La Finlandia entra nella NATO, la Russia annuncia contromisure
Pagine Esteri, 4 aprile 2023 – La Finlandia ha aderito ufficialmente all’alleanza militare della NATO. L’intenzione era stata resa pubblica dopo l’inizio dell’attacco russo all’Ucraina. I documenti di adesione sono stati consegnati al Segretario di Stato americano Antony Blinken: il Dipartimento di Stato USA è il depositario dei documenti di adesione dei Paesi NATO.
La Russia ha annunciato che prenderà “contromisure” per rispondere a quella che interpreta come una minaccia alla sua sicurezza. E che rafforzerà la propria presenza militare ai confini con la Finlandia se la NATO dovesse inviare le sue truppe nel Paese. “La Federazione Russa sarà costretta ad adottare misure tecnico-militari e altre misure di ritorsione per contrastare le minacce alla nostra sicurezza nazionale derivanti dall’adesione della Finlandia alla NATO”, ha avvertito il ministero degli Esteri in una nota. Aggiungendo che “la scelta della Finlandia segna un cambiamento fondamentale nella situazione nel Nord Europa, che in precedenza era stata una delle regioni più stabili del mondo”.
La Finlandia era in una posizione dichiarata “neutrale” dalla fine della Seconda guerra mondiale. Un altro Paese, neutrale da 200 anni, ha fatto richiesta di aderire all’alleanza militare atlantica, la Svezia. Al momento, però, il processo di accesso è ritardato dalle obiezioni di alcuni Stati membri.
Al momento il segretario generale della NATO, Jens Stoltenberg ha dichiarato che non saranno stanziate truppe militari in Finlandia. Ma allo stesso tempo non ha escluso la possibilità di un aumento delle esercitazioni militari, affermando che la NATO non permetterà alla Russia di dettare le condizioni.
Intanto il parlamento finlandese ha dichiarato che il suo sito web è stato colpito da un cosiddetto attacco denial-of-service, che ha reso il sito difficile da usare, con molte pagine non visibili
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Il David, simbolo di libertà e bellezza, non si discute, si ama
Il David colpisce ancora. Non con la fionda ma con la forza della sua bellezza, dell’ironia e della ragione ha colpito i piccoli Golia dell’oscurantismo, dell’ignoranza, della stupidità che, di tanto in tanto escono allo scoperto in nome del perbenismo contro il nudo nell’arte, scambiato per pornografia. L’ultima crociata è quella lanciata da alcuni cittadini […]
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Gli Accordi di Abramo nella dimensione europea. Terzi: “Importante collaborazione tra Paesi firmatari degli accordi e il mondo Euro-Atlantico”
“Nella preoccupante situazione che si è determinata con l’aggressione russa all’Ucraina e all’Europa, accompagnata dal rafforzamento dell’asse Mosca-Pechino, il valore degli Accordi di Abramo risiede sempre più nella ricerca della stabilità, nella ricostruzione delle basi essenziali per la deterrenza nel rifiuto dell’utilizzo della forza, nell’azione diplomatica e in una crescente collaborazione dei Paesi firmatari degli accordi con il mondo Euro-Atlantico”, lo ha detto Giulio Terzi di Sant’Agata, senatore di Fratelli d’Italia e, presidente della commissione Politiche dell’Unione europea, intervenendo ieri al convegno organizzato della Fondazione Luigi Einaudi proprio per parlare dell’importanza degli Accordi di Abramo in chiave occidentale, con la prospettiva di allargare l’orizzonte dell’operatività di tale intesa anche al continente europeo, per sviluppare nuove relazioni economiche e commerciali tra l’Ue e i Paesi degli Accordi.
Oltre a Terzi di Sant’Agata, hanno preso parte all’incontro anche Alon Bar, ambasciatore d’Israele in Italia, Naser M.Y. Al Balooshi, ambasciatore del Bahrain in Italia, Nicola Monti, amministratore delegato di Edison, Fiamma Nirenstein, senior member Jerusalem center of public affairs, Gabriele Carrer, giornalista di Formiche.net, e Fabrizio William Luciolli, presidente del Comitato Atlantico in Italia. Nell’aula Malagodi della Fondazione Luigi Einaudi, priva di posti a sedere liberi per il gran numero di ospiti venuti a seguire il convegno, ha aperto il dibattito il segretario generale della Fondazione, Andrea Cangini, che ha poi lasciato la parola a Simona Benedettini, membro del comitato scientifico della FLE e moderatrice dell’incontro.
“Il rafforzamento della collaborazione tra gli Stati membri dell’UE e tutti i Paesi degli Accordi di Abramo è sempre più necessario”, ha sottolineato Terzi, “soprattutto dopo le intese fra Iran e Arabia Saudita. Da essi può giungere un rafforzamento dello Stato di diritto nell’ordinamento internazionale, una maggior cooperazione sul piano della sicurezza con il contrasto alla proliferazione nucleare iraniana, una collaborazione tecnologica e di sviluppo e una significativa crescita commerciale visto che, per quanto riguarda l’interscambio dell’Italia con i cinque paesi degli Accordi di Abramo, tra il 2021 e il 2022 il nostro Paese ha registrato un incremento complessivo del 25%”.
Questo scenario è stato confermato anche dall’ambasciatore di Israele in Italia Alon Bar, che ha spiegato come gli investimenti in Israele da parte dei Paesi della regione, anche nel quadro degli Accordi di Abramo, stiano aumentando in modo significativo. “L’accordo di libero scambio firmato nel 2022 con gli Emirati Arabi Uniti ed entrato in vigore lo scorso primo aprile ne è un esempio. Nel 2021, il commercio bilaterale raggiungeva 1,2 miliardi di dollari; nel 2022 i 2,5 miliardi di dollari, mentre nei primi mesi del 2023 abbiamo raggiunto i 5 miliardi di dollari. Entro il 2027 ci aspettiamo di andare oltre i 10 miliardi”, ha detto l’ambasciatore, evidenziando il lavoro da parte di entrambi i governi per rafforzare la cooperazione e facilitare gli investimenti.
L’ambasciatore di Bahrein in Italia, Naser M.Y. Al Balooshi, si è invece soffermato sull’importanza della stabilità politica come elemento essenziale per lo sviluppo economico in Medio Oriente. “Possiamo vedere – ha detto – come la firma degli Accordi di Abramo e la normalizzazione delle relazioni diplomatiche abbia soddisfatto la dimensione del commercio in quanto i rapporti commerciali si sono di gran lunga rafforzati, ma hanno anche favorito la sicurezza nella regione”.
Al termine del convegno, significativo è stato l’intervento dell’amministratore delegato di Edison, Nicola Monti, che ha ricordato quanto sia importante “alimentare il percorso di diversificazione nell’approvvigionamento energetico anche attraverso la collaborazione tra le diverse aree geografiche”. Questo perché, ha detto, “il settore dell’energia è uno strumento di collaborazione e cooperazione tra i Paesi, così come un elemento di stabilità, ricchezza e competitività per il settore industriale di qualsiasi Paese”.
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UK privacy regulator fines TikTok £12.7m for children’s data violations
The UK’s data protection authority sanctioned TikTok £12.7 million for multiple data law violations, including the unlawful use of children’s personal data.
SIRIA. Quarto raid israeliano in 7 giorni, uccisi due civili
della redazione
Pagine Esteri, 4 aprile 2023 – Almeno due civili siriani sono morti in un raid aereo israeliano contro Damasco avvenuto la scorsa notte. Oltre alle due vittime civili, l’attacco ha provocato “danni materiali”. E’ la quarta volta che Israele bombarda la Siria in meno di una settimana. Ed è la settima volta che attacca la Siria da quando il Paese è stato devastato da un terremoto di magnitudo 7,7 due mesi fa.
Il 30 e il 31 marzo Israele aveva colpito la capitale siriana delle alture del Golan occupate, uccidendo due consiglieri militari del Corpo delle guardie rivoluzionarie dell’Iran (IRGC). Due giorni dopo, aerei da combattimento israeliani hanno lanciato dallo spazio aereo libanese un nuovo raid contro la città di Homs, ferendo almeno cinque soldati dell’esercito siriano.
Gli attacchi aerei israeliani sulla Siria sono illegali secondo il diritto internazionale ma Tel Aviv li giustifica come raid preventivi contro presunte postazioni e depositi di armi dell’Iran e del movimento sciita libanese Hezbollah, alleati di Damasco. L’escalation avviene in un periodo di forte tensione – segnato da attacchi e rappresaglie con morti e feriti – tra miliziani pro-Iran e le forze statunitensi che occupano porzioni di territorio siriano. A ciò si è aggiunto l’intensificarsi degli attacchi israeliani ai quali l’Iran ha risposto domenica notte lanciando un drone verso il territorio dello Stato ebraico.
In una dichiarazione rilasciata il 31 marzo, il ministero della difesa siriano ha affermato che i continui bombardamenti aerei di Israele sarebbe coordinati con miliziani estremisti. “Questi ripetuti attacchi – è scritto in un comunicato mostrano lo stretto coordinamento tra… Israele e gruppi terroristici… Il coordinamento dimostra oltre ogni dubbio le intenzioni deliberate contro la Siria che mirano a prolungare il conflitto (interno) e a esaurire le capacità del Paese”. Secondo Damasco, dall’inizio della guerra in Siria nel 2011, ci sarebbero stati livelli significativi di coordinamento tra Israele e gruppi jihadisti e qaedisti, in particolare Jabhat al-Nusra – l’ex ramo di Al-Qaeda nel paese, che ora è noto come Hayat Tahrir al -Sham (HTS). Pagine Esteri
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STEFANO CAVANNA “IL SUONO DEL DOLORE – TRENT’ANNI DI FUNERAL DOOM”
Da qui a pensare di realizzare un volume come “Il Suono del Dolore – Trent’anni di Funeral Doom” il passo è (relativamente) breve. Buon per noi che la Tsunami abbia scelto di sposare il risultato delle sue fatiche, altrimenti non avremmo tra le mani quello che ad oggi possiamo considerare come il volume “definitivo” sul funeral doom metal.
@L’angolo del lettore
iyezine.com/stefano-cavanna-il…
Stefano Cavanna "Il Suono del Dolore" - 2023
"Il Suono del Dolore - Trent’anni di Funeral Doom" riesce ad attrarre immediatamente, finendo per incuriosire anche chi se lo ritrova tra le mani casualmente mentre sfoglia le novità in libreria.Marco Valenti (In Your Eyes ezine)
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LIBRI. Recensione: “Ho visto Ramallah”
di Patrizia Zanelli*
Pagine Esteri, 4 aprile 2023 – “Fa molto caldo sul ponte. Una goccia di sudore. Scivola dalla fronte alla montatura degli occhiali, poi sulle lenti. Il calore offusca quello che vedo, che mi aspetto di vedere, che ricordo. Mi guardo attorno, e questo luogo si confonde con le immagini di tutta una vita, trascorsa per lo più aspettando di ritornare. Attraverso il fiume Giordano. Il legno del ponte scricchiola sotto i miei passi. Sulla spalla sinistra porto una piccola sacca. Cammino verso ovest in modo naturale, ma solo in apparenza. Dietro di me il mondo, davanti a me il mio mondo”.
Il poeta palestinese Murid al-Barghuthi (1944-2021) inizia a raccontare così, in Ho visto Ramallah [1], il suo ritorno in Palestina dopo un lungo esilio. Il ritorno in Palestina del poeta Murid Al Barghouti. Un percorso a ritroso di una vita vissuta tra due mondi. in questo romanzo autobiografico, per cui vinse nel 1997 la “Medaglia Nagib Mahfuz”, prestigioso premio letterario istituito dall’Università Americana del Cairo.
Evento storico cruciale del racconto è la guerra lanciata da Israele il 5 giugno del 1967, per occupare i territori palestinesi di Gerusalemme Est, Cisgiordania e Gaza, le alture siriane del Golan e la Penisola del Sinai egiziana. Allora laureando in Letteratura Inglese presso l’Università del Cairo, al-Barghuthi scoprirà di essere improvvisamente diventato esule. Poi vivrà in esilio in più paesi. Riuscirà a tornare in Palestina soltanto nell’estate del 1996 grazie agli Accordi di Oslo (1993 e 1995) che, però, lui stesso aveva da subito considerato inadatti a garantire una soluzione giusta e permanente del conflitto mediorientale. Ne ha la conferma appena arriva nel suo paese:
“Allora, sono questi i “territori occupati”! Questo luogo non è più un’espressione usata in un notiziario, puoi vederne chiaramente la terra, i sassi, le colline e le rocce. Questo luogo ha i suoi colori, una temperatura e arbusti che crescono spontanei…
Finalmente entro in Palestina, ma cosa sono tutte queste bandiere israeliane?”.
Via via deluso da quello che vede lungo il tragitto verso Ramallah, l’autore fa una riflessione generale, come se si rivolgesse alla sua gente, ricorrendo alla tipica autoironia: “Dal ’67 in poi tutto quello che abbiamo fatto è stato “temporaneo”, e sarebbe durato finché le cose non si fossero risolte. E ancora oggi, dopo trent’anni, niente è risolto!… Nel 1948, in seguito alla Nakba, la fondazione dello Stato d’Israele, i profughi si stabilirono nei paesi vicini come soluzione “temporanea”. Lasciarono le pentole sul fuoco sperando di tornare dopo qualche ora! Si dispersero nelle tende e in campi di lamiere di zinco e stagno “temporaneamente”… Abbiamo elaborato programmi di liberazione basati su tappe “temporanee”, ci hanno detto di avere accettato gli accordi di Oslo “temporaneamente”, e così via…”
Nella stessa riflessione al-Barghuthi denuncia chiaramente l’illusorietà di un processo di pace fallito in partenza, essendo sponsorizzato da Washington a sostegno di Tel Aviv, e che di fatto si traduce nella continuazione della Nakba. L’autoironia ravviva inoltre lo stile narrativo perlopiù asciutto e lineare, talvolta crudo, quasi giornalistico, tipico della non-fiction, adottato dall’autore per scrivere Ho visto Ramallah, un testo letterario affascinante e coinvolgente per il miscuglio di sentimenti che trasmette e perché la voce narrante è quella di un grande poeta che descrive la vita reale di persone vere. Nella prefazione del libro, Edward Said (1936-2003) nota anzitutto la concisione e la poeticità del racconto che definisce come “uno dei migliori resoconti personali sulla diaspora palestinese che siano mai stati scritti”. Del resto, anche lui aveva raccontato, in un saggio, il suo ritorno in Palestina, e precisamente a Gerusalemme, dopo un lungo esilio [2].
Munito di un permesso temporaneo per visitare i territori occupati da Israele, durante il breve soggiorno in Cisgiordania, al-Barghuthi ricorda la propria vita intrecciata a quella del suo popolo:“L’occupazione ci ha costretto a rimanere nel passato. Ecco la sua grave colpa: non ci ha privato dei forni d’argilla di ieri, ma della curiosità di sapere cosa avremmo potuto inventare un domani.”
Il futuro negato della Palestina, sottolinea Monica Ruocco, è infatti il problema centrale affrontato da al-Barghuthi in Ho visto Ramallah. L’opera spiega inoltre bene il significato della parola ghurba, usata per indicare la lontananza dalla patria, l’esilio, lo stato psicologico di chi vive una situazione del genere e che, per il poeta palestinese, è come la morte: “La gente crede che tocchi soltanto agli altri. Quell’estate diventai lo straniero che avevo sempre creduto fosse qualcun altro.”
Una volta laureato, al-Barghuthi raggiunge alcuni parenti in Kuwait dove rimane per un paio d’anni. Poi torna al Cairo per sposare, nel 1970, la fidanzata egiziana Radwa Ashur (1946-2014) – che aveva conosciuto all’università -, futura scrittrice femminista, critica letteraria e accademica famosa. Nel 1972, mentre insegna e lavora per l’emittente radiofonica Filasṭīn (Palestina), il poeta pubblica la sua prima raccolta di poesie. Nel giugno del 1977, diventa padre di Tamim, ma, come altri attivisti palestinesi perseguitati dal regime di Sadat, dopo appena cinque mesi sarà espulso dall’Egitto, vivendo poi un secondo esilio. Accolto dall’Ungheria come rappresentante dell’Olp, riuscirà a tornare al Cairo soltanto nel 1994.
In Ho visto Ramallah, l’autore parla di questa lunga lontananza dalla moglie e dal figlio, inframmezzata dai periodi di vacanza in cui loro andavano a trovarlo a Budapest. Nel romanzo, infatti, unisce l’assenza dalla Palestina alla presenza in Palestina, suggerendo che ognuna delle due situazioni è implicita nell’altra nella vita dell’esule; spiega così appieno il senso della ghurba che per lui è una condizione definitiva dell’anima; descrive un dolore che sembra sfumarsi in una malinconia sempre nascosta in fondo al cuore. L’autore riscopre di fatto il suo paese con lo sguardo meravigliato – ma non distaccato – di uno straniero durante quel viaggio fitto di incontri con amici, parenti e intellettuali impegnati in un lavoro di resistenza culturale, come il grande poeta Mahmud Darwish (1941- 2008); e ricorda man mano il passato, per spiegare quello che prova mentre conosce direttamente il presente della sua gente sotto l’occupazione militare israeliana:
“Israele chiude un’area qualsiasi quando vuole. Le persone non possono entrare e uscire, se non quando viene meno il motivo della chiusura, ma di motivi se ne trovano sempre. Vengono alzate barriere tra una città e l’altra. Qui ho sentito la parola mahsom per la prima volta. Vuol dire ‘barriera’ in ebraico. La nascente sensazione di libertà è temporanea.”
Nel romanzo, l’autore denuncia sia le azioni dell’occupante israeliano sia le scelte e l’arroganza dei dirigenti palestinesi; insiste infatti sull’illusorietà del processo di pace di Oslo: “Quando sentite qualcuno pronunciare da una tribuna l’espressione «smantellare gli insediamenti», fatevi una bella risata. Non sono fortezze fatte da bambini con il Lego o il Meccano. Le colonie sono di per sé Israele. Sono l’idea, l’ideologia, la geografia, un imbroglio, una delle tante trovate di Israele. Sono il luogo che ci apparteneva e che hanno fatto loro. Gli insediamenti sono le loro scritture nella loro forma originaria. Sono la loro Terra promessa. Sono la nostra assenza. Gli insediamenti sono la diaspora palestinese”.
In altri brani, l’autore esprime un misto di rabbia e amarezza nell’osservare la deturpazione del paesaggio tradizionale della Palestina, caratterizzato dall’armonia tra natura e architettura. Ora, invece, lo vede deformato per via delle azioni volute dallo Stato occupante, Israele, in linea con la sua politica di Apartheid volta a impedire ai palestinesi di costruirsi un futuro nel loro stesso paese: colonie sparse a macchia di leopardo, check-point ovunque, segni delle distruzioni compiute dall’esercito e così via.
D’altro canto, nel romanzo, al-Barghuthi descrive anche momenti belli e divertenti della propria vita, inclusi quelli vissuti nel seppure breve soggiorno in Palestina. Torna nel villaggio in cui era nato, Deir Ghassana, ricorda quando a sette anni si era trasferito con la famiglia da lì a Ramallah, allora un sobborgo di Gerusalemme. Descrive un matrimonio, con canti, e in particolare, un giovane che danza la dabka; i caffè; una serata poetica e altro. Nel testo include anche alcune delle sue poesie.
Ma durante quel viaggio non riesce a tornare a Gerusalemme: l’esercito israeliano aveva chiuso ogni accesso alla città. Per presentarla, nel romanzo, l’autore anzitutto la spoglia dei suoi simboli per restituirla alla realtà, rendendola viva. Raccoglie i propri ricordi personali di un’esistenza umana normale; con una modalità quasi cinematografica propone una carrellata di immagini di spazi e oggetti, descrive soprattutto una miriade di persone, di attività, di sensazioni ed emozioni, riuscendo a spiegare l’importanza esistenziale, affettiva e identitaria di questa città per il popolo palestinese: “La Gerusalemme che il mondo conosce è la capitale delle religioni, della politica, dei conflitti. Il mondo non conosce la nostra Gerusalemme, quella della gente […] Questa è la città dei nostri cinque sensi, dei nostri corpi e della nostra infanzia. La Gerusalemme in cui camminavamo senza fare troppo caso alla sua sacralità, perché vivevamo lì. E lei era noi”.
Ho visto Ramallah è un romanzo realistico, privo di sentimentalismi e tuttora attuale, perché l’autore presenta le mille sfumature del dolore palestinese, senza banalizzarlo né idealizzarlo, rivelandone tutta l’umanità. Descrive la vita reale della sua gente, parlando di morte, violenza e oppressione, ma anche di amore, bellezza e voglia di vivere. Nel 1998, inoltre, al-Barghuthi tornò di nuovo in Palestina con il figlio Tamim – adesso un poeta e accademico noto -, per fargli conoscere direttamente il suo paese. L’autore racconta anche quel viaggio, in Sono nato lì. Sono nato qui [3], un altro romanzo autobiografico o complemento di Ho visto Ramallah. Nel 2000, al-Barghuthi vinse il più importante premio letterario palestinese per la poesia. La sua intera opera rientra in una vasta testimonianza letteraria della Storia del popolo della Palestina che, come si sa e come conferma Edward Said, “non è un posto qualunque”. Pagine Esteri
NOTE
[1] Murid al-Barghuthi, Ho visto Ramallah, tr. Monica Ruocco, Ilisso, 2005.
[2] Edward Said, Tra guerra e pace: ritorno in Palestina-Israele, tr. Giovanna Bettini e Maria Antonietta Saracino, Feltrinelli, 1998.
[3] Murid al-Barghuthi, Sono nato lì. Sono nato qui, tr. Enrica Preti, Edizioni Q, 2021.
*Patrizia Zanelli insegna Lingua e Letteratura Araba all’Università Ca’ Foscari di Venezia. È socia dell’EURAMAL (European Association for Modern Arabic Literature). Ha scritto L’arabo colloquiale egiziano (Cafoscarina, 2016); ed è coautrice con Paolo Branca e Barbara De Poli di Il sorriso della mezzaluna: satira, ironia e umorismo nella cultura araba (Carocci, 2011). Ha tradotto diverse opere letterarie, tra cui la raccolta poetica Diario della Rivoluzione (Lushir, 2011) del poeta tunisino Mohammed Sgaier Awlad Ahmad, e il romanzo Atyàf: Fantasmi dell’Egitto e della Palestina (Ilisso, 2008) della scrittrice egiziana Radwa Ashur. Ha curato con Sobhi Boustani, Rasheed El-Enany e Monica Ruocco il volume Fiction and History: the Rebirth of the Historical Novel in Arabic. Proceedings of the 13th EURAMAL Conference, 28 May-1 June 2018, Naples/Italy (Ipocan, 2022).
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4 aprile, CONVEGNO “Trasferimento Transatlantico dei Dati”
Alla Camera dei deputati questa mattina parliamo di “Trasferimento Transatlantico dei Dati. Il nuovo scenario alla luce della proposta di decisione di adeguatezza”, convegno organizzato da Consorzio Netcomm. Per maggiori info qui.
4 aprile, Convegno “Tendenze e nuovi scenari per il giornalismo. Digitale. Artificiale? Report 2023”
Questa mattina dalle ore 10.00 parteciperò al convegno organizzato dall’Ordine dei giornalisti “Tendenze e nuovi scenari per il giornalismo. Digitale. Artificiale? Report 2023”. Per info qui.
Sustanalytics – Combustibili di distruzione di massa
La proliferazione dei combustibili fossili sarà regolamentata come per i trattati internazionali sulle armi nucleari? Per alcune isole del Pacifico, che stanno emergendo tra i paesi più attivi sul piano della denuncia multilaterale contro i grandi inquinatori, sì
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In Cina e Asia – Pallone cinese negli Usa, è dibattito sulle informazioni raccolte
I titoli di oggi:
Pallone cinese negli Usa, aperto il dibattito sulle informazioni raccolte
App made in China, Pinduoduo bocciata dagli analisti
Cina, i primi dati sulle perdite delle compagnie aeree
Usa, Giappone e Corea del Sud: al via le esercitazioni congiunte nel Pacifico
Mar cinese meridionale, la Malesia chiede un confronto con Pechino mentre le Filippine aprono quattro nuove basi militari agli Usa
Malesia, rimossa la pena di morte obbligatoria per reati gravi
Bangladesh, incendio divora un complesso commerciale
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SUD SUDAN. L’Onu accusa alti ufficiali di abusi e violazioni dei diritti umani
Pagine Esteri, 4 aprile 2023- Una Commissione per i diritti umani delle Nazioni Unite ha pubblicato un rapporto in cui si afferma che alcuni funzionari del Sud Sudan hanno perpetrato gravi violazioni dei diritti umani e dovrebbero essere perseguiti per i propri crimini.
La Commissione parla di omicidi, stupri e schiavitù sessuale come pratiche diffuse. L’indagine è durata un anno e ha coinvolto 6 Stati del Sud Sudan.
Nessuna delle persone ritenute responsabili ha, al momento, affrontato le accuse o ricevuto una condanna.
“Per diversi anni, i nostri risultati hanno costantemente dimostrato che l’impunità per crimini gravi è un motore centrale della violenza e della miseria affrontati dai civili in Sud Sudan”, ha dichiarato Yasmin Sooka, presidente della Commissione. “Quindi abbiamo deciso di fare i nomi di più persone che meritano indagini e procedimenti penali per il loro ruolo in gravi violazioni dei diritti umani”. Tra gli altri, il rapporto nomina il governatore di Unity State, insieme al generale delle forze di difesa del popolo del Sud Sudan, accusati di aver giustiziato sommariamente almeno quattro ufficiali delle truppe governative. Tre sono stati uccisi da un plotone di esecuzione e il quarto è stato bruciato vivo in una capanna.
Il commissario della contea di Koch, invece, è accusato di aver condotto orribili attacchi contro la popolazione civile.
Tutte queste persone non solo non sono state processate ma sono rimaste in carica e continuano a svolgere i propri incarichi.
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PRIVACY DAILY 85/2023
Papa Francesco non molla!
«Ho sentito solo un malessere, ma non ho avuto paura», e poi «Ancora vivo, sai»! Sono le parole pronunciate dal Papa all’uscita dal Policlinico Gemelli: le prime parole da lui pronunciate, perfino prima di compiere quel gesto di grandiosa umanità, di abbracciare quella madre privata del figlio, che, per una curiosa coincidenza di quelle che poi […]
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Chi è Alessandra Bruni, nuova presidente di Enav
Alessandra Bruni è stata nominata presidente di Enav, in vista dell’assemblea che dovrà ratificare le decisioni del governo. Laureata in Giurisprudenza all’Università Sapienza di Roma, nel 1990 entra nei ruoli dell’Avvocatura generale dello Stato. Dal 2003 è consulente giuridico di Sace, dal 2018 di Simest. Dal 2007 è membro della Commissione interministeriale per le risorse minerarie e gli idrocarburi presso il Mise, con compiti tecnico consultivi per la ricerca mineraria di base, per la coltivazione degli idrocarburi e per le royalties.
Da avvocato dello Stato ha seguito processi penali di assoluta rilevanza per le istituzioni, dal processo Calipari a Mafia Capitale, oltre a una serie casi sui danni da amianto. È esperta di gestione dei beni confiscati alla mafia e reati ambientali.
Dal 2003 al 2013 è stata anche docente alla Sapienza di Roma per la scuola di specializzazione delle professioni legali e dal 2004 al 2010 ha insegnato Diritto processuale civile all’Università “Guglielmo Marconi”. Dal 2017 è presidente della Corte federale di appello della Federazione italiana sport equestri e dal 2018 è presidente della Corte federale di appello della Federazione italiana tiro con l’arco. Dal 2003 al 2015 ha ricoperto l’incarico di consulente giuridico e poi di direttore dell’ufficio legale della fondazione Teatro dell’Opera di Roma. È autrice della monografia “La difesa dello Stato nel processo” e ha collaborato alla redazione di vari volumi giuridici
Sub-imperialismo e multipolarità: il dilemma del Brasile
Nelle vene aperte dell’America Latina Eduardo Galeano ha descritto una guerra genocida di cambio di regime del 1870 condotta in Paraguay da una Triplice Alleanza dei suoi vicini, Argentina, Uruguay e Brasile, per conto dell’imperialismo britannico. L’obiettivo, il presidente nazionalista Solano Lopez, è morto in battaglia. Il paese ha perso 56.000 miglia quadrate di territorio. La […]
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L’identità che manca alla Destra di governo
Perché lo fanno? Perché illustri dirigenti politici, manager pubblici, uomini di governo e alte cariche istituzionali di Fratelli d’Italia continuano a gettare generose e improvvise secchiate di benzina sulla fiamma sempre ardente dell’antifascismo militante?
Escludiamo, per logica politica, che lo facciano col deliberato intento di ricompattare le opposizioni e di mettere in allarme i partner, i mercati e le Istituzioni europee. Escludiamo anche, per carità di Patria, che lo facciano per faciloneria, per superficialità o per vanità personale.
Se lo fanno, c’è da credere che lo facciano spinti da un calcolo di convenienza politica oppure trascinati da un istinto primario irrefrenabile. La ragione politica, se ci fosse, non potrebbe che essere questa: catalizzare l’attenzione mediatica sulla questione fascista per distrarre l’opinione pubblica dai gravi impasse del governo sul Pnrr e soprattutto sui migranti, e al tempo stesso dare un segnale di coerenza ideale ad una base elettorale prossima a ravvisare, secondo la martellante retorica di un decennio trascorso dal partito interamente all’opposizione, il cedimento della Destra di governo alle dinamiche dell’Europa e agli interessi dell’America. Ci sarebbe una logica, certo, anche se si tratterebbe di una logica miope. Miope perché ai consensi guadagnati in patria fanno da contraltare lo scetticismo e la sfiducia internazionali: elementi che, in un mondo globalizzato e in una fase politica interamente giocata sulla scena europea ed estera, pesano sul futuro e sull’efficacia del governo ben più di qualche punto percentuale perso nei sondaggi di opinione.
No, troppa grazia. Difficile pensare ad una regia, difficile credere si tratti di una, per così dire, raffinata strategia politica. Non resta, allora altra spiegazione se non quella dell’istinto primario. Un istinto identitario, un istinto di sopravvivenza. La reazione naturale all’orrore del vuoto percepito dell’identità presente e alla mancanza di un copione nuovo da recitare con metodo Stanislavskij per mettersi al passo con i tempi. È come se una parte non trascurabile dei dirigenti di Fratelli d’Italia facesse fatica a calarsi nella narrazione meloniana e non percepisse il senso politico della strada intrapresa. È stata, in effetti, una svolta a freddo. Una narrazione ancora giovane imposta da una realtà in rapido mutamento e dal precipitare degli eventi internazionali: la guerra in Ucraina, la rinnovata centralità dei valori liberali, le sfide della modernità, la consapevolezza che non è possibile resistere al governo dell’Italia schierando l’Italia contro l’Europa. È su questi assi che dovrebbe prendere forma la nuova identità della destra di governo. Ma la forma si sforma, il disegno non si completa, il nuovo quadro non suscita emozioni né scatena sentimenti. E senza il mastice delle emozioni e la calce dei sentimenti le identità politiche faticano ad affermarsi e a stare in piedi.
È una condizione che spaventa, disorienta, atterrisce. Occorrerebbe una decisa azione di pedagogia politica, ma Giorgia Meloni stenta ad attuarla. Occorrerebbe una nuova retorica identitaria calata nella modernità, ma nel mondo degli intellettuali meloniani non si vede chi possa farsene carico. Non resta, allora, che abbandonarsi ai vecchi istinti e, a 78 dalla fine del Fascismo e a 28 dalla svolta di Fiuggi, rifugiarsi nelle antiche identità, pur sapendo che con la testa pervicacemente rivolta al passato sarà difficile costruirsi un futuro.
Fatte tutte le opportune distinzioni, qualcosa di simile sta accadendo anche alle sinistre. Al Pd della Schlein e ai grillini di Conte. L’identità, tema cui il politologo Francia Fukuyama ha dedicato un recente saggio, è con tutta evidenza il tema dell’epoca.
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La guerra in Ucraina avvicina la ‘mezzanotte nucleare’
La prospettiva di un olocausto nucleare è sempre stata terrificante. Ma negli ultimi anni della Guerra Fredda e nei tre decenni che seguirono la sua fine, la sfida esistenziale delle armi nucleari è divenuta sempre meno un pericolo evidente e presente. Certo, nell’era post-1991, la guerra nucleare potrebbe ancora accadere per errore. Potrebbe scoppiare tra […]
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Armenia: fedele alleato della Russia, non partner dell’Occidente
Alcuni europei, americani e canadesi non vogliono accettare il fatto che l’Armenia sia seconda solo alla Bielorussia come Stato satellite russo. Invece, trattano l’Armenia come un potenziale candidato in erba per l’integrazione europea, ignorando l’impossibilità che il Cremlino consenta all’Armenia di fare una ‘Brexit’ da organizzazioni guidate e controllate dalla Russia in Eurasia. Questo mese […]
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Elicotteri, F-35 e Fregate. I piani di Lockheed Martin che avvicinano Italia e Usa
Caccia di quinta generazione, elicotteri del futuro, collaborazioni globali e interconnessione tra piattaforme. Sono solo alcuni dei programmi illustrati a Roma dal management di Lockheed Martin, il gigante industriale della Difesa statunitense, che ha una lunga e consolidata collaborazione con il nostro Paese. “L’Italia ha da poco festeggiato i cento anni della sua Aeronautica militare” ha infatti ricordato Jonathan Hoyle, chief executive Europe, “con la quale ci lega una collaborazione da settant’anni” esemplificata dall’F-35. Il caccia stesso, come sottolineato dal manager è “assemblato e costruito a Cameri in partnership con Leonardo”, unico Paese in Europa ad avere sul suo territorio un centro di produzione del caccia di quinta generazione. Altro partner importante di Lockheed Martin è Fincantieri, “con la quale l’azienda collabora sulle Littoral Combat Ship della US Navy” nei cantieri del gruppo italiano in Wisconsin e “sulle nuove fregate della classe Constellation”.
Il legame atlantico passa per l’F-35
Per Hoyle, proprio l’F-35 rappresenta un esempio dei legami che uniscono l’Europa e gli Usa, anche attraverso l’Italia. Il vicepresidente Aeronautics del gruppo, Randy Howard ha aggiunto che: “Tutti i novecento aerei consegnati finora nel mondo hanno componenti italiane a bordo”. A Cameri, infatti, vengono prodotte le ali non solo per i mezzi italiani “ma di tutti i caccia a livello mondiale”. Attualmente il nostro Paese opera 17 F-35 in versione A e sei in versione B, dei novanta totali (sessanta A e trenta B), dalle basi aeree di Ghedi, Amendola, Taranto a bordo di Nave Cavour e in futuro opererà anche dalla base di Grottaglie in appoggio alla portaerei.
Un cammino secolare. Il record dell’Aeronautica e di Sikorsky
Quello con l’F-35 e la Lockheed, però, non è l’unico legame che unisce il nostro Paese al gruppo statunitense. “L’Italia compra i nostri prodotti dal 1953” ha infatti raccontato Jeff White, vice presidente Strategy and business development di Sikorsky, componente del gruppo LM dedicata all’elicotteristica, che tra l’altro condivide con l’Arma azzurra il compimento di cento anni di attività. Le Forze armate nazionali hanno espresso il loro interessamento per la tecnologia del Future vertical lift sviluppata da Sikorsky. “Al momento ci stiamo concentrando sul programma statunitense per l’elicottero di nuova generazione Future Vertival Lift (FVL)- il Future Attack Reconnaissance Aircraft (FARA)”, ha spiegato ancora White. I sistemi della società sono basati sulla tecnologia X2, che prevede un doppio rotore coassiale con un propulsore spingente. “Le sue velocità superano i duecento nodi – ha illustrato il manager – con il prototipo Defiant X che ha raggiunto i 250 nodi. Sono mezzi estremamente manovrabili, veloci e capaci di volare molto bassi”.
Il Future Vertical Lift (FVL)
Tutti elementi che saranno cruciali negli scenari contesi e contestati del futuro, come ha spiegato il direttore Future Vertical Lift international di Sikorsky, l’italiano Luigi Piantadosi: “Gli elicotteri del prossimo futuro dovranno essere più capaci di sopravvivere, avere raggi d’azione più ampi, ed essere capaci di volare molto velocemente, molto bassi, sfruttando corridoi molto stretti”. Agilità e manovrabilità saranno dunque essenziali, tutte caratteristiche garantite dalla tecnologia X2. Inoltre, ha aggiunto Piantadosi, “la struttura dei sistemi sarà basata su una architettura guidata dal principio del Modular Open System Architecture (MOSA)”, capace di integrarsi con gli altri mezzi e velivoli attualmente in servizio nei diversi domini operativi militari. Come ribadito da Piantadosi, la combinazione delle pale contro-rotanti e il propulsore di coda “garantiscono agli apparecchi una incredibile capacità di virata stretta”. Infatti, per questi apparecchi di nuova generazione “la capacità di sopravvivenza sarà l’elemento chiave nel futuro” unita all’elevata manovrabilità dei mezzi permetterà agli apparecchi di evitare con più facilità le minacce anche in ambienti contestati. Anche l’Italia sta osservando con attenzione l’evoluzione di queste tecnologie, e il ministero della Difesa “è attualmente impegnato nello studio per stabilire le necessità degli ambienti operativi nei quali dovranno agire le Forze armate e le tecnologie future nell’ala rotante”.
Il Nato Next Generation Rotorcraft Capability (NGRC)
L’Italia, inoltre, partecipa al Nato Next Generation Rotorcraft Capability, programma che ha l’obiettivo di sviluppare un elicottero capace di raggiungere velocità, distanze, e altezze superiori ai modelli attuali e che vedrà Sikorsky avanzare la sua proposta per uno sviluppo basato sulla tecnologia X2. Alla domanda di Airpress sui prossimi passi che l’azienda intende compiere riguardo al programma NGRC, Piantadosi ha spiegato che l’Alleanza intende sviluppare il NGRC attraverso cinque studi, tre aperti all’industria e due interni. “Per quanto riguarda i tre aperti, saranno probabilmente studi concentrati sulle nuove tecnologie, sui nuovi sistemi di propulsione e su come l’industria vede l’architettura Modular Open System” mentre gli studi interni della Nato saranno più focalizzati sui requisiti. “L’azienda – ha concluso Piantadosi – è stata invitata a seguire una presolicitation conference, insieme ad altre industrie, e crediamo che questa possa essere davvero una grande opportunità per la Nato per capire veramente cosa serve, quali sono i nuovi requisiti base, e per noi un’occasione per dimostrare veramente cosa la nostra tecnologia può fare per la Nato”.
Il conflitto sociale divampa in Francia e Germania mentre in Italia… tutto tace
Non crediamo mai abbastanza a ciò in cui non crediamo (M. Conte S. 2004) Nel seguire ciò che accade da ben undici settimane di battaglia sociale in Francia o il picco del lunedì nero di blocco totale dei trasporti e del paese in Germania del 27 marzo qualcuno sarà stato attraversato da una strisciante invidia. […]
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La guerra in Ucraina spalanca l’Artico ai Paesi del Golfo
Quando si tratta della rottura delle relazioni tra l’Occidente e la Russia, gran parte dell’attenzione è rivolta all’Europa orientale. Tuttavia, anche l’Artico è stato colpito dall’invasione russa dell’Ucraina. Le sanzioni economiche hanno creato un ambiente difficile per le multinazionali del petrolio e del gas che operano nella regione artica russa. Negli ultimi anni, la Russia […]
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Paulette Jiles – Notizie dal mondo
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Un cammino verso la riforma del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite
La fine della Guerra Fredda ha visto un notevole cambiamento nella geopolitica globale. Forse tra i più drammatici c’è stato il crollo dell’Unione Sovietica nel 1991. Da allora, il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite (UNSC) è stato spesso criticato come un anacronismo che ha limitato l’efficacia delle Nazioni Unite nel promuovere i diritti umani […]
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È disponibile il nuovo numero della newsletter del Ministero dell’Istruzione e del Merito.
Ministero dell'Istruzione
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Intelligenza Artificiale: siamo oltre il baratro?
Elon Musk ha chiesto di fermare la ricerca sull’Intelligenza Artificiale. La notizia sta rimbalzando un po’ dappertutto come una biglia d’avorio su un panno di biliardo; dai salotti di riguardo ai circoli degli intellettuali. E dai giornali che vantano milioni di lettori ai social, che invece sono realmente frequentati da tutto il mondo. Con Musk ha […]
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RinCorsa
Non può che far piacere il drastico calo del peso delle bollette della luce: -55,3% per il prossimo trimestre, con alle spalle un altro -19,5%. Anche il gas è in rapida discesa. Ma sarebbe colpevole non leggere il significato politico di questi dati. E sarebbe dannoso non comprenderne le conseguenze.
Si torni con la mente ai giorni iniziali della criminale guerra scatenata da Putin in Ucraina. In quelle ore l’Occidente compì scelte che determinarono la sconfitta politica del Cremlino, preludio del disastro militare che si è poi visto. La condanna fu unanime, come le sanzioni e la decisione di affrancarsi dalle forniture russe di gas. Furono allora formulate delle ragionevoli previsioni, che si sono dimostrate esatte nonostante lo scatenarsi dello scetticismo dei putinofili:
1. La totale autonomia dal gas russo è stata raggiunta prima del tempo stabilito (complice un inverno mite) e il prezzo che oggi paghiamo è inferiore a quello di prima della guerra (rammentando che era salito a causa dell’aumento della domanda, dopo i blocchi produttivi imposti dalla pandemia);
2. La febbre dei prezzi (compensata da imponente spesa pubblica a sostegno dei consumi) ha avuto anch’essa la durata prevista e si rientra nella normalità, se non la si alimenta dall’interno;
3. L’effetto delle sanzioni sull’economia russa non è stato immediato, lo si disse subito, tanto più che gli acquisti di gas sono aumentati per riempire le riserve, ma si è dimostrato devastante e inesorabile, mandando la Russia in una recessione più profonda e declassandola a colonia cinese.
Le cose sono andate come si era detto. La guerra continua, purtroppo, e continuerà fin quando Putin potrà preservare sé stesso mandando al massacro la Russia e i russi. Spera che l’Occidente si fiacchi ma ha ottenuto l’esatto opposto, ovvero la corsa di tutti i Paesi dell’area a chiedere la protezione occidentale. Dietro il calo delle bollette c’è un vasto significato politico. Davanti, però, c’è una prospettiva di ripresa della corsa. Il governo fa bene ad affievolire e gradualmente far sparire i sostegni ai consumi, che non avendo più una motivazione patologica sarebbero solo distorsivi e inflattivi. Ma ora si deve anche smontare la retorica del Pnrr inattuabile per il cambio dei prezzi delle materie prime. La fase antecedente agli investimenti è quella delle riforme, nella quale si deve far lavorare la politica e il Parlamento, senza un centesimo di costi aggiuntivi. Mentre i costi dei materiali rientrano gradualmente nella normalità.
Il 2023 era previsto come un anno di rallentamento, ma di crescita. E anche questa previsione si è rivelata esatta, nonostante quasi tutte le forze politiche avessero fatto una campagna elettorale intestata a una recessione che non c’era. Ora siamo a uno snodo decisivo, perché l’uso razionale e tempestivo dei fondi europei fa la differenza – per l’anno in corso e quelli a venire – fra il ritorno a crescite asfittiche (erose dal costo del debito) e il consolidamento della eccezionale corsa fatta nel 2021 e nel 2022 (che erode il debito). Questo è lo spazio e l’occasione della RinCorsa. A impedircelo possono essere solo l’ignavia politica e l’incapacità pratica, che neanche un mago riuscirebbe mai a nascondere dietro la balla dei ritardi ereditati. Per non dire della bislacca tesi secondo cui i soldi a disposizione (buona parte dei quali regalati) sono “troppi”.
Qui sia concessa una considerazione politica. Il governo ha una vasta maggioranza e una opposizione divisa e dedita alla radicalizzazione. Il solo modo che ha per andare in crisi è sgretolarsi, il che non appare probabile. Per la destra, se non s’impantana nel passato, è l’occasione per cambiare il proprio futuro. Il che comporta la necessità di affrancarsi subito da slogan e concetti che servivano solo a essere “contro”, dai balneari al Mes. Le riforme non procedono proprio a causa di quel corteggiare ogni misero interesse che serva a danneggiare chi governa. Governano loro, è ora di cambiare.
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NABLUS. Esercito israeliano uccide due palestinesi
della redazione
Pagine Esteri, 3 aprile 2023 – Due combattenti palestinesi sono stati uccisi a Nablus durante una incursione dell’esercito israeliano nella città avvenuta questa mattina. I palestinesi sono Mohammed Al Qoutuni e Mohammed Abu Baker Al Junaidi. Quest’ultimo è stato uno dei fondatori della Fossa dei Leoni, il gruppo armato nato lo scorso anno nella città vecchia di Nablus e che include combattenti di diversi orientamenti politici.
Israele sostiene di aver arrestato nella città due abitanti – Ezz El-Din Touqan e Nidal Tabanga – che avrebbero aiutato l’autore dell’attacco armato di Hawwara dello scorso 25 marzo, in cui sono rimasti feriti due soldati, e di aver confiscato armi e munizioni.
Il bilancio di palestinesi uccisi da forze israeliane dall’inizio del 2023 è salito a 94.
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ISOLA DI SOCOTRA. Patrimonio dell’umanità ostaggio della geopolitica
di Eliana Riva –
Pagine Esteri, 3 aprile 2023 – Lo scorso venerdì 31 marzo il Governo di Salvezza Nazionale dello Yemen, la formazione guidata dagli Houthi, ha denunciato lo sbarco di nuove e ingenti forze militari degli Emirati Arabi Uniti sull’isola di Socotra. Lo scopo sarebbe quello di trasferirle su un’altra delle isole dell’arcipelago di proprietà yemenita, Abd al-Kūrī, che è stata trasformata, negli anni, in una base militare di Abu Dhabi, con il sostegno più recente di Israele.
L’isola di Socotra è un paradiso terrestre patrimonio dell’umanità. Un luogo singolare e ricco con una biodiversità eccezionale, composta da specie rare ed esemplari unici.
Abitata da circa 60.000 persone, si trova nel Mar Arabico, come fosse una pietruzza lanciata dalla mano tesa del Corno d’Africa a prolungare il Golfo di Aden. Insieme ad Abd al-Kūrī e alle piccolissime Samha e Darsa (quest’ultima di 7,5 kmq) forma un arcipelago di straordinaria e singolare bellezza. Il suo ecosistema è stato a lungo conservato incontaminato, cosa che ha permesso la sopravvivenza e la riproduzione di un numero molto alto di specie endemiche: animali e vegetali che esistono solo su quest’isola e che non è possibile trovare in nessun’altra parte del mondo. È grande circa 3.600 kmq ma i paesaggi che contiene sono tali e tanto diversi tra di loro da sembrare quasi illusori, alieni, miraggi ancestrali e scenari primordiali difficili da contenere.
Le spiagge di dune bianche di sabbia fine sono sormontate e protette da scure e aguzze montagne calcaree oltre le quali radure desertiche godono dell’ombra di giganteschi funghi verdi, gli Alberi di Drago (la Dracaena cinnibari, presente solo a Socrota), i cui rami sembrano fitte radici e dalla cui corteccia si ricava il “Sangue di drago”, una resina rossa utilizzata come tintura e ricca, si dice, di virtù terapeutiche.
Le spiagge dell’isola di Socotra
Distante 230 km dalla Somalia e 350 km dallo Yemen, dal 1967 appartiene amministrativamente a quest’ultimo anche se sotto nomi e forme diverse: prima alla Repubblica Democratica Popolare dello Yemen (Yemen del sud), poi alla Repubblica dello Yemen (unito), ma è dal giugno 2020 sotto il controllo del Consiglio di Transizione del Sud (STC), un’organizzazione secessionista yemenita supportata, trasformata e controllata dagli Emirati Arabi Uniti.
L’isola saluta le navi cargo che imboccano il Mar Rosso per attraversare il Canale di Suez e raggiungere, in circa 13 ore, il Mar Mediterraneo. Il 9% della fornitura mondiale di petrolio passa nei pressi di Socotra, sopra le navi da trasporto (circa 20.000 ogni anno).
Lo scorso febbraio 2023 Ansarallah, il movimento ufficiale yemenita degli Houthi, aveva già accusato gli Emirati di aver espulso i residenti della seconda isola più grande dell’Arcipelago di Socotra, Abd al-Kūrī, con l’obiettivo di trasformarla in un centro militare israelo-emiratino.
Il Ministero della Pesca del Governo di Salvezza Nazionale (NSG) il 31 marzo è tornato a denunciare alla televisione Al-Masirah che “i paesi dell’aggressione USA-Arabia Saudita non solo hanno occupato alcune delle isole dello Yemen, le sue spiagge e parti importanti delle sue terre, saccheggiando le sue ricchezze e distruggendo il suo ambiente ma hanno persino sfollato la popolazione di Abd al-Kūrī, che è una delle isole più importanti dell’Arcipelago di Socotra”. Il Ministro ha spiegato che le nuove immagini satellitari mostrano uno stabilimento per la costruzione di aeromobili e la realizzazione con pavimentazione di un’ampia area adiacente, per ospitare quelli che potrebbero essere magazzini militari o edifici logistici. Sono state poi create aree dedicate al personale militare e edifici moderni. Il Ministero della Pesca ha denunciato tali azioni da parte dei paesi occupanti “congiuntamente al nemico sionista nell’arcipelago e nelle isole strategiche yemenite”, chiedendo l’uscita delle truppe dall’isola di Abd al-Kuri e da tutte le terre, isole e coste yemenite, aggiungendo che “ritiene il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, le Nazioni Unite e le sue organizzazioni umanitarie e per i diritti umani responsabili per il loro silenzio sulla violazione della sovranità yemenita su una serie di isole”. Il ministro della Difesa del Governo di Salvezza Nazionale yemenita, il generale Mohammad al-Atifi, ha recentemente avvertito che esauritisi i tentativi di risoluzione pacifica della questione, saranno intraprese tutte le azioni necessarie per riprendere la sovranità sui territori occupati: “Le azioni ostili, cospiratorie, di sabotaggio e di assedio a cui oggi assistiamo, sono sicura testimonianza che l’aggressione non vuole instaurare alcuna forma di pace, e non ha alcuna reale disponibilità a pensare positivamente alla stabilità e alla pace nella regione né a rispettare la volontà del popolo yemenita”.
Gli Emirati Arabi hanno tentato per anni di prendere il controllo dell’isola di Socotra, come hanno più volte denunciato in passato le forze di governo dello Yemen, chiedendo anche alle Nazioni Unite di intervenire per evitare l’occupazione. L’occasione giusta per gli emiratini è arrivata quando terribili cicloni, tra il 2015 e il 2018 hanno devastato l’isola, mettendo in ginocchio la già fragilissima economia. Insieme agli aiuti umanitari hanno fatto atterrare a Socotra centinaia di soldati, carrarmati, aerei da combattimento. E soldi. Soldi per costruire complessi residenziali, residence turistici ma soprattutto edifici militari. E poi anche posti di lavoro, a migliaia. Ma tutto ciò non è bastato a scongiurare le manifestazioni e le proteste della popolazione locale che chiedeva che gli Emirati lasciassero l’isola. L’Arabia Saudita, che pure guidava la coalizione contro gli Houthi di cui gli Emirati facevano parte, ha temuto che Abu Dhabi riuscisse a comprarsi il sostegno degli abitanti e nel 2018 ha inviato a sua volta truppe per “addestrare e difendere le forze yemenite locali”, ossia quelle governative, che sostenevano il presidente Mansour Hadi. Così gli Emirati hanno formalmente abbandonato l’occupazione ma nei fatti, per due anni, hanno atteso il momento giusto per riprendere definitivamente il controllo.
I porti yemeniti controllati dagli Emirati Arabi Uniti
Il Movimento del Sud era una formazione separatista yemenita nata nel 2007 che aspirava al controllo della zona meridionale del Paese mediante una secessione dal resto della nazione su quelli che erano i confini del 1967-1990. Il gruppo è stato posto sotto l’ala protettiva degli Emirati Arabi Uniti che lo hanno rafforzato e sostenuto militarmente, trasformandolo fino a farlo diventare il Consiglio di Transizione del Sud, nel quale sono entrati a far parte alcuni governatori delle regioni meridionali dello Yemen, tra quello di Socotra. Il gruppo, nel giugno 2020, ha preso il controllo dell’isola, cacciando i sostenitori del presidente Hadi. Le bandiere sui palazzi sono diventate quelle degli Emirati Arabi, così come tutte le linee di comunicazione e telecomunicazione.
Abu Dhabi persegue una politica particolarmente aggressiva di controllo dei porti e dei luoghi chiave in Asia occidentale e nel Corno d’Africa. Attraverso espedienti e alleanze sono arrivati a controllare 12 porti dello Yemen del Sud, l’isola di Socotra e anche l’isola di Perim (chiamata anche Mayyun), lunga 5,6 km che divide in due l’ingresso dell’importantissimo stretto di Bab al-Mandab, in italiano letteralmente “Porta del lamento funebre”. Lo stretto congiunge il Mar Rosso con il Golfo di Aden, che separa l’Africa dalla Penisola Arabica. Chiunque controlli l’isola di Perim detiene un’autorità strategica sullo stretto.
Lo scorso anno gli Houthi avevano denunciato un altro trasferimento forzato di popolazione, quello dei pescatori di Perim. Nel 2017 gli Emirati avevano lì cominciato la costruzione di una base militare con pista di decollo ma avevano poi dichiarato di aver abbandonato isola e progetto. Nel 2021, però, l’Associated Press ha pubblicato immagini satellitari che mostrano importanti progressi nei lavori di costruzione della base militare che occupa praticamente l’intera Perim. I funzionari e gli ambasciatori di Abu Dhabi non hanno risposto alle domande dei giornalisti né hanno voluto commentare le immagini. Eppure, gli EAU nel luglio 2019 avevano annunciato il ritiro parziale dei loro soldati dalla coalizione anti Houthi a guida saudita.
Immagine satellitare dell’isola di Perim, con le costruzioni militari
Particolare delle installazioni militari sull’isola di Perim
Ma era già chiaro dallo scoppio della guerra che gli obiettivi di Abu Dhabi e quelli di Riyad non combaciassero. Il fatto che la prima appoggiasse il PLC (Presidential Leadership Council), il partito ufficiale di governo, e la seconda l’STC, i separatisti del Consiglio di Transizione del Sud, svelava la competizione sottintesa tra i due Paesi della Penisola Arabica per accaparrarsi il controllo politico e/o geografico dello Yemen.
Il principe Mohammed bin Zayed, nominato presidente degli EAU nel maggio del 2022, ha in programma di stabilire un impero marittimo che gli consenta il controllo delle rotte commerciali dal Golfo Persico al Mar Rosso. Gli Emirati sono il maggior ri-esportatore dell’intera regione. Una quantità altissima di merci viene importata all’interno dei confini emiratini e depositata per poi essere redistribuita con l’esportazione. Questo sistema costituisce quasi la metà delle esportazioni totali di Abu Dhabi (il 46,5%). Con l’obiettivo strategico di controllare le rotte commerciali, oltre ai 12 porti nello Yemen, al controllo di Perim e di Socotra, gli Emirati hanno una forte presenza di controllo degli scali marittimi nel Corno d’Africa, precisamente in Eritrea e in Somalia.
Un problema o, comunque, un grave impedimento per i progetti di MbZ è rappresentato dall’Iran, il quale pure sta espandendo le sue attività marittime dal Golfo Persico al Mar Rosso.
Nel settembre 2020, con la benedizione del presidente USA Donald Trump, gli Emirati Arabi Uniti hanno firmato con Israele gli ormai celebri Accordi di Abramo, un trattato di pace e di normalizzazione dei rapporti commerciali e diplomatici. Nel giro di qualche mese, appena dopo il suo insediamento, il nuovo presidente degli Stati Uniti, Joe Biden ha deciso di ritirare l’appoggio all’Arabia Saudita nella guerra in Yemen. Il vuoto lasciato dall’alleato americano e l’ufficializzazione dei rapporti privilegiati con lo stato ebraico hanno naturalmente guidato la convergenza degli interessi di Abu Dhabi e di quelli di Tel Aviv in chiave anti-Iran. In effetti, gli accordi prevedevano una cooperazione bilaterale proprio in queste aree e l’ipotesi che Israele potesse trarre vantaggio dalla presenza emiratina all’ingresso del Mar Rosso era stata immediatamente ventilata. Oggi è diventata una realtà fattuale, con Israele che supporta la realizzazione delle basi e fornisce sistemi di sorveglianza, di allerta e di intelligence.
Tra gli Emirati e Israele a guadagnarci di più è forse addirittura quest’ultimo, già soddisfatto di stabilire la propria presenza sul suolo appartenente a uno Stato arabo. Tel Aviv considera gli Houthi, i cui attacchi con i droni vanno solitamente a segno, una sorta di unità missilistica al servizio delle forze armate iraniane, utilizzati all’occorrenza da Teheran come una minaccia a Israele. In realtà non mancano divergenze tra l’Iran e gli Houthi, sarebbe semplicistico leggere le alleanze in un’ottica di integrale sovrapposizione ma è vero che Teheran sfrutta Ansarallah come minaccia e deterrente nei confronti dei “nemici” regionali.
D’altro canto, tra Mar Rosso, Mar Arabico e Golfo Persico, Israele e Iran sono impegnati ormai da lungo tempo in attacchi e rappresaglie reciproche a imbarcazioni commerciali e petroliere. Una presenza armata nel golfo di Socotra e sull’isola di Perim consente a Tel Aviv, da una posizione enormemente privilegiata, di controllare i movimenti Houthi e di rispondere in maniera tempestiva, a eventuali azioni dei ribelli o mosse iraniane. Israele conduce via mare il 98% circa del suo commercio e negli ultimi decenni l’importanza del Mar Rosso per Tel Aviv è cresciuta sensibilmente, anche perché in esso fluisce circa un quarto del commercio estero israeliano, quello che riguarda l’Asia, con la quale Israele intende stringere nuovi e più stretti rapporti, anche per limitare l’eccessiva dipendenza dall’Europa. Quando nel 1973, durante la guerra dello Yom Kippur, lo Yemen, in collaborazione con l’Egitto chiuse lo stretto di Bab el-Mandeb, bloccò tutte le attività commerciali che avevano destinazione Eilat. È un rischio alto per Tel Aviv lasciare all’Iran e agli Houthi la possibilità di mettere in piedi blocchi navali o di creare intenzionalmente incidenti come quello che ha coinvolto nel 2021 la nave portacontainer Ever Given. Certo, l’espansione israeliana nel Mar Rosso potrebbe allarmare ulteriormente l’Iran, ma la presenza degli Emirati Arabi Uniti rappresenta un freno: Abu Dhabi è il secondo partner commerciale della Repubblica islamica.
Superfluo ma necessario dire che la pace marittima del Golfo e del Mar Rosso è fondamentale anche per un altro importantissimo attore, la Cina, la quale ha interessi particolari affinché regni la quiete sulle rotte commerciali marittime che conducono al Canale di Suez. E proprio Pechino si è fatta promotrice della recentissima ripresa delle relazioni diplomatiche tra Ryadh e Teheran, che potrebbe cambiare gli scenari in Yemen a discapito degli Emirati Arabi Uniti e di Israele. Una pace tra gli Houthi (sostenuti dall’Iran) e le forze governative (sostenute dall’Arabia Saudita) difficilmente lascerebbe spazio agli obiettivi separatisti del Consiglio di Transizione del Sud (sostenuto dagli Emirati Arabi Uniti). Appena lo scorso 23 febbraio il leader degli Houthi, Abdul-Malik al-Houthi, in un video pubblicato dal canale televisivo Al Masirah, fondato da Ansarallah, ha dichiarato “fermeremo l’aggressione di chiunque violi la nostra indipendenza e la sovranità del nostro paese sulle isole, sulla terraferma e nel mare”. La minaccia, per nulla velata, è quella di un’aggressione alle installazioni militari israelo-emiratine sulle coste e sulle isole sotto sovranità yemenita, compresa quella di Socotra, della quale lo stesso al-Houthi ha più volte parlato.
شاهد | نحن نتمسك بحقوقنا المشروعةمن خطب #السيد_عبدالملك_بدرالدين_الحوثي #القول_السديد#شاهد_المسيرة pic.twitter.com/vU8Tiirfy6
— شاهد المسيرة(@ShahidAlmasirah) March 22, 2023
Una aggressione che, nel caso si raggiunga un accordo tra gli Houthi e il Presidential Leadership Council, potrebbe vedere addirittura insieme le due fazioni, al momento nemiche giurate, contro gli indipendentisti del Consiglio di Transizione del Sud e gli Emirati che li manovrano. Pagine Esteri
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Alpha & Omega - Ancient A & O - Lantern Records 2023
Disco speciale ed esclusivo per il Record Store del 2023 da parte dello storico duo dub britannico Alpha & Omega, dal titolo “Ancient A&O”su Lantern Records.
iyezine.com/alpha-omega-ancien…
Alpha & Omega - Ancient A & O - 2023
Disco speciale ed esclusivo per il Record Store del 2023 da parte dello storico duo dub britannico Alpha & Omega, dal titolo “Ancient A&O”su Lantern Records.Massimo Argo (In Your Eyes ezine)
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Montenegro, storica sconfitta per il presidente Milo Djukanovic
MAPPAMONDO – Le brevi
Pagine Esteri, 3 aprile 2023 – Storica sconfitta, in Montenegro, per il padre-padrone della scena politica locale Milo Djukanovic, al potere ininterrottamente per quasi trent’anni, sette volte come capo del governo e due volte in qualità di presidente della Repubblica.
Il giovane economista Jakov Milatovic (36 anni), leader del Movimento centrista ed europeista “Europa Adesso” (Pes), è il nuovo presidente della ex repubblica jugoslava. Secondo il Centro per il monitoraggio e la ricerca (Cemi) sulla base del 100 per cento delle schede scrutinate, nel ballottaggio delle elezioni presidenziali di ieri Milatovic ha ottenuto il 60% dei voti. Il suo sfidante, leader del Partito democratico dei socialisti (Dps) ha ottenuto solo il 40%.
Milatovic ha battuto il suo rivale in tutte le regioni del Paese e praticamente in tutte le città principali; nella capitale Podgorica la vittoria del leader del Pes è stata ancora più schiacciante, con il 69% dei consensi. Buona l’affluenza che, secondo i dati Cemi, è stata del 70,4%.
Il prossimo 11 giugno nel piccolo paese balcanico si terranno le elezioni parlamentari, e Djukanovic – artefice dell’indipendenza del Montenegro da Belgrado nel 2006 – spera in un’affermazione del suo partito per poter bilanciare la presidenza. Ma il suo Partito Democratico dei Socialisti è già uscito sconfitto dalle ultime elezioni legislative nel 2020, e anche questa volta i sondaggi gli sono sfavorevoli.
Lo sconfitto ex presidente, Milo Djukanovic
Nel duello televisivo andato in onda venerdì sera, Milatovic non ha esitato a definire l’ex presidente un autocrate, “l’ultimo dittatore europeo”, accusandolo di aver contribuito al dilagare della corruzione e della criminalità e promettendo una “pagina nuova per il Montenegro”.
Al secondo turno delle presidenziali Milatovic ha ottenuto il sostegno di tutti e cinque gli altri candidati esclusi dal ballottaggio.
“Nei prossimi cinque anni porteremo il Paese nella Ue. Vogliamo i migliori rapporti con i Paesi vicini dei Balcani occidentali” ha detto il vincitore, che nel suo programma elettorale ha anche puntato al miglioramento delle relazioni tra il Montenegro e la Serbia (nel paese almeno un terzo della popolazione è serba).
Djukanovic ha invece ripetutamente accusato Belgrado di portare avanti una politica ‘egemonica’ nella regione sobillando le minoranze serbe. – Pagine Esteri
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