Gli F-16 e i rapporti di forza in Ucraina. Scrive Jean
La decisione di consentire la consegna a Kiev di F-16 da parte di altri Paesi che sostengono la resistenza ucraina, ma non di quelli in servizio nelle forze americane, rappresenta un nuovo cauto passo di Washington per ribadire con progressività il suo sostegno a Kiev, evitando eccessivi rischi di escalation e mantenendosi aperta la possibilità di nuove mosse, ad esempio della consegna di propri F-16.
Evidentemente, si tratta di una valutazione politica basata sulla previsione della presumibile risposta del Cremlino, più che sull’impatto che la disponibilità di F-16 avrà sulle capacità operative di Kiev. Si tratta di una ripetizione di quello che è stato il comportamento americano nel sostenere la resistenza ucraina. È stato sempre graduale, con il trasferimento di sistemi d’arma sempre più potenti e con maggiore gittata, come nei casi dei cannoni da 155 mm, poi dei lanciarazzi multipli e, successivamente, ancora dei carri armati. Probabilmente tale gradualità deriva sia dal timore di provocare un crescendo da parte del Cremlino, sia reazioni negative nella propria opinione pubblica e negli alleati. Penso che Washington tema le seconde più della prima. Comunque, il provvedimento annunciato al G-7 parla solo di autorizzazione alla consegna a Kiev degli F-16 e dell’addestramento di piloti e tecnici (per un’ora di volo – un aereo di quarta generazione come l’F-16 richiede 50 ore di lavoro a terra). Non si sa chi fornirà gli aerei, né quando né quanti verranno dati all’Ucraina che ne chiede 200, un numero cioè pari a quelli che aveva prima del conflitto (la Russia ne dispone di quasi 2.000). L’autorizzazione di Washington di dare all’Ucraina aerei costruiti negli Usa, comporta il divieto di impiegarli in attacchi sul territorio russo.
La decisione americana può essere derivata da vari motivi. Primo: ribadire ancora una volta, alla presunta vigilia della controffensiva ucraina, l’intenzione degli Usa di sostenere l’Ucraina, finché la Russia sarà indotta a trattare alle condizioni di Kiev. Certamente Biden conta al riguardo sul fatto che la neutralità del Sud Globale – che in realtà è equivalsa al suo sostegno a Mosca – incomincia a scricchiolare, come si è visto con l’India al G7. Inoltre, con la conferenza di Xian fra la Cina e i cinque Stati dell’Asia Centrale, la Russia ha preso atto che Pechino – “alla faccia” dell’amicizia senza limiti – sta erodendo lo spazio d’influenza russa, dando loro garanzie di sicurezza, evidentemente contro ingerenze di Mosca.
Continuando così, la Russia diverrà vassallo della Cina, che sta forse coordinandosi con gli Usa per far cessare in qualche modo il conflitto in Ucraina. Senza una netta vittoria dell’“operazione militare speciale”, Putin può incominciare a sentirsi perduto. La decisione degli F-16 potrebbe costituire un’ulteriore “spinta” per ammorbidirlo. Terzo, il motivo della decisione di Biden può essere letto come una preparazione per le trattative del post-conflitto. Il loro elemento essenziale consisterà nelle garanzie di sicurezza fornite all’Ucraina contro una ripresa dell’aggressione russa.
La logica seguita al riguardo potrà essere di due tipi. Innanzitutto, l’ammissione in qualche modo informale dell’Ucraina alla Nato. Malgrado tutte le possibili acrobazie diplomatiche, fatte per mascherare la realtà, penso che la soluzione sia inaccettabile per Mosca. La seconda consisterebbe in un forte riarmo di Kiev, tale da metterlo in condizioni di difendersi da solo in caso di ripresa dell’aggressione russa per un tempo adeguato a consentire la mobilitazione di una coalizione internazionale per sostenerlo. Per inciso, è la soluzione suggerita da Antony Blinken, il Segretario di Stato americano ed è quella che sarebbe più accettabile anche in caso di una soluzione coreana, di congelamento del conflitto. Una componente aerea sarebbe assolutamente indispensabile. La larga diffusione dell’F-16 aereo e il fatto che è in corso di sostituzione con aerei di 5° generazione, permette di prevederne una larga disponibilità per trasferirli all’Ucraina a costi ragionevoli.
Gli F-16 non potranno invece significativamente modificare entro l’anno le sorti del Ucraina. Ciò non deriva solo e, neppure tanto, dai tempi perché divengano operativi (è stato suggerito da 2 a 4 mesi per i piloti e almeno 6 mesi per il supporto logistico), quanto perché il loro numero che non supererà di molto – nel stico – un centinaio di esemplari di tale velivolo multiruolo. Nel breve-medio periodo potranno rappresentare una minaccia per il ponte di Kerch e per le navi russe nel Mar Nero, ma non ridurranno significativamente gli attacchi missilistici, molto più di quanto già fanno le difese controaeree ucraine. Impossibile sarà per l’aeronautica ucraina acquisire la superiorità aerea, essenziale per avere un impatto decisivo sul combattimento terrestre. L’Ucraina non potrà attaccare le basi aeree, che sono in territorio russo. Inoltre, la loro azione sarà contrastata dalla poderosa contraerea russa, che si avvale di mezzi modernissimi come gli S-400.
Per valutare l’efficacia del trasferimento degli F-16 contro le unità russe, a parer mio un interessante paragone può essere effettuato con i risultati conseguiti sulle forze serbe in Bosnia-Erzegovina e, soprattutto, nella guerra del Kosovo. In quest’ultima, in 78 giorni di attacchi, la Nato – con 720 aerei Usa e oltre 300 di altri Paesi dell’Alleanza – effettuò circa 27.000 sortite, di cui 7.000 di attacco e bombardamento. La priorità non fu data agli obiettivi militari a cui vennero grosso modo dedicate 2-3.000 sortite, anche per la decisione di Clinton di effettuare una campagna “air-only”. A parte l’Aeronautica serba, i cui Mig-29 e Mig-21 furono distrutti per il 70 e il 40%, l’esercito – postosi al riparo negli abitati e nei boschi – subì perdite irrilevanti (le ho potute rilevare come derelict equipments essendo stato personalmente responsabile dell’Arms Control previsto dagli accordi di Dayton per la ex-Jugoslavia). Si trattò di 14 carri armati, 21 veicoli corazzati e 27 fra mortai e artiglierie, verificati con una certa sorpresa dopo che era stata annunciata la distruzione di 550 mezzi. L’effetto maggiore consistette nell’indurre i serbi a limitare i loro movimenti, senza peraltro far loro cessare gli attacchi e persecuzioni alla popolazione kosovara. Quando Belgrado decise di arrendersi, l’esercito si ritirò dal Kosovo in buon ordine.
Insomma, se l’impatto politico della decisione sugli F-16 è rilevante, quello operativo lo è molto meno. Rappresenta comunque un grosso successo politico per Zelensky e un ottimo tonico per il morale della popolazione e dell’esercito ucraino. Per garantirsi la continuità del sostegno occidentale – specie in prospettiva di una possibile elezione di Trump alla presidenza degli Usa – Kiev ha disperato bisogno – come d’altronde lo ha anche Putin – di un successo nel combattimento terrestre, che resta decisivo. Essenziale al riguardo è l’afflusso di munizioni.
Spotify censura cantante palestinese: “brano patriottico è incitamento contro Israele”
Pagine Esteri, 23 maggio 2023 – Apple Music e Spotify vietano lo streaming la canzone dell’artista palestinese Mohammed Assaf, vincitore nel 2013 della seconda stagione del concorso Arab Idol.
Il titolo del brano è Ana dammi Falastini, ossia Il mio sangue è palestinese. Il testo parla del sentimento di appartenenza a un popolo e una terra, quella palestinese, che non può essere cancellato. Israele non viene nominato. Eppure, la piattaforma di streaming audio Spotify ha comunicato tramite email all’autore che la sua canzone è stata bloccata per “incitamento contro Israele”.
Mohammed Assaf, originario del campo profughi di Khan Younis, nella striscia di Gaza, nel 2013 è stato nominato Ambasciatore di Pace dall’UNRWA, l’Agenzia delle Nazioni Unite che si occupa dei profughi palestinesi. È un personaggio popolare non solo nei Territori palestinesi Occupati ma nell’intero Medio Oriente e in molti Paesi del nord Africa. Il suo brano, Il mio sangue è palestinese, è trasmesso molto spesso in occasione di eventi e celebrazioni.
In un’intervista a The New Arab’s, il 33enne palestinese si è detto scioccato dal fatto che la sua canzone sia stata cancellata dai canali di streaming: “Anche se la cancellano, questa canzone è presente nella memoria e nella coscienza di ogni palestinese e di ogni onesto uomo libero che difende il diritto del popolo palestinese ad ottenere la propria libertà e indipendenza”.
Di seguito la traduzione del testo del brano:
Il mio sangue è palestinese
Mantenendo il mio giuramento, seguendo la mia religione
Mi troverai nella mia terra
Appartengo al mio popolo, sacrifico la mia anima per loro
Il mio sangue è palestinese, palestinese, palestinese
Il mio sangue è palestinese
Abbiamo rappresentato te, la nostra patria
Con il nostro orgoglio e arabismo
La terra di Al-Quds ci ha chiamato
Il suono di mia madre che mi chiama
palestinese, palestinese
Il mio sangue è palestinese
Mantenendo il mio giuramento, seguendo la mia religione
Mi troverai nella mia terra
Appartengo al mio popolo, sacrifico la mia anima per loro
Il mio sangue è palestinese, palestinese, palestinese
Il mio sangue è palestinese
O madre non preoccuparti
La tua patria è un castello fortificato
Per cui sacrifico la mia anima
E il mio sangue, e le mie vene
Mantenendo il mio giuramento, seguendo la mia religione
Mi troverai nella mia terra
Appartengo al mio popolo, sacrifico la mia anima per loro
Il mio sangue è palestinese, palestinese, palestinese
Il mio sangue è palestinese
Sono palestinese, figlio di una famiglia libera
Sono coraggioso e la mia testa è sempre alta
Sto mantenendo il mio giuramento a te la mia patria
E non mi sono mai inchinato a nessuno
palestinese, palestinese
Il mio sangue è palestinese
Mantenendo il mio giuramento, seguendo la mia religione
Mi troverai nella mia terra
Appartengo al mio popolo, sacrifico la mia anima per loro
Il mio sangue è palestinese, palestinese, palestinese
Il mio sangue è palestinese
L'articolo Spotify censura cantante palestinese: “brano patriottico è incitamento contro Israele” proviene da Pagine Esteri.
F-16, ma non solo. I nuovi aiuti militari occidentali per Kyiv
In una mossa significativa per sostenere l’Ucraina nella sua lotta contro l’aggressione russa, gli Stati Uniti hanno ufficialmente autorizzato l’invio di una flotta di caccia F-16 al Paese. Questa decisione rappresenta un forte segnale di sostegno da parte degli Stati Uniti e sottolinea l’impegno dell’amministrazione verso la difesa degli alleati e la stabilità nella regione.
L’obiettivo principale di questa iniziativa è quello di fornire all’Ucraina una capacità di difesa supplementare e un deterrente contro eventuali azioni ostili da parte della Russia. Gli F-16, con la loro comprovata efficienza e versatilità, offriranno un importante supporto aereo all’Ucraina, andando a rimpiazzare gli obsoleti Mig-29 e Sukhoi Su-27 di fabbricazione sovietica, e rafforzando così la sua capacità di difesa e protezione del territorio.
Tuttavia, date le tempistiche richieste per l’addestramento dei piloti e per le necessità logistiche di attrezzature così sofisticate, ad oggi risulta improbabile che Kyiv possa disporre di queste capacità militari in tempo per la preannunciata controffensiva estiva. Inoltre, non è ancora chiaro quali saranno i paesi che coinvolti della fornitura di questi apparecchi.
La notizia dell’autorizzazione di Washington non arriva però da sola. Pochi giorni prima, il Regno Unito ha confermato di voler inviare in supporto all’Ucraina i missili a lungo raggio Storm Shadow: questi ordigni, missili da crociera sviluppati per essere lanciati da velivoli aerei contro bersagli a terra, hanno una portata di fuoco di circa 250 km, ben superiore a quella di 80 km che le Forze Armate Ucraine possono raggiungere fino ad ora grazie all’impiego dei cannoni Himars di fabbricazione statunitense. Robert Wallace, il Ministro della Difesa britannico, ha dichiarato che queste testate saranno fornite in una versione compatibile con i velivoli di epoca sovietica che ad oggi compongono la quasi totalità degli apparecchi dell’aviazione ucraina, al fine di ridurre al minimo i tempi necessari a un loro impiego sul campo. Non è quindi da escludere che gli Storm Shadow vengano utilizzati per sostenere la tanto discussa controffensiva.
Assieme ai missili da crociera, la Gran Bretagna rifornirà le forze di Kyiv con centinaia di loitering munitions (generalmente note come droni kamikaze) prodotte appositamente per sostenere lo sforzo militare ucraino. Il basso costo di produzione e il raggio di fuoco (che si aggira intorno ai 200 km) fanno si che questo tipo di ordigno possa essere utilizzato in modo complementare ai più raffinati ma anche più costosi Storm Shadow.
Timothy Wright, Research Associate for Defense and Military Analysis preso l’International Institute of Strategic Studies, fa notare che la Russia dispone di tutte le capacità necessarie per abbattere con successo missili del calibro dello Storm Shadow; l’impiego di loitering munitions in quantità adeguate potrebbe aumentare la saturazione degli obiettivi, rendendo così più difficile per le già provate capacità anti-aeree ed anti-missile della Federazione Russa intercettare con successo i proiettili di Kyiv. Tuttavia, gli aiuti britannici sono stati concessi dietro la promessa che questi armamenti non saranno utilizzati per colpire bersagli situati sul suolo della Federazione Russa, nel tentativo di prevenire pericolose escalation dalle conseguenze imprevedibili e poco rassicuranti.
Anche la Germania ha annunciato che aumenterà il suo contributo allo sforzo bellico ucraino: la compagnia Hensoldt procurerà 6 nuovi radar TRML-4D che si andranno ad aggiungere ai quattro di cui le Forze Armate Ucraine già dispongono. Questi radar sono capaci di rilevare bersagli altrimenti difficili da individuare, come elicotteri in volo stazionario o missili da crociera che volano a bassa quota.
👾 CONFESSIONI DI UNA MASCHERA - IGNORANCE IS BLISS
“In Italia si legge meno che negli altri paesi” è una frase che ci risuona nelle orecchie da sempre, o per lo meno da quando abbiamo capacità mnemoniche per poterla contestualizzare. Non si tratta però, come spesso accade, di un qualcosa che risuona nel vento senza parvenza di realtà. Ci sono infatti i recenti dati Istat a ricordarci come la situazione continui nella sua stagnazione. Quanto di buono guadagnato nel biennio pandemico è già andato perduto. @Poliverso - notizie dal fediverso
iyezine.com/confessioni-di-una…
Confessioni di una maschera - ignoranza 2023
È proprio “ignoranza” il termine intorno a cui tutto ruota, e che più ci piace usare per definire e associare tutti coloro che “scelgono” di non leggere.Marco Valenti (In Your Eyes ezine --)
like this
reshared this
Oblio oncologico, una battaglia di civiltà che non si può perdere
reshared this
Anna Politkovskaja – Per questo
youtube.com/embed/TXPWbWZ-Ubc?…
L'articolo Anna Politkovskaja – Per questo proviene da Fondazione Luigi Einaudi.
5 Years of the GDPR: National Authorities let down European Legislator
5 anni di GDPR: Le autorità nazionali deludono il legislatore europeo Il 25 maggio 2018 è entrato in vigore il GDPR; 5 anni dopo, le autorità e i tribunali nazionali hanno ampiamente deluso il legislatore europeo
Ministero dell'Istruzione
🏫 #PNRR Edilizia scolastica, su indicazione del MIM, Invitalia ha pubblicato una procedura di gara con risorse per quasi 800 milioni di euro, per la realizzazione di nuove scuole altamente sostenibili che sostituiranno i vecchi edifici preesistenti.Telegram
Sudan. Cominciato, tra lo scetticismo generale, il cessate il fuoco
della redazione
(nella foto il capo delle Forze armate Abdel Fattah El Burhan)
Pagine Esteri, 23 maggio 2023 – È cominciato ieri sera in Sudan il cessate il fuoco di sette giorni mediato da Arabia saudita e Usa e che dovrebbe portare le parti in conflitto al negoziato. Tra i sudanesi regna lo scetticismo. Altre tregue sono state violate subito dopo essere state proclamate dallo scorso 15 aprile quando sono cominciati gli scontri tra l’Esercito sudanese agli ordini del generale Abdel Fattah el Burhan e le Forze di supporto rapido (Rsf) del capo miliziano Mohammad Hamdan Dagalo, detto Hemeti.
Combattimenti aspri erano in corso nella notte intorno all’ospedale militare di Omdurman e nella capitale Khartum, con le due parti in guerra che cercavano di guadagnare terreno prima dell’inizio del cessate il fuoco. Scontri sono stati segnalati anche nei pressi della base aerea di Wadi Saeedna, usata dalle forze armate regolari per attaccate le postazioni delle Rsf, e di un piccolo aeroporto nell’area del Nilo Bianco.
Milioni di sudanesi da settimane fanno i conti con privazioni, l’accesso limitato all’acqua potabile e la scarsità di generi di prima necessità. Centinaia di migliaia di civili hanno abbandonato il paese per rifugiarsi in prevalenza nel Ciad e nel Sud Sudan. Gran parte dei cittadini stranieri hanno lasciato il Sudan dopo i primi giorni di guerra.
I mediatori sostengono che a differenza dei precedenti accordi di cessate il fuoco, quest’ultimo raggiunto a Gedda è stato firmato dalle parti e sarà sostenuto da un non meglio precisato meccanismo di monitoraggio Usa, saudita e internazionale. El Burhan afferma essersi impegnato ad attuare l’accordo, mentre le Rsf non hanno ancora chiarito in modo definitivo la loro posizione. Pagine Esteri
L'articolo Sudan. Cominciato, tra lo scetticismo generale, il cessate il fuoco proviene da Pagine Esteri.
In Cina e Asia – Pacifico, accordo di sicurezza Usa-Papua Nuova Guinea
I titoli di oggi:
Pacifico, accordo di sicurezza Usa-Papua Nuova Guinea
Cina-Russia, continua il lavoro della diplomazia tra i due paesi
Cina, emesse le nuove linee guida per l'assisitenza agli anziani
Corea del Sud, Yoon incontra Michel e Von der Leyen
Taiwan, respinta la richiesta per lo status di osservatore all'Oms
Thailandia, pronta la coalizione ma spariscono le contestazioni sulla legge contro la lesa maestà
Elezioni a Timor Est, vince l'opposizione
L'articolo In Cina e Asia – Pacifico, accordo di sicurezza Usa-Papua Nuova Guinea proviene da China Files.
“Guerre al terrorismo”: hanno fatto milioni di morti e continuano a uccidere
di Valeria Cagnazzo
(la foto in evidenza è di Russell Bassett)
Pagine Esteri, 22 maggio 2023 – Si intitola “Come la morte sopravvive alla guerra” il nuovo rapporto del progetto sui costi della guerra della Brown University pubblicato lo scorso 15 maggio. Analizzando le conseguenze delle guerre in cui gli Stati Uniti sono stati impegnati negli ultimi trent’anni in nome della lotta al terrorismo lanciata da Washington dopo l’11 settembre 2001, il lavoro rivela quanti e quali tipi di morte possano essere direttamente o indirettamente correlati alla guerra. E, soprattutto, quanto a lungo gli effetti di conflitti devastanti, come quelli in Iraq o in Afghanistan, possano continuare a mietere vittime tra i civili, anche ad anni di distanza dalla partenza delle truppe occupanti.
“”I costi della guerra” è un progetto con base negli Stati Uniti”, ha dichiarato Stephanie Savell, l’antropologa che ha guidato lo studio, “e spero che le persone possano usare questa ricerca per chiedere al governo USA di assumersi le sue responsabilità, incluse quelle dell’assistenza umanitaria e dei risarcimenti nelle zone di guerra”.
The Costs of War project is based in the U.S. and I hope people can use this research to hold the U.S. government accountable, including for humanitarian assistance and reparations in the war zones. [6/— Stephanie Savell (@stephsavell) May 15, 2023
In Afghanistan, Pakistan, Iraq, Siria e Yemen la stima delle vittime delle guerre condotte dagli Stati Uniti e dai loro alleati dopo l’11 settembre si aggira intorno ai 4.5 milioni. Di queste, però, solo un milione di persone sarebbero state uccise direttamente negli scontri armati e nei bombardamenti nel corso dei conflitti. La maggioranza delle vittime, 3.6 milioni circa, prevalentemente bambini, sono morte a causa delle malattie, della fame e della distruzione del sistema sanitario che la guerra al terrore ha provocato in questi Paesi, colpendone le economie, le infrastrutture e i paesaggi. Si chiamano “morti indirette” e rappresentano il prezzo più alto di ogni conflitto.
Esistono, ad esempio, delle morti in Afghanistan, si interrogano gli autori del rapporto, che possano non essere in qualche modo correlate al conflitto che ha interessato il Paese fino all’agosto del 2021? Decine di migliaia di bambini sotto i cinque anni continuano a morire nel Paese a causa della malnutrizione, di malattie infettive e di complicanze neonatali, a causa degli effetti della guerra.
Un bambino di un Paese in guerra ha 20 volte più possibilità di morire disidratato a causa della gastroenterite che per le ferite dirette di un’arma da fuoco, ma anche in quel caso è difficile scorporare quel decesso dal conflitto, che ha indebolito quel corpo e le sue difese immunitarie con la fame e l’abolizione del diritto alla salute. Anche a distanza dalla fine di una guerra, a pagare i prezzi più alti delle guerre sono in ogni caso i bambini. In Afghanistan, Iraq, Siria, Yemen e Somalia attualmente, secondo i dati della Brown University, 7,6 milioni di bambini sotto i cinque anni sono affetti da malnutrizione acuta.
La scia di dolore che le guerre americane hanno lasciato dietro di sé è lunga e continua a seminare morti e malattie o problemi fisici e mentali potenzialmente letali. Si possono definire con il termine epidemiologico di “inferenze causali” i nessi che collegano gli effetti diretti dei conflitti in un Paese a tutta la sequenza di morti, disabilità fisiche e disturbi psichiatrici che questi possono continuare a provocare nel lungo periodo. Secondo gli autori, le inferenze causali prendono il via, in questo caso, dal collasso economico e dall’insicurezza alimentare; dalla distruzione dei servizi sanitari e dalle infrastrutture; dalla contaminazione dei terreni e delle acque; dal trauma “riverberante” che perpetua disagi psichici e la violenza nei rapporti umani.
I numeri che tali inferenze causali si trascinano dietro sono spiazzanti e sicuramente sottostimano l’entità del problema, dal momento che sono scarsi e poco attendibili i dati statistici che si possono ricavare dai Paesi in guerra o in emergenza umanitaria, soprattutto quelli riguardanti la mortalità infantile e l’incidenza di malattie. Per questo, sottolineano gli autori, ulteriori studi sarebbero necessari per raccogliere numeri più affidabili e senza dubbio ancora più terrificanti.
A dimostrare le conseguenze devastanti delle guerre americane, però, oltre ai numeri ci sono le singole storie raccontate nel rapporto, che evidenziano quale peso queste continuino ad avere sull’esistenza di ogni civile. Come quella di Kharaizan, morta di parto in Yemen lasciando orfani sette figli perché il marito non aveva mezzi né denaro a sufficienza per accompagnarla in un presidio di pronto soccorso. O quella delle donne di Fallujah in Iraq, incapaci di portare a termine una gravidanza o di dare alla luce bambini senza malformazioni a causa dei bombardamenti che avvelenarono il Paese nel 2004. Come la storia dei ragazzi afghani vittime del “riverbero” psicologico della violenza che affermano “Spero solo che questa vita finisca” o dei loro fratelli ricoverati per malnutrizione che a un anno pesano come bambini di pochi mesi, indeboliti tanto dalla fame da non potersi muovere. Tutti questi “danni collaterali”, sembra voler ribadire il rapporto, ci riguardano, e l’eco incessante del loro moltiplicarsi anche ad anni di distanza dalla partenza delle truppe alleate dovrebbe tormentare con la stessa frequenza il sonno dei governi occidentali. Pagine Esteri
L'articolo “Guerre al terrorismo”: hanno fatto milioni di morti e continuano a uccidere proviene da Pagine Esteri.
PRIVACYDAILY
Durand Jones - Wait til i get over
L’album di debutto di Durand Jones, cantante e leader della celebre formazione soul Durand Jones & The Indications ha impiegato oltre dieci anni per completare il suo disco solista, che vede ora la luce per Dead Oceans e si intitola "That feeling". @Musica Agorà
iyezine.com/durand-jones-wait-…
Durand Jones Wait til i get over 2023
L’album di debutto di Durand Jones, cantante e leader della celebre formazione soul Durand Jones & The Indications ha impiegato oltre dieci anni per completare il suo disco solista, che vede ora la luce per Dead Oceans e si intitola "That feeling".Massimo Argo (In Your Eyes ezine --)
like this
Musica Agorà reshared this.
Se il pregiudizio etico ispira il posizionamento politico
Attendere 48 ore dai fatti per vedere se tesi nuove si fossero mai affacciare nel dibattito pubblico e infine rassegnarsi di fronte all’inesorabile ripetizione del sempre uguale. Due assunti: le opinioni prescindono regolarmente dai fatti; il pregiudizio etico ispira regolarmente il posizionamento politico, a dimostrazione della tesi, in verità acclarata da tempo, che la società e la politica italiana sono quanto di più lontano dalla sensibilità e dal metodo liberale. L’avversario è dunque un nemico, ed è un nemico non per ragioni politiche ma per ragioni etiche.
I fatti sono quelli del Salone del libro di Torino. Ma i fatti, in Italia, sono regolarmente subornati dalle opinioni. L’opinione, a sinistra, è che la destra sia “fascista”. Elly Schlein, Matteo Orfini, Roberto Saviano e Michela Murgia, ovvero i rappresentanti politici e gli ispiratori ideologici dell’odierna sinistra con ambizioni di governo, hanno, con accenti diversi, in fondo detto la stessa cosa: che la destra non accetta il dissenso e che perciò è una destra autoritaria.
Premesso che chi scrive è animato da uno spirito laico tanto dal punto di vista religioso quanto dal punto di vista politico, alcuni fatti balzano agli occhi. Il primo fatto attiene al contesto. Un contesto non politico, il Salone del libro di Torino, dove Eugenia Roccella interveniva non in quanto ministro della Famiglia in carica, ma in quanto autore di un libro. Il libro, edito da Rubettino si intitola “Una famiglia radicale”. È un libro su suo padre, Franco Roccella, e sulla storia umana e politica del Partito radicale da lui fondato assieme a Marco Pannella. Come spesso accade ai figli, vige anche in questo caso il sospetto che abbiano tradito le idee dei padri. Ma ciò attiene, semmai, alla dimensione familiare e nulla toglie al fatto che contestare Eugenia Roccella al Salone di Torino e in occasione della presentazione di un libro sui radicali sia in effetti un fuor d’opera. Il segno che la polemica politica è degradata dalle idee alla persona. Il che non è mai, oggettivamente parlando, un buon segno.
Comunque sia, la contestazione c’è stata, e la sinistra politica e culturale italiana di cui sopra ne ha tratto spunto per dire che Eugenia Roccella era lì per provocare (Saviano) e, che anziché lasciare la sala col chiaro fine di erigersi a martire, avrebbe dovuto accettare il confronto (Schlein, Orgini e Murgia). È il segno che chi, e, tra giornalisti, intellettuali e politici, ve ne sono stati anche molti altri oltre ai quattro citati, ha formulato tale giudizio l’ha fatto prescindendo radicalmente dai fatti.
A scorrere i numerosi video dell’evento, si apprende infatti che Eugenia Roccella ha dato la parola ai propri contestatori e dopo avergli lasciato la ribalta per esprimere le proprie opinioni li ha invitati ad un pubblico confronto. È stato allora che la contestazione, il che, come è stato correttamente osservato da tutti gli interventi “di sinistra”, fa parte di quelle sgradevolezze che chi ambisce a governare deve accettare, si è trasformata nei fatti in violenza. Una cosa, in effetti, è interrompere un evento pubblico per poter mettere in luce le proprie tesi. Altra cosa è tambureggiare senza sosta le proprie tesi fino ad impedire che l’evento pubblico si svolga. È questo che è accaduto.
Intendiamoci, non è una tragedia. È però un segno. O, per meglio dire, è un sintomo. Il sintomo di una malattia che, non certo da oggi, ma in fondo da sempre, affligge, sia detto per verità storica e senza intenti meloniani, la nostra nazione. Ovvero la tendenza ad inquadrare le opinioni opposte alle proprie non sul piano politico ma sul piano etico. Delegittimandole, di conseguenza, in radice.
Cerchiamo di capirci con un esempio. A differenza di Eugenia Roccella, chi scrive è favorevole all’aborto, ma riconosce che si possa essere contrari per ragioni di principio senza per questo essere dei mostri o dei “fascisti”. Non è questo l’approccio mainstream. Sì che, per quanto sia chiaro a ciascuno che questo governo non sovvertirà mai la volontà popolare espressa nel referendum del 1981 promosso dai radicali, ci si comporta come se così fosse. O, peggio, come se nessun dissenso culturale rispetto al diritto di abortire fosse legittimo.
Non è un approccio “politico”. Men che meno è un approccio liberale o “laico”. È un approccio etico. Un approccio forse naturale nell’Italia che si è lasciata per oltre cinquant’anni rappresentare da due chiese: la Dc e il Pci.
È questa, evidentemente, la nostra natura. È questa la nostra condanna.
L'articolo Se il pregiudizio etico ispira il posizionamento politico proviene da Fondazione Luigi Einaudi.
noyb win: € 1.2 billion fine against Meta over EU-US data transfers
vittoria della noyb: multa da 1,2 miliardi di euro contro Meta per i trasferimenti di dati tra UE e USA Facebook deve interrompere ulteriori trasferimenti di dati personali europei verso gli Stati Uniti, dato che Facebook è soggetto alle leggi di sorveglianza statunitensi (come la FISA 702 e la EO 12.333).
like this
reshared this
“Diritto comparato della privacy e della protezione dei dati personali” (Ledizioni) di Paolo Guarda e Giorgia Bincoletto
DemOligarchisc di Angelo Lucarella
taglio parlamentari, rischio oligarchia mascherata e metodo psico-demonizzante
Essere o non essere padroni della democrazia?
Questa è la domanda di fondo dai cui muove i passi il nuovo libro di Angelo Lucarella DemOligarchisc in uscita il prossimo 5 maggio con La Bussola edizioni di Gioacchino Onorati.
Il saggio, la cui prefazione è di Luciano Violante – Presidente emerito della Camera dei Deputati – analizza il sacro e ed il profano della politica contemporanea riguardo al famoso passaggio del “taglio dei parlamentari”. Attingendo dalle esperienze del passato (greci, romani, ecc.), il saggio di Lucarella cerca di spiegare cosa ha rappresentato il detto fenomeno e come quest’ultimo si ponga in termini di equilibrio del potere tra presente e futuro del Paese.
Un quadro di analisi, quindi, che pone al centro delle riflessioni il ruolo della Costituzione, la forza educatrice di quest’ultima e la comunicazione dei populismi partendo da un fatto cruciale della scorsa legislatura: l’input di Giuseppe Conte, all’epoca dei fatti Presidente del Consiglio dei Ministri, durante una kermesse in pubblica piazza nel 2020.
La DemOligarchisc, come afferma Lucarella nel libro, è il nutrito di paure (ma non solo). Quelle paure che il Paese deve cercare di superare ogni qualvolta si ripresentino sulla scena spinte demonizzanti della politica.
Chi è l’autore?
Angelo Lucarella è giurista, saggista, editorialista, docente a.c. Università degli Studi di Napoli Federico II.
Già vice presidente della Commissione Giustizia del Ministero dello Sviluppo Economico e delegato italiano (under 40) al G20 Amburgo 2022 industria, imprese e sviluppo economico organizzato da compagini industriali/imprese dei Paesi partecipanti con Ministero economia tedesco.
Componente di cattedra in “Diritto e spazio pubblico” – Facoltà di Scienze Politiche presso Università degli studi internazionali di Roma nonché componente del tavolo di esperti per gli studi sul “reddito universale” – Dipartimento di Scienze Politiche Università internazionale per la Pace dell’ONU (sede di Roma).
Direttore e docente del Dipartimento di studi politici, costituzionali e tributari – Università Federiciana p.re.
Scrive su diverse testate nazionali ed internazionali: La Voce di New York, Italia Oggi, La Ragione, Il Riformista, Il Sole 24 Ore, Affari Italiani, Formiche, Filodiritto ed interviene per il blog della Fondazione Luigi Einaudi.
L’inedito politico-costituzionale del Contratto di Governo (Aracne editrice 2019) è stata la sua prima monografia e successivamente, sempre con Aracne di Gioacchino Onorati, ha pubblicato quattro libri-raccolta.
L'articolo DemOligarchisc di Angelo Lucarella proviene da Fondazione Luigi Einaudi.
La ricetta Usa per innovare la Difesa. Un modello per l’Italia?
I prossimi dieci anni saranno decisivi per la competizione geostrategica tra superpotenze, una gara che si deciderà in particolare sul campo della tecnologia e della ricerca scientifica anche nel campo della Difesa. Mantenere il vantaggio competitivo in questi campi, infatti, sarà l’elemento-chiave alla base della deterrenza e, di conseguenza, della sicurezza globale. A dirlo è il Dipartimento della Difesa degli Stati Uniti, che ha rilasciato di recente la propria Strategia nazionale per la scienza e la tecnologia della Difesa. Un documento nel quale il Pentagono ha raccolto le sue priorità e obiettivi in vista delle crescenti instabilità a livello globale. Già nella National security strategy e nella National defense strategy, Washington aveva registrato che “l’accelerazione del progresso tecnologico e dell’innovazione sono elementi-chiave per garantire la sicurezza nazionale a lungo termine” e che gli Stati Uniti “devono prendere provvedimenti per preservare la leadership e contrastare i concorrenti che hanno preso di mira direttamente questo vantaggio”.
Investire per la nuova era
Del profondo legame che sempre di più lega Difesa e tecnologia ha infatti parlato anche la sottosegretario della Difesa per la Ricerca e l’ingegneria nell’amministrazione Usa, Heidi Shyu, in occasione della sua visita a Roma. “Ci stiamo affacciando in una nuova era strategica – ha detto Shyu – nel corso della quale dobbiamo assicurarci di investire i giusti fondi nello sviluppo tecnologico in una visione di lungo periodo”. Come sottolineato dal sottosegretario americano, dunque, l’obiettivo delle istituzioni, Pentagono in primis, “è quello di assicurare alle forze armate le tecnologie necessarie ad operare, è questo include l’allocazione di investimenti in diverse aree tecnologie essenziali”.
Fare leva sui privati
Biotecnologie, scienze quantistiche, materiali innovativi, network integrati, IA, spazio, interfaccia umano-macchina, energia diretta, ipersonica, sono solo alcune delle aree principali di indagine identificate dalla Strategia Usa. Nei prossimi anni, infatti, le sfide non solo aumenteranno, ma diventeranno più complesse, “i cambiamenti intervenuto nel mercato commerciale hanno alterato le dinamiche per chi crea conoscenza e strumenti all’avanguardia per le Forze armate e il modo con cui gli Stati hanno accesso a queste”. Per questo, recita la nuova strategia, il Pentagono dovrà essere più proattivo nella collaborazione con il settore privato, investendo sulle tecnologie emergenti prima che lo possano fare gli avversari. Per affrontare la sfida, allora, il Pentagono intende “fare leva sui vantaggi asimmetrici americani: lo spirito imprenditoriale, il sistema generativo di idee e di tecnologia diverso e plurale, capace di fornire creatività, innovazione e adattamento senza eguali”. Per questo il legame con le industrie private sarà essenziale, creando un vero e proprio binomio Difesa-industria capace di affrontare e superare le sfide del prossimo futuro.
Le collaborazioni tecnologiche Usa
Le imprese americane, del resto, non sono rimaste indietro, e si moltiplicano le iniziative congiunte con cui le grandi aziende della Difesa a stelle e strisce collaborano con realtà più piccole all’avanguardia dell’innovazione per sviluppare strumenti e soluzioni tecnologici avveniristici. Ne sono esempi la partnership tra L3Harris Technologies and BigBear.ai per integrare i sistemi predittivi sensoristici di quest’ultima con i sistemi di controllo autonomi per i vascelli unmanned (veri e propri droni navali); oppure la collaborazione tra Northrop Grumman e Shield AI per realizzare il nuovo drone per lo Us Army che dovrà rimpiazzare il RQ-7B Shadow. Sempre Shield AI collabora anche con Boeing per esplorare nuove capacità nel campo IA sui programmi di difesa. Lockheed Martin, invece, attraverso la sua campagna di investimento lanciata nel 2007, Lockheed Martin Ventures, ha messo a disposizione un fondo permanente di duecento milioni di dollari, investendo in oltre 35 aziende in tutto il mondo che stanno sviluppando tecnologie all’avanguardia che definiranno il futuro dell’industria della difesa.
Un modello per l’Italia?
Tutto questo potrebbe essere un elemento di riflessione importante anche per il nostro Paese, ovviamente al netto delle particolarità dei diversi ecosistemi industriali. Tuttavia, anche l’Italia è caratterizzata da alcune grandi imprese-campione nel settore della Difesa, alle quali si aggiungono però un elevatissimo numero di piccole e medie imprese e start up ad alto valore innovativo che, se inserite in una rete di collaborazioni, potrebbero fornire all’industria nazionale quel vantaggio competitivo descritto nelle strategie nazionali Usa. In particolare, il nostro Paese può vantare un protagonismo internazionale di rilievo (con Leonardo e Fincantieri al nono e tredicesimo posto a livello mondiale per ricavi nel 2022) e, soprattutto se si guarda allo spazio europeo, assicurarsi una posizione di leadership tecnologica in determinati settori potrebbe sicuramente avvantaggiare il comparto nazionale anche nei programmi congiunti a livello sia Ue, sia internazionale.
Presentazione del libro “Non diamoci del Tu – La separazione delle carriere” – 31 maggio 2023, Trieste
Sala Tiziano Tessitori – Piazza Oberdan, 5
Saluti iniziali
GIAN PIERO GOGLIETTINO
Referente Friuli Venezia Giulia FLE
Intervengono
ANDREA DELMASTRO DELLE VEDOVE
Sottosegretario di Stato al Ministero della Giustizia
MASSIMILIANO FEDRIGA
Presidente Regione Autonoma Friuli Venezia Giulia
L'articolo Presentazione del libro “Non diamoci del Tu – La separazione delle carriere” – 31 maggio 2023, Trieste proviene da Fondazione Luigi Einaudi.
Presentazione del libro “Non diamoci del Tu – La separazione delle carriere” – 29 maggio 2023, Rovigo
29 maggio 2023 – Sala Consiliare della Provincia di Rovigo – Via L. Ricchieri 10 – ROVIGO
Saluti iniziali
ENRICO FERRARESE, Presidente della Provincia di Rovigo
CRISTIANO CORAZZARI, Assessore alla Cultura Regione Veneto
Intervengono
ANDREA OSTELLARI, Sottosegretario di Stato al Ministero della Giustizia
VALENTINA NOCE, Segretario Particolare del Ministro della Giustizia
MARCO PETTERNELLA, Presidente della Camera Penale Rodigina
FEDERICO VIANELLI, Presidente Camera Penale Trevigiana e UCPV
Modera
PAOLO SOMMAGGIO, Università di Trento
Sarà presente l’autore
L'articolo Presentazione del libro “Non diamoci del Tu – La separazione delle carriere” – 29 maggio 2023, Rovigo proviene da Fondazione Luigi Einaudi.
Presentazione del libro “Non diamoci del Tu – La separazione delle carriere” – 29 maggio 2023, Treviso
29 maggio 2023 – Aula Magna – Palazzo San Leonardo, Riviera Garibaldi 13/E – TREVISO
Saluti istituzionali
MANLIO MIELE, Direttore Dipartimento Diritto Privato e Critica del Diritto
PIER PAOLO PAULESU, Presidente Scuola di Giurisprudenza
SILVIA BISCARO, Vicepresidente COA di Treviso
Con la partecipazione del Ministro della Giustizia CARLO NORDIO intervengono
ANDREA OSTELLARI, Sottosegretario di Stato
ALBERTO QUAGLIOTTO, Direttore carcere di Treviso
FEDERICO VIANELLI, Presidente Camera Penale Trevigiana e UCPV
BENIAMINO MIGLIUCCI, Presidente Fondazione dell’Unione delle Camere Penali
Conclude
PAOLO SOMMAGGIO, Università di Trento
Modera
PAOLO MORO, Università degli Studi di Padova
Sarà presente l’autore
L'articolo Presentazione del libro “Non diamoci del Tu – La separazione delle carriere” – 29 maggio 2023, Treviso proviene da Fondazione Luigi Einaudi.
Tutti i problemi con la privacy dello yuan digitale (e molto altro ancora)
Nuovo appuntamento con la rubrica Privacy weekly, su StartupItalia. Uno spazio dove potrete trovare tutte le principali notizie della settimana su privacy e dintorni. E se volete saperne di più potete leggere qui le news quotidiane di Privacy Daily o iscrivervi alla newsletter di #cosedagarante. Grazie a StartupItalia per l’ospitalità!
È disponibile il nuovo numero della newsletter del Ministero dell’Istruzione e del Merito.
Ministero dell'Istruzione
#NotiziePerLaScuola È disponibile il nuovo numero della newsletter del Ministero dell’Istruzione e del Merito.Telegram
Le iniziative delle altre Autorità
Meta hit with €1.2bn fine, ordered to halt EU-US data transfers
Meta has received a record €1.2 billion fine and the order to stop moving EU personal data to the United States in a landmark decision that found such data transfers illegal.
Privacity reshared this.
L’occasione mancata dello Statuto speciale – La Sicilia
L'articolo L’occasione mancata dello Statuto speciale – La Sicilia proviene da Fondazione Luigi Einaudi.
Dorthia Cottrell - Death Folk Country
Dorthia Cottrell arriva dalla Virginia, East Coast, dove nasce cresce, insieme a poche migliaia di anime, in un ambiente di provincia decisamente conservatore. La sua esigenza di alienarsi da un contesto sociale che le sta stretto, la porta nella vicina Richmond, dove in breve tempo riesce a fondare gli Windhand, band doom che, grazie ai quattro album realizzati fino ad oggi, è riuscita a ritagliarsi un ruolo di tutto rispetto in ambito metal.
#musica #folk iyezine.com/dorthia-cottrell-d…
Dorthia Cottrell – Death Folk Country 2023
Dorthia Cottrell: “Death Folk Country” è un album che ti scalda il cuore, andando a toccare quelle corde da troppo tempo nascoste e soffocate da un frastuono esistenziale divenuto ormai insopportabile.Marco Valenti (In Your Eyes ezine --)
noyb win: € 1.2 billion fine against Meta over EU-US data transfers
vittoria della noyb: multa da 1,2 miliardi di euro contro Meta per i trasferimenti di dati tra UE e USA Facebook deve interrompere ulteriori trasferimenti di dati personali europei verso gli Stati Uniti, dato che Facebook è soggetto alle leggi di sorveglianza statunitensi (come la FISA 702 e la EO 12.333).
Sovranamente
S’avanza uno strano sovrano, che vuole andare a fondo. Caracolla quanto basta per indurre il sospetto che il Fondo sovrano – previsto dal governo con il provvedimento linguisticamente non sovrano, ovvero “Made in Italy” – possa cascarci addosso come una sovrana corbelleria. Intanto perché disvela un equivoco sulla natura stessa di cosa sia un Fondo di quel tipo, facendo finta di non sapere e vedere quale sia il ruolo delle casse statali nella struttura produttiva italiana.
I Fondi sovrani nascono in Paesi con un forte avanzo valutario, quindi prevalentemente esportatori di materie prime (ad esempio i Paesi petroliferi). Il loro scopo non è quello di sostenere le imprese nazionali, il Made in Arabia, ma acquistare quote di produttori all’estero. In questo modo compensano lo squilibrio (per loro positivo) della bilancia valutaria, accrescono influenza in altri mercati, acquisiscono tecnologie e mettono i quattrini dove suppongono che le cose andranno bene, quindi guadagnandoci. E il sovrano, che colà c’è per davvero, ingrassa felice.
Da quel che si capisce e legge, invece, il Fondo sovrano italiano servirebbe a investire in Italia, acquisendo quote di minoranza in aziende che si ritiene bene sostenere. Quindi ce la suoniamo e ce la cantiamo da soli, ma con due terribili stonature. La prima è che toccherebbe al management nominato dalla politica («Lo voglio amico mio», «No, sarà amico mio», «Vabbè, purché non sia amico loro») stabilire quali aziende meritino aiuto. Che già il fatto di chiedere aiuto è segno che non stanno in piedi da sole, ma come fa un finanziere politicamente nominato a sapere cosa sarà promettente o cosa determinante per il futuro delle produzioni nazionali? Non può sapere cosa piacerà, cosa venderà o cosa farà far soldi. E se lo sapesse col piffero che si farebbe nominare nel Fondo, andrebbe a spalar quattrini per i fatti suoi.
La seconda stonatura è che lo Stato italiano già possiede quote di minoranza in società ritenute strategiche e, in questo modo, riempie di sé più della metà delle quotazioni di Borsa. Tipo: Leonardo, Eni, Enel, Fincantieri, tutte le grandi municipalizzate, Ferrovie, Poste e via andando. Ergo il nuovo Fondo, avendo una dotazione finanziaria di appena un miliardo (le aziende elencate ne fanno decine di utili) e dovendo investire in diverse speranze del futuro e dell’identità nazionale (diviso 10 fa 100 milioni; diviso 20 fa 50 e continuate voi), investirà in aziende piccole. Ma che non sono startup perché già esistono da tempo. E da tempo non sono cresciute. E in fretta si dirà, c’è da scommetterci, che non è giusto dare soldi pubblici a chi ha già soldi e profitti, dovendoli destinare ai derelitti, che si accingono a licenziare. Quindi destinati a essere persi. Faranno anche un bando per selezionare gli amici fortunati destinatari o provvederanno con la rubrica personale?
Un Fondo così concepito non ha funzione né respiro. La presenza e l’influenza imprenditoriale italiana nel mondo esistono già. E non ‘fortunatamente’, ma grazie al lavoro e alla visione di tante imprese, alla preparazione dei collaboratori e all’ingegnosità degli innovatori. Sono quelli i grandi ambasciatori del Made in Italy. Per niente disposti a perdere soldi, ma costantemente tenuti a rischiare. Se fai un Fondo sovrano e lo alimenti con credito venduto al risparmio (che sia postale, tramite Cassa depositi e prestiti o bancario, mediante obbligazioni) altro non farai che togliere alimento al credito e al risparmio disponibile per quei campioni delle esportazioni e dell’innovazione. Come se lo Stato non risucchiasse già tanta parte del risparmio privato, per tenere in equilibrio l’enorme debito pubblico.
S’avanza uno strano sovrano, ma prima che proceda alla ulteriore sovrana dilapidazione, impegnato a farsi reuccio accanto allo sceicco, qualcuno avverta la sora Cesira e il sor Augusto – cittadini esemplari nonché contribuenti fedeli – e suggerisca loro di nascondere il portafoglio. Che il reuccio sovrano immaginario ha bisogno di altro frusciante.
L'articolo Sovranamente proviene da Fondazione Luigi Einaudi.
Elementare
Tornare alla scuola elementare sarà utile a capire molto del Paese in cui viviamo. Perché la nostra scuola elementare funziona bene e consegna risultati ragguardevoli. La pandemia ha arrecato danni notevoli, costringendo a tenere i bambini a casa in un’età in cui per apprendere non basta certo un collegamento audio e video, ma quando la scuola elementare può funzionare funziona bene, visto che il 97% dei bambini di quarta elementare sa leggere e – cosa ancora più importante – leggendo apprende. I test fatti nel 2021 da Iea Pirls (Progress in International Reading Literacy Study, test a cura della International Association for the Evaluation of Educational Achievement), collocano l’Italia sopra la media dei Paesi presi in esame, al 14esimo posto su 43. Singapore fa meglio di tutti, totalizzando 587 punti di valutazione dei loro giovani studenti, ma noi ne prendiamo 537. Per dire: la Francia arriva a 514 e si colloca al 23esimo posto, tanto che il titolo di testa di “Le Monde” gridava con dolore questo risultato.
Si può sempre fare meglio, ma evviva le maestre e i maestri. Ma c’è già da considerare una prima nota orribile: la distanza fra il Nord e il Sud dell’Italia non solo si produce già alle scuole elementari, ma in 15 anni è triplicata. Vuol dire che i bambini del Nord se la potrebbero giocare con quelli di Singapore, ma quelli del Sud sarebbero sotto la media. Intollerabile. Per capire il perché dobbiamo guardare a cosa succede dopo.
Quegli stessi bambini, dieci anni dopo, saranno pronti per l’esame di maturità, dove arriveranno sotto la media Ocse (in questo caso il misuratore sono i test Pisa, Programme for International Student Assessment), totalizzando in matematica 487 punti rispetto alla media di 489, in lettura 476 rispetto a 487 (gli estoni sono sopra 500) e in scienze lo sprofondo, con 468 rispetto a 489. Alle elementari andavano meglio dei coetanei francesi o tedeschi, mentre alla fine della secondaria superiore vanno peggio degli uni e degli altri. Si sono rincretiniti? Loro no, sono gli adulti che li circondano ad avere trasformato la scuola in uno stipendificio senza valutazione del merito, degli insegnanti prima e degli studenti dopo. Metterlo, il merito, nel nome del Ministero serve a nulla: va messo nel contratto.
Anche nei buoni risultati delle elementari – aiutati dalla naturale tendenza dei bimbi a crescere, imparare e misurarsi, cosa che splendidamente fanno pure giocando – più si scende verso Sud, considerandolo un ‘posto’ anziché una vocazione, e più i risultati si fanno deludenti. E spesso al Nord gli insegnanti sono del Sud. Non è una questione genetica, ma una degenerazione disoccupazionale.
Siamo noi che ci siamo costruiti questa roba. Ma la cosa più grave non è tanto che la scuola abbia preso la deriva sindacal-assistenziale, ma che attorno a quella si sia costruita una (in)cultura del compatimento, talché tutti i ragazzi sono a rischio trauma se solo qualcuno gli fa osservare che sono capoccioni e che dovrebbero studiare. La cosa grave non è che tanti cerchino di sistemarsi e avere il posto fisso, ma che alle famiglie stia bene così. Guardiamo quei numeri, torniamo alle elementari e tocchiamo con mano come si faccia a rovinare l’avvenire dei ragazzi e quello collettivo.
A questo punto arriva quello che crede di avere un pensiero ficcante e dice: non è vero, sono i più bravi, hanno successo all’estero e se ne vanno perché li pagano di più. Vero, ma non sono la media dei ragazzi che vengono culturalmente impoveriti da questa scuola: sono i privilegiati dalla natura perché più svegli o intraprendenti, dall’avere frequentato una scuola migliore della media offerta in Italia o da una famiglia che li ha mandati all’estero a farsi lingua e ossa. È così che abbiamo realizzato l’inferno classista inseguendo l’illusione egualitaria.
Si può cambiare, anche se temo sia più facile spiegarlo a un bambino di 9 anni che al politicante che prova a prendere il voto dei suoi genitori.
L'articolo Elementare proviene da Fondazione Luigi Einaudi.