Ecco perché, da liberali, siamo al fianco delle donne iraniane
Una società è libera più sono libere le donne, e anche noi in Italia siamo stati a lungo in ritardo. Il cammino verso l’abolizione della Sharia è lungo e tortuoso, ma le iraniane vanno difese ora
In Ucraina combattiamo, per interposta nazione, una guerra in difesa dei principi liberali su cui si fondano i nostri sistemi democratici e nei quali si identifica la nostra civiltà. Si tratta dei medesimi principi che ispirano i diritti in difesa dei quali si battono le donne iraniane.
In una prospettiva liberale, infatti, non esistono i generi così come non esistono le caste, i censi, le classi, i monopoli e i depositari di Verità assolute: tutti hanno gli stessi diritti, tutti devono avere le stesse possibilità. Pensiero liberale e diritti democratici hanno percorso a braccetto la Storia degli ultimi tre secoli e la questione femminile ne è stata una delle bandiere. Già nel 1869 John Stuart Mill contestava “la servitù” femminile e inseriva nella narrazione liberale l’uguaglianza tra i sessi e i diritti politici delle donne. Fu una grande intuizione, essendo oggi piuttosto evidente come la condizione femminile sia tra i più efficaci indicatori del grado di liberalismo di ogni società: più le donne sono libere, più è liberale la società di cui quelle donne fanno parte.
È dunque naturale che la Fondazione Luigi Einaudi si trovi oggi in prima fila nel denunciare la violenza con cui il regime iraniano sta reprimendo una pacifica e incomprimibile richiesta di libertà. La libertà delle donne di svelarsi. Di mostrare, cioè, ciascuna il proprio volto, dunque di essere riconosciute come individui, dunque di essere titolari di diritti civili e politici. E di conseguenza di essere libere di scegliere, di muoversi, di parlare, di crescere culturalmente, spiritualmente e socialmente. Si tratta di diritti umani, diritti né maschili né femminili.
Con l’obiettivo di tenere desta l’attenzione delle istituzioni e dei media italiani ed europei, la Fondazione Luigi Einaudi terrà domani in Senato una conferenza stampa alla quale parteciperanno importanti personalità e organizzazioni della dissidenza iraniana. Con l’occasione, presenteremo un Manifesto in difesa dei diritti e delle libertà delle donne iraniane che da domani ciascuno potrà firmare sul sito www.fondazioneluigieinaudi.it.
Invochiamo la parità di genere e la libertà personale, ma siamo consapevoli di quanto lungo e tortuoso sia il cammino che abbiamo di fronte. Ne siamo consapevoli perché conosciamo la storia e l’influenza che le religioni da sempre esercitano sui fatti storici e sui processi sociali.
Come italiani, e dunque come cattolici, non possiamo dimenticare quanto, e quanto a lungo, il pregiudizio nei confronti delle donne abbia ispirato la nostra cultura e di conseguenza le nostre leggi. “La donna è l’ostacolo principale sulla via che conduce a Dio”, diceva sant’Agostino. E per secoli sia la Chiesa sia lo Stato hanno fatto di quel pregiudizio la Regola.
In Italia, le donne hanno avuto riconosciuto il diritto di voto solo nel 1945; il reato di adulterio, punito per la donna con un anno di reclusione, è stato abolito solo nel 1968; il delitto d’onore, cioè le attenuanti per l’uxoricida dell’adultera, e il matrimonio riparatore, cioè la norma del codice penale che cancellava la colpa dello stupratore che sposava la vittima, sono stati abrogati solo nel 1981. Quarant’anni fa appena.
Molto, in questo ritardo, ha contato la profondità in cui sono depositati nelle viscere della nostra nazione quegli antichi codici patriarcali per millenni tipici della storia umana, e di quella dei popoli meridionali in modo particolare. Moltissimo ha contato l’influenza culturale e politica della Chiesa cattolica. Una Chiesa da tempo disarmata e priva di poteri temporali, eppure a lungo capace di influenzare le coscienze, la società e le scelte del decisore politico.
Il principio della separazione tra Chiesa e Stato è entrato sin dal Settecento nella nostra cultura giuridica e politica ed è stato ufficializzato nel 1929 con i Patti Lateranensi, ma ha impiegato altri sessant’anni per allentare la presa sulle libertà civili individuali e in modo particolare su quelle femminili.
È bene rammentarlo. È bene rammentarlo perché se questa è la storia dell’Italia non si può chiedere troppo alla storia dell’Iran. Una repubblica islamica fondata sulla Sharia. Cioè sulla sottomissione dello Stato alla Chiesa, della Legge alla Verità, dell’uomo a Dio e della donna all’uomo.
Inutile giraci girarci attorno: la Sharia, soprattutto nell’interpretazione retriva che ne danno i mullah iraniani, non è compatibile con i principi liberali. Chiederne, oggi, il superamento sarebbe ingenuo, pretendere che il regime iraniano sospenda la repressione e assicuri alle donne la libertà di manifestare pacificamente per l’affermazione dei propri diritti è doveroso. Un dovere che confidiamo sia avvertito come tale da tutti i governi e da tutte le organizzazioni nazionali ed internazionali che amano definirsi liberali e/o democratiche.
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Il drammatico ritorno dell’Ucraina all’Europa
Il 25 dicembre 1991, Mikhail Gorbaciov si è dimesso da presidente dell’URSS. Nello stesso mese, i cittadini ucraini avevano proclamato la loro indipendenza con il 90% di sostegno. Da allora, l’evoluzione politica e sociale dell’Ucraina ha caratterizzato drammaticamente ciò che significa essere uno stato cardine, un limes tra due culture politiche: una che aspira a […]
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Asia centrale: Russia in calo, ma non fuori
Il Presidente russo Vladimir Putin ha a lungo considerato l’Asia centrale come la ‘regione più stabile’ della Russia. Ha esercitato regolarmente influenza e pressioni politiche sui suoi leader. Tuttavia, dopo decenni di stabilità, l’anno scorso ha visto l’influenza della Russia in Asia centrale deteriorarsi a un ritmo senza precedenti. La visione di Putin dell’Asia centrale […]
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Relazioni transatlantiche: nuova era dopo un anno di guerra in Ucraina
Circa 12 mesi dopo l’invasione russa dell’Ucraina, le principali sorprese positive includono non solo la notevole resilienza delle forze combattenti ucraine e della popolazione in generale, ma anche l’unità dell’alleanza occidentale nell’era post-Trump, come verrà mostrato con l’imminente visita di Joe Biden alla Polonia. Ben documentato è il fatto che l’UE a 27 abbia mostrato […]
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Lezioni dagli Usa per una Difesa europea. La riflessione di Preziosa e Velo
Il centro dell’Europa si è spostato nel tempo verso est e l’agenda della sicurezza è diventata ancora più urgente. In Europa si è aperto un dibattito sullo spirito del Trattato di Maastricht. Il rappresentante per la politica estera Ue Josep Borrell ha spiegato che l’Europa “non vuole costruire un esercito europeo al singolare” ma la “interoperabilità degli eserciti”.
Lo spirito di Maastricht
Secondo la presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen lo spirito di Maastricht era costituito dall’obiettivo dello sviluppo nella stabilità. Questa visione però, riduce il Trattato a un contenuto economico. In realtà Maastricht fu tutt’altro. Il Trattato definì l’euro come una moneta federale e Il carattere costituzionale del documento fu prevalente rispetto alla sua definizione economica. Il Trattato di Maastricht ha affrontato un problema apparentemente insolubile: sancire la nascita dell’euro in assenza di un consenso generale dei membri e di uno Stato europeo compiuto.
Il Trattato ha consentito di costruire l’Unione monetaria europea rispettando il principio costituzionale dell’unificazione europea costituito dalla sussidiarietà. Un ordine costituzionale sussidiario richiede che la moneta non debba essere utilizzata per centralizzare il potere e la stabilità monetaria rappresenta lo strumento per raggiungere questo obiettivo. Maastricht ha affrontato un problema nuovo: una moneta che non fosse controllata dalle istituzioni europee ma che rispondesse a regole costituzionali.
Oggi assistiamo al tentativo di centralizzare il governo dell’Unione europea da parte della Commissione, mentre la Banca centrale europea difende l’ordine costituzionale e ostacola le politiche inflazionistiche a tutti i livelli dell’Unione europea. La moneta europea poteva avere il consenso dei Paesi membri in quanto non realizzava un accentramento di potere a livello europeo. L’Unione monetaria ha così segnato una tappa fondamentale nella evoluzione del modello federale europeo.
Gli Stati membri al momento di rinunciare alla sovranità monetaria hanno voluto tutelarsi dagli effetti negativi possibili. In campo monetario l’unica soluzione praticabile era costituita dalla definizione di uno statuto della Banca centrale europea che limitasse drasticamente la sua discrezionalità, in modo specifico limitando la possibilità di drenare risorse dai cittadini degli Stati membri alle autorità europee attraverso lo strumento del signoraggio. Alla Commissione europea è stata preclusa la possibilità di intervenire nella gestione della Banca centrale europea. Si tratta oggi di valutare se questa soluzione, sancita dal Trattato di Maastricht, conservi validità.
L’ordine federale e il centralismo
Il dibattito oggi apertosi in Europa sull’opportunità di modificare o meno il dettato del Trattato di Maastricht pone in discussione l’alternativa fra confederazione e federalismo, fra ordine federale e centralismo. Questo dibattito si è sviluppato anche negli Stati Uniti, dal diciottesimo secolo sino ad oggi. La costituzione americana, nata con l’indipendenza alla fine del diciottesimo secolo, ha assunto il valore di ordine federale di riferimento. Ricordiamo che Altiero Spinelli ha scritto il Manifesto di Ventotene, sulla base dei contenuti de The Federalist che illustra il dibattito costituente svoltosi negli Stati Uniti.
Oggi l’alternativa fra federalismo e centralismo è in discussione nell’Unione europea in quanto la necessità di potenziare la difesa è emersa con le tensioni a livello internazionale. L’opzione che L’Unione europea deve oggi considerare non è costituita dalla validità o meno del Trattato di Maastricht, ma dal proprio posizionamento a livello internazionale. Il dibattito corrente non riconosce quale sia la vera portata delle decisioni che debbono essere adottate.
Il processo di centralizzazione negli Stati Uniti è avvenuto soprattutto modificando la Costituzione materiale più della Costituzione formale originaria. Questa è la differenza profonda fra Spinelli, fedele alla lezione della Costituzione originaria degli Stati Uniti, e Jean Monnet, sempre attento al ruolo svolto dalle modificazioni della Costituzione materiale, dell’Unione europea e degli Stati Uniti. L’Unione monetaria è stata realizzata secondo una Costituzione federale.
La moneta e la finanza come strumenti di accentramento
La Costituzione federale dell’Unione monetaria ha potuto affermarsi sia per la rinuncia europea di finanziare un esercito al livello degli altri Stati continentali sia per la rinuncia a utilizzare la moneta e la finanza come strumenti di potere internazionale. Grazie a ciò, l’euro, all’indomani della sua creazione, ha raggiunto in breve tempo l’importanza di seconda moneta di riserva e di pagamento a livello internazionale. La emissione di titoli di debito era preclusa dai trattati europei in essere. La Commissione europea ha sostenuto l’opportunità di emettere eurobonds. Questa possibilità ha trovato realizzazione per fronteggiare solo crisi temporanee, ma non è stata oggetto di consenso, da parte dei Paesi membri dell’Unione europea, per finanziare politiche centralizzatrici.
L’Unione europea superpotenza versus “Forza gentile”
Oggi l’Unione europea può perseguire il modello attuale statunitense, riposizionarsi come potenza internazionale, organizzare un esercito di potenza pari agli eserciti dei Paesi di dimensioni continentale, modificare radicalmente il Trattato di Maastricht e sviluppare un elevato accentramento. Un modello alternativo può fondarsi sulla ricerca di un ruolo di “Forza gentile” come teorizzato da Tommaso Padoa Schioppa, tutelando lo spirito di Maastricht e rafforzando il modello federale. L’esercito europeo, per essere coerente con questa seconda alternativa, potrebbe organizzarsi sul modello adottato dagli Stati Uniti, un modello dualistico costituito da un piccolo esercito europeo e dal mantenimento di una guardia nazionale da parte dei Paesi membri dell’Unione europea.
È stato il ruolo internazionale degli Stati Uniti che determinerà poi un incremento graduale del centralismo lungo tutto il ventesimo secolo con le Presidenze di Theodore Roosevelt e Franklin Delano Roosevelt. L’Europa non ha avuto la necessità di organizzare un esercito europeo in quanto la sua difesa era garantita dagli Stati Uniti. Ciò ha consentito all’Europa di sviluppare il processo di unificazione senza ricorrere alla centralizzazione, dandosi come regola costituzionale fondamentale la sussidiarietà. Sarebbe un errore di portata storica rinnegare Maastricht e trasformare l’Unione europea in superpotenza, con livelli di centralismo sempre maggiori.
Ucraina: tre scenari di rottura
Dobbiamo prepararci al peggio? Per l’Ucraina? Per la Russia? E per l’Europa nel suo insieme? Se il peggio non è mai certo, il ‘déjà-vu’ non è necessariamente il più probabile. Con questo conflitto in continua evoluzione, non si dovrebbero escludere né grandi rotture né disastri imprevisti. La guerra in Ucraina non è finita. Ma nulla […]
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La scoperta di Antonio Gramsci - Giovanni D'Anna
Sin dai primissimi giorni del suo rientro in Italia, Togliatti iniziò una incessante opera di “divulgazione” della figura gramsciana
Un anno di guerra in Ucraina, ma la Russia è stata sconfitta nelle prime tre settimane
Un anno fa, tutti gli obiettivi principali della Russia in Ucraina tranne uno furono sconfitti nelle prime tre settimane di guerra, prima dell’arrivo delle armi pesanti occidentali. Le ragioni di questo completo rovescio russo – che nessun osservatore occidentale, me compreso, ha previsto – sono di grande interesse per gli analisti militari, anche se alcune […]
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La riforma Cartabia accentua per il pm il carattere di “accusatore”
Pubblica accusa o organo di giustizia? Parte nel processo o garante della legalità? La natura del pubblico ministero è una vexata quaestio del dibattito giuridico, mai realmente conclusa. Nota è la definizione di parte imparziale, un bisticcio terminologico, come evidenziato anche dalla Cassazione. Il tema è di estrema rilevanza e di particolare attualità, essendo un nodo cruciale nella strada per la separazione delle carriere. I magistrati requirenti e la Anm propendono per il carattere dell’imparzialità. Al contrario, i penalisti italiani ritengono prevalente la natura di parte del pubblico ministero, a sostegno della necessità di costituire due distinti Csm, come ricordato da Giuseppe Benedetto nel saggio Non diamoci del tu.
La nuova regola di giudizio per l’archiviazione e l’udienza preliminare, tra le più significative modifiche della riforma Cartabia, ha riacceso il dibattito sul punto. Già nel 2021, quando in Parlamento si approvava la legge delega, il Csm e il Procuratore Capo di Bologna, Giuseppe Amato, rilevavano che la prognosi di condanna attribuisse una inedita funzione di controllo al pm. Il vaglio più stringente sul bivio azione/ inazione sarebbe la nitida dimostrazione della natura super partes degli uffici di Procura, che non devono patire la chiusura delle indagini come una “sconfitta”. Ecco, allora, che sarebbero smontate tutte le tesi di coloro che domandano la separazione delle carriere.
A giudizio di chi scrive, la novella in esame è indice dell’esatto contrario, perché, come si dirà, la nuova regola di giudizio avvicinerà molto il pubblico ministero italiano al public prosecutor degli ordinamenti di Common Law.
Una premessa necessaria: il carattere di parte del pubblico ministero non può ovviamente emergere durante le indagini, quando la notizia di reato è ancora sfumata. È in dibattimento, dopo l’esercizio dell’azione, che prevarrà il carattere di “accusatore”. In tal senso, la riforma Cartabia ci fornisce un dato di nitida evidenza: il pubblico ministero eserciterà nel processo soltanto le funzioni d’accusa. Infatti, se ha agito ritenendo di avere elementi a sostegno di una prognosi di condanna, delle due l’una: o si giunge all’accertamento della responsabilità dell’imputato, o ha errato nelle sue valutazioni.
Tertium non datur. Pertanto, il carattere di parte del requirente è accentuato dalla riforma, non ridotto. Non si trascuri, inoltre, il significativo condizionamento psicologico a cui potrebbe essere soggetto il giudice del dibattimento. Si troverà davanti a un fascicolo su cui il pm (e anche il Gup) si è già pronunciato in termini di probabile responsabilità penale. Ne consegue, allora, che le istanze per la separazione delle carriere siano ancor più fondate di prima. La riforma ha prodotto significativi effetti anche sull’azione penale. Non si dimentichi, infatti, che la Corte costituzionale ha dedotto dal principio dell’obbligatorietà il criterio del favor actionis (sent. 88/1991). In tal senso, l’art. 112 Cost. imporrebbe che l’azione sia esercitata ogni qualvolta manchi l’oggettiva infondatezza della notizia di reato. Questo elemento va letto in combinato disposto con la nuova regola per l’iscrizione della notitia criminis: il fatto deve essere determinato, non inverosimile e riconducibile ad una fattispecie incriminatrice. Si rende immediatamente percettibile il maggior ambito di valutazione di cui godrà il magistrato circa l’inizio delle indagini. L’azione penale obbligatoria, già oggetto di evidentissimi deficit di attuazione, potrebbe essere erosa ancor di più dalla riforma. In conclusione, emerge che la nuova regola di giudizio accentui il carattere di parte del pm e si allontani dalla stretta osservazione dell’obbligatorietà dell’azione. Vi è anche un dato empirico che appare schiacciante: l’evidential succiciency è il criterio fondamentale del pubblico ministero nord- americano, che va a dibattimento solo quando è certo della condanna. Infatti, i suoi progressi di carriera dipendono dal numero di “vittorie”. E allora, se così stanno i fatti, la strada non può che essere una: la separazione delle carriere.
Il Dubbio
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Palloni-spia: possono dei ragazzini tenere in scacco le forze armate americane?
Ammettiamolo pure. Abbiamo scritto tutti e in modo torrentizio tanto che più volte la notizia ha avuto la meglio sul festival di Sanremo, la guerra in Ucraina e il terremoto in Turchia. E ci siamo domandati: di chi sono le sfere che volano sui cieli dell’America violando gli spazi più alti dei suoi confini? Alla […]
L'articolo Palloni-spia: possono dei ragazzini tenere in scacco le forze armate americane? proviene da L'Indro.
I falsari di André Gide
Primo e unico vero romanzo di André Gide, “I falsari” (1925) è un atto d’accusa nei confronti della letteratura per la mancanza di coraggio, lo scarso approfondimento e l’essere complice nella costruzione della menzogna; sorprendente e affascinante, diverso da qualsiasi altra cosa, mette in scena le vicende di un gruppo di personaggi disparati, moltiplicando i punti di vista, i generi e le linee narrative secondarie, distaccandosi così dalla tradizionale narrazione lineare.
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In Cina e Asia – Toni duri tra Wang Yi e Blinken
Toni duri tra Wang Yi e Blinken
La Cina ha ripreso di mira il settore finanziario?
Cina: ChatGPT e "fake news" nel mirino della polizia
La commissione consultiva cinese lancia comitato ambientale
Il Bangladesh diventerà il primo esportatore di vestiti nell'Ue?
Corea del Nord: nuovo test missilistico e scambi con la Cina
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Scuola di Liberalismo 2023 – Luigi Marattin, “Tassazione versus vessazione”
AFGHANISTAN. Donne e lavoro. Attesa per le linee guida dei Talebani
di Valeria Cagnazzo
Pagine Esteri, 20 febbraio 2023 – Si fanno ancora attendere le linee guida promesse dal governo de facto dei Talebani per regolamentare il ruolo delle donne nelle Organizzazioni Non Governative e riabilitarle al loro lavoro. Sono trascorse, infatti, tre settimane dalla missione ONU a Kabul dalla quale Martin Griffiths e gli altri delegati erano tornati con “risposte incoraggianti”, così avevano detto, da parte dei ministri talebani. Al centro dell’incontro c’era stata la discussione in merito al divieto per le donne afghane di lavorare nelle ONG, ratificato dal regime il 24 dicembre scorso. La causa della legge era, a detta del regime, il mancato rispetto da parte delle operatrici delle ONG delle norme di abbigliamento imposte dalla sharia.
Dopo il bando emesso dal governo talebano, alcune ONG avevano momentaneamente sospeso le loro attività nel Paese, e per tutte erano seguite ore di gelo di fronte all’incertezza di poter continuare ad adoperare personale femminile per le proprie missioni, ovvero di poter continuare a impiegare, in condizioni di sicurezza, almeno la metà dei propri dipendenti. Al decreto, che aveva gettato nello sconforto la comunità internazionale, aveva poi fatto seguito una correzione del tiro da parte dei Talebani, che avevano escluso dalle destinatarie del bando le donne che operavano negli ospedali e nel settore sanitario. L’International Rescue Committee (IRC), Save the Children e CARE avevano quindi riavviato in parte le proprie attività nel Paese.
Il 24 gennaio scorso, i Talebani avevano ricevuto una delegazione dell’ONU guidata da Martin Griffiths, Sottosegretario dell’Agenzia delle Nazioni Unite per gli Affari Umanitari e Presidente dell’Inter-Agency Standing Committee (IASC), un forum che riunisce i leader di 18 organizzazioni umanitarie. In tale occasione, il governo afghano avrebbe, appunto, dichiarato di essere al lavoro nella redazione di “linee guida”, sic, per regolamentare il lavoro delle donne nelle ONG senza infrangere la legge islamica.
“Un certo numero di leader talebani mi ha detto che l’amministrazione talebana sta lavorando a linee guida che forniranno più chiarezza sul ruolo, la possibilità e auspicabilmente la libertà delle donne di lavorare nel settore umanitario”, aveva dichiarato Griffiths. Una promessa interpretata come un tenue segnale di speranza nonostante la sua vaghezza e malgrado la consapevolezza che un incontro con i leader talebani di Kandahar, roccaforte dei capi spirituali in grado di dire effettivamente l’ultima parola in tema di politica, sarebbe prezioso per sigillare l’accordo sul lavoro delle donne.
Pochi giorni prima, un’altra delegazione ONU aveva raggiunto a Kabul e Kandahar i leader talebani, sempre a proposito del divieto di lavorare nelle ONG per le operatrici afghane. Questa volta a guidarla era stata una donna, Amina Mohammed, Vice Segretario Generale delle Nazioni Unite, accompagnata da Sima Bahous, Direttore Esecutivo dell’Agenzia ONU per le Donne, e da Khaled Khiari, Segretario Generale aggiunto del Dipartimento di Costruzione politica e Operazioni di Pace. Mohammed si era detta “incoraggiata” dalle eccezioni fatte per le operatrici sanitarie, ma al tempo stesso aveva dichiarato che le conversazioni con la controparte erano state particolarmente “difficili”.
A tre settimane dall’ultimo incontro con i rappresentanti dell’ONU, il decalogo che dovrebbe permettere alle donne afghane di tornare a operare nelle ONG senza infrangere le norme di vestiario e di comportamento non è stato apparentemente ancora pubblicato. Le conseguenze dell’allontanamento delle dipendenti dal lavoro di soccorso alla popolazione afghana sono disastrose.
Il bando delle donne dalle attività assistenziali, infatti, colpisce non solo le lavoratrici e le loro famiglie, ma tutte le donne e i bambini destinatari dell’assistenza umanitaria. Le donne afghane, infatti, possono accettare aiuti – denaro, cibo, medicinali, vestiti – solo da altre donne, e comunicare solo con personale femminile.
Secondo i Gruppi di Lavoro sul “Genere nell’Azione Umanitaria” (Giha) e sull’”Accesso Umanitario”, entrambi operanti all’interno delle Nazioni Unite, il decreto di fine dicembre continua a danneggiare il lavoro umanitario e di conseguenza la popolazione afghana. Dalle risposte di un’intervista rivolta a 129 operatori di organizzazioni nazionali e internazionali e agenzie ONU, emerge, infatti, come a tre settimane di distanza dal bando il 93% delle ONG abbia assistito a un deterioramento delle proprie capacità di portare assistenza alle donne afghane.
Secondo l’inchiesta, inoltre, nell’81% delle ONG lo staff femminile non può più recarsi sul posto di lavoro. Al tempo stesso, le attività di protezione specifica per le donne, così come di monitoraggio dei loro bisogni assistenziali, sono state interrotte forzatamente dal bando.
Non è difficile immaginare quale danno stia rappresentando quindi il decreto nelle attività di aiuto in un Paese che attraversa una drammatica crisi dei diritti delle donne e una altrettanto tragica emergenza umanitaria. I numeri della sofferenza del popolo afghano rimangono raccapriccianti, nonostante il progressivo disinteresse di gran parte dei media per le sorti del Paese. Oltre 28 milioni di abitanti, più della metà della popolazione, secondo l’Ufficio ONU per il Coordinamento degli Affari Umanitari, dipendono dagli aiuti umanitari. Tra questi, 6 milioni di persone, in gran parte bambini, patiscono letteralmente la fame.
Come dichiarato da Save the Children, che ha riavviato solo una parte delle sue attività nel Paese, “il bando alle lavoratrici delle ONG non sarebbe potuto arrivare in un momento peggiore”. “La severità dell’emergenza umanitaria in Afghanistan è qualcosa che non ho mai visto prima”, ha dichiarato il Direttore delle operazioni sul campo della ONG. “Quasi 20 milioni di bambini e adulti stanno affrontando la fame. Molte famiglie vanno avanti a pane e acqua per settimane”. A tutto ciò si aggiunge il freddo, che ancora non dà tregua. “I bambini stanno lottando per sopravvivere a un gelido, terribile inverno. E riscaldare le abitazioni è fuori questione”. Non poteva esserci periodo peggiore per recidere le braccia delle donne dagli aiuti a un Paese distrutto – sempre ammesso che un periodo “migliore” per farlo si possa mai immaginare. Pagine Esteri
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#uncaffèconLuigiEinaudi – Non vi è limite…
Non vi è limite alla quantità di opere pubbliche destinate a rendere più feconda l’opera dei produttori e più bella la vita dei cittadini
Lineamenti di una politica economica liberale, Movimento Liberale Italiano, 1943
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Guerra in Ucraina: la soluzione sta nel diritto internazionale
In un bellissimo articolo, pubblicato in traduzione italiana su Repubblica, quello che a tutti gli effetti è uno dei maggiori pensatori europei, Jürgen Habermas, analizza con una freddezza di ragionamento tagliente, ma con una partecipazione umana ed etica di singolare intensità, la questione della guerra in Ucraina. Dimostrando, detto incidentalmente, che razionalità, politica e diritto non […]
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Giorgia Meloni, ‘hai voluto Palazzo Chigi? E ora governa!’
Hai voluto Palazzo Chigi? E ora governa. Si può mutuare il famoso proverbio della bicicletta e dell’imperativo, una volta avutala, di pedalare, e chiederne conto a Giorgia Meloni: dalle comode e redditizie sponde dell’opposizione è approdata, trionfante e acclamata, alla famosa stanza dei bottoni. Ha chiesto la legittimità popolare, perché, obiettava, una quantità di governi […]
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“Ali per la libertà”. Il generale Davis spiega il suo sì ai caccia a Kyiv
Gli Stati Uniti e i loro alleati dovrebbero fornire all’Ucraina aerei da combattimento occidentali ad ala fissa?
Sì, in particolare jet da combattimento multiruolo, di fabbricazione occidentale o russa. L’Ucraina merita tutto ciò che l’Occidente può fornirle per la sua lotta. L’Occidente non dovrebbe farsi scoraggiare dalle minacce bellicose e dalla campagna di disinformazione della Russia e dovrebbe ascoltare l’emozionante richiesta del Presidente Zelenskyy al Parlamento britannico, l’8 febbraio, di fornire “ali per la libertà”.
Questi caccia possono essere utilizzati per rafforzare la difesa dell’Ucraina, basata principalmente su “armi combinate” di terra, contro l’offensiva russa e per riconquistare il territorio occupato illegalmente dalle forze russe.
I piloti e i tecnici ucraini possono imparare a pilotare e a revisionare i caccia che ricevono. Inoltre, si può ritenere che i vertici militari ucraini impiegheranno con successo qualsiasi velivolo venga loro fornito, nel rispetto dei limiti imposti dai leader occidentali.
I piloti ucraini sono stati straordinariamente bravi a continuare a volare in missioni di combattimento, proteggendo e mantenendo una piccolissima forza di MiG ed elicotteri contro una vasta gamma di moderne difese aeree e terrestri russe. Le forze e i leader ucraini hanno dimostrato creatività, ingegno e intraprendenza nell’impiego dei sistemi d’arma terrestri ricevuti dalle nazioni occidentali. Dobbiamo aspettarci che continuino a farlo con qualsiasi velivolo venga loro fornito.
Imparare a pilotare e manutenere i caccia di fabbricazione occidentale richiederà tempo e dovrà essere accompagnato da forniture e strumenti per mantenerli pronti all’uso. Potrebbero essere necessarie ulteriori macchine spazzatrici di piste e strade per rimuovere i detriti. Dovranno essere dispersi, protetti, armati e dispiegati da luoghi con piste sufficientemente lunghe per il decollo e l’atterraggio. Questi sono tutti fattori di pianificazione, ma non motivi per negare i caccia all’Ucraina.
Quali sarebbero i migliori?
L’Ucraina ha bisogno di caccia multiruolo in grado di condurre una serie di attacchi al suolo, interdizione aerea e missioni di difesa aerea e superiorità aerea. I Paesi occidentali dispongono di diversi caccia che potrebbero fare al caso loro, dagli F-16 agli Eurofighter e ai MiG-29. Anche i Gripen e i MiG-21 potrebbero essere disponibili.
Ecco un rapido riassunto di ciò che si può o si potrebbe offrire. L’anno scorso la Polonia si è offerta di fornire 28 MiG-29 recentemente dismessi, un tipo di aereo che l’Ucraina già utilizza. La Slovacchia si è offerta di fornire la sua piccola flotta di MiG-29 (secondo quanto riferito, 11 dei 12 sono stati ritirati nel 2022). Il Regno Unito si è offerto di addestrare i piloti ucraini sui suoi Eurofighter Typhoon, senza specificare il numero o la data in cui potrebbe fornirli. Il Regno Unito ha già pianificato il ritiro di 24 Typhoon entro il 2025. Anche l’Italia, la Spagna e la Germania possiedono questi aerei, anche se nessuno di questi Paesi ha accennato a fornire caccia all’Ucraina.
Gli Stati Uniti, la Danimarca, la Francia, i Paesi Bassi e la Romania non hanno escluso i caccia e hanno aerei disponibili per il trasferimento. Insieme, gli Stati Uniti e la Danimarca dispongono di oltre 1.300 F-16. Il Congresso degli Stati Uniti ha autorizzato l’USAF a ritirare 48 F-16 lo scorso anno. La Romania sta passando dai MiG-21 agli F-16.
In conclusione, sono disponibili numerosi velivoli, ma al momento sono più i contrari che i sostenitori a promuovere il trasferimento di jet occidentali all’Ucraina.
Che differenza farebbero nella guerra?
Se forniti in numero e con velocità sufficienti, i jet da combattimento consentirebbero all’Ucraina di difendere e riconquistare il territorio occupato. Gli aerei da combattimento che operano con funzione di interdizione aerea o di supporto a terra fornirebbero la necessaria capacità di attacco standoff a sostegno delle operazioni difensive e controffensive. Sarebbero in grado di colpire una serie di obiettivi chiave per l’Ucraina, come il comando e le comunicazioni (C2) russo, i rifornimenti e i nodi logistici, la difesa aerea, le capacità di guerra elettronica (EW) e, naturalmente, le unità di manovra (corazzate/meccanizzate/motorizzate) e le unità di fuoco indiretto.
I jet da combattimento in un ruolo di difesa aerea o aria-aria possono sconfiggere i MiG russi e, con il radar e le munizioni giuste, i droni e i missili da crociera. I caccia occidentali hanno generalmente un’avionica migliore, radar migliori, sistemi di guida migliori, contromisure EW migliori e missili migliori rispetto alle loro controparti russe. I jet russi possono essere più manovrabili, ma è improbabile che i piloti russi siano ben addestrati come le loro controparti occidentali o ucraine. L’arrivo di veicoli da combattimento occidentali, di sistemi di fuoco a lungo raggio e di difesa aerea, insieme ai jet da combattimento, consentirebbe una controffensiva di successo per riconquistare il territorio ucraino e sconfiggere l’obiettivo di Putin di annettere e mantenere porzioni dell’Ucraina orientale e meridionale.
Ma ci sono grandi domande a cui rispondere: ci sarà il via libera, quando e in che numero?
In termini di tempistica, supponendo che la decisione venga presa nei prossimi giorni, ci vorranno diverse settimane per addestrare i piloti a pilotare gli aerei di fabbricazione occidentale e alcuni mesi per impiegarli effettivamente. Gli aerei di fabbricazione occidentale non sarebbero disponibili prima dell’autunno, nella migliore delle ipotesi. Ma i MiG-29 e i MiG-21, meno performanti, potrebbero essere integrati molto più rapidamente, forse già quest’estate.
L’anno scorso i dirigenti dell’USAF hanno stimato che ci vorrebbero dalle quattro alle sei settimane per addestrare gli attuali piloti di MiG a pilotare un F-16, e altri tre-sei mesi per utilizzare efficacemente i suoi sensori e sistemi d’arma. I programmi di addestramento dei partner dell’USAF esistono già per l’F-16 e per altri jet di produzione statunitense. L’addestramento degli equipaggi di manutenzione e la spedizione di munizioni, ricambi, strumenti e attrezzature di supporto potrebbero avvenire in contemporanea. La Polonia e la Slovacchia dovrebbero essere incentivate e sostenute nel fornire i loro MiG-29 il prima possibile.
In termini numerici, in Polonia e Slovacchia ci sono abbastanza MiG-29 per formare due squadroni di quattro voli ciascuno (32 aerei in totale), che probabilmente raddoppierebbero la flotta operativa dell’Ucraina. Ci sono abbastanza F-16 disponibili per formare molti altri squadroni, ma i fattori limitanti sarebbero gli allievi piloti e i manutentori ucraini disponibili per l’addestramento, i rifornimenti necessari per armare e sostenere i jet e le infrastrutture per supportarli. E non è troppo presto per iniziare a pensare a lungo termine alla forza aerea di cui l’Ucraina avrà bisogno dopo il conflitto. Una combinazione di F-16 occidentali e MiG-29 di produzione russa potrebbe essere un mix sostenibile.
Se l’Occidente fornisse i jet, ci sarebbe ancora una ragione per negare all’Ucraina le munizioni per l’artiglieria a più lungo raggio?
Le preoccupazioni occidentali sui sistemi a lungo raggio si sono concentrate sul rischio di escalation e di potenziale allargamento della guerra alle nazioni alleate. Le minacce, le spacconate, la disinformazione e la propaganda russe hanno seguito ogni decisione occidentale di fornire all’Ucraina importanti sistemi d’arma.
È tempo che i leader occidentali si impegnino a sostenere l’Ucraina nel suo sforzo di ripristinare la piena integrità territoriale e di opporsi all’aggressione e ai giochi di potere di Putin.
Ciò include la fornitura di munizioni d’artiglieria a più lungo raggio, come la “bomba a piccolo diametro lanciata da terra” (ora in arrivo) e i sistemi missilistici tattici dell’esercito (non ancora approvati). L’Ucraina dovrebbe avere fiducia nell’impiego dei sistemi e delle munizioni occidentali che riceve per ripristinare il territorio occupato e astenersi dal colpire le infrastrutture civili o i civili in Russia.
I leader politici occidentali si sono lentamente mossi con un’assistenza militare sempre maggiore, spinti dalle chiare prove della barbarie della Russia. Ma soprattutto, c’è una necessità esistenziale per l’Occidente di stare al fianco di una nazione europea democratica sotto attacco per prevenire futuri conflitti in Europa; ulteriori esitazioni inviterebbero proprio a questo.
Questo articolo è apparso per la prima volta sul sito del Center for European Policy Analysis con il titolo “Send Western Wings for Ukraine’s Freedom”(traduzione di Formiche.net).
HO PERSO IL GUSTO, NON HA SAPORE
A scoppio ritardato scrivo anche io qualcosa di non-necessario su Sanremo.
Quest’anno non c’è stata una canzone che mi ha colpito particolarmente. È vero che a più riprese mi sono addormentato davanti alla TV, ma le esibizioni che perdevo, le recuperavo il giorno dopo su RaiPlay.
Ho visto qualche gag simpatica (gli interventi del solito immarcescibile Fiorello) e qualche piacevole sorpresa (Paola Egonu è stata la co-conduttrice più spontanea, paradossalmente anche quando leggeva). In generale però lo spettacolo mi è sembrato un po’ troppo costruito e in alcuni momenti anche un po’ stucchevole. Sarà che con il passare degli anni trovo sempre più noiose le confessioni e le prediche televisive fatte da chi ha il cXXo al caldo.
Per attirare l’attenzione su di sé, qualche artista ha azzardato – o “ha simulato” – uno scandaloso passionale colpo di testa: prendere a calci le rose, allungare il brodo all'infinito obbligando il pubblico a cantare un ritornello che non conosce, strusciarsi e baciarsi con l’influencer di turno, ecc... Ma dopo decenni di TV spazzatura oramai siamo tutti vaccinati (compreso i bambini) e la provocazione è diventata “Mission: impossible”.
Con questo non voglio dire che il Sanremo che ho visto sia tutto da buttare. Ci mancherebbe. Si sono esibiti anche dei bravi artisti. Qualcuno si è impegnato e ha fatto anche bene, tuttavia a distanza di una settimana dalla chiusura di Sanremo Venti23 (chiamarlo duemilaventitré non è più di moda) ricordo soprattutto due cose: la sanguigna “American Woman” di Elodie e Big Mama (per la cronaca: alla fine della canzone si sono baciate anche loro, ma nessuno ha montato polemiche) e la superba “Quello che non c’è” di Manuel Agnelli e gIANMARIA.
Lo so che sono di parte, perché adoro quella canzone e quel disco. E’ vero che gIANMARIA sembrava un pulcino bagnato, ma la performance di Manuel Agnelli e di Fabio Rondanini, batterista dei Calibro 35, è stata strepitosa.
Ma questo è camminare alto sull’acqua e su quello che non c’è.
Scuola di Liberalismo 2023 – Messina: Cerimonia conclusiva della XII Edizione della Scuola di Liberalismo FLE di Messina
Ultimo atto dell’edizione 2022/23 della Scuola di Liberalismo di Messina, promossa dalla Fondazione Luigi Einaudi ed organizzata in collaborazione con l’Università degli Studi di Messina e con la Fondazione Bonino-Pulejo, con il patrocinio della Regione Siciliana e di cinque Ordini professionali (Architetti, Avvocati, Ingegneri, Medici Chirurghi ed Odontoiatri, Notai) di Messina.
Sabato 18 febbraio, a partire dalle ore 9.30, presso l’Auditorium della Gazzetta del Sud (in via Uberto Bonino n. 15/C, Messina), si svolgerà la cerimonia conclusiva della dodicesima edizione messinese del ciclo di lezioni dedicato alle opere degli autori più rappresentativi del pensiero liberale ed articolatosi in 14 lezioni (di cui 3 tenute in presenza ed 11 erogate in modalità telematica).
A partire dalle 9.30 si terrà la tavola rotonda “Gaetano Martino: Scienziato, Rettore, Statista, Europeista”, nella quale verrà ricordata ed omaggiata la figura dell’on. prof. Gaetano Martino (1900- 1967), docente di Fisiologia umana dapprima presso l’Università di Messina (di cui fu Rettore dal 1943 al 1957) e poi presso l’Università “La Sapienza” di Roma (di cui fu Rettore dal 1966 al 1967), Deputato della Repubblica Italiana dalla I alla IV legislatura, membro dell’Assemblea Costituente, Ministro degli Affari Esteri dal 1954 al 1957 (in tale veste fu promotore della Conferenza di Messina del 1955 a cui parteciparono i Ministri degli Esteri della Comunità europea del carbone e dell’acciaio – CECA, nonché tra i firmatari dei Trattati di Roma del 1957 istitutivi della Comunità economica europea), Presidente del Parlamento europeo dal 1962 al 1964 e, soprattutto, insigne esponente del Partito Liberale Italiano (del quale fu anche Presidente dal 1961 al 1967). L’incontro sarà presieduto ed introdotto dal prof. Pippo Rao (Direttore Generale della Scuola di Liberalismo di Messina e membro del Comitato Scientifico della Fondazione Luigi Einaudi), con i saluti istituzionali del dott. Federico Basile (Sindaco di Messina) e gli interventi del prof. Rosario Battaglia (già Ordinario di Storia contemporanea presso l’Università di Messina, del prof. Salvatore Cuzzocrea (Magnifico Rettore dell’Università di Messina), del prof. Giuseppe Gembillo (Direttore Scientifico della Scuola di Liberalismo di Messina), del dott. Lino Morgante (Presidente della Fondazione Bonino-Pulejo), del prof. Giovanni Moschella (Prorettore Vicario dell’Università di Messina), dell’on. avv. Enzo Palumbo (componente della Commissione Giustizia della Fondazione Luigi Einaudi), del prof. Marcello Saija (Ordinario di Storia delle Istituzioni Politiche presso l’Università di Palermo) e della prof.ssa Angela Villani (Ordinaria di Storia delle Relazioni internazionali presso l’Università di Messina). Le conclusioni saranno affidate all’avv. Giuseppe Benedetto (Presidente della Fondazione Luigi Einaudi).
A seguire, dalle ore 12.30 in poi, si svolgerà la premiazione dei vincitori delle cinque borse di studio, messe in palio a favore dei corsisti (di età inferiore ai 32 anni e frequentanti almeno i 2/3 delle lezioni della Scuola) che hanno svolto delle tesine sui temi oggetto del corso. Le borse di studio, tutte del valore di 500 € ciascuna e tutte intitolate alla memoria dell’on. prof. Gaetano Martino, sono state stanziate dall’Università degli Studi di Messina (in numero di due), dalla Fondazione Bonino-Pulejo, dalla Fondazione Luigi Einaudi e dal Coordinamento messinese della Fondazione Luigi Einaudi.
Della cerimonia di chiusura è prevista la realizzazione di una diretta streaming sulla pagina Facebook della Scuola di Liberalismo di Messina (facebook.com/scuoladiliberalis…).
La partecipazione all’evento è valida ai fini del riconoscimento di crediti formativi per gli avvocati iscritti all’Ordine degli Avvocati di Messina, nonché per gli studenti dell’Università di Messina.
Pippo Rao Direttore Generale Scuola di Liberalismo di Messina
Visita la pagina della Scuola di Liberalismo 2022 – Messina
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Siamo tutti supereroi
Tra il 2006 e il 2007 uscì uno degli archi narrativi più belli, secondo me, dell’universo Marvel: Civil War. Qualcuno magari avrà visto l’omonimo film, che però non c’entra niente.
Oggi voglio raccontarvi questa storia perché ha molto a che fare con la realtà che ci circonda e con l’attualissima diatriba tra chi vorrebbe incatenarci tra mille algoritmi e sistemi di sorveglianza di massa e chi invece preferirebbe semplicemente essere libero. C’è molto da imparare anche dai fumetti.
Civil War è una storia che parla di libertà, di privacy e dell’ingerenza arbitraria del governo. Potremmo dire che Civil War descrive ciò di cui parliamo ogni settimana su Privacy Chronicles.
I veri supereroi sono iscritti a Privacy Chronicles
Civil War, la storia
Tutto iniziò con una squadra di giovani supereroi, i New Warriors. I sei si trovavano a Stamford, in Connecticut, per girare un reality-show chiamato “Superhuman High”. Durante le riprese vennero a sapere che nella città si trovava anche un gruppo di super-criminali, la Skeletal League, che proprio in quei giorni stavano progettando di rapinare una banca. L’occasione sembrò ghiotta per aumentare il rating televisivo del reality-show, così i New Warriors decisero di attaccare e cercare di catturare la Skeletal League in diretta TV.
Purtroppo le cose non andarono come previsto. Durante i combattimenti uno dei supercriminali — Nitro — provocò un’esplosione proprio nel mezzo della città, che distrusse diversi quartieri e anche una scuola, uccidendo più di 600 persone — tra cui molti bambini.
Il drammatico episodio fu presto strumentalizzato dalla politica per attaccare tutti i supereroi che fino a quel momento agivano in modo indisturbato e spesso anonimo nel territorio degli Stati Uniti. Nel giro di pochissimo tempo il governo presentò un nuovo disegno di legge, chiamato Superhuman Registration Act.
L’atto, se approvato, avrebbe obbligato ogni “superumano” a registrarsi presso il governo e rendere nota la sua identità. Questo avrebbe consentito alle autorità di regolamentare le attività dei “supereroi”, supervisionarli, e — se necessario — sanzionarli. Il dibattito fu subito infuocato.
Da una parte c’era chi, come Tony Stark (Iron Man), prese subito le parti del governo. Secondo lui il Registration Act era semplicemente un atto dovuto. Un gesto di civiltà. La legge e la supervisione del governo avrebbero responsabilizzato tutti i supereroi, che quindi avrebbero smesso di agire in modo indipendente e al di fuori della legge.
Stark voleva evitare a tutti i costi il ripetersi di incidenti come quelli di Stamford ed era convinto che questo sarebbe stato possibile grazie a una forte legislazione per delimitare e regolamentare il campo d’azione dei supereroi.
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Dall’altra c’erano invece persone convinte che il Registration Act non fosse altro che un modo per violare le libertà fondamentali dei superumani, costringendoli a rivelare le loro identità segrete e rinunciare a ogni indipendenza.
Il principale sostenitore di questa tesi era Steve Rogers (Captain America). Secondo lui i supereroi avevano il dovere di agire moralmente e responsabilmente, ma come individui e non come macchine controllate dallo Stato. Steve credeva che il Registration Act avrebbe tolto ogni libertà di autodeterminazione ai supereroi, consegnando invece al governo il potere di manipolarli per finalità politiche.
I mass media, il pubblico e diversi gruppi di supereroi si divisero presto in due fazioni: da una parte quella pro-governo, capitanata pubblicamente da Tony Stark; dall’altra quella “ribelle”, condotta da Steve Rogers.
Le due forze in campo divennero sempre più violente, fino a sfociare in una violenta guerra civile tra alcuni gruppi di supereroi fedeli a Tony Stark o Steve Rogers. La battaglia finale, che vide diversi feriti e morti, portò alla sconfitta di Captain America, che venne catturato e arrestato in quanto leader della fazione ribelle e anti-governativa.
L’arco narrativo si chiude con l’emblematica morte di Captain America, ucciso da un cecchino mentre veniva accompagnato in manette sulla scalinata del tribunale dove avrebbe dovuto essere giudicato per i suoi crimini durante la guerra civile.
Insieme a lui, morivano anche le speranze di libertà dei superumani, ormai condannati alla schedatura governativa.
Qualche anno dopo gli eventi di Civil War si scoprì che il governo degli Stati Uniti da molto tempo era infiltrato fino alle sue posizioni apicali da agenti HYDRA (i nazisti dell’universo Marvel), e che il Superhuman Registration Act fu in verità un piano dei nazisti per sorvegliare e controllare i supereroi — unico vero ostacolo ai loro piani.
Tony Stark o Steve Rogers?
Il mondo è in piena guerra civile. Proprio come raccontavano i fumetti Marvel 17 anni fa, anche oggi siamo circondati da due fazioni capitanate da vari Tony Stark e Steve Rogers. E come in Civil War, anche oggi la fazione vincente è quella dei Tony Stark.
Noi non abbiamo un Superhuman Registration Act, ma sistemi e leggi che Steve Rogers non avrebbe mai immaginato nel 2007. Schemi globali di identità digitale; sorveglianza totale delle comunicazioni; progetti per lo sviluppo di monete digitali di Stato e sorveglianza finanziaria; sistemi decisionali automatizzati e social scoring ; scatole nere obbligatorie sulle nostre auto…
L’effetto è lo stesso, anzi peggiore: sorveglianza totale delle nostre identità e delle nostre azioni. Per il “bene comune”.
I Tony Stark del mondo ci dicono che l’anonimato e la privacy devono essere combattuti, perché deresponsabilizzano le persone. Essere anonimi è pericoloso; la libertà è pericolosa. Tenere alla propria privacy significa avere qualcosa da nascondere, o essere dei criminali.
Questi sono convinti di essere circondati da imbecilli senza alcuna moralità né principi. Il prossimo è un potenziale criminale o qualcuno talmente inaffidabile da non poter neanche gestire la sua stessa vita. E come Tony Stark, credono di essere tra i pochi illuminati a poter guidare il gregge con quel bastone chiamato governo. La legge è uno strumento di dominio per la creazione di una “società migliore”, a loro immagine e somiglianza.
E poi ci sono gli Steve Rogers. Loro sono convinti che l’essere umano abbia in sé tutti gli strumenti per agire moralmente, in modo autonomo e libero — senza per questo essere perseguito. Queste persone sanno che per agire moralmente, bisogna prima essere liberi. Che ogni individuo ha il diritto di creare la sua strada e agire secondo i suoi principi; che non può esserci alcuna libertà senza privacy, e che il governo non è altro che uno strumento di controllo delle persone per fini politici (di specifici gruppi di potere). Sì, la libertà è sporca. È caotica. A volte, pericolosa. Ma non importa.
Paradimatico di questo pensiero è il celebre discorso di Steve Rogers a Peter Parker proprio durante la Civil War. Probabilmente uno dei migliori di tutto l’universo Marvel:
Non importa ciò che dice la stampa. Non importa ciò che dicono i politici o le masse.
Non importa se l'intero Paese decide che qualcosa di sbagliato è qualcosa di giusto.
Questa nazione è stata fondata su un principio sopra ogni altro: la necessità di difendere ciò in cui crediamo, senza tener conto delle probabilità o delle conseguenze. Quando le masse, la stampa e il mondo intero ti dicono di muoverti, il tuo compito è di piantarti come un albero accanto al fiume della verità e dire a tutto il mondo -
'No, muovetevi voi.’
Tu, da che parte stai?