In Cina e Asia – Pacifico, accordo di sicurezza Usa-Papua Nuova Guinea
I titoli di oggi:
Pacifico, accordo di sicurezza Usa-Papua Nuova Guinea
Cina-Russia, continua il lavoro della diplomazia tra i due paesi
Cina, emesse le nuove linee guida per l'assisitenza agli anziani
Corea del Sud, Yoon incontra Michel e Von der Leyen
Taiwan, respinta la richiesta per lo status di osservatore all'Oms
Thailandia, pronta la coalizione ma spariscono le contestazioni sulla legge contro la lesa maestà
Elezioni a Timor Est, vince l'opposizione
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“Guerre al terrorismo”: hanno fatto milioni di morti e continuano a uccidere
di Valeria Cagnazzo
(la foto in evidenza è di Russell Bassett)
Pagine Esteri, 22 maggio 2023 – Si intitola “Come la morte sopravvive alla guerra” il nuovo rapporto del progetto sui costi della guerra della Brown University pubblicato lo scorso 15 maggio. Analizzando le conseguenze delle guerre in cui gli Stati Uniti sono stati impegnati negli ultimi trent’anni in nome della lotta al terrorismo lanciata da Washington dopo l’11 settembre 2001, il lavoro rivela quanti e quali tipi di morte possano essere direttamente o indirettamente correlati alla guerra. E, soprattutto, quanto a lungo gli effetti di conflitti devastanti, come quelli in Iraq o in Afghanistan, possano continuare a mietere vittime tra i civili, anche ad anni di distanza dalla partenza delle truppe occupanti.
“”I costi della guerra” è un progetto con base negli Stati Uniti”, ha dichiarato Stephanie Savell, l’antropologa che ha guidato lo studio, “e spero che le persone possano usare questa ricerca per chiedere al governo USA di assumersi le sue responsabilità, incluse quelle dell’assistenza umanitaria e dei risarcimenti nelle zone di guerra”.
The Costs of War project is based in the U.S. and I hope people can use this research to hold the U.S. government accountable, including for humanitarian assistance and reparations in the war zones. [6/— Stephanie Savell (@stephsavell) May 15, 2023
In Afghanistan, Pakistan, Iraq, Siria e Yemen la stima delle vittime delle guerre condotte dagli Stati Uniti e dai loro alleati dopo l’11 settembre si aggira intorno ai 4.5 milioni. Di queste, però, solo un milione di persone sarebbero state uccise direttamente negli scontri armati e nei bombardamenti nel corso dei conflitti. La maggioranza delle vittime, 3.6 milioni circa, prevalentemente bambini, sono morte a causa delle malattie, della fame e della distruzione del sistema sanitario che la guerra al terrore ha provocato in questi Paesi, colpendone le economie, le infrastrutture e i paesaggi. Si chiamano “morti indirette” e rappresentano il prezzo più alto di ogni conflitto.
Esistono, ad esempio, delle morti in Afghanistan, si interrogano gli autori del rapporto, che possano non essere in qualche modo correlate al conflitto che ha interessato il Paese fino all’agosto del 2021? Decine di migliaia di bambini sotto i cinque anni continuano a morire nel Paese a causa della malnutrizione, di malattie infettive e di complicanze neonatali, a causa degli effetti della guerra.
Un bambino di un Paese in guerra ha 20 volte più possibilità di morire disidratato a causa della gastroenterite che per le ferite dirette di un’arma da fuoco, ma anche in quel caso è difficile scorporare quel decesso dal conflitto, che ha indebolito quel corpo e le sue difese immunitarie con la fame e l’abolizione del diritto alla salute. Anche a distanza dalla fine di una guerra, a pagare i prezzi più alti delle guerre sono in ogni caso i bambini. In Afghanistan, Iraq, Siria, Yemen e Somalia attualmente, secondo i dati della Brown University, 7,6 milioni di bambini sotto i cinque anni sono affetti da malnutrizione acuta.
La scia di dolore che le guerre americane hanno lasciato dietro di sé è lunga e continua a seminare morti e malattie o problemi fisici e mentali potenzialmente letali. Si possono definire con il termine epidemiologico di “inferenze causali” i nessi che collegano gli effetti diretti dei conflitti in un Paese a tutta la sequenza di morti, disabilità fisiche e disturbi psichiatrici che questi possono continuare a provocare nel lungo periodo. Secondo gli autori, le inferenze causali prendono il via, in questo caso, dal collasso economico e dall’insicurezza alimentare; dalla distruzione dei servizi sanitari e dalle infrastrutture; dalla contaminazione dei terreni e delle acque; dal trauma “riverberante” che perpetua disagi psichici e la violenza nei rapporti umani.
I numeri che tali inferenze causali si trascinano dietro sono spiazzanti e sicuramente sottostimano l’entità del problema, dal momento che sono scarsi e poco attendibili i dati statistici che si possono ricavare dai Paesi in guerra o in emergenza umanitaria, soprattutto quelli riguardanti la mortalità infantile e l’incidenza di malattie. Per questo, sottolineano gli autori, ulteriori studi sarebbero necessari per raccogliere numeri più affidabili e senza dubbio ancora più terrificanti.
A dimostrare le conseguenze devastanti delle guerre americane, però, oltre ai numeri ci sono le singole storie raccontate nel rapporto, che evidenziano quale peso queste continuino ad avere sull’esistenza di ogni civile. Come quella di Kharaizan, morta di parto in Yemen lasciando orfani sette figli perché il marito non aveva mezzi né denaro a sufficienza per accompagnarla in un presidio di pronto soccorso. O quella delle donne di Fallujah in Iraq, incapaci di portare a termine una gravidanza o di dare alla luce bambini senza malformazioni a causa dei bombardamenti che avvelenarono il Paese nel 2004. Come la storia dei ragazzi afghani vittime del “riverbero” psicologico della violenza che affermano “Spero solo che questa vita finisca” o dei loro fratelli ricoverati per malnutrizione che a un anno pesano come bambini di pochi mesi, indeboliti tanto dalla fame da non potersi muovere. Tutti questi “danni collaterali”, sembra voler ribadire il rapporto, ci riguardano, e l’eco incessante del loro moltiplicarsi anche ad anni di distanza dalla partenza delle truppe alleate dovrebbe tormentare con la stessa frequenza il sonno dei governi occidentali. Pagine Esteri
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PRIVACYDAILY
Durand Jones - Wait til i get over
L’album di debutto di Durand Jones, cantante e leader della celebre formazione soul Durand Jones & The Indications ha impiegato oltre dieci anni per completare il suo disco solista, che vede ora la luce per Dead Oceans e si intitola "That feeling". @Musica Agorà
iyezine.com/durand-jones-wait-…
Durand Jones Wait til i get over 2023
L’album di debutto di Durand Jones, cantante e leader della celebre formazione soul Durand Jones & The Indications ha impiegato oltre dieci anni per completare il suo disco solista, che vede ora la luce per Dead Oceans e si intitola "That feeling".Massimo Argo (In Your Eyes ezine --)
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Se il pregiudizio etico ispira il posizionamento politico
Attendere 48 ore dai fatti per vedere se tesi nuove si fossero mai affacciare nel dibattito pubblico e infine rassegnarsi di fronte all’inesorabile ripetizione del sempre uguale. Due assunti: le opinioni prescindono regolarmente dai fatti; il pregiudizio etico ispira regolarmente il posizionamento politico, a dimostrazione della tesi, in verità acclarata da tempo, che la società e la politica italiana sono quanto di più lontano dalla sensibilità e dal metodo liberale. L’avversario è dunque un nemico, ed è un nemico non per ragioni politiche ma per ragioni etiche.
I fatti sono quelli del Salone del libro di Torino. Ma i fatti, in Italia, sono regolarmente subornati dalle opinioni. L’opinione, a sinistra, è che la destra sia “fascista”. Elly Schlein, Matteo Orfini, Roberto Saviano e Michela Murgia, ovvero i rappresentanti politici e gli ispiratori ideologici dell’odierna sinistra con ambizioni di governo, hanno, con accenti diversi, in fondo detto la stessa cosa: che la destra non accetta il dissenso e che perciò è una destra autoritaria.
Premesso che chi scrive è animato da uno spirito laico tanto dal punto di vista religioso quanto dal punto di vista politico, alcuni fatti balzano agli occhi. Il primo fatto attiene al contesto. Un contesto non politico, il Salone del libro di Torino, dove Eugenia Roccella interveniva non in quanto ministro della Famiglia in carica, ma in quanto autore di un libro. Il libro, edito da Rubettino si intitola “Una famiglia radicale”. È un libro su suo padre, Franco Roccella, e sulla storia umana e politica del Partito radicale da lui fondato assieme a Marco Pannella. Come spesso accade ai figli, vige anche in questo caso il sospetto che abbiano tradito le idee dei padri. Ma ciò attiene, semmai, alla dimensione familiare e nulla toglie al fatto che contestare Eugenia Roccella al Salone di Torino e in occasione della presentazione di un libro sui radicali sia in effetti un fuor d’opera. Il segno che la polemica politica è degradata dalle idee alla persona. Il che non è mai, oggettivamente parlando, un buon segno.
Comunque sia, la contestazione c’è stata, e la sinistra politica e culturale italiana di cui sopra ne ha tratto spunto per dire che Eugenia Roccella era lì per provocare (Saviano) e, che anziché lasciare la sala col chiaro fine di erigersi a martire, avrebbe dovuto accettare il confronto (Schlein, Orgini e Murgia). È il segno che chi, e, tra giornalisti, intellettuali e politici, ve ne sono stati anche molti altri oltre ai quattro citati, ha formulato tale giudizio l’ha fatto prescindendo radicalmente dai fatti.
A scorrere i numerosi video dell’evento, si apprende infatti che Eugenia Roccella ha dato la parola ai propri contestatori e dopo avergli lasciato la ribalta per esprimere le proprie opinioni li ha invitati ad un pubblico confronto. È stato allora che la contestazione, il che, come è stato correttamente osservato da tutti gli interventi “di sinistra”, fa parte di quelle sgradevolezze che chi ambisce a governare deve accettare, si è trasformata nei fatti in violenza. Una cosa, in effetti, è interrompere un evento pubblico per poter mettere in luce le proprie tesi. Altra cosa è tambureggiare senza sosta le proprie tesi fino ad impedire che l’evento pubblico si svolga. È questo che è accaduto.
Intendiamoci, non è una tragedia. È però un segno. O, per meglio dire, è un sintomo. Il sintomo di una malattia che, non certo da oggi, ma in fondo da sempre, affligge, sia detto per verità storica e senza intenti meloniani, la nostra nazione. Ovvero la tendenza ad inquadrare le opinioni opposte alle proprie non sul piano politico ma sul piano etico. Delegittimandole, di conseguenza, in radice.
Cerchiamo di capirci con un esempio. A differenza di Eugenia Roccella, chi scrive è favorevole all’aborto, ma riconosce che si possa essere contrari per ragioni di principio senza per questo essere dei mostri o dei “fascisti”. Non è questo l’approccio mainstream. Sì che, per quanto sia chiaro a ciascuno che questo governo non sovvertirà mai la volontà popolare espressa nel referendum del 1981 promosso dai radicali, ci si comporta come se così fosse. O, peggio, come se nessun dissenso culturale rispetto al diritto di abortire fosse legittimo.
Non è un approccio “politico”. Men che meno è un approccio liberale o “laico”. È un approccio etico. Un approccio forse naturale nell’Italia che si è lasciata per oltre cinquant’anni rappresentare da due chiese: la Dc e il Pci.
È questa, evidentemente, la nostra natura. È questa la nostra condanna.
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noyb win: € 1.2 billion fine against Meta over EU-US data transfers
vittoria della noyb: multa da 1,2 miliardi di euro contro Meta per i trasferimenti di dati tra UE e USA Facebook deve interrompere ulteriori trasferimenti di dati personali europei verso gli Stati Uniti, dato che Facebook è soggetto alle leggi di sorveglianza statunitensi (come la FISA 702 e la EO 12.333).
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“Diritto comparato della privacy e della protezione dei dati personali” (Ledizioni) di Paolo Guarda e Giorgia Bincoletto
DemOligarchisc di Angelo Lucarella
taglio parlamentari, rischio oligarchia mascherata e metodo psico-demonizzante
Essere o non essere padroni della democrazia?
Questa è la domanda di fondo dai cui muove i passi il nuovo libro di Angelo Lucarella DemOligarchisc in uscita il prossimo 5 maggio con La Bussola edizioni di Gioacchino Onorati.
Il saggio, la cui prefazione è di Luciano Violante – Presidente emerito della Camera dei Deputati – analizza il sacro e ed il profano della politica contemporanea riguardo al famoso passaggio del “taglio dei parlamentari”. Attingendo dalle esperienze del passato (greci, romani, ecc.), il saggio di Lucarella cerca di spiegare cosa ha rappresentato il detto fenomeno e come quest’ultimo si ponga in termini di equilibrio del potere tra presente e futuro del Paese.
Un quadro di analisi, quindi, che pone al centro delle riflessioni il ruolo della Costituzione, la forza educatrice di quest’ultima e la comunicazione dei populismi partendo da un fatto cruciale della scorsa legislatura: l’input di Giuseppe Conte, all’epoca dei fatti Presidente del Consiglio dei Ministri, durante una kermesse in pubblica piazza nel 2020.
La DemOligarchisc, come afferma Lucarella nel libro, è il nutrito di paure (ma non solo). Quelle paure che il Paese deve cercare di superare ogni qualvolta si ripresentino sulla scena spinte demonizzanti della politica.
Chi è l’autore?
Angelo Lucarella è giurista, saggista, editorialista, docente a.c. Università degli Studi di Napoli Federico II.
Già vice presidente della Commissione Giustizia del Ministero dello Sviluppo Economico e delegato italiano (under 40) al G20 Amburgo 2022 industria, imprese e sviluppo economico organizzato da compagini industriali/imprese dei Paesi partecipanti con Ministero economia tedesco.
Componente di cattedra in “Diritto e spazio pubblico” – Facoltà di Scienze Politiche presso Università degli studi internazionali di Roma nonché componente del tavolo di esperti per gli studi sul “reddito universale” – Dipartimento di Scienze Politiche Università internazionale per la Pace dell’ONU (sede di Roma).
Direttore e docente del Dipartimento di studi politici, costituzionali e tributari – Università Federiciana p.re.
Scrive su diverse testate nazionali ed internazionali: La Voce di New York, Italia Oggi, La Ragione, Il Riformista, Il Sole 24 Ore, Affari Italiani, Formiche, Filodiritto ed interviene per il blog della Fondazione Luigi Einaudi.
L’inedito politico-costituzionale del Contratto di Governo (Aracne editrice 2019) è stata la sua prima monografia e successivamente, sempre con Aracne di Gioacchino Onorati, ha pubblicato quattro libri-raccolta.
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La ricetta Usa per innovare la Difesa. Un modello per l’Italia?
I prossimi dieci anni saranno decisivi per la competizione geostrategica tra superpotenze, una gara che si deciderà in particolare sul campo della tecnologia e della ricerca scientifica anche nel campo della Difesa. Mantenere il vantaggio competitivo in questi campi, infatti, sarà l’elemento-chiave alla base della deterrenza e, di conseguenza, della sicurezza globale. A dirlo è il Dipartimento della Difesa degli Stati Uniti, che ha rilasciato di recente la propria Strategia nazionale per la scienza e la tecnologia della Difesa. Un documento nel quale il Pentagono ha raccolto le sue priorità e obiettivi in vista delle crescenti instabilità a livello globale. Già nella National security strategy e nella National defense strategy, Washington aveva registrato che “l’accelerazione del progresso tecnologico e dell’innovazione sono elementi-chiave per garantire la sicurezza nazionale a lungo termine” e che gli Stati Uniti “devono prendere provvedimenti per preservare la leadership e contrastare i concorrenti che hanno preso di mira direttamente questo vantaggio”.
Investire per la nuova era
Del profondo legame che sempre di più lega Difesa e tecnologia ha infatti parlato anche la sottosegretario della Difesa per la Ricerca e l’ingegneria nell’amministrazione Usa, Heidi Shyu, in occasione della sua visita a Roma. “Ci stiamo affacciando in una nuova era strategica – ha detto Shyu – nel corso della quale dobbiamo assicurarci di investire i giusti fondi nello sviluppo tecnologico in una visione di lungo periodo”. Come sottolineato dal sottosegretario americano, dunque, l’obiettivo delle istituzioni, Pentagono in primis, “è quello di assicurare alle forze armate le tecnologie necessarie ad operare, è questo include l’allocazione di investimenti in diverse aree tecnologie essenziali”.
Fare leva sui privati
Biotecnologie, scienze quantistiche, materiali innovativi, network integrati, IA, spazio, interfaccia umano-macchina, energia diretta, ipersonica, sono solo alcune delle aree principali di indagine identificate dalla Strategia Usa. Nei prossimi anni, infatti, le sfide non solo aumenteranno, ma diventeranno più complesse, “i cambiamenti intervenuto nel mercato commerciale hanno alterato le dinamiche per chi crea conoscenza e strumenti all’avanguardia per le Forze armate e il modo con cui gli Stati hanno accesso a queste”. Per questo, recita la nuova strategia, il Pentagono dovrà essere più proattivo nella collaborazione con il settore privato, investendo sulle tecnologie emergenti prima che lo possano fare gli avversari. Per affrontare la sfida, allora, il Pentagono intende “fare leva sui vantaggi asimmetrici americani: lo spirito imprenditoriale, il sistema generativo di idee e di tecnologia diverso e plurale, capace di fornire creatività, innovazione e adattamento senza eguali”. Per questo il legame con le industrie private sarà essenziale, creando un vero e proprio binomio Difesa-industria capace di affrontare e superare le sfide del prossimo futuro.
Le collaborazioni tecnologiche Usa
Le imprese americane, del resto, non sono rimaste indietro, e si moltiplicano le iniziative congiunte con cui le grandi aziende della Difesa a stelle e strisce collaborano con realtà più piccole all’avanguardia dell’innovazione per sviluppare strumenti e soluzioni tecnologici avveniristici. Ne sono esempi la partnership tra L3Harris Technologies and BigBear.ai per integrare i sistemi predittivi sensoristici di quest’ultima con i sistemi di controllo autonomi per i vascelli unmanned (veri e propri droni navali); oppure la collaborazione tra Northrop Grumman e Shield AI per realizzare il nuovo drone per lo Us Army che dovrà rimpiazzare il RQ-7B Shadow. Sempre Shield AI collabora anche con Boeing per esplorare nuove capacità nel campo IA sui programmi di difesa. Lockheed Martin, invece, attraverso la sua campagna di investimento lanciata nel 2007, Lockheed Martin Ventures, ha messo a disposizione un fondo permanente di duecento milioni di dollari, investendo in oltre 35 aziende in tutto il mondo che stanno sviluppando tecnologie all’avanguardia che definiranno il futuro dell’industria della difesa.
Un modello per l’Italia?
Tutto questo potrebbe essere un elemento di riflessione importante anche per il nostro Paese, ovviamente al netto delle particolarità dei diversi ecosistemi industriali. Tuttavia, anche l’Italia è caratterizzata da alcune grandi imprese-campione nel settore della Difesa, alle quali si aggiungono però un elevatissimo numero di piccole e medie imprese e start up ad alto valore innovativo che, se inserite in una rete di collaborazioni, potrebbero fornire all’industria nazionale quel vantaggio competitivo descritto nelle strategie nazionali Usa. In particolare, il nostro Paese può vantare un protagonismo internazionale di rilievo (con Leonardo e Fincantieri al nono e tredicesimo posto a livello mondiale per ricavi nel 2022) e, soprattutto se si guarda allo spazio europeo, assicurarsi una posizione di leadership tecnologica in determinati settori potrebbe sicuramente avvantaggiare il comparto nazionale anche nei programmi congiunti a livello sia Ue, sia internazionale.
Presentazione del libro “Non diamoci del Tu – La separazione delle carriere” – 31 maggio 2023, Trieste
Sala Tiziano Tessitori – Piazza Oberdan, 5
Saluti iniziali
GIAN PIERO GOGLIETTINO
Referente Friuli Venezia Giulia FLE
Intervengono
ANDREA DELMASTRO DELLE VEDOVE
Sottosegretario di Stato al Ministero della Giustizia
MASSIMILIANO FEDRIGA
Presidente Regione Autonoma Friuli Venezia Giulia
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Presentazione del libro “Non diamoci del Tu – La separazione delle carriere” – 29 maggio 2023, Rovigo
29 maggio 2023 – Sala Consiliare della Provincia di Rovigo – Via L. Ricchieri 10 – ROVIGO
Saluti iniziali
ENRICO FERRARESE, Presidente della Provincia di Rovigo
CRISTIANO CORAZZARI, Assessore alla Cultura Regione Veneto
Intervengono
ANDREA OSTELLARI, Sottosegretario di Stato al Ministero della Giustizia
VALENTINA NOCE, Segretario Particolare del Ministro della Giustizia
MARCO PETTERNELLA, Presidente della Camera Penale Rodigina
FEDERICO VIANELLI, Presidente Camera Penale Trevigiana e UCPV
Modera
PAOLO SOMMAGGIO, Università di Trento
Sarà presente l’autore
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Presentazione del libro “Non diamoci del Tu – La separazione delle carriere” – 29 maggio 2023, Treviso
29 maggio 2023 – Aula Magna – Palazzo San Leonardo, Riviera Garibaldi 13/E – TREVISO
Saluti istituzionali
MANLIO MIELE, Direttore Dipartimento Diritto Privato e Critica del Diritto
PIER PAOLO PAULESU, Presidente Scuola di Giurisprudenza
SILVIA BISCARO, Vicepresidente COA di Treviso
Con la partecipazione del Ministro della Giustizia CARLO NORDIO intervengono
ANDREA OSTELLARI, Sottosegretario di Stato
ALBERTO QUAGLIOTTO, Direttore carcere di Treviso
FEDERICO VIANELLI, Presidente Camera Penale Trevigiana e UCPV
BENIAMINO MIGLIUCCI, Presidente Fondazione dell’Unione delle Camere Penali
Conclude
PAOLO SOMMAGGIO, Università di Trento
Modera
PAOLO MORO, Università degli Studi di Padova
Sarà presente l’autore
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Tutti i problemi con la privacy dello yuan digitale (e molto altro ancora)
Nuovo appuntamento con la rubrica Privacy weekly, su StartupItalia. Uno spazio dove potrete trovare tutte le principali notizie della settimana su privacy e dintorni. E se volete saperne di più potete leggere qui le news quotidiane di Privacy Daily o iscrivervi alla newsletter di #cosedagarante. Grazie a StartupItalia per l’ospitalità!
È disponibile il nuovo numero della newsletter del Ministero dell’Istruzione e del Merito.
Ministero dell'Istruzione
#NotiziePerLaScuola È disponibile il nuovo numero della newsletter del Ministero dell’Istruzione e del Merito.Telegram
Le iniziative delle altre Autorità
Meta hit with €1.2bn fine, ordered to halt EU-US data transfers
Meta has received a record €1.2 billion fine and the order to stop moving EU personal data to the United States in a landmark decision that found such data transfers illegal.
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L’occasione mancata dello Statuto speciale – La Sicilia
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Dorthia Cottrell - Death Folk Country
Dorthia Cottrell arriva dalla Virginia, East Coast, dove nasce cresce, insieme a poche migliaia di anime, in un ambiente di provincia decisamente conservatore. La sua esigenza di alienarsi da un contesto sociale che le sta stretto, la porta nella vicina Richmond, dove in breve tempo riesce a fondare gli Windhand, band doom che, grazie ai quattro album realizzati fino ad oggi, è riuscita a ritagliarsi un ruolo di tutto rispetto in ambito metal.
#musica #folk iyezine.com/dorthia-cottrell-d…
Dorthia Cottrell – Death Folk Country 2023
Dorthia Cottrell: “Death Folk Country” è un album che ti scalda il cuore, andando a toccare quelle corde da troppo tempo nascoste e soffocate da un frastuono esistenziale divenuto ormai insopportabile.Marco Valenti (In Your Eyes ezine --)
noyb win: € 1.2 billion fine against Meta over EU-US data transfers
vittoria della noyb: multa da 1,2 miliardi di euro contro Meta per i trasferimenti di dati tra UE e USA Facebook deve interrompere ulteriori trasferimenti di dati personali europei verso gli Stati Uniti, dato che Facebook è soggetto alle leggi di sorveglianza statunitensi (come la FISA 702 e la EO 12.333).
Sovranamente
S’avanza uno strano sovrano, che vuole andare a fondo. Caracolla quanto basta per indurre il sospetto che il Fondo sovrano – previsto dal governo con il provvedimento linguisticamente non sovrano, ovvero “Made in Italy” – possa cascarci addosso come una sovrana corbelleria. Intanto perché disvela un equivoco sulla natura stessa di cosa sia un Fondo di quel tipo, facendo finta di non sapere e vedere quale sia il ruolo delle casse statali nella struttura produttiva italiana.
I Fondi sovrani nascono in Paesi con un forte avanzo valutario, quindi prevalentemente esportatori di materie prime (ad esempio i Paesi petroliferi). Il loro scopo non è quello di sostenere le imprese nazionali, il Made in Arabia, ma acquistare quote di produttori all’estero. In questo modo compensano lo squilibrio (per loro positivo) della bilancia valutaria, accrescono influenza in altri mercati, acquisiscono tecnologie e mettono i quattrini dove suppongono che le cose andranno bene, quindi guadagnandoci. E il sovrano, che colà c’è per davvero, ingrassa felice.
Da quel che si capisce e legge, invece, il Fondo sovrano italiano servirebbe a investire in Italia, acquisendo quote di minoranza in aziende che si ritiene bene sostenere. Quindi ce la suoniamo e ce la cantiamo da soli, ma con due terribili stonature. La prima è che toccherebbe al management nominato dalla politica («Lo voglio amico mio», «No, sarà amico mio», «Vabbè, purché non sia amico loro») stabilire quali aziende meritino aiuto. Che già il fatto di chiedere aiuto è segno che non stanno in piedi da sole, ma come fa un finanziere politicamente nominato a sapere cosa sarà promettente o cosa determinante per il futuro delle produzioni nazionali? Non può sapere cosa piacerà, cosa venderà o cosa farà far soldi. E se lo sapesse col piffero che si farebbe nominare nel Fondo, andrebbe a spalar quattrini per i fatti suoi.
La seconda stonatura è che lo Stato italiano già possiede quote di minoranza in società ritenute strategiche e, in questo modo, riempie di sé più della metà delle quotazioni di Borsa. Tipo: Leonardo, Eni, Enel, Fincantieri, tutte le grandi municipalizzate, Ferrovie, Poste e via andando. Ergo il nuovo Fondo, avendo una dotazione finanziaria di appena un miliardo (le aziende elencate ne fanno decine di utili) e dovendo investire in diverse speranze del futuro e dell’identità nazionale (diviso 10 fa 100 milioni; diviso 20 fa 50 e continuate voi), investirà in aziende piccole. Ma che non sono startup perché già esistono da tempo. E da tempo non sono cresciute. E in fretta si dirà, c’è da scommetterci, che non è giusto dare soldi pubblici a chi ha già soldi e profitti, dovendoli destinare ai derelitti, che si accingono a licenziare. Quindi destinati a essere persi. Faranno anche un bando per selezionare gli amici fortunati destinatari o provvederanno con la rubrica personale?
Un Fondo così concepito non ha funzione né respiro. La presenza e l’influenza imprenditoriale italiana nel mondo esistono già. E non ‘fortunatamente’, ma grazie al lavoro e alla visione di tante imprese, alla preparazione dei collaboratori e all’ingegnosità degli innovatori. Sono quelli i grandi ambasciatori del Made in Italy. Per niente disposti a perdere soldi, ma costantemente tenuti a rischiare. Se fai un Fondo sovrano e lo alimenti con credito venduto al risparmio (che sia postale, tramite Cassa depositi e prestiti o bancario, mediante obbligazioni) altro non farai che togliere alimento al credito e al risparmio disponibile per quei campioni delle esportazioni e dell’innovazione. Come se lo Stato non risucchiasse già tanta parte del risparmio privato, per tenere in equilibrio l’enorme debito pubblico.
S’avanza uno strano sovrano, ma prima che proceda alla ulteriore sovrana dilapidazione, impegnato a farsi reuccio accanto allo sceicco, qualcuno avverta la sora Cesira e il sor Augusto – cittadini esemplari nonché contribuenti fedeli – e suggerisca loro di nascondere il portafoglio. Che il reuccio sovrano immaginario ha bisogno di altro frusciante.
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Elementare
Tornare alla scuola elementare sarà utile a capire molto del Paese in cui viviamo. Perché la nostra scuola elementare funziona bene e consegna risultati ragguardevoli. La pandemia ha arrecato danni notevoli, costringendo a tenere i bambini a casa in un’età in cui per apprendere non basta certo un collegamento audio e video, ma quando la scuola elementare può funzionare funziona bene, visto che il 97% dei bambini di quarta elementare sa leggere e – cosa ancora più importante – leggendo apprende. I test fatti nel 2021 da Iea Pirls (Progress in International Reading Literacy Study, test a cura della International Association for the Evaluation of Educational Achievement), collocano l’Italia sopra la media dei Paesi presi in esame, al 14esimo posto su 43. Singapore fa meglio di tutti, totalizzando 587 punti di valutazione dei loro giovani studenti, ma noi ne prendiamo 537. Per dire: la Francia arriva a 514 e si colloca al 23esimo posto, tanto che il titolo di testa di “Le Monde” gridava con dolore questo risultato.
Si può sempre fare meglio, ma evviva le maestre e i maestri. Ma c’è già da considerare una prima nota orribile: la distanza fra il Nord e il Sud dell’Italia non solo si produce già alle scuole elementari, ma in 15 anni è triplicata. Vuol dire che i bambini del Nord se la potrebbero giocare con quelli di Singapore, ma quelli del Sud sarebbero sotto la media. Intollerabile. Per capire il perché dobbiamo guardare a cosa succede dopo.
Quegli stessi bambini, dieci anni dopo, saranno pronti per l’esame di maturità, dove arriveranno sotto la media Ocse (in questo caso il misuratore sono i test Pisa, Programme for International Student Assessment), totalizzando in matematica 487 punti rispetto alla media di 489, in lettura 476 rispetto a 487 (gli estoni sono sopra 500) e in scienze lo sprofondo, con 468 rispetto a 489. Alle elementari andavano meglio dei coetanei francesi o tedeschi, mentre alla fine della secondaria superiore vanno peggio degli uni e degli altri. Si sono rincretiniti? Loro no, sono gli adulti che li circondano ad avere trasformato la scuola in uno stipendificio senza valutazione del merito, degli insegnanti prima e degli studenti dopo. Metterlo, il merito, nel nome del Ministero serve a nulla: va messo nel contratto.
Anche nei buoni risultati delle elementari – aiutati dalla naturale tendenza dei bimbi a crescere, imparare e misurarsi, cosa che splendidamente fanno pure giocando – più si scende verso Sud, considerandolo un ‘posto’ anziché una vocazione, e più i risultati si fanno deludenti. E spesso al Nord gli insegnanti sono del Sud. Non è una questione genetica, ma una degenerazione disoccupazionale.
Siamo noi che ci siamo costruiti questa roba. Ma la cosa più grave non è tanto che la scuola abbia preso la deriva sindacal-assistenziale, ma che attorno a quella si sia costruita una (in)cultura del compatimento, talché tutti i ragazzi sono a rischio trauma se solo qualcuno gli fa osservare che sono capoccioni e che dovrebbero studiare. La cosa grave non è che tanti cerchino di sistemarsi e avere il posto fisso, ma che alle famiglie stia bene così. Guardiamo quei numeri, torniamo alle elementari e tocchiamo con mano come si faccia a rovinare l’avvenire dei ragazzi e quello collettivo.
A questo punto arriva quello che crede di avere un pensiero ficcante e dice: non è vero, sono i più bravi, hanno successo all’estero e se ne vanno perché li pagano di più. Vero, ma non sono la media dei ragazzi che vengono culturalmente impoveriti da questa scuola: sono i privilegiati dalla natura perché più svegli o intraprendenti, dall’avere frequentato una scuola migliore della media offerta in Italia o da una famiglia che li ha mandati all’estero a farsi lingua e ossa. È così che abbiamo realizzato l’inferno classista inseguendo l’illusione egualitaria.
Si può cambiare, anche se temo sia più facile spiegarlo a un bambino di 9 anni che al politicante che prova a prendere il voto dei suoi genitori.
L'articolo Elementare proviene da Fondazione Luigi Einaudi.
Disponibile la nuova puntata del format “Il Ministro risponde” 📲
In questo quinto...
Disponibile la nuova puntata del format “Il Ministro risponde” 📲
In questo quinto appuntamento si parla dei recenti impegni internazionali del Ministro, il Summit sulla professione docente a Washington e il G7 sull'istruzione svoltosi a Toyama; de…
Ministero dell'Istruzione
Disponibile la nuova puntata del format “Il Ministro risponde” 📲 In questo quinto appuntamento si parla dei recenti impegni internazionali del Ministro, il Summit sulla professione docente a Washington e il G7 sull'istruzione svoltosi a Toyama; de…Telegram
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Concludiamo così le nostre attività di quest’anno al Salone internazionale del libro 📚 vi aspettiamo per gli ultimi appuntamenti in collaborazione con il Senato della Repubblica, …
In Cina e Asia – G7: la Cina convoca l’ambasciatore giapponese
G7: la Cina convoca l'ambasciatore giapponese
Metà dei cinesi approva una “riunificazione” armata di Taiwan
La Cina supera il Giappone come principale paese esportare di auto
Agenti di pubblica sicurezza cinesi responsabili a vita per la gestione dei casi
Carenza di scimmie da laboratorio cinesi negli Usa
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NABLUS. Esercito uccide 3 palestinesi a Balata. Demolite case
della redazione
Pagine Esteri, 22 maggio 2023 – Tre combattenti palestinesi sono stati uccisi da soldati israeliani penetrati nella notte nel campo profughi di Balata (Nablus), in Cisgiordania. I tre sono stati identificati come Muhammad Zaytoun, 32 anni, Fathi Rizk, 30, e Abdullah Abu Hamdan, 24. Facevano parte delle Brigate dei Martiri di Al Aqsa, un gruppo armato politicamente vicino al partito Fatah. E’ stata la stessa organizzazione a comunicarne i nomi.
I tre uccisi si trovavano insieme nell’abitazione di Rizk quando sono stati circondanti dalle unità speciali dell’esercito israeliano.
Almeno sei palestinesi sono stati feriti da proiettili – uno è in condizioni critiche – durante gli scontri a fuoco, secondo la Mezzaluna Rossa Palestinese. Sono stati portati all’ospedale Rafidia.
Altri palestinesi sono rimasti feriti durante la demolizione di alcune case da parte di buldozer dell’esercito israeliano. Secondo il portavoce militare uno degli edifici sarebbe stato un “laboratorio per la fabbricazione di armi”. Gli abitanti del campo invece parlano di “punizione collettiva” inflitta a scopo di avvertimento a coloro che danno rifugio ai combattenti palestinesi. Pagine Esteri
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Elezioni in Grecia, per Syriza è una disfatta
di Marco Santopadre*
Pagine Esteri, 22 maggio 2023 – La destra al governo supera il 40% e guadagna 150 mila voti, doppia letteralmente il partito di Alexis Tsipras che perde 600 mila voti e scende al 20%.
Il risultato delle elezioni di ieri in Grecia smentisce in parte sia i sondaggi della vigilia sia gli exit poll diffusi dopo la chiusura delle urne dalla Tv pubblica ellenica ERT. Lo spoglio ha infatti confermato la preannunciata vittoria della destra ma con dimensioni assai più soverchianti per la coalizione di sinistra che subisce una disfatta senza precedenti.
Nei giorni scorsi Alexis Tsipras aveva dichiarato di sperare nella mobilitazione del voto giovanile – più favorevole a Syriza che alla destra di Mitsotakis – per ribaltare i rapporti di forza o quantomeno accorciare il distacco con Nea Dimokratia a pochi punti percentuali per poter poi unire i propri seggi a quelli conquistati dai socialisti e formare un governo alternativo.
Ma per Syriza il risultato del voto di ieri è catastrofico.
Riferendosi alla sconfitta del 2019, durante la campagna elettorale Tsipras aveva esplicitamente affermato di aver «imparato dai suoi errori» lasciando intendere di aver usato in passato toni populisti e di aver promesso svolte irrealizzabili.
La “Coalizione della Sinistra Radicale” (Sy.Riz.A) mantiene lo stesso nome del partito che nel 2015 promise la rottura con l’austerità imposta dall’Unione Europea e dal Fondo Monetario Internazionale ma decise poi di accettare il disastroso terzo memorandum, seppur tentando di applicare una qualche riduzione del danno. Ma l’Alleanza Progressista non è più lo stesso partito dell’epoca. Negli ultimi quattro anni, pur stando all’opposizione, ha accentuato il suo profilo socialdemocratico e governista. Se da una parte migliaia di dirigenti e militanti radicali hanno abbandonato la coalizione – per fondare gruppi dissidenti alla sua sinistra o più spesso per tornare alle lotte tematiche o territoriali quando non a casa – dall’altra il suo organigramma è stato rimpolpato da migliaia di quadri provenienti dal Partito Socialista e da altre organizzazioni moderate.
Ma la moderazione evidentemente non ha pagato, e paradossalmente una parte degli elettori in fuga hanno premiato il Partito Socialista, che dopo la crisi verticale degli anni scorsi sembra risollevarsi e cercare un ruolo di primo piano nello scenario politico. Il Pasok passa dall’8,10 all’11,46 e si afferma come terzo partito.
Per il resto hanno pesato la delusione, la disillusione e la rassegnazione. A sinistra l’unica formazione a beneficiare – senza grandi exploit – del tracollo di Syriza è il Partito Comunista di Grecia (KKE), che dal 5,3 sale al 7,2 superando il 10% in numerose circoscrizioni.
Della crisi di Syriza non riescono ad approfittare invece due formazioni create da transfughi e che rimangono sotto la soglia di sbarramento del 3%. Il risultato peggiore lo ottiene Mera25, movimento fondato dall’ex ministro delle Finanze Yannis Varoufakis che nel 2015 ruppe con Tsipras dopo la decisione del governo di non difendere il ‘no’ uscito vittorioso dal referendum popolare e di accettare le imposizioni della Troika. Alle scorse elezioni il movimento socialdemocratico di sinistra aveva ottenuto il 3,44% e 9 deputati, ma questa volta il 2,62% condanna Mera25 a rimanere fuori dal parlamento. Un po’ meglio è andata a “Plefsi Eleftherias”, il movimento di sinistra libertaria dell’ex presidente del Parlamento Zoi Konstantopoulou, che con il 2,89% manca di poco la soglia di sbarramento necessaria per ottenere rappresentanti.
Un buon risultato – considerando la tenuta di Nuova Democrazia, movimento teoricamente di centrodestra ma dall’identità politica spesso oltranzista su molti temi – lo ha ottenuto “Soluzione greca”, movimento di destra nazionalista che ha di fatto sostituito Alba Dorata nel panorama politico. Elliniki Lysi prende il 4,45 mentre nel 2019 si era fermato al 3,70.
Non ce l’ha fatta invece il movimento di destra clericale “Niki”, che avrebbe potuto fornire una sponda a Mitsotakis per formare una maggioranza al Vouli ton Ellinon (l’assemblea nazionale). Il movimento fondato nel 2019 dal teologo e scrittore Dimitris Natsios a Salonicco (dove supera il 5%) rimane di pochissimo al di sotto del 3%.
Nonostante la vittoria schiacciante riportata da Nea Dimokratia sull’opposizione e la crescita dell’1% rispetto alla precedente tornata elettorale – dal 39,85 al 40,8 – che gli dà diritto a 146 deputati (solo 5 in meno della maggioranza assoluta) Kyriakos Mtsotakis ha ribadito quanto già affermato durante la campagna elettorale. Il premier uscente non ha nessuna intenzione di negoziare un governo di coalizione con i socialisti, che al pari di Syriza considera un «ostacolo per la stabilità finanziaria e la modernizzazione del paese».
Il leader della destra ha subito annunciato ieri sera che rifiuta il mandato della presidente della Repubblica di cercare alleati al Vouli e che punta a votare di nuovo il 25 giugno, una settimana prima di quanto preventivato nelle scorse settimane nel caso in cui il voto di ieri non gli avesse consegnato la maggioranza assoluta. Mitsotakis spera così di allungare ancora di più il suo vantaggio, sottraendo consensi – in nome del “voto utile” – alle piccole formazioni della destra che ieri non hanno superato lo sbarramento, ma soprattutto di approfittare del premio di maggioranza assegnato al partito che arriva in testa.
Nel 2016 l’esecutivo guidato da Syriza aveva abolito aveva abolito la misura – un premio da 20 a 50 seggi sul totale di 300, concesso in proporzione al risultato raggiunto – che la legge elettorale assegnava alla formazione politica più votata.
Non avendo ottenuto all’epoca il sostegno di almeno due terzi dei parlamentari, come prevede la Costituzione, la riforma elettorale di Syriza non era entrata in vigore subito – e infatti nel 2019 Nea Dimokratia, giunta in testa, si avvalse del premio di maggioranza – slittando alle elezioni di ieri. Il meccanismo maggioritario è stato tuttavia subito ripristinato dal governo di Nuova Democrazia, ma anche in questo caso senza una maggioranza dei due terzi, e quindi tornerà in vigore alla prossima tornata elettorale.
Per l’esponente di una delle famiglie più potenti e politicamente longeve del paese – il padre Konstantinos è stato premier negli anni ’90, mentre la sorella Dora Bakoyanni ha ricoperto la carica di Ministro degli Esteri – quello di ieri è stato un trionfo, sorretto oltretutto da un aumento della partecipazione al voto. Se nel 2019 l’affluenza era stata del 57,8%, alle urne ieri si sono recati il 60,9% degli aventi diritto.
Le sinistre avevano sperato che i passi falsi dell’oligarca potessero intaccare la sua popolarità, soprattutto dopo la rabbia e l’indignazione generati in settori consistenti della società greca dal terribile incidente ferroviario di Tempe, costato la vita il 28 febbraio a 57 persone.
In piazza, in ripetute occasioni, sono scese circa due milioni di persone, per denunciare che all’origine della tragedia ci sono la privatizzazione e la svendita ai privati – compresa Trenitalia – delle ferrovie elleniche.
Ma in campagna elettorale Mitsotakisha potuto snocciolare una serie di dati economici apparentemente positivi: dal 2019 al 2022 il Pil è cresciuto di 11 miliardi, la disoccupazione è ufficialmente scesa dal 17,3 al 12%, l’inflazione ha rinculato al 5,4% e per l’anno prossimo la Commissione Europea ha previsto per il paese una crescita del 2,4%.
Le opposizioni hanno denunciato che spesso si tratta di dati manipolati, che nascondono una situazione sociale di crescente degrado: la disoccupazione è diminuita solo perché un numero enorme di giovani è emigrato all’estero, i contratti di lavoro sono sempre più precari e milioni di persone hanno visto peggiorare le proprie condizioni di vita negli ultimi anni, a partire dall’erosione dei salari per colpa dell’aumento del prezzo dei generi alimentari e dei carburanti.
Approfittando delle procedure d’urgenza adottate durante la pandemia, il capo del governo ha regalato a oligarchi greci e multinazionali straniere decine miliardi di euro in appalti, ha aumentato il controllo della destra sul sistema mediatico e ha attaccato i sindacati, la contrattazione nazionale e la tenuta dei servizi pubblici; ha avvicinato ancora di più il paese a Washington e a Israele.
Neanche gli scandali che lo hanno visto protagonista hanno impedito il nuovo trionfo di Mitsotakis. Quando è venuto fuori che i servizi segreti spiavano esponenti dell’opposizione, giornalisti e militari utilizzando lo spyware Predator, il premier si è difeso affermando che i responsabili erano non meglio definiti “attori privati”. Anche quando media e ong lo hanno accusato di ributtare in mare i profughi provenienti dalla Turchia – come dimostrato alla vigilia del voto dal filmato pubblicato dal New York Times che ritrae 12 migranti mentre vengono costretti dalla Guardia Costiera a salire su una zattera al largo dell’isola di Lesvos – Mitsotakis ha negato e minimizzato. Il voto di ieri gli ha dato ragione. – Pagine Esteri
* Marco Santopadre, giornalista e scrittore, già direttore di Radio Città Aperta di Roma, è un analista dell’area del Mediterraneo, del Medio oriente e dell’Africa. Scrive, tra le altre cose, di Spagna, America Latina e movimenti di liberazione nazionale. Collabora con il Manifesto, Catarsi e Berria.
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Università, Economia, Politica, Istituzioni e Giornalismo nell’opera di Luigi Einaudi: L’Università: La politica e le istituzioni
22 maggio 2023
Luigi Einaudi, Uomo politico consente di affrontare tematiche legate ai temi attuali, quali l’impianto costituzionale, il ruolo dei referendum, il ricorso eccessivo alla normazione anche in sede penale, il mutato ruolo del Presidente della Repubblica, le autonomie regionali etc.
Relatori
Bartolomeo Romano, Ordinario di Diritto Penale nell’Università di Palermo e Consigliere giuridico del Ministro della Giustizia
Antonella Sciortino, Ordinario di Diritto costituzionale
Gaetano Armao, Associato di Diritto amministrativo
Progetto Università, Economia, Politica, Istituzioni e Giornalismo nell’opera di Luigi Einaudi
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Lo Sinn Fein vince le elezioni amministrative in Irlanda del Nord
di Redazione
Pagine Esteri, 21 maggio 2023 – Il partito indipendentista di sinistra Sinn Féin ha ottenuto una vittoria storica nelle elezioni amministrative celebrate alla fine della settimana in Irlanda del Nord.
Alle amministrative lo Sinn Féin ha conquistato il 31% dei voti, aumentando di quasi 8 punti percentuali rispetto alle elezioni del 2019. I repubblicani sono avanzati ovunque e sono giunti per la prima volta in testa anche nelle circoscrizioni di Banbridge e Craigavon.
La destra unionista del Dup ha invece ottenuto solo il 23,3% (calando dello 0,8%), nonostante avesse presentato la tornata elettorale come l’occasione per dimostrare che le richieste della comunità filobritannica – che pretende il ristabilimento delle barriere doganali tra Irlanda del Nord e Repubblica d’Irlanda – sono maggioritarie.
Il Partito dell’Alleanza, di natura intercomunitaria e centrista, ha avuto un risultato più limitato di quanto sperato dopo il successo alle regionali, così come gli estremisti unionisti della “Voce Unionista Tradizionale”, che critica il Dup da posizioni oltranziste.
Nelle undici circoscrizioni in cui è diviso il territorio irlandese sotto amministrazione britannica, lo Sinn Féin ha conquistato 144 eletti (+39); il Dup ha riconfermato i suoi 122; l’Alliance Party è salita a 67 (+14); l’Ulster Unionist Party è sceso a 54 (-21); i Socialdemocratici e Laburisti (centrosinistra repubblicano) si sono fermati 39 consiglieri (-20); Traditional Unionist Voice ha ottenuto 9 rappresentanti (+3), i Verdi 5 (-3), la sinistra socialista di People Before Profit solo 2 (-3) e Aontú, piccola scissione tradizionalista e conservatrice del Sinn Féin, ha perso il suo unico consigliere. Le candidature indipendenti hanno invece ottenuto 19 rappresentanti.
I nazionalisti, favorevoli all’unificazione al resto dell’Irlanda delle province del nord sotto amministrazione britannica, erano già stati il partito più votato alle elezioni “regionali” di un anno fa, ma il principale partito di destra filobritannico, il Partito Democratico Unionista (Dup), ha continuato a boicottare la formazione di nuovo governo di coalizione – imposto dagli Accordi del Venerdì Santo del 1998, che portarono allo scioglimento dell’Esercito Repubblicano Irlandese e alla fine dell’attività armata da parte delle milizie unioniste – per evitare che la leader repubblicana Michelle O’Neill possa guidare l’esecutivo di Stormont.
Il Dup ha deciso di paralizzare le istituzioni locali nordirlandesi per protestate contro il Protocollo per l’Irlanda, l’accordo siglato dopo la Brexit tra Londra e Bruxelles. Neanche il cosiddetto Accordo quadro di Windsor, che in parte corregge il Protocollo, firmato dal premier britannico Rishi Sunak con l’UE, ha convinto la destra unionista a cambiare atteggiamento.
Dopo la chiusura delle urne Michelle O’Neill ha sollecitato Londra e Bruxelles a premere sugli unionisti per convincerli a consentire la formazione del governo dell’Irlanda del Nord. – Pagine Esteri
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L'intellighenzia finalmente libera di esprimere "idee" al #SalTo23, grazie alla repressione del "fascismo degli antifascisti" commissionata alla Digos:
torino.repubblica.it/cronaca/2…
La destra sbarca al Salone del libro: “Zerocalcare? Un cretino. E Murgia sfrutta la sua malattia”
Gli intellettuali vicini a Meloni riuniti all'incontro "La destra e la cultura", il critico Luca Beatrice attacca la scrittrice: "Se ne appr…Sara Strippoli (la Repubblica)