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L’impero economico cinese passa per l’Asia Centrale
La graduale riapertura della Cina dopo tre anni di Covid nell'ultimo anno ha spinto il governo ad accelerare la creazione dei collegamenti su strada e rotaia con i paesi limitrofi. In questo piano di sviluppo delle periferie fin dall’inizio ha ricoperto un ruolo centrale il Xinjiang, la regione del Far West cinese
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Presentazione del libro “La Confintesa e il mancato «fronte padronale» (1956-1958) Ceti medi, agrari, industriali e l’apertura a sinistra” di Luca Tedesco
Mercoledì 7 giugno alle ore 17:30 si terrà la presentazione del libro ” La Confintesa e il mancato «fronte padronale» (1956-1958). Ceti medi, agrari, industriali e l’apertura a sinistra” del Professor Luca Tedesco.
Interverranno
Emanuele Bernardi
Università degli Studi La Sapienza di Roma
Roberto Ricciuti
Università degli Studi di Verona
Luca Tedesco
Autore e membro del Comitato Scientifico della Fondazione Luigi Einaudi
Modera
Emma Galli
Sapienza Università di Roma, Direttrice Scientifica della Fondazione Luigi Einaudi di Roma
L’evento sarà in remoto e in diretta sui canali social della fondazione
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Emilia-Romagna, 5 false verità
Le drammatiche alluvioni che hanno colpito l’Emilia-Romagna hanno contribuito a mettere in evidenza alcune false verità che riguardano il nostro paese. La prima falsa verità riguarda una lagna spesso ricorrente nel dibattito pubblico direttamente collegata a un’espressione che non potremo più utilizzare: in Italia i soldi non ci sono. Abbiamo visto invece che, sul dossier del dissesto idrogeologico, ma non solo su quello, i soldi in Italia ci sono eccome (dal 2018 a oggi il nostro paese ha lasciato fermi nelle casse statali circa 8,4 miliardi di euro che potevano essere utilizzati per la mitigazione del rischio idrogeologico) e il vero dramma dell’Italia quando si parla di denaro pubblico è semmai un altro: assecondare l’inefficienza della burocrazia statale. Un tema che purtroppo rischia di tornare di attualità in una stagione politica dominata da un’incapacità simmetrica dell’Italia sul fronte del Pnrr. In sintesi: avere molti soldi dall’Europa ma non essere in grado di spenderli.
La seconda falsa verità riguarda una balla grande come una casa ripetuta spesso nelle occasioni in cui i protagonisti del dibattito pubblico discutono di siccità. Purtroppo, lo abbiamo visto in modo drammatico in queste settimane, il guaio dell’Italia non è essere a corto di acqua ma è essere incapaci di trasformare l’acqua, presente nel nostro paese, in una risorsa da sfruttare. E se si pensa che ogni anno in Italia cadono dal cielo circa 300 miliardi di metri cubi di acqua piovana e che il fabbisogno di acqua che avrebbe l’Italia, tra agricoltura, industria e usi potabili, è di circa 30 miliardi di metri cubi all’anno si avrà la perfetta fotografia di come la catastrofe dell’efficienza, nel nostro paese, sia un tema non meno grave delle catastrofi causate dalle alluvioni (anche perché il cambio climatico, evidentemente, accentuerà questa alternanza tra periodi di siccità e piogge torrenziali e a maggior ragione diventerà doppiamente importante realizzare invasi e altre infrastrutture per catturare e trattenere l’acqua, rendendola così disponibile quando serve e quando non piove).
La terza falsa verità riguarda un tema legato a un’espressione divenuta ormai sinonimo di malaffare, “il consumo del suolo”, e che però, se applicata al contesto dell’Emilia-Romagna, assume un’altra dimensione. Michele Munafò, responsabile del rapporto sul consumo di suolo dell’Ispra, ha ricordato, la scorsa settimana, che “le frane avvengono prevalentemente nelle zone montane e collinari dove il consumo di suolo è più ridotto” e non è difficile intuire che le aree a rischio sono più che quelle disboscate quelle che l’uomo sceglie di lasciare al proprio destino illudendosi che la natura non sia mai matrigna (le cause del dissesto, scrive ancora Ispra, vanno ricercate, in primo luogo, nelle condizioni fisiche del territorio italiano: geologicamente giovane e tettonicamente attivo, costituito per il 75 per cento da colline e montagne).
La quarta falsa verità emersa in questi giorni riguarda un tema sollevato spesso nelle ultime settimane: il dovere di collegare i fenomeni alluvionali esclusivamente al cambiamento climatico. Paride Antolini, presidente dell’Ordine dei geologi dell’Emilia-Romagna, in una intervista al Corriere della Sera ha ribaltato l’ordine dei fattori, dicendo esplicitamente che in questo caso “il cambiamento climatico non c’entra nulla: è un problema di manutenzione, come le strutture, anche i terreni perdono le loro caratteristiche con il tempo, e se non li si osserva, non si può intervenire”. )
Sottinteso: il cambiamento climatico è un problema vero, ovvio, ma pensare di risolvere i problemi pratici, che riguardano la manutenzione del territorio, volando alto e non guardando in basso è un modo come un altro per deresponsabilizzare la nostra classe politica, consentendole di occuparsi molto della ricerca di capri espiatori e poco della ricerca di soluzioni.
La quinta falsa verità riguarda un tema controintuitivo, complicato da mettere a fuoco ma necessario da analizzare. Un tema che riguarda non la fragilità di un paese come l’Italia ma la sua straordinaria capacità ad adattarsi alle trasformazioni del suo territorio. L’Ispra ci ricorda da tempo che complessivamente il 93,9 per cento dei comuni italiani (7.423) è a rischio per frane, alluvioni e/o erosione costiera. Che 1,3 milioni di abitanti sono a rischio frane e che 6,8 milioni di abitanti sono a rischio alluvioni. E a fronte di questi dati, pensare che tra il 1971 e il 2021 i morti registrati a causa di eventi legati a frane e alluvioni sono stati contenuti rispetto alla popolazione enorme esposta a pericoli (4 al mese in media) ci permette di cogliere un’attitudine importante del nostro paese visibile quando l’Italia dell’efficienza, delle grandi opere, del Mose, delle dighe, delle bonifiche, prende il sopravvento sull’Italia della burocrazia: il suo genio idraulico. Le alluvioni di queste settimane resteranno nella nostra memoria per le ferite create all’Emilia-Romagna. Ma resteranno nella nostra memoria anche per aver illuminato alcune balle che hanno contribuito in questi anni a rendere l’Italia ostaggio dei professionisti del disfattismo, abituati a ricercare più capri espiatori che soluzioni e incapaci di trasformare quando possibile anche una tragedia in un’opportunità utile ad allontanare l’opinione pubblica dall’Italia delle false verità.
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Einaudi: il pensiero e l’azione – “Il Liberale” con Giancristiano Desiderio
Il liberalismo di Einaudi e il dialogo con Benedetto Croce sul liberismo, ne parliamo con Giancristiano Desiderio nella terza puntata del podcast “Einaudi: il pensiero e l’azione”
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Rubrica “Einaudi: il pensiero e l’azione”
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RiChiamare
Ogni anno la Commissione europea riceve da ciascun Paese le previsioni e l’impostazione del bilancio futuro, formulando osservazioni e fornendo indicazioni specifiche. Perché non si fa gli affari suoi? Perché sono affari suoi, visto che il compito della Banca centrale europea è quello di assicurare la stabilità monetaria e una crescita che non comporti un troppo alto tasso d’inflazione, mentre quello della Commissione consiste nel rendere più fluido e omogeneo il mercato interno, aumentando le possibilità di circolazione e ricchezza per tutti. Essendo escluso che il governo belga abbia da impicciarsi del bilancio austriaco, questo lavoro lo fa la Commissione. Da noi queste raccomandazioni vengono tradotte in “monito” o “richiamo”, per poi condurre a “promozione” dopo avere temuto la “bocciatura”. Questa corruzione del vocabolario nasconde la sostanza.
Abbiamo sicuramente un debito pubblico troppo alto, tanto che ci si impegna ricorrentemente a farne scendere il peso in rapporto al Prodotto interno lordo. Per ottenere questo risultato è necessario che il deficit di ogni anno non aggravi la situazione e che la crescita resti sostenuta, quindi è del tutto ovvio che il deficit è migliore se basso, mentre la crescita è più forte se si spende in investimenti. Essendo noi i destinatari della quota largamente prevalente dei fondi europei legati a Next Generation Eu – composti da donazioni e prestiti a tassi agevolati (quindi un vantaggio, rispetto a quelli di mercato) – ed essendo questi soldi destinati a investimenti, è più che ragionevole ci si chieda di procedere nei tempi e nei modi stabiliti. Ove si debba cambiare qualche cosa si presentino delle proposte, cosa che non abbiamo fatto. Ripeto: non lo abbiamo fatto. Tutto questo non è che abbia un significato se lo scrive la Commissione e lo cambia se lo si scrive (come lo si è scritto) nel programma di governo. E non si tratta di bocciare o promuovere, ma di ricordare i preziosi e positivi vincoli dentro i quali si muove l’intero mercato unico europeo. Che, a scanso di equivoci, per noi è fonte di ricchezza, visto che le esportazioni sono una voce decisiva della nostra salute economica e fra le esportazioni la parte prevalente è nel mercato europeo.
Se è tutto così semplice e lineare, perché ne parliamo come se fosse un evento inatteso e preoccupante? A causa di tre deficit. Il primo è economico e unisce destra e sinistra: a turno reclamano più “elasticità”, che vuol dire libertà di spesa pubblica a debito, ma siccome quando la ottengono non sale la spesa per investimenti, si dilapida in spesa corrente. Il secondo è culturale, anche questo unificante: si dice “Europa” per intendere altro da sé (“vado in Europa”, “l’Europa ci dice” et cetera), mentre si tratta di noi stessi assieme ad altri, quindi si vivono quelle osservazioni come un giudizio esterno, fino al ridicolo di parlare di “austerità” imposta quando il debito continua a crescere ma è conveniente un deficit più basso. Il terzo è politico: i partitanti pensano sé stessi come distributori di denari, sicché ne servono sempre di più e si destinano dove si spera nella gratitudine.
Ergo, se la Commissione invita a contenere il deficit (escludendo dal conteggio le spese per l’alluvione e i disastri), a far scendere il peso del debito, a essere diligenti nell’attuazione del Pnrr, a tassare di meno il lavoro (e se la spesa corrente non scende, a distribuire diversamente il carico fiscale), ad avere un catasto in cui il valore degli immobili non sia quello del secolo scorso e altre bellurie, non afferma nulla di diverso da quel che dovremmo ripeterci allo specchio tutte le mattine. Nel nostro interesse, che dovremmo sempre chiamare e richiamare. E il nostro interesse è anche quello europeo, perché se Ngeu dovesse fallire sarebbe un fallimento europeo, dovuto all’inetto masochismo italiano. A fine anno torna il vigore il Patto di stabilità, arrivarci sbilanciati è da incoscienti. Mentre fare melina sulla ratifica della riforma del Mes è da fessi.
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IA per navigare sul web, Opera e OpenAI lanciano Aria. Un nuovo browser con ChatGpt integrato e totalmente gratuito
Interoperabile e aperta agli alleati. La Difesa di domani per Williamson (Lockheed)
Interconnessione tra le piattaforme, interoperabilità tra alleati, e legami transatlantici bilaterali e all’interno delle alleanze, Nato e Ue. Queste sono le priorità che il generale Michael Williamson, presidente di Lockheed Martin International, di recente in visita in Italia per le celebrazioni del Centenario dell’Aeronautica militare, ha sottolineato, nell’intervista in esclusiva per Airpress, come fondamentali affinché i Paesi occidentali rimangano all’avanguardia nell’assicurare la difesa e la deterrenza delle proprie società. Necessità che dovranno vedere una collaborazione sempre più stretta tra le realtà industriali europee (con un ruolo centrale di quelle italiane) e statunitensi.
Cento anni sono un traguardo importante per l’Aeronautica militare italiana, una storia che ha visto una lunga collaborazione con l’industria statunitense e in particolare con Lockheed Martin…
Lockheed Martin è un partner strategico per la difesa e la sicurezza dell’Italia da oltre settant’anni, ha accompagnato l’ingresso dell’Italia nell’era dei jet attraverso il Lockheed F-104 Starfighter, fino alle soluzioni attuali, tra cui il C-130J Super Hercules, il radar di sorveglianza aerea a lungo raggio TPS-77, il Multiple launch rocket system (Mlrs) e, infine, l’F-35 Lightning II. Attualmente, l’Aeronautica militare italiana gestisce la più grande flotta di F-35 dell’Unione europea ed è uno dei maggiori operatori di flotte di C-130J Super Hercules a livello mondiale.
Come descriverebbe la collaborazione tra la sua azienda e le realtà italiane?
Con i partner industriali italiani lavoriamo su programmi di largo respiro e stiamo contribuendo a guidare la forte crescita del settore. Per esempio, l’industria italiana supporterà l’F-35 per oltre trent’anni attraverso gli impianti di Cameri, gestiti da Leonardo con l’assistenza tecnica di Lockheed Martin. Questi impianti svolgono un ruolo-chiave nella produzione delle ali, nell’assemblaggio finale e nel check-out (Faco) e nella manutenzione, riparazione, revisione e aggiornamento (Mrou). Ad oggi, i contratti per la produzione dell’F-35, stipulati con oltre dieci fornitori italiani, hanno fruttato all’economia del Paese più di quattro miliardi di dollari, con un valore totale che si prevede supererà i dieci miliardi nel corso della durata del programma. Un fattore importante della nostra partnership con l’industria italiana è il continuo trasferimento di tecnologie all’avanguardia e il mantenimento di posti di lavoro qualificati, e c’è un ulteriore potenziale di cooperazione nell’ambito delle nostre future iniziative internazionali sui velivoli rotanti.
Uno dei temi principali affrontati dal capo di Stato maggiore dell’Aeronautica, il generale Luca Goretti, è stato quello dell’interoperabilità tra sistemi e alleati. Come vede Lockheed Martin questa esigenza di interoperabilità e sicurezza?
I nostri clienti devono affrontare un ambiente geopolitico sempre più complesso e ostile. Ci troviamo in un momento particolarmente importante per la sicurezza regionale, europea e transatlantica, vista la guerra in corso in Ucraina. Per Lockheed Martin, questo non significa solo fornire Javelin e altri equipaggiamenti necessari ma, se guardiamo un po’ più in là, un requisito fondamentale è la capacità di operare in sinergia con gli alleati. Ciò richiede sistemi di difesa modernizzati con reti integrate, senza soluzione di continuità e resilienti che abbraccino tutti i domini: terrestre, marittimo, aereo, spaziale e cibernetico.
Esempio di questa capacità, citato anche dal generale Goretti, è proprio l’F-35…
L’F-35 è in grado di svolgere un ruolo cruciale in questo cambiamento in quanto nodo più avanzato di un’architettura network-centrica per la sicurezza del XXI secolo, grazie all’utilizzo dei suoi sensori avanzati e la sua connettività per raccogliere, analizzare e condividere senza soluzione di continuità informazioni critiche tra piattaforme e servizi. Come dimostrato nella recente esercitazione Falcon Strike su larga scala, l’F-35 consente all’Italia di essere una forza trainante per una maggiore interoperabilità nazionale e alleata, collegando i velivoli delle flotte alleate di F-35 e integrando velivoli di quinta e quarta generazione. Questa consapevolezza situazionale senza precedenti fornisce l’accesso rapido alle informazioni necessarie per superare le minacce in evoluzione.
L’attuale guerra in Ucraina ha aumentato il livello di insicurezza in Europa e molti Paesi si sono trovati nella necessità di aggiornare le proprie difese. Nel settore aereo, questo ha portato all’adozione dell’F-35 in molti Paesi, dalla Germania alla Grecia, dalla Svizzera alla Finlandia. L’Italia ha fatto da apripista, essendo stata tra i primi ad aderire al programma JSF. Ora, la prossima evoluzione sembra essere quella degli elicotteri…
I recenti conflitti in aree altamente contese, come l’Ucraina, dimostrano che c’è una maggiore necessità di capacità di trasformazione dei sistemi ad ala rotante per garantire che la deterrenza e la difesa della NATO rimangano credibili ed efficaci. L’uso della tecnologia X2 per i velivoli rotanti di nuova generazione può fornire soluzioni multi-missione e interoperabilità tra gli alleati, consentendo un ciclo di vita economicamente vantaggioso. Così come l’F-35 è un nodo chiave della rete informativa ad alta quota, la visione è che le piattaforme Future vertical lift siano il “quarterback” a bassa quota, grazie alla connessione con gli altri mezzi della rete e la capacità di dispiegare effettori dalla terza dimensione.
Quali passi ritiene necessari per rimanere all’avanguardia della tecnologia in questo settore?
Lockheed Martin ha lavorato con il ministero della Difesa italiano, in collaborazione con Leonardo, in quanto il dicastero sta valutando l’applicazione della tecnologia X2 per fornire capacità avanzate adatte a soddisfare le sue future esigenze nel settore dell’ala rotante. Non vediamo l’ora di lavorare su un approccio per estendere la tecnologia X2 ai clienti internazionali, in modo simile ad altri programmi internazionali del gruppo. La tecnologia X2, inoltre, può vedere un campo di applicazione anche all’interno dell’iniziativa Next generation rotorcraft capability (Ngrc) della Nato, avviata per sostituire oltre novecento velivoli a elica, ormai obsoleti, delle flotte europee con apparecchi di nuova generazione. La società sta, per questo, partecipando attivamente alla correlata fase di studio della Nato, per contribuire a dare un supporto informativo all’iniziativa.
Sistemi all’avanguardia rafforzano anche la deterrenza e la difesa dello spazio europeo. L’Italia è impegnata nel processo di costruzione di una Difesa comune dell’Ue, complementare a quella Nato, rafforzando in primo luogo il procurement. Qual è l’importanza del progetto di Difesa europea, e come dovrebbe essere strutturata la collaborazione con l’industria statunitense?
Le capacità di deterrenza europee sono particolarmente importanti nell’attuale contesto di instabilità internazionale. I Paesi devono pensare a come le loro capacità nazionali possano essere collegate e interoperabili con i sistemi e le reti dei vicini e degli alleati, in Europa e nell’Atlantico.
Tutti gli sforzi per incrementare la capacità di difesa e gli approvvigionamenti in Europa contribuiranno anche a rafforzare il pilastro europeo all’interno della Nato. La cooperazione transatlantica a livello industriale può contribuire a sostenere il trasferimento di tecnologie all’avanguardia e il mantenimento di posti di lavoro qualificati, basandosi sulle forti partnership esistenti con i principali attori dell’industria europea, come Lockheed Martin e Leonardo in Italia, ma anche sulle nostre capacità produttive, come PZL Mielec in Polonia.
Il raggiungimento dell’interoperabilità tra gli alleati più stretti attraverso un’architettura aperta e piattaforme centrate sulla rete in tutti i settori sarà un fattore critico in una strategia di difesa paneuropea. La nostra visione per la sicurezza del XXI secolo mira a rispondere a questa esigenza e, con sette nazioni dell’Ue che hanno partecipato al programma F-35 fino ad oggi, c’è un enorme potenziale per un ulteriore sviluppo e collaborazione su soluzioni di deterrenza integrate con i partner europei.
METAVERSO E TRATTAMENTO DEI DATI PERSONALI: quali tutele dell’ lo nel mondo virtuale?
📌Cosedagarante| Domani a partire dalle ore 17.00 parteciperò all’incontro organizzato presso l’Ateneo Pontificio Regina Apostolorum di Roma per parlare di diritti, di privacy, metaverso e trattamento dei dati personali.
Appello: fermare la fame come arma di guerra
della redazione
Pagine Esteri, 25 maggio 2023 – Occorre fermare l’uso della fame come arma di guerra. E’ questo l’appello che lancia la ong internazionale Azione contro la Fame che in uno studio – “No matter who’s fighting, hunger always wins” – appena pubblicato dimostra come i conflitti e la violenza, che sono il principale motore della fame, minacciano la sicurezza alimentare di milioni di persone nel mondo.
L’85% dei 258 milioni di persone in condizioni di crisi alimentare, vive in un Paese in conflitto, scrive Azione contro la Fame, aggiungendo che pee 117 milioni di esseri umani i conflitti rappresentano la causa principale e diretta della fame.
L’organizzazione globale mette in luce come sia la fame, in fin dei conti, ad avere la meglio in ogni conflitto e come a pagare il prezzo maggiore siano sempre i civili. Il report analizza i dati di un’ampia gamma di conflitti armati in tutto il mondo per identificare le connessioni specifiche e complesse tra guerre e fame.
Il 24 maggio di cinque anni fa, il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite adottava all’unanimità la Risoluzione 2417, che riconosce il legame mortale tra conflitti e fame e dichiara che l’uso della fame come arma può costituire un crimine di guerra. Nonostante questa iniziativa storica, da allora non è stato aperto alcun procedimento giudiziario per crimini legati alla fame e l’insicurezza alimentare causata dai conflitti è in aumento.
“Le guerre sono la principale causa di fame nel mondo, eppure sia i conflitti che la fame sono prevenibili. Ed è questo che li rende ancor più inaccettabili – ha dichiarato Simone Garroni, direttore di Azione contro la Fame – l’allarmante recrudescenza della fame nel mondo va di pari passo con il numero e l’intensità crescenti dei conflitti armati e con la palese inosservanza del diritto umanitario internazionale da parte dei belligeranti”.
Il diritto umanitario internazionale, infatti, proibisce gli sfollamenti forzati, la contaminazione da mine e gli attacchi alla terra, al cibo, all’acqua e agli operatori umanitari, tuttavia, Azione contro la Fame e altre organizzazioni presenti in Paesi colpiti da conflitti lunghi e sanguinosi, riportano che queste azioni continuano ad essere compiute impunemente, privando le persone della possibilità di nutrire sé stesse e le loro famiglie. Basti pensare che nel 2022, 376.400 persone hanno sperimentato condizioni di carestia, ovvero il livello più estremo e mortale di fame, in Afghanistan, Burkina Faso, Haiti, Nigeria, Somalia, Sud Sudan e Yemen – tutti Paesi che affrontano conflitti prolungati o gravi condizioni di insicurezza.
Il rapporto di Azione contro la Fame include testimonianze dirette sull’impatto dei conflitti sulla sicurezza alimentare di molti Paesi, come Repubblica Centrafricana, Repubblica Democratica del Congo e Siria. Un intervistato siriano ha raccontato: “le persone armate in questo Paese non rispettano i civili e ciò provoca enormi sofferenze nella popolazione. Quest’anno abbiamo seminato le nostre terre con grano e orzo; la stagione del raccolto è molto vicina. Le piogge sono state scarse quest’inverno e non possiamo irrigare con l’acqua dei nostri pozzi perché tutte le attrezzature sono state saccheggiate”.
Il rapporto descrive nel dettaglio tutti i modi in cui la fame può essere usata come arma di guerra: sfollamenti forzati, distruzione o saccheggio dei raccolti, espropriazione dei terreni, distruzione delle infrastrutture e dei servizi essenziali, contaminazione dei terreni agricoli con le mine antiuomo e, non da ultimo, azioni che ostacolano l’accesso umanitario.
Infine, l’analisi offre raccomandazioni su come le parti in conflitto e gli Stati membri delle Nazioni Unite possono ridurre la fame causata dai conflitti e investire nella costruzione della pace per prevenire l’insicurezza alimentare.
Per sostenere le sue richieste, Azione contro la Fame ha lanciato una petizione in tutti i Paesi del suo network, chiedendo ai cittadini di aderire all’appello rivolto ai leader mondiali. Pagine Esteri
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ULTIM'ORA - Il Comitato europeo per la protezione dei dati (EDPB) ha appena eletto Anu Talus (FI DPA) come suo nuovo presidente.
@Notizie dall'Italia e dal mondo
Il nuovo presidente sostituirà il presidente uscente Andrea Jelinek e supervisionerà il lavoro del consiglio per i prossimi 5 anni.
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Commissario
L’attenzione si concentra sulle cifre, mentre si dovrebbe prestare maggiore attenzione ai meccanismi. Disastri e risarcimenti passano, mentre le ragioni per cui gli investimenti in sicurezza non sono stati fatti restano. Viviamo una specie di long Covid economico: più che la prevenzione conta il ristoro.
La cifra è importante: 2 miliardi. Si stima sia un terzo dei danni che saranno successivamente accertati e che, quindi, richiederanno altre spese. Sono sospesi i pagamenti e gli adempimenti fiscali fino alla fine di agosto, mentre le scadenze relative ai mutui e altre pendenze bancarie sono rinviate in virtù del già esistente protocollo firmato dall’Associazione bancaria italiana. Ci saranno sostegni a fondo perduto (vale a dire che i soldi non devono essere restituiti, come per un terzo di quelli europei legati al Pnrr, ma in quel caso sono sostenuti dai contribuenti europei, mentre in questo da quelli italiani) per aziende e professionisti, come per il riacquisto di macchinari.
Una spesa necessaria, è fuori discussione. Ma pur sempre una spesa che non porterà neanche al punto di partenza, prima dell’alluvione, visto che molti danni materiali, a cominciare da quelli ai campi agricoli, non sono recuperabili immediatamente. Se quelle cifre fossero state spese nei lavori strutturali per mettere in sicurezza, incanalare le acque, conservarle per le irrigazioni, pulire i fiumi et cetera, avrebbero creato occasioni di lavoro, ridotto enormemente i danni e, quindi, sarebbero state spese con maggiore profitto e minore dolore. Il che porta alla questione più rilevante e più trascurata, quella dei meccanismi.
Il lato positivo è che quanti guidano il governo e la Regione, Meloni e Bonaccini, hanno ribadito la piena collaborazione istituzionale, talché il disastro sia affrontato senza l’ostacolo d’inutili battibecchi e rimpalli. Dovrebbe essere la regola di sempre, non è detto che regga fino alla fine, comunque è una buona premessa. È intuibile che Meloni avrebbe gradito nominare Bonaccini commissario preposto al ripristino della possibile normalità, incassando il risultato di un governo di destra che incarica un esponente della sinistra o, meglio, chi ha preso più voti a livello nazionale riconosce il ruolo di chi ne ha presi di più a livello regionale. Forse è proprio il significato di quel gradimento ad avere indotto altri governanti – alleati di Meloni ma a lei non così devoti – a mettersi di traverso. Sicché commissario unico è stato nominato il già commissario alla siccità, ovvero il dottor Dell’Aqua (un destino).
Il commissario dovrà predisporre i programmi triennali d’intervento, nei sette distretti idrografici d’Italia. Dovrà farlo perché non è stato mai fatto. Dovranno essere predisposti entro il 30 giugno, inviati al Ministero dell’Ambiente, che poi li trasmetterà a quello dell’Economia, quantificando il fabbisogno per il tempo che andrà dal 2024 al 2026. Per predisporre quel che non fu mai disposto, il commissario se la vedrà anche con i commissari già nominati – tutti straordinari, tutti legati a disastri – ma che a oggi non hanno aggiornato le tre banche dati nazionali che sorvegliano (si fa per dire) l’italico suolo: Rendis per la difesa di detto suolo, FloodCat per le alluvioni e Iffi per le frane. Non abbiamo i programmi triennali previsti dalle leggi, ma manco i dati sulla base dei quali si potrebbe redigerli. Che succede se entro giugno non si finisce il lavoro? Nulla. Magari passa del tempo e poi si nomina un commissario al commissario che coordina i commissari.
Questo è il punto vero, questo il pezzo rotto del meccanismo istituzionale. Si può fantasticare di presidenti eletti e si può anche incoronarli, si possono redigere riforme costituzionali che scolpiscano il potere nel granito, ma se la macchina ha il motore rotto e le ruote quadrate puoi mettere al volante un pilota di Formula 1 acclamato dalle folle, ma potrà fare solo “brum brum” con la bocca. Questa prosaica materia del fare e del realizzare non appassiona però nessuno, né sul palco né in platea. E ci si rivede alla prossima occasione, ristorando l’irristorabile.
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Presentazione del libro “Non diamoci del Tu – La separazione delle carriere” – 30 maggio 2023, Trieste
SAla Adriatica, Hotel Hilton, Trieste
Interviene:
PINO ANTONIONE, President della Società Internazionale
di Divulgazione Manlio Cecovini
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GIORNATA INTERNAZIONALE DEI BAMBINI SCOMPARSI
PRIVACY DAY FORUM – Inclusività e società digitale
📌Cosedagarante| Questa mattina ho avuto il piacere di partecipare ai lavori del PRIVACY DAY FORUM organizzato a Pisa dal CNR e da FEDERPRIVACY per parlare di inclusivi nella società digitale
RADIO ANCH’IO – Oblio oncologico come battaglia di civiltà
📌Cosedagarante| Questa mattina sono intervenuto a Radio Anch’io per parlare di oblio oncologico, una battaglia di civiltà che non dobbiamo perdere prima a livello sociale che giuridico. Qui il link per riascoltare la puntata raiplaysound.it/programmi/radi…
In Cina e Asia – La base americana di Guam minacciata dagli hacker cinesi
La base americana di Guam minacciata dagli hacker cinesi
Ricercatore militare russo accusato di tradimento per aver passato segreti alla Cina
Cina: sempre più scioperi e proteste da parte dei lavoratori
Hong Kong: cancellazioni in massa dal registro dei donatori di organi
Papa Francesco chiede "libertà" di culto per i cattolici cinesi
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PRIVACYDAILY
Pixelfed v0.11.7 è ora disponibile! 🎉
Punti salienti:
- Rilevamento avanzato di Autospam
- Autospam ora avvisa gli utenti tramite notifiche
- Nuova pagina del dashboard di Autospam
- Diverse correzioni di archiviazione multimediale
- Supporto postgres migliorato
- Vari miglioramenti mastoApi
github.com/pixelfed/pixelfed/r… # pixelfed
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Coloni israeliani attaccano il villaggio palestinese di Burqa
della redazione
Pagine Esteri, 25 maggior 2023 – I palestinesi denunciano un raid di decine di coloni israeliani al villaggio di Burqa (Nablus), con l’esercito che non avrebbe fatto nulla per fermare l’attacco e ha sparato contro i palestinesi che protestavano. Due abitanti sono stati feriti. Una stalla e decine di alberi di olivo sono stati dati alle fiamme.
L’attacco è avvenuto dopo una visita al villaggio fatta da alcuni diplomatici europei per esprimere solidarietà per raid passati subiti da Burqa.
La tensione nell’area è forte dopo la decisione delle autorità israeliane di permettere il ritorno dei coloni nell’area dell’insediamento di Homesh, demolito nel 2005 dall’esercito, costruito in parte su terre di Burqa. I coloni sperano adesso di ricostruire l’insediamento, ipotesi al momento lontana, per la contrarietà espressa dagli Stati uniti. Pagine Esteri
pagineesteri.it/wp-content/upl…
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Thomas Sankara: il debito è il nuovo colonialismo (1) | Piccole Note
"Thomas Sankara è sconosciuto ai più, almeno per noi che riconduciamo il mondo ai nostri piccoli confini. In Africa è un eroe, un modello, un’ispirazione per tutti quelli che sognano la fine del colonialismo (o neo che è uguale) che costringe ancora tanta parte del continente a forme di schiavitù meno manifeste (sulle quali nessuna parola dei Black Lives Matters e nessun inginocchiamento)."
Il Ministero dell’Istruzione e del Merito ha reso pubblici oggi gli esiti delle domande di mobilità dei docenti per l’anno scolastico 2023/2024.
Su un totale di 82.282 richieste, quelle soddisfatte a livello nazionale sono state 44.
Presentazione del libro “La Cina di Xi Jinping. Verso un ordine mondiale sinocentrico?” di Gabriele e Nicola Iuvinale
Si terrà martedì 30 maggio, dalle 14 alle 16, in Sala Nassirya al Senato della Repubblica la presentazione del libro “La Cina di Xi Jinping. Verso un ordine mondiale sinocentrico?” curato da Gabriele e Nicola Iuvinale, edito da Antonio Stango Editore. Una ricerca ampia e minuziosa, condotta mediante fonti open source, che documenta la crescita della Cina negli ultimi venti anni e con essa l’intensificarsi delle minacce alla democrazia, alla sicurezza e all’ordine internazionale basato sulle regole.
Dopo l’apertura del Sen. Giulio Terzi di Sant’Agata, Presidente della Commissione del Senato per le Politiche dell’UE e Presidente del Global Committee for the Rule of Law – Marco Pannella e coordinatore del Dipartimento Politiche Internazionali del Comitato Scientifico della Fondazione Luigi Einaudi, interverranno: Giulia Pompili, giornalista de Il Foglio, Gabriele Carrer, giornalista di Formiche.net, Arturo Varvelli, capo dell’ufficio di Roma dello European Council on Foreign Relations, Fabrizio Luciolli, presidente del Comitato Atlantico Italiano e membro del Dipartimento Politiche Internazionali del Comitato Scientifico della Fondazione Luigi Einaudi, Antonio Stango, editore e Presidente della Federazione Italiana Diritti Umani, Gabriele Iuvinale e Nicola Iuvinale Autori, Giovanni Terzi, direttore di The Global News. Modererà Angelo Polimeno Bottai, giornalista e Presidente di Eureca.
Per decenni, le democrazie liberali si sono illuse che la modernizzazione della Cina avrebbe determinato anche la sua democratizzazione. La liberalizzazione economica che avrebbe prodotto libertà politica per i cittadini cinesi, l’impegno diplomatico con l’Occidente e l’ingresso di Pechino nell’Organizzazione Mondiale del Commercio non hanno mitigato l’autoritarismo del Partito Comunista Cinese, come pronosticato invece da molti. Sono stati commessi gravi errori, alimentati anche da un mercantilismo miope che ha scelto di anteporre i propri interessi a quelli generali di sicurezza degli Stati. L’insieme delle regole ed istituzioni internazionali basate sui principi universali democratici sono oggi apertamente minacciati da Cina, Russia, Iran e da altri Paesi accomunati da un sentimento anti-occidentale e revanscista.
Come scrive nella prefazione il Sen. Giulio Terzi: “questo libro contribuisce finalmente a fare chiarezza e a gettare luce su quello che è necessario conoscere: ‘conoscere per deliberare‘, affermava nel secolo scorso un gigante del pensiero liberale come Luigi Einaudi. Dobbiamo aggiungere ‘conoscere, discutere e infine deliberare’ nell’interesse dell’Italia e dell’Europa per non essere ingannati dal progetto di dominio globale antidemocratico della Cina di Xi Jinping.”
Per partecipare occorre accreditarsi scrivendo a matteo.angioli@senato.it
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”Privacy inclusiva nella nuova civiltà digitale”
📌Cosedagarante| Domani a partire dalle 9,10 avrò il piacere di partecipare al PRIVACY DAY FORUM organizzato da CNR e FEDERPRIVACY per parlare della privacy inclusiva nella nuova civiltà digitale.
“Se le opere dell’ingegno sono (anche) dati personali”
Da quelle letterarie a quelle grafiche e pittoriche, passando per musica, fotografia e cinema: non c’è opera di ingegno che l’IA non sappia emulare, imitare, riprodurre. E se i frutti della creatività umana fossero considerati anche dati personali dei loro autori? Qui trovate l’articolo completo agendadigitale.eu/sicurezza/pr…
Cavo Dragone alla Nato? La congiuntura è favorevole. Parla Mauro
Un prestigio notevole, rispetto al quale sono pochi quelli che nel panorama della dirigenza militare europea e internazionale possono mettere sul piatto lo stesso livello. Questo il lusinghiero giudizio che l’ex ministro della Difesa, Mario Mauro, affida a Formiche.net circa la candidatura del capo di Stato maggiore della Difesa, dell’ammiraglio Giuseppe Cavo Dragone, al ruolo di presidente del Comitato militare dell’Alleanza Atlantica. “Siamo in una congiuntura favorevole”, certifica e nel riflettere sulla possibilità concreta che l’Italia possa ottenere il delicato incarico, richiama anche sulla valutazione del cosiddetto B9, ovvero il vertice del Formato di Bucarest, costituito da Bulgaria, Romania, Slovacchia, Ungheria, Repubblica Ceca, Polonia, Lituania, Lettonia ed Estonia.
Dopo il passo indietro di Mario Draghi al ruolo di successore di Jens Stoltenberg, il ministro degli Esteri Antonio Tajani ha ufficializzato il fatto che l’Italia punta sull’ammiraglio Giuseppe Cavo Dragone, capo di Stato maggiore della Difesa, nel ruolo di presidente del Comitato militare Nato. Secondo lei è una possibilità concreta?
È una possibilità più concreta e lo è ancora di più se gli altri si allineano. Dobbiamo partire da un ricordo che è anche un evidenza dell’ultimo Presidente del Comitato militare italiano, che è stato un ammiraglio della Marina, in quel momento Capo di Stato maggiore della difesa, che risponde al nome di ammiraglio Di Paola, poi ministro della Difesa. Quella è stata l’ultima relazione che ha sorriso ai colori italiani. Quindi dal mio punto di vista ci sono tutte le condizioni perché questo nuovo passaggio possa essere rispondente alle indicazioni del Governo italiano.
Per quali ragioni?
Intanto per il valore della candidatura che è un valore in sé e oggettivamente riconosciuto, sia dal contractor del contesto Nato che dagli americani. Voglio sottolineare, in questo senso, che nel caso di Cavo Dragone stiamo parlando di un pilota della Marina, quindi di un uomo che ha lungamente maturato relazioni con il partner transatlantico. Inoltre si tratta di un uomo che, per l’esperienza nel settore delle missioni internazionali e per la qualità delle attività svolte, è sicuramente ben visto nei contesti militari che fanno capo all’accordo Atlantico.
L’Ammiraglio Cavo Dragone è molto apprezzato in Italia e all’estero, sopratutto negli Usa. Ad aprile si è recato a Washington, dove ha incontrato i vertici del Pentagono e dove è stato intervistato dall’autorevole think tank Atlantic Council. Nominato capo di Stato maggiore della Difesa a novembre 2021, dovrebbe terminare il mandato a novembre 2024. Siamo in una congiuntura favorevole?
Onestamente direi di sì. Primo perché può essere influente la discussione che viene in parallelo sulla definizione del ruolo di Segretario generale della Nato. Ovvero, avendo rinunciato l’Italia o non avendo ritenuto opportuno l’Italia promuovere una candidatura in quel senso lì, ora è più facile fare accordi per un’altra importante, per certi versi quasi equivalente funzione, all’interno della struttura Nato. Ovviamente nelle aspetti negoziali l’Italia ha molte carte da spendere non volendo ricoprire la pedina del segretario generale della Nato. E arrivo anche ad immaginare che, avendo formulato in modo così perentorio e ad altissimo livello, tramite il proprio Ministro degli esteri, la candidatura e averlo fatto con ampio margine sulla definizione, visto che dal punto di vista procedurale l’indicazione verrà attivata a partire dall’apposito comitato militare che si riunirà in settembre, in realtà le mosse italiane avvengono al momento giusto. Se l’ufficializzazione è avvenuta adesso oso immaginare, per l’appunto, che sia stata ampiamente preceduta da negoziati riservati.
Risultato scontato dunque?
No. Anche quando venne nominato Di Paola ci fu un’ultima fase di valutazione che coinvolse tre candidati degnissimi, credo che probabilmente questo sarà anche il tenore del dibattito attuale. Ma per quello che mi consta, normalmente i vertici della diplomazia italiana sono abilissimi in questo tipo di circostanze.
Dal momento che l’Italia è tradizionalmente uno dei principali contributori militari della Nato, sia in termini di truppe che anche di mezzi, una maggiore presenza italiana in posizioni apicali come appunto quella a cui è candidato Cavo Dragone potrebbe sostenere il nostro Paese nell’avanzare le proprie posizioni all’interno della Nato e avere anche un peso specifico diverso?
In realtà la definizione stessa di quell’incarico è già un avanzamento. Dopo l’ammiraglio Di Paola, riprendere il testimone della presenza come Presidente del Comitato militare ha un grande significato di per sé. Oggi, se mi posso permettere, aggiungiamo pure che quel ruolo ha forse ancora maggiore importanza rispetto ad allora, considerata la delicatezza dello scenario, soprattutto in conseguenza della vicenda russo-ucraina e della destabilizzazione dell’area a cavallo del Mediterraneo, quindi intersecando vicende belliche che vanno dal Medio Oriente sino all’Africa. Tutto questo è, oltre che prestigioso per un’eventuale candidatura italiana, anche oggettivamente prioritario rispetto alla definizione dell’interesse nazionale del nostro Paese. Devo però, a questo livello fare una nota che in termini di conoscenza del processo, può essere interessante. Dobbiamo tenere d’occhio il B9.
Ovvero?
Come nella vicenda dell’Unione europea ha ruolo l’accordo di Visegrad, cioè l’accordo tra ex paesi dell’Est che oggi partecipano al progetto europeo, nel contesto Nato ha qualitativamente e quantitativamente peso il cosiddetto B9, vale a dire la liaison privilegiata e particolare di Paesi ex membri dell’Europa dell’Est. Si tratta di un livello che ha il suo oggettivo riconoscimento anche nell’interlocuzione periodica che avviene tra il Presidente americano e questi Paesi, per cui occorrerà mettere a fuoco due elementi: primo, se c’è un candidato del B9; secondo, se questo candidato non ci fosse, dove si orienteranno i voti o le prese di posizione per consenso che passano attraverso la valutazione interna dei Paesi dell’est. Sul punto do per scontato che sia partito un livello di interlocuzione da parte della diplomazia italiana. Aggiungo, sul piano personale, che stiamo parlando di una personalità assoluta, come quella di Cavo Dragone: ha un prestigio notevole, rispetto al quale sono pochi quelli che nel panorama della dirigenza militare europea e internazionale possono mettere sul piatto lo stesso livello di natura.
@FDepalo
PODCAST. Sudan: il rischio di una guerra civile totale resta alto
di Michele Giorgio –
Pagine Esteri, 24 maggio 2023. Centinaia di migliaia di sudanesi sono sfollati o profughi nei paesi confinanti a causa del conflitto esploso a Khartoum e in altre aree del paese tra l’esercito regolare del generale Abdel Fattah El Burhan e il capo della milizia Rsf Mohammad Hamdan Dagalo, più noto come Hemeti. La condizioni della popolazione sono drammatiche per la mancanza di generi di prima necessità e la scarsità di acqua potabile. E l’assistenza medica è minima. Il cessate il fuoco cominciato a inizio settimana è violato di frequente e le due parti in lotta continuano a combattersi. Ciò mentre cresce il rischio che il conflitto diventi una guerra civile ampia e su base etnica, come dimostra la ripresa degli scontri nel Darfur occidentale. Ne abbiamo parlato con Stefano Rebora, operatore umanitario dell’associazione genovese Music for Peace, evacuato nelle scorse settimane dal Sudan dove vive e lavora da alcuni anni.
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L'ordine degli Avvocati di Ancona e la privacy. Una storia grottesca e ridicola (ma il #GarantePrivacy aveva finito il senso dell'umorismo)
Il #GarantePrivacy ha sanzionato per €20.000 l'ordine degli avvocati di Ancona: una gestione della #privacy e della sicurezza fuori da ogni logica
Qui il tweet di @Christian Bernieri / DPO Christian Bernieri con un riassunto interessante:
Si sono inventati un portale per richiedere il gratuito patrocinio. Questo prende la domanda compilata e la invia con la pec dell'avvocato stesso. Come fa? Semplice, chiedendo all'avvocato USERNAME e PASSWORD della sua PEC.
Oltre a tutto questo, mancava l'informativa. Del tutto: persino quando l'ha richiesta il Garante l'informativa non è saltata fuori. Hanno provato a consegnare quella del fornitore informatico che ha realizzato il portale e che ovviamente non c'entra una fava perchè il titolare è l'Ordine.
«la cosa che mi è piaciuta di più, si fa per dire, è la base di legittimazione: non solo una ma la bellezza di due, sia per espresso consenso sia per l’esecuzione di un compito di interesse pubblico.»
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Il Programma alimentare mondiale (WFP) sospende aiuti a 200 mila palestinesi
della redazione
Pagine Esteri, 24 maggio 2023 – Il Programma Alimentare Mondiale (WFP) sospenderà gli aiuti a oltre 200 mila palestinesi, il 60% dei suoi assistiti, a partire da giugno. “Alla luce di una grave carenza di fondi, il WFP è costretto a fare scelte dolorose per allungare le risorse limitate”, ha comunicato Samer Abdeljaber, direttore del WFP a Gerusalemme.
Le famiglie più colpite sono a Gaza, dove l’insicurezza alimentare e la povertà sono le più alte, e in Cisgiordania. L’agenzia delle Nazioni Unite offre ai palestinesi poveri sia buoni mensili del valore di 10,30 dollari a persona che cesti alimentari. Entrambi i programmi saranno interessati dai tagli. Gaza, ospita 2,3 milioni di persone, di cui il 45% è disoccupato e l’80% dipende dagli aiuti internazionali, secondo i dati palestinesi e delle Nazioni Unite.
L’agenzia delle Nazioni Unite continuerà i suoi aiuti a 140.000 persone a Gaza e in Cisgiordania, ha assicurato Abdeljaber aggiungendo che la sospensione è stata decisa per salvare coloro che corrono il rischio più elevato di non potersi permettere il cibo. “Il WFP comprende le implicazioni di questa inevitabile e dura decisione su centinaia di migliaia di persone che dipendono dall’assistenza alimentare per i loro bisogni più elementari”, ha affermato Abdeljaber. Allo stesso tempo il funzionario dell’Onu ha avvertito che se non giungeranno nuovi fondi, il WFP sarà costretto a sospendere completamente l’assistenza alimentare e in denaro ai palestinesi entro agosto.
Adducendo “problemi di sicurezza” con il movimento islamico Hamas che controlla Gaza, Israele attua dal 2006 un rigido blocco (insieme all’Egitto) che penalizza fortemente l’economia palestinese e la circolazione di persone e merci. Pagine Esteri
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In Cina e Asia – La Cina ha un nuovo ambasciatore a Washington
Il primo ministro russo Mikhail Mishustin in visita in Cina
Premier russo a Shanghai per firmare accordi commerciali
Xi auspica la costruzione di "un nuovo Tibet socialista"
Cina, il debito dei governi locali grava sulla vita dei residenti
"Cercare la verità nei fatti": Xi cita Mao per promuovere la sua campagna di ricerca politica
Pakistan: proteste contro il summit G20 sul turismo in Kashmir
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ANALISI. Gli F-16 non cambieranno il corso della guerra in Ucraina
di Daniel L. Davis – Responsible Statecraft
Pagine Esteri, 22 maggio 2023 – Venerdì, l’amministrazione Biden ha spianato la strada agli alleati e ai partner occidentali per trasferire all’Ucraina le loro scorte di caccia F-16 di fabbricazione americana e ha aggiunto che gli Stati Uniti aiuteranno ad addestrare i loro piloti.
Il presidente ucraino Volodymyr Zelensky ha immediatamente salutato la “decisione storica” di fornire l’F-16 Fighting Falcon all’Ucraina, aggiungendo che “migliorerà notevolmente le nostre forze armate nei cieli”.
Una valutazione attenta delle capacità e dei limiti di questo trasferimento, tuttavia, fa abbassare le aspettative. Zelensky aveva implorato i caccia occidentali da quando la Russia ha invaso il suo paese nel febbraio 2022, ma gli Stati Uniti si erano opposti a questo passo. Non è chiaro perché Biden abbia scelto ora, dopo 15 mesi di guerra, di approvare il trasferimento (a febbraio aveva detto che l’Ucraina non ne ha bisogno). Gli Stati Uniti avevano a lungo negato l’invio dei caccia perché avrebbero potuto far irritare la Russia e perché, in ogni caso i jet, non erano così necessari allo sforzo bellico dell’Ucraina.
Gli Stati Uniti nutrivano preoccupazioni simili per un’escalation russa sulla consegna di altre categorie di armi, come l’obice M777, i lanciarazzi HIMAR, i sistemi di difesa aerea Patriot e i carri armati M1A1. La Russia ha protestato dopo l’introduzione di ciascuna di esse, ma non ha preso contromisure. Com’era prevedibile, sabato scorso la Russia ha avvertito di “rischi colossali” per gli Stati Uniti se avessero inviato gli F-16 ma non ha specificato quali siano tali rischi. Con ogni probabilità, i russi non intensificheranno la guerra per gli F-16 nelle mani degli ucraini.
Il cambiamento dell’Amministrazione Biden su questo tema solleva molte domande, tra cui quanto può essere efficace l’aereo nell’aiutare l’Ucraina a vincere la guerra. La risposta non è incoraggiante.
Per cominciare, a febbraio, il sottosegretario alla Difesa Colin Kahl ha affermato che ci vorranno dai 18 ai 24 mesi per addestrare i piloti e gli equipaggi di manutenzione, procurare le strutture dei velivoli e consegnarle in loco per l’uso.
Tuttavia, una valutazione dell’Air Force fatta trapelare giovedì scorso suggerisce che il tempo di addestramento potrebbe essere di soli quattro mesi. Anche se ciò fosse vero – e con ogni probabilità ciò porterebbe i piloti a una capacità minima di pilotare i jet e sarebbero tutt’altro che esperti nel combattimento aria-aria – il processo per identificare gli F-16 dei paesi partner, renderli idonei al volo, e poi consegnarli con l’intero contingente di forniture per la manutenzione, pezzi di ricambio e munizioni, probabilmente entro il 2024. Ci sono poche probabilità, quindi, che quest’anno i militari li vedranno combattere nei cieli dell’Ucraina.
In secondo luogo, mentre l’F-16 è chiaramente uno dei migliori jet da combattimento di quarta generazione al mondo, la sua efficacia primaria si basa sull’essere un componente in un sistema integrato di gestione della battaglia. Sebbene il jet sia in grado di operare da solo, è molto meno efficace senza risorse di acquisizione aggiuntive, come l’E-3 Sentry AWACS. Ad oggi, non si è discusso di fornire questa capacità bellica all’Ucraina.
Terzo, l’F-16 non è un aereo stealth. Fu consegnato per la prima volta all’Air Force attiva nel 1979 ed è vulnerabile alle difese aeree russe, come l’S-300 e i più avanzati sistemi di difesa aerea S-400. Uno dei motivi per cui l’aeronautica ucraina ha svolto un ruolo così minimo in questa guerra è stata la loro incapacità di neutralizzare le reti di difesa aerea russe. Sebbene l’F-16 sia più efficace dei MiG-29 utilizzati dagli ucraini, è ancora vulnerabile agli attacchi delle difese aeree russe.
Infine, c’è la questione di chi fornirà l’aereo. Al di là di ogni dubbio, gli Stati Uniti hanno fatto parte del leone nel sostegno all’Ucraina, finanziariamente e con armi e munizioni. Se Washington vuole autorizzare l’uso di F-16 prodotti negli Stati Uniti nonostante gli svantaggi, è libera di farlo. Tuttavia altre nazioni ricche, come quelle europee, devono fornire i velivoli, non gli Stati Uniti.
La linea di fondo è che sia l’Occidente che Kiev dovrebbero moderare le loro aspettative su ciò che l’acquisizione di queste armi farà per lo sforzo bellico ucraino. Senza dubbio, l’F-16 è un’eccellente jet e segnerà un miglioramento rispetto ai jet ucraini esistenti. Ma non c’è motivo di aspettarsi un drastico cambiamento nelle fortune di Kiev durante la guerra per merito loro. I 40-50 caccia richiesti dall’Ucraina non cambieranno in modo significativo il corso della guerra.
La domanda più seria che gli americani dovrebbero porre a Biden è questa: a che scopo? Cosa si aspetta l’Amministrazione dalla consegna degli F-16? Cosa speriamo di realizzare fisicamente? Quale risultato finale prevede il presidente per la guerra e in che modo la presenza degli F-16 (nello scenario bellico, ndt) migliorerà le possibilità di successo?
Per quanto ne sappiamo, queste domande non sono nemmeno state poste, tanto meno hanno ricevuto risposte, dall’Amministrazione o da funzionari del Pentagono.
È difficile immaginare che l’invio di un certo numero di F-16 in Ucraina – che non potrebbero essere disponibili per l’uso fino all’inizio del terzo anno di guerra – cambierà concretamente l’esito della guerra. Washington dovrebbe iniziare a concentrarsi molto di più sui mezzi concreti per salvaguardare gli interessi americani e porre fine alla guerra e meno su forniture di armi irrilevanti che non sembrano far parte di alcuna strategia coerente. Pagine Esteri
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