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Allarme Pnrr, i rimedi possibili


Allarme Pnrr. L’abbondanza di risorse destinate al piano di ripresa si scontra con la povertà di capacità realizzative dello Stato. Però, il piano vale più del 10 per cento del Pil, come ha osservato sul Corriere della Sera Francesco Giavazzi il 5 aprile

Allarme Pnrr. L’abbondanza di risorse destinate al piano di ripresa si scontra con la povertà di capacità realizzative dello Stato. Però, il piano vale più del 10 per cento del Pil, come ha osservato sul Corriere della Sera Francesco Giavazzi il 5 aprile scorso, e rappresenta un grande esercizio innovatore che spinge l’intera Repubblica, a partire dai comuni, a misurarsi con il fattore tempo, sempre trascurato. Inoltre, è un esempio di attuazione di indicazioni europee che realizzano l’interesse nazionale e provano la coesione di tutta la politica italiana, perché si è partiti a metà del 2020 con il governo Conte e si è continuato con il governo Draghi, ed ora con il governo Meloni. Rinunciare a una parte dei fondi è contrario al nostro interesse.
Perché tanti dubbi, dunque? Qualcuno dice che si sono convogliati fiumi di denaro e si ha troppa fretta di spenderli. Qualcuno che si tratta di un traguardo impossibile e di un fallimento annunciato. Qualcuno lamenta che lo Stato è zoppo e non è in grado di attuare tanti obiettivi.

Qualcuno denuncia la «desertificazione delle competenze» nell’amministrazione pubblica. La situazione è stata ora analizzata in un’ampia relazione della Corte dei conti. Questa ha posto in luce i progressi fatti creando una struttura di missione alla presidenza del Consiglio dei ministri e un ispettorato generale al ministero dell’Economia e delle Finanze. Inoltre ha assunto 107 dirigenti, 544 altri funzionari e 366 esperti. Quando si passa, però, dal personale alle realizzazioni, si scopre che solo metà degli obiettivi che dovevano essere raggiunti nello scorso anno sono stati realizzati. I trasferimenti dallo Stato agli enti attuatori sono stati fatti per il 70 per cento, ma la metà delle misure interessate dai flussi finanziari è in ritardo e meno della metà dei fondi è stata effettivamente erogata. Inoltre, i dati finanziari dicono solo una parte della realtà, perché misurano gli impegni di spesa, non i risultati, per i quali si sarebbe al di sotto del 10 per cento degli obiettivi, con particolari ritardi nel settore scolastico e in quello dell’igiene urbana. Insomma, la spesa corrente vola, quella per investimenti ristagna. Si aggiunga che nel 2024-25 è previsto il picco della spesa, perché si dovrà esser capaci di spendere 45 miliardi per anno, per cui, se ora siamo in ritardo, lo saremo in misura maggiore nei prossimi anni.

Rimedi sono stati tentati, perché le difficoltà erano note. Un decreto-legge di ben 90 pagine, scritto in modo da assicurarne l’incomprensibilità, in corso di conversione in Parlamento, crea nuovi posti dirigenziali, istituisce strutture di missione, stabilizza personale non dirigenziale, tenta qualche semplificazione in materie varie, dalle università alle persone con disabilità, all’energia, ai rischi climatici, ai vigili del fuoco, all’edilizia scolastica, alla giustizia, ai beni culturali, all’energia, alle terre e rocce di scavo, alla politica agricola, alle politiche giovanili, piegando la maestà del legislatore fino a provvedere al finanziamento della tratta Montedonzelli-Piscinola della metropolitana di Napoli.

Un altro lunghissimo decreto-legge (circa 60 pagine, che sarebbero chiare se fossero state redatte in ostrogoto) è in preparazione, per il «rafforzamento della capacità amministrativa», pieno di disposizioni relative alle assunzioni, che vanno ad aggiungersi a quelle già compiute, che riguarderebbero 3.600 persone.

Insomma, più che provvedimenti mirati a rafforzare e accelerare, sono norme «omnibus», nelle quali spiccano, invece di razionalizzazioni, «abbuffate» di personale, per di più nelle strutture centrali, piuttosto che in quelle periferiche. Tutto è condito da frequenti ipocrite dichiarazioni per cui bisogna provvedere «senza nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica».
Ma basta aumentare il personale pubblico per rafforzare la capacità di realizzazione della pubblica amministrazione o bisognerebbe agire principalmente sui processi di decisione, sui meccanismi di incentivazione per il personale e sui troppo numerosi deterrenti penali e contabili che servono solo a spaventare gli onesti? E perché rafforzare principalmente le strutture centrali, in particolare quelle specializzate nei controlli, invece che puntare sulle strutture, specialmente quelle periferiche, su cui si può contare per le realizzazioni? Si sono valutati i pericoli di assecondare l’antica propensione dello Stato ad assumere impiegati per ridurre le tensioni del mercato del lavoro, una propensione che è spesso essa stessa all’origine delle disfunzioni amministrative?

L’esperienza recente della pandemia dovrebbe aver insegnato come gestire una situazione straordinaria. Non servono nuovi controlli, specialmente se affidati a vecchi controllori. Si tratta di poter fare affidamento su una centrale capace di mobilitazione e di monitoraggio, cioè di stimolare l’attuazione, seguire l’esecuzione, verificare i tempi, assicurarsi della ricezione e dell’applicazione dei nuovi principi. In secondo luogo, per raddoppiare la capacità della pubblica amministrazione, non basta affidarsi a nuove assunzioni o all’attività di formazione, come è nei programmi del ministro della Pubblica amministrazione. Occorre principalmente agire sugli snodi e sugli intoppi decisionali, come, per i lavori pubblici, è stato fatto con il codice dei contratti della pubblica amministrazione. Occorre, poi, saper ricorrere a terzi: ad esempio, se c’è bisogno di una nuova dotazione di tecnici, perché non mobilitare i nostri politecnici, oppure, se non si è capaci di gestire i vincoli, perché non valersi di bravi manager presi dal settore privato, chiamando e valorizzando energie che sono sparse dentro e fuori della pubblica amministrazione? Infine, bisogna saper decentrare con giudizio, conservando al centro soltanto un meccanismo di monitoraggio e di allarme.

Corriere.it

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CIAD. Espulso l’ambasciatore tedesco


Il diplomatico ha 48 ore per lasciare il Paese, formalmente a causa dei suoi "modi scortesi". Probabilmente la vera ragione ha a che fare con le critiche che ha formulato al Governo di transizione L'articolo CIAD. Espulso l’ambasciatore tedesco proviene

Pagine Esteri, 8 aprile 2023- Il conto alla rovescia per lasciare il Paese è cominciato ieri sera. A Jan-Christian Gordon Kricke, ambasciatore tedesco, sono state date 48 ore per andare via dal Ciad.

Non sono state date motivazioni specifiche ma il Ministro della Comunicazione ha fatto sapere che “La decisione del governo è motivata dall’atteggiamento scortese e dal mancato rispetto delle consuetudini diplomatiche”. L’ambasciatore, dunque, avrebbe trattato con modi sgarbati funzionari governativi e diplomatici.

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Il presidente del Consiglio militare di transizione del Ciad, Mahamat Idriss Déby Itno

Secondo i media locali, la decisione potrebbe essere stata presa a causa delle critiche che l’ambasciatore muoveva al governo di transizione. Il presidente del Ciad, Mahamat Idriss Déby, è in carica dal 2021 e, nonostante le promesse, continua a rinviare le elezioni.

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Israele bombarda Gaza e Libano del sud. Due donne israeliane uccise in Cisgiordania


Pesante attacco aereo sulla Striscia di Gaza e, prima dell'alba, anche nel Libano del sud. Decine di razzi lanciati verso il territorio meridionale israeliano. La polizia israeliana ha di nuovo caricato i palestinesi sulla Spianata di Al Aqsa L'articolo

7 APRILE

ORE 21.34 A Tel Aviv un palestinese ha investito un gruppo di persone e poi ha sparato, uccidendo un tirisra italiano e ferendone 7. L’attentatore è stato ucciso a colpi di arma da fuoco.

A Tel Aviv un palestinese ha investito alcune persone. Poi ha sparato. 1 è stata uccisa e 7 ferite.
L’attentatore è stato ucciso a colpi di arma da fuoco. pic.twitter.com/7JcQbgCIn3

— Pagine Esteri (@PagineEsteri) April 7, 2023

ORE 13.30 Le Forze armate israeliane stanno richiamando riservisti, piloti, avieri e della difesa antiaerea e antirazzi. Una decisione che sembra preludere alla ripresa con più intensità dei raid aerei su Gaza.

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ORE 11.30 Due giovani colone israeliane, dell’insediamento di Efrat, sono state uccise e un’altra, la madre, ferita gravemente in un attacco armato palestinese nella Valle del Giordano. Colpi di arma da fuoco sono stati esplosi da una autovettura contro quella delle vittime che era lì di passaggio.

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ORE 5.15 La polizia israeliana è di nuovo entrata con forze ingenti nella Spianata della moschea di Al Aqsa e ha caricato i fedeli presenti. Poco prima centinaia di palestinesi avevano scandito slogan a sostegno di Hamas e contro l’attacco israeliano a Gaza e in Libano.

ORE 5 Sono andati avanti per tutta la notte i raid aerei israeliani. Oltre ad aver colpito ripetutamente la Striscia di Gaza – dove si segnalano alcuni feriti tra cui un bambino di 12 anni – l’aviazione israeliana ha bombardato anche il Libano del sud prendendo di mira presunte postazioni del movimento islamico Hamas alla periferia del campo profughi palestinese di Rashidiye, nei pressi di Tiro. Avrebbe aperto il fuoco anche l’artiglieria israeliana. Un abitante di Rashidiye ha riferito che due proiettili sono caduti vicino al campo. Altri testimoni riferiscono di un colpo su una piantagione. Da parte loro Hamas e altre formazioni armate palestinesi hanno risposto sparando decine di razzi verso il territorio meridionale israeliano, prendendo di mira centri nei pressi di Gaza e la città di Ashkelon. Prima dell’alba un razzo ha colpito un edificio a Sderot ferendo un israeliano.

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Pagine Esteri, 6 aprile 2023 – Dopo una giornata di tensioni è cominciato un pesante attacco aereo israeliano su Gaza. Non si hanno ancora notizie chiare in merito alle conseguenze. L’aviazione israeliana ha colpito varie zone della Striscia e le sirene di allarme sono state attivate in tutto il sud di Israele. Il primo ministro Benyamin Netanyahu ha avvertito dopo la riunione del gabinetto di sicurezza che “la risposta di Israele, stasera e dopo, esigerà un prezzo significativo dai nostri nemici”.

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Israele bombarda la Striscia di Gaza

Ezzedin Qassam, l’ala militare di Hamas spara missili antiaerei terra-aria verso l’aviazione israeliana. In un comunicato stampa le forze armate israeliane, hanno dichiarato di aver colpito due tunnel e due fabbriche di armi appartenenti al movimento islamico Hamas. Non si hanno conferme a Gaza. Da parte sua Hamas dichiara di aver esploso 9 missili in risposta ai bombardamenti.

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L’operazione militare chiamata “La mano forte” è stata lanciata ufficialmente dal ministro Benjamin Netanyahu in seguito all’esplosione di decine di missili provenienti dal sud del Libano, in risposta, a quanto pare, ai raid israeliani nella Moschea di Al Aqsa, a Gerusalemme. Negli ultimi 2 giorni immagini di aggressioni e di processioni di detenuti hanno fatto il giro dei social dopo che la polizia israeliana è entrata con la forza, per due notti di seguito, nella moschea di Al Aqsa, a Gerusalemme, dove decine di fedeli palestinesi si radunano per celebrare il Ramadan.

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In seguito all’incursione sono stati arrestati 400 palestinesi, lasciati sfilare in processione per le strade di Gerusalemme. Nel primo pomeriggio di oggi circa 30 razzi sono stati esplosi dal sud del Libano. Quasi tutti sono stati intercettati ma un paio pare siano caduti, provocando un ferito. Israele ha risposto con bombardamenti nel territorio libanese. Alle 23.30 circa, ora italiana, aerei da guerra israeliani hanno sorvolato e colpito la Striscia di Gaza, da nord a sud, provocando ingenti danni. Pagine Esteri

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Ucciso un turista italiano a Tel Aviv


Un arabo israeliano ha investito un gruppo di persone a Tel Aviv, uccidendo un italiano di 35 anni e causando almeno cinque feriti. L'attentatore è stato ucciso. In Cisgiordania sono state uccise due giovani colone israeliane L'articolo Ucciso un turista

Pagine Esteri, 8 aprile 2023 – Tel Aviv. Un arabo israeliano di Kufr Qassem, Yosef Abu Jaber, ieri sera poco dopo le 20.30 italiane ha travolto intenzionalmente con6446262 la sua automobile un gruppo di turisti che passeggiavano sul lungomare di Tel Aviv. Ha perso la vita un italiano, Alessandro Parini, 36 anni, avvocato di Roma, e almeno cinque persone sono rimaste ferite, tra cui un altro italiano, Roberto Niccolai, che è stato dimesso questa mattina dall’ospedale Ichlov di Tel Aviv. L’attentatore è stato ucciso con numerosi colpi di arma da fuoco. Non era armato, nel veicolo è stata trovata solo una pistola giocattolo, come riferisce la stessa polizia italiana. La sua famiglia esclude categoricamente che Abu Jaber possa aver investito i turisti con l’intenzione di ucciderli, sottolinea che l’uomo era padre di cinque figlie e non aveva mai espresso forti posizioni politiche o simpatie per fazioni politiche.

La salma di Alessandro Parini “dovrebbe rientrare nei prossimi giorni in Italia”. Lo ha detto a SkyTg24 il ministro degli Esteri Antonio Tajani. Parini si era laureato nel 2011 alla Luiss di Roma e aveva conseguito il dottorato di ricerca nel 2019 presso l’università di Tor Vergata. Aveva già fatto vacanze in Medio oriente, visitando la Giordania.

Il momento in cui Yosef Abu Jaber, arabo israeliano di Kufr Qassem, ha travolto almeno 6 persone a Tel Aviv, in Israele.
Tra di loro Alessandro Parini, avvocato italiano di 36 anni, che è rimasto ucciso.t.co/dMGFhp1eFd pic.twitter.com/Ql6iuPsGRD

— Pagine Esteri (@PagineEsteri) April 7, 2023

Intorno alle 13.00 di venerdì 7 aprile è stata data notizia che le Forze armate israeliane stanno richiamando riservisti, piloti, avieri e della difesa antiaerea e antirazzi.

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Due giovani colone israeliane, dell’insediamento di Efrat, sono state uccise e un’altra, la madre, ferita gravemente in un attacco armato palestinese nella Valle del Giordano, nella mattinata di Venerdì. Colpi di arma da fuoco sono stati esplosi da una autovettura contro quella delle vittime che era lì di passaggio. In un’altra macchina, che le precedeva, c’era il padre che ha assistito alla scena. Le ragazze avevano 15 e 20 anni.

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Nelle prime ore del mattino la polizia israeliana è di nuovo entrata con forze ingenti nella Spianata della moschea di Al Aqsa e ha caricato i fedeli presenti. Poco prima centinaia di palestinesi avevano scandito slogan a sostegno di Hamas e contro l’attacco israeliano a Gaza e in Libano.

Sono andati avanti per tutta la notte, quella tra il 6 e il 7 aprile, i raid aerei israeliani. Oltre ad aver colpito ripetutamente la Striscia di Gaza – dove si segnalano alcuni feriti tra cui b – l’aviazione israeliana ha bombardato anche il Libano del sud prendendo di mira presunte postazioni del movimento islamico Hamas alla periferia del campo profughi palestinese di Rashidiye, nei pressi di Tiro. Avrebbe aperto il fuoco anche l’artiglieria israeliana. Un abitante di Rashidiye ha riferito che due proiettili sono caduti vicino al campo. Altri testimoni riferiscono di un colpo su una piantagione. Da parte loro Hamas e altre formazioni armate palestinesi hanno risposto sparando decine di razzi verso il territorio meridionale israeliano, prendendo di mira centri nei pressi di Gaza e la città di Ashkelon. Prima dell’alba un razzo ha colpito un edificio a Sderot ferendo un israeliano.

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Pagine Esteri, 6 aprile 2023 – Dopo una giornata di tensioni è cominciato un pesante attacco aereo israeliano su Gaza. Non si hanno ancora notizie chiare in merito alle conseguenze. L’aviazione israeliana ha colpito varie zone della Striscia e le sirene di allarme sono state attivate in tutto il sud di Israele. Il primo ministro Benyamin Netanyahu ha avvertito dopo la riunione del gabinetto di sicurezza che “la risposta di Israele, stasera e dopo, esigerà un prezzo significativo dai nostri nemici”.

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Israele bombarda la Striscia di Gaza

Ezzedin Qassam, l’ala militare di Hamas spara missili antiaerei terra-aria verso l’aviazione israeliana. In un comunicato stampa le forze armate israeliane, hanno dichiarato di aver colpito due tunnel e due fabbriche di armi appartenenti al movimento islamico Hamas. Non si hanno conferme a Gaza. Da parte sua Hamas dichiara di aver esploso 9 missili in risposta ai bombardamenti.

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L’operazione militare chiamata “La mano forte” è stata lanciata ufficialmente dal ministro Benjamin Netanyahu in seguito all’esplosione di decine di missili provenienti dal sud del Libano, in risposta, a quanto pare, ai raid israeliani nella Moschea di Al Aqsa, a Gerusalemme. Negli ultimi 2 giorni immagini di aggressioni e di processioni di detenuti hanno fatto il giro dei social dopo che la polizia israeliana è entrata con la forza, per due notti di seguito, nella moschea di Al Aqsa, a Gerusalemme, dove decine di fedeli palestinesi si radunano per celebrare il Ramadan.

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In seguito all’incursione sono stati arrestati 400 palestinesi, lasciati sfilare in processione per le strade di Gerusalemme. Nel primo pomeriggio di oggi circa 30 razzi sono stati esplosi dal sud del Libano. Quasi tutti sono stati intercettati ma un paio pare siano caduti, provocando un ferito. Israele ha risposto con bombardamenti nel territorio libanese. Alle 23.30 circa, ora italiana, aerei da guerra israeliani hanno sorvolato e colpito la Striscia di Gaza, da nord a sud, provocando ingenti danni. Pagine Esteri

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I fronti di Xi: tè con Macron e fuoco vivo nello Stretto di Taiwan


I fronti di Xi: tè con Macron e fuoco vivo nello Stretto di Taiwan 6444745
Pechino coccola Parigi mentre striglia la Ue su Taiwan. Appena ripartito il presidente francese lanciate vaste esercitazioni militari. 72 ore con manovre di accerchiamento e pattugliamenti speciali. Lunedì test a fuoco vivo dall'isola di Pingtan, da dove lo scorso agosto furono lanciati missili

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La nuova arma legale degli Stati Uniti contro Cina e Russia


Una legge pensata per bloccare TikTok potrà essere usata anche per controllare, sanzionare ed espropriare le aziende che fanno affari con Cina e Russia.

Il governo degli Stati Uniti ne è convinto: TikTok è un problema di sicurezza nazionale e va vietato. Il sentimento comune è che il social network di ByteDance potrebbe essere a tutti gli effetti un cavallo di Troia del governo cinese per spiare gli Stati Uniti. Come misura preventiva, già a dicembre l’installazione dell’app è stata vietata su qualsiasi dispositivo federale.

Anche l’Unione Europea si è lasciata contagiare, e la Commissione ha recentemente deciso di vietare l’installazione di TikTok sui dispositivi dati ai burocrati europei.

Fa un po’ ridere, considerando che abbiamo passato gli ultimi due mesi a discutere di palloni spia nel cielo senza che nessuno sapesse esattamente cosa farne. In ogni caso, loro ne sono convinti, e probabilmente è anche vero.

Ne sono così convinti che il 7 marzo è stata introdotta una proposta di legge pensata proprio per giustificare legalmente un eventuale divieto totale dell’app. Purtroppo, la legge rischia di fare molto di più, e potrebbero esserci implicazioni anche per noi europei.

Presto, iscriviti prima che venga vietata pure Privacy Chronicles!

Il RESTRICT ACT


Il RESTRICT ACT (Restricting the Emergence of Security Threats that Risk Information and Communications Technology Act)1, così è chiamata la proposta di legge, conferisce al Secretary of Commerce il potere di identificare e gestire rischi “inaccettabili” per la sicurezza nazionale derivanti dall’uso di tecnologie ICT controllate da “foreign adversaries”.

Una prima lista degli avversari è già inclusa nella proposta di legge:

  • Cina, Hong Kong e Macao
  • Cuba
  • Iran
  • Korea del Nord
  • Russia
  • Venezuela, sotto il regime di Maduro (sì, è proprio scritto così)

Il Secretary of Commerce avrà poteri pressoché illimitati. Prima di tutto, avrà il potere, in consultazione col direttore della National Intelligence, di rimuovere o inserire foreign adversaries alla lista, in base al suo giudizio.

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Sono a Marsiglia, ospite del congresso del Partito Comunista Francese, aperto dalla relazione del segretario Fabien Roussel. Al centro del dibattito la lotta co


Ucciso un turista italiano a Tel Aviv e due israeliane in Cisgiordania


Un arabo israeliano ha investito un gruppo di turisti italiani a Tel Aviv, causando un morto e sette feriti. L'attentatore è stato ucciso. In Cisgiordania sono state uccise due giovani colone israeliane L'articolo Ucciso un turista italiano a Tel Aviv e

Pagine Esteri, 7 aprile 2023 – Tel Aviv. Un arabo israeliano di Kufr Qassem, Yosef Abu Jaber, ha travolto con la sua automobile un gruppo di turisti. Ha perso la vita un italiano di 30 anni e altre sette persone sono rimaste ferite, tra cui 3 minorenni. Si attende la conferma ufficiale della nazionalità. L’attentatore è stato ucciso con numerosi colpi di arma da fuoco.

A Tel Aviv un palestinese ha investito alcune persone. Poi ha sparato. 1 è stata uccisa e 7 ferite.
L’attentatore è stato ucciso a colpi di arma da fuoco. pic.twitter.com/7JcQbgCIn3

— Pagine Esteri (@PagineEsteri) April 7, 2023

ORE 13.30 Le Forze armate israeliane stanno richiamando riservisti, piloti, avieri e della difesa antiaerea e antirazzi. Una decisione che sembra preludere alla ripresa con più intensità dei raid aerei su Gaza.

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ORE 11.30 Due giovani colone israeliane, dell’insediamento di Efrat, sono state uccise e un’altra, la madre, ferita gravemente in un attacco armato palestinese nella Valle del Giordano. Colpi di arma da fuoco sono stati esplosi da una autovettura contro quella delle vittime che era lì di passaggio.

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ORE 5.15 La polizia israeliana è di nuovo entrata con forze ingenti nella Spianata della moschea di Al Aqsa e ha caricato i fedeli presenti. Poco prima centinaia di palestinesi avevano scandito slogan a sostegno di Hamas e contro l’attacco israeliano a Gaza e in Libano.

ORE 5 Sono andati avanti per tutta la notte i raid aerei israeliani. Oltre ad aver colpito ripetutamente la Striscia di Gaza – dove si segnalano alcuni feriti tra cui b – l’aviazione israeliana ha bombardato anche il Libano del sud prendendo di mira presunte postazioni del movimento islamico Hamas alla periferia del campo profughi palestinese di Rashidiye, nei pressi di Tiro. Avrebbe aperto il fuoco anche l’artiglieria israeliana. Un abitante di Rashidiye ha riferito che due proiettili sono caduti vicino al campo. Altri testimoni riferiscono di un colpo su una piantagione. Da parte loro Hamas e altre formazioni armate palestinesi hanno risposto sparando decine di razzi verso il territorio meridionale israeliano, prendendo di mira centri nei pressi di Gaza e la città di Ashkelon. Prima dell’alba un razzo ha colpito un edificio a Sderot ferendo un israeliano.

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Pagine Esteri, 6 aprile 2023 – Dopo una giornata di tensioni è cominciato un pesante attacco aereo israeliano su Gaza. Non si hanno ancora notizie chiare in merito alle conseguenze. L’aviazione israeliana ha colpito varie zone della Striscia e le sirene di allarme sono state attivate in tutto il sud di Israele. Il primo ministro Benyamin Netanyahu ha avvertito dopo la riunione del gabinetto di sicurezza che “la risposta di Israele, stasera e dopo, esigerà un prezzo significativo dai nostri nemici”.

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Israele bombarda la Striscia di Gaza

Ezzedin Qassam, l’ala militare di Hamas spara missili antiaerei terra-aria verso l’aviazione israeliana. In un comunicato stampa le forze armate israeliane, hanno dichiarato di aver colpito due tunnel e due fabbriche di armi appartenenti al movimento islamico Hamas. Non si hanno conferme a Gaza. Da parte sua Hamas dichiara di aver esploso 9 missili in risposta ai bombardamenti.

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L’operazione militare chiamata “La mano forte” è stata lanciata ufficialmente dal ministro Benjamin Netanyahu in seguito all’esplosione di decine di missili provenienti dal sud del Libano, in risposta, a quanto pare, ai raid israeliani nella Moschea di Al Aqsa, a Gerusalemme. Negli ultimi 2 giorni immagini di aggressioni e di processioni di detenuti hanno fatto il giro dei social dopo che la polizia israeliana è entrata con la forza, per due notti di seguito, nella moschea di Al Aqsa, a Gerusalemme, dove decine di fedeli palestinesi si radunano per celebrare il Ramadan.

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In seguito all’incursione sono stati arrestati 400 palestinesi, lasciati sfilare in processione per le strade di Gerusalemme. Nel primo pomeriggio di oggi circa 30 razzi sono stati esplosi dal sud del Libano. Quasi tutti sono stati intercettati ma un paio pare siano caduti, provocando un ferito. Israele ha risposto con bombardamenti nel territorio libanese. Alle 23.30 circa, ora italiana, aerei da guerra israeliani hanno sorvolato e colpito la Striscia di Gaza, da nord a sud, provocando ingenti danni. Pagine Esteri

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Artificiale


La battuta è che non si deve avere paura dell’intelligenza artificiale, bensì della stupidità naturale. Ma, fra articoli di fantascienza a sfondo horror e l’entusiasmo per potere delegare la scrittura dei compiti a casa e degli articoli a un computer, que

La battuta è che non si deve avere paura dell’intelligenza artificiale, bensì della stupidità naturale. Ma, fra articoli di fantascienza a sfondo horror e l’entusiasmo per potere delegare la scrittura dei compiti a casa e degli articoli a un computer, quel che colpisce è l’assenza di sensibilità politica, il buio di consapevolezza su cosa quel genere di problema comporta. Che non è mettersi in gara con Isaac Asimov a chi la immagina più fantastica o più tragica, bensì valutare se sia opportuno che un provvedimento del garante della privacy collochi l’Italia accanto a Cina, Corea del Nord e Russia, chiudendo gli accessi a una delle applicazioni AI (artificial intelligence), ovvero Chat Gpt.

Di cosa si deve avere paura? Il garante ha rilevato un trattamento opaco dei dati personali, a fronte di una capacità elevata di ciucciarli via. Ho l’impressione sia un rilievo a fondamento più analogico che digitale, ovvero la rispondenza a leggi e regolamenti, laddove, comunque, tutto quel mondo di applicazioni e interazioni non fa che costantemente portare via i dati personali. Cosa che, in alcuni casi, si è felici che avvenga: la piattaforma che uso per comprare libri mi fornisce suggerimenti e mi dà indicazioni su edizioni e lingue che non potrei raggiungere. In altri casi siamo nel criminale, come la rivendita di profilazioni. Fin qui, tutto sommato, ce la possiamo vedere fra il commerciale e il penale.

Però c’è anche la grandiosa potenza che AI può portare nel mondo connesso. Si deve averne paura? Dipende. Potrebbe essere utile in talune ricerche scientifiche e mediche, grazie all’enorme memoria e capacità di calcolo. Anzi, una delle cose che una regolamentazione dovrebbe imporre è proprio lo standard di interoperabilità, di modo che nessuno possa provare a portarsi via o bucare il pallone intelligente. E se la potenza superasse l’intelligenza umana? Sarebbe una creazione umana. E se una volta accumulati dati e interazioni l’AI sviluppasse anche sinapsi capaci di darle una “coscienza”? È uno sfondo adatto al citato Asimov o al grande Philip K. Dick (androidi e “Blade Runner”), ove il punto di contatto (facciamo scongiuri) era la consapevolezza della morte. Non lo sappiamo, può darsi accada, ma resto convinto che puoi imitare i poeti ermetici dopo avere letto l’ermetismo, non prima, Picasso dopo Pablo, non prima.

Insomma, il pericolo vero e immediato non è tanto che le macchine scappino di mano, ma che scappino quelli che hanno le macchine in mano. Perché tutto quel sistema, nato inseguendo una specie di ideale digito-libertario, ha generato l’opposto, è in mano a pochissimi, la cui potenza economica supera quella di molti Stati nazionali. Epperò sappiamo che innovazione e avanzamenti sono favoriti dalla concorrenza, che richiede trasparenza e monitoraggio, impossibili dove le concentrazioni diventano troppo forti e capaci di abusare del proprio potere. E noi qui stiamo. Questo è il problema. E la fortissima capacità d’inquinamento civile e democratico, mediante diffusione di notizie false rese verosimili, esclude che la faccenda si dirima con le buone intenzioni e le promesse di bontà.

In altre parole, servono regole. E qui arriva il nodo politico: sull’AI, come sulla carne coltivata, uno Stato nazionale può decidere di farsi fuori con le proprie mani, ma non ha la forza di metterle su un sistema così non localizzato e potente. E siccome le forze del male sono sempre in agguato, bisogna dotarsi della forza necessaria. Il che comporta regole sovranazionali e, se possibile, internazionali. Noi abbiamo l’Unione europea, che discute da tempo il tema, e relazioni commerciali occidentali. Quella è la sede. Ma non per un convegno di studi, bensì per delega di sovranità ed elaborazione di regole e strumenti, che hanno aspetti tecnici, ma sostanza tutta politica. Il guaio è che la politica non c’è. Ignora. E si torna al punto di partenza: occhio alla stupidità di chi pensa che proibendo ricerca e mercato si ottenga altro che immiserimento.

La Ragione

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La petizione- appello on line per le dimissioni di Ignazio Benito La Russa, nonostante anche molte/i rappresentanti dei due rami del parlamento non se ne siano


RIFONDAZIONE COMUNISTA: DALLA SENTENZA DI MILANO CONTRO SALARI INCOSTITUZIONALI UNA SPINTA PER LA LOTTA CONTRO IL LAVORO POVERO E IL SALARIO MINIMO


Così Nave Morosini porta il sistema-paese Italia nell’Indo Pacifico


“La missione che state per intraprendere è molto impegnativa ma allo stesso tempo affascinante, vi invidio e se potessi tornare indietro nel tempo farei la scelta di vita che voi avete intrapreso, arruolandomi in Marina Militare. Vi supporterò per tutta l

“La missione che state per intraprendere è molto impegnativa ma allo stesso tempo affascinante, vi invidio e se potessi tornare indietro nel tempo farei la scelta di vita che voi avete intrapreso, arruolandomi in Marina Militare. Vi supporterò per tutta la durata della campagna con convinzione ed orgoglio”, così il sottosegretario alla Difesa, Matteo Perego di Cremnago ha salutato l’equipaggio di Nave Francesco Morosini in partenza da La Spezia per l’Indo Pacifico.

Presenza nel cuore dell’Indo Pacifico

Nave Morosini, seconda imbarcazione della classe Pattugliatori Polivalenti d’Altura (Ppa) della Marina Militare è salpata ieri dalla base navale ligure per una campagna in estremo oriente che durerà 5 mesi. “Tenete alto l’onore e la bandiera della Marina Militare”, ha detto il capo di Stato maggiore della Marina, l’ammiraglio di squadra Enrico Credendino.

L’attività, che terminerà a settembre, vedrà l’unità italiana fare scalo in oltre una dozzina di porti e “farsi testimone del sistema Paese e dell’eccellenza dell’industria nazionale”, spiega la Marina, navigando “in un’area dove la nostra Marina manca da diversi anni, un mondo che conosciamo poco, ma su cui insiste un forte interesse strategico, militare, diplomatico e politico”, come ha commentato Credendino.

Ruolo duale e attività complementare

Il ruolo che Morosini svolge va oltre al valore militare del dispiegamento. Queste attività duali e complementari infatti permettono all’Italia di marcare una presenza fisica all’interno del più vivace dei quadranti globali, ambito di sfide e opportunità geopolitiche che segneranno il futuro. Attività che permetterà di “sviluppare sinergie addestrative con marine estere quali Giappone, Australia, Regno Unito, Stati Uniti d’America”, garantendo un’alta visibilità alla Marina e più in generale al Paese, e consentirà “di mostrare la nostra bandiera in acque molto complicate, per certi versi anche più districate di quelle del Mediterraneo”.

Tra le attività previste, per la promozione dell’eccellenza industriale della Difesa, la presenza al Singapore International Maritime Defence Exhibition (Imdex) e al Langkawi International Maritime ad Aerospace Exhibition (Lima). A seguire è prevista la partecipazione, nel Mar Cinese meridionale, all’esercitazione “Komodo 23” a conduzione indonesiana e incentrata sulla ricerca, il salvataggio e l’evacuazione di civili durante una situazione di crisi nella regione e che vedrà il coinvolgimento di tutti i principali paesi dell’area asiatica affacciati sull’Oceano Pacifico.

Gli scali nei porti amici

Durante la campagna il pattugliatore si spingerà fino all’estremo oriente e solcherà le acque del Mar Cinese – particolarmente sensibili perché oggetto delle rivendicazioni egemoniche di Pechino che coinvolgono vari partner italiani, come Giappone, Vietnam, Filippine e Taiwan. Arriverà a toccare i porti di Yokosuka, in Giappone (scalo previsto dal 14 al 18 giugno), dove si trova la base della Settimana Flotta statunitense. Successivamente, dal 21 al 24 giugno sarà a Pusan, in Corea del Sud. Le attività di Naval Diplomacy saranno effettuate in 15 porti di 14 Paesi dell’Indo Pacifico.

Tra gli altri porti toccati, Ho Chi Min (Vietnam), Bangkok (Thailandia), Langkawi (Malesia), Mumbai (India), Muscat (Oman), Karachi (Pakistan) e Jeddah (Arabia Saudita). Ma la nave farà scalo anche a Gibuti, dove l’Italia ha una base extraterritoriale, partecipando nelle acque del Corno d’Africa all’operazione antipirateria “Atalanta” e nel Mare Arabico Settentrionale e Golfo Persico/Arabico all’operazione “Agenor”, dimostrando come per Roma esiste continuità geostrategica tra gli ambiti del Mediterraneo allargato e quelli dell’Indo Pacifico – come d’altronde già dimostrato dalla recente attività a cui ha partecipato Nave Bergamini insieme a marine Usa e Ue.

Campagna orientale

“La campagna del Morosini in Estremo Oriente è una missione importante per una serie di “prime”: oltre ad essere la prima missione operativa assegnata alla nave e al suo equipaggio, è la prima volta che il Morosini opererà fuori dal bacino del Mediterraneo, in cui l’equipaggio dimostrerà le capacità acquisite durante la fase di addestramento. Sarà anche il primo momento per testare l’efficienza della piattaforma in un dispiegamento a lunga distanza dalle acque italiane”, ha dichiarato il comandante in capo della Squadra navale, l’ammiraglio di squadra Aurelio De Carolis.

La Morosini non sarà l’unica nave della Marina Militare italiana a navigare nelle acque dell’Estremo Oriente nel 2023. Anche la nave scuola Amerigo Vespucci transiterà in questa regione marittima durante la sua campagna di navigazione intorno al mondo che durerà dal prossimo luglio al febbraio 2025. Per quanto riguarda la potenziale campagna nella stessa area di un gruppo portaerei della Marina incentrato sulla portaerei Stovl Cavour, “per il momento non è in fase di pianificazione”, ha risposto l’ammiraglio De Carolis a una specifica domanda dei media. Il dispiegamento, altrove confermato, potrebbe avvenire anche nel 2024 inoltrato, dunque ancora la pianificazione potrebbe non essere stata avviata.

Qualità Made in Italy

“Parallelamente, questa campagna consentirà di mostrare, in importanti contesti internazionali, l’alto contenuto di innovazioni tecnologiche di questa moderna classe di navi che è stata sviluppata dall’industria della difesa italiana”, ha aggiunto De Carolis.

La Morosini è una nave altamente tecnologica, al suo primo impiego operativo dopo la consegna alla Marina Militare Italiana da parte di Fincantieri tramite l’agenzia Occar il 22 ottobre 2022 e l’assegnazione alla 1ª Divisione Navale della Marina Militare Italiana con sede a La Spezia. La costruzione e l’allestimento sono stati condotti nell’ambito del Centro Nuove Costruzioni e Allestimenti ITN (Marinalles) e dell’Ufficio Nuove Costruzioni Navali (Utnav) della Direzione Armamento Navale del Ministero della Difesa.

Oltre all’equipaggio, il Ppa Morosini imbarca per il dispiegamento in Estremo Oriente un distaccamento di volo con un elicottero SH-90A di NHIndustries, un team del gruppo sommozzatori del GOS (Gruppo Operativo Subacquei) del Comando Consubin e un distaccamento della Brigata San Marco per le attività di sicurezza e anfibie.


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Stabilità della regione e nuove collaborazioni. La visita di Crosetto in Libano


In prossimità della Pasqua, il ministro della Difesa, Guido Crosetto, si è recato in Libano per portare gli auguri da parte dell’Italia al Paese, che sta attraversando una complessa fase di instabilità, e alla missione Mibil (Missione militare bilaterale

In prossimità della Pasqua, il ministro della Difesa, Guido Crosetto, si è recato in Libano per portare gli auguri da parte dell’Italia al Paese, che sta attraversando una complessa fase di instabilità, e alla missione Mibil (Missione militare bilaterale italiana in Libano). “La capacità di interagire, dialogare e trovare strumenti di cooperazione inediti è il fiore all’occhiello delle nostre Forze armate. A voi che collaborate per l’addestramento delle Forze armate libanesi porto gli auguri di Buona Pasqua e il grazie dell’Italia”. Così è intervenuto il ministro, accompagnato nel corso della sua visita dall’ambasciatore d’Italia in Libano Nicoletta Bombardiere. Insieme hanno incontrato il personale Mibil, che vede alla guida il colonnello Angelo Sacco, volgendo un saluto riconoscente e grato dello Stato e dell’Italia intera al personale del contingente italiano impegnato nel territorio libanese.

La visita del ministro

I militari italiani sono infatti impegnati per la pace e la stabilità di un’area molto delicata, alla luce anche delle tensioni di queste ore nel sud del Paese. Nel rivolgere il suo saluto a tutti i militari presenti, il ministro ha aggiunto inoltre che: “Ho fortemente voluto essere qui, in prossimità della Pasqua, per portarvi i saluti dello Stato che in occasione delle feste si stringe ancora più a voi, lontani da casa ma non dall’affetto dell’Italia”. Durante la sua permanenza in Libano, l’agenda di Crosetto ha previsto diversi colloqui istituzionali.

L’impegno italiano in Libano

“Le Forze armate libanesi sono fondamentali per la stabilità e la sicurezza. L’Italia continuerà a fornire il proprio supporto nei rapporti bilaterali e in ambito Unifil” (United Nations interim force in Lebanon), ha spiegato il ministro nel corso di un incontro con il comandante delle Forze armate libanesi (Laf), Joseph Kalil Aoun. Non solo, nel corso della sua visita Crosetto ha incontrato anche il ministro della Difesa del Paese, Maurice Sleem. Si trattava del primo incontro tra i due ministri, ed è stata l’occasione per costruire un nuovo dialogo volto alla cooperazione. “L’impegno italiano per il Libano, Paese amico, deve coinvolgere vari settori. Non solo quello della Difesa. Contribuiremo a supportare anche gli ambiti politico, culturale e della cooperazione economica”, ha infatti raccontato Crosetto.

La stabilità regionale

Non solo militari, gli incontri istituzionali tenuti dal ministro Crosetto a Beirut hanno visto anche una riunione con il Primo ministro della Repubblica libanese, Najib Mikati. Occasione non solo per rimarcare il solido legame di amicizia tra i due Paesi del Mediterraneo allargato, ma anche per confermare la continuità dell’impegno italiano per la stabilità regionale. “Il Libano è uno snodo fondamentale per la stabilità regionale e dell’intero Mediterraneo. In queste ore difficili è necessario un ancora maggiore impegno per la pace e la sicurezza regionale affinché la situazione non degeneri”, ha concluso il ministro Crosetto.


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L’incontenibile voglia di vivere di Silvio Berlusconi


Telefonata a sorpresa dal San Raffaele: «Ce la farò anche questa volta Sono sempre riuscito a risollevarmi» Alle 9,48 del mattino ti arriva la telefonata che non ti aspetti dal reparto di terapia intensiva dell’ospedale San Raffaele di Milano. All’altr

Telefonata a sorpresa dal San Raffaele: «Ce la farò anche questa volta
Sono sempre riuscito a risollevarmi»

Alle 9,48 del mattino ti arriva la telefonata che non ti aspetti dal reparto di terapia intensiva dell’ospedale San Raffaele di Milano. All’altro capo del telefono Paolo Berlusconi, sempre accanto al Cavaliere in queste ore insieme alla consorte Marta Fascina, devota come sempre, e ai figli, ti dice: «Vuole parlarti Silvio». Sono parole che riscaldano il cuore dopo 24 ore in cui l’intero Paese è stato investito da una ridda di voci sulla salute di un personaggio che mai come ora è al centro dell’attenzione di un’Italia partecipe, affettuosa, preoccupata. Il tono del presidente, ovviamente, non è quello di sempre, ma la voce è ferma e la voglia di parlare è tanta, anche se attorno a lui gli consigliano, a volte gli intimano, di non affaticarsi.

Ma il Cav, non è una novità, ha lo spirito del guerriero. Saluta cortese come al solito e la prima frase che gli esce di bocca ha il sapore di una promessa: «È dura, ma ce la farò anche questa volta». L’uomo è così. È temprato. Indomito. Come gli eroi greci. In fondo la sua vita è una lunga battaglia che ha avuto pagine epiche. Irripetibili. E il coraggio e la caparbietà sono qualità che gli hanno sempre riconosciuto tutti, pure i suoi avversari. Anche i più feroci.

C’è una vita che lo dimostra. Non c’è prova più vera, più convincente dei successi e dei momenti difficili che Berlusconi ha trascorso per comprendere che il personaggio non conosce la parola resa. Tantomeno ora. La storia di un imprenditore di successo che si è fatto largo da solo. Che ha costruito case, ha inventato la tv commerciale in Italia, ha vinto tutto con il Milan. Un personaggio che non ha mai accettato la sconfitta. «Sono riuscito – racconta al telefono -, anche in situazioni difficili e delicate, a ritirarmi su». Ricordi di ieri, un promemoria per l’oggi.

È impossibile già solo immaginare un Cavaliere che si arrende, che si dà per vinto. Ogni volta che si è trovato in un vicolo chiuso, in una situazione complicata, Berlusconi ha sempre trovato una via d’uscita. Basta pensare a ciò che avvenne nel 1994. Un’intera classe dirigente spazzata via, insieme a tutti i partiti che avevano governato nel dopoguerra, e il rischio di una vittoria dei comunisti. Comunisti veri, non il Pd di oggi. E lui, il Cav, all’apice come imprenditore con in mente quanto gli avevano raccontato dell’Urss, dei cento milioni di morti provocati dalla dittatura, che deve decidere il da farsi. «Quando studiavo dai Salesiani – è l’aneddoto che racconta al telefono – ho avuto un esule russo che era fuggito dall’Unione Sovietica come insegnante di religione. Non ci ha mai parlato di religione, ma ci ha raccontato per filo e per segno ciò che avveniva al di là del Muro. Ci diceva: in Russia oggi hai tre possibilità: o scappi all’estero, o finisci in carcere, o, peggio, sottoterra».

Nel ’94 Berlusconi era solo, tormentato da un dubbio amletico sulla scelta da compiere. Lì in quella stanza al San Raffaele ricorda quel momento: «Chiesi ai miei sondaggisti se si poteva evitare la vittoria dei comunisti. Mi dissero di sì. “Ma solo se scende in campo lei”. Lo feci». Se metti in fila tutte queste vicende ti accorgi che il Cav di sfide ne ha veramente vinte tante nella sua vita. Alcune davvero ardue, per alcuni versi impossibili. Prove che possono anche consumare. Basta pensare alla persecuzione giudiziaria a cui è stato sottoposto. Chi ha un minimo di onestà intellettuale non può definirla in modo diverso. Una miriade di processi, di atti giudiziari, di sentenze, di carte che avrebbero sfiancato chiunque. Il meccanismo perverso di eliminazione per via giudiziaria degli avversari politici era in voga nei regimi autoritari. Con la sua vicenda è stato importato anche nelle democrazie. Lo hanno ribattezzato il modello italiano. Roba da non credere.

Del resto, come potevi credere che nel Duemila ci fossero ancora i giacobini in certe procure, addirittura con indosso le toghe? Eppure anche lì è stato condannato solo una volta in un processo, per usare un eufemismo, “truffa” che aveva un solo obiettivo: eliminarlo dalla scena politica. «E la ragione – osserva il Cavaliere – è tutta in quello splendido articolo che don Gianni (Baget Bozzo, ndr) scrisse il 22gennaio del 2004 per il Giornale sulla vittoria di Forza Italia nel ’94». Chi non ha la memoria di Berlusconi deve andarselo a rileggere. «La speranza di Berlusconi in quelle elezioni – scriveva il don20 anni fa – non fu quella di vincere, ma quella di far intervenire il popolo, di impedire che i cattocomunisti espropriassero il popolo senza che gli fosse consentito il diritto di parola. E Forza Italia vinse le elezioni. Ciò non tolse a Berlusconi l’ostilità delle procure, dei comunisti…

I magistrati ancora oggi non demordono: ma chi cerca le farfalle sotto l’arco di Tito?». Appunto, quella vittoria le toghe prestate alla politica non l’hanno mai perdonata. E hanno trasformato tutti questi anni in un calvario. Ma il Cav, indomito (l’aggettivo è quanto mai adatto) è ancora lì. «Ce la farò anche questa volta», è l’impegno. La telefonata volge al termine perché le preghiere di chi gli è accanto, di chi lo implora di non stancarsi, di riposare si fanno ancora più accorate. Il paziente cede malvolentieri. Lui, come nessuno, ha voglia di parlare, ha voglia di fare, ha voglia di vivere. «Appena esco di qui – è l’invito prima dei saluti – ci vediamo».

Il Giornale

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Cyber resilience e cyber solidarity. Lo scudo informatico Ue


Migliorare il rilevamento degli attacchi subiti nella fase primordiale (evitando così effetti ben più gravi) al fine di confezionare una risposta continentale nel solco della cosiddetta Cyber Solidarietà. Questo l’obiettivo dello “scudo informatico europe

Migliorare il rilevamento degli attacchi subiti nella fase primordiale (evitando così effetti ben più gravi) al fine di confezionare una risposta continentale nel solco della cosiddetta Cyber Solidarietà. Questo l’obiettivo dello “scudo informatico europeo” che proverà ad essere strumento comune contro la guerra cibernetica che corre sotto le spoglie del malware. Oggi possono passare fino a 190 giorni per rilevare un attacco, il nuovo scudo punta a trasformare quei sei mesi in poche ore.

Forum Cybersecurity

Se ne è discusso a Lille in occasione dell’International Forum on Cybersecurity (Fic), nella consapevolezza che con la guerra in Ucraina gli attacchi informatici sono aumentati del 140% in Europa. In questo contesto, è la tesi del commissario europeo per il Mercato interno Thierry Breton, la mutualizzazione e il coordinamento delle forze a livello europeo diventa più che mai necessario “perché la minaccia si allargherà”, ha sottolineato.

Non a caso gli attacchi son aumentati contro quei paesi che inviano armi all’Ucraina, per cui il nuovo regolamento denominato “Cyber Resilience Act” ha l’obiettivo di incoraggiare i paesi interessati a compiere azioni offensive una volta identificato il responsabile di un attacco. L’Unione Europea intende dotarsi di questa clava legislativa al fine di cerchiare in rosso alcune regole comuni in attesa del pieno recepimento della direttiva Nis2, previsto per il 2024, che impone nuovi obblighi di sicurezza alle imprese.

Assistenza reciproca

Nello specifico verrà attrezzata un’infrastruttura europea di centri operativi di sicurezza (Soc) che tramite l’intelligenza artificiale proverà ad intercettare i primi segnali degli attacchi. Secondo Breton questa iniziativa difensiva sarà “una sorta di cupola di protezione europea, il nostro Cyber Galileo”. Ma non è tutto, perché all’interno della progettazione troverà spazio anche il rafforzamento della sicurezza delle infrastrutture critiche: “L’Europa deve attrezzarsi meglio per affrontare un attacco grave. Dobbiamo scambiare più informazioni tra di noi, creare una vera capacità operativa per la gestione congiunta delle crisi e gettare le basi per una vera solidarietà europea e per l’assistenza reciproca. Questo è il senso del meccanismo di emergenza informatica che sarà incluso anche nell’imminente legge sulla solidarietà informatica”.

Così come esiste una protezione civile in caso di calamità naturale, deve esistere una protezione civile per il cyber, magari traendo insegnamento da quanto sta accadendo in Ucraina. Inoltre andrà implementato il pacchetto di strumenti per la cybersecurity 5G, che secondo Breton è un elemento strategico, dopo che già gli Stati membri hanno detto no ai cosiddetti fornitori ad alto rischio dalle loro reti: “Invito gli Stati membri e gli operatori telefonici, di cui sono responsabili, a prendere le misure necessarie. Non c’è tempo da perdere”.

Cina e Golden power

L’investimento ammonterà a più di 1 miliardo di euro, due terzi dei quali saranno finanziati dall’Europa, il tutto a pochi giorni dal lancio del regolamento europeo “Cyber Solidarity Act“, mentre entro un anno verranno costruiti centri operativi di sicurezza per rafforzare la sicurezza informatica degli Stati membri anche per ovviare ai tentativi di penetrazione cinese.


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Spartiacque


Non possono esserci dubbi sul fatto che Silvio Berlusconi abbia e avrà un posto di rilievo nella storia d’Italia. Vive un momento difficile e gli si augura il meglio, che per lui è non smettere di combattere. Superata, con il tempo, una divisione incentra

Non possono esserci dubbi sul fatto che Silvio Berlusconi abbia e avrà un posto di rilievo nella storia d’Italia. Vive un momento difficile e gli si augura il meglio, che per lui è non smettere di combattere. Superata, con il tempo, una divisione incentrata sulla sua persona, c’è da scommettere che anche gli storici si divideranno sul significato da dare alla sua vicenda umana, imprenditoriale e politica. Che non sono tre, naturalmente, ma una sola.

La determinazione e l’efficacia dell’imprenditore non hanno bisogno d’essere argomentate. I risultati sono evidenti. Ma due abbagli hanno accompagnato il giudizio degli altri sulle sue avventure. Dal debutto edilizio al trionfo televisivo è stato visto come destrutturatore e innovatore, in realtà era un restauratore di abitudini e costumi. Gli italiani s’erano già laicizzati e urbanizzati. Lui non inventò quel processo, lo seppe interpretare come nessun altro. A chi viveva in città riproponeva la comunità, il villaggio, il verde, gli spazi per i bambini. A chi guardava la televisione riproponeva l’intrattenimento per famiglie, con un occhio al bar dello sport e l’altro all’avanspettacolo. Lui stesso si descriveva come interprete del nuovo che avanza inesorabile, ma era il conservatore dell’eterno che si conserva indelebile. Sul piano imprenditoriale trovò avversari in quelli che si credevano monopolisti dell’innovazione televisiva, ergo difensori del monopolio spartitorio aziendale. Certo che seppe aggregare la politica disposta a sostenerlo, ma vinse perché era sull’onda dell’inevitabile, di quel che poi successe ovunque e che negli Stati Uniti era già successo. Chi lo accusò di cambiare i costumi degli italiani, debosciandoli, non capì nulla della sua forza: un uomo con il marketing incorporato, un arcitaliano conservatore e modernizzatore.

Per forza poi non capirono lo sbarco in politica e quel che sarebbe successo. Quando annunciò la <<discesa in campo>> la sinistra festeggiò. Qualcuno fece osservare che si sarebbe potuto obiettare sulla legittimità della candidatura, a causa delle concessioni televisive. Tesi a mio avviso infondata, ma più importante la risposta: zitti, che un candidato così ci aiuta a rendere legittima la prossima e sicura vittoria. Persero.

La sua “invenzione”, ancora una volta, era l’innovazione di una conservazione: tutti assieme, non importa chi, pur di battere la sinistra. Stravinse dopo le elezioni, quando la sinistra si berlusconizzò: tutti assieme, pur di fermarlo. Nacque così una stagione i cui sussulti agonici sono ancora in corso: non più proporzionale, mai maggioritaria, ritagliata sui capi, ma con la necessità dei partiti, non più ideologica, ma incapace di contenuti. Lui è stato lo spartiacque, ma le acque si sono poi riconfuse in un’altalena elettorale senza sbocchi e continuità.

Avrà il suo posto nella storia, ma la maledizione è che lui e gli altri non hanno dimostrato senso della storia. Anche in questo non c’è novità, che nella storia non credeva neanche Giulio Andreotti. Credere nella storia significa non solo essere, ed eccome se lui è, ma anche puntare a sopravvivere, a indirizzare il futuro, a lasciare il segno. Una concezione estranea al cattolicesimo secolare, proibita al comunismo che la storia spera sia dimenticata, forse presente in famiglie liberali divise e minoritarie.

Impossibile negare il merito politico di avere trasportato nel gioco democratico palese (il quello degli scambi parlamentari c’era già) la destra che era stata fascista. Ma non ha fatto mai nulla per aiutarla a non essere più fascista. Anzi, vide come rivale (quale era, in effetti) quel processo di affrancamento, all’epoca di Fini. Ed è così che l’innovatore conservatore si ritrova in una scena senza che si sia stati capaci di ulteriormente innovare e senza molto che valga la pena conservare. Non lo capirono perché lui è veramente popolare e popolano, da miliardario, mentre gli apologeti del proletariato è da decenni che non hanno più nulla da dire ai popolani.

Non c’è alcun dubbio: ha il suo posto nella storia. Resta da stabilire quale sia la storia.

La Ragione

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#LaFLEalmassimo -Episodio88- Privacy Chat GPT e aggiornamento della legge


Ribadisco sempre in apertura il sostegno di questa rubrica all’Ucraina contro la intollerabile e criminale invasione operata dalla Russia. Nello scorso episodio abbiamo parlato di una moratoria sulla intelligenza artificiale e successivamente abbiamo assi

Ribadisco sempre in apertura il sostegno di questa rubrica all’Ucraina contro la intollerabile e criminale invasione operata dalla Russia.

Nello scorso episodio abbiamo parlato di una moratoria sulla intelligenza artificiale e successivamente abbiamo assistito alla sospensione del servizio di Chat GPT in Italia in seguito ad alcune obiezioni mosse dal Garante della Privacy

In questa sede non intendo discutere nel merito le contestazioni anche se alcune appaiono abbastanza deboli come il riferimento alla tutela dei minori, che in realtà dovrebbe valere per qualsiasi servizio accessibile via internet e l’utilizzo di dati personali resi pubblici da soggetti terzi.

La riflessione che voglio fare riguarda l’attualità della legge e il suo rapporto con la libertà individuale. La buona legge aiuta i cittadini a prevenire e dirimere i conflitti d’interesse e migliorare l’interazione con gli altri membri della società. Una legge cattiva, obsoleta o inadeguata crea disagi maggiori rispetto ai problemi che risolve e favorisce alcuni interessi o gli interessi di alcuni a scapito degli altri. Questo tipo di leggi vanno riviste e ripensate e quelli che vorrebbero piegare la società al rispetto religioso di leggi non più appropriate non hanno compreso qual è il senso di darsi regole e leggi.

E’ probabile che si trovi presto un accordo per riaprire il servizio di Chat GPT in Italia ed è probabile che la vicenda si riduca ad un incidente di percorso, tuttavia è importante che in un epoca in cui le innovazioni si succedono ad un ritmo forsennato e tratti strutturali della società cambiano con frequenza l’approccio alla promulgazione e alla vigilanza sul rispetto delle leggi sia per quanto possibile aperto e flessibile e teso ad seguire e adeguarsi ai cambiamenti tenendo fermi i valori e le basi degli interessi da tutelari, ma senza ostacolare il progresso che la storia ci insegna essere inarrestabile e ineluttabile.

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Non contenti di aver messo fuorilegge Hdp, il terzo partito del paese, il ministro Mevlut Cavusoglu annuncia che non faranno entrare in Turchia come osservatori


PODCAST SUDAN. L’anniversario della rivoluzione rilancia le proteste contro i militari golpisti


I sudanesi oggi e nei prossimi giorni manifesteranno a favore della transizione democratica bloccata dal colpo di stato del 2021. Intanto si allarga la frattura tra i militari. Il generale Al Burhan e il capo miliziano Mohammad Dagalo sono ai ferri corti.

Pagine Esteri, 7 aprile 2023 – Tre anni dopo l’insurrezione popolare che mise fine al potere trentennale di Omar Bashir, i sudanesi restano impegnati nella lotta per la democrazia e per una redistribuzione delle risorse del paese.

A sbarrare loro la strada sono i militari autori del golpe dell’ottobre 2021. Nel frattempo si allarga la frattura ai vertici delle forze armate regolari e irregolari. Ne abbiamo parlato con Lorenzo Scategni, volontario italiano e osservatore della realtà politica e sociale del Sudan.
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Decreto Calderoli: il governo all’attacco degli ultimi scampoli di sanità pubblica | InfoAut

"Il Decreto Calderoli è stato definito una vera e propria secessione dei ricchi in materia di sanità. Non solo una frattura tra Nord e Sud, ma un vero approfondimento della logica neoliberista applicata alla cura."

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di Domenico Gallo - Mentre si indurisce lo scontro militare, sono state spostate in avanti le lancette del Doomsday Clock, l’orologio del Giorno del Giudiz


ChatGPT e non solo. I dati dei minori non sono cibo per gli “uccellini” del web


Nuovo appuntamento con la rubrica Privacy weekly, tutti i venerdì su StartupItalia. Uno spazio dove potrete trovare tutte le principali notizie della settimana su privacy e dintorni. E se volete saperne di più potete leggere qui le news quotidiane di Privacy Daily o iscrivervi alla newsletter di #cosedagarante. Grazie a StartupItalia per l’ospitalità!


guidoscorza.it/chatgpt-e-non-s…



Il 7 aprile del 1944, sul Ponte di Ferro, furono uccise dieci donne a colpi di fucile. Roma era occupata dai nazisti e la popolazione viveva in miseria. Q


Yemen, prolungata di sei mesi la tregua tra governo e Houthi


di Redazione Pagine Esteri, 7 aprile 2023 – Il Consiglio direttivo presidenziale dello Yemen e il movimento ribelle sciita degli Houthi hanno firmato ieri un accordo per prolungare la tregua di sei mesi. Il ministro della Difesa dell’Arabia Saudita, Khale

di Redazione

Pagine Esteri, 7 aprile 2023 – Il Consiglio direttivo presidenziale dello Yemen e il movimento ribelle sciita degli Houthi hanno firmato ieri un accordo per prolungare la tregua di sei mesi. Il ministro della Difesa dell’Arabia Saudita, Khaled bin Salman, aveva informato il capo del Consiglio direttivo presidenziale yemenita, Rashad Mohammed al Alimi, e gli altri membri che gli Houthi erano d’accordo sul prolungamento dell’armistizio, grazie alla mediazione del Sultanato dell’Oman. La tregua sarà quindi prolungata di sei mesi e comporterà la ripresa delle esportazioni di petrolio, la riapertura dell’aeroporto di Sanaa per i voli internazionali e il pagamento dei salari degli impiegati pubblici di tutto il Paese, incluse le zone sotto il controllo degli Houthi.

Il prolungamento della tregua giunge nel contesto del riavvicinamento tra Teheran e Riad dopo anni di tensioni che hanno avuto pesanti conseguenze in tutta la regione, in particolare in Yemen, dove il conflitto tra il governo yemenita, sostenuto dai sauditi, e i ribelli sciiti Houthi, sostenuti dall’Iran, ha provocato una delle crisi umanitarie più gravi al mondo, amplificata dall’intervento militare di Riad e di altri paesi del blocco sunnita.

Lo Yemen è teatro di un violento conflitto civile ormai dal settembre 2014. A seguito dell’occupazione del nord del Paese, compresa la capitale Sana’a, da parte dei miliziani Houthi, il governo ha chiesto l’intervento dei Paesi del Golfo, in particolare Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti che, nel marzo del 2015, hanno formato una coalizione militare e sono intervenute con massicci bombardamenti per sostenere le forze governative.

Il 2 aprile del 2022 è entrato in vigore per la prima volta il cessate il fuoco mediato dalle Nazioni Unite ma poi dal 2 ottobre la tregua non era stata rinnovata, facendo temere una nuova escalation nel paese. Uno degli ultimi sviluppi più significativi è stato registrato il 20 marzo con l’annuncio dello scambio di 887 prigionieri tra il governo yemenita e il movimento che rappresenta la minoranza sciita che vive nel nord del paese. – Pagine Esteri

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PRIVACY DAILY 88/2023


Le istituzioni dell’Unione Europea si tengono alla larga dalle spunte blu di Twitter. Secondo i servizi stampa delle istituzioni, la Commissione europea e il Parlamento europeo non intendono pagare Twitter per far verificare le centinaia di account ufficiali dell’UE, tra cui quelli della Presidente della Commissione Ursula von der Leyen e della Presidente del Parlamento... Continue reading →


Vieni avanti Pechino, l’Europa chiede a Xi di premere su Putin


Vieni avanti Pechino, l’Europa chiede a Xi di premere su Putin cina
MORRA CINESE. Visita di Von der Leyen e Macron: «Riporti la Russia alla ragione» Il leader cinese: «Chiamerò Zelensky, ma al momento opportuno»

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In Cina e Asia – Incontro Tsai-McCarthy: la Cina reagisce con sanzioni e ispezioni nello Stretto 


In Cina e Asia – Incontro Tsai-McCarthy: la Cina reagisce con sanzioni e ispezioni nello Stretto Tsai
I titoli di oggi:

Incontro Tsai-McCarthy: la Cina reagisce con sanzioni e ispezioni nello Stretto

Le pressioni di Macron e von der Leyen su Xi

Cina, progetto da 500 milioni di dollari per la posa di cavi internet sottomarini

Il dilemma cinese sull’alternativa a ChatGPT
Lo yuan è la valuta più scambiata in Russia
Evergrande sigla accordo di ristrutturazione con i creditori
La Cina non riconosce più le rivendicazioni del Giappone sulle isole Curili

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Washington si rilancia in Africa e sfida Pechino e Mosca


I collaboratori di Biden fanno la spola con le capitali africane. Washington vuole tornare a giocare un ruolo di primo piano in Africa per arginare l’influenza di Russia e Cina in un momento di accesa competizione su scala globale L'articolo Washington s

di Marco Santopadre*

Pagine Esteri, 7 aprile 2023 – Washington ha lanciato una vera e propria “offensiva diplomatica” allo scopo di recuperare ruolo ed egemonia nel continente africano che, negli ultimi anni, ha visto crescere fortemente l’influenza di varie potenze orientali e mediorientali mentre quella occidentale si affievoliva in modo consistente.

Il tour di Kamala Harris
L’ultima rappresentante statunitense a fare tappa in alcuni paesi africani è stata la vicepresidente Kamala Harris. Dal 25 marzo al 2 aprile, la numero due della Casa Bianca ha visitato prima il Ghana (Africa Occidentale), poi la Tanzania ed infine lo Zambia (nel sud-est del continente).

Nel corso della sua missione, Kamala Harris ha annunciato lo stanziamento di sette miliardi di dollari di investimenti pubblico-privati, finalizzati alla mitigazione del cambiamento climatico, e la messa a disposizione di un altro miliardo per il sostegno all’emancipazione femminile anche attraverso lo sviluppo e la diffusione delle tecnologie digitali, nell’ambito del programma per la “Trasformazione digitale dell’Africa” lanciato a dicembre dal presidente Joe Biden. «Dobbiamo tutti apprezzare e comprendere l’importanza di investire nell’ingegno e nella creatività africani» ha affermato la vicepresidente.

A Dar es Salaam, Harris ha incontrato la presidente della Tanzania, Samia Suluhu Hassan, annunciando lo stanziamento di 560 milioni a sostegno del commercio e del “rafforzamento della democrazia”. Ad Accra, poi, ha offerto al presidente ghanese Nana Akufo-Addo un pacchetto di aiuti da 140 milioni per rilanciare l’economia. A Lusaka, dove ha incontrato il presidente dello Zambia Hakainde Hichilema, Harris ha infine promesso lo stanziamento di 16 milioni per nuovi programmi contro la corruzione.

“Meno debito” e “più sicurezza”
I leader dei tre paesi visitati hanno tutti sottolineato che «l’eccesso di debito» grava sulle economie africane e ne impedisce lo sviluppo, chiedendo a Washington passi concreti. Da parte sua, nei prossimi mesi il dipartimento americano del Tesoro invierà dei consulenti che “assisteranno” i ministri delle Finanze di alcuni paesi africani (quelli visitati dalla vicepresidente Usa, ma anche Camerun, Kenya, Madagascar e Namibia) nell’applicazione delle riforme ritenute necessarie per migliorare la sostenibilità e permettere così la ristrutturazione del debito estero.
Di fatto gli emissari di Washington avranno una forte voce in capitolo sulle scelte economiche degli esecutivi assistiti, e nel frattempo la Casa Bianca alza la voce con Pechino affinché tagli il debito dei paesi africani.

Harris ha inoltre promesso “maggiore assistenza per la sicurezza” e maggiori investimenti, a partire da una pacchetto di aiuti per cento milioni finalizzati alla “prevenzione dei conflitti” e alla stabilizzazione in Ghana, Benin, Costa d’Avorio, Guineae Togo, che stanno subendo una crescente penetrazione fondamentalista. L’insorgenza jihadista e la conseguente instabilità mettono infatti a rischio l’applicazione dell’Accordo di libero scambio continentale africano (Afcfta) che punta ad aprire un mercato di 1,3 miliardi di persone – per un valore di 3400 miliardi – alle imprese statunitensi.
Offrendo il proprio sostegno alla sicurezza e alla stabilità, Washington cerca di competere su uno dei terreni sui quali si basa l’incremento dell’influenza di Mosca, che utilizza il dispiegamento dei mercenari della compagnia militare privata Wagnerper appoggiare i governi presi di mira da ribellioni armate, spesso di carattere jihadista.

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L’attivismo Usa per contrastare Cina e Russia
Kamala Harris è stata il quinto rappresentante dell’amministrazione Biden a visitare il continente a partire dal viaggio dell’agosto scorso del segretario di Stato, Antony Blinken, in Sudafrica, Repubblica Democratica del Congo e Rwanda. A gennaio è stata la segretaria al Tesoro, Janet Yellen, a visitare Senegal, Zambia e di nuovo il Sudafrica. Poi è toccato alla rappresentante permanente Usa alle Nazioni Unite, Linda Thomas-Greenfield, e ancora all’assistente segretaria di Stato per gli Affari africani, Molly Phee. Anche la first lady Jill Biden si è recata in Namibia e in Kenya e lo stesso presidente dovrebbe visitare l’Africa entro la fine dell’anno, così come faranno il segretario alla Difesa, Lloyd Austin, e la segretaria al commercio, Gina Raimondo.

Il forte attivismo della Casa Bianca evidenzia che, dopo il forte arretramento dell’egemonia francese sotto i colpi della penetrazione russa soprattutto nel Sahel, Washington aspira a giocare un ruolo di primo piano nel continente, principalmente per contrastare l’espansione dell’influenza di Pechino ma anche di altri paesi come ad esempio la Turchia e le petromonarchie.

Gli Stati Uniti sono però molto indietro rispetto alla Cina che, ormai dal 2000, organizza ogni tre anni un vertice con i paesi africani. Nel 2021 (dati dell’Eurasia Group) il volume degli scambi commerciali tra il continente africano e la Cina aveva raggiunto i 254 miliardi di dollari, mentre gli scambi Usa-Africa erano fermi a un quarto, circa 64 miliardi.
La strategia di Washington si basa sul rafforzamento dei partenariati pubblico-privati come strumento per rendere le relazioni con gli Stati Uniti più appetibili per i paesi africani corteggiati dalle potenze concorrenti all’interno di un clima di competizione globale sempre più accesa.

Cercando di recuperare uno svantaggio di almeno trent’anni con Pechino, Washington tenta di mobilitare le proprie imprese private affinché investano in Africa. Biden ha ripreso il piano lanciato dal Segretario di Stato di Donald Trump, Mike Pompeo, e dall’allora Consigliere per la Sicurezza Nazionale John Bolton nel 2019. Il progetto “Prosper Africa” si fonda sul coinvolgimento del settore privato statunitense come elemento trainante del rilancio delle relazioni economiche con l’Africa. Di fatto l’amministrazione statale si assume il compito di promuovere e facilitare gli investimenti privati statunitensi nel continente sapendo bene che questi potranno generare un aumento dell’influenza politica e militare di Washington.

In questa fase gli Stati Uniti approfittano anche del fatto che l’entità dei prestiti cinesi ai paesi africani sta diminuendo e che molti governi del continente cominciano a soffrire l’indebitamento contratto con Pechino in cambio della realizzazione di grandi infrastrutture. Se è vero che i prestiti concessi dal governo e dalle banche cinesi sono a breve termine più vantaggiosi rispetto a quelli dei governi occidentali e del Fondo Monetario Internazionale, è altrettanto vero che a lungo termine l’enorme entità del debitocontratto imbriglia comunque le economie del continente. Nel 2020, ad esempio, lo Zambia – pesantemente indebitato soprattutto con Pechino – ha dovuto dichiarare default nell’impossibilità di pagare gli interessi ai paesi creditori ed ora sta negoziando una ristrutturazione del debito.

Inoltre la Casa Bianca intende sfruttare il malcontento generato dalla crisi alimentare scatenata in molti paesi del sud del mondo dall’invasione russa dell’Ucraina. Sono molti i governi africani, anche di alcuni di quelli nell’orbita russa e cinese, che temono il peggioramento delle condizioni di vita della popolazione e l’esplosione di ribellioni a causa dell’aumento dei prezzi e della penuria di alimenti. Non a caso, a pochi mesi dall’inizio dell’aggressione militare a Kiev, il Cremlino ha cercato di tamponare la crisi consentendo l’esportazione del grano ucraino.

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Il vertice Usa-Africa
All’interno della strategia di rilancio del proprio ruolo in Africa, a dicembre l’amministrazione Biden ha ospitato a Washington un secondo vertice con i paesi africani, dopo quello organizzato nel 2014 dal presidente Obama. Nel corso dell’evento, che ha visto la partecipazione dei rappresentanti di una cinquantina di paesi africani tra presidenti, premier e ministri, l’inquilino della Casa Bianca ha annunciato lo stanziamento di 15 miliardi di dollari (che diventeranno 55 nei prossimi tre anni) per finanziare accordi commerciali e investimenti. L’obiettivo ufficiale degli Stati Uniti è sviluppare le relazioni economiche, espandere i flussi commerciali e promuovere una “crescita economica sostenibile e inclusiva”.

Inoltre Biden ha ribadito il sostegno di Washington alla richiesta dell’Unione Africana di essere ammessa come membro permanente del G20, dove finora il continente è rappresentato solo dalla Repubblica Sudafricana. La Casa Bianca corteggia i 55 paesi africani all’insegna dello slogan «abbiamo bisogno di un maggior numero di voci africane nelle istituzioni internazionali».

Washington è in ritardo di 30 anni
Significativo che quasi in contemporanea con il viaggio di Janet Yellen in tre paesi africani anche il nuovo ministro degli Esteri di Pechino, Qin Gang, abbia realizzato un lungo tour che ha toccato Etiopia, Gabon, Angola, Benin ed Egitto. D’altronde ormai da 33 anni il primo viaggio all’estero del capo della diplomazia cinese viene realizzato ogni anno sempre nel continente africano, a dimostrazione della centralità accordatagli da Pechino.

Per quanto le offerte statunitensi di investimenti e aiuti abbiano suscitato un notevole interesse in Africa – i cui governi ormai si lasciano corteggiare dai vari offerenti per poi scegliere l’opzione ritenuta più conveniente – la strada per il rilancio di Washington nel continente appare comunque ardua. Per quanto abbia rafforzato le relazioni con il Marocco– sulla strada dell’integrazione nell’Alleanza Atlantica – e con l’Uganda, Washington non può più contare su molti amici nel continente. La Russiain questi anni è diventata il primo esportatore di armi dell’area mentre anche la Turchiatesse la sua tela a base di soft power.

Per comprendere quanto sia calata la presa di Washington sul continente, basti ricordare che ad aprile dello scorso anno, quando all’Assemblea Generale dell’ONU gli Stati Uniti hanno presentato una risoluzione per l’espulsione di Mosca dal Consiglio dei Diritti Umani, i rappresentanti di 34 paesi africani su 54 hanno votato contro, si sono astenuti o non hanno partecipato al voto. Per non parlare del gran numero di governi che hanno respinto le sanzioni politiche ed economicheimposte a Mosca dagli Usa, dall’UE e da altri paesi. – Pagine Esteri

6415869* Marco Santopadre, giornalista e scrittore, già direttore di Radio Città Aperta di Roma, è un analista dell’area del Mediterraneo, del Medio oriente e dell’Africa. Scrive, tra le altre cose, di Spagna e movimenti di liberazione nazionale. Collabora con il Manifesto, Catarsi e Berria.

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Israele bombarda la Striscia di Gaza e il Libano del Sud


Pesante attacco aereo israeliano sulla Striscia di Gaza. Le sirene di allarme suonano nelle zone a sud di Israele L'articolo Israele bombarda la Striscia di Gaza e il Libano del Sud proviene da Pagine Esteri. https://pagineesteri.it/2023/04/07/mediorien

Pagine Esteri, 6 aprile 2023 – Dopo una giornata di tensioni è cominciato un pesante attacco aereo israeliano su Gaza. Non si hanno ancora notizie chiare in merito alle conseguenze. L’aviazione israeliana ha colpito varie zone della Striscia e le sirene di allarme sono state attivate in tutto il sud di Israele. Il primo ministro Benyamin Netanyahu ha avvertito dopo la riunione del gabinetto di sicurezza che “la risposta di Israele, stasera e dopo, esigerà un prezzo significativo dai nostri nemici”.

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Israele bombarda la Striscia di Gaza

Ezzedin Qassam, l’ala militare di Hamas spara missili antiaerei terra-aria verso l’aviazione israeliana. In un comunicato stampa le forze armate israeliane, hanno dichiarato di aver colpito due tunnel e due fabbriche di armi appartenenti al movimento islamico Hamas. Non si hanno conferme a Gaza. Da parte sua Hamas dichiara di aver esploso 9 missili in risposta ai bombardamenti.

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L’operazione militare chiamata “La mano forte” è stata lanciata ufficialmente dal ministro Benjamin Netanyahu in seguito all’esplosione di decine di missili provenienti dal sud del Libano, in risposta, a quanto pare, ai raid israeliani nella Moschea di Al Aqsa, a Gerusalemme. Negli ultimi 2 giorni immagini di aggressioni e di processioni di detenuti hanno fatto il giro dei social dopo che la polizia israeliana è entrata con la forza, per due notti di seguito, nella moschea di Al Aqsa, a Gerusalemme, dove decine di fedeli palestinesi si radunano per celebrare il Ramadan.

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In seguito all’incursione sono stati arrestati 400 palestinesi, lasciati sfilare in processione per le strade di Gerusalemme. Nel primo pomeriggio di oggi circa 30 razzi sono stati esplosi dal sud del Libano. Quasi tutti sono stati intercettati ma un paio pare siano caduti, provocando un ferito. Israele ha risposto con bombardamenti nel territorio libanese. Alle 23.30 circa, ora italiana, aerei da guerra israeliani hanno sorvolato e colpito la Striscia di Gaza, da nord a sud, provocando ingenti danni. Pagine Esteri

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GAZA. Israele bombarda la Striscia


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Pagine Esteri, 6 aprile 2023 – L’aviazione israeliana bombarda la Striscia Di Gaza. Dopo una giornata di tensioni è cominciato un pesante attacco aereo israeliano su Gaza. Non si hanno ancora notizie chiare in merito alle conseguenze. Si sa solo che l’aviazione israeliana ha colpito in varie zone della Striscia e che sirene di allarme sono state attivate in tutto il sud di Israele.

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Israele bombarda la Striscia di Gaza

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Il James Webb ha ripreso gli anelli di Urano con straordinario dettaglio | Passione Astronomia

"Il settimo pianeta del Sistema Solare, Urano è unico: ruota su un fianco, con un angolo di quasi 90° rispetto al piano della sua orbita. Ciò causa stagioni estreme poiché i poli del pianeta sperimentano molti anni di luce solare costante seguiti da un numero uguale di anni di completa oscurità – Urano impiega 84 anni per orbitare attorno al Sole."

passioneastronomia.it/il-james…



Con il decreto legge approvato in Consiglio dei Ministri, il Ministero ha avviato oggi un piano di assunzioni a tempo indeterminato di docenti, per l’anno scolastico 2023/2024, in attesa dello svolgimento dei concorsi previsti dal #PNRR.
#pnrr


Raul Mordenti Occorre smentire la menzogna che si aggiunge alla vergogna delle dichiarazioni di La Russa. I giornali e le Tv di regime rilanciano con tutt


Europa sempre più dipendente dagli USA, la svolta che serve


In Italia tendiamo a occuparci delle prossime elezioni europee 2024 con fumose analisi intorno all’ipotesi se Giorgia Meloni riuscirà con il gruppo dei conservatori a stringere un’alleanza in Ue che ribalti l’intesa tra popolari e socialisti, lasciando Sa

In Italia tendiamo a occuparci delle prossime elezioni europee 2024 con fumose analisi intorno all’ipotesi se Giorgia Meloni riuscirà con il gruppo dei conservatori a stringere un’alleanza in Ue che ribalti l’intesa tra popolari e socialisti, lasciando Salvini isolato. E delle prossime presidenziali Usa facendo colore sul processo a Trump, come sua ideale vittimizzazione per tornare alla Casa Bianca. In realtà dovremmo guardare a tutt’altro. Viviamo nell’impressione che l’Europa, prima nella risposta al Covid con strumenti cooperativi come il Next Generation Eu e il Sure e il nuovo Mes, poi nella risposta comune all’invasione russa dell’Ucraina, abbia fortemente ripreso in mano le redini di un ruolo protagonista, rispetto alla tradizionale dipendenza strutturale dagli Usa condita in salsa “rispetto per Putin”. Quando nel 2019 nacque la Commissione Von der Leyen, il suo primo discorso sembrò a tutti una risposta fiera agli anni di Trump, che flirtava con Putin e malsopportava gli alleati europei della Nato. Ma poi è andata davvero così, oppure no? I numeri dicono l’esatto opposto.

Possiamo scrivere paginate intere sulla visita di Macron e della presidente della Commissione Ue in Cina. Ma oggi siamo molto più dipendenti dagli Usa di quanto lo fossimo 15 anni fa. Nel 2008 l’economia Ue valeva 16,2 trilioni di dollari, quella degli Usa 14,7 trilioni. Nel 2022 l’economia Usa è salita a oltre 25 trilioni di dollari, quella europea neanche sommando il Regno Unito arrivava a 20 trilioni. E se si toglie il Regno Unito l’economia americana vale oltre metà più di quella Ue. Continuano ad avvenire in dollari circa l’88 per cento degli scambi commerciali mondiali. Il dollaro continua a denominare oltre il 60 per cento delle riserve ufficiali scambiabili mondiali, l’euro è fermo al 21 per cento, mentre sala la quota del renmimbi cinese. Al dominio tecnologico delle grandi piattaforme hitech Usa – Alphabet, Amazon, Apple, Meta, Microsoft – la Ue risponde con multe e misure antitrust, non con capacità di propri campioni europei (come ha fatto la Cina). Il bilancio militare Usa dal 2008 al 2022 è salito da 665 miliardi a oltre un trilione di dollari (ai più di 800 miliardi del Pentagono vanno aggiunti molti programmi tecnologici pubblico-privati).

La spesa militare dei paesi Ue intanto saliva solo da 303 a 325 miliardi di dollari. L’investimento Usa in alte tecnologie per la difesa resta oltre sette volte maggiore della somma a tal fine prevista da tutti i programmi nazionali separati dei membri Ue. Nel 2017 l’Ue aveva annunciato l’obiettivo di adottare programmi congiunti di sviluppo e acquisto di sistemi di difesa pari al 35 per cento della spesa a tal fine dei diversi membri: con tutti gli sforzi compiuti nel sistema congiunto Occar, siamo fermi a meno del 18 per cento. La politica estera e di difesa europea resta un capitolo tutto da costruire: ogni governo difende le sue vocazioni e interessi nazionali.

L’atteggiamento cautissimo con Putin subito dopo l’invasione tenuto da Parigi e Berlino ha fatto cadere ai minimi ogni credibilità del tradizionale traino franco-tedesco agli occhi di tutti i paesi esteuropei membri dell’Ue e della Nato. Ad aprile 2022 il premier polacco Morawiecki fulminò Macron chiedendogli: “Crede di trattare con Putin che invade l’Ucraina? Noi abbiamo imparato che non si tratta con Hitler e Stalin che ci invasero”. Non sono poche decine di carri Leopard all’Ucraina a mutare questo bilancio. Se si paragona alla politica europea la visione complessiva mondiale contenuta nella Us National Security Strategy rilasciata nell’ottobre 2022, in cui si concilia la necessità di sostenere assolutamente l’Ucraina senza perdere di vista il fatto che la Cina appare come l’unico vero grande soggetto internazionale che ha volontà e strumenti economici e militari per tentare di costruire un intero sistema internazionale alternativo a quello basato su libertà e mercato, l’Europa fa la figura di un velleitario émigrée dell’Ancien Régime.

Di fronte a questa prospettiva, con tutto il rispetto per chi giudica le vicende mondiali dal cortiletto delle guerre per bande italiote, la scelta alle prossime elezioni europee è tra chi vuole davvero un’Europa la cui economia e politica di difesa siano meno vassalle delle virate americane e meno soggette ai raid di Putin, e chi invece si culla in nazionalismi e glorie del passato che ci fanno impoverire, indebolire e inginocchiare. (Su questi temi, consiglio un bel saggio di Jana Puglierin e Jeremy Shapiro, sul sito dell’European Council of Foregin Relations).

Il Foglio

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Anche l’Italia dice no ai test antisatellite. Mentre Russia e Cina…


“L’Italia si impegna a non condurre test distruttivi di missili antisatellite ad ascesa diretta”. Questa la dichiarazione inequivocabile del vicepresidente del Consiglio e ministro degli Affari esteri e della cooperazione internazionale, Antonio Tajani, r

“L’Italia si impegna a non condurre test distruttivi di missili antisatellite ad ascesa diretta”. Questa la dichiarazione inequivocabile del vicepresidente del Consiglio e ministro degli Affari esteri e della cooperazione internazionale, Antonio Tajani, resa nota da una nota della Farnesina. La decisione fa seguito all’adozione da parte dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite, co-sponsorizzata dall’Italia, della risoluzione 77/41 dello scorso dicembre. Il documento infatti chiede agli Stati membri dell’Onu di impegnarsi a non condurre test distruttivi di missili anti-satellite ad ascesa diretta. Così il governo italiano prosegue nella direzione di rendere più sicuro e sostenibile lo spazio extra-atmosferico.

La postura italiana sugli Asat

“L’Italia continuerà a lavorare attivamente e costruttivamente per aumentare la sicurezza e la sostenibilità dello spazio extra-atmosferico, un bene collettivo importantissimo per gli interessi vitali di tutte le nazioni”, ha proseguito il ministro Tajani. E anche in questo settore non mancano le partnership e le intese con altri Paesi: “Siamo al fianco dei nostri principali partner atlantici e occidentali per sostenere e rafforzare un ordine internazionale per lo spazio basato su regole e libero da conflitti”. Ricordiamo infatti che i test antisatellite (Asat), utilizzati per distruggere satelliti potenzialmente in fine vita, rappresentano un rischio sia per la sostenibilità delle orbite, a causa delle grandi quantità di detriti spaziali che si formano (ad esempio in caso di attacchi cinetici), sia per la pericolosità delle orbite dove aumentano le probabilità di avere impatti diffusi e irreversibili sull’ambiente spaziale.

Posizione condivisa da Francia e Usa…

Così l’Italia si unisce a quei Paesi che hanno già detto no ai test Asat. Tra questi spiccano Stati Uniti e Francia. Proprio a dicembre scorso la Francia si è aggiunta alla decisione degli Stati Uniti – annunciata da Kamala Harris ad aprile 2022 – di rispettare l’impegno di non condurre test missilistici antisatellitari. In un comunicato rilasciato all’epoca dai ministeri di Esteri e Difesa, la decisione francese veniva motivata come passo verso un “ambiente spaziale sicuro e stabile”, dal momento che tali test “hanno causato una grande quantità di detriti, che possono portare a gravi conseguenze per la sicurezza spaziale, in particolare compromettendo l’integrità dei satelliti in orbita”.

… ma non da Cina e Russia

Postura diversa invece quella di Cina e Russia, che ancora non hanno fatto dichiarazioni simili, ma anzi continuano a sviluppare armi e sistemi antisatellite, contribuendo alla militarizzazione delle orbite. La Cina ha lanciato nel 2007 il suo primo test Asat a 800 chilometri di altitudine contro il proprio satellite Fengyun-1C, creando più di 3mila detriti (il test più distruttivo di sempre), molti dei quali ancora fluttuano in orbita. Era al tempo il primo Paese, dopo Usa e Russia, a essersi dotato di queste tipologie di armi (oggi a completare il quartetto si è aggiunta anche l’India). Ad oggi, la Cina è il secondo Paese per satelliti operativi in orbita, dopo gli Usa, e sta continuando a lavorare a diverse tecnologie anti-satellite, tra cui laser e disturbatori di comunicazione.

Anche la Russia, dal canto suo, prosegue nello sviluppo di diverse armi antisatellite, di ogni tipo: da quelle cinetiche alle non cinetiche, da quelle elettroniche fino alle armi cyber. Così Mosca sta rilanciando l’eredità sovietica, concentrandosi su tecniche di “Active space defence”, come dimostrano gli oltre dieci test condotti dal sistema Asat Nudol dal 2014. Senza dimenticare quando, a novembre 2021, la Russia ha svolto un test con missile anti-satellite ad ascesa diretta colpendo il satellite Cosmos 1408 non più in uso e creando oltre 1500 pezzi di detriti orbitali.


formiche.net/2023/04/italia-te…



Prosegue la riconciliazione tra Iran e Arabia saudita


I due paesi ripristineranno i voli tra Teheran e Riyadh, faciliteranno il rilascio dei visti e riapriranno ambasciate e consolati. L'articolo Prosegue la riconciliazione tra Iran e Arabia saudita proviene da Pagine Esteri. https://pagineesteri.it/2023/0

della redazione

Pagine Esteri, 6 aprile 2023 (foto IRNA) – A un mese dall’annuncio giunto da Pechino che Iran e Arabia saudita, mettendo da parte anni di ostilità e di guerre per procura, avrebbero nel giro di qualche mese normalizzato le loro relazioni, oggi sempre nella capitale cinese, con una dichiarazione congiunta, il ministro degli esteri dell’Arabia Saudita, Faisal bin Farhan, e l’omologo iraniano, Hossein Amirabdollahian, hanno annunciato che i due paesi ripristineranno i voli tra Teheran e Riyadh, faciliteranno il rilascio dei visti, inclusi quelli per i pellegrini musulmani, e riapriranno ambasciate e consolati nella città saudita di Gedda e in quella iraniana di Mashhad, oltre a riprendere le visite delle delegazioni del settore privato.

I due paesi inoltre pongono enfasi sulla “stabilità, la sicurezza sostenibile e lo sviluppo della regione” e, per questo, riattiveranno l’accordo di cooperazione in materia di sicurezza firmato nel 2001 e l’accordo generale di cooperazione siglato nel 1998.

La riconciliazione tra Iran e Arabia saudita è vista con sospetto da Stati Uniti e Israele fautori di una politica di isolamento di Teheran. Pagine Esteri

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