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Da abruzzese sono amareggiato. L'assassinio dell'orsa Amarena non ha alcuna giustificazione. In queste ore sui social si esprime la giusta indignazione e rabbia


Treni, binari e stazioni che spesso sono associati a vacanze, viaggi, lavoro e paesaggi che scorrono sotto i nostri occhi, la notte scorsa si sono trasformati i


Dall’1 al 3 settembre 2023 si terrà nuovamente a Cernobbio (CO) nel lussuosissimo hotel Villa d’Este l’edizione 2023 del Forum Ambrosetti, la periodica r


Da abruzzese sono amareggiato. L'assassinio dell'orsa Amarena non ha alcuna giustificazione. In queste ore sui social si esprime la giusta indignazione e ra


ECUADOR. Detenuti prendono in ostaggio 57 agenti di sicurezza. Esplodono 4 autobombe


Pagine Esteri, 1 settembre 2023. Alcuni detenuti di sei istituti penitenziari dell’Ecuador hanno catturato 57 agenti di sicurezza, poliziotti e guardie carcerarie. L’azione è stata accompagnata dallo scoppio di almeno 4 autobombe nei pressi degli uffici d

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Pagine Esteri, 1 settembre 2023. Alcuni detenuti di sei istituti penitenziari dell’Ecuador hanno catturato 57 agenti di sicurezza, poliziotti e guardie carcerarie. L’azione è stata accompagnata dallo scoppio di almeno 4 autobombe nei pressi degli uffici della SNAI, l’agenzia che gestisce le carceri nel paese, e dinanzi alcune prigioni.

Le autobombe sono esplose ieri, giovedì 31 agosto, nella capitale Quito e in una provincia vicino al confine peruviano. Non ci sono stati feriti e, secondo quanto comunicato dalle fonti governative, anche i 57 agenti di polizia nelle mani dei detenuti sono in buone condizioni.

La situazione all’interno delle carceri in Ecuador è da mesi fuori controllo. Le uccisioni dovute a regolamenti di conti tra bande criminali rivali sono all’ordine del giorno. Lo spaccio di droga negli istituti è un’attività remunerativa per le gang, che si affrontano per controllarne i traffici.

Solo tre settimane fa è stato brutalmente assassinato il candidato alle presidenziali, Fernando Villaviciencio, che aveva annunciato, in caso di vittoria alle elezioni, una politica di dura repressione all’interno delle carceri.

Secondo alcuni organi di stampa a scatenare l’ultima delle numerose rivolte sarebbe stato proprio il trasferimento di alcuni detenuti, tra cui quelli sospettati di aver compiuto l’assassinio di Villaviciencio.

Alcune misure restrittive erano state prese nelle ultime settimane e in questi giorni il Paese è scosso dalla violenta reazione dei gruppi criminali.

Eliminato il dicastero dedicato, sono stati diminuiti i fondi e il personale. Il 40% dei detenuti non ha terminato i 3 gradi di giudizio e la carcerazione preventiva è diventata ordinaria. I detenuti vivono spesso in condizioni disumane e la repressione non procede di pari passo con politiche di prevenzione. Quello che accade oggi nelle carceri è un riflesso delle politiche neoliberiste portate avanti in Ecuador.

Lo stato di emergenza è stato più volte proclamato. Nell’ottobre del 2022 in un regolamento di conti tra bande rivali sono rimaste uccise più di 200 persone e 80 ferite.

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    Diego Foresti* Nella battaglia contro la ripresa delle trivellazioni in alto Adriatico, Rifondazione Comunista e Unione Popolare della pr


La decisione di Apple di eliminare il suo strumento di scansione fotografica CSAM suscita nuove polemiche (e nuove riflessioni sul pessimo chatcontrol)

@Privacy Pride

Il gruppo per la sicurezza dei bambini Heat Initiative prevede di lanciare una campagna per sollecitare Apple sulla scansione di materiale pedopornografico e sulla segnalazione degli utenti. Giovedì la società ha rilasciato una risposta molto dettagliata

Apple ha risposto alla Heat Initiative, delineando le ragioni per cui ha abbandonato lo sviluppo della funzionalità di scansione CSAM di iCloud e si è invece concentrata su una serie di strumenti e risorse sul dispositivo per gli utenti, noti collettivamente come funzionalità di sicurezza della comunicazione. La risposta dell'azienda alla Heat Initiative, che Apple ha condiviso con WIRED questa mattina, offre uno sguardo raro non solo alla sua logica per concentrarsi sulla sicurezza delle comunicazioni, ma alle sue visioni più ampie sulla creazione di meccanismi per eludere le protezioni della privacy degli utenti, come la crittografia, per monitorare dati. Questa posizione è rilevante per il dibattito sulla crittografia più in generale, soprattutto perché paesi come il Regno Unito valutano l’approvazione di leggi che imporrebbero alle aziende tecnologiche di essere in grado di accedere ai dati degli utenti per conformarsi alle richieste delle forze dell’ordine.

"Il materiale pedopornografico è ripugnante e ci impegniamo a spezzare la catena di coercizione e influenza che rende i bambini suscettibili ad esso",

ha scritto Erik Neuenschwander, direttore della privacy degli utenti e della sicurezza dei bambini di Apple, nella risposta dell'azienda a Heat Initiative. Ha aggiunto, tuttavia, che dopo aver collaborato con una serie di ricercatori sulla privacy e sulla sicurezza, gruppi per i diritti digitali e sostenitori della sicurezza dei bambini, la società ha concluso che non poteva procedere con lo sviluppo di un meccanismo di scansione CSAM, nemmeno uno costruito appositamente per preservare la #privacy. .


L'articolo completo è su Wired

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AMBIENTE. Dall’Africa solo il 3% delle emissioni globali ma continente vittima eventi climatici estremi


Sul tavolo del vertice di Nairobi della prossima settimana ci sono i finanziamenti che i paesi africani chiedono per avviare azioni concrete contro le cause del cambiamento climatico. Ma non mancano le critiche L'articolo AMBIENTE. Dall’Africa solo il 3%

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della redazione

(foto: inondazioni in Ghana, di Nana Darkoaa)

Pagine Esteri, 1° settembre 2023 – Come finanziare le priorità ambientali dell’Africa, sarà al centro del dibattito al primo vertice sul clima del continente la prossima settimana mentre gli attivisti si oppongono ai piani di espansione dei cosiddetti mercati del carbonio.

I paesi africani contribuiscono solo il 3% alle emissioni globali di carbonio ma sono sempre più esposti all’impatto di condizioni meteorologiche estreme causate dai cambiamenti climatici, inclusa la peggiore siccità degli ultimi decenni nel Corno d’Africa. Un rapporto diffuso due giorni fa dal Fondo Monetario Internazionale sottolinea che l’impatto del cambiamento climatico aggrava la tensione negli Stati “fragili” e colpiti dalla guerra, con la conseguenza di un aumento del 10% dei tassi di mortalità e una contrazione significativa del Pil. Sono 39 gli Stati categorizzati come “fragili” dalla Banca Mondiale, ben 21 sono in Africa. Tra questi Mali, Repubblica Centrafricana, Sudan, Somalia. Dal rapporto dell’FMI emerge che gli eventi climatici estremi non scatenano le guerre ma aggravano in questi paesi le tensioni già esistenti, oltre a carestia e povertà.

Nonostante ciò, l’Africa ha ricevuto solo il 12% dei finanziamenti internazionali necessari per far fronte agli impatti climatici.

“Vogliamo iniziare a cambiare il discorso partendo dall’Africa vittima della fame, della carestia e delle inondazioni”, ha detto alla Reuters il ministro dell’Ambiente keniano Soipan Tuya prima del vertice che inizierà lunedì a Nairobi. “La nuova narrazione… dovrebbe essere un’Africa disposta e pronta ad attrarre capitali tempestivi, equi e su larga scala per guidare il mondo nella lotta al cambiamento climatico”.

Si prevede che migliaia di delegati discuteranno le soluzioni più in vista del vertice delle Nazioni Unite sul clima il mese prossimo a New York e del summit COP28 negli Emirati Arabi Uniti alla fine di novembre.

Gli organizzatori del vertice a Nairobi sono ottimisti, prevedono si concluderanno accordi per centinaia di milioni di dollari. In cima alla lista delle opzioni di finanziamento, ci sono i crediti di carbonio che consentono agli inquinatori di compensare le emissioni finanziando attività tra cui la piantumazione di alberi e la produzione di energia rinnovabile.

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Somaliland

I governi africani hanno mostrato interesse per la conversione del debito. All’inizio di questo mese il Gabon – teatro qualche giorno fa di un colpo di stato – ha completato il primo accordo di questo tipo dell’Africa, riacquistando nominalmente 500 milioni di dollari del suo debito internazionale ed emettendo un’obbligazione ad ammortamento ecologica di pari importo. La transazione ha lo scopo di produrre risparmi che possono essere utilizzati per finanziare la conservazione.

Tuttavia, l’approccio del vertice ai finanziamenti per il clima ha attirato critiche. Gruppi di attivisti accusano gli organizzatori in una lettera aperta di portare avanti le priorità occidentali a spese dell’Africa.

“Questi approcci incoraggeranno le nazioni ricche e le grandi aziende a continuare a inquinare il mondo, a scapito dell’Africa”, affermano i gruppi nel loro documento. Amos Wemanya, consigliere senior di Power Shift Africa, uno dei firmatari, ha affermato che i finanziamenti dovrebbero provenire dai paesi più ricchi che finora hanno rispettato solo in parte gli impegni che avevano preso. Pagine Esteri

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ANALISI. La causa palestinese frena ancora la normalizzazione tra Israele e Stati arabi


Secondo l'analista egiziano Mohammed Abulfadi, la ministra degli esteri libica Mangoush ha indirettamente inviato un messaggio ai leader arabi: coloro che si avvicinano a Israele ignorando la questione palestinese subiranno gravi conseguenze politiche. L

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di Mohammed Abulfadi – Al-Ahram

(foto EFE via ZUMA Press/APAIAMGES)

Pagine Esteri, 1 settembre 2023 – Le conseguenze dell’incontro recente tra il ministro degli Esteri libico Najla al-Mangoush e il suo omologo israeliano Eli Cohen a Roma confermano che la causa palestinese non verrà mai cancellata dalla coscienza araba e che la costante ricerca di una più ampia normalizzazione tra Israele e vari Stati arabi può facilmente sgretolarsi se non vengono rispettati importanti principi storici.

La normalizzazione per la normalizzazione o come mezzo per ottenere guadagni politici è una formula artificiosa che cerca di estinguere l’ultimo frammento di vita dalla causa palestinese e di impegnarsi direttamente negli interessi bilaterali.

Ci sono ancora leader arabi che credono che Israele rappresenti il cuore e la mente del mondo occidentale e che possa offrire vari canali per raggiungere l’uno o l’altro. Questo è in parte vero ma non è l’intera verità. Le intense critiche internazionali rivolte alle politiche e alle violazioni di Israele nei Territori palestinesi occupati mostrano che finora (Israele) non è riuscito a raggiungere pienamente i suoi obiettivi. Tutti i tentativi di Israele di infiltrarsi nell’arena araba attraverso la normalizzazione hanno fatto poco per cambiare l’equazione principale, almeno tra la gente che rimane convinta che Israele non sia ormai uno Stato naturale nella regione e che sia facile convivere con esso.

Le reazioni ufficiali e popolari in Libia rafforzano i principi alla base della causa palestinese e le conseguenze importanti della loro distruzione. La reazione (popolare) conferma anche che i movimenti di Israele nel mondo arabo non sono riusciti a creare una frattura significativa o a cancellare la causa madre del conflitto dalla coscienza araba. Le posizioni ufficiali libiche provenienti dal Consiglio presidenziale, dal parlamento, dall’Alto Consiglio di Stato e persino dal governo GNU dimostrano tutte che le azioni di Mangoush sono state un grave errore, che siano state prese in accordo preventivo con le autorità più alte in Libia, come sostiene la narrazione israeliana, o per volontà personale della ministra, o persino se sono avvenute per caso, come indica il comunicato del ministero degli esteri.

Le scene trasmesse dai media di fronte al Ministero degli Esteri libico a Tripoli e le notizie che Mangoush è stata sospesa temporaneamente e posta sotto inchiesta prima di essere rimossa dall’incarico, inviano tutte il messaggio importante che tali approcci non trovano copertura politica a loro sostegno, figuriamoci un appoggio popolare, del quale non ci sono segni sul terreno.

Quando viene rivelato un incontro segreto tra un ufficiale israeliano e uno arabo, scatena una valanga di indignazione popolare. Questo è un chiaro segno che le visioni che i leader israeliani desiderano promuovere nel mondo arabo non troveranno un ambiente accogliente. Tutti i passi intrapresi per realizzarli non troveranno un supporto pratico perché cercano di aggirare molti dei principi che i sostenitori della normalizzazione sono riluttanti a violare apertamente e vantarsi di rompere, perché consapevoli dell’opposizione veemente della strada araba.

Ecco perché alcuni stati arabi stanno procedendo con cautela lungo la via della normalizzazione, che ignora la causa palestinese, mentre altri rifiutano di sostenerla. Sono ben consapevoli che è difficile per questa via avere successo in assenza di un’accettabile soluzione politica al conflitto. Questo spiega la discrepanza tra i paesi desiderosi di impegnarsi nella normalizzazione il più rapidamente possibile e quelli che sono riluttanti ad appoggiarla, sapendo che Israele ha disegni occulti per distoglierli dal ritorno al processo politico.

Quello che è accaduto in Libia in seguito all’incontro Mangoush-Cohen a Roma fornisce uno sguardo su ciò che potrebbe accadere in altri Stati arabi i cui leader sono disposti a ignorare le conseguenze che i palestinesi subiranno dalla normalizzazione libera con Israele. Gli Stati arabi che hanno firmato trattati di pace decenni fa, come Egitto e Giordania, hanno fatto della questione palestinese la loro preoccupazione centrale sia prima che dopo la firma. Ma i tentativi attuali di normalizzazione non sembrano preoccuparsi molto della questione. Questo problema ha portato alla segretezza della maggior parte di questi sforzi. E quando emergono, portano con sé mal di testa politici, come abbiamo visto in Libia.

La Libia ci ha insegnato che ci sono linee rosse difficili da oltrepassare. Non importa quanto calma o obbediente possa sembrare la strada araba, può improvvisamente esplodere in un attimo. La Libia potrebbe essere fisicamente distante dai Territori palestinesi ma si è ribellata per motivi politici o pan-nazionali, con la gente che ha espresso la sua opposizione a ciò che ha fatto Mangoush, che agisse da sola o per ordine del primo ministro.

Questa prospettiva pragmatica è emersa anche in Sudan, quando il capo del Consiglio sovrano, il Generale di Divisione ‘Abdelfattah al-Burhan, ha incontrato il Primo Ministro israeliano Binyamin Netanyahu a Entebbe, in Uganda, nel febbraio 2020. L’incontro inaspettato non ha prodotto risultati tangibili a vantaggio del Sudan. Burhan fu costretto a sospendere il processo incerto all’epoca, dopo che divenne evidente che c’era opposizione popolare all’uso della normalizzazione come mezzo per ottenere guadagni politici ed economici.

Continuiamo a vedere passi arabi che credono che ci sia un premio e un incentivo sostanziali nella normalizzazione con Israele, solo per scoprire che il guadagno previsto non si materializzerà. Finché il sangue continua a scorrere nelle vene delle nazioni arabe, o almeno di alcune di esse, sarà difficile che la fase di normalizzazione si completi senza affrontare la questione palestinese. Coloro che si sono impegnati volontariamente nella normalizzazione o ne sono stati coinvolti sono troppo imbarazzati per renderlo pubblico, per paura della reazione popolare nei loro paesi. Questo rende la normalizzazione priva di contenuti palestinesi simile a svuotare gli ultimi pezzi di onore dalla causa.

La ministra degli esteri libica ha involontariamente inviato un messaggio ai leader che confondono la normalizzazione con i propri interessi personali, con l’effetto che coloro che si avvicinano a Israele ignorando la questione palestinese subiranno gravi conseguenze politiche. Proprio come si possono raccogliere guadagni, si possono subire perdite significative.

L’incontro tra Mangoush e Cohen potrebbe aver gettato una grossa pietra nel laghetto del GNU, causando increspature che potrebbero accelerarne la partenza, consentendo alla visione congiunta dell’Alto Consiglio di Stato e del parlamento di formare un governo neutrale per supervisionare le prossime elezioni. Pagine Esteri

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PRIVACYDAILY


N. 149/2023 LE TRE NEWS DI OGGI: Il governo federale non obbligherà i siti web per adulti a introdurre la verifica dell’età a seguito delle riserve sulla privacy e sulla mancanza di sviluppo di questa tecnologia. Mercoledì scorso, il ministro delle Comunicazioni, Michelle Rowland, ha reso nota la tanto attesa tabella di marcia del commissario... Continue reading →


Etiopia, appello per chiedere giustizia e sicurezza per il popolo del Tigray


Etiopia, appello da parte dell’ Associazione degli studiosi delle università del Tigray – TUSA al governo temporaneo, Interim Regional Administration – IRA del Tigray, per perseguire giustizia e sicurezza per il popolo tigrino. Oggetto: pretendere la sicu

Etiopia, appello da parte dell’ Associazione degli studiosi delle università del Tigray – TUSA al governo temporaneo, Interim Regional Administration – IRA del Tigray, per perseguire giustizia e sicurezza per il popolo tigrino.

Oggetto: pretendere la sicurezza dei cittadini

Il popolo del Tigray ha pagato e paga un prezzo altissimo per la pace e la sicurezza dei popoli. Soprattutto negli ultimi cinque anni, la popolazione del Tigray ha pagato un prezzo elevato per mantenere la pace e la sicurezza e garantire il diritto umano e legale di vivere ovunque si trovi. Nel processo, un trattato firmato a Pretoria istituì
un’amministrazione provvisoria.

Tuttavia, negli ultimi mesi, i crimini sono aumentati in varie città e aree rurali del Tigray, con persone uccise, mutilate, rapite e saccheggiate. Ad esempio, due gravi crimini si sono verificati a Macallè durante il festival di Ashenda. Con tali crimini, la gente in generale e coloro che venivano per la festa in particolare, dovettero perdere la fede e la paura. L’omicidio di nostra sorella Zewdu Haftu in particolare è stato unico, orribile e scioccante. È necessario adottare estrema cautela e azioni immediate per evitare che questi fenomeni degenerino in crimini strutturali peggiori.

È noto che dopo un’invasione devastante si verificheranno varie crisi sociali e crimini. I crimini nel Tigray, però, non sono mitigati solo da questo; I fenomeni sembrano invece essere sintomi di problemi politici e sociali molto gravi, poco definiti e complessi. Questo è un momento in cui i cittadini lavorano 24 ore al giorno per recuperare e ricostruire l’economia del Tigray che è stata deliberatamente distrutta dagli invasori. Vorremmo quindi sottolineare che è necessario un elevato livello di consapevolezza sociale per chiarire le cause profonde di questi diversi crimini e crisi e trovare soluzioni.

Comprendiamo che il problema segnalato non è nuovo e sono state date varie risposte. In pratica, tuttavia, invece di ridurre la criminalità e le minacce alla pace e alla sicurezza, stanno aggravando la situazione. Per questo la gente perde la speranza e la fiducia. Pertanto, riteniamo che questo problema debba essere risolto senza indugio. Inoltre, invitiamo le persone a garantire la sicurezza e l’incolumità del Tigray mobilitandosi e cooperando.

Associazione degli studiosi delle università del Tigray
Macallè, Tigray
TUSA appello per giustizia e sicurezza per il popolo del Tigray, EtiopiaTUSA appello per giustizia e sicurezza per il popolo del Tigray, Etiopia


tommasin.org/blog/2023-08-31/e…



Caivano, progetto pilota dell’Agenda Sud con un finanziamento di 1 milione di euro per le quattro scuole del primo ciclo e 560mila euro destinati alla lotta contro l’abbandono scolastico e i divari territoriali.


La visita del presidente del consiglio Meloni a Caivano, che probabilmente per il presidente del consiglio era solo un nome, non può diventare la lavata di fac


Cinque operai morti. Il più giovane aveva solo 22 anni. Non si tenti di scaricare sul macchinista la responsabilità della mancata interruzione Mentre esprimi


Ben(e)detto del 30 agosto 2023


́ # # L'articolo Ben(e)detto del 30 agosto 2023 proviene da Fondazione Luigi Einaudi. https://www.fondazioneluigieinaudi.it/benedetto-del-30-agosto-2023/ https://www.fondazioneluigieinaudi.it/feed


Ben(e)detto del 31 agosto 2023


… e dunque Popolare Socialriformista Liberale. Senza nostalgie novecentesche, da cittadini ed elettori europei, senza trucchetti per raccattare (forse) qualche voto in più. L'articolo Ben(e)detto del 31 agosto 2023 proviene da Fondazione Luigi Einaudi.

… e dunque Popolare Socialriformista Liberale. Senza nostalgie novecentesche, da cittadini ed elettori europei, senza trucchetti per raccattare (forse) qualche voto in più.

L'articolo Ben(e)detto del 31 agosto 2023 proviene da Fondazione Luigi Einaudi.



Ben(e)detto del 29 agosto 2023


Di questa presa di posizione, così scorretta politicamente, si assume tutta la responsabilità il nostro Presidente

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in reply to The Privacy Post

Mah ... gli abusi sono, secondo ogni statistica conosciuta, sono per la stragrande maggioranza in famiglia o tra i conoscenti (vedi preti, parenti acquisiti, amici di famiglia ecc.). Ma i pedofili li cerchiamo su Internet. La questione della pedofilia su Internet sembra proprio una scusa bella e buona...


Sull’uranio impoverito si lasci fuori il Quirinale. L’opinione di Tricarico


Ancora una volta la quotidianità, sempre in maniera del tutto fortuita, riporta sulla scena l’uranio impoverito e i suoi effetti. Questa volta la responsabilità indiretta è del generale Vannacci, quella diretta è dei media, di molte testate (ma di una in

Ancora una volta la quotidianità, sempre in maniera del tutto fortuita, riporta sulla scena l’uranio impoverito e i suoi effetti. Questa volta la responsabilità indiretta è del generale Vannacci, quella diretta è dei media, di molte testate (ma di una in particolare) che si sono adoperate – pur di accreditare una tesi precostituita – a divulgare, anche se in maniera surrettizia, le solite fandonie sulla pericolosità dell’esposizione umana alle polveri di uranio impoverito.

E quel che è più grave e inaccettabile, è stato fatto chiamando in causa il Presidente della Repubblica, all’epoca dei fatti ministro della Difesa. Una chiamata in causa tanto più grave in quanto fondata sulla difesa, da parte di certa stampa, delle bizze insensate di un generale ostinato nel non recepire le direttive dei suoi superiori.

Quello che, attraverso una ricostruzione manipolata ad arte, si vuol far credere al cittadino è che la linea gerarchica facente capo all’ammiraglio Giuseppe Cavo Dragone, all’epoca comandante del Comando operativo di vertice interforze (l’allora Coi) è che i superiori di Vannacci, pur resi edotti dei rischi che i nostri soldati correvano in Iraq, con il beneplacito o il silenzio colpevole dell’allora ministro Sergio Mattarella, omettevano di dare ascolto alle preoccupazioni manifestate e di provvedere alle misure cautelative del caso.

A nulla sono servite le rimostranze con i responsabili di questa bislacca, irriverente e smaccatamente falsa tesi. A nulla è valso lo sforzo – che assomiglia sempre di più a quello di Sisifo – di ragguagliare i direttori delle testate che si sono avventurate in questo indimostrabile assunto, sulla acclarata, più volte ribadita e ormai incontrovertibile non pericolosità dell’uranio impoverito come agente patogeno per l’insorgenza di tumori.

E forse è il caso di riassumere brevemente che innumerevoli approfondimenti scientifici indipendenti, sostanziati da una lunga bibliografia (vedi link Fondazione Icsa) hanno fatto stato dell’insussistenza di un rapporto causa-effetto tra l’esposizione a polveri di uranio impoverito e patologie tumorali a carico di militari che, anche a distanza di tempo, si siano trovati a operare in scenari dove il terreno o i rottami di mezzi colpiti potessero liberare polveri a suo tempo decantate sul terreno e sulle superfici dei bersagli.

Nel “caso Vannacci”, poi, i suoi superiori lo hanno ragguagliato abbondantemente con ogni evidenza scientifica, cozzando però contro un muro, soprattutto quando il confronto si è concentrato su tre studi finalizzati allo specifico teatro iracheno e a quelli similari (Progetto Signium di gennaio 2011, Technical Report di Unep di agosto 2007 e Studio di Aiea di giugno 2010) che hanno incontrato però la ostinata, irragionevole e incomprensibile irremovibilità di Vannacci sulle sue posizioni destituite di qualunque fondamento.

Una mistificazione, quella della letalità dell’uranio impoverito, che in Italia ha messo in moto una poderosa macchina di rivendicazioni da parte delle presunte vittime (cui va, sia chiaro, la nostra umana solidarietà) sintetizzabile ad oggi in oltre cento contenziosi andati a sentenza, con la giustizia spaccata letteralmente in due, avendo accolto poco meno delle metà delle istanze risarcitorie. Da notare che su quelle accolte ha giocato verosimilmente un ruolo la comprensibile indulgenza con cui amministrazione e giudici hanno valutato, di volta in volta, le aspettative di persone affette da patologie gravi. Tra l’altro, sempre per lo stesso motivo, non sempre i tribunali hanno tenuto rigoroso conto delle perizie di ufficio, mentre altre volte il riconoscimento della patologia per causa di servizio da parte dell’amministrazione ha costituito per il giudice un precedente significativo per la sua valutazione finale.

A ciò si aggiungano oltre cento istanze in attesa di giudizio, circa trecento istanze extragiudiziali e forse migliaia di richieste amministrative di riconoscimento di dipendenza delle patologie da causa di servizio.

Anche, ma non solo, a causa della sua mole, una condizione quella descritta sulla quale andrebbe fatta una riflessione accurata sia da parte dell’amministrazione, nell’auspicio che quella ora al timone del Paese affronti la questione con maggior rigore e coerenza rispetto a chi l’ha preceduta ma soprattutto rispetto ai postulati della scienza; sia da parte degli organi di controllo della spesa pubblica se, come è verosimile, si profila un cospicuo danno all’erario, un pericolo questo da sempre dietro l’angolo nelle questioni italiane.


formiche.net/2023/08/uranio-im…



SIRIA. Almeno 25 morti in scontri tra curdi e tribù arabe


Da quattro giorni membri della tribù di Deir Ezzor combattono le truppe delle SDF sostenute dagli Usa dopo l'arresto di un importante leader arabo locale L'articolo SIRIA. Almeno 25 morti in scontri tra curdi e tribù arabe proviene da Pagine Esteri. htt

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della redazione

Pagine Esteri, 31 agosto 2023 – Gli scontri che vanno avanti da quattro giorni tra le Forze Democratiche Siriane (SDF) a maggioranza curda, appoggiate dagli Stati Uniti, e i membri delle tribù arabe nel governatorato di Deir Ezzor hanno provocato almeno 25 morti e una ventina di feriti. Sono stati innescati dalla detenzione di Ahmed Khbeil, meglio conosciuto come Abu Khawla, nel governatorato di Hasakah, un importante leader arabo locale che guida il Consiglio militare di Deir Ezzor (DEMC) affiliato alle Sdf.

Le forze delle Sdf lo hanno detenuto domenica scorsa, per motivi non noti, dopo essere stato invitato a una riunione a Hasakah. Subito dopo le tribù arabe hanno lanciato un appello ai combattenti arabi all’interno delle SDF affinché disertino e “si uniscano alla lotta contro l’occupazione americana della Siria nord-orientale”.

Le Sdf hanno lanciato l’“Operazione Rafforzamento della Sicurezza” a Deir Ezzor sostenendo di voler combattere la riorganizzazione di cellule legate all’Isis, lo Stato islamico. Nonostante sia stato sconfitto nel 2019, l’Isis è rinato nella Siria orientale, nel momento in cui gli Stati uniti hanno rafforzato significativamente la propria presenza nel paese dilaniato dalla guerra.

Negli ultimi tempi, le tribù arabe del nord-est della Siria, hanno cominciato a denunciare l’occupazione straniera del paese esprimendo in qualche caso sostegno al governo di Damasco. La rabbia contro le Sdf è aumentata a seguito anche del reclutamento obbligatorio annunciato all’inizio di quest’anno che ha coinvolto anche minori.

Secondo un rapporto delle Nazioni Unite, nel 2022 in Siria sono stati reclutati da vari gruppi armati 1.696 minori, di cui 637 proprio dalla Sdf. Pagine Esteri

GUARDA IL VIDEO DI MILIZIANI ARABI A DEIR AZZOR

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Il prossimo Privacy Pride si terrà il 23 settembre 2023. Ecco perché...

@Privacy Pride

🏖 Molti di voi sono ancora in vacanza, ma come ben sapete, i portabandiera della sorveglianza sono sempre al lavoro e quindi crediamo che sia opportuno lanciare un nuovo #PrivacyPride per il 23 settembre!

🇪🇺 Come alcuni di voi già sapranno, i governi degli Stati membri dell'UE stanno pianificando di adottare la loro posizione ufficiale, denominata "approccio generale", sul regolamento sugli abusi sessuali su minori (per gli amici ChatControl 😅) alla riunione dei ministri della giustizia e degli affari interni del 28 settembre 2023.

💪🏼 È opportuno mobilitarsi velocemente, al fine di alzare l'attenzione dell'opinione pubblica, finora molto insensibile, su questo epocale cambiamento dello stato di diritto e della inviolabilità della corrispondenza.

🚸 Uno dei cavalli di battaglia dei nemici della privacy è la tutela dei bambini, proprio quei bambini che gli stati abbandonano Nelle mani delle grandi piattaforme centralizzate ormai universalmente adottate nelle scuole.
Ma si sa, c'è privacy dei bambini e privacy dei bambini... 😁

🏙 L'obiettivo sarà perciò organizzare tanti presidi nelle città italiane e, se possibile, anche in alcune città d'Europa.

❤ Il tema del Privacy Pride sarà questo: "i bambini e la privacy: ignorati quando bisogna tutelare la loro privacy, ma sfruttati quando si tratta di diminuire quella di tutti i cittadini".

🕒 Appena saremo in grado di farlo, metteremo a disposizione tutti gli strumenti necessari per l'organizzazione!


Stiamo scaldando i motori per organizzare un Privacy Pride. Restate in ascolto...


Questa volta si parlerà di... minori


in reply to Privacy Pride

Purttoppo non potrò partecipare, ma sarebbe interessante capire qual'è la vostra ricetta per la privacy dei bambini.
in reply to Emanuele

@Emanuele Se fosse sufficiente una ricetta per risolvere i problemi, basterebbe sostituire legislatori e burocrati rispettivamente con chef e camerieri...
E magari non sarebbe neanche una cattiva idea: almeno chef e camerieri sanno che i bambini non sono clienti da servire con gli avanzi degli adulti ma sono anzi dei clienti speciali con stomaci più delicati, che necessitano di maggiori attenzioni e molto più rispetto

@Privacy Pride

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Chi è Grant Shapps, nuovo ministro della Difesa britannico


Come si sapeva da diverse settimane, oggi sono arrivate le dimissioni di Ben Wallace da ministro della Difesa del Regno Unito. Wallace ha servito in quattro anni tre primi ministri diversi: Boris Johnson, Liz Truss e Rishi Sunak. Al suo posto è stato nomi

Come si sapeva da diverse settimane, oggi sono arrivate le dimissioni di Ben Wallace da ministro della Difesa del Regno Unito. Wallace ha servito in quattro anni tre primi ministri diversi: Boris Johnson, Liz Truss e Rishi Sunak. Al suo posto è stato nominato Grant Shapps che lascia la guida del ministero della Sicurezza energetica. Una visita a Kyiv a fine agosto l’aveva spinto in cima all’elenco dei favoriti.

CHI È GRANT SHAPPS

Ministro della Sicurezza energetica e prima ancora del Business, dell’Interno (per meno di una settimana nel breve governo Truss) e dei Trasporti, Shapps, 55 anni tra pochi giorni, è stato anche presidente del Partito conservatore dal 2012 al 2015 quando al numero 10 di Downing Street c’era David Cameron. È in Parlamento del 2005, prima faceva l’imprenditore. Si è dichiarato contro alla Brexit prima del referendum del 2016./p>

CHI È BEN WALLACE

Wallace, 53 anni, capitano delle Guardie Scozzesi, è stato uno dei principali sostenitori, nel Regno Unito e in generale in Occidente, dell’Ucraina davanti all’invasione russa. Anche per questo, il suo era uno dei nomi candidati alla carica di segretario generale della Nato (recentemente ha espresso il suo forte disappunto per il mancato sostegno del presidente statunitense Joe Biden alla sua candidatura). Wallace era in servizio la notte della morte della principessa Diana nel 1997 e ha fatto parte del gruppo inviato a Parigi per portare in patria le spoglie.

LA LETTERA DI DIMISSIONI

Nella lettera di dimissioni Wallace ha elogiato le forze armate e i servizi di intelligence con cui lavora dal 2016 e la risposta data dal governo britannico all’invasione dell’Ucraina. Ha anche ringraziato Sunak per il suo “sostegno” e “amicizia” e per gli investimenti fatti nelle forze armate prima come cancelliere dello scacchiere e poi come primo ministro. “So che lei è d’accordo con me sul fatto che non dobbiamo tornare ai giorni in cui la Difesa era vista come una spesa a discrezione del governo e si risparmiava svuotandola”, ha aggiunto. Nella sua risposta il primo ministro Sunak ha affermato che Wallace “si è distinto nel servire il nostro Paese”, elogiando la sua “lungimiranza strategica e chiarezza”. Ne ha quindi elogiato la leadership delle forze armate e il suo “giudizio eccezionale”, scrivendo: “La dedizione e l’abilità con cui ha assolto le tue responsabilità come segretario di Stato per la Difesa sono state tipiche della sua fiducia nel servizio pubblico e del profondo impegno per le forze armate e la sicurezza del Regno Unito. Lascia il ministero della Difesa e le forze armate in una buona posizione per affrontare il futuro”. Il primo ministro Sunak ha concluso dicendo di comprendere la sua decisione di dimettersi dopo otto anni dal governo.

Il LAVORO UK-ITALIA

Durante i suoi mandati ha lavorato intensamente anche per rafforzare la relazione bilaterale con l’Italia (qui l’intervista con Formiche.net di giugno 2021 sul ponte di volo della HMS Queen Elizabeth, la più grande portaerei della flotta britannica, il cui viaggio dal Regno Unito; qui, invece, la conversazione con Formiche.net in occasione del Forum di Pontignano dello scorso febbraio). Ed è sotto la sua gestione che i due Paesi assieme al Giappone ha lanciato il Global Combat Air Programme, progetto per lo sviluppo dell’aereo da caccia di nuova generazione entro il 2035.

IL MINI-RIMPASTO

Le dimissioni hanno dato vita a un mini-rimpasto di governo, che sarà cruciale per il primo ministro Sunak visto che l’anno prossimo il Paese torna alle urne. I sondaggi danno il Partito conservatore al difficile inseguimento del Partito laburista guidato da Keir Starmer. Ma soprattutto, i Tories, al potere ormai da 13 anni, sembrano aver perso smalto e iniziativa.

LA PROSSIMA RIUNIONE GCAP

Uno dei primi impegni del nuovo ministro della Difesa britannico riguarderà il Global Combat Air Programme. Dopo i passi avanti dell’incontro a Roma di fine giugno, è previsto un nuovo incontro tra i ministri in autunno, probabilmente a Londra, con l’italiano Guido Crosetto e il viceministro giapponese Atsuo Suzuki (visto che Yasukazu Hamada viaggia all’estero). Nelle scorse settimane il Financial Times ha rivelato che l’Arabia Saudita starebbe spingendo per diventare un partner a pieno titolo del progetto. Ma c’è da vincere le resistenze di Tokyo. Il ruolo di Shapps potrebbe essere determinante, visto che a inizio anno, da ministro per la Sicurezza energetica, aveva avuto colloqui con il governo saudita per rafforzare la cooperazione in settori come spazio, tecnologia e minerali critici. Una missione che sembra aver preparato il prossimo viaggio del principe ereditario saudita Mohammad Bin Salman a Londra.


formiche.net/2023/08/grant-sha…



VIDEO. Ucciso un soldato israeliano, scontri a fuoco con un morto tra polizia Anp e palestinesi


Un autista palestinese ha investito, pare intenzionalmente, tre israeliani. Resta tesa la situazione a Tulkarem dopo gli scontri di ieri tra la polizia dell'Anp e combattenti palestinesi L'articolo VIDEO. Ucciso un soldato israeliano, scontri a fuoco con

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della redazione

(nella foto il posto di blocco di Maccabim)

Pagine Esteri, 31 agosto 2023 – Un israeliano, un soldato secondo le notizie disponibili al momento, è stato investito, pare intenzionalmente, e ucciso da un palestinese alla guida di un autocarro al posto di blocco militare di Maccabim, tra Israele e la Cisgiordania occupata. Il palestinese è stato inseguito e ferito qualche minuto dopo dalla polizia, le sue condizioni sono critiche. Nell’attacco sono rimasti feriti altri due israeliani.

Ieri sera a Gerusalemme, un ragazzo palestinese ha ferito con un coltello un israeliano a una fermata del bus ed è stato poi ucciso. Qualche ora dopo, quattro soldati israeliani sono stati feriti dall’esplosione di un ordigno rudimentale mentre effettuavano un raid nella città di Nablus, nella zona del sito della Tomba di Giuseppe.

Resta tesa la tensione a Tulkarem dove ieri la polizia dell’Autorità Nazionale (Anp) del presidente Abu Mazen ha ucciso un giovane e ferito un altro durante scontri a fuoco con combattenti palestinesi nel campo profughi di Tulkarem seguiti alla rimozione di barriere erette per impedire l’ingresso di mezzi militari israeliani. Nelle scorse settimane, dopo una vasta operazione militare israeliana, l’Anp ha lanciato a Jenin, città-roccaforte della militanza armata palestinese, e in altri centri abitati e campi profughi una campagna di arresti contro i gruppi armati al fine di impedire o contenere gli attacchi contro soldati e coloni israeliani in Cisgiordania. Queste operazioni sono contestate dalla maggioranza della popolazione palestinese apertamente contraria alla cooperazione di sicurezza con Israele. Pagine Esteri

GUARDA IL VIDEO GIRATO AL POSTO DI BLOCCO DI MACCABIM

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GUARDA IL VIDEO SUGLI SCONTRI A TULKAREM

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Ricomincia la scuola! È stato pubblicato, sul sito del MIM, il calendario dell'anno scolastico 2023/2024 con le date di inizio e di fine delle lezioni per ciascuna regione, delle festività e degli Esami di Stato.

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PRIVACYDAILY


N. 148/2023 LE TRE NEWS DI OGGI: In Cina mercoledì scorso sono state pubblicate delle regole finalizzate a rafforzare la sicurezza dei dati nel settore dell’intermediazione finanziaria, cinque mesi dopo che il disservizio che ha causato due giorni di caos nel mercato obbligazionario del Paese da 21.000 miliardi di dollari. Cinque autorità di vigilanza finanziaria,... Continue reading →


Il vostro Fitbit è inutile - a meno che non acconsentiate alla condivisione illegale dei dati noyb ha presentato tre reclami contro Fitbit. L'azienda di fitness e salute costringe gli utenti delle nuove app ad acconsentire al trasferimento dei dati verso Paesi terzi Fitbit - Agree to data transfers or leave


noyb.eu/it/your-fitbit-useless…



Il pasticcio libico del ministro Tajani evidenzia quanto poco sovranista sia la politica italiana e il livello di improvvisazione subalterna del governo Meloni.


Presidenzialismo, la malafede di chi grida allo scandalo


Il presidenzialismo, si sa, è una delle principali bandiere politiche di Giorgia Meloni: naturale voglia inastarla almeno parzialmente (si tratta di una riforma costituzionale, i tempi di approvazione saranno dunque lunghi) entro le elezioni europee della

Il presidenzialismo, si sa, è una delle principali bandiere politiche di Giorgia Meloni: naturale voglia inastarla almeno parzialmente (si tratta di una riforma costituzionale, i tempi di approvazione saranno dunque lunghi) entro le elezioni europee della prossima primavera. Dell’elezione diretta del capo del governo e del rafforzamento dei suoi poteri si parla da ormai quarant’anni. Sono state costituite a questo scopo commissioni parlamentari mono e bicamerali che non hanno prodotto alcun risultato concreto, sono stati approvati disegni di legge costituzionali poi respinti dagli elettori al momento del relativo referendum confermativo. Quarant’anni di tentativi, quant’anni di fallimenti.

Al punto 3, quello dedicato alle riforme istituzionali, del programma elettorale del centrodestra presentato lo scorso agosto si parla di “elezione diretta del presidente della Repubblica”. Il presidenzialismo, dunque, è stato annunciato agli elettori e (anche) sull’impegno a realizzare una riforma presidenziale la coalizione di centrodestra ha vinto le elezioni. Diversi giornali, alcuni costituzionalisti e quasi tutti i partiti di opposizione hanno cominciato sin dall’inizio della legislatura a raccontare la riforma presidenziale ipotizzata da quella che nel frattempo era diventata la maggioranza di governo come un attacco quasi personale all’attuale capo dello Stato, Sergio Mattarella, di cui peraltro, ma ciò è costituzionalmente irrilevante, è nota la scarsa simpatia verso tale forma di governo sia in quanto costituzionalista sia un quanto uomo politico. Un’interpretazione priva di fondamento costituzionale, oltre che di senso politico. Come se ogni riforma costituzionale approvata a norma di Costituzione dovesse avere l’avallo di chi ricopre la funzione che verrà riformata…

Tuttavia, avendo interesse a mantenere buoni rapporti con l’attuale inquilino del Colle e a far approvare la riforma istituzionale dalla più ampia maggioranza parlamentare possibile, Giorgia Meloni ha tenuto conto di tali obiezioni. È chiaro da mesi, è ancor più chiaro oggi leggendo le prime bozze di riforma redatte dal ministro competente, Maria Elisabetta Casellati. L’ipotesi di eleggere direttamente il presidente della Repubblica è infatti scomparsa. Si parla di elezione diretta del presidente del Consiglio. Il quale, com’è ovvio, assorbirebbe alcuni dei poteri che la Costituzione attribuisce oggi al capo dello Stato, come la nomina e la revoca dei ministri e lo scioglimento delle Camere.

È il segno di una non scontata disponibilità alla mediazione da parte di Giorgia Meloni e del suo governo. Ma i giornali, i costituzionalisti e le forze politiche che menavano scandalo prima lo fanno anche oggi. Né più, né meno.

La realtà, evidentemente, non conta. Conta la rappresentazione della realtà. La realtà che, per come si sta delineando, la modifica della forma di governo che l’esecutivo presenterà al Parlamento non ha nulla di scandaloso: non è una forzatura istituzionale e non rappresenta un’umiliazione dell’attuale presidente della Repubblica. Si limita a dare forma giuridica alla retorica, ad oggi infondata, dell’elezione diretta del capo del governo e ad attribuirgli quei poteri minimi che gli consentono di non subire i ricatti dei partiti che compongono la sua maggioranza. Dunque di assumersi le responsabilità che la funzione presuppone e di durare quant’è politicamente naturale che duri. Si può, naturalmente, non condividere il merito della riforma. Ma chi grida allo scandalo è in malafede.

Formiche.net

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Il futuro dell'Europa, il ruolo dei liberali e il problema italiano. L'articolo di Piero Cecchinato

@Politica interna, europea e internazionale

Per avere voce in capitolo ed evitare che per formare una maggioranza si debba guardare anche a forze che intendono retrocedere nel processo di integrazione, è necessario che i liberali che si iscrivono in Europa nel gruppo di Renew Europe eleggano il maggior numero di deputati possibile.

Renew Europe è il gruppo che al Parlamento europeo raccoglie i deputati eletti in partiti a loro volta iscritti ai gruppi politici dell’Alleanza dei liberali e democratici europei (Alde) e del Partito democratico europeo (PDE), che sono membri partner di Renew Europe.

Ebbene, per quanto riguarda l’Italia, gli ultimi sondaggi sono impietosi: oggi i liberaldemocratici non eleggerebbero alcun deputato.

Il post completo

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Golpe in Gabon dopo le elezioni. I militari prendono il controllo


Sciolte le istituzioni. L’esercito non riconosce la vittoria, dopo 14 anni di potere, del presidente uscente Ali Bongo Ondimba. L'articolo Golpe in Gabon dopo le elezioni. I militari prendono il controllo proviene da Pagine Esteri. https://pagineesteri.

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Pagine Esteri, 30 agosto 2023. “Tutte le istituzioni della Repubblica sono sciolte: il governo, il Senato, l’Assemblea nazionale e la Corte costituzionale. Invitiamo la popolazione a rimanere calma e serena e riaffermiamo la volontà di rispettare gli impegni del Gabon nei confronti della comunità internazionale”, così i militari in un videomessaggio mandato in onda a ripetizione sulle reti televisive del Paese.

Dopo quattordici anni di potere, il presidente Ali Bongo Ondimba è stato riconfermato, il 26 agosto, dall’esito delle ultime elezioni, reso pubblico pochi minuti prima del colpo di stato. La coalizione avversaria, rappresentata da un unico candidato, ha denunciato brogli elettorali e manipolazione dei dati. I risultati ufficiali avevano visto Ali Bongo Ondimba ottenere il 64,27% dei voti e il suo sfidante, Albert Ondo Ossa, raggiungere il 30,77%.

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Ali Bongo Ondimba

I dieci militari apparsi dinanzi alle telecamere si sono autoproclamati membri del “Comitato per la Transazione e il ripristino delle istituzioni” e hanno accusato il governo di Ali Bongo Ondimba di portare il Paese nel caos, di minare la coesione sociale in maniera irresponsabile.

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Albert Ondo Ossa

Colpi di arma da fuoco sono stati uditi prima e dopo la dichiarazione ufficiale dei militari ma non giungono per il momento notizie di scontri. Anzi, sono stati diffusi sui social video di festeggiamenti, cortei di persone che sventolano le bandiere e intonano slogan celebrativi sulla “liberazione” del Paese. Il nascente Comitato per la transizione e il ripristino delle istituzioni ha invitato la popolazione a mantenere la calma. Prima di Ali, salito al potere nel 2009, il governo è stato presieduto da suo padre Omar, al potere dal 1967.

Freedom in #Gabon pic.twitter.com/Q5Zc7qe4M2

— African (@ali_naka) August 30, 2023

Il presidente Ali Bongo Ondimba e la sua famiglia sono stati arrestati ma non si trovano in regime di massima sicurezza: nel primo pomeriggio (ora italiana) di oggi, il presidente ha registrato un breve video in cui chiede in inglese agli “amici di ogni parte del mondo” di “fare rumore”. “Non so cosa accadrà, vi chiedo di fare rumore. Vi ringrazio”.

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Le frontiere sono state chiuse. È presente, in Gabon, un contingente militare francese, Stato che più di tutti è interessato a mantenere rapporti stabili con il governo o chi per esso lo controlli. Il Gabon è particolarmente importante per i piani di politica estera francese all’interno del continente africano.

Il colpo di stato in Gabon è l’ottavo in tre anni nella zona dell’Africa centrale e occidentale. I militari hanno preso il potere, tra gli altri Paesi in Niger, Mali, Guinea, Burkina Faso e Ciad.

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Ali Bongo Ondimba con il presidente francese Emmanuel Macron

La presenza italiana in Gabon

La presenza italiana più significativa in questo paese è rappresentata dal colosso energetico ENI: a partire del 2008 sono stati conclusi sei contratti di esplorazione e nell’estate 2014 è stata annunciata un’importante scoperta di gas e condensati a circa 13 chilometri di distanza dalla costa gabonese e a 50 chilometri dalla capitale Libreville. ENI, inoltre, vende in Gabon lubrificanti attraverso contratti di compravendita tramite le società DIESEL e ECIG.

Altre aziende di proprietà di gruppi economici italiani operano neli settori dello sfruttamento di legname, nella ristorazione, nelle costruzioni, nell’arredamento e nel turismo.

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Il 17 febbraio 2023 il pattugliatore Foscari della #Marina militare italiana in sosta a #Libreville. A bordo ospitati il Segretario Generale della Difesa gabonese Dieudonné Pongui e il Capo di Stato Maggiore della Marina ammiraglio Charles Bekale Meyong

Il 17 febbraio 2023 il pattugliatore portaelicotteri “Foscari” della Marina Militare impegnato in operazioni antipirateria nel Golfo di Guinea aveva fatto sosta a Libreville. In quell’occasione l’ambasciatore d’Italia in Gabon, Gabriele Di Muzio, aveva accompagnato il Segretario Generale del Ministero della Difesa gabonese, Dieudonné Pongui, ed il Capo di Stato Maggiore della Marina gabonese, Charles Bekale Meyong, a visitare l’unità da guerra italiana. A bordo del “Foscari” il dottore Di Muzio ha consegnato al direttore dell’Ospedale di Akanda tre ventilatori polmonari donati dall’Italia.

Il pattugliatore portaelicotteri è stato il quarto vessillo militare che ha fatto tappa in Gabon: la prima visita ufficiale risale al novembre 2021 con la fregata “Marceglia”, a cui ha fatto seguito la fregata “Rizzo” nell’aprile 2022 ed il pattugliatore portaelicotteri “Borsini” nel novembre 2022. Per testimoniare “la stretta amicizia e la collaborazione tra Roma e Libreville”, sul “Borsini” erano stati ospitati il rappresentante del ministro della Difesa gabonese, generale Jude Ibrahim Rapontchombo, ed il vice capo di Stato maggiore della Marina gabonese, ammiraglio Roland Tombot Mayila.

Italia e Gabon hanno sottoscritto a Roma il 19 maggio 2011 un Accordo quadro di cooperazione nel settore della difesa, in attesa di ratifica da parte del Parlamento. Il Memorandum per la Cooperazione nel campo dei materiai della difesa, firmato nella stessa giornata, è invece entrato automaticamente in vigore. Pagine Esteri

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Dopo i passi compiuti da molti media in lingua inglese, una serie di gruppi di media francesi, tra cui Radio France e France24, hanno deciso di bloccare una funzione del GPTBot di OpenAI per la raccolta dei loro contenuti online....


Ignoranza titolata


Anche qui si è fatto un sogno, visto che c’è la ricorrenza. Abbiamo sognato che un giovane diplomato, oramai maggiorenne, abbia deciso di portare in tribunale la scuola italiana. Abbiamo sognato le sue parole: signor giudice, mi hanno sempre promosso, mi

Anche qui si è fatto un sogno, visto che c’è la ricorrenza. Abbiamo sognato che un giovane diplomato, oramai maggiorenne, abbia deciso di portare in tribunale la scuola italiana. Abbiamo sognato le sue parole: signor giudice, mi hanno sempre promosso, mi hanno anche detto che ero bravino, ho passato la maturità con un ottimo voto, poi ho fatto i test Pisa ed è risultato che sono un analfabeta, incapace nel far di conto; quindi, signor giudice, sono stato truffato e chiedo giustizia.

I risvegli sono talora traumatici: sono i genitori a portare la scuola in tribunale, avverso le pochissime bocciature esistenti. Si lascia così agli atti quel che si chiede di avere: l’ignoranza titolata, detta anche: ignoranza di cittadinanza.

In questo modo gli svantaggiati restano tali e i protetti anche. Nessuna indignazione scalfisce l’indifferenza e la scuola resta un assumificio senza costrutto, ove si proclama il merito senza entrare nel merito. Poi non ci si chieda da dove arrivi la classe digerente.

L'articolo Ignoranza titolata proviene da Fondazione Luigi Einaudi.



– Emiliano Brancaccio, 30.08.2023 - Stato/Economia - Se osserviamo l’impatto delle manovre di bilancio pubblico sulle diverse classi sociali, noteremo


Golpe in Gabon dopo le elezioni. I militari prendono il controllo


Sciolte le istituzioni. L’esercito non riconosce la vittoria, dopo 14 anni di potere, del presidente uscente Ali Bongo Ondimba. L'articolo Golpe in Gabon dopo le elezioni. I militari prendono il controllo proviene da Pagine Esteri. https://pagineesteri.

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Pagine Esteri, 30 agosto 2023. “Tutte le istituzioni della Repubblica sono sciolte: il governo, il Senato, l’Assemblea nazionale e la Corte costituzionale. Invitiamo la popolazione a rimanere calma e serena e riaffermiamo la volontà di rispettare gli impegni del Gabon nei confronti della comunità internazionale”, così i militari in un videomessaggio mandato in onda a ripetizione sulle reti televisive del Paese.

Dopo quattordici anni di potere, il presidente Ali Bongo Ondimbaè stato riconfermato, il 26 agosto, dall’esito delle ultime elezioni. La coalizione avversaria, rappresentata da un unico candidato, ha denunciato brogli elettorali e manipolazione dei dati. I risultati ufficiali avevano visto Ali Bongo Ondimba ottenere il 64,27% dei voti e il suo sfidante, Albert Ondo Ossa, raggiungere il 30,77%.

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Ali Bongo Ondimba

I dieci militari apparsi dinanzi alle telecamere si sono autoproclamati membri del “Comitato per la Transazione e il ripristino delle istituzioni” e hanno accusato il governo di Ali Bongo Ondimba di portare il Paese nel caos, di minare la coesione sociale in maniera irresponsabile.

Colpi di arma da fuoco sono stati uditi prima e dopo la dichiarazione ufficiale dei militari ma non giungono per il momento notizie di scontri. Il nascente Comitato per la transizione e il ripristino delle istituzioni ha invitato la popolazione a mantenere la calma. Prima di Ali, salito al potere nel 2009, il governo è stato presieduto da suo padre Omar, al potere dal 1967.

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Albert Ondo Ossa

Le frontiere sono state chiuse. È presente, in Gabon, un contingente militare francese, Stato che più di tutti è interessato a mantenere rapporti stabili con il governo o chi per esso lo controlli. Il Gabon è particolarmente importante per i piani di politica estera francese all’interno del continente Africano. Pagine Esteri

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STORIA. Il femminismo panarabo e l’identità palestinese (seconda parte)


Le attiviste delle associazioni femminili che lavoravano autonomamente per la costruzione nazionale della Palestina, senza dipendere da organizzazioni maschili, si sentivano come le vere responsabili del futuro della loro nazione. L'articolo STORIA. Il f

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(Foto: Gerusalemme, alcune delle oltre 200 delegate palestinesi del primo Congresso delle Donne Arabe (1929) che organizzano una spettacolare manifestazione a bordo di una serie di automobili per farsi portare in giro per la città a consegnare le loro risoluzioni sulla causa nazionale a vari consolati stranieri, ovvero per chiedere l’indipendenza della Palestina).

di Patrizia Zanelli*

Pagine Esteri, 30 agosto 2023. I teorici primari della palestinesità percepirono la sacralità del territorio della Palestina come la quintessenza dell’identità culturale della loro stessa società palestinese in piena Nahḍa; sapevano che sin dal medioevo i palestinesi si erano sempre indicati come Ahl al-Arḍ al-Muqaddasa “La Gente della Terra Santa”. Sanbar precisa che non si sentivano degli eletti, bensì come i custodi e protettori, nonché proprietari dei luoghi sacri delle tre fedi monoteiste presenti nel loro paese, teatro delle scritture rivelate. Nella percezione di un’identità collettiva è insito un senso di possesso del territorio in cui si vive e fa parte della popolazione autoctona. Il primo significato del lemma ahl è “famiglia”; infatti, Masalha nota che i palestinesi si indicavano anche come Abnā‘ Filasṭīn, “I Figli della Palestina”; si identificavano con lei, la loro madre terra. In realtà, espressioni simili si usano da sempre nel mondo arabofono per indicare appunto la popolazione autoctona di un paese. Il lemma sha‘b, “popolo”, iniziò a essere usato soltanto nel ‘900 nel linguaggio politico dei vari nazionalismi arabi, nati per la liberazione dal colonialismo europeo o/e in certi casi dall’imperialismo ottomano.

Ogni cultura è frutto di un continuo processo di transculturazione, dunque è culturalmente ibrida; la lingua, quale mezzo espressivo ed elemento fondante della cultura stessa, cambia col tempo specialmente a livello lessicale; tali cambiamenti linguistici implicano talvolta una ridefinizione dell’identità culturale del gruppo umano costituito dalla comunità di parlanti che la parlano.

La questione identitaria fu al centro dei discorsi sia femministi che nazionalisti elaborati nell’ambito della Nahḍa, il che comportò la nascita di un lessico politico arabo moderno, nato soprattutto tramite le traduzioni arabe di testi di illuministi francesi: Montesquieu, Rousseau e Voltaire. Furono usati il lemma waṭan, “patria” o “casa”, per tradurre “patriottismo” (waṭaniyya), e il lemma qawm, “popolo, “razza” o “tribù”, per rendere “nazione” e, quindi, “nazionalismo” (qawmiyya). Al lemma umma, “comunità”, derivato da umm, “madre”, fu altresì conferita la nuova accezione di “nazione”.

Pur avendo chiaramente significati diversi, questi termini politici talvolta vengono interscambiati; è un’ambiguità terminologica che esiste in molte lingue e culture e può essere politicamente pericolosa. In epoca coloniale, infatti, il nazionalismo, concetto nato con la Rivoluzione francese, in più casi si fuse con il darwinismo sociale, degenerando in ultranazionalismi fondati sul razzismo, l’etnocentrismo e la xenofobia, componenti essenziali del colonialismo europeo e di altri imperialismi.

Il mondo arabo non è monolitico, bensì eterogeneo, il che vale anche per i discorsi femministi e nazionalisti elaborati nell’ambito della Nahḍa. Esistono infatti da sempre importanti differenze geo-climatiche, storico-politiche, socio-culturali e perfino linguistiche tra un paese e l’altro e una micro-area e l’altra del vasto dominio arabofono.

La sacralità del territorio della Palestina determinò le particolarità locali del proto-femminismo e del proto-nazionalismo territoriale, emersi a fine ‘800 nella società urbana palestinese, all’interno della quale il bilinguismo era ormai normale ed era piuttosto diffuso anche il poliglottismo. Tutte le città del paese erano cosmopolite specialmente grazie alla varietà della strutture scolastiche moderne che vi erano state create a partire dagli anni 1860. I dirigenti palestinesi ovviamente conoscevano i discorsi che circolavano nelle cancellerie delle maggiori potenze mondiali dell’epoca; infatti, avevano subito capito che la loro intera società rischiava di subire una sostituzione etnica. Come precisa Sanbar, sapevano anche che la prima ondata migratoria ebraica in Palestina, iniziata nel 1882, aveva uno scopo puramente religioso e temevano che le colonie fondate dai neoarrivati immigrati ashkenaziti scatenassero nel Vicino Oriente un antiebraismo, al quale loro stessi posero freno, tentando la via del dialogo a livello diplomatico.

Le femministe e i nazionalisti modernisti palestinesi volevano preservare la loro cultura autoctona, costituita dalle tradizioni delle tre fedi monoteiste e, dunque, ecumenica. Le stesse attiviste delle associazioni femminili lavoravano, però, autonomamente per la costruzione nazionale della Palestina, senza dipendere da organizzazioni maschili, e si sentivano come le vere responsabili del futuro della loro nazione.

In generale, le donne hanno sempre lavorato almeno tra le mura domestiche e, quindi, svolto un ruolo importante nella società, ma il loro lavoro non è riconosciuto né è conosciuta la loro Storia, perché è perlopiù esclusa dalla storiografia scritta e trasmessa oralmente. Gli studi post-coloniali sul femminismo arabo – che, come quello nato in Occidente, assunse inizialmente la forma dell’associazionismo filantropico femminile – si basano perciò in parte su testimonianze orali, particolarmente necessarie per il caso palestinese. Numerosi documenti furono infatti distrutti od occultati durante la Nakba; le molteplici implicazioni della catastrofe, replicata e aggravata dalla guerra lanciata da Israele nel ’67, per occupare la Cisgiordania, inclusa Gerusalemme Est, e la striscia di Gaza, rendono difficile ricostruire la Storia della modernizzazione culturale della Palestina. È impossibile calcolare quante fonti storiche siano andate perdute per sempre; per via della diaspora palestinese, quelle sopravvissute sono sparse in giro per il mondo, e le informazioni reperite sono comunque frammentarie; lo afferma Fleischmann, precisando che l’apertura degli archivi militari israeliani e inglesi negli anni ’80 non fu sufficiente a colmare tale lacuna. Un altro fenomeno traumatizzante implicato dalla Nakba sta nel fatto che i palestinesi rimasti nella porzione del territorio della propria patria, appena divenuta Israele, dovettero rinunciare alla loro identità nazionale, diventando cittadini israeliani in effetti discriminati come gruppo umano; il governo del neo-fondato Stato ebraico applicò nei loro confronti una politica di apartheid che durò quasi vent’anni; poi fu allentata ma mai abolita.

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Gerusalemme, 1906: Khalil al-Sakakini e la sorella Melia al-Sakakini, futura leader della Nahḍa femminile palestinese.

Generalmente, per le donne e gli uomini palestinesi d’ogni classe sociale che avevano lottato per l’indipendenza del loro paese, protestando contro il mandato britannico e il colonialismo d’insediamento sionista, la perdita della patria rimase una ferita mai rimarginata, e il ricordo della Palestina pre-1948 un dolore inconsolabile. Soffrirono a lungo e in molti casi per sempre di stress post-traumatico; quindi, raramente riuscivano a parlare del trauma che avevano vissuto e della loro vita precedente. È perciò difficile comprendere appieno le esperienze delle pioniere del femminismo palestinese; quasi tutte furono costrette a lasciare la patria nel ’48; di alcune non si conoscono neppure le date di nascita e/o morte.

Le leader più famose sono Sadhij Nassar (1900-1960) e Maryam al-Khalil di Haifa, Anisa Subhi al-Khadra (1897-1955) e la letterata Asma Tubi (1905-1983), entrambe attive ad Acri, Adele Shamat Azar (1886-1968) di Giaffa e Maryam Hashim di Nablus. La più politicizzate sono le attiviste dell’associazione femminile di Gerusalemme che svolsero un ruolo politico avanguardista nella lotta per l’indipendenza della Palestina nel periodo mandatario: Matiel Mughannam (1899-1992) – autrice di The Arab Woman and the Palestine Problem (1937) –, Zulaykha Ishaq al-Shihabi (1903-1993), Shahinda Duzdar (1906-1946), Zahiyya Nashashibi (1904-1973), Melia al-Sakakini (1890-1966), Ni’mati al-Alami (1895-?), Tarab ‘Abd al-Hadi (1910-1976) e altre ancora, come Fatima e Khadija al-Husayni, appartenenti all’aristocrazia gerosolimitana..

Per ricostruire la Storia del femminismo palestinese dell’epoca della Nahḍa, è però necessario esaminare i vari fattori sfociati nella Nakba e quindi fare un notevole salto indietro nel tempo.

Sanbar sottolinea l’importanza della posizione geografica della Palestina: epicentro regionale, punto d’incontro dei tre vecchi continenti, situato tra il Mediterraneo e il Mar Rosso e il fiume Giordano, attraversante il Mar Morto e il lago di Tiberiade, facilmente accessibile da ogni direzione e, sin dalla proto-storia, meta di migrazioni e oggetto di ambizioni straniere. A partire dalla conquista islamica del 638 d.C. è la Terra Santa delle tre fedi monoteiste, e “Gerusalemme è al centro di questa geografia sacra”. Com’è evidente, inoltre, pur essendo un paese piccolo, la Palestina storica è culturalmente un importante crocevia di civiltà.

La cultura autoctona palestinese è, perciò, frutto di molteplici processi di transculturazione; oltre a questa complessità, è soprattutto la sacralità del territorio in cui è nata a renderla unica; i teorici primari della palestinesità ne colsero subito l’essenza; si basarono su teorie storiografiche, geo-deterministe e socio-linguistiche e su studi folkloristici per definirla.

Uno di loro è il letterato, pedagogo e attivista gerosolimitano Khalil al-Sakakini (1878-1953) che, nel 1909, fondò a Gerusalemme la pionieristica Scuola Costituzionale in cui adottò un metodo educativo incentrato sulla psicologia dell’infanzia; infatti non venivano dati voti agli alunni delle tre fedi monoteiste che la frequentavano. Sua figlia Hala al-Sakakini (1924-2002), in un’intervista rilasciata a Fleischmann nel 1992, dichiarò “Perfino noi cristiani siamo culturalmente musulmani […] L’Islam è una cultura che ci unisce”. In questa dichiarazione, indicativa del pensiero delle femministe palestinesi dell’epoca della Nahḍa, proprio come la succitata Melia al-Sakakini – sorella di Khalil – [9], si nota l’influenza del panarabismo, facilmente accolta nella definizione dell’identità culturale palestinese, e ne conferma la complessità, dovuta anche a ragioni storico-linguistiche. L’arabo era infatti presente nella Palestina cristiano-bizantina sin dall’età preislamica (V-VI secolo d.C.), cioè prima che la nuova religione rivelata arrivasse nel paese, dove, come ai tempi della predicazione di Gesù di Nazareth, si parlava ancora l’aramaico, altra lingua semitica. Fu quindi facile l’arabizzazione della popolazione palestinese; e in quanto proseguimento dell’ebraismo e del cristianesimo, l’Islam divenne rapidamente la fede monoteista maggioritaria in Terra Santa.

Rashid Khalidi, invece, nel suo famoso saggio, Palestinian Identity, rileva la complessità delle teorie sul nazionalismo e la creazione di un’autocoscienza nazionale moderna [10]. Il senso di appartenenza a un paese, a una realtà territoriale, a una collettività, e non necessariamente a uno Stato-nazione, idea importata dall’Europa nel mondo arabo nell’Ottocento, è un fenomeno sociale molto più antico di quanto si pensi.

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1946, l’intellettuale gerosolimitano Khalil al-Sakakini, con le figlie, Hala alla sua sinistra e Dumia a destra della foto, e la sorella Melia al-Sakakini – una delle prime femministe del Nahḍa femminile palestinese – in mezzo alle due nipoti; sono sul balcone di casa loro nel quartiere al-Qaṭamūn di Gerusalemme.

Come nota Sanbar, è storicamente documentato che nella Palestina medievale la società palestinese era già straordinariamente unita. Da allora in poi la gente del paese continuò a celebrare insieme tutte le festività delle tre fedi monoteiste; musulmani, cristiani ed ebrei condividevano perfino i luoghi di culto; pregavano indifferentemente in moschee, chiese e sinagoghe. Era una spiritualità condivisa, tipica del “carattere popolare palestinese”, ma non un sincretismo; ogni comunità religiosa seguiva la propria religione. I musulmani si facevano battezzare, perché volevano ricevere una benedizione di Dio; i preti si limitavano a immergere loro le mani nell’acqua. Il sufismo, dottrina e pratica della spiritualità islamica, prolungamento naturale della mistica ebraica e cristiana, non a caso si era diffuso subito in Palestina, dove sin dal medioevo vi era stata una fioritura di monasteri fondati da confraternite sufi, che avevano ispirato numerose conversioni all’Islam. A partire dal X secolo il paese fu oggetto di una serie di guerre di conquista compiute via via dagli eserciti dei Fatimidi, dei Selgiuchidi, delle crociate promosse dalla Chiesa di Roma, degli Ayyubidi, dei Mamelucchi e degli Ottomani. Ognuna di queste invasioni straniere era stata progettata dal rispettivo invasore per fattori legati alla geografia sacra della Palestina e specialmente all’importanza di Gerusalemme per le tre fedi monoteiste.

La società palestinese manifestò, invece, la tipica coesione interconfessionale anche mentre stava per sperimentare il passaggio dalla tradizione alla modernità. A tal riguardo Masalha spiega fatti interessanti avvenuti nel ‘700, rilevando che Zahir al-Umar apparteneva a una modesta famiglia musulmana di un villaggio della Galilea e non alla tradizionale signoria urbana e latifondista che dominava la Palestina e doveva la sua legittimità agli ottomani. I notabili, signori feudali, definiti a‘yān, ricevevano spesso per meriti militari il titolo onorifico turco aghà dal sultano di turno dell’Impero; erano in sostanza vassalli della Turchia. Da giovane al-Umar aveva ereditato dal padre la funzione di esattore delle tasse sui terreni agricoli da versare alla tesoreria ottomana; conosceva la vita difficile della sua gente. Aveva ricevuto una qualche forma d’istruzione, ma era più che altro un autodidatta; lavorando, maturò competenze politiche, diplomatiche e finanziarie. Intorno al 1730, si ribellò alla Porta riuscendo, con il sostegno popolare, a prendere il potere in Galilea e nel resto della Palestina per liberarla dalla dipendenza dagli ottomani che imponevano una tassazione eccessiva sulle proprietà fondiarie; vero leader carismatico, divenne subito un eroe per la stragrande maggioranza delle famiglie palestinesi. Lo stesso al-Umar sapeva di poter contare sulla tipica coesione interconfessionale della sua società, per realizzare i suoi grandi progetti per il futuro; voleva ridurre le forti sperequazioni socio-economiche esistenti nel paese, mettendo fine anzitutto allo sfruttamento dei contadini. Guidò in tempi non sospetti la prima lotta indipendentista palestinese nella Storia della Palestina che, come già detto, lui trasformò in un proto-Stato semi-indipendente. Da viceré, governò il paese, adottando politiche sociali e un nuovo sistema fiscale che gli permisero di ottenere una crescente popolarità; fu naturalmente sostenuto anche dall’importante comunità cristiana di Nazareth, donne incluse che fornivano cibo e cure alle sue truppe. Masalha precisa che al-Umar, con la sua esperienza di autogoverno davvero rivoluzionaria, creò le premesse per la Nahḍa ottocentesca palestinese [11].

[9] Melia al-Sakakini era una docente; aveva frequentato la Scuola Araba Ortodossa nella Città Vecchia di Gerusalemme e poi l’Istituto Femminile di Formazione Pedagogica di Beit Jala. Una volta diplomata, insegnò in varie scuole pubbliche e divenne preside di una scuola a Giaffa. Visse sempre con la famiglia del fratello Khalil al-Sakakini che l’aveva cresciuta dopo la morte di loro padre. Fu una delle prime attiviste del movimento femminile palestinese; nel 1920, guidò un corteo di donne gerosolomitane in una marcia di protesta contro la Dichiarazione Balfour e il mandato britannico. Durante la Nakba, l’intera famiglia di Khalil al-Sakakini – che, nel 1939, era rimasto vedovo della moglie Sultana, da cui aveva avuto il primogenito Sari, e due figlie, Hala e Dumia, – fu espulsa dalla propria casa nel quartiere al-Qaṭamūn nell’Ovest di Gerusalemme e costretta da paramilitari sionisti a fuggire dalla città, il 30 aprile 1948, cioè prima della fondazione d’Israele. L’intellettuale palestinese pensava di poterci tornare; ma, violando il diritto al ritorno dei profughi palestinesi sancito dalla risoluzione 194 dell’Onu (11/12/1948), le autorità israeliane non glielo permisero. Perciò fu espropriato per sempre della sua casa e di tutto ciò che conteneva, inclusa la sua prestigiosa biblioteca privata. La famiglia visse poi a Ramallah. Si veda: Hala Sakakini, Jerusalem and I: A Personal Record, Economic Press, 1990.

[10] Rashid Khalidi, Palestinian Identity: the Construction of Modern National Consciousness, Columbia University Press, 1997.

[11] Nur Masalha, Palestine: a Four Thousand Year History, Zed Books, 2018.

______________

*Patrizia Zanelli insegna Lingua e Letteratura Araba all’Università Ca’ Foscari di Venezia. È socia dell’EURAMAL (European Association for Modern Arabic Literature). Ha scritto L’arabo colloquiale egiziano (Cafoscarina, 2016); ed è coautrice con Paolo Branca e Barbara De Poli di Il sorriso della mezzaluna: satira, ironia e umorismo nella cultura araba (Carocci, 2011). Ha tradotto diverse opere letterarie, tra cui i romanzi Memorie di una gallina (Ipocan, 2021) dello scrittore palestinese Isḥāq Mūsà al-Ḥusaynī, e Atyàf: Fantasmi dell’Egitto e della Palestina (Ilisso, 2008) della scrittrice egiziana Radwa Ashur, e la raccolta poetica Tūnis al-ān wa hunā – Diario della Rivoluzione (Lushir, 2011) del poeta tunisino Mohammed Sgaier Awlad Ahmad. Ha curato con Sobhi Boustani, Rasheed El-Enany e Monica Ruocco il volume Fiction and History: the Rebirth of the Historical Novel in Arabic. Proceedings of the 13th EURAMAL Conference, 28 May-1 June 2018, Naples/Italy (Ipocan, 2022).

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PRIVACYDAILY


N. 147/2023 LE TRE NEWS DI OGGI: X Corp., già Twitter, chiede al tribunale di ordinare alla società di consulenza Ernst & Young LLP di consegnare i documenti relativi a una relazione richiesta dalle autorità di regolamentazione sulle pratiche del social network in materia di dati.L’audit è stato richiesto nell’ambito di un accordo sulla privacy... Continue reading →


Weekly Chronicles #43


Proof of Work, digital collars and leashes and forced re-education camps.

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Tor introduce la Proof of Work contro il DoS


Con la release 0.4.8 Tor introdurrà un meccanismo di Proof of Work (PoW) per dare priorità a traffico verificato e mitigare così l’impatto degli attacchi Denial of Service che interessano la rete Tor da ormai molto tempo.

Il meccanismo di protezione è semplice ma efficace: prima di accedere a un servizio onion il client deve dimostarre di aver risolto un piccolo puzzle matematico. All’aumentare delle richieste aumenterà anche il lavoro richiesto. Per un utente normale questo non dovrebbe richiedere più di qualche millisecondo, ma per chi invece indirizza numerose richieste verso lo stesso servizio (come le reti di bot che compiono attacchi DoS) il costo aumenta esponenzialmente, rendendo difficoltoso e costoso l’attacco (in termini di tempo, e quindi denaro).

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Il problema del DoS però non è altro che una sfaccettatura dell’annoso problema, ben più ampio, della distinzione tra umani e bot su Internet.

Essendo Tor un servizio nato per offuscare l’identità fisica e la posizione geografica degli utenti, la via per distinguere umani e bot non poteva certo essere quella del KYC — come proposto ad esempio da Sam Atman con il progetto “Worldcoin”.

Nei prossimi mesi e anni dovremo aspettarci sempre più pressione da parte di aziende, governi e organizzazioni per risolvere questo problema. Forse la community crypto (mi riferisco in particolare a Bitcoin e Monero) dovrebbe iniziare a pensare seriamente a modi per sfruttare questi network per dimostrare la propria umanità online senza cedere privacy.

Collari e guinzagli digitali per migranti illegali


Il governo inglese sta pensando a nuovi modi per gestire i migranti illegali che arrivano nel paese. La nuova legge in materia, l’Illegal Migration Act, prevede infatti il potere di trattenere e controllare ogni migrante irregolare e richiedente asilo.

L’idea è quella di attaccare al migrante di turno una targhetta GPS (immagino con una sorta di braccialetto elettronico non facilmente rimovibile) che permetta di tracciarli in tempo reale sul territorio.

Collari e guinzagli digitali per i nuovi schiavi del welfare. Qualcuno dovrà pur servire e lavorare per la gerontocrazia europea negli anni che verranno. Quale modo migliore per aprire una finestra di Overton sulla nuova schiavitù se non abituare le persone ad accettare collari e guinzagli digitali per il fatto di avere la pelle scura e venire da un altro continente? Vi ricorda niente?

La ri-educazione forzata di Jordan Peterson


Tre giudici della Ontario Divisional Court hanno deciso che Jordan Peterson, celebre psicologo canadese, sarà costretto a seguire un corso di rieducazione sulla “comunicazione professionale sui social” per non perdere la sua licenza.

La questione nasce da una causa portata vanti dal College of Psychologists of Ontario a seguito di alcune affermazioni di Peterson sul Joe Rogan Podcast e su X riguardo il movimento LGBTQ+, il cambiamento climatico e diverse dichiarazioni contro alcuni politici canadesi e Trudeau, che ha recentemente chiamato “lying climate-apocalypse mongers”.

Peterson ha commentato così su X la decisione dei giudici:

"So the Ontario Court of Appeal ruled that @CPOntario can pursue their prosecution. If you think that you have a right to free speech in Canada, you're delusional. I will make every aspect of this public. And we will see what happens when utter transparency is the rule. Bring it…"


I buoni ancora una volta si distinguono per ciò che sono: tirannici, violenti, e completamente intenti nel silenziare qualsiasi opinione divergente. Esprimere il tuo pensiero non è vietato, ma potrebbe essere poco carino. Meglio se stai zitto. E se proprio non ci riesci, ti aiutano loro. Magari con un bel campo di rieducazione forzata.

Sul silenzio forzato ne ho scritto proprio settimana scorsa…

Weekly memes


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Weekly quote

The truth is something that burns. It burns off dead wood. And people don't like having the dead wood burnt off, often because they're 95 percent dead wood.

Jordan Peterson

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Tor Introduces Proof of Work against DoS Attacks


With the release of version 0.4.8, Tor will introduce a Proof of Work mechanism to prioritize verified traffic and thereby mitigate the impact of Denial of Service (DoS) attacks that have been affecting the Tor network for a considerable amount of time.

The protection mechanism is simple yet effective: before accessing an onion service, the client must solve a small mathematical puzzle to demonstrate that they have performed the required "work." As the volume of requests increases, so does the required work. For a regular user, this should take no more than a few milliseconds. However, for those directing numerous requests to the same service (such as botnets), the cost increases exponentially, making the attack difficult and costly in terms of both time and money.

The issue of DoS is just one facet of the longstanding, broader problem of distinguishing between humans and bots on the Internet.

Given that Tor is a service designed to obscure users' physical identity and geographical location, the path forward could not involve Know Your Customer (KYC) measures – as proposed, for example, by Sam Atman with the "Worldcoin" project.

In the coming months and years, we should expect increasing pressure from companies, governments, and organizations to address this problem. Perhaps the crypto community (specifically referring to Bitcoin and Monero) should seriously start considering ways to leverage these networks to prove humanity online without compromising privacy.

Digital collars and leashes for illegal migrants


The UK government is considering new ways to better manage illegal migrants entering the country. The new legislation, the Illegal Migration Act, grants the power to detain and monitor every irregular migrant and asylum seeker.

The idea is to attach a GPS tag to each migrant, presumably in the form of an irremovable electronic bracelet, allowing real-time tracking within the territory.

Digital collars and leashes for the new slaves of the welfare system. Someone must certainly serve and work for the European gerontocracy in the years to come. What better way to push the Overton Window towards the concept of new slavery than to condition people to accept digital collars and leashes based on the color of their skin and their origin from another continent? Does this remind you of anything?

The forced re-education of Jordan Peterson


Three judges from the Ontario Divisional Court have ruled that Jordan Peterson, a renowned Canadian psychologist, will be compelled to undergo a re-education course on "professional communication on social media" to avoid losing his license.

The issue arises from a case brought by the College of Psychologists of Ontario following Peterson's statements on the Joe Rogan Podcast and on X regarding the LGBTQ+ movement, climate change, and various criticisms of Canadian politicians, including Trudeau, whom he recently referred to as "lying climate-apocalypse mongers."

Peterson responded to the judges' decision on X with the following comment:

"So the Ontario Court of Appeal ruled that @CPOntario can pursue their prosecution. If you think that you have a right to free speech in Canada, you're delusional. I will make every aspect of this public. And we will see what happens when utter transparency is the rule. Bring it…"


Once again, those who claim to be righteous reveal their true nature: authoritarian, violents, and entirely focused on silencing any dissenting opinions. Expressing one's thoughts might not be prohibited, but it could be unpleasant. It's better to stay quiet. And if you can't manage that, they'll help you. Perhaps with a nice dose of forced re-education.

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metro.co.uk/2023/08/28/illegal…

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blog.torproject.org/introducin…

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nationalpost.com/news/canada/j…


privacychronicles.it/p/weekly-…