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BRICS. Allargamento e dedollarizzazione: a Johannesburg in cerca di grandezza e indipendenza


La "dedollarizzazione" dell'economia internazionale, definita "irreversibile" dal presidente russo Vladimir Putin, è l'argomento centrale del vertice, insieme all'ingresso di nuovi membri. L'articolo BRICS. Allargamento e dedollarizzazione: a Johannesbur

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Pagine Esteri, 23 agosto 2023. L’obiettivo è quello di espandere il gruppo BRICS e di trovare il modo di appianare o almeno di rendere meno importanti le diversità interne agli stati membri. Il vertice di quest’anno è seguito con un interesse assolutamente particolare e, probabilmente, con un timore nuovo da parte dei più importanti leader occidentali. Con la guerra in Ucraina e le pesanti sanzioni alla Russia, sono nate nuove alleanze e si sono rafforzate alcune vecchie.

La “dedollarizzazione” dell’economia internazionale, definita “irreversibile” dal presidente russo Vladimir Putin, è un processo con cui l’occidente e gli Stati Uniti dovranno effettivamente fare i conti. Il denaro definisce gli equilibri più nettamente di qualsiasi proclama politico ed è da sempre questo il campo di gioco più importante per le economie emergenti. Perciò a Johannesburg l’argomento più caldo sul tavolo, oltre ai nuovi possibili stati aderenti, è quello che riguarda le modalità per aumentare l’uso delle valute locali nelle transazioni commerciali e finanziarie con l’obiettivo di liberarsi dalla dipendenza dal dollaro USA.

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Il videomessaggio del presidente russo Vladimir Putin durante il vertice BRICS di Johannesburg

Il presidente cinese Xi Jinping, che a sorpresa non è stato presente all’apertura dei lavori, ha dichiarato in un discorso pronunciato a suo nome che l’espansione del gruppo BRICS significa dare la possibilità alle economie emergenti di costruire un ordine internazionale più giusto e equo. Aggiungendo, come monito, che “continueremo a crescere, qualsiasi resistenza potremo trovare”. Ma sull’espansione Brasile e India frenano, mentre la Russia, insieme alla Cina, vorrebbero al contrario accelerare. “Non cerchiamo di essere un contrappunto al G7, al G20 o agli Stati Uniti” ha dichiarato il presidente brasiliano Lula de Silva.

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Il presidente brasiliano Luiz Inacio Lula da Silva

I Paesi interessati ad entrare a far parte dei BRICS sono, tra gli altri, Egitto, Arabia Saudita, Iran, Argentina e Indonesia.

Neanche il presidente russo Vladimir Putin ha pronunciato da sé il proprio discorso. Un video registrato e il suo portavoce, il ministro degli esteri Sergey Lavrov, lo hanno tenuto al sicuro dalle conseguenze del mandato di arresto internazionale per presunti crimini di guerra compiuti durante l’attacco all’Ucraina. Non sono, invece, chiare le ragioni che hanno impedito la partecipazione del presidente cinese.

Presenti, invece, il leader sudafricano Cyril Ramaphosa, il presidente brasiliano Luiz Inacio Lula da Silva e il primo ministro indiano Narendra Modi.

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Il premier indiano Narendra Damodardas Modi

BRICS è l’acronimo delle economie emergenti che attualmente lo compongono, che sono appunto Brasile, Russia, India, Cina e Sudafrica, regioni che rappresentano circa il 40% della popolazione mondiale e più del 25% dell’economia globale. Pagine Esteri

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di Paolo Ferrero - In questi giorni, dal 22 al 24 agosto, si svolge a Johannesburg il quindicesimo vertice dei Brics. Penso che si tratti di uno degli appunt


#NotiziePerLaScuola

Oltre le competenze cognitive, l’approfondimento dell’Invalsi.

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PODCAST AUSTRALIA. Referendum per i diritti degli aborigeni. Cosa cambierà?


Cosa cambierà per gli indigeni se i sì al quesito referendario dovessero prevalere sui no? Ne abbiamo discusso con il professor George Zillante, già capo dipartimento della facoltà di Architettura dell’Università di Adelaide nel sud dell’Australia. L'art

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di Daniela Volpecina –

Pagine Esteri, 23 agosto 2023. Un referendum per riconoscere i diritti degli aborigeni. L’annuncio del governo australiano, giunto al termine di un lungo e infuocato dibattito, sta già facendo discutere.

La popolazione su questo tema appare spaccata e i pareri contrari al momento sembrerebbero prevalere su quelli favorevoli. Ma che cosa cambierà per gli indigeni se i sì al quesito referendario, previsto presumibilmente entro fine anno, dovessero prevalere sui no?

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Il prof. George Zillante

Ne abbiamo discusso con il professor George Zillante, già capo dipartimento della facoltà di Architettura dell’Università di Adelaide nel sud dell’Australia, oggi consulente dell’ateneo, e grande conoscitore della materia.
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Rapporto annuale 2022 in uscita! il 2022 è stato l'anno delle decisioni più importanti nelle nostre cause di lunga data sui trasferimenti di dati tra l'UE e gli Stati Uniti
trasferimenti di dati Annual Report 2022


noyb.eu/it/annual-report-2022-…



Srettha Thavisin è il nuovo premier thailandese. Al governo Pheu Thai e militari


Srettha Thavisin è il nuovo premier thailandese. Al governo Pheu Thai e militari Thailandia
Dopo un prolungato periodo di incertezza politica, la Thailandia ha il suo nuovo primo ministro: Srettha Thavisin, ex magnate dell'immobiliare, istruito negli Stati Uniti, da sempre vicino alla famiglia Shinawatra

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Il ruolo dei Brics per la Cina


Il ruolo dei Brics per la Cina 8895644
La retorica del Partito comunista racconta così il gruppo: mentre Washington organizza "circoli ristretti" per contenerla, la Cina punta ad allargare le sue partnership. Non per motivi egoistici, prova a sostenere, ma per rendere più forte la voce di quel mondo in via di sviluppo che è stato spesso silenziato

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Weekly Chronicles #42


Everything is a PsyOp. If it's not a PsyOp, it's a surveillance scheme.

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Fantasmi nella macchina


Siamo fantasmi nella macchina (Ghosts in the machine). È il titolo di un recente video della divisione PsyOp dell’esercito degli Stati Uniti. Sì, esiste una divisione PsyOp.

Il video, davvero ben fatto come ci si aspetterebbe da maestri dell’inganno, mostra quasi 4 minuti di video e immagini di eventi storici come le proteste di piazza Tienanmen in Cina e altre “rivoluzioni” civili.

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Cosa si intende per psyop e psychological warfare? Per psyop possiamo intendere un’azione pianificata che usa l’informazione come mezzo per influenzare la percezione e il comportamento del pubblico al fine di raggiungere obiettivi strategici. Gli obiettivi possono essere i più diversi, anche civili. Ad esempio, il governo britannico ha una “Nudge Unit” che ha lo scopo di influenzare il pensiero delle masse e rendere più semplice il rispetto delle politiche governative, diminuendo così i costi di enforcement.

Lo psychological warfare invece è sostanzialmente la stessa cosa, ma ad ampio spettro. Si potrebbe dire che se la psyop è la singola operazione, lo psychological warfare è l’intera campagna militare. Anche in questo caso l’obiettivo è modificare il pensiero e comportamento delle persone al fine di ottenere un vantaggio strategico.

Possiamo ingannare, persuadere, cambiare, influenzare, ispirare. Assumiamo qualsiasi forma. Siamo ovunque. Una sensazione nel buio, un messaggio nelle stelle (We can deceive, persuade, change, influence, inspire. We come in any form. We are everywhere. A feeling in the dark, a message in the stars).


“Anything we touch is a weapon”. Qualsiasi cosa tocchiamo è un’arma, dicono nel video — mentre uno schermo TV mostra un cartone animato. Oggi l’informazione è ovunque e non solo in TV, radio o giornali. Qualsiasi bit d’informazione con cui abbiamo a che fare potrebbe essere parte di una o più PsyOp.

Eppure, provate anche solo a ipotizzare pubblicamente che le informazioni storiche e attuali che arrivano al grande pubblico possano essere frutto di campagne di disinformazione e propaganda. Vi daranno dei pazzi.

La parte più divertente? Mentre i nostri governi ammettono pubblicamente di cimentarsi in psyops e psychological warfare, allo stesso tempo vogliono convincerci di essere impegnati nella “lotta alla disinformazione”.

Pentester, antisemiti e omofobi


Cos’hanno in comune pentester, antisemiti e omofobi? Un simpatico strumento per pen-testing open source chiamato Flipper Zero, lanciato su Kickstarter nel 2020 con grande successo.

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Con Flipper Zero un pen-tester può fare un sacco di cose, come ad esempio emulare RFID e carte NFC per accedere a sistemi di controllo, esplorare reti wifi e bluetooth, controllare dispositivi IoT e anche fornire gli strumenti necessari per lavorare con componenti hardware (ad esempio per reverse engineering).

Insomma un oggettino molto carino per chi si cimenta in questa disciplina. Forse però, un po’ troppo utile. E questo non piace alle agenzie di intelligence statunitensi, che durante le loro attività di sorveglianza di alcuni gruppi Telegram composti da individui “razzisti, antisemiti, xenofobi, islamofobi, misogini e omofobi”1, hanno scoperto che alcuni di loro erano interessati al Flipper.

Così, hanno emesso un avvertimento pubblico sul rischio di uso di questo dispositivo da parte di “estremisti” e potenziali terroristi “eticamente motivati”.2

“The NYPD Intelligence and Counterterrorism Bureau (ICB) assesses that racially and ethnically motivated violent extremists (REMVEs) may seek to exploit the hacking capabilities of a new cyber penetration tester, known as the Flipper Zero, in order to bypass access control systems.”


Nel 2020 circa 38.000 persone hanno acquistato Flipper su Kickstarter. Molti altri sicuramente avranno fatto lo stesso negli ultimi tre anni. Quante persone finiranno in liste di sorveglianza speciale solo per aver comprato uno strumento di ricerca e di lavoro assolutamente legale?

Quanto ancora a lungo riusciremo a giustificare questa macabra inversione dell’onere della prova? Siamo davvero tutti criminali fino a prova contraria, o anche questo fa parte di una grande PsyOp?

Cyberdog


La scorsa settimana Xiaomi ha annunciato l’uscita del suo nuovo giocattolo digitale: Cyberdog 2, un cane cibernetico che peserà quasi 9kg e sarà alto circa 36cm al garrese poligonale. Ricorda un po’ il cane, robotico anche lui, di Casshan — protagonista cyborg dell’omonimo anime anni ‘70.

Il dispositivo sarà dotato di un incredibile armamentario di auto-sorveglianza: un LiDAR, una videocamera RGB, quattro sensori 3D ToF, una videocamera per il rilevamento della profondità, un sensore a ultrasuoni, una videocamera con lente fisheye, quattro microfoni, due ricevitori UWB (Ultra-Wideband), e una non meglio specificata videocamera interattiva basata sull’AI.3

Molto carino, ma dove finiranno i terabyte di dati raccolti dal cervello elettronico del CyberDog? Nota positiva: pare che sia il codice sorgente che i disegni e le specifiche hardware saranno open source. Per ora forse, è meglio però evitare di mettersi un cane-spia in casa.

Weekly memes


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Weekly quotes

“The lion cannot protect himself from traps, and the fox cannot defend himself from wolves. One must therefore be a fox to recognize traps, and a lion to frighten wolves.”
Niccolò Machiavelli

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English version

Ghosts in the machine


This is the title of a recent video from the PsyOp division of the United States Army. Yes, there is a PsyOp division.

The video, very well-crafted as one would expect from masters of deception, shows nearly 4 minutes of footage and images of historical events such as the Tiananmen Square protests in China and other civil "revolutions."

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What is meant by psyop and psychological warfare?

Psyops can be understood as planned actions that use information as a means to influence the perception and behavior of the public in order to achieve strategic objectives. The objectives can vary widely, even including civilian goals. For example, the British government has a "Nudge Unit" that aims to influence mass thinking and make compliance with government policies easier, thereby reducing enforcement costs.

Psychological warfare, on the other hand, is essentially the same thing but on a broader scale. It could be said that if psyop is a single operation, psychological warfare is the entire military campaign. In either case, the goal is to change people's thoughts and behaviors in order to gain a strategic advantage.

"We can deceive, persuade, change, influence, inspire. We come in any form. We are everywhere. A feeling in the dark, a message in the stars."


"Anything we touch is a weapon”, they say, as the video shows a TV screen display featuring a cartoon. Today, information is everywhere, not only on TV, radio, or newspapers. Today, any bit of information we interact with could be part of one or more psyops.

Yet, if you somehow try to publicly speculate that historical and current information reaching the general public could be the result of misinformation and propaganda campaigns, you will be considered a crazy conspiracy theorist.

The funniest part? While our governments publicly admit to engaging in psyops and psychological warfare, at the same time they want to convince us that they are engaged in "fighting disinformation."

Pentesters, antisemites and homophobes


What do pentesters, antisemites, and homophobes have in common? A cute open-source pen-testing tool called Flipper Zero, launched on Kickstarter in 2020 with great success.

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With Flipper Zero, a pen-tester can do a lot of fun stuff, such as emulating RFID and NFC cards to access control systems, exploring Wi-Fi and Bluetooth networks, controlling IoT devices, and providing the necessary tools for working with hardware components (e.g., for reverse engineering).

In short, it's a very useful tool for those involved in the field. However, perhaps it's a bit too useful. And this doesn't sit well with US intelligence agencies, who, during their surveillance activities of certain Telegram groups composed of "racist, anti-Semitic, xenophobic, Islamophobic, misogynistic, and homophobic" individuals discovered that some of them were interested in Flipper. Thus, they issued a warning about the risk of “extremists” and potentially "ethically motivated" terrorists using this device.

"The NYPD Intelligence and Counterterrorism Bureau (ICB) assesses that racially and ethnically motivated violent extremists (REMVEs) may seek to exploit the hacking capabilities of a new cyber penetration tester, known as the Flipper Zero, in order to bypass access control systems.”


In 2020, about 38,000 people purchased Flipper on Kickstarter. Many more have surely done the same in the past three years. How many people will end up on special surveillance lists just for buying a completely legal research tool?

How much longer can we justify this macabre inversion of the burden of proof? Are we really all criminals until proven innocent, or is it just another big PsyOp?

Cyberdog


Last week, Xiaomi announced the release of its new digital toy: Cyberdog 2, a cybernetic dog that will weigh almost 9 kg and stand about 36 cm tall at the polygonal withers. It somewhat resembles the robotic dog, just like Casshan — the cyborg protagonist of a 1970s anime.

The device will be equipped with an incredible array of self-surveillance tools: LiDAR, an RGB camera, four 3D ToF sensors, a depth-sensing camera, an ultrasound sensor, a fisheye lens camera, four microphones, two Ultra-Wideband (UWB) receivers, and an unspecified AI-based interactive camera.

Very cute, but where will the terabytes of data collected by the electronic brain of CyberDog end up? Positive note: it seems that both the source code and hardware designs will be open source. For now, perhaps it's better to avoid bringing a spy dog into the house.

1

Ma sicuramente avevano anche dei difetti

2

dailydot.com/debug/flipper-zer…

3

hdblog.it/hardware/articoli/n5…


privacychronicles.it/p/weekly-…



Il vertice dei Brics è un fatto storico. E' diritto dei paesi che non fanno parte della Triade, USA-UE-Giappone, darsi strumenti di iniziativa economica divers


SUDAN. La guerra entra nel quinto mese


"La situazione sta andando fuori controllo". Questo è l'allarme lanciato delle agenzie delle Nazioni unite quattro mesi dopo l'inizio nel paese africano del conflitto sanguinoso tra il capo delle Esercito Al Burhan e il leader miliziano Hamdan Dagalo L'a

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di Michele Giorgio*

Pagine Esteri, 22 agosto 2023 – La guerra in Sudan è entrata nel suo quinto mese con il suo pesante carico di migliaia di morti e feriti, milioni di sfollati e rifugiati e violenze etniche nel Darfur. Parlando in occasione del 69esimo anniversario delle Forze armate, il presidente del Consiglio sovrano di transizione del Sudan, il generale Abdel Fattah Al Burhan, ha accusato i nemici delle Forze di supporto rapido (Rsf) del generale Hamdan Dagalo (Hemeti) di commettere gravi crimini di guerra. Ma la responsabilità delle sofferenze che patisce la popolazione va attribuita a tutti e due i leader rivali. Ad Al Burhan come a Dagalo, prima partner in un colpo di stato che ha fermato la transizione del Sudan verso la democrazia. Dopo, per sete di potere, hanno gettato il Sudan in un conflitto di cui è difficile vedere la fine. La «roadmap verso la pace» annunciata martedì da Malik Agar, leader ribelle divenuto numero due del Consiglio sovrano, è fallita prima ancora di essere discussa. Youssef Ezzat, il consigliere di Hamdan Dagalo, ha respinto l’iniziativa che prevede una tregua immediata e l’avvio di colloqui diretti tra le due parti in lotta.

La guerra, perciò, va avanti con l’Esercito e le Rsf che pensano a consolidare le loro posizioni. Appena qualche giorno fa le Nazioni unite hanno ricordato che più di 1 milione di persone sono fuggite dal Sudan e chi è rimasto nel paese non ha più cibo a sufficienza. 1.017.449 persone hanno raggiunto i paesi vicini già alle prese con l’impatto di conflitti precedenti. Gli sfollati interni sono 3.433.025, secondo gli ultimi dati dell’OIM. «Il tempo sta scadendo per gli agricoltori per piantare i raccolti che nutriranno loro e i loro vicini. Le scorte mediche sono limitate. La situazione sta andando fuori controllo», hanno avvertito le agenzie dell’Onu in una dichiarazione congiunta. Milioni di sudanesi rimasti a Khartoum e nelle città del Darfur e del Kordofan oltre alla fame e talvolta la sete, devono affrontare saccheggi e violenze. Le denunce di aggressioni sessuali sono aumentate del 50%, ha riferito Laila Baker del Fondo per la popolazione dell’Onu. «I resti di molti uccisi non sono stati identificati e sepolti» ha aggiunto da parte sua Elizabeth Throssell, portavoce dell’Alto Commissario per i Diritti Umani. Qualche settimana fa alcuni operatori umanitari avevano denunciato che gli obitori di Khartoum sono intasati e che decine di cadaveri restano nelle strade della capitale. I corpi che si trovano negli obitori si stanno decomponendo a causa delle prolungate interruzioni di energia elettrica e per la scarsità di personale.

I morti in quattro mesi sarebbero circa quattromila ma la Cnn ha raccolto dati sufficienti per affermare che altre centinaia di persone, forse mille, sono state massacrate lo scorso 15 giugno a El Geneina, la capitale del Darfur occidentale, dai miliziani delle Rsf e da uomini armati arabi. Alcune sono state giustiziate sommariamente per le strade. Altre sono state colpite mentre tentavano di attraversare un fiume. Altre ancora sono cadute in un’imboscata vicino al confine con il Ciad. L’indagine del network Usa sulle atrocità di quel giorno apre una finestra sulla portata di massacri e abusi compiuti negli ultimi quattro mesi e rimasti nascosti.

Le dimensioni dell’emergenza umanitaria aumentano giorno dopo giorno. Medici senza Frontiere (Msf) ricorda in un comunicato che centinaia di migliaia di profughi sono già in Ciad e hanno bisogno di aiuti internazionali. «I campi (di accoglimento) sono pieni – si legge nel comunicato – così come quelli temporanei di transito. Le persone vengono mandate in altre zone lontano dalla città dove si stanno costruendo nuove sistemazioni che però non sono ancora pronte. Qui i rifugiati sono esposti al sole e alla pioggia, con cibo e acqua insufficienti. I bisogni sono enormi e le risorse molto scarse». In Ciad, avverte Msf, è arrivata la stagione delle piogge che porta con sé un enorme aumento dei casi di malaria e potrebbe provocare epidemie.

Partono per il Sudan aiuti anche dall’Italia. «Sono in viaggio quattro nostri container con materiali per gli ospedali e aiuti per un valore di circa 800mila euro che dovrebbero arrivare a destinazione nei primi 10 giorni di settembre» dice al manifesto Stefano Rebora, direttore di «Music for Peace», associazione di Genova che opera in Sudan da anni. «Dalle notizie che riceviamo dai nostri collaboratori sudanesi» aggiunge «i combattimenti vanno avanti in particolare a Khartoum, nel Darfour, a Fashir e Nyala. Gran parte dei ministeri sono stati trasferiti a Port Sudan». L’obiettivo di «Music for Peace», conclude Rebora, «sarà di entrare a Khartoum, attraversare la linea del fronte e portare aiuti ai civili nelle aree più colpite dalla guerra e di rifornire l’ospedale di Emergency». Pagine Esteri

* Questo articolo è stato pubblicato in origine dal quotidiano Il Manifesto

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Uccisioni di massa tra i profughi che provano a fuggire dall’Etiopia


I rapporti delle organizzazioni internazionali rivelano l'utilizzo di torture, stupri e lavoro forzato lungo la via che dal Corno d'Africa raggiunge l'Arabia Saudita L'articolo Uccisioni di massa tra i profughi che provano a fuggire dall’Etiopia proviene

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Pagine Esteri, 21 agosto 2023. Un mese dopo il nuovo rapporto del Mixed Migration Center, che riportava uccisioni di massa, violenze deliberate e assassinii tra i profughi che provano a raggiungere l’Arabia Saudita, il nuovo report di Human Rights Watch scende nell’orrore più profondo.

Sono sempre di più i migranti che tentano di lasciare il Corno d’Africa intraprendendo un lungo, difficile e pericoloso viaggio attraverso lo Yemen. Per la maggior parte provengono dall’Etiopia, dove due anni di guerra in Tigray hanno causato circa 500.000 vittime, 2 milioni di sfollati interni e una gravissima carestia.

Per fuggire ci si deve affidare a reti di trafficanti che riscuotono il proprio compenso attraverso il lavoro forzato, il traffico di droga e lo sfruttamento sessuale.

Nel mese di ottobre un rapporto dell’ONU ha rivelato che tra il 1° Gennaio e il 30 Aprile 2022 430 persone sono state uccise e 650 ferite lungo il confine tra lo Yemen e l’Arabia Saudita dall’artiglieria e dai fucili delle forze armate saudite. Erano quasi tutti rifugiati, richiedenti asilo che provenivano dall’Africa. Anche le milizie Youthi, secondo i rapporti di Human Rights Watch, si sono macchiate di pesanti crimini.

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La maggior parte delle persone uccise sono uomini ma il numero di donne e bambini massacrati sta crescendo in maniera allarmante: il 30% sono donne e il 7% bambini, secondo i dati ONU. Proprio per le donne il viaggio è particolarmente pericoloso: le testimonianze dei sopravvissuti e le notizie raccolte dalle organizzazioni internazionali, rivelano torture e stupri.

“They Fired on Us Like Rain” è il titolo del report pubblicato ieri da Human Rights Watch, il quale rivela che sono stati “almeno centinaia” i migranti e richiedenti asilo etiopi uccisi tra Marzo 2022 e Giugno 2023 al confine tra lo Yemen e l’Arabia Saudita. Tra loro donne e bambini. Secondo la ONG gli omicidi rientrano nella politica del governo saudita che opera feroci respingimenti di migranti e le azioni si configurano come crimini contro l’umanità.

Le guardie di frontiera saudite utilizzano esplosivi pesanti per uccidere deliberatamente e in maniera indiscriminata i richiedenti asilo che si avvicinano al confine. A volte chiedono ai migranti di scegliere una parte del loro corpo e da lì iniziano a sparare. Vengono uccisi anche coloro che, arrestati e rilasciati dalle autorità saudite, provano a ritornare in Yemen.

Centri di tortura e detenzione non mancano lungo il percorso e un numero imprecisato di migranti muore di stenti a causa della mancanza di acqua. Le bande criminali che controllano i flussi rapiscono i migranti, li rinchiudono nelle prigioni e li torturano in attesa del pagamento di un riscatto da parte dei familiari. Le donne vengono violentate dalle guardie, che costringono anche i loro compagni ad abusare di loro.

L’Arabia Saudita ha rigettato le accuse e si è opposta all’apertura di un’inchiesta, dichiarando che non esistono prove sufficienti e che HRW utilizza fonti inattendibili. Ma non sono solo i racconti dei sopravvissuti. Ci sono le immagini che mostrano i feriti, i mutilati, i corpi abbandonati o sistemati intorno ai campi profughi. Anche le immagini satellitari mostrano un numero impressionante e crescente di corpi nei cimiteri improvvisati tutto intorno alle baraccopoli. Pagine Esteri

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Elezioni Ecuador. Clima di apparente “normalità” sotto la sorveglianza dei militari


10 mila militari dispiegati su tutto il territorio nazionale sono segno della tensione nel Paese. Sarà ballottaggio tra Luisa González e Daniel Noboa. L'articolo Elezioni Ecuador. Clima di apparente “normalità” sotto la sorveglianza dei militari proviene

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di Davide Matrone –

Pagine Esteri, 21 agosto 2023. Ieri 20 agosto, le elezioni in Ecuador si sono tenute dalle ore 7 alle 17.00 con la presenza di oltre 10 mila militari dispiegati su tutto il territorio nazionale. Questo primo elemento ci fa intendere il clima di tensione creatosi in questi anni nel paese con l’insediarsi di bande criminali in alcune regioni della costa in particolare. Tutti i candidati si son presenttati ai seggi a votare circondati dai componenti dell’esercito armati fino ai denti. E tutti i seggi erano pieni di militari sin dalle prime ore della giornata. Non si sono registrati anomalie nel voto interno cominciato il giovedí nei 39 centri penitenziari delle 20 regioni del paese, in cui hanno votato 4756 detenuti aventi diritto. Anche i rappresentanti delle organizzazioni internazionali hanno confermato la regolarità del processo elettorale. Tuttavia, si son registrate molte critiche e proteste per gli elettori all’estero, molti dei quali non sono potuti registrarsi per esercitare il suffraggio ed altri hanno dovuto attendere molto tempo per farlo on line. Durante la giornata alcuni dei candidati alla presidenza, hanno richiamato l’attenzione del CNE. Dei 409250 mila ecuadoriani residenti all’estero (il 3.1% del corpo elettorale totale), solo 113434 mila si sono iscritti fino al 20 agosto per votare dalle 9 alle 19. Per questo motivo i primi risultati ufficiali emanati dal Consiglio Nazionale Elettorale (CNE) sono stati resi noti dopo le 19.30.

I primi risultati non ancora definitivi.

Dopo quasi l’85% dei seggi scrurinati, il primo dato certo è che si tornerà a votare in ottobre per il ballottaggio che vedrà sfidarsi la candidata Luisa González con il 33.6% dei voti, seguito da Daniel Noboa al 23.1%.

Da una prima analisi vediamo che il voto correista resta lo stesso e si conferma un consenso duro e di militanza. Dal 2017 ad oggi si aggira tra un 30-33% nelle varie tornate elettorali (regionali, comunali e politiche). Il discorso di Luisa González, basato sul recupero della patria e di voler realizzare quanto fatto di buono nel passato, non è andato oltre il proprio elettorato che di concentra prevalentemente sulla costa. Alle elezioni passate del 2021, Andrés Arauz (candidato del correismo) al primo turno ottenne il 33.1%. L’unica donna candidata alla Presidenza ha dovuto fronteggiare attacchi da parte di una certa stampa che ha in alcune occasioni cercato di ridurre la sua capacità di governare e di essere sotto le direttive del capo Correa. Nel dibattito non ha certamente brillato ma le denunce verso i candidati Sonnenholzner e Topic hanno sortito certi effetti e hanno ridimensionato entrambi i candidati.

La sorpresa di queste elezioni al momento è senza dubbio Daniel Noboa figlio del magnate delle banane Álvaro Noboa che è partito in sordina ed è poi giunto nei primi 3 posti in poco tempo. Senza dubbio la buona esposizione nel dibattito del 13 agosto ha consentito un incremento di voti in una sola settimana. Inoltre, era il candidato più “nuovo” e “fresco” di queste elezioni. Non avendo scheletri nell’armadio, ha potuto viaggiare comodamente senza ricevere attacchi da nessuna parte. Al terzo posto va Fernando Villavicencio (candidato ucciso durante un comizio elettorale il 9 agosto) con oltre il 16% dei voti conquistando tra l’altro 3 regioni del paese tra la Serra e l’Amazzonia. Infine, al 4° posto il candidato Topic con un 14% che con il suo discorso centrato nella lotta alla delinquenza con il pugno duro ha fatto presa in un elettorato timoroso. Topic era stato paragonato sin da subito al Bukele ecuatoriano.

Luisa González tutto sommato si è difesa bene contro il resto dei candidati del centrodestra. Ha conquistato 8 regioni del paese ed alcune nella zona amazzonica che storicamente non è mai stata favorevole al correismo. I voti dal territorio confermano il buon risultato delle elezioni amministrative dello scorso anno per il correismo che nonostante gli attacchi continui, conserva un 30% di consensi nella popolazione. Ora molto probabilmente i 6 candidati della destra si uniranno nel ballottaggio per sconfiggere nuovamente “lo spettro del comunismo”. Il clima da guerra fredda non è mai terminata per gli anti comunisti. Il muro di Berlino è sempre in piedi. Tuttavia, lo stesso processo di unione non è scontato che accada con gli elettori. Per esempio, un dubbio sorge con il voto del movimento indigeno occupato più per i referendum pro ambiente che per un candidato in particolare. Dove sono andati i della Conaie? A destra? A Luisa González? En el ballottaggio. Ricordiamo che Yaku Pérez si è asciugato abbastanza in queste elezioni. Èx candidato di Pachakutik è passato da un 20% a un 4.5% in soli due anni. Dove sono andati questi voti e dove andranno al ballottaggio? Attenzione, non sempre la somma unisce.

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Naufragio Sicilia, 41 morti. Sopravvissuti alla deriva per 4 giorni


I superstiti, due uomini, una donna e un minore, hanno raccontato la storia dei 41 compagni di viaggio, tra cui 3 bambini, caduti in mare e scomparsi tra le onde L'articolo Naufragio Sicilia, 41 morti. Sopravvissuti alla deriva per 4 giorni proviene da P

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Due uomini, una donna e un minore. Sono le sole 4 persone sopravvissute al naufragio che lo scorso giovedì ha causato la morte di 41 migranti tra cui 3 bambini.

Conosciamo la loro storia grazie a loro, che hanno raccontato come la barca si sia ribaltata dopo sole 6 ore di navigazione a causa di un’onda particolarmente alta. 7 metri di lunghezza, ospitava 45 persone, partite da Sfax in Tunisia, tentavano di raggiungere l’Italia.

Alcuni, una quindicina, indossavano un salvagente ma sono affogati lo stesso, hanno raccontato i 4 naufraghi, provenienti da Costa d’Avorio e Guinea Konakry, alla Guardia Costiera italiana.

Loro sono rimasti in acqua per ore. Poi hanno visto una barca abbandonata, probabilmente lasciata dopo un trasbordo di migranti e sono riusciti a salire. La barca, senza motore, è andata alla deriva per almeno 4 giorni finendo, trascinata dalle correnti, al largo della Libia.

La Guardia Costiera libica, seppur avvisata dalle autorità italiane, non sarebbe intervenuta, secondo la ricostruzione fatta da La Presse.

I sopravvissuti sono stati avvistati ieri da una barca mercantile battente bandiera maltese, la Rimona, che li ha salvati facendoli salire a bordo. Questa mattina sono trasbordati su una motovedetta della Guardia Costiera che li ha portati a Lampedusa.

Nessuna barca né autorità marittima ha avvistato cadaveri in mare. I corpi dei 41 migranti rimarranno, come centinaia di altri, sul fondo del Canale di Sicilia. Pagine Esteri

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#NotiziePerLaScuola

Accordo sezioni primavera anno educativo 2023/2024, per la realizzazione dell'offerta di servizi educativi in favore dei bambini dai due ai tre anni.

Info ▶️ miur.gov.



Mauro Battocchi – La partita dell’euro


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Caso Vannacci, i doveri e la libertà. Parla il generale Arpino


“Buongiorno, generale! …Ci chiedevamo se le andasse gentilmente di scrivere qualcosa sulla questione Vannacci…”. Innanzitutto, nel ringraziare la redazione di Formiche.net per avermi offerto questa opportunità, dico solo che ho risposto subito positivamen

“Buongiorno, generale! …Ci chiedevamo se le andasse gentilmente di scrivere qualcosa sulla questione Vannacci…”. Innanzitutto, nel ringraziare la redazione di Formiche.net per avermi offerto questa opportunità, dico solo che ho risposto subito positivamente. Lo dico perché in cuor mio in precedenza avevo già deciso di astenermi dal trattare l’argomento, dopo aver osservato già venerdì scorso come i media (specie i così detti giornaloni) avessero “mal-trattato” l’argomento, che chiaramente appariva deformato e snaturato.

Per carità, incidentalmente può sempre accadere, specie quando si è costretti a subire la spinta a commentare subito, e sotto pressione, senza aver avuto ancora il tempo o la possibilità di leggere il libro, o almeno di sfogliarlo. Invece no, condanna immediata e inappellabile, che a certi livelli richiederebbe almeno un’analisi superficiale, a volo d’uccello. Niente. Questa trappola di anticipi mediatici ha finito per coinvolgere anche rispettabilissimi alti personaggi della politica, solitamente molto equilibrati, e ciò a sua volta potrebbe aver spinto a far sbilanciare anzitempo anche stimatissimi e insospettabili altrettanto alti personaggi militari.

A questo punto posso anche svelare qualcosa di personale, che non ho ancora raccontato a nessuno. Lo stesso venerdì 18 agosto, appena letti sulle rassegne questi ritagli di stampa, ho avvertito odore di bruciato e sono andato a cercare il curriculum vitae del generale Vannacci. Ineccepibile, anzi, straordinario: racconta la storia di un soldato generoso, valoroso e lineare nel comportamento. Due nomi, una garanzia: Folgore e 9° Col Moschin… Mi sono lasciato prendere da un impulso immediato, ho preso carta e penna (anzi, schermo e tastiera) e ho scritto quanto segue all’Istituto geografico di Firenze. Era il primo pomeriggio, e non circolava ancora la notizia del probabile avvicendamento al Comando.

“Caro generale Vannacci, anche se non ci siamo conosciuti nel corso degli anni di servizio, mi permetta di esprimerle tutta la mia ammirazione per la sua figura di uomo e di soldato. Al di là delle penose polemiche che hanno accompagnato l’uscita di ‘Il mondo al contrario’ (il coraggio di dire la verità – o di ammetterla – evidentemente non è molto diffuso). Le voglio assicurare che siamo ancora in tanti, direi un’ampia maggioranza, a credere in quei valori che oggi da poche chiassose minoranze vengono rifiutati e derisi. Condivido parola per parola, riga per riga, ciò che lei ha detto e scritto. Farò del mio meglio per darne la massima diffusione. È da questa parte, non da altre, che verranno la salvezza e l’affermazione della nostra cara Italia. Una stretta di mano stretta e forte, da soldato a soldato”.

A dire la verità, quando mi è arrivata la proposta di Formiche.net non avevo ancora letto il libro riga per riga, ma solo stralci e una copia elettronica. Solo ieri mattina mi sono arrivate due copie cartacee, che, come promesso, farò circolare a iniziare da figli e nipoti.

Ieri mattina, poi, mi è venuto un dubbio atroce: si è parlato di autorizzazione e di sanzioni. Io ho lasciato il servizio attivo 23 anni fa, non è che nel frattempo è cambiato qualcosa? Ho voluto verificare. Il nuovo codice dell’Ordinamento della Difesa in effetti è datato 2010 e comprende ben 2272 articoli. La “Libertà di manifestazione del pensiero” per i militari è contemplata dall’articolo 1472, in vigore dal 27 marzo 2012, che così recita:

1. I militari possono liberamente pubblicare i loro scritti, tenere pubbliche conferenze e comunque manifestare pubblicamente il proprio pensiero, salvo che si tratti di argomenti a carattere riservato di interesse militare o di servizio, per i quali deve essere ottenuta l’autorizzazione.
2. Essi possono, inoltre, trattenere presso di sé, nei luoghi di servizio, qualsiasi libro, giornale o altra pubblicazione periodica.
3. Nei casi previsti dal presente articolo resta fermo il divieto di propaganda politica.

Ebbene, nel libro del generale Vannacci non c’è traccia di argomenti riservati di interesse militare o di propaganda politica. Ma allora, dove sta il problema? Se si tratta di esigenze di “politicamente corretto” nell’esprimere le proprie idee, questo lasciamolo ad altri. A noi militari interessano solo verità e correttezza nella comunicazione. Qualità che in questo libro certo non mancano.


formiche.net/2023/08/il-punto-…



Details


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#3 actions/DisplayAction.php(128): TelegramBridge->collectData()
#4 bridges/TelegramBridge.php(39): getSimpleHTMLDOM()
#5 lib/contents.php(368): getContents()
#6 lib/contents.php(144): _http_request()
#7 lib/contents.php(308)

Context


Query: action=display&bridge=Telegram&username=Miur_Social&format=Atom
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OS: Linux
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CHINA FILES SUMMER SCHOOL 2023 – CAPIRE IL SECOLO ASIATICO


CHINA FILES SUMMER SCHOOL 2023 – CAPIRE IL SECOLO ASIATICO school
Dopo il successo delle passate iniziative di formazione (qui l’ultimo ciclo di lezioni di maggio 2023) arriva una nuova edizione allargata della nostra Summer School per il 2023. Si svolge tra l’8 e il 29 settembre con 12 speaker di professioni e competenze diverse, andando a coprire vari temi riguardanti la Cina ma anche tanti altri paesi asiatici. Le iscrizioni aprono ora, con 20 posti disponibili. Ecco come partecipare

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Un anno fa l’omicidio di Mahsa Amini, ma nessuno si occupa più della rivolta delle donne in Iran


A ormai quasi un anno dalla morte a Teheran di Mahsa Amini, e dopo quasi un anno di cronache sul movimento di protesta che quel decesso in stato di custodia da parte della polizia morale ha generato, viene da chiedersi quanto l’opinione pubblica italiana

A ormai quasi un anno dalla morte a Teheran di Mahsa Amini, e dopo quasi un anno di cronache sul movimento di protesta che quel decesso in stato di custodia da parte della polizia morale ha generato, viene da chiedersi quanto l’opinione pubblica italiana abbia potuto realmente approfondire la propria conoscenza del presente dell’Iran, come anche della frastagliata natura dell’opposizione iraniana all’estero. Quante opportunità abbia cioè avuto tramite i resoconti dei media – resoconti in realtà intermittenti negli ultimi mesi, rispetto al periodo tra settembre e febbraio – di andare oltre il sistema binario della narrativa militante (il “regime” che reprime e la “rivoluzione” del movimento Donna Vita Libertà), per comprendere il sistema politico e sociale iraniano nelle sue tante stratificazioni e dinamiche interne. Termini con i quali qui si intendono i diversi gradi di opposizione e di consenso dentro al Paese verso l’ordinamento della Repubblica Islamica e dei gruppi oligarchici – religiosi, politici, economici e militari – che la governano.

Perché, più che dai desideri rivoluzionari della diaspora, proprio da questi diversi gradi di opposizione e di consenso, e dai loro slittamenti presenti e futuri, dipendono in ultima analisi gli esiti delle potenti istanze di cambiamento che il movimento delle donne e dei giovani – espressione a loro volta di più ampi gruppi sociali, più o meno attivi sulla scena pubblica – ha espresso e alimentato in questi mesi.

Chi scrive pensa che questo anno quasi compiuto di eventi e cronache iraniani sia anche stata un’occasione persa per conoscere più in profondità il Paese. Complici i meccanismi con cui l’informazione su questi eventi giungeva fino a noi, il semi-monopolio della gestione delle fonti da parte di alcuni media e gruppi più organizzati dell’opposizione all’estero (prevalentemente in lingua inglese e basati tra Usa e Gran Bretagna) e infine di una certa, colpevole superficialità di certo giornalismo italiano. Che spesso aderiva acriticamente a quelle stesse visioni militanti – la negazione stessa di un’informazione indipendente, cui non si chiede di schierarsi ma di dare una rappresentazione il più “terza” possibile delle forze in campo -, rinunciando a ulteriori approfondimenti. E rinunciando perfino a indagare la reale appartenenza dei proprio interlocutori, visto che l’opposizione all’estero è divisa tra diverse anime e gruppi, talvolta in acerrima contrapposizione fra loro.

Le diverse voci della diaspora, e il nodo della loro rappresentatività

Questi ultimi mesi, per esempio, hanno registrato la mancata creazione di un’ampia piattaforma politica unitaria da parte della Alleanza per la Democrazia e la libertà in Iran, cui partecipavano figure riconosciute e influenti come la giornalista Masih Alinejad, lo scrittore irano-canadese Hamed Esmaeilion (rappresentante dei familiari delle vittime dell’aereo civile abbattuto per colpevole errore dalla contraerea dei Pasdaran nel gennaio 2020), la premio Nobel Shirin Ebadi e il figlio dell’ultimo scià, Reza Pahlavi, dal 1979 residente negli Usa. Il venir meno di questo tentativo, nonostante il varo della cosiddetta “Carta di Mahsa” alla Georgetown University il 9 marzo scorso, è coinciso da una parte con un autonomo affermarsi del movimento monarchico guidato da Reza Pahlavi (che sulla rete conta quasi mezzo milione di adesioni a una petizione in suo sostegno), dall’altra con un ulteriore intensificarsi dell’azione politica del Consiglio Nazionale della Resistenza Iraniana: organizzazione che si autodefinisce come una coalizione di forze democratiche fondate a Teheran nel 1981 e la cui presidente Maryam Rajavi è la leader dei Mojahedin del Popolo, riconosciuti anche nelle sigle Mek, Pmoi e Mko.

Chi scrive non è in grado di quantificare il radicamento effettivo di quest’ultima organizzazione in Iran e nella diaspora, e c’è da chiedersi chi davvero lo sia, vista in particolare la clandestinità con cui opera in Iran. Ma è certo dovere di chiunque ne parli ricordare che, oltre a essere l’organizzazione più strutturata dell’opposizione, si tratta di una realtà molto controversa tra gli iraniani: e questo in particolare per il fatto di avere combattuto a fianco di Saddam Hussein nel lungo conflitto tra Iran e Iraq degli anni Ottanta. Fra i tanti altri fatti che definiscono il Mek vi è quello che migliaia di suoi militanti furono vittima delle esecuzioni arbitrarie e di massa di prigionieri politici disposte dai cosiddetti “comitati della morte” nel 1988, per ordine dell’Ayatollah Khomeini – e alla quale partecipò anche l’attuale presidente Ibrahim Raisi, allora giovane magistrato. Che la Repubblica Islamica considera il gruppo un’organizzazione terroristica, responsabile di numerosi attentati negli anni post-rivoluzione e accusata da Teheran di aver ucciso a sua volta migliaia di iraniani. Che anche la Ue e gli Usa li avevano inseriti nelle proprie liste delle organizzazioni terroristiche rispettivamente fino a 2009 e al 2012; che ad oggi il Consiglio nazionale della resistenza iraniana ha il supporto di esponenti conservatori Usa come Mike Pence e John Bolton, e una grande capacità di influenza nei parlamenti europei, Italia compresa.

La visita di Maryam Rajavi nel luglio scorso a Roma – su iniziativa del presidente della Commissione per le politica dell’Unione Europea del Senato Giulio Terzi di Sant’Agata (FdI) e del segretario generale della Fondazione Einaudi, Andrea Cangini – è stata infatti accompagnata dall’adesione di 307 parlamentari italiani, anche dell’opposizione, al suo programma per un nuovo Iran post-Repubblica Islamica. Per quella visita, lo ricordiamo, il governo iraniano ha convocato il nostro ambasciatore a Teheran, Giuseppe Perrone. Ma che il Mek sia anche un elemento divisivo tra le forze dell’opposizione iraniana è riconosciuto dallo stesso Cangini, per il quale, come scriveva il 14 luglio, il conflitto interno alle opposizioni “in effetti, c’è. Ed è un conflitto violento. In molti non credono alla conversione democratica dei mujahidin della signora Rajavi, in molti ne ricordano il fanatismo e le violenze ai tempi di Khomeini e dopo. Ogni dubbio è legittimo”.

Ecco, dubitare è legittimo e dubitare si dovrebbe sempre. Soprattutto se si cerca un’informazione a tutto campo, che guardi alla complessità e non alle semplificazioni, che abbia fonti sempre verificate e dichiarate, a meno che non siano giustificatamente riservate. Sono i requisiti base di un buon giornalismo, che non sempre si riesce a realizzare ma verso il quale si dovrebbe sempre tendere. Ma che talvolta è mancato in quest’ultimo anno di cronache iraniane, accompagnate spesso da un clima pesante e conflittuale anche ai danni di alcuni esponenti dei media, accusati da certi simpatizzanti dell’opposizione (in particolare proprio del Mek, ma non solo) di non essere abbastanza “partigiani” come loro.

Fra meno di un mese sarà il primo anniversario della morte di Mahsa Amini. Le donne, i giovani, gli attivisti e i giornalisti iraniani continuano in varie forme la loro lotta per la libertà e i diritti di tutti. Speriamo che anche le nostre cronache, e gli atteggiamenti della diaspora in Italia, siano sempre all’altezza di questi stessi valori.

Luciana Borsatti su Il Foglio

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BRICS, il vertice più atteso al via in Sudafrica: obiettivo cambiare gli equilibri globali | L'Indipendente

«Prenderà il via domani a Johannesburg, in Sudafrica, fino al 24 agosto il quindicesimo vertice dei BRICS, attesissimo in quanto considerato uno dei più importanti dalla fondazione del gruppo che si è dato come obiettivo principale quello di porre la basi per instaurare un nuovo ordine internazionale multipolare più equo di quello “unipolare” attuale, in grado di contrastare e sfidare l’egemonia occidentale.»

lindipendente.online/2023/08/2…



#NotiziePerLaScuola

È disponibile il nuovo numero della newsletter del Ministero dell’Istruzione e del Merito.

🔸 Educazione motoria, bandito il concorso per l’assunzione di 1.



Il Massacro di Nanchino: Un Capitolo Oscuro della Storia


Introduzione La Cina e il Giappone, due nazioni dell’Estremo Oriente, sono state plasmate nel corso dei secoli da influenze culturali, dinamiche sociali e avvenimenti politici molto diversi. Tuttavia, nel corso della storia, il destino diContinue reading

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Lavoro, casa, auto: per i giovani il sogno cinese è un miraggio


Lavoro, casa, auto: per i giovani il sogno cinese è un miraggio 8864363
Sui social montano le critiche al Partito comunista: tra gli under 24 la disoccupazione sarebbe al 46,5%. E allora il governo smette di comunicare i dati. Da «sdraiati» a «figli a tempo pieno»: le nuove generazioni reagiscono così alla disillusione No data. No problem. La Cina ha deciso di sospendere la pubblicazione dei dati sulla disoccupazione giovanile nel Paese dopo ...

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Cina, il pericolo è un popolo disilluso


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Aumentano le spese sanitarie, quelle per l'educazione, ma diminuisce la sensazione di poter programmare il proprio futuro. Ed è questo che può mettere in difficoltà sia l'economia cinese, sia la sua guida politica

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Biden "arruola” l’Asia? E Xi va in Sudafrica puntando al sud globale


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La Cina risponde al summit di Camp David tra Usa, Giappone e Corea del sud. Lunedì Xi Jinping in Africa per il summit dei Brics. E intanto lancia nuove esercitazioni militari sullo Stretto di Taiwan, in risposta al transito americano del vicepresidente Lai

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L'impressionante espansione della mafia in Veneto svelata dalle carte dei giudici | L'Indipendente

«Indicibili intrecci tra imprenditoria e criminalità organizzata, crescita esponenziale dell’economia sommersa, ma anche intimidazioni mafiose ai danni di giornalisti e sindacalisti a colpi di arma da fuoco, in cui ad agire da burattinai sono uomini d’affari in giacca e cravatta: c’è tutto questo nella nuova maxi-inchiesta contro la ‘ndrangheta della Direzione distrettuale antimafia di Venezia, che ha puntato la sua lente di ingrandimento sul pericoloso binomio tra mafia e colletti bianchi in un’area dello stivale che, almeno a detta delle autorità, negli ultimi decenni sembrava essersi difesa piuttosto bene dall’opera di “colonizzazione” messa a punto dal crimine organizzato nel Nord Italia.»

lindipendente.online/2023/08/1…




Evergrande, Country Garden, Zhongrong: i nomi della crisi immobiliare cinese


Evergrande, Country Garden, Zhongrong: i nomi della crisi immobiliare cinese evergrande
La richiesta di bancarotta protetta da parte di Evergrande arriva dopo due anni di difficoltà, ma a preoccupare Pechino potrebbe essere più Country Garden e il riflesso sul sistema bancario ombra e dei fondi fiduciari

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PODCAST SUDAN. Onu: «La situazione sta andando fuori controllo»


Le Nazioni unite lanciano l'allarme quattro mesi dopo l'inizio nel paese africano del conflitto tra il capo dell'Esercito Abdel Fattah Al Burhan e il leader miliziano Hamdan Dagalo. La Cnn rivela massacro di centinaia di civili avvenuto ad Al Geneina L'a

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Pagine Esteri, 18 agosto 2023. Più di 1 milione di persone sono fuggite dal Sudan e chi è rimasto nel paese non ha più cibo a sufficienza. 1.017.449 persone hanno raggiunto i paesi vicini già alle prese con l’impatto di conflitti precedenti.

Della guerra tra l’Esercito e le milizie delle Rsf, entrata nel suo quinto mese, e della situazione per i civili sudanesi abbiamo parlato con Stefano Rebora, direttore dell’associazione “Music for Peace” in partenza per il Sudan con aiuti umanitari e materiali per gli ospedali.
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Veloce, stealth e green. Ecco il nuovo aereo da trasporto per l’Usaf


Un nuovo aereo da trasporto per la Forza aerea statunitense più veloce e, soprattutto, più green. È questo il cuore del progetto che la US Air force ha affidato a JetZero, una start up innovativa specializzata in aerei più efficienti in termini di carbura

Un nuovo aereo da trasporto per la Forza aerea statunitense più veloce e, soprattutto, più green. È questo il cuore del progetto che la US Air force ha affidato a JetZero, una start up innovativa specializzata in aerei più efficienti in termini di carburante, in partnership con Northrop Grumman, per la realizzazione di un prototipo di velivolo per la flotta da trasporto strategico della forza armata a stelle e strisce. È previsto che il primo prototipo prenderà il volo nel 2027, e se i test avranno esito positivo, il nuovo aereo potrebbe rimpiazzare gli attuali C-5 e C-17 da trasporto e l’aerocisterna KC-46.

Il Z-5, questo il nome dato al nuovo aereo, vedrà lo sviluppo di un nuovo tipo di fusoliera, più sottile, che integrerà tra loro il corpo del velivolo con le ali, un design che ricorda maggiormente il bombardiere stealth B-2 Spirit rispetto ai più classici aerei da trasporto come i Boeing 747. Il nuovo design, in pratica, appiattisce la fusoliera facendo assomigliare l’aereo a un grosso triangolo, una forma più aerodinamica che permetterà al velivolo di essere più efficiente nel proprio consumo di carburante e meno visibile ai radar. La struttura più leggera, inoltre, sarà il 50% più efficiente rispetto ai modelli tradizionali, permettendo al Z-5 di volare al doppio del raggio degli attuali sistemi in servizio. Un obiettivo che, se raggiunto, permetterebbe all’Aeronautica statunitense di ridurre sostanzialmente una delle sue maggiori voci di spesa: quella per il carburante. L’Usaf, infatti, consuma ogni anno miliardi di galloni di carburante. Inoltre, il nuovo modello permetterebbe anche di ridurre l’impronta ambientale della forza armata.

Il progetto fa parte di una iniziativa guidata dall’Unità per l’innovazione della Difesa del Pentagono, e riceverà un finanziamento di quaranta milioni di dollari da parte del governo nell’anno fiscale 2023, mentre le Forze armate metteranno sul progetto ulteriori 235 milioni fino al 2026, oltre alla possibilità di aprire anche a investitori privati. Se il prototipo dovesse diventare un programma dell’Usaf a tutti gli effetti, la Forza armata sarebbe pronta a costruire simultaneamente alla produzione dei velivoli la supply chain e le altre necessità logistiche che permettano una transizione il più rapida possibile del nuovo velivolo nella linea operativa. Naturalmente, per l’Usaf il programma non sarà l’unica soluzione per la prossima generazione di programmi per il trasporto strategico e il rifornimento in volo, ma il progetto è strutturato per aprire nuove prospettive sull’efficienza energetica dei velivoli che gli aerei Usa del prossimo futuro dovranno necessariamente possedere.

Lo studio di questo nuovo sistema risponde inoltre alla necessità della Difesa statunitense di mantenersi sempre in vantaggio rispetto alla corsa tecnologica cinese, mettendosi nelle condizioni di essere in grado di manovrare in vantaggio rispetto alle forze di Pechino in caso di conflitto. Il focus del Pentagono nella regione dell’Indo-Pacifico, infatti, richiede il possesso di sistemi in grado di viaggiare più a lungo, più lontano e più veloce, mantenendo al contempo i consumi i più contenuti possibile. I cargo e i tanker dovranno volare sempre più spesso e in cieli sempre più contesi, ed è per questo che la Difesa e l’industria sono chiamate a reimmaginare i velivoli strategici. L’efficienza dei consumi permette di effettuare più voli, la maggiore velocità di raggiungere prima le proprie destinazioni, e la maggiore flessibilità risultante potrà darà un vantaggio significativo alle forze combattenti nei campi di battaglia del futuro.

Foto: Usaf


formiche.net/2023/08/veloce-st…



Le nozze strategiche tra Seul e Tokyo le celebra Biden


Le nozze strategiche tra Seul e Tokyo le celebra Biden 8818671
A Camp David vertice tra Stati uniti, Corea del Sud e Giappone. Sullo sfondo il timore del crescente allineamento tra Cina e Russia. I tre leader annunceranno esercitazioni militari, linea telefonica diretta e cooperazione su lotta alla coercizione economica e cybersicurezza

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23 anni di trasferimenti illegali di dati a causa di DPA inattive e nuovi accordi UE-USA Una nuova analisi del Noyb mostra come la combinazione di DPA inattive e di un nuovo accordo della Commissione europea abbia portato a 23 anni di violazioni della privacy 3 years of 101 complaints


noyb.eu/it/23-years-illegal-da…



Israele-Arabia saudita. Normalizzazione dei rapporti resta lontana


Riyadh vuole passi israeliani verso la fine dell'occupazione militare dei Territori palestinesi. Sul tavolo anche la cooperazione con gli Stati uniti sul nucleare civile. Tel Aviv contraria L'articolo Israele-Arabia saudita. Normalizzazione dei rapporti

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di Michele Giorgio

(questo articolo è stato pubblicato in origine dal quotidiano Il Manifesto)

Pagine Esteri, 18 agosto 2023 – Israele sapeva che l’Arabia saudita intendeva nominare un ambasciatore presso i palestinesi. «Lo sapevamo ma i sauditi non si sono coordinati con noi e non erano tenuti a farlo» ha precisato il ministro degli esteri Eli Cohen cercando di sminuire la portata della decisione presa dalla monarchia Saud di nominare l’ambasciatore ad Amman, Nayef bin Bandar Al Sudairi, anche ambasciatore non residente e console generale a Gerusalemme Est. La nomina, ha aggiunto Cohen in una intervista radiofonica, è avvenuta «sullo sfondo dell’avanzamento dei colloqui tra Usa e Arabia saudita riguardo la normalizzazione dei rapporti con Israele». I sauditi – ha sostenuto il ministro israeliano – «volevano mandare un messaggio ai palestinesi per far capire che non li abbandoneranno». In parte è come spiega Cohen. Però la mossa saudita è ben più complessa, proprio perché si inserisce nella lunga trattativa avviata dalla Amministrazione Biden desiderosa di pareggiare, con la normalizzazione tra monarchia Saud e Stato ebraico, il risultato conseguito da Donald Trump che tre anni fa di fatto impose a quattro paesi arabi – Emirati, Bahrain, Marocco e Sudan – di avviare rapporti ufficiali con Israele nel quadro degli Accordi di Abramo.

Il fatto che Riyadh abbia nominato Al Sudairi a Gerusalemme non significa che ci sarà un consolato saudita nella zona araba della città (occupata da Israele nel 1967). «Non permetteremo l’apertura di alcuna rappresentanza diplomatica (rivolta ai palestinesi) a Gerusalemme», ha detto perentorio Cohen che si è poi affannato a smentire che «la questione palestinese sia centrale nei colloqui tra Usa e Arabia saudita». Invece è importante, anche se non quanto i rapporti militari e la cooperazione nel nucleare civile che Riyadh intende raggiungere con Washington in cambio della normalizzazione con Israele. I Saud, che si proclamano i guardiani della Mecca e di Medina, non intendono passare alla storia per aver lasciato a Israele il controllo di tutta Gerusalemme, con la Moschea di Al Aqsa (terzo luogo santo dell’Islam), e dimenticato i diritti dei palestinesi sulla zona araba (Est) della città santa.

Forse la nomina dell’ambasciatore era stata decisa nei mesi scorsi. Non è però passato inosservato che sia stata comunicata pochi giorni dopo le preoccupazioni espresse dal ministro degli esteri palestinese Riyad al Maliki a proposito della normalizzazione con Israele. I palestinesi temono che rapporti ufficiali tra sauditi e israeliani indeboliscano ulteriormente il già debole sostegno arabo alla loro causa e minare le speranze di uno Stato indipendente. Come stiano andando le cose al tavolo dei negoziati non è chiaro. Le notizie fatte filtrare dalle due parti attraverso fonti anonime ai media, dal New York Times al Wall Street Journal (Wsj), dicono che i sauditi si attendono passi concreti di Israele per favorire la piena autodeterminazione di milioni di palestinesi sotto occupazione militare.

È difficile immaginare che il governo di estrema destra in carica in Israele possa compiere quei passi che neppure il laburista Yitzhak Rabin accettò di muovere trent’anni fa firmando gli Accordi di Oslo con Yasser Arafat. Quando giorni fa la Nbs gli ha chiesto delle concessioni ai palestinesi come parte di un accordo con i sauditi, il premier Netanyahu ha risposto che «I palestinesi dovrebbero avere il potere di governarsi e nessuno dei poteri per minacciarci». Nel linguaggio della destra israeliana queste parole escludono la sovranità palestinese perché uno Stato indipendente per Netanyahu e i suoi alleati minaccerebbe la sicurezza di Israele.

Tutto lascia pensare che la normalizzazione tra Arabia saudita e Israele sia ancora lontana anche se il Wsj la prevedeva giorni fa entro un anno. Riyadh vuole l’aiuto di Washington per sviluppare un programma civile di arricchimento dell’uranio e sistemi di difesa missilistica Thaad. Lo ha ripetuto il 27 luglio al Consigliere per la sicurezza nazionale Jake Sullivan che ha incontrato il principe ereditario Mohammed bin Salman (MbS). Un programma nucleare civile che Netanyahu e i suoi ministri e anche il capo dell’opposizione Yair Lapid respingono. Israele vuole che l’Amministrazione Biden offra ai sauditi una protezione militare rafforzata. Da parte sua MbS conferma che Israele è un «alleato potenziale» ma ribadisce che per Riyadh l’iniziativa araba del 2002 – pace in cambio del ritiro israeliano dai Territori palestinesi occupati – resta la chiave per la piena normalizzazione israelo-saudita. Con un governo israeliano ultranazionalista che non ha annesso a Israele la Cisgiordania solo per l’opposizione degli Usa, anche una breve moratoria sulla costruzione di insediamenti coloniali sul territorio palestinese manderebbe in frantumi la maggioranza. E Netanyahu sotto processo non può permetterselo. Pagine Esteri

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Cultura e impegno sociale chiudono l’estate della Pigna. Torna Scambi Festival: laboratori e spettacoli dal 24 al 27 agosto nel centro storico

@Etica Digitale (Feddit)

Tra gli eventi di #ScambiFestival segnaliamo il laboratorio “Direzione FediVerso!” in collaborazione con il collettivo @Etica Digitale e #Slimp (Software Libero #Imperia): saranno lanciate spedizioni di mappatura del quartiere su #OpenStreetMap e alla scoperta del #Fediverso, l’universo dei social network alternativi.

cc @Tommi @Scambi Festival

Qui l'articolo completo

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Dai detriti ai satelliti spia. Così si monitorano le minacce in orbita


Fin dai primi istanti dell’invasione russa dell’Ucraina, le immagini satellitari fornite dalle compagnie private si sono rivelate un asset strategico fondamentale, capaci di seguire i movimenti delle unità militari sulla superficie, dalle colonne corazzat

Fin dai primi istanti dell’invasione russa dell’Ucraina, le immagini satellitari fornite dalle compagnie private si sono rivelate un asset strategico fondamentale, capaci di seguire i movimenti delle unità militari sulla superficie, dalle colonne corazzate agli incrociatori in mare. L’utilizzo dei satelliti nel comparto militare non è nuovo, e anzi lo sviluppo stesso degli oggetti artificiali in orbita ha seguito la necessità strategica di poter osservare in qualunque momento le mosse dell’avversario.

Oggi, gli occhi di satelliti potrebbero non essere più rivolti solo alla superficie terrestre, ma guardare anche a quanto accade oltre l’atmosfera, nelle orbite intorno a loro. E visto che i satelliti che scattano foto di oggetti nello spazio sono gli stessi a cui oggi ci affidiamo per riprendere le immagini della Terra, è previsto nel breve periodo un aumento consistente dei lanci di questo tipo di piattaforme, in modo da coprire e monitorare sia il suolo che le orbite. Una necessità, visto il numero sempre più elevato di oggetti nello spazio, dai detriti spaziali ai satelliti capaci di interferire con le piattaforme in orbita.

Il Pentagono ha da tempo hanno lanciato l’allarme riguardo a satelliti dal comportamento anomalo, a partire dal satellite russo denominato “Luch” che nel 2014 aveva avvicinato e stazionato per molte settimane vicino al satellite Usa Intelsat 901. Mosca ha poi lanciato nel corso degli anni altri sistemi ritenuti in grado di agganciare in maniera ostile le piattaforme extra-atmosferiche. Essere in grado di osservare in tempo quasi-reale le orbite, dunque, significa anche essere in grado di prevenire questo tipo di minacce.

A guidare questo cambio di paradigma c’è la compagnia aerospaziale americana Maxar Technologies, tra le protagoniste della sorveglianza spaziale delle prime fasi dell’invasione russa. La società, con sede in Colorado, si occupa di comunicazioni satellitari, e ha dato grande visibilità al proprio monitoraggio dei movimenti russi. Adesso, la società, oltre a fornire immagini delle orbite all’amministrazione statunitense, si sta proponendo di diffondere questa capacità anche al settore privato. Le nuove compagnie della Space economy, infatti, potrebbero beneficiare di questo tipo di informazione sia per monitorare i propri asset già in orbita, sia nelle delicate fasi di lancio di vettori, evitando potenziali collisioni con detriti oltre l’atmosfera.

Attualmente, l’industria dell’analisi delle immagini geospaziali vale circa nove miliardi di dollari, e secondo le stime è destinata a crescere fino a 37 miliardi di dollari nei prossimi quattro anni. Secondo la Us Space force, il mercato della Space situational awareness, la capacità, cioè, di tenere sotto controllo i movimenti di oggetti nello spazio, varrà da solo quasi due miliardi di dollari entro il 2028.

Non è un caso se la stessa Space force ha di recente affidato a Northrop Grumman un contratto per la realizzazione di due siti radar per l’osservazione dello spazio profondo (Deep space advanced radar capability – Darc), parte dello sforzo per potenziare “le capacità di awareness nel dominio spaziale in grado di prevenire le aggressioni”, come spiegato dal Comando sistemi spaziali della Ussf. Lo scopo dei siti Darc, infatti, è proprio quello di tracciare i satelliti attivi e i detriti fino all’orbita geosincrona. Un primo sito è già in fase di sviluppo, con un costo di 341 milioni di dollari, nella regione dell’Indo-Pacifico. I nuovi due Darc dovrebbero essere realizzati in Europa e negli Stati Uniti continentali.


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Francesco Cossiga e la sua attenzione alla Sicurezza. Scrive il gen. Tricarico


Sintetizzare in uno scritto – per di più con il capestro delle dimensioni mediatiche – la figura e la personalità di Francesco Cossiga è semplicemente impossibile. Ho però la fortuna di aver vissuto in presa diretta una delle sue “creature”, uno degli int

Sintetizzare in uno scritto – per di più con il capestro delle dimensioni mediatiche – la figura e la personalità di Francesco Cossiga è semplicemente impossibile.

Ho però la fortuna di aver vissuto in presa diretta una delle sue “creature”, uno degli interessi ricorrenti nel suo lungo radicamento nella politica e nelle istituzioni: quello della Sicurezza, quello di un suo specifico cruccio che lo portava ad approfondire, al di là delle sue precipue attribuzioni, ogni tema legato alla sicurezza collettiva, anche nelle più ampie dimensioni istituzionali.

Ero ancora in servizio attivo quando il presidente Cossiga mi rese partecipe delle sue preoccupazioni sulla procedura, da poco resa operativa anche in Italia, mediante la quale il governo – Cossiga era convinto che un generale dell’Aeronautica sarebbe rimasto con il cerino in mano – era autorizzato a dare l’ordine di fuoco su un velivolo civile con terrorista a bordo. Su questa fattispecie di evenienza egli era convinto che alla prima occasione si sarebbe aperto uno scenario di impedimenti giuridici insuperabili che – secondo lui – postulavano una riflessione più profonda e una attenta revisione della norma appena varata.

Qualche anno più tardi il suo “pallino” per la sicurezza avrebbe fatto un altro centro con la nascita di Icsa, la Fondazione da lui voluta, concepita, avviata e indirizzata in maniera concreta, operativa e attuale, semmai qualcuno avesse nutrito dubbi sulla possibile nascita di uno dei tanti organismi di facciata di cui è ricco il panorama italiano.

Ricordo con nettezza quel pomeriggio di novembre 2009 all’hotel Cicerone in Prati quando, all’atto dell’insediamento, gli organi della Fondazione, freschi di ratifica notarile, furono chiamati da Cossiga – presidente onorario – a esprimersi, uno ad uno in un giro di tavolo, sulla bozza della legge di riforma dei servizi di Informazione. Dal presidente Marco Minniti a tutti noi – ed eravamo tanti e piuttosto familiari con la materia – fummo puntualmente ingaggiati in una discussione di merito nella quale, come al solito, ne sapeva più di tutti.

Rimase con noi come presidente onorario per poco più di un anno. Poi si lasciò andare, non lottò più, lasciandoci un’eredità che tuttora facciamo di tutto per onorare con il nostro impegno quotidiano e nel suo ricordo riconoscente e devoto.


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Se paghi salti la fila al pronto soccorso: la sanità neoliberista arriva a Bergamo | L'Indipendente

"Quello dei pronto soccorsi a pagamento rappresenta uno dei risultati più evidenti del processo di smantellamento del Sistema sanitario nazionale e si può considerare l’anticipazione della sanità del futuro nel suo complesso se non ci sarà un’inversione di tendenza in quest’ambito. Si tratta della vittoria del neoliberismo e del business sullo stato sociale e sulla cura e i servizi ai cittadini."

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