Russia fornirà armi alla Somalia. Al Shaabab: uccisi 137 soldati dell’Atmis
della redazione
Pagine Esteri, 27 maggio 2023 – La Russia è pronta a fornire all’esercito somalo attrezzature militari nella sua guerra contro il terrorismo, ha annunciato ieri il ministro degli Esteri russo Sergey Lavrov dopo i colloqui a Mosca con il suo omologo somalo Abshir Omar Jama.
Lavrov ha detto che la Russia è in grado di soddisfare i bisogni materiali dell’esercito somalo nella sua lotta contro gli estremisti che agiscono nel territorio somalo, inclusi al-Shabaab e al-Qaeda. In precedenza, Lavrov aveva sottolineato la lunga relazione tra due paesi, che risale all’URSS. I due ministrri anche discusso dei preparativi per il vertice Russia-Africa previsto per luglio a San Pietroburgo. Un appuntamento con il quale Mosca conferma la sua intenzione di giocare un ruolo di primo piano in Africa e di stringere i rapporti politici ed economici con Paesi ritenuti fondamentali da un punto di vista strategico, tra cui la Somalia.
Intanto, proprio ieri, i ribelli di Al Shabaab hanno lanciato un violenti attacco contro una base dell’esercito ugandese – che fa parte dell’Atmis, il contingente militare dell’Unione africana in Somalia– a circa 120 chilometri a sud-ovest della capitale Mogadiscio.
Un miliziano di Al Shaabab durante l’attacco
L’Atmis ha successivamente riferito che al Shabaab aveva attaccato la base usando una autobomba e attentatori suicidi. Il supporto aereo della missione avrebbe poi colpito gli aggressori mentre si ritiravano. Un comandante dell’esercito somalo ha aggiunto che entrambe le parti hanno subito pesanti perdite.
Al Shabaab da parte sua afferma di aver ucciso 137 soldati dell’Atmis, catturato molti altri oltre ad aver causato danni ingenti. Pagine Esteri
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PAROLE O_STILI – Distanze – Di effetti lontani e cose vicine
Ringrazio gli organizzatori del Festival Parole O_Stili per avermi invitato a partecipare al panel di discussione moderato da Massimo Cerofolini e dedicato all’importanza dei dati personali, alla privacy e agli algoritmi generativi.
Imperatori Romani d’Occidente: La Lista Completa (con durata in carica)
Imperatori Romani d’Occidente, la lista completa. L’Impero Romano d’Occidente, una delle più potenti entità politiche del mondo antico, ha visto una serie di leader carismatici, forti e spesso controversi. La tabella seguente elenca tutti gliContinue reading
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Università, Economia, Politica, Istituzioni e Giornalismo nell’opera di Luigi Einaudi: Il giornalismo
29 maggio 2023
La sterminata produzione giornalistica di Luigi Einaudi, specie sul Corriere della Sera, oltre a trattare temi tipici del giornalismo economico, spazia su profili più ampi e diversi e consente di riflettere sul ruolo attuale del giornalismo, anche nel suo rapporto con gli “altri” poteri, soprattutto quello politico e quello giudiziario.
Relatori
Massimo Nava, Editorialista del Corriere della Sera;
Davide Giacalone, giornalista e Vice Presidente della Fondazione Luigi Einaudi
Andrea Cangini, giornalista e Segretario generale della Fondazione Luigi Einaudi
Progetto Università, Economia, Politica, Istituzioni e Giornalismo nell’opera di Luigi Einaudi
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Protesta per Mahsa Amini e contro l’obbligo del velo: Ghazaleh Chalabi viene uccisa dai paramilitari iraniani
Ghazaleh era un’alpinista e atleta iraniana di 33 anni, colpita alla testa e uccisa dai volontari paramilitari basij durante le proteste per Mahsa Amini.
Nata nel 1989 ad Amol, aveva studiato gestione bancaria ed era stata contabile per una società privata.
Ghazaleh Chalabi, il 21 settembre 2022, è stata colpita alla testa da un proiettile di un fucile di precisione sparato da un ufficiale dei Guardiani della rivoluzione islamica. Ghazaleh stava filmando la manifestazione e aveva finito col registrare anche il momento in cui era stata colpita dal proiettile del cecchino.
Questo video, diffuso su Internet, ha fatto inorridire il mondo.
Prima della sua morte, Ghazaleh aveva compilato due volte la domanda per la donazione dei suoi organi in caso di morte cerebrale. La famiglia di Chalabi aveva annunciato la donazione di diversi organi della ragazza, ma le autorità iraniane non hanno permesso ai genitori di farlo.
I guardiani della rivoluzione hanno sequestrato il corpo della giovane vittima e hanno minacciato i genitori intimando loro di non fare clamore sul caso e di seppellire la loro figliola in un luogo sconosciuto.
Le ultime parole di Ghazaleh furono: “Non aver paura, non abbiamo paura”.
Una zia di Chalabi ha rivelato in un’intervista che sua nipote era entrata in coma prima di morire e che “le avevano sparato frontalmente”. Non è stata dunque colpita a caso, ma volontariamente. “Aveva un piccolo foro sulla sua fronte. Il proiettile è uscito dalla parte posteriore della testa dove si era formato un buco grande quanto un mandarino.
Le forze di sicurezza hanno minacciato di morte anche il fratello di Chalabi ammonendo anche lui a non rivelare la causa della morte della sorella.
Durante la cerimonia funebre vi erano molti agenti in borghese alla sua sepoltura e stavano filmando le persone per registrarle e poi intimidirle.
Le minacce sono parte delle tattiche intimidatorie utilizzate dai servizi di sicurezza iraniani per meglio reprimere le proteste che da mesi si levano nel Paese dal 16 settembre 2022, giorno dell’assassinio di Mahsa Amini.
Dopo oltre otto mesi di una coraggiosa lotta a mani nude, al prezzo della vita, ora con la disobbedienza civile e con gesti gioiosi, ironici e densi di simbolismo, le donne per le strade, sui mezzi pubblici, nei parchi, nelle scuole e nei campus universitari, ostentano i loro fluenti capelli, sciolti o a coda di cavallo, legati in crocchia o modellati in bob. “Il velo è solo un simbolo della protesta, dell’oppressione ed è paragonabile al Muro di Berlino”, sono convinte che se lo si abbatte, l’intero sistema della Repubblica islamica crollerà”, è questo il loro grido di libertà al mondo.
L’obbligo del velo è il pilastro più debole su cui si fonda la rigida applicazione delle leggi islamiche che costringono le donne alla segregazione e la polizia morale ha il compito di videosorvegliare l’abbigliamento delle persone e di arrestare coloro che non rispettano il codice prescritto dalle leggi vigenti della sharia.
Il regime teocratico non può rinunciare all’applicazione rigida della norma che segrega le donne confinandole in uno spazio di minorità: considerandole inferiori agli uomini, dunque. Non può sopportare che da oltre otto mesi, per le donne, la questione dell’hijab sia un capitolo chiuso, perché con questa rivoluzione le ragazze hanno di fatto già abolito l’obbligo di indossarlo. Le autorità iraniane non riescono più a far rispettare l’odioso codice di abbigliamento e ricorrono dunque all’inasprimento della legge e al terrorismo. La cosiddetta polizia morale continua a terrorizzare e a tormentare le donne di qualsiasi età, anche le bambine di nove anni.
Nelle scuole di Tehran e di diverse altre città del paese si registrano ancora attacchi chimici.
Il movimento giovanile di protesta accusa il regime della Repubblica islamica di volersi vendicare del coraggioso attivismo delle donne che hanno generato un moto di ribellione nonviolenta che sta scardinando le fondamenta ideologiche su cui si basa la teocrazia.
Dietro questi crimini contro l’umanità vi è la mano del regime che avrebbe incaricato gruppi di estremisti religiosi di mettere in atto tali azioni terroristiche nei confronti delle studentesse che si oppongono all’obbligo dell’hijab per escluderle dalle scuole e tenere dunque lontane dall’istruzione pubblica le alunne senza velo che hanno di fatto abbattuto l’apartheid di genere in Iran. Il gruppo estremista di Hamian-e Velayat è l’organizzazione sciita che starebbe dietro queste azioni terroristiche nelle scuole del paese. In passato tale formazione religiosa aveva lanciato attacchi contro i derwishi. Hamian-e Velayat è molto legata al figlio della guida suprema, l’ayatollah Ali Khamenei, e ai pasdaran. L’obiettivo della parte più radicale del regime, infatti, sarebbe quello di terrorizzare la popolazione.
Un agente organofosfato viene liberato nelle aule di licei femminili provocando forte sudorazione, eccesso di salivazione, vomito, ipermotilità intestinale, perdita momentanea della vista, difficoltà respiratorie e paralisi, fino all’esito della morte. Tali sintomi si possono presentare anche a distanza di due settimane.
In questi ultimi giorni si sono registrati numerosi arresti di adolescenti che non indossavano l’hijab nei negozi e nei centri commerciali. A Isfahan quaranta negozi sarebbero stati chiusi perché il personale non indossava il velo. A Shandiz, nel nordovest dell’Iran, un agente delle forze volontarie paramilitari “basij” delle Guardie rivoluzionarie in borghese ha aggredito in un negozio di alimentari due donne senza l’hijab, rovesciando loro addosso un secchiello di yogurt.
“Fare il bene e proibire il male”, è il principio filosofico della Repubblica islamica. Il regime ha a lungo promosso la legge sul velo come simbolo del suo successo nell’istituzione della Repubblica islamica. La legge iraniana sull’hijab impone alle donne e alle ragazze di età superiore ai 9 anni di coprirsi i capelli e di nascondere le curve del proprio corpo sotto abiti lunghi e larghi. Nell’agosto del 2021 il presidente Ebrahim Raisi aveva inasprito la legge sull’hijab, imponendo un codice di abbigliamento più rigido e accaniti pedinamenti per farlo rispettare. La polizia morale aveva installato telecamere di videosorveglianza nei pressi di scuole, università e uffici e ad ogni angolo di piazze e strade. Ora le telecamere sono presenti anche nelle aule delle scuole di ogni ordine e grado.
Molte donne aderiscono ancora a questa regola, alcune per scelta e altre per paura. I video del Gran bazar nel centro della capitale Tehran, ad esempio, mostrano che la maggior parte delle donne si coprono i capelli.
Ma i video di parchi, caffè, ristoranti e centri commerciali, luoghi frequentati da donne giovani, mostrano che quasi tutte sono a capo scoperto. Non indossano più l’hijab le celebrità dell’arte, dello spettacolo e le atlete. “L’era dell’hijab forzato è ormai finita in Iran”, gridano le ragazze nelle piazze e nelle strade.
“I foulard torneranno sulle teste delle donne”, è la risposta del deputato Hossein Jalali ai media iraniani.
Ma ora la sfida tra il regime e i giovani è più che mai aperta e il dissenso nella nuova generazione rimane troppo diffuso per essere contenuto e troppo pervasivo perché vi sia un ritorno al rispetto del codice di abbigliamento, affermano le attiviste per i diritti umani.
Le donne con la disobbedienza civile stanno trasformando i loro foulard nell’arma più efficace e più potente contro la dittatura religiosa e gli strati profondi di misoginia e patriarcato della Repubblica islamica.
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Taiwan Files – Lo Stretto dopo il G7
G7, Ams, Nato e armi (con ritardi e nuove spedizioni). Turismo bloccato sullo Stretto. Morta l'ultima donna di conforto taiwanese. Proteste alla NTU. Turbolenze su economia e investimenti. La serie Netflix Wave Makers. La rassegna settimanale di Lorenzo Lamperti con notizie e analisi da Taipei (e dintorni)
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Kosovo: scontri tra serbi e polizia. Belgrado mobilita l’esercito
di Redazione
Pagine Esteri, 26 maggio 2023 – Il presidente della Serbia Aleksandar Vucic ha posto l’esercito del paese in stato di massima allerta e ha ordinato a diverse unità delle forze armate di avvicinarsi al confine con il Kosovo, dopo che manifestanti e polizia si sono scontrati a Zvecan, una città a maggioranza serba nella parte settentrionale di quella che Belgrado considera una sua provincia, non riconoscendone l’indipendenza decretata da Pristina nel 2008 dopo l’intervento militare della Nato nel 1999.
Il ministro della difesa della Serbia Milos Vucevic, confermando l’ordine del presidente, ha definito “drammatica” la situazione in Kosovo.
La polizia kosovara ha sparato gas lacrimogeni nella città di Zvecan, nel distretto di Mitrovica, per disperdere una folla davanti alla sede del comune. I manifestanti, che hanno reagito all’atto di forza lanciando pietre e incendiando alcuni mezzi delle forze dell’ordine, stavano cercando di impedire a un sindaco di etnia albanese appena eletto di entrare nel suo ufficio a seguito di un’elezione che i serbi del Kosovo hanno boicottato.
Il boicottaggio serbo delle elezioni
Più di 50.000 serbi che vivono in quattro comuni del nord del Kosovo, tra cui Zvecan, hanno disertato le urne il 23 aprile scorso per protestare contro il fatto che le loro richieste di maggiore autonomia non erano state soddisfatte.
Nei quattro comuni a maggioranza serba l’affluenza elettorale è stata soltanto del 3,47% e la popolazione ha affermato che non collaborerà con i nuovi sindaci – tutti di partiti di etnia albanese – perché non li rappresentano.
Se gli albanesi costituiscono quasi il 90% della popolazione totale del Kosovo, i serbi rappresentano di gran lunga la maggioranza nella regione settentrionale.
Blerim Vela, capo dello staff del presidente del Kosovo Vjosa Osmani, ha accusato “le strutture illegali e criminali della Serbia” di aver provocato l’escalation contro le forze dell’ordine.
Un giornalista dell’agenzia Reutersha riferito che diversi veicoli della missione di mantenimento della pace della NATO in Kosovo sono stati avvistati nelle vicinanze del luogo degli scontri.
Da parte sua Jeffrey Hovenier, ambasciatore degli Stati Uniti a Pristina, ha condannato l’azione della polizia di Pristina. «Gli Stati Uniti condannano l’azione in corso da parte delle autorità kosovare per accedere agli edifici municipali nel nord del Kosovo. Le misure violente di oggi dovrebbero essere immediatamente interrotte» ha scritto su Twitter.
Chris Murphy, un senatore democratico degli Stati Uniti e membro del Comitato per le relazioni estere che ha recentemente visitato il Kosovo, ha affermato: «Come amico del Kosovo sono stato colto totalmente di sorpresa e lui (Kurti) dovrebbe porre immediatamente fine a questa provocazione».
Il piano sostenuto da Stati Uniti e Unione Europea, concordato verbalmente dai governi del Kosovo e della Serbia lo scorso marzo, mirava a disinnescare le tensioniconcedendo ai serbi locali maggiore autonomia. La comunità serba da tempo chiede l’istituzione di un’associazione di comuni serbi in Kosovo, per coordinare il lavoro su istruzione, sanità, pianificazione territoriale e sviluppo economico a livello locale. Pristina però rifiuta temendo che la federazione dei comuni possa trasformarsi in una sorta di enclave serba completamente autonoma.
L’istituzione dell’associazione era stata originariamente inserita nell’accordo Pristina-Belgrado del 2013, ma è stata successivamente dichiarata incostituzionale dalla Corte costituzionale del Kosovo.
Secondo diversi media, Vucic ha chiesto alle truppe dell’Alleanza Atlantica ancora presenti in Kosovo di proteggere i serbi kosovari dalla polizia, mentre quest’ultima ha fatto sapere di avere incrementato il numero di agenti sul posto «per aiutare i sindaci dei comuni settentrionali di Zvecan, Leposavic e Zubin Potok a esercitare il loro diritto» a insediarsi. Diversi video pubblicati sui social media mostrano, oltre alle immagini degli scontri, anche le colonne di blindati delle foze speciali kosovare muovere verso i comuni interessati.
Kosovo: droni turchi e manovre militari Nato
Intanto nei giorni scorsi le forze di sicurezza del Kosovo hanno ricevuto cinque droni da bombardamento Bayraktar TB2 turchi, a sette mesi dalla firma di un accordo militare con Ankra da parte del ministro della Difesa di Pristina Armend Mehaj.
I droni sono arrivati proprio all’inizio della grande esercitazione militare internazionale denominata Defender Europe 2023, guidata dalle forze armate degli Stati Uniti (che hanno mobilitato 7 mila militari) e alla quale stanno partecipando anche 1300 soldati di Pristina, insieme ai colleghi provenienti da Albania, Bosnia Erzegovina, Bulgaria, Croazia, Repubblica Ceca, Danimarca, Estonia, Francia, Georgia, Germania, Grecia, Ungheria, Italia, Moldavia, Montenegro, Paesi Bassi, Macedonia del Nord, Polonia, Romania, Slovenia, Spagna, Svezia e Regno Unito.
Le imponenti manovre si stanno svolgendo dal 21 maggio proprio in territorio kosovaro – Pristina è attualmente candidata ad entrare all’interno della Nato – e termineranno il prossimo 5 giugno. In particolare le zone interessate sono l’aeroporto di Gjakova e la località di Boka. – Pagine Esteri
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#laFLEalMassimo – Episodio 94 – Rating e Sostenibilità dei Debiti Sovrani
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Questa rubrica continuerà a sostenere la causa del popolo ucraino ingiustamente invaso dalla Russia finché il conflitto non sarà terminato e l’invasore sarà stato respinto definitivamente entro i propri confini.
Di recente si è discusso di Rating sul debito sovrano con riferimento al braccio di ferro politico tra democratici e repubblicani per l’innalzamento del tetto negli Stati Uniti e al giudizio dell’agenzia Moodys sul nostro paese che è stato rinviato.
Si tratta di un argomento nel quale si sovrappongono profili politici ed economici: il merito di credito misurato dalle agenzie di rating, riferito alla capacità di uno stato sovrano di tenere fede ai propri impegni rimborsando gli interessi sul proprio debito e rifinanziando il capitale alle scadenze prestabilite dipende indicativamente dalle prospettive di crescita della sua economia e dalla dimensione dello stock di debito in rapporto al PIL.
Nessuno ad oggi ha dubbi sulla solidità dell’economia americana o sulla sostenibilità del suo debito pubblico, tuttavia il ricatto operato dai repubblicani nei confronti del presidente ha indotto gli operatori a ventilare concretamente la possibilità che un default si possa verificare e potrebbe avere conseguenze negative sul rating come già successo in passato.
Per l’Italia il discorso è differente perché la scarsa crescita e la dimensione elevata del debito hanno per molti anni impensierito gli analisti e portato il giudizio da parte di Moodys al livello più basso della classe investment grade.
Se negli Stati Uniti la cattiva politica può mettere in discussione e danneggiare un’economia forte, in Italia possiamo augurarci che un miglioramento delle prospettive economiche, come quello prospettato da un’altra agenzia di rating DBRS, anche in virtù delle riforme collegate al PNRR, possa in qualche modo arginare i danni di una classe politica inadeguata.
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Le prospettive della controffensiva ucraina. Scopi militari e obiettivi politici
Da settimane ormai si discute dell’imminente controffensiva ucraina, nell’attesa sempre più lunga che questa operazione cominci. Ma essa è forse già iniziata, senza che nessuno se ne sia reso conto. “La guerra moderna non inizia con uno sbarramento di artiglieria in stile Prima Guerra Mondiale, seguito da soldati che escono dalle trincee e camminano verso il nemico. Inizia con attacchi dietro le linee nemiche da parte di forze speciali e partigiani per interrompere le reti di trasporto, causare confusione e raccogliere preziose informazioni” ricorda Oleksandr Moskalenko, del Center for European Policy and Analysis.
In effetti, un inizio in sordina per una delle azioni militari più significative dallo scoppio del conflitto risulterebbe molto in linea con le operazioni di deception attuate egregiamente fino ad ora dai militari di Kyiv. Attualmente sappiamo soltanto che questa controffensiva ci sarà, ma non sappiamo né quando, né dove. Né, soprattutto, con quale scopo.
Per Richard D. Hooker Jr., senior fellow dell’Atlantic Council (ma anche ex assistente speciale del Presidente degli Stati Uniti e direttore senior per l’Europa e la Russia presso il Consiglio di sicurezza nazionale), l’andamento delle operazioni è facile da prevedere: una punta di lancia corazzata (con equipaggi ucraini addestrati alla guida dei Leopard forniti dagli alleati occidentali) infrangerà le linee russe e si spingerà fino a Melitopol; da qui, le brigate meccanizzate ucraine potranno decidere di rivolgersi ad Ovest, con lo scopo di isolare le truppe di Mosca stanziate nella regione di Kherson, o ad Est, per riprendere il controllo della città di Mariupol. Operazioni diverse, ma con gli stessi scopi strategici: spezzare in due la linea del fronte nemica, e recidere ogni collegamento tra la Crimea e il resto del territorio russo.
Hooker fa notare come, in caso quanto da lui teorizzato si avverasse, il ponte sullo stretto di Kerch rimarrebbe l’unico collegamento terrestre con la penisola sita nel mezzo del Mar Nero; ponte che però, grazie alle acquisizioni territoriali ucraine, rientrerebbe nel raggio d’azione di droni, missili e pezzi d’artiglieria. Con una simile situazione sul campo la ‘fortezza’ Crimea, sede della flotta Russa nel Mar Nero e bolla A2/AD, potrebbe essere espugnata tramite logoramento, anziché ricorrere ad un costoso quanto inutile attacco frontale.
Sui tempi della controffensiva non è trapelata informazione alcuna. Molto probabilmente lo Stato Maggiore Ucraino sta cercando di accumulare il maggior numero di risorse possibili, specialmente tramite i pacchetti di aiuti militari forniti dai paesi occidentali: ma se una parte di questi aiuti (di cui Formiche.net ha già parlato in precedenza) stanno già arrivando in territorio ucraino pronti per essere impiegati nelle operazioni militari, altri equipaggiamenti (come ad esempio i caccia multiruolo F-16) hanno necessità logistiche che richiedono un lasso di tempo maggiore prima di poter essere schierati con successo lungo la linea del fronte.
Anche il fattore climatico gioca un ruolo importante. Le informazioni disponibili lasciano presumere che la controffensiva di Kyiv sarà caratterizzata da una forte componente meccanizzata: un uso estensivo di carri armati, Infantry Fighting Vehicles e altri mezzi garantirebbe una maggiore forza d’urto e una maggiore mobilità alle forze armate ucraine, permettendo così loro di sfruttare al meglio ogni successo e di compiere manovre più incisive a livello sistemico. Ma per essere sfruttati con successo questi mezzi richiedono il terreno asciutto tipico della stagione estiva; se la controffensiva venisse ritardata troppo le colonne meccanizzate ucraine rischierebbero di ritrovarsi impantanate nel fango della rasputitza, così come accaduto ai Panzer della Wehrmacht nel 1941 e ai blindati russi nel 2022.
Il successo è dunque assicurato?
Secondo Moskalenko, troppe criticità caratterizzano la controffensiva ucraina (insufficiente superiorità numerica, scarso addestramento e mancanza del dominio aereo) per poterla considerare come l’atto risolutivo della guerra. “La controffensiva ucraina avrà probabilmente una certa influenza, ma non un’influenza decisiva, sul corso del conflitto. In questo senso, è sbagliato e pericoloso considerare la campagna come l’ultima possibilità per l’Ucraina di liberare i propri territori”, specifica l’esperto.
La liberazione di tutti i territori occupati (penisola di Crimea compresa) è uno degli obiettivi principali di Kyiv, che vuole arrivare al tavolo dei negoziati con il maggior potere contrattuale possibile. Uno degli scopi prioritari del governo guidato da Zelensky è quello di non voler cedere alla Federazione Russa neanche un lembo di territorio ucraino: questo risultato finirebbe per legittimare, anche parzialmente, l’aggressione russa, costituendo un pericoloso precedente a livello globale.
Tuttavia questa dinamica costituisce solamente uno dei punti principali dell’approccio ucraino ai negoziati di pace, che gli esperti del settore definiscono di wide-scope: invece di puntare a una tregua a tutti i costi, che probabilmente incuberebbe dentro di sé i germi della prossima guerra, l’intenzione del corpo diplomatico ucraino è quella di lavorare per costituire una pace duratura, che garantisca la sicurezza del proprio paese.
Ma per far sì che ciò accada, le condizioni devono essere accettate anche dalla Federazione Russa. Kyiv è cosciente di ciò, e per questo è disposta ad arrivare al compromesso su questioni specifiche che possano soddisfare anche l’altro lato del campo. Una rinuncia ad ospitare truppe ed armamenti stranieri, così come a sviluppare armamenti nucleari, sono solo esempi delle garanzie che l’Ucraina potrebbe dare a Mosca, nella speranza di costruire una situazione securitaria stabile e destinata a perdurare nel lungo periodo.
FESTIVAL DELL’ECONOMIA DI TRENTO – Nuovi modelli educativi tra CHATGPT e digitale
Domani, sarò a Trento a partire dalle 16,00 al FESTIVAL dell’ ECONOMIA di TRENTO con Sara Tonelli, Carlo Blengino, Michele Kettmajer e Stefano Moriggi per parlare di nuovi modelli educativi tra CHATGPT e digitale Qui le informazioni complete Festival Economia Trento 2023 | Festival Economia Trento 2023
PAROLE O_STILI – Distanze – Di effetti lontani e cose vicine
Clinica Legale Privacy – Università degli Studi Roma3
Continua il viaggio di #NoiSiamoLeScuole: questa settimana si raccontano realtà e prospettive future, grazie al #PNRR, di tre scuole pugliesi!
📍 A Bari il “Marco Polo”, dedito all’innovazione, con Future Labs e laboratori ad alta tecnologia;
📍 A Bar…
Ministero dell'Istruzione
Continua il viaggio di #NoiSiamoLeScuole: questa settimana si raccontano realtà e prospettive future, grazie al #PNRR, di tre scuole pugliesi! 📍 A Bari il “Marco Polo”, dedito all’innovazione, con Future Labs e laboratori ad alta tecnologia; 📍 A Bar…Telegram
La privacy non è più la Cenerentola dei mercati globali (startupitalia.eu)
Nuovo appuntamento con la rubrica Privacy weekly, tutti i venerdì su StartupItalia. Uno spazio dove potrete trovare tutte le principali notizie della settimana su privacy e dintorni. E se volete saperne di più potete leggere qui le news quotidiane di Privacy Daily o iscrivervi alla newsletter di #cosedagarante. Grazie a StartupItalia per l’ospitalità!
Passaggio generazionale: profili lavoristici, previdenziali e societari
Mercoledì 31 maggio 2023 alle ore 14.30 presso Piazza Oberdan, 5, Sala “Tiziano Tessitori”, si terrà l’evento “Passaggio generazionale: profili lavoristici, previdenziali e societari”
Saluti
Giuseppe Benedetto – Presidente Fondazione Luigi Einaudi
Mauro Saviano – Direttore regionale INPS Friuli Venezia Giulia
Angela Forlani – Direttore regionale INAIL Friuli Venezia Giulia
Modera
Francesco De Filippo – Direttore Ansa Friuli Venezia Giulia
Relatori Gian Piero Gogliettino – Commercialista, dottore di ricerca in Diritto del lavoro
Laura Imovilli – Commercialista
Pasquale Silvestro – Vicepresidente Camera di Commercio Italiana in Romania
Interverranno
Antonio Paoletti – Presidente C.C.I.A.A. Venezia Giulia
Michelangelo Agrusti – Presidente Confindustria Alto Adriatico*
Wiliam Pezzetta – Segretario generale CGIL Friuli Venezia Giulia*
Alberto Monticco – Segretario generale CISL Friuli Venezia Giulia*
Matteo Zorn – Segretario generale UIL Friuli Venezia Giulia
Concludono Walter Rizzetto – Presidente XI Commissione della Camera dei Deputati
Massimiliano Fedriga – Presidente Regione Autonoma Friuli Venezia Giulia
Seguirà la presentazione del libro “Non diamoci del tu” del Presidente Giuseppe Benedetto.
Saluti iniziali
Gian Piero Gogliettino
Referente Fondazione Luigi Einaudi per il Friuli Venezia Giulia
Interverranno
Giuseppe Benedetto
Presidente Fondazione Luigi Einaudi
Andrea Delmastro Delle Vedove
Sottosegretario di Stato al Ministero della Giustizia
Massimiliano Fedriga
Presidente Regione Autonoma Friuli Venezia Giulia
Modera
Roberta Giani
Direttrice de “Il Piccolo di Trieste”
Evento accreditato valido ai fini della FPC per i Dottori Commercialisti e degli Esperti Contabili
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In Cina e Asia – Cina e Usa riavviano il dialogo commerciale
Cina e Usa riavviano il dialogo commerciale
La Cina supera gli Usa nelle pubblicazioni scientifiche
Cina, scoperto il “bunker dell’orrore” giapponese
Solare, la Cina davanti a tutti - ma il rischio bolla è dietro l'angolo
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Turchia al ballottaggio. L’opposizione vira a destra per tentare di abbattere Erdogan
di Eliana Riva –
Pagine Esteri, 25 maggio 2023 – Domenica 28 Maggio in Turchia si voterà per eleggere il presidente. È il secondo turno, il ballottaggio tra Recep Tayyip Erdoğan e Kemal Kılıçdaroğlu, capo delle opposizioni. Abbiamo intervistato, da Istanbul, Massimo D’Angelo, ricercatore di relazioni internazionali presso il campus di Londra dell’Università di Loughborough, studioso di relazioni internazionali e storia europea, esperto di Turchia, paese nel quale ha vissuto, alternando periodi di ricerca presso le università Koç, Sabancı e Yıldız.
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Moldova: le elezioni sono valide solo se vince il fronte atlantista? | Marx21
"Le elezioni nella regione autonoma della Gagauzia hanno visto una sfida tra candidati considerati filorussi. Abbastanza per etichettare l’esito come non valido, secondo il doppio standard del governo atlantista di Chișinău."
Quinto compleanno – GDPR – I numeri
Sono già 700 mila i Dpo – responsabili della protezione dei dati – registrati in Europa e il mercato della sicurezza informatica sta progressivamente crescendo. Su ITALIA OGGI il punto sui cinque anni che ci separano dall’applicazione del GDPR.
VIDEO. Luisa Morgantini: “No all’espulsione delle comunità palestinesi da Masafer Yatta”
di Michele Giorgio
Pagine Esteri, 26 maggio 2023 – Masafer Yatta è un’area nelle colline a sud di Hebron, in Cisgiordania, che ospita dodici villaggi palestinesi per un totale di circa 2.800 residenti. L’area si estende su circa 3500 ettari di terra, dove le comunità hanno vissuto per generazioni.
Il diritto internazionale proibisce l’espulsione di una popolazione dalla propria terra. Nonostante ciò l’esercito israeliano all’inizio degli anni ’80 ha dichiarato l’area Firing Zone 918, ossia un poligono di tiro e di addestramento per le sue forze armate. I palestinesi denunciano questa decisione come una mossa volta ad espropriare gli abitanti di Masafer Yatta delle loro case e terre e per rafforzare gli insediamenti coloniali nell’area.
Per 40 anni i residenti hanno vissuto quotidianamente sotto la minaccia di demolizioni, sgomberi ed espropriazioni. Le famiglie di Masafer Yatta hanno un accesso limitato alla terra, alle strade, alle fonti d’acqua, alle scuole, ai servizi medici e agli ospedali. A ciò si aggiungono le intimidazioni dei coloni israeliani insediato nella zona che, riferiscono i palestinesi, non poche volte sfociano in vere e proprie aggressioni fisiche.
Il 4 maggio 2022, la Corte Suprema israeliana, ha respinto il ricorso degli abitanti e con la sua sentenza definitiva ha dato all’esercito il via libera per sgomberare forzatamente le comunità palestinesi. Dovessero i comandi militari procedere con lo sgombero, sarà una delle più espulsioni di civili palestinesi effettuate dallo Stato di Israele negli ultimi decenni. Attivisti locali e internazionali temono che lo sgombero possa stabilire un allarmante precedente per ulteriori espulsioni in tutta la Cisgiordania. Abbiamo intervistato Luisa Morgantini, già vicepresidente dell’Europarlamento e fondatrice di Assopace Palestina, che da anni è attiva a sostegno dei diritti delle comunità palestinesi di Masafer Yatta, durante la sua visita nella regione assieme ad una delegazione italiana.
LA VIDEO-INTERVISTA
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PRIVACYDAILY
L’impero economico cinese passa per l’Asia Centrale
La graduale riapertura della Cina dopo tre anni di Covid nell'ultimo anno ha spinto il governo ad accelerare la creazione dei collegamenti su strada e rotaia con i paesi limitrofi. In questo piano di sviluppo delle periferie fin dall’inizio ha ricoperto un ruolo centrale il Xinjiang, la regione del Far West cinese
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Presentazione del libro “La Confintesa e il mancato «fronte padronale» (1956-1958) Ceti medi, agrari, industriali e l’apertura a sinistra” di Luca Tedesco
Mercoledì 7 giugno alle ore 17:30 si terrà la presentazione del libro ” La Confintesa e il mancato «fronte padronale» (1956-1958). Ceti medi, agrari, industriali e l’apertura a sinistra” del Professor Luca Tedesco.
Interverranno
Emanuele Bernardi
Università degli Studi La Sapienza di Roma
Roberto Ricciuti
Università degli Studi di Verona
Luca Tedesco
Autore e membro del Comitato Scientifico della Fondazione Luigi Einaudi
Modera
Emma Galli
Sapienza Università di Roma, Direttrice Scientifica della Fondazione Luigi Einaudi di Roma
L’evento sarà in remoto e in diretta sui canali social della fondazione
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Emilia-Romagna, 5 false verità
Le drammatiche alluvioni che hanno colpito l’Emilia-Romagna hanno contribuito a mettere in evidenza alcune false verità che riguardano il nostro paese. La prima falsa verità riguarda una lagna spesso ricorrente nel dibattito pubblico direttamente collegata a un’espressione che non potremo più utilizzare: in Italia i soldi non ci sono. Abbiamo visto invece che, sul dossier del dissesto idrogeologico, ma non solo su quello, i soldi in Italia ci sono eccome (dal 2018 a oggi il nostro paese ha lasciato fermi nelle casse statali circa 8,4 miliardi di euro che potevano essere utilizzati per la mitigazione del rischio idrogeologico) e il vero dramma dell’Italia quando si parla di denaro pubblico è semmai un altro: assecondare l’inefficienza della burocrazia statale. Un tema che purtroppo rischia di tornare di attualità in una stagione politica dominata da un’incapacità simmetrica dell’Italia sul fronte del Pnrr. In sintesi: avere molti soldi dall’Europa ma non essere in grado di spenderli.
La seconda falsa verità riguarda una balla grande come una casa ripetuta spesso nelle occasioni in cui i protagonisti del dibattito pubblico discutono di siccità. Purtroppo, lo abbiamo visto in modo drammatico in queste settimane, il guaio dell’Italia non è essere a corto di acqua ma è essere incapaci di trasformare l’acqua, presente nel nostro paese, in una risorsa da sfruttare. E se si pensa che ogni anno in Italia cadono dal cielo circa 300 miliardi di metri cubi di acqua piovana e che il fabbisogno di acqua che avrebbe l’Italia, tra agricoltura, industria e usi potabili, è di circa 30 miliardi di metri cubi all’anno si avrà la perfetta fotografia di come la catastrofe dell’efficienza, nel nostro paese, sia un tema non meno grave delle catastrofi causate dalle alluvioni (anche perché il cambio climatico, evidentemente, accentuerà questa alternanza tra periodi di siccità e piogge torrenziali e a maggior ragione diventerà doppiamente importante realizzare invasi e altre infrastrutture per catturare e trattenere l’acqua, rendendola così disponibile quando serve e quando non piove).
La terza falsa verità riguarda un tema legato a un’espressione divenuta ormai sinonimo di malaffare, “il consumo del suolo”, e che però, se applicata al contesto dell’Emilia-Romagna, assume un’altra dimensione. Michele Munafò, responsabile del rapporto sul consumo di suolo dell’Ispra, ha ricordato, la scorsa settimana, che “le frane avvengono prevalentemente nelle zone montane e collinari dove il consumo di suolo è più ridotto” e non è difficile intuire che le aree a rischio sono più che quelle disboscate quelle che l’uomo sceglie di lasciare al proprio destino illudendosi che la natura non sia mai matrigna (le cause del dissesto, scrive ancora Ispra, vanno ricercate, in primo luogo, nelle condizioni fisiche del territorio italiano: geologicamente giovane e tettonicamente attivo, costituito per il 75 per cento da colline e montagne).
La quarta falsa verità emersa in questi giorni riguarda un tema sollevato spesso nelle ultime settimane: il dovere di collegare i fenomeni alluvionali esclusivamente al cambiamento climatico. Paride Antolini, presidente dell’Ordine dei geologi dell’Emilia-Romagna, in una intervista al Corriere della Sera ha ribaltato l’ordine dei fattori, dicendo esplicitamente che in questo caso “il cambiamento climatico non c’entra nulla: è un problema di manutenzione, come le strutture, anche i terreni perdono le loro caratteristiche con il tempo, e se non li si osserva, non si può intervenire”. )
Sottinteso: il cambiamento climatico è un problema vero, ovvio, ma pensare di risolvere i problemi pratici, che riguardano la manutenzione del territorio, volando alto e non guardando in basso è un modo come un altro per deresponsabilizzare la nostra classe politica, consentendole di occuparsi molto della ricerca di capri espiatori e poco della ricerca di soluzioni.
La quinta falsa verità riguarda un tema controintuitivo, complicato da mettere a fuoco ma necessario da analizzare. Un tema che riguarda non la fragilità di un paese come l’Italia ma la sua straordinaria capacità ad adattarsi alle trasformazioni del suo territorio. L’Ispra ci ricorda da tempo che complessivamente il 93,9 per cento dei comuni italiani (7.423) è a rischio per frane, alluvioni e/o erosione costiera. Che 1,3 milioni di abitanti sono a rischio frane e che 6,8 milioni di abitanti sono a rischio alluvioni. E a fronte di questi dati, pensare che tra il 1971 e il 2021 i morti registrati a causa di eventi legati a frane e alluvioni sono stati contenuti rispetto alla popolazione enorme esposta a pericoli (4 al mese in media) ci permette di cogliere un’attitudine importante del nostro paese visibile quando l’Italia dell’efficienza, delle grandi opere, del Mose, delle dighe, delle bonifiche, prende il sopravvento sull’Italia della burocrazia: il suo genio idraulico. Le alluvioni di queste settimane resteranno nella nostra memoria per le ferite create all’Emilia-Romagna. Ma resteranno nella nostra memoria anche per aver illuminato alcune balle che hanno contribuito in questi anni a rendere l’Italia ostaggio dei professionisti del disfattismo, abituati a ricercare più capri espiatori che soluzioni e incapaci di trasformare quando possibile anche una tragedia in un’opportunità utile ad allontanare l’opinione pubblica dall’Italia delle false verità.
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Einaudi: il pensiero e l’azione – “Il Liberale” con Giancristiano Desiderio
Il liberalismo di Einaudi e il dialogo con Benedetto Croce sul liberismo, ne parliamo con Giancristiano Desiderio nella terza puntata del podcast “Einaudi: il pensiero e l’azione”
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Rubrica “Einaudi: il pensiero e l’azione”
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RiChiamare
Ogni anno la Commissione europea riceve da ciascun Paese le previsioni e l’impostazione del bilancio futuro, formulando osservazioni e fornendo indicazioni specifiche. Perché non si fa gli affari suoi? Perché sono affari suoi, visto che il compito della Banca centrale europea è quello di assicurare la stabilità monetaria e una crescita che non comporti un troppo alto tasso d’inflazione, mentre quello della Commissione consiste nel rendere più fluido e omogeneo il mercato interno, aumentando le possibilità di circolazione e ricchezza per tutti. Essendo escluso che il governo belga abbia da impicciarsi del bilancio austriaco, questo lavoro lo fa la Commissione. Da noi queste raccomandazioni vengono tradotte in “monito” o “richiamo”, per poi condurre a “promozione” dopo avere temuto la “bocciatura”. Questa corruzione del vocabolario nasconde la sostanza.
Abbiamo sicuramente un debito pubblico troppo alto, tanto che ci si impegna ricorrentemente a farne scendere il peso in rapporto al Prodotto interno lordo. Per ottenere questo risultato è necessario che il deficit di ogni anno non aggravi la situazione e che la crescita resti sostenuta, quindi è del tutto ovvio che il deficit è migliore se basso, mentre la crescita è più forte se si spende in investimenti. Essendo noi i destinatari della quota largamente prevalente dei fondi europei legati a Next Generation Eu – composti da donazioni e prestiti a tassi agevolati (quindi un vantaggio, rispetto a quelli di mercato) – ed essendo questi soldi destinati a investimenti, è più che ragionevole ci si chieda di procedere nei tempi e nei modi stabiliti. Ove si debba cambiare qualche cosa si presentino delle proposte, cosa che non abbiamo fatto. Ripeto: non lo abbiamo fatto. Tutto questo non è che abbia un significato se lo scrive la Commissione e lo cambia se lo si scrive (come lo si è scritto) nel programma di governo. E non si tratta di bocciare o promuovere, ma di ricordare i preziosi e positivi vincoli dentro i quali si muove l’intero mercato unico europeo. Che, a scanso di equivoci, per noi è fonte di ricchezza, visto che le esportazioni sono una voce decisiva della nostra salute economica e fra le esportazioni la parte prevalente è nel mercato europeo.
Se è tutto così semplice e lineare, perché ne parliamo come se fosse un evento inatteso e preoccupante? A causa di tre deficit. Il primo è economico e unisce destra e sinistra: a turno reclamano più “elasticità”, che vuol dire libertà di spesa pubblica a debito, ma siccome quando la ottengono non sale la spesa per investimenti, si dilapida in spesa corrente. Il secondo è culturale, anche questo unificante: si dice “Europa” per intendere altro da sé (“vado in Europa”, “l’Europa ci dice” et cetera), mentre si tratta di noi stessi assieme ad altri, quindi si vivono quelle osservazioni come un giudizio esterno, fino al ridicolo di parlare di “austerità” imposta quando il debito continua a crescere ma è conveniente un deficit più basso. Il terzo è politico: i partitanti pensano sé stessi come distributori di denari, sicché ne servono sempre di più e si destinano dove si spera nella gratitudine.
Ergo, se la Commissione invita a contenere il deficit (escludendo dal conteggio le spese per l’alluvione e i disastri), a far scendere il peso del debito, a essere diligenti nell’attuazione del Pnrr, a tassare di meno il lavoro (e se la spesa corrente non scende, a distribuire diversamente il carico fiscale), ad avere un catasto in cui il valore degli immobili non sia quello del secolo scorso e altre bellurie, non afferma nulla di diverso da quel che dovremmo ripeterci allo specchio tutte le mattine. Nel nostro interesse, che dovremmo sempre chiamare e richiamare. E il nostro interesse è anche quello europeo, perché se Ngeu dovesse fallire sarebbe un fallimento europeo, dovuto all’inetto masochismo italiano. A fine anno torna il vigore il Patto di stabilità, arrivarci sbilanciati è da incoscienti. Mentre fare melina sulla ratifica della riforma del Mes è da fessi.
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Interoperabile e aperta agli alleati. La Difesa di domani per Williamson (Lockheed)
Interconnessione tra le piattaforme, interoperabilità tra alleati, e legami transatlantici bilaterali e all’interno delle alleanze, Nato e Ue. Queste sono le priorità che il generale Michael Williamson, presidente di Lockheed Martin International, di recente in visita in Italia per le celebrazioni del Centenario dell’Aeronautica militare, ha sottolineato, nell’intervista in esclusiva per Airpress, come fondamentali affinché i Paesi occidentali rimangano all’avanguardia nell’assicurare la difesa e la deterrenza delle proprie società. Necessità che dovranno vedere una collaborazione sempre più stretta tra le realtà industriali europee (con un ruolo centrale di quelle italiane) e statunitensi.
Cento anni sono un traguardo importante per l’Aeronautica militare italiana, una storia che ha visto una lunga collaborazione con l’industria statunitense e in particolare con Lockheed Martin…
Lockheed Martin è un partner strategico per la difesa e la sicurezza dell’Italia da oltre settant’anni, ha accompagnato l’ingresso dell’Italia nell’era dei jet attraverso il Lockheed F-104 Starfighter, fino alle soluzioni attuali, tra cui il C-130J Super Hercules, il radar di sorveglianza aerea a lungo raggio TPS-77, il Multiple launch rocket system (Mlrs) e, infine, l’F-35 Lightning II. Attualmente, l’Aeronautica militare italiana gestisce la più grande flotta di F-35 dell’Unione europea ed è uno dei maggiori operatori di flotte di C-130J Super Hercules a livello mondiale.
Come descriverebbe la collaborazione tra la sua azienda e le realtà italiane?
Con i partner industriali italiani lavoriamo su programmi di largo respiro e stiamo contribuendo a guidare la forte crescita del settore. Per esempio, l’industria italiana supporterà l’F-35 per oltre trent’anni attraverso gli impianti di Cameri, gestiti da Leonardo con l’assistenza tecnica di Lockheed Martin. Questi impianti svolgono un ruolo-chiave nella produzione delle ali, nell’assemblaggio finale e nel check-out (Faco) e nella manutenzione, riparazione, revisione e aggiornamento (Mrou). Ad oggi, i contratti per la produzione dell’F-35, stipulati con oltre dieci fornitori italiani, hanno fruttato all’economia del Paese più di quattro miliardi di dollari, con un valore totale che si prevede supererà i dieci miliardi nel corso della durata del programma. Un fattore importante della nostra partnership con l’industria italiana è il continuo trasferimento di tecnologie all’avanguardia e il mantenimento di posti di lavoro qualificati, e c’è un ulteriore potenziale di cooperazione nell’ambito delle nostre future iniziative internazionali sui velivoli rotanti.
Uno dei temi principali affrontati dal capo di Stato maggiore dell’Aeronautica, il generale Luca Goretti, è stato quello dell’interoperabilità tra sistemi e alleati. Come vede Lockheed Martin questa esigenza di interoperabilità e sicurezza?
I nostri clienti devono affrontare un ambiente geopolitico sempre più complesso e ostile. Ci troviamo in un momento particolarmente importante per la sicurezza regionale, europea e transatlantica, vista la guerra in corso in Ucraina. Per Lockheed Martin, questo non significa solo fornire Javelin e altri equipaggiamenti necessari ma, se guardiamo un po’ più in là, un requisito fondamentale è la capacità di operare in sinergia con gli alleati. Ciò richiede sistemi di difesa modernizzati con reti integrate, senza soluzione di continuità e resilienti che abbraccino tutti i domini: terrestre, marittimo, aereo, spaziale e cibernetico.
Esempio di questa capacità, citato anche dal generale Goretti, è proprio l’F-35…
L’F-35 è in grado di svolgere un ruolo cruciale in questo cambiamento in quanto nodo più avanzato di un’architettura network-centrica per la sicurezza del XXI secolo, grazie all’utilizzo dei suoi sensori avanzati e la sua connettività per raccogliere, analizzare e condividere senza soluzione di continuità informazioni critiche tra piattaforme e servizi. Come dimostrato nella recente esercitazione Falcon Strike su larga scala, l’F-35 consente all’Italia di essere una forza trainante per una maggiore interoperabilità nazionale e alleata, collegando i velivoli delle flotte alleate di F-35 e integrando velivoli di quinta e quarta generazione. Questa consapevolezza situazionale senza precedenti fornisce l’accesso rapido alle informazioni necessarie per superare le minacce in evoluzione.
L’attuale guerra in Ucraina ha aumentato il livello di insicurezza in Europa e molti Paesi si sono trovati nella necessità di aggiornare le proprie difese. Nel settore aereo, questo ha portato all’adozione dell’F-35 in molti Paesi, dalla Germania alla Grecia, dalla Svizzera alla Finlandia. L’Italia ha fatto da apripista, essendo stata tra i primi ad aderire al programma JSF. Ora, la prossima evoluzione sembra essere quella degli elicotteri…
I recenti conflitti in aree altamente contese, come l’Ucraina, dimostrano che c’è una maggiore necessità di capacità di trasformazione dei sistemi ad ala rotante per garantire che la deterrenza e la difesa della NATO rimangano credibili ed efficaci. L’uso della tecnologia X2 per i velivoli rotanti di nuova generazione può fornire soluzioni multi-missione e interoperabilità tra gli alleati, consentendo un ciclo di vita economicamente vantaggioso. Così come l’F-35 è un nodo chiave della rete informativa ad alta quota, la visione è che le piattaforme Future vertical lift siano il “quarterback” a bassa quota, grazie alla connessione con gli altri mezzi della rete e la capacità di dispiegare effettori dalla terza dimensione.
Quali passi ritiene necessari per rimanere all’avanguardia della tecnologia in questo settore?
Lockheed Martin ha lavorato con il ministero della Difesa italiano, in collaborazione con Leonardo, in quanto il dicastero sta valutando l’applicazione della tecnologia X2 per fornire capacità avanzate adatte a soddisfare le sue future esigenze nel settore dell’ala rotante. Non vediamo l’ora di lavorare su un approccio per estendere la tecnologia X2 ai clienti internazionali, in modo simile ad altri programmi internazionali del gruppo. La tecnologia X2, inoltre, può vedere un campo di applicazione anche all’interno dell’iniziativa Next generation rotorcraft capability (Ngrc) della Nato, avviata per sostituire oltre novecento velivoli a elica, ormai obsoleti, delle flotte europee con apparecchi di nuova generazione. La società sta, per questo, partecipando attivamente alla correlata fase di studio della Nato, per contribuire a dare un supporto informativo all’iniziativa.
Sistemi all’avanguardia rafforzano anche la deterrenza e la difesa dello spazio europeo. L’Italia è impegnata nel processo di costruzione di una Difesa comune dell’Ue, complementare a quella Nato, rafforzando in primo luogo il procurement. Qual è l’importanza del progetto di Difesa europea, e come dovrebbe essere strutturata la collaborazione con l’industria statunitense?
Le capacità di deterrenza europee sono particolarmente importanti nell’attuale contesto di instabilità internazionale. I Paesi devono pensare a come le loro capacità nazionali possano essere collegate e interoperabili con i sistemi e le reti dei vicini e degli alleati, in Europa e nell’Atlantico.
Tutti gli sforzi per incrementare la capacità di difesa e gli approvvigionamenti in Europa contribuiranno anche a rafforzare il pilastro europeo all’interno della Nato. La cooperazione transatlantica a livello industriale può contribuire a sostenere il trasferimento di tecnologie all’avanguardia e il mantenimento di posti di lavoro qualificati, basandosi sulle forti partnership esistenti con i principali attori dell’industria europea, come Lockheed Martin e Leonardo in Italia, ma anche sulle nostre capacità produttive, come PZL Mielec in Polonia.
Il raggiungimento dell’interoperabilità tra gli alleati più stretti attraverso un’architettura aperta e piattaforme centrate sulla rete in tutti i settori sarà un fattore critico in una strategia di difesa paneuropea. La nostra visione per la sicurezza del XXI secolo mira a rispondere a questa esigenza e, con sette nazioni dell’Ue che hanno partecipato al programma F-35 fino ad oggi, c’è un enorme potenziale per un ulteriore sviluppo e collaborazione su soluzioni di deterrenza integrate con i partner europei.
METAVERSO E TRATTAMENTO DEI DATI PERSONALI: quali tutele dell’ lo nel mondo virtuale?
📌Cosedagarante| Domani a partire dalle ore 17.00 parteciperò all’incontro organizzato presso l’Ateneo Pontificio Regina Apostolorum di Roma per parlare di diritti, di privacy, metaverso e trattamento dei dati personali.
Appello: fermare la fame come arma di guerra
della redazione
Pagine Esteri, 25 maggio 2023 – Occorre fermare l’uso della fame come arma di guerra. E’ questo l’appello che lancia la ong internazionale Azione contro la Fame che in uno studio – “No matter who’s fighting, hunger always wins” – appena pubblicato dimostra come i conflitti e la violenza, che sono il principale motore della fame, minacciano la sicurezza alimentare di milioni di persone nel mondo.
L’85% dei 258 milioni di persone in condizioni di crisi alimentare, vive in un Paese in conflitto, scrive Azione contro la Fame, aggiungendo che pee 117 milioni di esseri umani i conflitti rappresentano la causa principale e diretta della fame.
L’organizzazione globale mette in luce come sia la fame, in fin dei conti, ad avere la meglio in ogni conflitto e come a pagare il prezzo maggiore siano sempre i civili. Il report analizza i dati di un’ampia gamma di conflitti armati in tutto il mondo per identificare le connessioni specifiche e complesse tra guerre e fame.
Il 24 maggio di cinque anni fa, il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite adottava all’unanimità la Risoluzione 2417, che riconosce il legame mortale tra conflitti e fame e dichiara che l’uso della fame come arma può costituire un crimine di guerra. Nonostante questa iniziativa storica, da allora non è stato aperto alcun procedimento giudiziario per crimini legati alla fame e l’insicurezza alimentare causata dai conflitti è in aumento.
“Le guerre sono la principale causa di fame nel mondo, eppure sia i conflitti che la fame sono prevenibili. Ed è questo che li rende ancor più inaccettabili – ha dichiarato Simone Garroni, direttore di Azione contro la Fame – l’allarmante recrudescenza della fame nel mondo va di pari passo con il numero e l’intensità crescenti dei conflitti armati e con la palese inosservanza del diritto umanitario internazionale da parte dei belligeranti”.
Il diritto umanitario internazionale, infatti, proibisce gli sfollamenti forzati, la contaminazione da mine e gli attacchi alla terra, al cibo, all’acqua e agli operatori umanitari, tuttavia, Azione contro la Fame e altre organizzazioni presenti in Paesi colpiti da conflitti lunghi e sanguinosi, riportano che queste azioni continuano ad essere compiute impunemente, privando le persone della possibilità di nutrire sé stesse e le loro famiglie. Basti pensare che nel 2022, 376.400 persone hanno sperimentato condizioni di carestia, ovvero il livello più estremo e mortale di fame, in Afghanistan, Burkina Faso, Haiti, Nigeria, Somalia, Sud Sudan e Yemen – tutti Paesi che affrontano conflitti prolungati o gravi condizioni di insicurezza.
Il rapporto di Azione contro la Fame include testimonianze dirette sull’impatto dei conflitti sulla sicurezza alimentare di molti Paesi, come Repubblica Centrafricana, Repubblica Democratica del Congo e Siria. Un intervistato siriano ha raccontato: “le persone armate in questo Paese non rispettano i civili e ciò provoca enormi sofferenze nella popolazione. Quest’anno abbiamo seminato le nostre terre con grano e orzo; la stagione del raccolto è molto vicina. Le piogge sono state scarse quest’inverno e non possiamo irrigare con l’acqua dei nostri pozzi perché tutte le attrezzature sono state saccheggiate”.
Il rapporto descrive nel dettaglio tutti i modi in cui la fame può essere usata come arma di guerra: sfollamenti forzati, distruzione o saccheggio dei raccolti, espropriazione dei terreni, distruzione delle infrastrutture e dei servizi essenziali, contaminazione dei terreni agricoli con le mine antiuomo e, non da ultimo, azioni che ostacolano l’accesso umanitario.
Infine, l’analisi offre raccomandazioni su come le parti in conflitto e gli Stati membri delle Nazioni Unite possono ridurre la fame causata dai conflitti e investire nella costruzione della pace per prevenire l’insicurezza alimentare.
Per sostenere le sue richieste, Azione contro la Fame ha lanciato una petizione in tutti i Paesi del suo network, chiedendo ai cittadini di aderire all’appello rivolto ai leader mondiali. Pagine Esteri
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ULTIM'ORA - Il Comitato europeo per la protezione dei dati (EDPB) ha appena eletto Anu Talus (FI DPA) come suo nuovo presidente.
@Notizie dall'Italia e dal mondo
Il nuovo presidente sostituirà il presidente uscente Andrea Jelinek e supervisionerà il lavoro del consiglio per i prossimi 5 anni.
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Commissario
L’attenzione si concentra sulle cifre, mentre si dovrebbe prestare maggiore attenzione ai meccanismi. Disastri e risarcimenti passano, mentre le ragioni per cui gli investimenti in sicurezza non sono stati fatti restano. Viviamo una specie di long Covid economico: più che la prevenzione conta il ristoro.
La cifra è importante: 2 miliardi. Si stima sia un terzo dei danni che saranno successivamente accertati e che, quindi, richiederanno altre spese. Sono sospesi i pagamenti e gli adempimenti fiscali fino alla fine di agosto, mentre le scadenze relative ai mutui e altre pendenze bancarie sono rinviate in virtù del già esistente protocollo firmato dall’Associazione bancaria italiana. Ci saranno sostegni a fondo perduto (vale a dire che i soldi non devono essere restituiti, come per un terzo di quelli europei legati al Pnrr, ma in quel caso sono sostenuti dai contribuenti europei, mentre in questo da quelli italiani) per aziende e professionisti, come per il riacquisto di macchinari.
Una spesa necessaria, è fuori discussione. Ma pur sempre una spesa che non porterà neanche al punto di partenza, prima dell’alluvione, visto che molti danni materiali, a cominciare da quelli ai campi agricoli, non sono recuperabili immediatamente. Se quelle cifre fossero state spese nei lavori strutturali per mettere in sicurezza, incanalare le acque, conservarle per le irrigazioni, pulire i fiumi et cetera, avrebbero creato occasioni di lavoro, ridotto enormemente i danni e, quindi, sarebbero state spese con maggiore profitto e minore dolore. Il che porta alla questione più rilevante e più trascurata, quella dei meccanismi.
Il lato positivo è che quanti guidano il governo e la Regione, Meloni e Bonaccini, hanno ribadito la piena collaborazione istituzionale, talché il disastro sia affrontato senza l’ostacolo d’inutili battibecchi e rimpalli. Dovrebbe essere la regola di sempre, non è detto che regga fino alla fine, comunque è una buona premessa. È intuibile che Meloni avrebbe gradito nominare Bonaccini commissario preposto al ripristino della possibile normalità, incassando il risultato di un governo di destra che incarica un esponente della sinistra o, meglio, chi ha preso più voti a livello nazionale riconosce il ruolo di chi ne ha presi di più a livello regionale. Forse è proprio il significato di quel gradimento ad avere indotto altri governanti – alleati di Meloni ma a lei non così devoti – a mettersi di traverso. Sicché commissario unico è stato nominato il già commissario alla siccità, ovvero il dottor Dell’Aqua (un destino).
Il commissario dovrà predisporre i programmi triennali d’intervento, nei sette distretti idrografici d’Italia. Dovrà farlo perché non è stato mai fatto. Dovranno essere predisposti entro il 30 giugno, inviati al Ministero dell’Ambiente, che poi li trasmetterà a quello dell’Economia, quantificando il fabbisogno per il tempo che andrà dal 2024 al 2026. Per predisporre quel che non fu mai disposto, il commissario se la vedrà anche con i commissari già nominati – tutti straordinari, tutti legati a disastri – ma che a oggi non hanno aggiornato le tre banche dati nazionali che sorvegliano (si fa per dire) l’italico suolo: Rendis per la difesa di detto suolo, FloodCat per le alluvioni e Iffi per le frane. Non abbiamo i programmi triennali previsti dalle leggi, ma manco i dati sulla base dei quali si potrebbe redigerli. Che succede se entro giugno non si finisce il lavoro? Nulla. Magari passa del tempo e poi si nomina un commissario al commissario che coordina i commissari.
Questo è il punto vero, questo il pezzo rotto del meccanismo istituzionale. Si può fantasticare di presidenti eletti e si può anche incoronarli, si possono redigere riforme costituzionali che scolpiscano il potere nel granito, ma se la macchina ha il motore rotto e le ruote quadrate puoi mettere al volante un pilota di Formula 1 acclamato dalle folle, ma potrà fare solo “brum brum” con la bocca. Questa prosaica materia del fare e del realizzare non appassiona però nessuno, né sul palco né in platea. E ci si rivede alla prossima occasione, ristorando l’irristorabile.
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Presentazione del libro “Non diamoci del Tu – La separazione delle carriere” – 30 maggio 2023, Trieste
SAla Adriatica, Hotel Hilton, Trieste
Interviene:
PINO ANTONIONE, President della Società Internazionale
di Divulgazione Manlio Cecovini
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