OkCupid!, app per “cuori solitari”, ha chiesto a ChatGpt3 di formulare una serie di domande da proporre agli utenti del servizio di incontri per suggerire loro persone da incontrare o, almeno, iniziare a conoscere con maggiori chances di successo. Leggi qui il pezzo nella mia rubrica Governare il futuro su HuffingtonPost.


Oggi 10 febbraio si celebra il Giorno del Ricordo dedicato alla memoria della tragedia degli italiani e di tutte le vittime delle foibe, dell’esodo dalle loro terre degli istriani, fiumani e dalmati nel secondo dopoguerra.


In Cina e Asia – Pallone-sonda: gli Usa minacciano sanzioni


In Cina e Asia – Pallone-sonda: gli Usa minacciano sanzioni usa
Pallone-sonda: gli Usa minacciano sanzioni
Propaganda cinese e deepfake
Cina: I gamer sono più inclini al matrimonio
IEA: nel 2025 la Cina consumerà un terzo dell'elettricità mondiale
È nata una nuova piattaforma europea contro la disinformazione russa e cinese
L'India vieta altre 232 app cinesi
Giappone e Filippine si impegnano a rafforzare i propri legami sulla sicurezza

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GERUSALEMME. «Ora i coloni israeliani attaccano anche noi cristiani»


Crescono ansie e timori nella comunità palestinese cristiana nella città santa per l'aumento di intimidazioni e aggressioni da parte di estremisti religiosi israeliani. L'articolo GERUSALEMME. «Ora i coloni israeliani attaccano anche noi cristiani» provi

di Michele Giorgio

Pagine Esteri, 10 febbraio 2023 – «Sai dell’ultimo attacco? Hanno distrutto una statua di Gesù alla Flagellazione. Coloni ed estremisti israeliani prendono di mira anche i cristiani», ci dice Sami nel suo negozio di alimentari affollato di bambini usciti da scuola. Si riferisce all’attacco compiuto il 2 febbraio alla Cappella della Condanna, dietro il complesso della Flagellazione, da un uomo che le autorità israeliane hanno descritto come un turista americano, uno «squilibrato». E che invece il Patriarcato latino (cattolico) ha indicato come un «estremista ebreo». A fermarlo è stato il portiere del sito religioso, Majed Al Rishek, un musulmano. Le immagini del placcaggio rugbistico dell’aggressore hanno fatto il giro del web. «Qui a Porta Nuova siamo preoccupati» aggiunge Sami «prima (gli estremisti) sputavano quando, durante i nostri riti religiosi, vedevano la croce. Adesso sono violenti, ci urlano di andare via perché, dicono, Israele è solo degli ebrei. Qualcuno di noi ora chiude prima del solito». Qualche sera fa, davanti al ristorante Taboun, decine di religiosi estremisti hanno inveito contro turisti e proprietari dei locali. Ne è seguita una violenta rissa in strada andata avanti per mezz’ora con lanci di sedie e bottiglie e tavoli rovesciati.

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Porta Nuova con i suoi vicoli stretti che corrono fino alla Porta di Giaffa e al Santo Sepolcro è la manifestazione storica oltre che religiosa della comunità palestinese cristiana. Negli ultimi due-tre anni Porta Nuova è diventata anche un punto di ritrovo serale. Lo scorso Natale, tra luci colorate e ricchi addobbi, ha ospitato la soprano italiana Giuliana Mettini che si è esibita con canti festivi apprezzati da abitanti e turisti. Il comune israeliano di Gerusalemme, mosso anche da intenti turistici, ha dato alla comunità cristiana a Porta Nuova una ampia possibilità di organizzare eventi e attività. «Ma agli estremisti israeliani non piace questa libertà e che i cristiani possano mostrarsi attivi nel professare la loro fede ed esibire la croce», spiega Mariam, cattolica impegnata in attività di sostegno agli anziani. «Per loro» aggiunge la donna «tutti gli arabi, musulmani e cristiani, devono lasciare questa terra».

Le Chiese da tempo denunciano gli atti vandalici che subiscono dagli estremisti non solo a Gerusalemme. E hanno chiesto alle autorità israeliane di agire con polso fermo per mettere fine a queste intimidazioni. Nelle ultime settimane le intimidazioni si sono moltiplicate. Un cimitero cristiano ortodosso a Gerusalemme è stato devastato, la scritta «Morte ai cristiani» è stata lasciata sui muri di un monastero nel quartiere armeno e sono stati vandalizzati i locali del centro maronita di Maalot. «Non è un caso che la legittimazione della discriminazione e della violenza nell’opinione pubblica e nell’attuale scenario politico israeliano si traduca poi anche in atti di odio e di violenza contro la comunità cristiana», denuncia il Patriarcato latino facendo riferimento al nuovo governo israeliano di cui fanno parte partiti di destra estrema e suprematisti come il ministro della Sicurezza nazionale Itamar Ben Gvir.

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A un paio di centinaia di metri dalla Porta di Giaffa, la Cattedrale di San Giacomo – o meglio, di due distinti santi di nome Giacomo – costruita nel 1163 ancora oggi viene illuminata senza l’elettricità, solo dalla luce del sole, da candele e lampade ad olio. È il motore che anima il quartiere armeno della città vecchia di Gerusalemme e la sua comunità – meno di mille persone – per la maggior parte composta da profughi e sopravvissuti al genocidio in Turchia. Alcuni vantano origini antiche a Gerusalemme che vanno indietro di mille anni. Pur vivendo con i palestinesi e considerati da questi parte integrante del loro popolo, gli armeni hanno buoni rapporti con gli israeliani e si mantengono relativamente «autonomi» rispetto al conflitto. «Siamo orgogliosi del nostro passato e teniamo alla nostra identità, riconosciamo i diritti di tutti e vogliamo vivere in pace», ci dice Hagop Djernazian, un giovane attivista armeno. Da qualche tempo le cose si sono complicate per la sua comunità. Djernazian spiega che «sempre più spesso giovani estremisti ebrei scrivono frasi minacciose sui muri, e strappano i nostri manifesti funebri perché sopra c’è la croce».

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George Kahkedijan

All’interno del convento armeno ci attende George Kahkedijan, un giovane che qualche sera fa prima è stato percosso e arrestato dalla polizia e poi detenuto per 16 ore. «Poco prima» racconta «la nostra chiesa era stata attaccata, (gli estremisti) hanno strappato la nostra bandiera. Siamo scesi in strada per allontanarli ma quelli hanno subito cominciato a urlare mekhablim mekhablim (terroristi,ndr) e la polizia è intervenuta solo contro di noi». Pagine Esteri

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Biden accelera sulla Nato asiatica e accusa la Cina


Nel discorso sullo "stato dell'Unione" Biden ha tuonato contro la Cina. Washington si rivolge sempre più anche all’Asia-Pacifico, dove la rivalità strategica tra Pechino e Washington potrebbe scatenare prima o poi una guerra tra le prime due economie del

di Michelangelo Cocco*
Pagine Esteri, 9 febbraio 2023 – I pochi minuti del suo “Discorso sullo stato dell’unione” che ieri Joe Biden ha riservato alla politica estera sono quasi tutti indirizzati all’avversario con il quale gli Stati Uniti sono ormai entrati in rotta di collisione, quella che l’ultima Strategia di sicurezza nazionale ha definito «la sfida geopolitica più significativa per l’America»: la Repubblica popolare cinese.

«Non mi scuserò per il fatto che stiamo investendo per rendere forte l’America – ha affermato il presidente degli Stati Uniti -, nell’innovazione americana, nelle industrie che definiranno il futuro e che il governo cinese intende dominare». Con un evidente riferimento alla vicenda del pallone aerostatico cinese, Biden ha ammonito Pechino: «Non commettete errori: come abbiamo chiarito la scorsa settimana, se la Cina minaccia la nostra sovranità, agiremo per proteggere il nostro Paese. E lo abbiamo fatto!».

Biden ha rappresentato ancora una volta quella con la Cina una “competizione” tra democrazie e autoritarismi, sostenendo che – grazie ai provvedimenti della sua amministrazione – le prime, guidate da Washington, si sono rafforzate rispetto alle seconde. La narrazione di Washington, ampiamente condivisa dai repubblicani, raffigura uno scontro tra il bene e il male, come ai tempi della Guerra fredda. Biden ha insistito sulla necessità di «modernizzare il nostro esercito per difendere la stabilità e impedire aggressioni» e di «lavorare assieme ai nostri alleati per proteggere le nostre tecnologie avanzate in modo che non possano essere utilizzate contro di noi».

Il discorso annuale dell’inquilino della Casa bianca è stato preceduto di qualche giorno dalle ultime mosse della Nato, la cui attenzione – mentre in Ucraina è in corso un’escalation bellica, con l’impiego di armi più letali da una parte e dall’altra – si rivolge sempre più anche all’Asia-Pacifico, dove la rivalità strategica tra Pechino e Washington potrebbe scatenare prima o poi una guerra tra le prime due economie del pianeta, entrambe potenze nucleari.

L’Alleanza Atlantica – che con il conflitto tra Mosca e Kiev ha riguadagnato protagonismo politico e militare (si pensi, ad esempio, al prossimo ingresso di Svezia e Finlandia e alla candidatura dell’Ucraina, all’incremento delle spese per la difesa negli stati membri e all’aumento previsto, da 40.000 a 300.000, delle sue truppe pronte a combattere) sta spingendo per un coordinamento più stretto con i paesi partner dell’Asia orientale, con l’obiettivo di contenere la Repubblica popolare nell’area che Washington vuole evitare che divenga il “cortile di casa” di Pechino. È in questo scenario che s’inquadra la missione di Jens Stoltenberg in Corea del sud e Giappone (29 gennaio-1° febbraio).

Nel discorso pronunciato il 1° febbraio alla Keio University di Tokyo il segretario generale della Nato ha sostenuto che «l’idea che la Cina – che ha definito una “potenza sempre più autoritaria” – non abbia importanza per la Nato non funziona» e che «siamo prontissimi a rafforzare ulteriormente ed espandere la partnership con questa regione». Il giorno prima, incontrando il premier Fumio Kishida, aveva accusato Pechino di «prevaricare i suoi vicini e minacciare Taiwan», sottolineando che «sta guardando da vicino la guerra in Ucraina, imparando lezioni che potrebbero influenzare le sue decisioni future. Ciò che sta accadendo in Europa oggi potrebbe succedere in Asia orientale domani». A Tokyo, come nei giorni precedenti a Seul, l’ex premier laburista norvegese ha usato toni durissimi.

Siamo già entrati nella fase della preparazione di una nuova campagna bellica? La Nbc ha rivelato il memo con il quale, il 27 gennaio scorso, il generale Mike Minihan, a capo dello Air Mobility Command (circa 50 mila uomini e 500 aerei) ha previsto una guerra tra Stati Uniti e Cina nel 2025, innescata da uno scontro nel Pacifico, su Taiwan.

Pechino osserva con preoccupazione questa escalation retorica: «La Nato continua a oltrepassare le sue zone e aree di difesa tradizionali ed esagera la minaccia della Cina», ha dichiarato la portavoce del ministero degli Esteri, Mao Ning.

Il decennale “Strategic Concept” approvato dal vertice Nato di Madrid (29-30 giugno 2022) ha identificato la Cina come «sfida sistemica alla sicurezza euro-atlantica». Stoltenberg ha elogiato i piani recentemente varati d Tokyo che spalancano le porte al raddoppio delle spese per la difesa, perché «la deterrenza (la corsa agli armamenti, ndr) è un modo di difendere la pace e prevenire le aggressioni». Il premier Fumio Kishida ha annunciato «il rafforzamento dell’attuale cooperazione Giappone-Nato a nuovi livelli che riflettano le sfide di una nuova era», attraverso l’apertura quest’anno di una rappresentanza diplomatica presso il quartier generale della Nato a Bruxelles e la partecipazione di funzionari nipponici ai vertici del Consiglio nordatlantico e dei ministri della difesa della Nato.

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Il Giappone (dove sono di stanza circa 50.000 soldati Usa) ha un ruolo fondamentale nel dispositivo militare statunitense nel Pacifico. Assieme a Taiwan (sempre più massicciamente armata da Washington, e dove – come confermato dalla presidente Tsai Ing-wen – sono presenti da anni istruttori militari Usa) e alle Filippine, che il 3 febbraio hanno concesso l’utilizzo agli Stati Uniti di altre quattro basi militari per monitorare Taiwan e il Mar cinese meridionale (portandone a nove il numero complessivo), fanno parte della “Prima catena di isole” il cui controllo nel 1951 (durante la Guerra di Corea) fu individuato dal diplomatico e futuro segretario di stato repubblicano John Foster Dulles come essenziale per “contenere” l’Unione Sovietica e la Cina. E negli ultimi giorni i media giapponesi hanno rilanciato indiscrezioni su un possibile accordo Tokyo-Washington per il dispiegamento di missili balistici Usa a medio raggio nell’isola giapponese di Kyushu, vicino a Taiwan.

«Non c’è alcuna giustificazione per le minacce della Cina contro Taiwan», ha sostenuto Stoltenberg dopo lo scoop della Nbc sul documento del generale Minihan. Sull’isola che Xi Jinping ha promesso di “riunificare” alla Rpc intende recarsi in primavera Kevin McCarthy, replicando il viaggio (la “provocazione”, secondo Pechino) del 2 agosto scorso della sua predecessora, Nancy Pelosi, che indusse l’Esercito popolare di liberazione a inscenare le più grandi esercitazioni militari mai condotte intorno all’Isola. Secondo i media Usa, il Pentagono si sta già preparando ad affrontare le ripercussioni della mossa del nuovo speaker della Camera.

Stoltenberg ha sottolineato che «noi vediamo come la Cina e la Russia si muovono sempre più assieme» e che «siamo sicuri che con la presidenza del G7 il Giappone continuerà a concentrarsi sull’importanza delle sanzioni economiche contro la Russia». Il giorno prima a Seul (dove si trovava anche il ministro della difesa Usa Lloyd Austin) aveva invitato il governo a fornire sostegno militare diretto all’Ucraina, superando la politica sudcoreana di non vendere armi ai paesi in guerra. Secondo i media Usa, a Kiev potrebbero arrivare – venendo prima acquistati da un paese terzo – i tank “K2 Panther” e centinaia di migliaia di munizioni d’artiglieria prodotte in Corea del sud. Sotto la supervisione dello U.S. Indo-Pacific Command, gli USA hanno circa 25 mila militari in Corea del sud.

Secondo Cho Han-bum, ricercatore del sudcoreano Korea Institute for National Unification, la combinazione della cooperazione trilaterale Stati Uniti-Corea del sud-Giappone con l’accordo di sicurezza Aukus (Australia, Regno Uniti, Stati Uniti) crea di fatto una Nato asiatica che mira a contrastare la Cina.

Il pallone aerostatico cinese che il Pentagono ha seguito dal 1° febbraio scorso e che per giorni ha sorvolato lo spazio aereo statunitense – passando anche sul Montana, dove sono custoditi i missili balistici intercontinentali “Minuteman III” – è stato avvistato poco dopo l’ufficializzazione di queste ultime “grandi manovre” di contenimento della Cina, che non sono soltanto di carattere militare.

Negli ultimi giorni gli Stati Uniti hanno convinto i governi di Giappone e Olanda – sedi dei colossi Tokyo Electron e Asml – a imporre restrizioni all’esportazione in Cina di macchinari per la fabbricazione di microchip, i cervelli dell’industria e della difesa moderne. Il Dipartimento del Commercio ha spiegato che «i controlli multilaterali sono più efficaci dei controlli unilaterali, e l’impegno straniero su questi controlli è una priorità». Lo stesso ministero ha esteso il divieto di export Usa a Huawei a ulteriori tecnologie (meno avanzate di quelle già proibite): il colosso cinese sta accusando un colpo dopo l’altro.

È in questo contesto più ampio che va inquadrato l’annullamento della visita a Pechino (prevista per domenica scorsa) del segretario di stato Usa, Antony Blinken, rispetto al quale l’incidente di quello che per il ministero della difesa Usa è “sicuramente” un pallone-spia rappresenta solo la goccia che ha fatto traboccare il vaso. Una controversia che non è ancora chiaro quanto Washington sia tentata di trasformare in un caso internazionale, provando a mettere sotto accusa Pechino (dal Pentagono sono filtrate notizie secondo cui i “palloni-spia” cinesi spierebbero tutti e cinque i continenti).

Come che sia, la vicenda del pallone aerostatico cinese è anzitutto la cartina al tornasole che rivela che, dall’insediamento dell’amministrazione Biden, il dialogo tra Pechino e Washington si è limitato soprattutto alla retorica, all’enunciazione – da parte sia di Pechino sia di Washington – di buoni propositi, a fini mediatico-propagandistici. La realtà invece parla di mosse sul terreno e di alleanze che preparano uno scontro, di un “dialogo” prigioniero di una rivalità strategica che rischia di andare fuori controllo a ogni errore o provocazione, di una parte o dell’altra. – Pagine Esteri

5316640*Giornalista professionista, China analyst, scrivo per il quotidiano Domani. Ho pubblicato “Xi, Xi, Xi – Il XX Congresso del Partito comunista e la Cina nel mondo post-pandemia (Carocci, 2022), e “Una Cina perfetta – La Nuova era del Pcc tra ideologia e controllo sociale (Carocci, 2020). Habitué della Repubblica popolare dal 2007, ho vissuto a Pechino nel 2011-2012, corrispondente per il quotidiano il manifesto nello scoppiettante e nebbioso crepuscolo della tecnocrazia di Hu Jintao & Co. Sono rientrato in Cina nel gennaio 2018, anno I della Nuova era di Xi Jinping, quella in cui il Partito-Stato regalerà a tutti “una vita migliore” e costruirà “un grande paese socialista moderno”. Racconto storie, raccolgo dati e cito fatti evitando di proiettare le mie ansie e le mie (in)certezze su un popolo straordinario che se ne farebbe un baffo.

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La Polonia, nuova superpotenza militare


La Polonia, perno strategico della strategia degli Stati Uniti in Europa, mira a diventare una superpotenza militare. Varsavia ha deciso di elevare la spesa militare al 5% del Pil e di portare le forze armate a 300 mila uomini, doppiando l'esercito tedesc

di Marco Santopadre*

Pagine Esteri, 7 febbraio 2023 – La Polonia è in prima fila nel sostegno politico e militare all’Ucraina. Le sue pressioni sono state fondamentali per convincere i paesi europei più scettici – in primis la Germania – ad inviare a Kiev i carri armati Leopard. Centrato l’obiettivo, Varsavia perora ora la causa dell’invio nel paese invaso dei caccia F16. Nei mesi scorsi, poi, l’esecutivo polacco aveva sostenuto la richiesta ucraina di una no-fly zone imposta dalla Nato almeno sulle regioni occidentali ucraine – che avrebbe portato allo scontro militare diretto con Mosca – e poi una provocatoria “missione di pace” armata sempre dell’Alleanza Atlantica.

Varsavia, il perno della strategia Usa in Europa
La Polonia ha ampiamente sfruttato la crisi ucraina a proprio beneficio. Ha ottenuto, ad esempio, la realizzazione della Baltic Pipe, il gasdotto che da settembre trasposta il gas estratto in Norvegia fino alle sue regioni occidentali, passando dalla Danimarca. Anche il pensionamento del Nord Stream e la rottura dell’asse energetico e diplomatico tra Berlino e Mosca possono essere considerate una vittoria della diplomazia polacca, oltre naturalmente che dell’amministrazione statunitense.
La radicalizzazione dello scontro tra l’Alleanza Atlantica e la Federazione Russa e la polarizzazione militare globale innescate dall’invasione russa dell’Ucraina stanno trasformando Varsavia da paese di seconda fila dell’UE in perno centrale delle strategie della Nato, di cui il paese fa parte dal 1999.
Sembrano passati secoli da quando l’UE minacciava la Polonia di sospendere i fondi comunitari e Bruxelles bacchettava il governo ultranazionalista di Varsavia per le ripetute violazioni dello stato di diritto e gli ostacoli frapposti all’esercizio dei diritti delle donne.
Da decenni ormai la Polonia rappresenta la principale sponda delle mire egemoniche statunitensi in Europa. Washington fa leva in particolar modo sui paesi dell’Europa orientale per intralciare il progetto di una Unione Europea “superpotenza autonoma” perorato in particolare da Francia e Germania.
La recente elezione alla presidenza della Repubblica Ceca del generale in congedo Petr Pavel, ex leader del comitato militare della Nato dal 2015 al 2018, rappresenta un segnale quantomai significativo sulle tendenze in atto nei paesi dell’ex blocco socialista.
Un genuino timore di essere aggredita militarmente da Mosca, unito alla volontà di rivalsa nei confronti sia della Russia sia della Germania (colpevoli storicamente di aver smembrato il paese o di averne bloccato le mire espansioniste), in un contesto caratterizzato dal boom della russofobia e da un nazionalismo sciovinista e reazionario, hanno posizionato il paese sulla prima linea del fronte tra est e ovest.

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Biden visita le truppe Usa in Polonia

Spese militari alle stelle
La classe dirigente polacca, però, non si accontenta dell’accresciuto ruolo geopolitico del paese e punta a farne rapidamente una superpotenza militare convenzionale.
Il progetto, caldeggiato fin dal 2006 soprattutto dai nazional-conservatori di “Diritto e Giustizia” (PiS), partito della destra radicale al potere dal 2015, è stato definitivamente sdoganato e accelerato dall’inizio delle operazioni belliche in Ucraina.
Il 17 marzo 2022, neanche un mese dopo l’inizio dell’invasione, il parlamento di Varsavia ha votato all’unanimità la “legge per la difesa della patria”, che prevede il raddoppio degli effettivi delle forze armate e delle spese militari entro il 2035, con un esborso complessivo di 115 miliardi di euro.
Già nel 2022, comunque, la Polonia ha speso il 2,4% del suo Pil per il bilancio della Difesa, piazzandosi terza all’interno dell’Alleanza Atlantica dopo la Grecia (3,76%) e gli Stati Uniti (3,47%) e poco al di sopra della Lettonia (2,36%).

Si trattava però solo del primo traguardo di una corsa al riarmo assai più ambiziosa. «La guerra in Ucraina ci fa armare ancora più velocemente. Ecco perché quest’anno faremo uno sforzo senza precedenti: il 4% del Pil per l’esercito polacco» ha annunciato il premier Mateusz Morawiecki in una conferenza stampa realizzata il 30 gennaio. Quest’anno, per sostenere l’espansione e l’ammodernamento delle proprie forze armate, Varsavia intende spendere quasi 29 miliardi. Una cifra spropositata per un paese di appena 38 milioni di abitanti, ma che potrebbe crescere ulteriormente visto che il governo intende portare la spesa militare al 5% della sua ricchezza nazionale.

Il pieno di armi da Usa e Sud Corea
L’obiettivo principale è, innanzitutto, sostituire gli arsenali dell’epoca sovietica (in parte già ceduti all’Ucraina) con armi e mezzi d’avanguardia. In prospettiva, però, Varsavia mira a dotarsi di un esercito possente, superiore anche a quello della vicina Germania, che pure lo scorso anno ha stanziato 100 miliardi per modernizzare una Bundeswehr assai malmessa.
Così, Varsavia nell’ultimo anno ha firmato una sfilza di contratti d’acquisto di mezzi e attrezzature, principalmente dagli Stati Uniti e dalla Corea del Sud, snobbando quasi del tutto l’industria militare europea a parte qualche elicottero commissionato all’italiana Leonardo.
La primavera scorsa, Varsavia ha firmato un accordo da 5 miliardi per l’acquisto di 250 carri armati statunitensi Abrams e recentemente ne ha richiesti altri 116. Inoltre da Washington la Polonia otterrà 32 caccia F-35 (4,6 miliardi) per sostituire gli ormai obsoleti F-16. Per rafforzare il proprio sistema antimissilistico, inoltre, dal marzo scorso il paese ha ordinato un consistente stock di missili Patriot e ben 500 missili HIMARS.
La Polonia ha anche firmato un contratto da 12 miliardi con aziende sudcoreane per la fornitura di 580 carri armati Hyundai Rotem K2 Black Panther (che entro la fine del decennio intende portare a 1000), 700 obici Hanwha Defense, 50 caccia FA-50 e 288 lanciarazzi multipli K239.
Inoltre, Varsavia ha deciso di acquistare un certo numero di droni da bombardamento Bayraktar dalla Turchia ed ha pattuito la presenza permanente del V Corpo d’Armata statunitense sul proprio territorio.
Come se non bastasse, politici e generali polacchi continuano a chiedere a Washington di piazzare alcuni missili a testata nucleare nelle basi della Nato esistenti nel paese.

“L’esercito più grande d’Europa”
Oltre a fare il pieno di armi, Varsavia intende aumentare gli effettivi dell’esercito fino a raggiungere almeno le 300 mila unità entro il 2030, dotandosi così di una forza armata quasi doppia rispetto a quella della Germania, paese che però possiede più del doppio della popolazione. Attualmente l’esercito della Polonia può contare su 150 mila membri, più i 30 mila (che dovrebbero diventare 50 mila) inquadrati nella Forza Territoriale di Difesa (OTK), un corpo istituito nel 2017 e composto da volontari che periodicamente si addestrano all’uso delle armi e alle tattiche militari. Se il paese riuscirà a trasformare in realtà gli obiettivi fissati dal Ministro della Difesa Mariusz Blaszczak, la Polonia – il cui Pil nel 2022 è cresciuto del 4,9% – potrà contare sul «più grande esercito di terra del continente europeo».
«Ogni centimetro della nostra terra è santificato dal sangue polacco. Le prossime generazioni devono avere una Polonia sicura. Per raggiungere questo obiettivo c’è bisogno di un esercito forte» ha chiarito il premier Morawiecki.

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Marcia dell’estrema destra in occasione del Giorno dell’Indipendenza

I muri con Russia e Bielorussia
Il governo del PiS ha anche deciso di costruire un muro al confine con l’exclave russa di Kaliningrad. I lavori dovrebbero iniziare già nel mese di marzo. La barriera, della lunghezza prevista di 210 chilometri, sarà composta da tre recinzioni parallele di filo spinato alte 2,5 metri e includerà anche numerosi sensori e telecamere. Per giustificare la decisione, Varsavia ha addotto la necessità di bloccare i flussi migratori illegali; per lo stesso motivo la Polonia ha già realizzato nei mesi scorsi un’analoga barriera al confine con la Bielorussia, accompagnata da una “zona interdetta” larga 3 chilometri poi ridotta a 200 metri.

Censura e carcere per i giornalisti non in linea
Non stupisce, in questo clima da crociata bellicista, che nel paese si moltiplichino gli episodi di censura e di repressione.
La scorsa settimana l’emittente statale TVP ha licenziato in tronco Magdalena Wolinska-Riedi, la sua corrispondente da Roma dal 2015, per aver pubblicato dei tweet non in linea con l’ideologia ufficiale ormai imposta dal partito dei fratelli Kaczynski e da un’opinione pubblica sempre più sciovinista. In uno, pubblicato in occasione della Giornata della Memoria, la giornalista aveva scritto «È necessario trasmettere alle giovani generazioni la conoscenza delle profondità dell’inferno che i nazisti hanno preparato per il mondo». Molti lettori hanno protestato perché la corrispondente non ha utilizzato il termine “tedeschi” riferendosi ai nazisti, sottintendendo che la responsabilità del massacro sia da attribuire anche ai polacchi. Replicando alle critiche, Wolinska-Riedi ha aggiunto: «I russi di oggi sono responsabili della guerra in Ucraina o lo sono Putin e i suoi uomini? Quindi stigmatizziamo l’intera nazione russa per la follia di Putin. Probabilmente solo noi polacchi, che abbiamo succhiato l’odio con il latte materno, possiamo interpretare le cose in questo modo».
«Nella Tvp non c’è posto per le parole che attaccano l’interesse nazionale polacco. Tvp non si identifica con dichiarazioni che fanno parte della propaganda russa» ha incredibilmente sostenuto la direzione del canale televisivo, annunciando il benservito.
Nel frattempo rimane rinchiuso in un carcere di massima sicurezza polacco il giornalista spagnolo Pablo Gonzalez arrestato nel febbraio del 2022 dai servizi segreti di Varsavia mentre si trovava al confine con l’Ucraina per documentare l’arrivo dei profughi in fuga dalla guerra per conto di alcuni quotidiani e di un’emittente televisiva spagnola. Nato a Mosca nel 1982 da figli di due antifascisti baschi che ripararono in Unione Sovietica dopo la vittoria dei franchisti, Gonzalez è accusato dalle autorità polacche di essere una spia russa. Un gran numero di giuristi, giornalisti ed intellettuali iberici ha chiesto la sua liberazione vista anche l’assoluta mancanza di prove a sostegno dell’accusa, ma finora Varsavia ha risposto picche, confortata dallo scarso interesse per la vicenda dimostrato dal governo spagnolo. – Pagine Esteri

5316509* Marco Santopadre, giornalista e scrittore, già direttore di Radio Città Aperta di Roma, è un analista dell’area del Mediterraneo, del Medio oriente e dell’Africa. Scrive, tra le altre cose, di Spagna e movimenti di liberazione nazionale. Collabora con il Manifesto, Catarsi e Berria.

L'articolo La Polonia, nuova superpotenza militare proviene da Pagine Esteri.



La legislazione anti-doxxing ad Hong Kong ha dato i suoi frutti. Nel presentare il report sull’attività svolta nel 2022, il Privacy Commissioner for Personal Data (PCPD) Ada Chung ha dichiarato di aver emesso 1.500 avvisi a 26 piattaforme di social media per rimuovere migliaia di messaggi che comportavano il doxxing (la pubblicazione di informazioni personali...

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La moralità dell'anonimato


Nell’era dell’informazione privacy e anonimato sono presupposti necessari per vivere un’esistenza morale e libera.

Anonymity is dead, long live the anonimous!1

L’anonimato è morto, la privacy è morta. E anche noi, nel lungo periodo, siamo tutti morti. Se siete d’accordo, oggi inizierei così per parlare di un tema che stranamente non avevo ancora trattato su queste pagine: la moralità dell’anonimato.

Essere anonimi è moralmente giusto o sbagliato? C’entra qualcosa la moralità con una condizione personale come l’anonimato, che oltre ad essere effimera, sembra non avere evidenti effetti al di fuori della nostra sfera personale?

Per rispondere dobbiamo prima fare due passi indietro: il primo ci servirà a capire cos’è l’anonimato, in che modo differisce dal concetto di privacy, e quali sono le intersezioni tra i due. Il secondo passo indietro ci serve per dare una forma al concetto di moralità: che significa moralità e secondo quali criteri possiamo decidere cosa è moralmente giusto o sbagliato?

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I fili invisibili che ci portiamo dietro


Anonimato e privacy non sono la stessa cosa, anche se molto spesso vengono confusi. Io stesso ogni tanto faccio confusione, vuoi per abitudine o per semplicità di comunicazione.

L’anonimato ha a che fare con la nostra identità e con le informazioni che possono essere collegate alla nostra identità. Per meglio definire l’anonimato, che è assenza di qualcosa, dobbiamo però introdurre un altro concetto: il dato personale.

Le informazioni sono tutte uguali. Alcune però, sono più uguali delle altre e si portano dietro dei collegamenti nascosti; dei fili invisibili che se seguiti con cura portano inevitabilmente a una persona fisica.

5314627

Queste informazioni si chiamano dati personali. Per dirla in gergo tecnico, è un dato personale ogni informazione riferibile a una persona fisica identificata o identificabile.

Così entra in gioco un altro elemento, quello dell’identità. È solo attraverso il collegamento con l’identità che possiamo qualificare delle informazioni che altrimenti non sarebbero altro che bit uguali tra loro.

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Nuove rivelazioni sui negoziati in corso sul regolamento Chatcontrol


NUOVE RIVELAZIONI SUI NEGOZIATI IN CORSO SUL REGOLAMENTO CHATCONTROL

@Etica Digitale

Il blog tedesco Netzpolitik ha rivelato dettagli sulle negoziazioni in corso tra gli stati europei sul regolamento #Chatcontrol, che prevede la scansione delle chat private alla ricerca di materiale pedopornografico. Le rivelazioni provengono da un rapporto classificato del governo tedesco, pubblicato interamente da Netzpolitik. Il tema più dibattuto tra gli stati è quello dell'impatto che la direttiva può avere sulla crittografia end-to-end e quindi sulla riservatezza delle comunicazioni private. Nella riunione del Consiglio dell'Unione Europea sono emerse posizioni differenti. Germania, Francia, Paesi Bassi, Austria e Lettonia si sono schierate in difesa della crittografia, mentre Croazia, Grecia, la Lituania, Spagna, e Cipro hanno espresso posizioni volte a dare priorità assoluta alla protezione dei minori, anche qualora ciò determini un indebolimento della crittografia. Gli altri paesi non si sono ancora schierati in maniera decisa rispetto a questo tema. Tra questi figura anche l'Italia che sostiene “una soluzione tecnologicamente neutrale”, affermando sperò che “la crittografia e la protezione della privacy non dovrebbero portare a una violazione dei diritti delle vittime”. La commissione europea continua a sostenere che non si debbano concedere eccezioni ai servizi che usano la crittografia end-to-end per non indebolire l'efficacia della direttiva. Forti critiche all'impianto della direttiva sono arrivate dall'European Data Protection Board che ha definito l'impianto della stessa come un'incredibile invasione della privacy.

#chatcontrol #privacy

Link all'articolo di Netzpolitik


Nuove rivelazioni sui negoziati in corso sul regolamento Chatcontrol


Il blog tedesco Netzpolitik ha rivelato dettagli sulle negoziazioni in corso tra gli stati europei sul regolamento Chatcontrol, che prevede la scansione delle chat private alla ricerca di materiale pedopornografico. Le rivelazioni provengono da un rapporto classificato del governo tedesco, pubblicato interamente da Netzpolitik. Il tema più dibattuto tra gli stati è quello dell'impatto che il regolamento può avere sulla crittografia end-to-end e quindi sulla riservatezza delle comunicazioni private. Nella riunione del Consiglio dell'Unione Europea sono emerse posizioni differenti. Germania, Francia, Paesi Bassi, Austria e Lettonia si sono schierate in difesa della crittografia, mentre Croazia, Grecia, la Lituania, Spagna, e Cipro hanno espresso posizioni volte a dare priorità assoluta alla protezione dei minori, anche qualora ciò determini un indebolimento della crittografia. Gli altri paesi non si sono ancora schierati in maniera decisa rispetto a questo tema. Tra questi figura anche l'Italia che sostiene “una soluzione tecnologicamente neutrale”, affermando sperò che “la crittografia e la protezione della privacy non dovrebbero portare a una violazione dei diritti delle vittime”. La commissione europea continua a sostenere che non si debbano concedere eccezioni ai servizi che usano la crittografia end-to-end per non indebolire l'efficacia del regolamento. Forti critiche all'impianto della direttiva sono arrivate dall'European Data Protection Board che ha definito l'impianto dello stesso come un'incredibile invasione della privacy.

#chatcontrol #privacy


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@Friendica Support Hi everyone. I noticed that if I insert the ActivityPub link of any Friendica post, any WhatsApp, Telegram, Matrix, Twitter, Facebook, LinkedIn message, no preview is generated.

From what I understand It's a problem related to not handling #OpenGraph, but I'm not sure.

I would like to understand if it is a deliberate choice by the developers, and if so I would be interested in understanding the reason for this choice.

If, on the other hand, this is not the case, I would be curious to know if it is not possible to modify some parameters within the settings of the Friendica server. And, if so, what impact this change might have on how well the software runs.

Friendica Support reshared this.

in reply to Signor Amministratore ⁂

@Signor Amministratore Can you please provide an example of a link that doesn't generate a preview when you paste it in a top-level post?

Friendica Support reshared this.

in reply to Signor Amministratore ⁂

@Signor Amministratore Aaaah, I understand now, there's no preview generated for Friendica posts in 3rd party platforms. You're right, we probably aren't handling OpenGraph at all for conversations.

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in reply to Hypolite Petovan

@Hypolite Petovan Okay. I understand.
Is there a way to independently handle the problem at the style sheet level? Or is it necessary to develop this feature on the two remaining themes in Friendica? Or worse, working on Friendica code?

Unfortunately this lack determines a disadvantage in "promotional" terms. Friendica posts have the graphic capacity of any blog, but by quoting them you only get a link (very long... 😅) without a preview...

Friendica Support reshared this.

in reply to Signor Amministratore ⁂

@Signor Amministratore OpenGraph is handled at the HTML level, which means templates have to be changed, and the PHP code too, probably.

Friendica Support reshared this.

in reply to Hypolite Petovan

@Signor Amministratore A year later, I've looked into it because of another report of the the same behavior, and we have correctly implementing OpenGraph but the Blockbot addon is blocking third-party requests to create the link previews.


Does anyone know what #Friendica is missing to correctly generate post link previews on remote systems? #OpenGraph #Interoperability

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in reply to Hypolite Petovan

@Hypolite Petovan Thank you very much for letting me know. In reality, I am already aware of this great news, as... I am the user who produced the issue on github! 😅

Friendica Support reshared this.


in reply to Informa Pirata

> Censis, Facebook secondo canale di informazione per italiani. YouTube supera radio quotidiani online, spopola tra giovani

E non mi pare una cosa buona. 😿

Ciao!
C.



Fisc(hi)o


Il senso dell’incontro a Palazzo Chigi è chiaro e positivo: il governo non può arretrare, rispetto al programma esposto in tema di giustizia, al tempo stesso non può avanzare rompendo a testate il fuoco di sbarramento acceso con polemiche strumentali e in

Il senso dell’incontro a Palazzo Chigi è chiaro e positivo: il governo non può arretrare, rispetto al programma esposto in tema di giustizia, al tempo stesso non può avanzare rompendo a testate il fuoco di sbarramento acceso con polemiche strumentali e infondate, provando a mettere in bocca al ministro Nordio cose che non ha mai detto, quindi ribadisce gli obiettivi e il punto più rilevante e decisivo, ovvero la separazione delle carriere oltre quanto già disposto dalla riforma Cartabia, ma abbassa i toni, allunga i tempi e apre al dialogo. L’ultima cosa è anche una perfida ironia, visto che il ministro è magistrato da una vita e lo rimarrà intellettualmente a vita, diciamo che farà un giro d’ascolti fra le correnti, mentre il problema politico vero resta in capo al Partito democratico: se non coglie l’occasione di dare una mano a un’impostazione civile e responsabile, non prona alle corporazioni, si ritroverà in futuro, magari con diverso nome, prigioniero di quel che ancora lo tiene in vincoli.

Sul fronte della scuola, dopo avere iscritto il “merito” nella carta intestata ministeriale, si trovano a dover guadare il fiume del rinnovo contrattuale. Se riusciranno a metterci meccanismi e somme premiali per gli insegnanti meritevoli, avranno fatto un ottimo lavoro. Altrimenti potranno contare sul trofeo impagliato che ogni ministro mette sulla propria scrivania: la modifica degli esami di maturità. La più inutile, frequentata e velocemente abbandonata riforma della storia, dal 1861 ad oggi. Avere approcciato il tema con l’evocazione delle gabbie salariali, quando le scuole meno qualificate si trovano dove il costo della vita è inferiore, è stato gesto di generosa imperizia. Circa i rapporti internazionali, la solidarietà atlantica e la collocazione europea, conti e vincoli compresi, siamo nel campo della continuità. Come è bene che sia. Certo che si possono introdurre novità (magari si riuscisse a stabilizzare la Libia, il che comporta sintonia con Francia e Ue, ma anche sponda Usa per gli altri Paesi coinvolti nell’area), ma non modificherebbero la sana continuità. Chi temeva o sperava in sfracelli, ne prenderà
atto.

Il tema su cui il governo può far risuonare un fischio di scossa e novità, conciliando la propria identità politica con l’assennatezza delle proposte, il tema su cui, al tempo stesso, potrebbe sentirsi un fischio di fine dei giochi preliminari, è quello fiscale. Sì, è vero che il punto di partenza è la “flat tax”, che non ci sarà, ma qui le riforme di oggi possono camuffarsi con la propaganda di ieri, lavorando sulla “flat” per questo o quel gruppo di contribuenti, per un determinato reddito o un altro, che è l’opposto della “flat”, in realtà è un regime forfettario come altri già ne sono stati varati, ma il travestimento può riuscire. Più interessante quel che viene presentato come uno stadio di passaggio, ma è in sé già sostanza, ovvero la riduzione del numero delle aliquote.

In qualsiasi modo lo si realizzi comporta che, nelle aree a cavallo dell’aliquota cancellata, ragionevolmente le intermedie, qualcuno pagherà di meno e qualcuno dovrà pagare di più. Non meno interessante vedere come ci si muoverà sul lato delle detrazioni e degli adempimenti, in modo che il fisco non sia oltraggioso oltre che esoso. Il governo non potrà permettersi sgravi che generino un calo delle entrate e quando tocca riformare “a gettito costante” è evidente che non si susciterà la felicità, ma sarebbe già molto la ragionevolezza e la serenità. Il governo prenda il tempo necessario. Non senta la fregola dell’intervista e dell’annuncio. Non consenta la gara di visibilità fra colleghi ministri e fra alleati di maggioranza. Energia sprecata che consuma le batterie. Fin qui è stata proprio la moderazione nell’esibizione a farne il tema più promettente e affidabile. Cancellare un’aliquota non è la rivoluzione, ma è un apprezzabile gesto verso quei (troppo pochi) italiani che pagano il conto per tutti.

La Ragione

L'articolo Fisc(hi)o proviene da Fondazione Luigi Einaudi.



Bonus edilizi, di gratuito non c’è nulla


Si fa presto a dire “gratuitamente”. Giorgia Meloni aveva segnalato, a chi come Giuseppe Conte ne aveva fatto uno slogan politico-elettorale riguardo alla ristrutturazione delle case pagata integralmente dallo stato, che il concetto teneva in scarsa consi

Si fa presto a dire “gratuitamente”. Giorgia Meloni aveva segnalato, a chi come Giuseppe Conte ne aveva fatto uno slogan politico-elettorale riguardo alla ristrutturazione delle case pagata integralmente dallo stato, che il concetto teneva in scarsa considerazione i contribuenti che effettivamente ne avrebbero sopportato l’onere. A dare sostanza alle parole della presidente del Consiglio sono arrivati, nei giorni scorsi, i dati sui crediti d’imposta diffusi dal direttore generale delle Finanze del Mef, Giovanni Spalletta, pochi giorni fa in audizione al Senato: i bonus edilizi sono costati, al momento, 110 miliardi di euro. Una cifra abnorme, pari a circa 6 punti di pil. Secondo i dati forniti da Spalletta la spesa complessiva è composta da 61,2 miliardi per il Superbonus, 19 miliardi per il Bonus facciate e 29,9 miliardi per gli altri bonus edilizi.

Ma ancora più sorprendente del totale è lo scostamento della spesa rispetto alle previsioni, pari a37,8 miliardi. Che è attribuibile al Superbonus (con una spesa di 24,7 miliardi in più dei 36,5previsti) e al Bonus facciate (con una spesa di 19 miliardi rispetto ai 5,9 previsti), mentre gli altri bonus sono in linea con lo stanziamento (29,9 miliardi). Questo buco di bilancio, sempre secondo la relazione del Mef, determinerà per gli anni 2023-2026 “un peggioramento della previsione delle imposte dirette per importi compresi tra gli 8 e i 10 miliardi di euro in ciascun anno”. Circa mezzopunto di pil all’anno.

Ma in realtà il buco di bilancio è molto più ampio. Perché, come ammette lo stesso direttore generale del dipartimento delle Finanze, questi dati sono riferiti alle previsioni tendenziali incluse nella Nadef di novembre e “la stima degli oneri per il Superbonus 110 per cento potrebbe subire un ulteriore incremento, considerando gli ultimi dati pubblicati da Enea a tutto dicembre 2022”. E in effetti, considerando i dati più recenti disponibili di Enea, quelli fino al 31 gennaio 2023, la spesa complessiva per il Superbonus è lievitata a 71,7 miliardi. Quindi la spesa complessiva per i bonus edilizi supera i 120 miliardi. Per avere una pietra di paragone, basta considerare che l’importo totale del Pnrr è pari a 190 miliardi, ma su un arco temporale molto più lungo. Oppure, che la spesa complessiva dell’Italia per affrontare la più grave crisi energetica degli ultimi 50 anni è stata paria circa 60 miliardi. La metà.

Il confronto è poi impietoso se si fa un paragone con gli altri crediti d’imposta, ad esempio quelli per accompagnare la transizione digitale e per incentivare gli investimenti in ricerca e sviluppo. Ebbene, la stima del Mef per le agevolazioni fiscali “Transizione4.0” e per R&D è inferiore a 15 miliardi complessivi. Circa dieci volte meno dei bonus edilizi, nonostante l’Italia abbia una spesa per ricerca e sviluppo che è
nettamente inferiore alla media europea. Oltre a essere costati uno sproposito, i bonus edilizi ideati nel 2020 sono stati il veicolo di “ampi fenomeni di abuso” per effetto della revisione della normativa sulla cessione dei crediti, rivista dal governo Conte e dal ministro dell’Economia Roberto Gualtieri, che ha reso la vendita “pressoché illimitata senza prevedere specifici presìdi di garanzia”. Ciò vuol dire che questo nuovo mercato dei crediti, scrive ora il Mef, ha prodotto “fenomeni di frode di entità particolarmente rilevante… che hanno portato all’emersione di crediti, rivelatisi inesistenti, per oltre 4 miliardi di euro”. Si tratta, insomma, di quella falla per l’Erario che ha costretto Mario Draghi a metterci una pezza con una stretta sulle cessioni e che, un anno fa, portò il solitamente misurato ministro dell’Economia Daniele Franco a parlare delle “truffe più grandi mai viste nella storia della Repubblica”.

Accanto a queste considerazioni contabili, la sinistra, ora che il Pd sta facendo un congresso e sta rivedendo in maniera critica il suo passato al governo, dovrebbe aprire una riflessione sugli effetti redistributivi. Perché, come ha detto il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti riferendosi al Superbonus contiano e al Bonus facciate franceschiniano, “mai nella storia una misura che costasse così tanto è andata a beneficio di così pochi”. A dispetto di tanta retorica sulla diseguaglianza e sulla progressività, il governo rossogiallo ha approvato bonus tra i più costosi e regressivi: lo stato ha rifatto le case ai ricchi con i soldi dei poveri. Gratuitamente per i proprietari, 120 miliardi per i contribuenti.

Il Foglio

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Un barlume di speranza per la Corea del Nord nel 2023


Per il popolo della Corea del Nord, il 2022 è stato un altro anno difficile. Ma all’alba del 2023, barlumi di speranza stanno emergendo mentre il commercio estero del paese con Cina e Russia inizia a riprendere. La sicurezza alimentare rimane la più grande sfida per il popolo nordcoreano. Il Programma alimentare mondiale delle Nazioni […]

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Quali lezioni l’America dovrebbe imparare dall’Afghanistan e dall’Ucraina?


Se la recente politica estera degli Stati Uniti avesse un accompagnamento musicale, sarebbe “Nuova persona, stessi vecchi errori“. Dal 2001, gli Stati Uniti, mentre inseguono i terroristi e promuovono il “programma della libertà” , abitualmente non riescono a negoziare prima di prendere le armi, quindi hanno sprecato molti soldi e vite in progetti falliti. Sulla […]

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L’America può imparare lezioni dall’Afghanistan e dall’Ucraina?


Se la recente politica estera degli Stati Uniti avesse un accompagnamento musicale, sarebbe “Nuova persona, stessi vecchi errori“. Dal 2001, gli Stati Uniti, mentre inseguono i terroristi e promuovono il “programma della libertà” , abitualmente non riescono a negoziare prima di prendere le armi, quindi hanno sprecato molti soldi e vite in progetti falliti. Sulla […]

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Tutte le dotte chiacchiere del ministro Nordio erano fuffa. Alla fine il ministro sul caso Cospito non fa che confermare il becero populismo penale della destra

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Come candidata presidente alla Regione Lazio, ho incontrato, insieme a Giovanni Russo Spena, la “Rete dei numeri pari”. Una rete che mette insieme 700 realt


Si sta tenendo in queste ore una riunione straordinaria del Consiglio Europeo con all'ordine del giorno la richiesta di poter utilizzare fondi UE, quindi di ogn


Scuola di Liberalismo 2023 – Messina: lezione di Giuseppe Giordano sul tema “la società aperta e i suoi nemici”


Penultimo appuntamento della XII edizione della Scuola di Liberalismo di Messina, promossa dalla Fondazione Luigi Einaudi ed organizzata in collaborazione con l’Università degli Studi di Messina e con la Fondazione Bonino-Pulejo. Il corso, che tratta pri

Penultimo appuntamento della XII edizione della Scuola di Liberalismo di Messina, promossa dalla Fondazione Luigi Einaudi ed organizzata in collaborazione con l’Università degli Studi di Messina e con la Fondazione Bonino-Pulejo. Il corso, che tratta principalmente delle opere degli autori più rappresentativi del pensiero liberale, si articola in 14 lezioni, di cui 3 in presenza e 11 erogate in modalità telematica.

La tredicesima lezione si svolgerà giovedì 9 febbraio, dalle ore 17 alle ore 18.30, sulla piattaforma Zoom, e sarà tenuta dal prof. Giuseppe Giordano (Ordinario di Storia della Filosofia presso l’Università di Messina, nonché Direttore del Dipartimento di Civiltà Antiche e Moderne – DICAM presso lo stesso Ateneo), che relazionerà sull’opera “La società aperta e i suoi nemici” di Karl Popper, influente saggio di filosofia politica incentrato sul concetto di “società aperta” e sulla critica allo storicismo e al determinismo.

In tale occasione verranno altresì comunicate le tracce delle tesine, la cui redazione (riservata a chi abbia un’età inferiore ai 32 anni e abbia frequentato almeno i 2/3 delle lezioni del corso) dà diritto a concorrere alla aggiudicazione delle borse di studio messe in palio. La consegna degli elaborati da parte dei corsisti interessati è fissata alle ore 12.00 del 16 febbraio.

La partecipazione all’incontro è valida ai fini del riconoscimento di crediti formativi per gli avvocati iscritti all’Ordine degli Avvocati di Messina, nonché per gli studenti dell’Università di Messina.

Pippo Rao Direttore Generale Scuola di Liberalismo di Messina

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Le dinamiche della diplomazia pubblica: il caso dell’Azerbaigian


Il mondo in cui la diplomazia pubblica era considerata una delle reliquie del dialogo diplomatico sta rapidamente scomparendo. Allo stesso tempo, è facilmente escluso l’universo in cui la diplomazia pubblica era considerata come un tentativo di manipolare l’opinione pubblica straniera. Per comprendere correttamente la nuova diplomazia pubblica, non è utile aderire alle immagini del passato […]

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Come coinvolgere il settore privato nella ricostruzione dell’Ucraina


Non è ‘carità’, ma un investimento per un futuro di pace e libertà. È così che il Presidente Volodymyr Zelensky ha descritto il sostegno degli Stati Uniti all’Ucraina durante il suo potente discorso a una sessione congiunta del Congresso a dicembre. Nove giorni prima, in una dichiarazione seguita al loro incontro virtuale con Zelensky, i […]

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Cyber sicurezza: la grande protezione del XXI secolo


Mezzo mondo se l’è vista proprio brutta: un tipo di software dannoso (malware) ha bloccato i dati di centinaia di migliaia di computer tenendone sotto scacco gli utenti a cui è stato chiesto un riscatto. Un’estorsione che ha il valore di pizzo o di sequestro di oggetti. Ma quello della settimana scorsa non è stato […]

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Lula reintroduce il Brasile sulla scena mondiale


Venerdì, il Presidente brasiliano Luiz Inácio Lula da Silva visiterà la Casa Bianca per un incontro con il presidente Joe Biden. Questo sarà il primo viaggio di Lula nell’emisfero settentrionale da quando è entrato in carica per un terzo mandato senza precedenti il ​​1° gennaio. Significativamente, il suo primo viaggio internazionale è stato nella vicina […]

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Futuri mancati: i costi della guerra per procura in Ucraina


Un anno fa, ho caratterizzato la guerra per procura guidata da USA/NATO in Ucraina come ‘la guerra ingiustificata’. Ho predetto che questa era una “guerra evitabile che penalizzerà severamente l’Ucraina, la Russia, gli Stati Uniti e la NATO, l’Europa, i paesi in via di sviluppo e l’economia globale”. In contrasto con coloro che si aspettavano […]

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Stabili occupati e spazi autogestiti? Ecco i magnifici risultati della loro legalità.


#Firenze, via del #Guarlone, periferia est della città.
Un appezzamento con uno stabile, un tempo in uso a una comunità di recupero, poi lasciato a se stesso e occupato infine da alcuni attivisti di quartiere.

1. Si sgomberano i cialtroni dell'occupazione.
2. Si affida legalissimamente l'appezzamento ad alcuni pulitini, che ci fanno le stesse cose ma pulitine. Gli si danno anche quattro spiccioli.
3. Li si sotterra di multe, anche queste legalissime, alla prima occasione.
4. I pulitini tolgono il disturbo lasciando il deserto.
5. Finalmente si può fare uno #StudentHotel #vegano, con annessa #spa #genderfluid.

Praticamente una prassi abituale. Non occorre nemmeno inventarsi varianti o abbellimenti.
La quintessenza della "libertà occidentale" -quella da difendere con le armi e da esportare, per intenderci- all'applicazione pratica nella vita quotidiana.



Biden accelera sulla Nato asiatica e accusa la Cina


Nel discorso sullo "stato dell'Unione" Biden ha tuonato contro la Cina. Washington si rivolge sempre più anche all’Asia-Pacifico, dove la rivalità strategica tra Pechino e Washington potrebbe scatenare prima o poi una guerra tra le prime due economie del

di Michelangelo Cocco*
Pagine Esteri, 9 febbraio 2023 – I pochi minuti del suo “Discorso sullo stato dell’unione” che ieri Joe Biden ha riservato alla politica estera sono quasi tutti indirizzati all’avversario con il quale gli Stati Uniti sono ormai entrati in rotta di collisione, quella che l’ultima Strategia di sicurezza nazionale ha definito «la sfida geopolitica più significativa per l’America»: la Repubblica popolare cinese.

«Non mi scuserò per il fatto che stiamo investendo per rendere forte l’America – ha affermato il presidente degli Stati Uniti -, nell’innovazione americana, nelle industrie che definiranno il futuro e che il governo cinese intende dominare». Con un evidente riferimento alla vicenda del pallone aerostatico cinese, Biden ha ammonito Pechino: «Non commettete errori: come abbiamo chiarito la scorsa settimana, se la Cina minaccia la nostra sovranità, agiremo per proteggere il nostro Paese. E lo abbiamo fatto!».

Biden ha rappresentato ancora una volta quella con la Cina una “competizione” tra democrazie e autoritarismi, sostenendo che – grazie ai provvedimenti della sua amministrazione – le prime, guidate da Washington, si sono rafforzate rispetto alle seconde. La narrazione di Washington, ampiamente condivisa dai repubblicani, raffigura uno scontro tra il bene e il male, come ai tempi della Guerra fredda. Biden ha insistito sulla necessità di «modernizzare il nostro esercito per difendere la stabilità e impedire aggressioni» e di «lavorare assieme ai nostri alleati per proteggere le nostre tecnologie avanzate in modo che non possano essere utilizzate contro di noi».

Il discorso annuale dell’inquilino della Casa bianca è stato preceduto di qualche giorno dalle ultime mosse della Nato, la cui attenzione – mentre in Ucraina è in corso un’escalation bellica, con l’impiego di armi più letali da una parte e dall’altra – si rivolge sempre più anche all’Asia-Pacifico, dove la rivalità strategica tra Pechino e Washington potrebbe scatenare prima o poi una guerra tra le prime due economie del pianeta, entrambe potenze nucleari.

L’Alleanza atlantica – che con il conflitto tra Mosca e Kiev ha riguadagnato protagonismo politico e militare (si pensi, ad esempio, al prossimo ingresso di Svezia e Finlandia e alla candidatura dell’Ucraina, all’incremento delle spese per la difesa negli stati membri e all’aumento previsto, da 40.000 a 300.000, delle sue truppe pronte a combattere) sta spingendo per un coordinamento più stretto con i paesi partner dell’Asia orientale, con l’obiettivo di contenere la Repubblica popolare nell’area che Washington vuole evitare che divenga il “cortile di casa” di Pechino. È in questo scenario che s’inquadra la missione di Jens Stoltenberg in Corea del sud e Giappone (29 gennaio-1° febbraio).

Nel discorso pronunciato il 1° febbraio alla Keio University di Tokyo il segretario generale della Nato ha sostenuto che «l’idea che la Cina – che ha definito una “potenza sempre più autoritaria” – non abbia importanza per la Nato non funziona» e che «siamo prontissimi a rafforzare ulteriormente ed espandere la partnership con questa regione». Il giorno prima, incontrando il premier Fumio Kishida, aveva accusato Pechino di «prevaricare i suoi vicini e minacciare Taiwan», sottolineando che «sta guardando da vicino la guerra in Ucraina, imparando lezioni che potrebbero influenzare le sue decisioni future. Ciò che sta accadendo in Europa oggi potrebbe succedere in Asia orientale domani». A Tokyo, come nei giorni precedenti a Seul, l’ex premier laburista norvegese ha usato toni durissimi.

Siamo già entrati nella fase della preparazione di una nuova campagna bellica? La Nbc ha rivelato il memo con il quale, il 27 gennaio scorso, il generale Mike Minihan, a capo dello Air Mobility Command (circa 50 mila uomini e 500 aerei) ha previsto una guerra tra Stati Uniti e Cina nel 2025, innescata da uno scontro nel Pacifico, su Taiwan.

Pechino osserva con preoccupazione questa escalation retorica: «La Nato continua a oltrepassare le sue zone e aree di difesa tradizionali ed esagera la minaccia della Cina», ha dichiarato la portavoce del ministero degli Esteri, Mao Ning.

Il decennale “Strategic Concept” approvato dal vertice Nato di Madrid (29-30 giugno 2022) ha identificato la Cina come «sfida sistemica alla sicurezza euro-atlantica». Stoltenberg ha elogiato i piani recentemente varati d Tokyo che spalancano le porte al raddoppio delle spese per la difesa, perché «la deterrenza (la corsa agli armamenti, ndr) è un modo di difendere la pace e prevenire le aggressioni». Il premier Fumio Kishida ha annunciato «il rafforzamento dell’attuale cooperazione Giappone-Nato a nuovi livelli che riflettano le sfide di una nuova era», attraverso l’apertura quest’anno di una rappresentanza diplomatica presso il quartier generale della Nato a Bruxelles e la partecipazione di funzionari nipponici ai vertici del Consiglio nordatlantico e dei ministri della difesa della Nato.

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Il Giappone (dove sono di stanza circa 50.000 soldati Usa) ha un ruolo fondamentale nel dispositivo militare statunitense nel Pacifico. Assieme a Taiwan (sempre più massicciamente armata da Washington, e dove – come confermato dalla presidente Tsai Ing-wen – sono presenti da anni istruttori militari Usa) e alle Filippine, che il 3 febbraio hanno concesso l’utilizzo agli Stati Uniti di altre quattro basi militari per monitorare Taiwan e il Mar cinese meridionale (portandone a nove il numero complessivo), fanno parte della “Prima catena di isole” il cui controllo nel 1951 (durante la Guerra di Corea) fu individuato dal diplomatico e futuro segretario di stato repubblicano John Foster Dulles come essenziale per “contenere” l’Unione Sovietica e la Cina. E negli ultimi giorni i media giapponesi hanno rilanciato indiscrezioni su un possibile accordo Tokyo-Washington per il dispiegamento di missili balistici Usa a medio raggio nell’isola giapponese di Kyushu, vicino a Taiwan.

«Non c’è alcuna giustificazione per le minacce della Cina contro Taiwan», ha sostenuto Stoltenberg dopo lo scoop della Nbc sul documento del generale Minihan. Sull’isola che Xi Jinping ha promesso di “riunificare” alla Rpc intende recarsi in primavera Kevin McCarthy, replicando il viaggio (la “provocazione”, secondo Pechino) del 2 agosto scorso della sua predecessora, Nancy Pelosi, che indusse l’Esercito popolare di liberazione a inscenare le più grandi esercitazioni militari mai condotte intorno all’Isola. Secondo i media Usa, il Pentagono si sta già preparando ad affrontare le ripercussioni della mossa del nuovo speaker della Camera.

Stoltenberg ha sottolineato che «noi vediamo come la Cina e la Russia si muovono sempre più assieme» e che «siamo sicuri che con la presidenza del G7 il Giappone continuerà a concentrarsi sull’importanza delle sanzioni economiche contro la Russia». Il giorno prima a Seul (dove si trovava anche il ministro della difesa Usa Lloyd Austin) aveva invitato il governo a fornire sostegno militare diretto all’Ucraina, superando la politica sudcoreana di non vendere armi ai paesi in guerra. Secondo i media Usa, a Kiev potrebbero arrivare – venendo prima acquistati da un paese terzo – i tank “K2 Panther” e centinaia di migliaia di munizioni d’artiglieria prodotte in Corea del sud. Sotto la supervisione dello U.S. Indo-Pacific Command, gli USA hanno circa 25 mila militari in Corea del sud.

Secondo Cho Han-bum, ricercatore del sudcoreano Korea Institute for National Unification, la combinazione della cooperazione trilaterale Stati Uniti-Corea del sud-Giappone con l’accordo di sicurezza Aukus (Australia, Regno Uniti, Stati Uniti) crea di fatto una Nato asiatica che mira a contrastare la Cina.

Il pallone aerostatico cinese che il Pentagono ha seguito dal 1° febbraio scorso e che per giorni ha sorvolato lo spazio aereo statunitense – passando anche sul Montana, dove sono custoditi i missili balistici intercontinentali “Minuteman III” – è stato avvistato poco dopo l’ufficializzazione di queste ultime “grandi manovre” di contenimento della Cina, che non sono soltanto di carattere militare.

Negli ultimi giorni gli Stati Uniti hanno convinto i governi di Giappone e Olanda – sedi dei colossi Tokyo Electron e Asml – a imporre restrizioni all’esportazione in Cina di macchinari per la fabbricazione di microchip, i cervelli dell’industria e della difesa moderne. Il Dipartimento del Commercio ha spiegato che «i controlli multilaterali sono più efficaci dei controlli unilaterali, e l’impegno straniero su questi controlli è una priorità». Lo stesso ministero ha esteso il divieto di export Usa a Huawei a ulteriori tecnologie (meno avanzate di quelle già proibite): il colosso cinese sta accusando un colpo dopo l’altro.

È in questo contesto più ampio che va inquadrato l’annullamento della visita a Pechino (prevista per domenica scorsa) del segretario di stato Usa, Antony Blinken, rispetto al quale l’incidente di quello che per il ministero della difesa Usa è “sicuramente” un pallone-spia rappresenta solo la goccia che ha fatto traboccare il vaso. Una controversia che non è ancora chiaro quanto Washington sia tentata di trasformare in un caso internazionale, provando a mettere sotto accusa Pechino (dal Pentagono sono filtrate notizie secondo cui i “palloni-spia” cinesi spierebbero tutti e cinque i continenti).

Come che sia, la vicenda del pallone aerostatico cinese è anzitutto la cartina al tornasole che rivela che, dall’insediamento dell’amministrazione Biden, il dialogo tra Pechino e Washington si è limitato soprattutto alla retorica, all’enunciazione – da parte sia di Pechino sia di Washington – di buoni propositi, a fini mediatico-propagandistici. La realtà invece parla di mosse sul terreno e di alleanze che preparano uno scontro, di un “dialogo” prigioniero di una rivalità strategica che rischia di andare fuori controllo a ogni errore o provocazione, di una parte o dell’altra. – Pagine Esteri

5299692*Giornalista professionista, China analyst, scrivo per il quotidiano Domani. Ho pubblicato “Xi, Xi, Xi – Il XX Congresso del Partito comunista e la Cina nel mondo post-pandemia (Carocci, 2022), e “Una Cina perfetta – La Nuova era del Pcc tra ideologia e controllo sociale (Carocci, 2020). Habitué della Repubblica popolare dal 2007, ho vissuto a Pechino nel 2011-2012, corrispondente per il quotidiano il manifesto nello scoppiettante e nebbioso crepuscolo della tecnocrazia di Hu Jintao & Co. Sono rientrato in Cina nel gennaio 2018, anno I della Nuova era di Xi Jinping, quella in cui il Partito-Stato regalerà a tutti “una vita migliore” e costruirà “un grande paese socialista moderno”. Racconto storie, raccolgo dati e cito fatti evitando di proiettare le mie ansie e le mie (in)certezze su un popolo straordinario che se ne farebbe un baffo.

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Curiosity ha trovato altri indizi sorprendenti sul passato di Marte | Passione Astronomia

"Analizzando strutture rocciose increspate Curiosity ha confermato l’esistenza di laghi in una regione dell’antico Marte che gli scienziati si aspettavano fosse più secca."

passioneastronomia.it/curiosit…



e-ID: Pirate successes for privacy


Today, the lead Committee on Industry, Research and Energy (ITRE) adopted a draft mandate on the European digital identity (e-ID). The legislative proposal will allow EU citizens to prove their identity …

Today, the lead Committee on Industry, Research and Energy (ITRE) adopted a draft mandate on the European digital identity (e-ID). The legislative proposal will allow EU citizens to prove their identity via mobile app and facilitate everyday situations such as dealing with public authorities or identification at airports.

Pirate Party MEPs made sure that the source code used for providing European Digital Identity Wallets will be open source, that non-users of the voluntary eID scheme must not suffer disadvantages and will be able to use alternative means of identification or authentication. They have not been able to prevent the mandatory acceptance of government browser certificates but there will be exceptions. Pirate MEPs have also been able to prevent more serious invasions of our privacy such as compulsory unique identification number throughout the EU. They keep pushing for more safeguards.

Pirate Party MEP Mikuláš Peksa, Greens/EFA shadow rapporteur in the ITRE Committee, comments:

“The European digital identity is cornerstone for modernization and digitization of the European economy and public services. Unfortunately, the European Commission had put a lot of problematic things in the proposal that inflated it with utter nonsense. Together with others, we Pirates have succeeded in removing most of these problems, such as a compulsory unique identification number. This is a big win for European citizens. We are sending a smart and safer instrument to the next negotiation. Thanks to the European digital identity citizens will not have to show a plastic card with all their personal details anymore. The European Digital Wallet will allow them to prove for example their legal age without disclosing other personal data, when buying alcohol or renting a car.”

Pirate Party MEP Patrick Breyer, who is negotiating the law in the Committee on Civil Liberties (LIBE) negotiates, comments:

“We need to counter the risk that as the new eID is increasingly required, the anonymity online that protects us from profiling and identity theft is gradually eroded. Pirates therefore push via the Civil Liberties Committee for the addition of a provision ensuring that services are normally provided without electronic identification or authentication wherever reasonably possible. Another LIBE addition will be needed to ensure that the sensitive data of citizens in their ‘digital wallet’ will be stored exclusively in a decentralized manner on their own device, unless they choose centralized storage. Decentralized data storage protects our data from hacks and identity theft.”

After the addition of provisions in the exclusive competence of other Committees (LIBE, JURI) to the ITRE report, the Parliament’s mandate could be finalised as early as March. Trilogue negotiations with the Council will follow. Pirate Party MEP Mikuláš Peksa will be among the negotiating team.


patrick-breyer.de/en/e-id-pira…



PODCAST. Terremoto. Testimonianza da Aleppo: “Sfollati in strada. Basta sanzioni”


Testimonianza dalla Siria colpita dal terremoto: "Non c'è elettricità, gasolio, fa freddo. Le persone sono impaurite, soprattutto i bambini. Non c'è acqua, manca tutto l'essenziale". L'articolo PODCAST. Terremoto. Testimonianza da Aleppo: “Sfollati in st

della redazione –

Pagine Esteri, 9 febbraio 2023 – Intervista a padre Haroutioun impegnato negli aiuti alla popolazione colpita dal sisma. “Prima la guerra, poi il terremoto, la città è in ginocchio, danni molto gravi nella città vecchia”.
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TERREMOTO. Appelli ad aiutare la Siria isolata e sotto sanzioni


L'Oms ricorda che il paese è in condizioni critiche dopo la guerra civile e l'epidemia di colera. Una dozzina gli Stati che si sono detti pronti ad aiutare Damasco. Usa e Ue soccorrono solo le aree a nord-ovest che non sono sotto il controllo di Bashar As

di Michele Giorgio*

Pagine Esteri, 8 febbraio 2023 – Venti uomini della Protezione civile libanese sono giunti ieri in Siria per partecipare alle operazioni di ricerca e salvataggio nelle aree devastate dal terremoto. Nelle prossime ore passeranno il confine anche 15 genieri dell’esercito del paese dei cedri. Ed è in viaggio una squadra della Croce Rossa su richiesta dei governi di Libano e Siria e in coordinamento con la Mezzaluna Rossa siriana. Il governo Mikati inoltre ha messo a disposizione l’aeroporto di Beirut e i porti di Beirut e Tripoli per ricevere aiuti umanitari destinati alla Siria. Le conseguenze devastanti del sisma hanno avuto il sopravvento sui rapporti «complessi» tra Damasco e Beirut.

Il Libano fa parte di quei paesi – Russia, Iran, Bahrain, Emirati, Algeria, Pakistan, Mauritania, Sudan, Giordania, Egitto e Tunisia – che si sono attivati per portare soccorsi alla Siria, a differenza di Stati uniti e Unione europea che escludono di poter cooperare con il governo siriano e garantiranno aiuti diretti solo alle regioni nordoccidentali non controllate da Damasco, come quella di Idlib che è in gran parte nelle mani di formazioni jihadiste e qaediste schierate contro le autorità centrali. Il terremoto non ha colpito solo il territorio siriano al confine con la Turchia. Popolazioni allo stremo e distruzioni enormi si registrano anche in altre zone della Siria. Ieri alti funzionari dell’Oms hanno lanciato l’allarme sull’emergenza umanitaria in cui si trova il paese a causa della guerra civile – che ha ucciso mezzo milione di persone e costretto circa la metà della popolazione ad abbandonare le proprie case – e della recente epidemia di colera.

Secondo Adelheid Marschang, del dipartimento per le emergenze dell’Oms, la Turchia possiede la capacità di rispondere alla crisi mentre i principali bisogni umanitari nell’immediato e nel medio termine sono in Siria. «Questa è una crisi che va ad aggiungersi a molteplici crisi nella regione colpita» ha spiegato Marschang. «In tutta la Siria – ha aggiunto – le necessità sono cresciute dopo quasi 12 anni di crisi e i finanziamenti umanitari continuano a diminuire». L’appello dell’Oms giunge dopo quello lanciato dalla Mezzaluna Rossa Araba Siriana (Mlrs) ai paesi occidentali affinché revochino le sanzioni economiche e forniscano aiuti. «I paesi dell’Ue devono revocare le sanzioni alla Siria. È giunto il momento dopo questo terremoto» ha esortato Khaled Haboubati, capo della Mlrs, rivolgendosi direttamente anche all’Agenzia Usa per lo sviluppo (USAid).

Damasco attribuisce i suoi gravi problemi finanziari e la responsabilità della crisi umanitaria nel paese alle sanzioni occidentali imposte sulla scia del conflitto cominciato nel 2011. Sanzioni che sono state aggravate dal Caesar Act statunitense, entrato in vigore nel 2020, che paralizza buona parte dei rapporti economici e commerciali della Siria. E se è vero che il territorio siriano sotto il controllo del governo centrale già riceve aiuti attraverso le Nazioni unite, è altrettanto vero che le agenzie internazionali non hanno potuto sino ad oggi avviare la ricostruzione del paese per la netta opposizione degli Stati uniti e dell’Ue. Secondo i governi occidentali, il via libera a un’ampia ricostruzione internazionale della Siria rappresenterebbe un riconoscimento della vittoria militare del presidente Bashar Assad che lo porterebbe ad escludere una soluzione politica negoziata con l’opposizione.

Calcoli politici e sanzioni che penalizzano solo la popolazione civile. Il terremoto aggrava la condizione di milioni di siriani già in miseria. L’Onu avverte che almeno 2,9 milioni di persone in Siria sono alla fame e che altri 12 milioni rischiano la stessa sorte. Il pugno duro occidentale inoltre lega in modo più stretto la Siria all’Iran che, poche ore dopo il terremoto, ha cominciato il ponte aereo con Damasco fornendo attrezzature e assistenza umanitaria. E lo stesso vale per la Russia, pronta ad aiutare il suo principale alleato in Medio oriente. Intanto l’ambasciatore siriano all’Onu, Bassam Sabbagh, ha assicurato al segretario generale Antonio Guterres che qualsiasi aiuto raggiungerà l’intera popolazione siriana. Pagine Esteri

*Questo articolo è stato pubblicato in origine dal quotidiano Il Manifesto

https://ilmanifesto.it/appelli-ad-aiutare-la-siria-isolata-e-sotto-sanzioni

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@sexy_peach Actually I reduced from H2 to H4 and the result is now here

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Or you could just use the regular size? Screaming on the internet is even more useless than IRL.

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When I say that people will call me a conspiracy theorist, but when Canada froze the bank accounts of protestors no one spoke
Bank interest isn't keeping up with inflation anyways

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