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Hayek e la libertà di conoscere (e di sbagliare)


Anche chi ha una conoscenza solo superficiale di Friedrich von Hayek (1899 – 1992) sa che questo economista liberale ha riflettuto in termini originali sul tema della conoscenza, al fine di avanzare critiche fondamentali a pianificazione e dirigismo. Poic

Anche chi ha una conoscenza solo superficiale di Friedrich von Hayek (1899 – 1992) sa che questo economista liberale ha riflettuto in termini originali sul tema della conoscenza, al fine di avanzare critiche fondamentali a pianificazione e dirigismo. Poiché la nostra comprensione della realtà è sempre inadeguata e poiché le informazioni sugli stati di fatto disponibili sono disperse (ognuno di noi ne possiede solo qualche frammento), è assurdo affidare a qualche comitato composto da scienziati e burocrati il compito di gestire la società.

Pochi sanno, però, che questo esito poggia su una ben precisa riflessione sulla psicologia teorica e sull’epistemologia. Grazie a Lorenzo Infantino è ora disponibile un volume – Conoscenza e processo sociale, edito da Rubbettino (pagg. 472, euro 32) – che raccoglie gli scritti di Hayek su questi temi, attingendo da alcuni dei suoi lavori più classici. Si tratta di una pubblicazione che evidenzia come Hayek sia stato uno studioso “inattuale” anche nel suo saper muoversi entro discipline diverse: qualcosa di assai poco comune in un universo accademico ormai da tempo dominato da uno specialismo sempre più estremo.

Come Infantino sottolinea nell’Introduzione, nei suoi anni universitari Hayek era stato fortemente attratto dallo studio della psiche umana e di quel periodo sono anche pagine che saranno pubblicate solo molti decenni dopo: quando nel 1946 darà alle stampa L’ordine sensoriale. E sono proprio le ricerche sulla psicologia teorica che lo portano a riflettere in maniera sempre più intensa sulle questioni gnoseologiche. In questi studi egli si confronta con il pensiero di Ernst Mach, il quale era convinto che esista una perfetta corrispondenza tra elemento psichico e fisico, senza in questo riuscire a dare ragione del fatto – ad esempio – che uno stimolo fisiologico può convertirsi in un dato psichico.

Prendendo le distanze da Mach, il giovane studioso viennese avvierà un percorso intellettuale che lo condurrà a pensare in maniera assai originale l’economia, il diritto, la politica. Già Carl Menger, nella sua polemica con Gustav von Schmoller e con gli storicisti, aveva sottolineato il carattere teorico della scienza economica, la quale elabora concetti fondamentali per la comprensione dei fatti singoli; e Hayek
assorbirà quella lezione. In seguito l’incontro con Karl R.Popper favorirà ulteriormente il suo approdo verso una prospettiva che tagliava definitivamente i ponti con il positivismo della Vienna dei suoi anni universitari.

Il risultato sarà un evoluzionismo a tutto tondo – in psicologia, epistemologia, economia, filosofia politica – che poggia sull’idea che la nostra mente non è il nostro cervello, ma qualcosa che prende forma nel corso degli anni grazie a esperienze, scambi e acquisizioni che non annullano il corredo genetico, ma certo lo trascendono.

La mente, il mercato e il diritto sono dunque il risultato di processi assai complessi che non possono essere descritti in termini lineari. È ovvio che nessun fenomeno specifico può essere semplicisticamente ricondotto a forme generali, ma noi leggiamo la realtà a partire da schemi e modelli astratti grazie ai quali riusciamo a sviluppare una comprensione – pur sempre imperfetta – del fenomeno che intendiamo conoscere. I quadri concettuali dell’evoluzionismo, in questo senso, sono uno strumento fondamentale che Hayek utilizza per afferrare il reale.

Quella teoria ci offre allora un quadro concettuale in grado di farci intendere realtà che mai potremo afferrare nella loro interezza. Al centro di queste pagine troviamo una decisa critica allo scientismo: a una certa idea (assai ristretta) del modo in cui gli scienziati lavorerebbero, che poi è stata pure estesa dalle scienze “dure” a quelle umane, favorendo l’imporsi di logiche autoritarie e tecnocratiche. Se la realtà è molto più complessa di quanto non possano dirci poche semplici leggi (poiché ogni sistema è aperto e in relazione con altri), la stessa pretesa di organizzare la società dall’alto in nome della scienza è destinata al fallimento.

Nel 1933 egli critica con queste parole le logiche dell’antropomorfismo, che ci portano a vedere dietro a ogni fenomeno una deliberazione specifica, così che ad agire non sarebbero soltanto gli individui, ma anche le nazioni, le classi, le culture e via dicendo: «Nelle scienze naturali, abbiamo gradualmente cessato di seguire tale via e abbiamo appreso che l’interazione fra differenti tendenze può produrre quel che chiamiamo ordine, senza che alcuna mente della propria stessa specie lo regoli». Ancora oggi, però, ben pochi hanno chiaro che per avere un qualsivoglia ordine non c’è necessariamente bisogno di un soggetto specifico che metta ordine. Le implicazioni sociali e politiche di queste riflessioni sono allora evidenti.

Con questa sua teoria della conoscenza Hayek rigetta un’intera tradizione cartesiana e razionalistica, portata poi a tradursi nell’idea (si pensi a Hans Kelsen) che la norma può essere il risultato di una volontà umana. La riscoperta di un diritto evolutivo e tradizionale, caratteristico della tradizione inglese, poggerà anche e soprattutto su questa teoria evolutiva della conoscenza. Questo curato da Infantino, allora, è un volume di grande originalità: un mosaico di tessere che perla prima volta vengono accostate l’una all’altra, consentendo di cogliere meglio il disegno complessivo.

Il Giornale

L'articolo Hayek e la libertà di conoscere (e di sbagliare) proviene da Fondazione Luigi Einaudi.



Ursula Hirschmann – Noi senza Patria


L'articolo Ursula Hirschmann – Noi senza Patria proviene da Fondazione Luigi Einaudi. https://www.fondazioneluigieinaudi.it/ursula-hirschmann-noi-senza-patria/ https://www.fondazioneluigieinaudi.it/feed


Chat control: EU Council plans death blow to digital privacy of correspondence and secure encryption


In the dispute over plans to search all private messages and photos (#ChatControl) for suspicious content, a proposal by the Spanish presidency has been leaked … https://www.patrick-breyer.de/wp-content/uploads/2023/09/LEAK_bf162e8c-5804-479b-972c-d12321

In the dispute over plans to search all private messages and photos (#ChatControl) for suspicious content, a proposal by the Spanish presidency has been leaked that ambassadors will discuss on Thursday and is intended to secure a majority for the proposed #ChatControl regulation at the end of the month.

Pirate Party MEP and lawyer Patrick Breyer, who is co-negotiating the bill in the European Parliament, has read the proposal and warns:

“The lip service paid to end-to-end encryption is a mere smokescreen. Communication services like WhatsApp or Signal would still have to turn our smartphones into error-prone scanners and bugs (so-called client-side scanning). Nobody would be able to rely on the subsequent encryption of ‘unsuspicious’ messages.

“What the EU governments want to adopt on 28 September means: Apart from ineffective network blocking and search engine censorship, the proposed chat control threatens to destroy digital privacy of correspondence and secure encryption. Scanning personal cloud storage would result in the mass surveillance of private photos. Mandatory age verification for communications services would end anonymous communication. Appstore censorship for young people would be a kind of digital house arrest for teenagers. The proposal does not include the overdue obligation on law enforcement agencies to report and remove known abusive material on the Internet, nor does it provide for Europe-wide standards for effective prevention measures, victim support and counselling and effective criminal investigations.

“This Big Brother attack on our mobile phones, private messages and photos with the help of error-prone algorithms is a giant step towards a Chinese-style surveillance state. Chat control is like the post office opening and scanning all letters – ineffective and illegal. Even the most intimate nude photos and sex chats can suddenly end up with company personnel or the police. Those who destroy the digital secrecy of letters destroy trust. We all depend on the security and confidentiality of private communication: People in need, victims of abuse, children, the economy and also state authorities.”


patrick-breyer.de/en/chat-cont…

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"Prima vennero a schedare gli immigrati". Le violazioni della privacy sui migranti non sono solo un abuso su persone deboli, ma anche un laboratorio di ciò che potrebbe capitare a tutti i cittadini

@Privacy Pride

- I migranti stanno sopportando il peso dei nuovi sistemi e stanno perdendo potere nella loro esperienza migratoria, in particolare quando il loro destino è messo nelle mani di sistemi guidati dall’elaborazione dei dati e dalle cosiddette innovazioni tecnologiche.
- Ai migranti vengono richieste grandi quantità di dati, dalle loro impronte digitali alle tracce di dati digitali, mentre sono spesso messi in una situazione di costante sorveglianza.
- Le società private militari e di sicurezza svolgono un ruolo essenziale nel fornire ai governi una varietà di “soluzioni” e servizi di tecnologia di sorveglianza e sfruttamento dei dati.

Lo scenario di riferimento di questo articolo è quello del Regno Unito, ma non dobbiamo dimenticare il distopico programma europeo #ICtrlBorder.

Ecco alcuni degli strumenti e delle tecniche utilizzati nell’ambito delle pratiche di sorveglianza e delle politiche di immigrazione basate sui dati che portano abitualmente a un trattamento discriminatorio delle persone e a minarne la dignità.

1. Condivisione dei dati: trasformare i funzionari pubblici in guardie di frontiera
2. Estrazione del telefono cellulare: il tuo telefono è un gioco a carte scoperte
3. Social Media Intelligence: cosa dice di te un like su Facebook?
4. Polizia predittiva: un ciclo di feedback che rafforza i pregiudizi razziali
5. Macchine della verità: sicurezza su basi scientificamente dubbie
6. Esternalizzazione delle frontiere: esternalizzazione dei controlli e della sorveglianza delle frontiere
7. Elaborazione biometrica: una festa di database
8. Riconoscimento facciale: rendere la sorveglianza senza attriti
9. Intelligenza Artificiale: il tuo destino nelle mani del sistema
10. Aziende private: quando i confini sono un buon affare

Qui il post completo di Privacy International

PS: Leggi il rapporto "Protezione dei dati, controllo dell'immigrazione e diritti fondamentali: cosa significano i regolamenti dell'UE sull'interoperabilità per le persone con status irregolare" stilato da Statewatch e PICUM

in reply to informapirata ⁂

@informapirata aggiungo la presa di posizione in tutela dei diritti degli individui anche l'appello di #AccessNow riguardo a #IrisGuard e la raccolta di dati biometrici dei #rifugiati per agevolare i pagamenti mobili.
‼️"Ai rifugiati non dovrebbe essere richiesto di fornire dati biometrici personali in cambio di bisogni primari come l’acquisto di cibo o l’accesso al denaro."
accessnow.org/press-release/ir…

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Haiti ostaggio delle bande criminali. La popolazione fugge dalla capitale


Al confine con la Repubblica Dominicana sta per partire la costruzione di un muro faraonico per fermare l'esodo degli haitiani in fuga dalla violenza e dalla povertà L'articolo Haiti ostaggio delle bande criminali. La popolazione fugge dalla capitale pro

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di Davide Matrone –

Pagine Esteri, 12 settembre 2023. Dalla storica e grandiosa rivoluzione a cavallo tra il XVIII e il XIX secolo, all’abisso in pieno XXI secolo. La storia di questo paese è ricca di avvenimenti di tutto rispetto eppure oggi vive nel baratro. Dal 21 agosto del 1791 al 1º gennaio del 1804 in questo stato, situato nell’isola di Hispaniola, si consumò la prima rivoluzione schiavista della storia moderna. Haiti è stato il primo paese al mondo a vincere una rivoluzione di liberazione anti-coloniale perpetuata da schiavi neri contro gli occupanti francesi. È stata la seconda nazione del continente americano a dichiarare la propria indipendenza, dopo gli Stati Uniti d’America. Inoltre, è stato uno dei 51 paesi che hanno dato vita all’ONU nell’anno 1945.

Nonostante questi grandi avvenimenti, Haiti è oggi il paese più povero del continente americano ed è al posto 155 su 177 nella classifica dei paesi classificati in base al proprio indice di sviluppo umano.

In queste ultime settimane ritorna nuovamente sotto i riflettori per una grave crisi che colpisce la sua popolazione che vive per l’80% in una condizione di povertà degradante. Nell’ultimo anno, si è registrato, inoltre, un aumento esponenziale della violenza con eccidi di massa da parte di bande criminali che “sono legate a una parte del settore politico ed economico del paese” dichiara Robby Glessile, attivista e difensore dei diritti umani haitiano.

Secondo i dati che ci fornisce lo stesso attivista haitiano, dal 1° gennaio al 15 agosto del 2023, le violenze delle bande criminali hanno provocato la morte di 2400 persone. “Queste cifre sono relative ai corpi ritrovati ma molti altri non verranno scoperti perché le bande, in alcuni casi, li fanno semplicemente sparire” dichiara ancora Robby.

Per questa situazione c’è un grande esodo di haitiani che si stanno spostando verso le zone interne del paese, verso le comunità rurali più tranquille. Moltissimi altri invece stanno abbandonando il paese e si stanno rifugiando verso la vicina Repubblica Dominicana o all’estero. Non è la prima volta che gli haitiani devono lasciare il proprio territorio per salvarsi la pelle. La frontiera tra Haiti e la Repubblica Domenicana è tra quelle più calde e transitate del pianeta. Tra i due stati confinanti è in procinto la costruzione di un muro di un’estensione pari a 165 km. Il progetto faraonico fu annunciato due anni fa, dopo il magnicidio del presidente Moise. Ricordiamo che il Muro di Berlino aveva un’estensione di quasi 120 km.

Ho contattato Robby Glessile a cui ho rivolto alcune domande per comprendere cosa succede oggi nel suo paese nativo.

Qual è la situazione e cosa sta facendo l’attuale governo?

La situazione attuale è molto violenta è la popolazione è abbandonata a se stessa e non ha un attimo di tregua. Si sta perpetuando una violenza estrema e brutale da parte di bande criminali che hanno in possesso buona parte del territorio. Il governo non sta facendo assolutamente nulla. L’unica preoccupazione che ha la classe politica è quella di continuare a gestire il potere riscuotendo abusivamente uno stipendio mensile. Eppure l’attuale Primo Ministro quando giunse al potere, aveva promesso che la sua principale preoccupazione sarebbe stata quella di risolvere l’insicurezza. Fino ad oggi la situazione è divenuta sempre più insostenibile.

Come operano queste bande criminali?

Come dicevo, queste bande legate a una parte del settore politico ed economico si muovono in tutto il territorio nazionale. Ricevono armi dall’estero e maggiormente dagli Stati Uniti. Non c’è controllo e freno a questo traffico d’armi che avviene attraverso le dogane che sono dei veri e propri colabrodo.

In questi momenti a poche centinaia di metri dal Palazzo Presidenziale ci sono bande che stanno operando. Il sud del paese è sconnesso dalla capitale Puerto Principe. È praticamente interrotta la circolazione all’interno della capitale e in buona parte del paese. Qualche mese fa la stessa Ministra della Giustizia di Haiti, ha dichiarato che questi territori sono ormai persi e che lo Stato non riesce a controllarli.

Si parla nuovamente di un intervento armato con l’aiuto esterno, vero?

Sì, è cosi. Il governo centrale sta aspettando quest’intervento come ultima soluzione. Molte persone all’interno del paese son convinte che è lo stesso governo che sta lasciando andare le cose affinché la Comunità Internazionale intervenga come mediatore del conflitto. Purtroppo non è la prima volta che si chiede l’intervento dei contingenti internazionali nel paese. Ma sappiamo che i risultati di queste azioni sono stati disastrosi e la situazione è peggiorata e non migliorata. L’unica vittima in questa situazione è ancora una volta il popolo haitiano che non ha nessun appoggio ed è abbandonato dal proprio Stato.

È di questi giorni la notizia del coinvolgimento di un cittadino colombiano nel magnicidio dell’ex Presidente Moise, ucciso nel luglio del 2021. Cosa ci dici?

Da parte della Giustizia haitiana non c’è nessun interesse affinché il popolo sappia cosa successe realmente nella notte tra il 6 e il 7 luglio del 2021. Non c’è volontà politica che si venga a conoscenza dei fatti. Secondo le indagini fin qui condotte, c’è un cittadino colombiano coinvolto nel magnicidio ma attualmente si trova negli Stati Uniti. C’è anche un cittadino haitiano oggi in carcere in quanto accusato di aver partecipato attivamente al piano di assassino dell’ex presidente Moise. Però la giustizia sta camminando a passo di tartaruga. Sebbene questa settimana siano stati chiamati in causa altri 4 cittadini colombiani, il sistema di Giustizia non va oltre. Non penso che con questo governo si arrivi a una conclusione del magnicidio. Gli autori intellettuali sono ancora nascosti e l’attuale sistema di giustizia del paese non ha gli strumenti e la volontà per far luce su questo caso molto complesso.

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Intanto il governo degli Stati Uniti ha chiesto ai suoi connazionali di abbandonare il paese dopo le sparatorie avvenute in prossimità dell’Ambasciata statunitense una settimana fa. Una delegazione della Comunità dei Caraibi (CORICOM) alcuni giorni fa è giunta a Porte Principe e si è riunita con il Presidente del paese per circa due ore per trovare in modo congiunto una soluzione alla grave crisi politica e sociale che attraversa il paese delle Antille caraibiche.

Lunedì 11 settembre il presidente della Repubblica Dominicana, Luis Abinader ha sospeso l’emissione di permessi di soggiorno per gli haitiani ed ha chiuso la frontiera con Haiti.

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Oggi al Ministero dell’Istruzione e del Merito saranno esposti i risultati del Rapporto OCSE “Education at a Glance 2023”. Interverrà anche il Ministro Giuseppe Valditara.

Seguite l’evento in diretta dalle 11.00 qui ▶ youtube.



In Cina e Asia – Kim Jong Un è arrivato in Russia: sul tavolo scambio di armi


In Cina e Asia – Kim Jong Un è arrivato in Russia: sul tavolo scambio di armi kim jong un
I titoli di oggi:

Kim Jong Un in visita in Russia: sul tavolo lo scambio di armi
Cina, le nuovi generazioni spendono sempre di più per il tempo libero
Indignazione per la cantante lirica cinese a Mariupol
Tifone Haiku a Hong Kong: scoperte strutture abusive in casa di lusso
Accuse di spionaggio tra Pechino, Washington e Canberra
Pechino e Caracas rafforzano la cooperazione economica
Filippine: Maria Ressa assolta da accuse di evasione

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G20, Arundhati Roy: “Biden, Macron sanno cosa succede in India ma tacciono”


I leader delle democrazie occidentali hanno preferito fingere di non essere a conoscenza delle violente repressioni delle minoranze etniche e religiose operate dal governo Modi. Lo aveva previsto la scrittrice e attivista autrice de “Il dio delle piccole

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di Valeria Cagnazzo

Pagine Esteri, 12 settembre 2023 – Tra il 9 e il 10 settembre scorsi, l’India di Narendra Modi ha accolto i leader Mondiali del G20. Al centro delle polemiche la “Dichiarazione finale” ratificata alla conclusione del summit, per le sue generiche condanne alla guerra senza nessun diretto riferimento alla Russia. Nell’agenda del documento, non vincolante per nessuno dei Paesi firmatari, anche lo sviluppo “green” e il cambiamento climatico, l’eliminazione della fame e della malnutrizione, l’uguaglianza di genere, le sfide digitali.

Per il Primo Ministro indiano Modi, nei panni del padrone di casa, un’occasione straordinaria per ribadire il ruolo strategico del Paese, che rappresenta la quinta economia mondiale, e soprattutto la sua figura politica, in grado di dialogare con i leader delle democrazie occidentali. Nonostante, secondo molti report di organizzazioni di diritti umani e le denunce di attivisti e intellettuali da tutto il mondo, il suo governo abbia applicato il bavaglio ai dissidenti, messo in carcere gli oppositori politici e represso nel sangue le minoranze etniche e religiose, prima tra tutte quella musulmana.

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Arundhati Roy

Di queste contraddizioni, alla vigilia del G20, aveva parlato ad Al Jazeera la scrittrice e attivista Arundhati Roy, da sempre estremamente critica nei confronti del governo di Modi.

Anche in questa occasione, l’autrice conosciuta nel mondo per il romanzo “Il dio delle piccole cose”, non ha mancato di denunciare i crimini commessi dal governo del suo Paese ai danni delle minoranze e dei più poveri, ma non ha neppure risparmiato i Premier dei governi occidentali che si sono riuniti a New Delhi, ipocriti complici di una dittatura in nome dei propri interessi.

“A nessuno importa” di quello che succede in India, ha dichiarato la scrittrice al giornale. “C’è il G20 e ognuno cercherà di ricavarne un’opportunità, un accordo commerciale, un accordo per una fornitura d’armi, un’intesa di strategia geopolitica”, ha predetto, alla vigilia del summit. “Non è che le singole persone che stanno arrivando qui, che si tratti di capi di Stato o di chiunque altro, non sappiano cosa succede qui. In Paesi come gli Stati Uniti, la Francia, il Regno Unito, i media mainstream sono stati molto critici su quello che sta accadendo in India, ma i governi poi hanno una loro agenda ben diversa.”

Un’agenda che, di fatto, non ha compreso i diritti delle minoranze in India, né le condizioni di vita degli abitanti delle periferie più degradate di New Delhi – che di fatto, prima dell’inizio del summit, sono state ripulite dei loro residenti e abbellite, affinché lo sguardo dei media mondiali non potesse incrinare in queste ore l’immagine edulcorata che Modi stava cercando di dare del suo paese sui palchi del G20.

“Penso che la cosa interessante sia che se tu fossi a Delhi, come me adesso, se guardassi le pubblicità, i manifesti, se vedessi tutti i preparativi che si stanno facendo per il G20, tu saresti perdonato se pensassi che non sia il governo indiano a ospitare il G20, ma il Partito Bharatiya Janata (BJP). Su ogni singolo striscione c’è un grande loto, che è il simbolo di un partito politico, Il BJP di Modi”.

Di fatto, ovunque l’immagine stilizzata di un loto addobba i loghi del G20. Anche il documento finale dei leader mondiali ha una peculiare prima pagina, in cui si succedono fiori di loto colorati che ricordano molto delle uova di Pasqua fuori stagione.

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“E’ così pericoloso che il Paese, la Nazione, il governo e le sue istituzioni siano stati tutti confusi con il partito di governo. E che il partito di governo sia stato confuso con Modi, un singolo individuo. E infatti, un partito di governo adesso esiste a malapena, adesso c’è solo un governante. Quindi è come se fosse Modi a ospitare il G20”.

Poi la denuncia su quello che è accaduto dietro alle quinte di un Paese che si preparava a ricevere i leader mondiali: “Le città sono state epurate dai poveri. Gli slums sono stati ripuliti. Le strade sono chiuse, il traffico è silenziato. E’ tutto silenzioso come la morte. E’ come se lui (Modi, ndr) si vergognasse così tanto di noi, di come la città è realmente. E’ stata purgata e sigillata per quest’evento.”

Tutto per “una questione di vanità”, ha detto Roy a proposito di Narendra Modi. “E’ pronto a fare le piroette, e siamo proprio alle porte delle elezioni. Quest’evento non farà che foraggiare la sua campagna. Tutti questi leader occidentali che parlano di democrazie – intendo, tu puoi anche perdonare qualcuno come Trump, perché lui non crede nella democrazia – ma Biden, Macron, tutte queste persone che parlano di democrazia, sanno esattamente cosa sta succedendo qui. Sanno che i musulmani sono stati massacrati, che le case dei musulmani che hanno protestato sono state distrutte dai bulldozer, il che significa che tutte le istituzioni pubbliche – tribunali, magistrati, stampa – sono collusi in questo. Sanno che i musulmani in alcune città hanno delle croci dipinte sulle loro porte (come contrassegni, ndr) e che viene chiesto loro di lasciare le loro case. Sanno che i musulmani sono stati ghettizzati. E che le persone accusate di linciare, di uccidere i musulmani sono adesso alla guida di cosiddette processioni “religiose” all’interno di questi ghetti. Sanno che ci sono delle guardie armate di spade lì fuori, che chiamano all’annientamento (delle comunità musulmane, ndr), allo stupro di massa delle donne musulmane. Sanno tutto questo, ma non gli importa, perché come sempre per alcuni Paesi occidentali, è “democrazia per noi” e “dittatura o qualsiasi altra cosa sia per i nostri amici non bianchi”.

In un ipotetico discorso di apertura del G20, qualora fosse stata invitata ad averne uno, Roy ha immaginato che avrebbe detto che “Sarebbe sconsiderato pensare che il processo che sta portando un Paese di 1,4 miliardi di persone, e che un tempo era una democrazia imperfetta, a cadere in quella che si può solo definire con la parola “fascismo” non influenzerà il resto del mondo”. “Il mio non sarebbe un grido di aiuto”, ha spiegato la scrittrice. “Sarebbe piuttosto dire: Guarda intorno a ciò che sei, a quello che stai contribuendo a creare”.”. E ricorda di quando nel 2002, dopo il massacro anti-musulmano del Gujarat, l’intelligence di Paesi occidentali come il Regno Unito considerava Modi responsabile di “pulizia etnica” e gli era vietato di viaggiare verso gli Stati Uniti. “Adesso è tutto dimenticato, ma si tratta dello stesso uomo”, sottolinea Roy. “E ogni volta che qualcuno gli concede questo spazio per fare piroette e afferma che solo uno come lui avrebbe potuto portare queste persone potenti in India, quel messaggio amplificato dai nostri canali servili, alimenta un senso di insicurezza nazionale, di inferiorità e falsa vanità.”. Un pericolo che, secondo la scrittrice, “non sarà un problema solo per l’India”.

“Anche se abbiamo le elezioni, non ci chiamerei più una democrazia”. La propaganda del partito al potere avrebbe provocato una trasformazione sociale che rende più insidiosamente pericolose le cose per le minoranze residenti in India, ovvero la popolazione non indù. Soprattutto nella stagione delle elezioni alle porte. “Quando dico che “Siamo giunti a una fase diversa adesso”, intendo dire che non è più solo la leadership che dobbiamo temere, ma una parte di questa popolazione indottrinata che è stata resa pericolosa per le minoranze. La violenza non si limita più ai pogrom orchestrati dal governo. Stiamo assistendo incidente dopo incidente alla banalità del male, come l’avrebbe definita Hannah Arendt. Il mondo intero ha visto il video di una piccola classe di scuola nel nord dell’India dove l’insegnante fa alzare in piedi un ragazzino musulmano di sette anni e fa avvicinare tutti gli altri bambini indù a prenderlo a schiaffi”.

“Persone accusate di omicidio, linciaggio, di aver bruciato vivi giovani musulmani, che adesso conducono processioni religiose”, ripete Roy, “Abbiamo una situazione in cui la costituzione è stata più o meno messa da parte. Se vincono le elezioni l’anno prossimo, nel 2026, ci sarà la cosiddetta “delimitazione”, una sorta di manipolazione in cui il numero dei seggi e la geografia dei collegi elettorali sarà modificata, e la componente di lingua indù (in cui il partito BJP è quello più potente), otterrà ancora più seggi”.

“Siamo in una situazione in cui si parla di una nazione, una lingua, una elezione. Ma in realtà, siamo in una situazione in cui abbiamo un dittatore”. E conclude: “Lo stato dell’India è molto precario, molto contestato. Ci troviamo in una situazione in cui la Costituzione è stata effettivamente messa da parte. Ci troviamo in una situazione in cui il BJP è oggi uno dei partiti politici più ricchi del mondo. E tutta la macchina elettorale è più o meno compromessa. Eppure – non solo a causa della violenza contro le minoranze – ma anche a causa della disoccupazione e poiché viviamo in una delle società più diseguali del mondo, abbiamo un’opposizione che si sta formando. Questo governo cerca di schiacciarla perché non crede che debba esserci un’opposizione. Siamo in un momento di cambiamento e non ci aspettiamo che qualcuno al di fuori dell’India si alzi e se ne accorga, perché tutti i loro occhi hanno il simbolo del dollaro sopra e guardano tutti solo a questo Paese come un enorme mercato di un miliardo di persone. Ma si sa, non ci sarà un mercato quando questo Paese scivolerà nel caos e nella guerra, come è già successo in posti come il Manipur. Ciò di cui non si rendono conto è che questo mercato non esisterà più quando questo grande Paese cadrà nel caos. La bellezza e la grandezza dell’India stanno venendo ridotte a qualcosa di piccolo, ringhioso, meschino e violento. E quando tutto questo esploderà, penso che non ci sarà niente di simile”.

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PRIVACYDAILY


N. 158/2023 LE TRE NEWS DI OGGI: Auto connesse uguale tanti nuovi servizi a nostra disposizione: ci fanno sentire la musica preferita, danno indicazioni aggiornate su traffico e meteo e ci permettono di controllare a distanza tante cose. Appare tutto molto bello ma Mozilla Foundation lancia l’allarme: questi veicoli raccolgono tantissime informazioni – anche personali... Continue reading →


Good morning Vietnam. Biden e Hanoi, amici per forza


Good morning Vietnam. Biden e Hanoi, amici per forza 9218580
Momento storico: per la prima volta un leader degli Stati Uniti entra nella sede centrale del Partito comunista vietnamita, accolto dal segretario generale Nguyen Phu Trong. Hanoi rafforza il rapporto con l'antico nemico, ma prova a rassicurare Russia e Cina

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Domani, martedì 12 settembre alle ore 11.00, presso la sala Aldo Moro del Ministero saranno esposti i risultati del Rapporto OCSE “Education at a Glance 2023”, con l’intervento iniziale del Ministro Giuseppe Valditara.


Indignazione morale e gogna social, il caso del “killer” dell’orsa Amarena


Una società in cui l’uomo che uccide l’animale è definito “assassino” e la morte di un’orsa viene paragonata ad un femminicidio è una società che ha smarrito il senso della misura, e forse anche quello della realtà. È la logica dei social, ormai evidentem
Una società in cui l’uomo che uccide l’animale è definito “assassino” e la morte di un’orsa viene paragonata ad un femminicidio è una società che ha smarrito il senso della misura, e forse anche quello della realtà. È la logica dei social, ormai evidentemente diventata logica generale.

Come ha magistralmente documentato il reporter del New York Times Max Fisher ne “La macchina del caos”, i social si nutrono, e di conseguenza diffondono, prevalentemente sentimenti d’odio, alimentano il senso dell’indignazione morale, ripristinano e istituzionalizzano l’istituto medievale della gogna.

Sui social, e di conseguenza (cosa che la dice lunga circa i meccanismi dell’informazione contemporanea) sui media tradizionali e nel mondo politico, la vicenda dell’orsa Amarena è letteralmente esplosa non tanto sulla spinta del dolore nei confronti dell’animale ucciso, quanto sulla spinta dell’esaltazione al linciaggio dell’uomo che, si immagina per paura più che sadismo, le ha sparato un colpo di fucile. L’uomo si chiama Andrea Leonbruni. Ha 56 anni e, cosa che molti, nell’epoca in cui sempre più persone ritengono che il mangiare carne animale sia una forma di cannibalismo, hanno considerato un’aggravante, di mestiere fa il macellaio.

Sui social sono stati pubblicati il suo nome, la sua foto, l’indirizzo della sua macelleria, l’indirizzo della sua abitazione. Una massa umana prevalentemente anonima lo ha ferocemente insultato, lo ha chiamato “killer”, lo ha minacciato di morte assieme ai suoi familiari. Stesso trattamento è stato riservato all’avvocato che lo difende, Berardino Terra, del foro di Avezzano. Leonbruni vive oggi scortato dai carabinieri; il suo avvocato, pur avendo ricevuto minacce di morte sul telefono di casa, no. Non ancora.

Nel suo libro, che ricostruisce con precisione la storia delle dinamiche dei social, Max Fischer elenca una quantità di casi analoghi. Persone comuni messe alla gogna per una battuta giudicata politicamente scorretta o, come nel caso di Andrea Leonbruni, per un’azione penalmente rilevante. Persone comuni minacciate di morte da migliaia di sconosciuti, costrette a cambiare residenza, licenziate dai propri datori di lavoro terrorizzati dalle ricadute di tanta impopolarità, e in molti casi indotte al suicidio. “L’indignazione morale non è soltanto rabbia verso il trasgressore, ma il desiderio di vedere l’intera comunità scagliarsi contro di lui”, scrive Max Fisher. Un desiderio di violenza, un sentimento da frustrati. Rabbia allo stato puro.

La nostra civiltà è così regredita alla gogna medievale, all’impiccagione in stile selvaggio West. Di questo, più che della morte della povera orsa, una società vagamente sana parlerebbe da giorni. Il fatto che, salvo rarissimi casi, e il direttore Mattia Feltri è tra questi, ciò non accada dà la misura del grado di imbarbarimento e di scombussolamento etico che le società contemporanee stanno vivendo anche e soprattutto a causa dei social, dell’anarchia che ancora li caratterizza, dall’irresponsabilità che accomuna le compagnie del Web e i loro singoli utenti.


L'articolo Indignazione morale e gogna social, il caso del “killer” dell’orsa Amarena proviene da Fondazione Luigi Einaudi.



LIBIA. Cedono le dighe a causa della tempesta: migliaia di morti e dispersi


L'uragano "Daniel" causa devastazione e la distruzione di interi quartieri nella zona orientale del Paese. Tantissimi i dispersi. L'articolo LIBIA. Cedono le dighe a causa della tempesta: migliaia di morti e dispersi proviene da Pagine Esteri. https://p

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Pagine Esteri, 11 settembre 2023. Sono centinaia, secondo la Mezzaluna Rossa, le persone uccise nella città di Derna dalle conseguenze della terribile tempesta che si è abbattuta sulla zona orientale della Libia. Le inondazioni causate dalle forti piogge portate dalla bufera soprannominata “Daniel” hanno causato gravissimi danni alle città, alle infrastrutture, alle abitazioni.

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I video postati sui socialnetwork mostrano persone rifugiatesi sui tetti delle case in attesa dei soccorsi. Le abitazioni sono state completamente sopraffatte dall’acqua che ha raggiunto i tre metri.

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Il numero dei morti, però, potrebbe essere tragicamente più alto: Osama Hamad, il primo ministro del governo della Cirenaica, con sede a Bengasi, ha dichiarato che sono più di 2.000 i morti e che di diverse migliaia è il numero dei dispersi.

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La città di Derna è circondata dalle montagne. Alcune delle dighe che trattengono le acque sono crollate. Milioni di metri cubi di acqua si sono riversati nella città, distruggendone interi quartieri.

La tempesta “Daniel” ha colpito domenica e lunedì le città Bengasi, Susa, Bayda, al-Marj e Derna.

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La presidente dell’esecutivo europeo pronuncerà il prossimo mercoledì (13 settembre) pronuncerà l’annuale discorso sullo stato dell’Unione che caratterizzerà l’ultimo anno dell’esecutivo europeo in carica il cui mandato scadrà il 31 ottobre 2024. Nei giorni scorsi, la Commissione UE ha diramato...


Oggi nel cinquantesimo anniversario dell'assassinio è doveroso ricordare che il legittimo governo del presidente Salvador Allende fu rovesciato con un colpo di

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  Paolo Ferrero* 50 anni fa il Cile subiva il colpo di stato delle forze armate contro Salvador Allende, presidente socialista legittimamente eletto.


Oggi nel cinquantesimo anniversario dell'assassinio è doveroso ricordare che il legittimo governo del presidente Salvador Allende fu rovesciato con un colpo di


Laura Tussi *   Brics, 'mattoni' per costruire una casa mondiale comune. All’ultimo vertice Brics che si è tenuto dal 22 al 24 agosto 2023 in S


La Vergine di Norimberga: un Falso


La Vergine di Norimberga ha suscitato le più sfrenate fantasie della cultura di massa, ancora di più della Pear of Anguish, ed è presente in qualsiasi museo della tortura in Italia e all’Estero. Spacciata come strumento medievale,Continue reading

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LIBANO. Salito a 8 morti bilancio scontri nel campo palestinese di Ain al Hilweh


Già il mese scorso, i combattimenti avevano causato 11 morti e decine di feriti. L'articolo LIBANO. Salito a 8 morti bilancio scontri nel campo palestinese di Ain al Hilweh proviene da Pagine Esteri. https://pagineesteri.it/2023/09/11/medioriente/video-

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AGGIORNAMENTO 11 SETTEMBRE

È salito a 8 il bilancio delle vittime negli scontri a fuoco in corso nel campo profughi palestinese di Ain al-Hilweh (Sidone) tra i combattenti del movimento Fatah – guidato dal presidente palestinese Abu Mazen – e gruppi qaedisti e jihadisti. Inoltre, cinque soldati dell’esercito libanese sono rimasti feriti dopo che due colpi di mortaio hanno colpito le loro basi adiacenti al campo. Uno è in gravi condizioni.

Gli scontri a fuoco sono in corso da giovedì e arrivano poco più di un mese dopo che combattimenti simili nel campo avevano ucciso 11 persone e costretto centinaia di civili a fuggire dalle loro case.

Tra gli otto morti c’è anche un civile raggiunto da un proiettile vagante. Gli scontri hanno causato il ferimento di oltre 100 persone. Ieri sera piccoli razzi sono caduti sui quartieri di Sidone intorno al campo, ferendo diverse persone.

I combattimenti hanno costretto a rinviare l’inizio dell’anno scolastico nel campo profughi e nella zona circostante.

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della redazione

Pagine Esteri, 8 settembre 2023 – Un cessate il fuoco è stato raggiunto oggi tra il partito Fatah e le fazioni islamiste armate nel campo profughi palestinese in Libano di Ain al Hilweh (Sidone), dopo ore di scontri che hanno fatto almeno 20 feriti, costretto a fuggire centinaia di civili e che si sono attenuati solo questa sera. La tregua è stata raggiunta dopo gli sforzi di mediazione guidati da Souhail Harb, direttore dei servizi segreti dell’esercito libanese nel sud, che ha organizzato un incontro tra Fatah e funzionari di Hamas.

Il mese scorso violente sparatorie nel campo profughi, dopo l’omicidio di Abu Ashraf al-Armoushi, il capo locale della sicurezza di Fatah, avevano provocato 13 morti, in gran parte combattenti armati. Un comandante militare di Fatah, Sobhi Abu Arab, ha chiesto oggi la consegna degli assassini di Al-Armoushi e delle sue quattro guardie del corpo uccisi in un’apparente serie di omicidi mirati attribuiti al miliziano jihadista Bilal Badr, dell’Isis.

La situazione si è fatta ulteriormente critica per i civili palestinesi poiché i gruppi armati islamisti, Fatah al Islam e Jund al Sham, hanno occupato diverse scuole. Il Coordinatore Umanitario delle Nazioni Unite per il Libano, Imran Riza, ha chiesto la fine dei combattimenti e l’espulsione delle fazioni armate dalle scuole. “L’occupazione di otto scuole dell’Unrwa (Onu) sta impedendo l’accesso a quasi 6.000 bambini pronti a iniziare l’anno scolastico”, ha aggiunto Riza.

I nuovi scontri erano iniziati nella notte di giovedì, con spari di armi automatiche che hanno raggiunto anche i quartieri vicini al campo profughi. Fatah in quelle ore ha detto al giornale L’Orient Today che i suoi combattenti stavano “difendendo” la loro posizione essendo stati “presi di mira da colpi di arma da fuoco e razzi degli estremisti islamici” all’ingresso nord del campo. Un proiettile vagante ha ferito un uomo che si trovava fuori dalla zona di combattimento, nel rione di Taamir. Circa 700 persone hanno cercato rifugio nella moschea al-Mousalli.

Ain al-Hilweh, il più grande campo profughi palestinese del Libano, ospita più di 54.000 rifugiati. A loro si sono aggiunti negli ultimi anni migliaia di altri profughi palestinesi in fuga dalla guerra in Siria. Il campo, densamente popolato, è da anni teatro di sparatorie dovute a tensioni tra le varie fazioni armate palestinesi. Pagine Esteri

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Podcast Punk !


The Saint and allkillersnofillers present: The Adventure with the Saint episodi n°44 Judith Il miglior podcast rocknroll del globo terracqueo !!!! @Musica Agorà

iyezine.com/the-saint-and-allk…

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50 anni fa il golpe di Pinochet, quando la ferocia si abbatté sul Cile e sul mondo


Nel 1973 il colpo di Stato che rovesciò il governo del presidente socialista Salvador Allende. Oggi l'eredità della dittatura è ancora ben presente, così come i tentativi esteri di controllo sulle economie recalcitranti dell’America latina L'articolo 50

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di Geraldina Colotti* –

Pagine Esteri, 11 settembre 2023. Il 4 settembre del 1970, in piena “guerra fredda”, si tengono le elezioni presidenziali in Cile. Nessun candidato ottiene la maggioranza assoluta e perciò, in base alla Costituzione del 1925, il Congresso sceglie fra i due più votati. Un accordo fra i cristiano-democratici del presidente uscente, Eduardo Frei e le sinistre – che, dal 1969, hanno dato origine alla coalizione di Unità popolare (Up), per impulso del Partito socialista e del Partito comunista – porta alla vittoria Salvador Allende, chirurgo e uomo politico socialista: con una maggioranza relativa di solo il 36,6% dei voti sui candidati di destra e democristiani.

Allende non è uno sconosciuto, ha già corso per la presidenza in altre tre occasioni. Nella temperie del secolo scorso – il secolo delle rivoluzioni -, il suo programma non contempla una rivoluzione sul modello cubano, ma una transizione verso il socialismo per la via istituzionale: con il coinvolgimento attivo delle classi popolari e del movimento operaio attorno a un piano di riforme strutturali.

Il suo pacchetto di quaranta misure, approvate subito dopo il 3 novembre, quando si insedia il nuovo governo, prevede la riforma agraria, le nazionalizzazioni di aziende, miniere (soprattutto quelle del rame, di cui il Cile possiede le prime riserve al mondo) e di banche; la ridistribuzione del reddito e la partecipazione dei lavoratori alla gestione dell’economia.

Tre giorni dopo l’assunzione d’incarico di Allende, il suo omologo statunitense, Richard Nixon, dichiara che il Cile è la sua principale preoccupazione, giacché gli Usa non possono permettere che l’esempio si diffonda nel loro “cortile di casa” senza conseguenze. Henry Kissinger, Consigliere per la sicurezza nazionale Usa, ha già reso esplicito l’orientamento del governo e della Cia, qualche mese prima dell’elezione di Allende: “Non vedo perché dobbiamo aspettare e permettere che un paese diventi comunista solo per l’irresponsabilità del suo popolo”, ha dichiarato.

Comincia, allora, con più forza, il processo di disarticolazione istituzionale del Cile, organizzato dalla Casa bianca. Attraverso giganteschi finanziamenti, Washington si serve della borghesia e dei latifondisti, di alcune grandi multinazionali, e delle Forze armate, addestrate nelle scuole di tortura nordamericane. A differenza di quanto sostengono la sinistra extraparlamentare e specialmente il Movimento della sinistra rivoluzionaria (Mir), diretto allora da Miguel Enríquez, Up pensa che i militari rispetteranno la volontà popolare. Si sbaglia.

Contro il “pericolo rosso” e un presidente che ha preso spazio sulla scena internazionale con un preciso ruolo anticolonialista, la guerra sporca darà i suoi frutti a colpi di sabotaggi, inflazione indotta e propaganda mediatica diretta ai ceti medi e al cattolicesimo nazional-conservatore. E di attentati, compiuti da Patria e Libertà. Nel ’72, gli aiuti militari rimangono l’unica forma di assistenza fornita da Washington, che si oppone anche alla possibilità che il Cile rinegozi il debito estero. Gli Usa hanno deciso di “far urlare l’economia cilena”.

Il 29 giugno del 1973, i militari fedeli al governo socialista sventano un tentativo di golpe a Santiago (“el Tanquetazo”). L’11 settembre 1973, il governo Usa, sostenuto anche dalla dittatura militare brasiliana, raggiunge però l’obiettivo: diversi settori delle forze armate effettuano un colpo di stato. Allende, con un gruppo di compagni, si rifugia nel palazzo della Moneda e combatte fino all’ultimo. La fine, è nota, almeno per la verità di Stato: il presidente socialista si sarebbe sparato prima di essere catturato. Secondo varie inchieste, invece, sarebbe stato ucciso durante i combattimenti, lasciando nei suoi ultimi discorsi pubblici, un messaggio di resistenza.

La fine è nota, almeno per la scia di sangue che la dittatura militare guidata da Pinochet ha lasciato nei 16 anni in cui ha imperversato, sostanziata a livello economico dalle politiche dei “Chicago Boys”: l’assassinio di almeno 3200 persone, fra cui oltre un migliaio di desaparecidos, e altre migliaia di esuli.

La “primavera allendista” è durata solo tre anni, ma è rimasta uno spartiacque e anche un monito per quanti, nel continente, hanno provato a ricostruire un blocco sociale alternativo al neoliberismo dilagato dopo la caduta dell’Unione sovietica. La destra latinoamericana non ha mai dismesso la vocazione golpista, poi evoluta nelle forme del “golpe istituzionale” e nell’uso della magistratura a fini politici (il lawfare). E i governi che hanno inaugurato il “ciclo progressista” dopo la vittoria di Hugo Chávez in Venezuela (nel 1998), hanno dovuto prendere sul serio la “lezione” di Allende.

In forme più spinte o modulate, hanno messo in primo piano la necessità di democratizzare le forze armate, istituendo, a livello regionale, scuole di formazioni militari, alternative a quella nordamericana che ha addestrato i dittatori del Cono Sur. L’esempio più avanzato è il Venezuela, dove “l’unione civico-militare” ha trasformato i militari in un “esercito di tutto il popolo” al servizio della “pace con giustizia sociale”; ma il risultato più importante è quello del Brasile, dove si è cercato di invertire di segno alla dottrina militare di matrice Usa, imponendone un’altra a livello regionale. Infatti, nonostante le pressioni di Trump, e malgrado la persistente eredità della dittatura, le forze armate brasiliane non hanno accettato di invadere il Venezuela nel 2009, né hanno effettuato un altro golpe in Brasile agli ordini di Bolsonaro.

A cinquant’anni dall’uccisione di Allende, e dopo il dilagare dello slogan thatcheriano “there is no alternative”, la sinistra latinoamericana ha verificato che le alternative al neoliberismo esistono, ma si devono difendere con le unghie e con i denti. E che, soprattutto, il modello imposto da Washington, a 200 anni dalla Dottrina Monroe, serve solo al beneficio di pochi. Certo, nell’interludio tra la notte e l’alba, avvertiva Gramsci, sorgono mostri. L’eredità delle dittature è ancora ben presente, e la difesa del presidente cileno Gabriel Boric poggia su basi ben più friabili di quella di Up.

E lo scoglio insormontabile per qualsivoglia vero cambio di indirizzo, in Cile, resta sempre la costituzione imposta da Pinochet. Nel 2020, il 78% degli elettori aveva chiesto con un referendum che venisse cambiata. A settembre del 2022, però, il testo proposto da Boric, frutto di avanzate proposte della base, relative alla parità di genere, alla difesa dell’ambiente e al riconoscimento dell’identità dei popoli originari, è stato bocciato dalle urne con il 62% dei voti, dopo una feroce campagna mediatica.

E una preponderanza schiacciante della destra e dell’estrema destra pinochettista ha visto anche l’elezione dei 50 membri del Consiglio costituzionale, che porteranno un testo a misura di sistema al referendum del 17 dicembre, inizialmente previsto per novembre. Privo di maggioranza parlamentare, il governo Boric, sotto ricatto dei sempiterni poteri forti che comprimono il Cile, cerca di rosicchiare a colpi di compromessi qualche brandello di riforma. Non è, però, riuscito a incarnare le speranze suscitate dalla sua elezione, a dicembre del 2021, quando fu il presidente più votato nella storia del paese.

Durante una cerimonia in vista del cinquantennale del golpe, alcuni degli invitati internazionali hanno paragonato il governo Allende con quello di Boric. Un accostamento inopinato, non solo per la provenienza del giovane presidente dalle componenti più moderate della lotta degli studenti, nel 2011, ma soprattutto per le sue posizioni in politica estera, più attente a cercare intese con l’occidente e l’Europa che con la parte più avanzata del continente latinoamericano.

La scrittrice nicaraguense Gioconda Belli, ex guerrigliera che preferisce vivere negli Stati uniti da oppositrice del governo sandinista, ha lodato Boric: “un gran democratico e un gran socialista” – ha detto – per aver dichiarato che “il regime di Daniel Ortega viola i diritti umani e non è democratico”. Un giudizio che il presidente cileno ha riservato anche ad altri governi lontani dagli Usa, come Cuba e Venezuela, soprassedendo sulle denunce inascoltate alla violenza dei carabineros. Difficile che Allende, socialista e antimperialista, apprezzerebbe.

Intanto, in Cile come in altre parti dell’America latina, il fascismo non ha complessi di colpa. Pinochet morì nel suo letto nel 2006, ma a rimpiangerlo e ad ammirare la dittatura è il capofila dell’estrema destra cilena, José Antonio Kast. Come lui la pensa, secondo una recente inchiesta, il 36% della popolazione, convinta che il golpe contro Allende fosse motivato, a fronte del 16% per cento che lo pensava nel 2013. E alle ultime primarie in Argentina ha stravinto un ultra-trumpista che rivendica senza vergogna la dittatura militare, Javier Milei.

Mediante l’imposizione di misure coercitive unilaterali illegali, gli Stati uniti e i loro alleati continuano a “far urlare” le economie recalcitranti dell’America latina, pensando, in fondo come Kissinger allora: occorre evitare che l’esempio si estenda. Nei momenti più duri dell’assedio nordamericano, il Venezuela di oggi assomigliava in modo impressionante al Cile dell’Unidad Popular, così descritto da Isabel Allende nel romanzo La casa degli Spiriti:

“L’organizzazione era una necessità, perché la strada verso il Socialismo molto presto si trasformò in un campo di battaglia (…) la destra metteva in campo una serie di azioni strategiche volte a fare a pezzi l’economia e seminare il discredito contro il Governo.

La destra aveva nelle sue mani i mezzi di diffusione più potenti, contava con risorse economiche quasi illimitate e con l’aiuto dei ‘gringos’, che mettevano a disposizione fondi segreti per il piano di sabotaggio. A distanza di pochi mesi sarebbe stato possibile osservarne i risultati.

Il popolo si trovò per la prima volta con sufficiente denaro per soddisfare le proprie fondamentali necessità e per comprare alcune cose che sempre aveva desiderato, ma non poteva farlo, perché gli scaffali erano quasi vuoti.

La distribuzione dei prodotti cominciò a venire meno, fino a quando non divenne un incubo collettivo…”.

I meccanismi della guerra economico-finanziaria, oggi egemoni rispetto alle aggressioni militari della “guerra fredda”, sono però già parte integrante delle analisi e delle strategie politiche delle nuove esperienze latinoamericane: che, nelle loro parti più avanzate, mirano a costruire una nuova articolazione di lotta, “dal basso e dall’alto”, ispirandosi al Lenin di Due tattiche della socialdemocrazia nella rivoluzione democratica.

A differenza di quanto avviene da noi, dove non siamo riusciti a vincere né con le armi, né con le urne, e dove la lezione di Allende si è ridotta a difesa acritica di alleanze e compatibilità nella democrazia borghese, la guerra per la memoria è ancora un terreno di lotta politica per nuove prospettive. Pagine Esteri


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* Giornalista e scrittrice, Geraldina Colotti è nata a Ventimiglia. Ha vissuto a lungo a Parigi, oggi vive e lavora a Roma. Dopo aver scontato una condanna a 27 anni di carcere per la sua militanza nelle Brigate Rosse, cura la versione italiana del mensile di politica internazionale Le Monde diplomatique. Esperta di America Latina, scrive per diversi quotidiani e riviste internazionali (Al Mayadeen, Venezuela news). È corrispondente per l’Europa di Resumen Latinoamericano e del Cuatro F, la rivista del Partito Socialista Unito del Venezuela (PSUV). Fa parte della segreteria internazionale del Consejo Nacional y Internacional de la comunicación Popular (CONAICOP), delle Brigate Internazionali della Comunicazione Solidale (BRICS-PSUV), della Rete Europea di Solidarietà con la Rivoluzione Bolivariana e della Rete degli Intellettuali in difesa dell’Umanità.

Di formazione filosofica, ha pubblicato libri per ragazzi (tra questi Il segreto, edito da Mondadori), raccolte di racconti e di poesie, romanzi e saggi, tradotti in diverse lingue, fra cui Per caso ho ucciso la noia (Voland), e Certificato di esistenza in vita (Bompiani). Insieme a Marie-José Hoyet ha tradotto dal francese due libri di Édouard Glissant, Tutto-mondo (Edizioni lavoro), e La Lézarde (Jaca Book). Tra i suoi saggi, pubblicati anche in Venezuela, Oscar Arnulfo Romero, beato fra i poveri (Clichy); Dopo Chávez. Come nascono le bandiere (Jaca Book); Hugo Chávez, così è cominciata (PGreco). Con Veronica Diaz e Gustavo Villapol, Assedio al Venezuela (Mimesis). Per le edizioni Multimage ha curato il volume Alex Saab, lettere di un sequestrato. Con Vittoria Rubini ha tradotto e curato il volume Guerriglia semiotica, di Fernando Buen Abad, edito da Argo libri.

La sua ultima raccolta di poesie s’intitola Quel sole e quel cielo, edita da La Città del sole. Insieme a Gabriele Frasca e a Lucidi ha curato l’antologia Poesía contra el bloqueo, pubblicata come e-book in Italia (Argo libri), a Cuba (Coleccion Sur dell’Uneac, con il supporto della Rete degli Intellettuali in Difesa dell’Umanità, capitolo cubano, e il patrocinio del Festival Internazionale di Poesia dell’Avana), e in Venezuela da Vadell hermanos.

Ha curato l’edizione italiana di Il credo, di Aquiles Nazoa (PGreco)

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#NotiziePerLaScuola

È disponibile il nuovo numero della newsletter del Ministero dell’Istruzione e del Merito.



In Cina e Asia – Biden incontra Li Qiang: "Non voglio contenere la Cina”


In Cina e Asia – Biden incontra Li Qiang: biden
I titoli di oggi:
G20, il premier inglese incontra la controparte cinese
L'India studia le possibili risposte a un'eventuale invasione cinese di Taiwan
Corea del Nord, Kim festeggia l'anniversario della fondazione
Il Vietnam cerca le armi russe, ma eleva le relazioni con gli Usa
Il Canada manda la marina nello Stretto di Taiwan e avvia un'indagine sulle "interferenze straniere"
Filippine e Australia firmano un partenariato strategico
Maldive, nessun vincitore alle elezioni presidenziali: si va al ballottaggio
Alibaba, si dimette il Ceo Daniel Zhang

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PRIVACYDAILY


N. 157/2023 LE TRE NEWS DI OGGI: La Corte Costituzionale ha sostenuto il diritto al rispetto della vita privata e della libertà di comunicazione, stabilendo che la violazione dei diritti fondamentali di un detenuto nella piattaforma giudiziaria digitale UYAP è stata la trascrizione delle sue lettere.La decisione è stata presa dopo che Muammer Kukul, un... Continue reading →


La privacy non è solo gestione dei dati personali, ma è alla base del principio di autodeterminazione, il quale a sua volta impatta su molti di quei diritti umani che oggi sembrano essere sotto attacco.

@Privacy Pride

Prossimamente vedremo perché la recente revoca della sentenza emessa nel 1973 dalla Corte Suprema degli USA sul caso Roe vs. Wade, ha avuto ripercussioni drammatiche sul diritto all'aborto delle donne.

Ma oggi ci deliziamo con questa scena originale del film "Il Rapporto Pelikan" (non mi sembra che sia presente nel romanzo di John Grisham) che illustra bene l'impatto che il diritto alla privacy ha sulle nostre vite.

Prof - Ogni volta che sostituiamo la minaccia alla discussione, la violenza al principio, permettiamo alle nostre passioni di sopraffare la nostra capacità di giudizio.
Passioni e interesse personale costituiscono una minaccia alla libertà, il ché ci porta a... Bowers contro Hardwick.
Un poliziotto è entrato nell'appartamento di Hardwick, a quanto pare per consegnargli una multa non pagata per avere bevuto in pubblico.
Era stato preso con una birra aperta e, quando è entrato nella camera da letto di Hardwick, casualmente l'ha trovato a letto con un altro uomo.
L'agente ha arrestato Hardwick per violazione dello Statuto della Georgia che vieta la sodomia.
Anche se la Georgia ha ritirato l'accusa, Hardwick ha fatto causa dichiarando anticostituzionale lo statuto e che cosa sosteneva?


Stud. 1 - "Che viola il suo diritto alla #privacy!"

Prof - Perché?

Stud. 2 - "Perché era in casa sua, dove ha il diritto di fare quello che vuole!"

Prof - Ma... e se decidesse di vendere droga a casa sua o anche di maltrattare un minore?

Stud. 3 - "Quelle azioni non rientrano nel diritto alla privacy: la Corte a cominciare da Griswold (il riferimento è alla Sentenza Griswold v. Connecticut, ndr)ha limitato il diritto alla privacy ad azioni di natura intima, profondamente personali; azioni che ci consentono di controllare la nostra vita: di definire chi siamo."

Prof - Sì, ma nella Costituzione non c'è alcun diritto alla definizione di sé stessi, né un diritto alla privacy nella dichiarazione dei diritti.

Stud. 4 - "Se la Georgia può regolamentare la sessualità di Hardwick, agìta in privato e con adulti consenzienti, Hardwick non è libero! La costituzione è stata redatta per limitare il governo: senza un diritto alla privacy, se la Georgia imponesse il suo statuto, verrebbe sacrificata la libertà che la Costituzione ci garantisce"

Prof - Beh... la Corte Suprema le ha dato torto, signorina. Ha ritenuto che lo Statuto non violasse il diritto alla privacy. Sa dire perché?

Stud. 4 - "Perché ha sbagliato!"

Qui lo stralcio integrale della scena, con Julia Roberts nella parte di Darby Shaw (stud. 4) e Sam Shepard nel ruolo di Thomas Callahan (il prof.)

invidious.fdn.fr/watch?v=Cs_Gy…

(questo il link su youtube)

Questa voce è stata modificata (2 anni fa)
in reply to banana_meccanica

@banana_meccanica

> La società è altamente fottuta nei riguardi della privacy

La società non sarà fottuta se i suoi individui sapranno lottare (e lottare non è una metafora) per salvaguardarla, riparando o almeno contenendo i danni che si sono fatti nel frattempo.

in reply to Informa Pirata

Il danno è destinato a crescere per forza di cose. Lo si capisce leggendo il giornale che detta l'andamento della realtà per il cittadino distratto che non si pone il problema della privacy ma della sua incolumità fisica e di quelle quattro banane che ha da parte. Sul giornale della mia regione, che pende nettamente a destra, tre notizie su quattro riportano 'il nordafricano" che fa questo e quel crimine. Come reagiscono i lettori? Agiscono ben lieti dei scanner di impronte, facciali, e qualsiasi voglia immatricolazione umana. La lotta si scontra allora su tutti i fronti, come la marea contro la scogliera. Tutto arriverà molto presto, per tutti ci sarà un cartellino, chi fuggirà sarà prima un mendicante e poi un delinquente.
Questa voce è stata modificata (2 anni fa)


Privacy e riconoscimento facciale; con iBorderCTRL si comincia ovviamente dai migranti e non finirà bene: «La macchina della verità alle frontiere dell'Europa è stata un assegno in bianco»

@Privacy Pride

I documenti su #iBorderCTRL dimostrano la Commissione europea era a conoscenza dei rischi di sperimentare un algoritmo per identificare le bugie analizzando i volti. Ma ha finanziato lo stesso il progetto


«Mentre assegnano 4,5 milioni di euro del programma di ricerca Horizon 2020 a iBorderCTRL, una sorta di macchina della verità da usare alle frontiere, gli esperti della Commissione europea sanno già che questa tecnologia di analisi dei micro-movimenti del volto e di identificazione delle bugie, una sorta di Lie to me, la serie tv con Tim Roth, in versione algoritmo, potrà porre dei grossi problemi. Tanto che nello stesso documento con cui finanziano il progetto, datato 18 gennaio 2016, scrivono che “la proposta si affida pesantemente a un sistema automatico di rilevazione delle bugie, che pone una serie di rischi che non sono adeguatamente affrontati”.»


L'articolo di Luca #Zorloni prosegue qui su Wired Italia




Domenico De Masi era un uomo della sinistra autentica, quella che pensa e cerca di fare cose di sinistra. Ci mancherà la sua voce autorevole e simpatica che r

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Il deputato francese Philippe Latombe ha annunciato giovedì scorso di voler impugnare davanti al Tribunale della UE il #DataPrivacyFramework

@Privacy Pride

”Il testo risultante da questi negoziati viola la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione, a causa delle insufficienti garanzie di rispetto della vita privata e familiare in relazione alla raccolta massiva di dati personali, e il Regolamento generale sulla protezione dei dati (GDPR)”, ha scritto Latombe, membro del partito alleato del Presidente Emmanuel Macron, , nella sua dichiarazione.Latombe ha presentato due ricorsi, ha dichiarato a POLITICO: uno per sospendere immediatamente l’accordo e un altro sul contenuto del testo.Oltre alle preoccupazioni per la sorveglianza di massa degli Stati Uniti, il Data Privacy Framework è stato notificato ai Paesi dell’UE solo in inglese e non è stato pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale dell’Unione Europea, il che potrebbe non rispettare le regole procedurali, ha sostenuto Latombe. Latombe ha informato il governo francese e l’autorità per la protezione dei dati CNIL della sua contestazione.

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Oggi sabato 9 settembre alle ore 17,30 è convocata una conferenza stampa in occasione del presidio di Rifondazione Comunista, con la presenza del Segretario na


L’avvocato della famiglia di Khaled El Qaisi: “In Israele totale spregio dei diritti di civiltà giuridica”


Il legale parla della situazione detentiva del ricercatore italo-palestinese come di una "violazione dei diritti umani" e chiede di fare tutto il possibile per ottenere l'immediata liberazione. L'articolo L’avvocato della famiglia di Khaled El Qaisi: “In

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Pagine Esteri, 9 settembre 2023. In un comunicato rilasciato oggi, l’avvocato Flavio Albertini Rossi, legale della famiglia di Khaled El Qaisi, esprime preoccupazione per le sorti del ricercatore italo-palestinese arrestato dalla polizia di frontiera israeliana il 31 agosto.

Trattenuto in custodia cautelare, Khaled El Qaisi non ha potuto fino ad oggi incontrare il suo avvocato, non conosce gli atti su cui si basa il fermo e viene sottoposto a continui interrogatori senza la presenza di un legale. Nell’udienza del 7 settembre i giudici hanno prolungato la custodia cautelare fino al 14 di questo mese.

Ciò che preoccupa maggiormente la famiglia del ricercatore, traduttore e studente di Lingue e Civiltà Orientali all’Università La Sapienza di Roma, è il “totale spregio dei diritti di civiltà giuridica operati dalla legislazione israeliana“. La violazione, cioè, delle tutele riconosciute in Italia, in Europa e nelle istituzioni delle Nazioni Unite, “la cui osservanza consente di definire un processo equo e un arresto non arbitrario“.

L’avvocato Flavio Albertini Rossi, a nome della famiglia di Khaled, giudica la situazione detentiva di El Qaisi una violazione dei diritti umani. La maggiore preoccupazione, spiega, è la possibilità che, in mancanza di prove, la detenzione penale venga sostituita con la detenzione amministrativa, dilatando i tempi dell’arresto in maniera imprevedibile. “Condizione giuridica nella quale si trovanospiega l’avvocatoaltri 1200 palestinesi ristretti in carcere senza un’accusa formale, senza alcuna prova e senza poter conoscere le ragioni del loro trattenimento”.

Khaled El Qaisi era di ritorno dalle vacanze, insieme alla moglie e al figlio di 4 anni, quando è stato fermato e ammanettato, senza accuse formali né spiegazioni, al valico di Allenby, tra la Giordania e la Cisgiordania occupata.

Di seguito il comunicato integrale:

Aggiornamento sulla detenzione di Khaled El Qaisi, italo-palestinese, trattenuto dalle autorità israeliane al valico di frontiera di “Allenby” e tuttora detenuto.

Il 7 settembre, come previsto, si è tenuta a Rishon Lezion a sud di Tel Aviv, l’udienza relativa alla proroga del suo trattenimento in carcere conclusasi con una proroga della detenzione per altri 7 giorni, quando dovrà comparire nuovamente davanti al giudice.

In questa udienza il detenuto e il suo difensore non hanno potuto comparire congiuntamente, finora impossibilitati per legge a vedersi e comunicare. In questa occasione si è appreso del suo trasferimento presso il carcere di Ashkelon.

La nostra viva preoccupazione è rivolta al totale spregio dei diritti di civiltà giuridica operati dalla legislazione israeliana ovvero alla violazione di quelle tutele, comunemente riconosciute in Italia (art. 13-24-111 della Cost.) e in Europa (art 6 CEDU) e in seno all’ONU (artt. 9-14 Patto internazionale relativo ai diritti civili e politici), la cui osservanza consente di definire un processo “equo” e un arresto “non arbitrario”.

Dopo 9 giorni di detenzione a Khaled è stato impedito di interloquire con il proprio difensore di fiducia e non potrà certamente incontrarlo quantomeno fino al 12 settembre. È quotidianamente sottoposto a interrogatorio senza la presenza del suo difensore ed è quindi solo mentre affronta domande pressanti poste dai poliziotti nella saletta di un carcere.

Non gli è consentito conoscere gli atti che hanno determinato la sua custodia e la sua possibile durata; non sa chi lo accusa, per quale ragione lo faccia, cosa affermi in proposito.

Anche i motivi del suo arresto appaiono assolutamente generici e privi di specificità, fondati esclusivamente su meri sospetti e non su indizi gravi di colpevolezza.

Tuttavia, ciò che rappresenta maggior ragione di inquietudine e preoccupazione è la facoltà concessa all’autorità israeliana di poter sostituire, in difetto di prove, la detenzione penale con quella amministrativa. Condizione giuridica nella quale si trovano altri 1200 palestinesi ristretti in carcere senza un’accusa formale, senza alcuna prova e senza poter conoscere le ragioni del loro trattenimento.

In considerazione dell’allarmante situazione detentiva di Khaled e del mancato rispetto dei suoi diritti umani si chiede che si faccia tutto il possibile per ottenerne l’immediata liberazione e il suo ritorno in Italia.

Flavio Albertini Rossi

Legale della famigliai di Khaled in Italia

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Minorenni e infantili senili


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Terremoto in Marocco, centinaia i morti


Notte di tragedia nel Paese, colpito da un sisma di magnitudo 6.8 con epicentro a 72 km da Marrakesh. Il bilancio delle vittime continua a salire, ridotto in macerie il centro storico della città patrimonio Unesco. GUARDA IL VIDEO L'articolo Terremoto in

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di Valeria Cagnazzo

Pagine Esteri, 9 settembre 2023 – E’ di almeno 632 morti e 329 feriti il bilancio provvisorio delle vittime del terremoto di magnitudo 6.8 che ha scosso il Marocco la notte scorsa, alle ore 22.00 locali. I numeri, però, sono destinati ad aumentare, mentre si continua a scavare anche a mani nude per cercare i dispersi sotto alle macerie.

9176202

L’epicentro è stato registrato a una profondità di 18.5 km a 72 km a sud-ovest di Marrakesh, secondo l’Istituto americano di Geological Survey (USGS).

At 11 pm local time in western Morocco, a shallow M6.8 earthquake shook the Atlas mountains. Many residences in the region are vulnerable to shaking. Our hearts go out to those affected. Latest info here: t.co/nsiHqqNXrS

— USGS Earthquakes (@USGS_Quakes) September 8, 2023


Un terremoto “improvviso e catastrofico” lo hanno descritto i residenti della città. Il numero più alto di morti è stato registrato nella regione di al-Haouz, ma il sisma ha interessato almeno sei province del Paese sulla catena dei monti Atlas. Nell’area colpita dal terremoto vivrebbero tra le 8 e le 10 milioni di persone, molte di queste in aree rurali. Il terremoto ha provocato ingenti distruzioni anche nel cuore della città vecchia di Marrakesh, patrimonio Unesco, dove gli edifici storici si sono sbriciolati sulle strade.

Secondo l’Istituto Nazionale di Geofisica in Marocco si tratterebbe del più forte terremoto negli ultimi cento anni del Paese.

WATCH: 6.8-magnitude earthquake hits Morocco, killing more than 300 people pic.twitter.com/sOHj2HRSMs

— BNO News (@BNONews) September 9, 2023

#Earthquake 76 km SW of #Marrakech (#Morocco) 29 min ago (local time 23:11:00). Updated map – Colored dots represent local shaking & damage level reported by eyewitnesses. Share your experience:
📱t.co/bKBgMenA4F
🌐t.co/lZLiJgtzeF pic.twitter.com/GYCSBv0zT6

— EMSC (@LastQuake) September 8, 2023


Il Centro Trasfusionale Regionale di Marrakesh, intanto, sta chiedendo in queste ore ai residenti della città di recarsi nella sede dell’istituto per donare sangue per i feriti che continuano a registrarsi a centinaia, man mano che proseguono le operazioni di soccorso.

Solidarietà al Paese e al Primo Ministro Aziz Akhannouch è stata espressa dai leader riuniti a New Delhi per il G20. Narendra Modi, nei panni in queste ore di padrone di casa del Summit, che ha promesso “ogni possibile aiuto per il Marocco in queste ore difficili”.

Extremely pained by the loss of lives due to an earthquake in Morocco. In this tragic hour, my thoughts are with the people of Morocco. Condolences to those who have lost their loved ones. May the injured recover at the earliest. India is ready to offer all possible assistance to…

— Narendra Modi (@narendramodi) September 9, 2023

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PRIVACYDAILY


N. 156/2023 LE TRE NEWS DI OGGI: Il deputato francese Philippe Latombe ha annunciato giovedì scorso di voler impugnare davanti al Tribunale dell’Unione Europea un nuovo accordo transatlantico che consente alle aziende di trasferire liberamente i dati tra l’UE e gli Stati Uniti, aprendo potenzialmente la porta ad anni di controversie legali.La mossa arriva meno... Continue reading →


Xi salta il G20: sullo sfondo le tensioni con l’India. E Biden va in Vietnam


Xi salta il G20: sullo sfondo le tensioni con l’India. E Biden va in Vietnam 9173875
L'assenza del presidente cinese evidenzia le tensioni con il vicino indiano. La partnership con il Vietnam contesa fra Usa e Pechino. Domani Biden a Hanoi

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VIDEO. 20 feriti e 700 sfollati per i nuovi scontri nel campo palestinese di Ain al Hilweh


Centinaia di profughi si sono rifugiati all'interno di una moschea mentre Fatah e i combattenti islamici si scambiavano colpi di arma da fuoco. L'articolo VIDEO. 20 feriti e 700 sfollati per i nuovi scontri nel campo palestinese di Ain al Hilweh proviene

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della redazione

Pagine Esteri, 8 settembre 2023 – Un cessate il fuoco è stato raggiunto oggi tra il partito Fatah e le fazioni islamiste armate nel campo profughi palestinese in Libano di Ain al Hilweh (Sidone), dopo ore di scontri che hanno fatto almeno 20 feriti, costretto a fuggire centinaia di civili e che si sono attenuati solo questa sera. La tregua è stata raggiunta dopo gli sforzi di mediazione guidati da Souhail Harb, direttore dei servizi segreti dell’esercito libanese nel sud, che ha organizzato un incontro tra Fatah e funzionari di Hamas.

Il mese scorso violente sparatorie nel campo profughi, dopo l’omicidio di Abu Ashraf al-Armoushi, il capo locale della sicurezza di Fatah, avevano provocato 13 morti, in gran parte combattenti armati. Un comandante militare di Fatah, Sobhi Abu Arab, ha chiesto oggi la consegna degli assassini di Al-Armoushi e delle sue quattro guardie del corpo uccisi in un’apparente serie di omicidi mirati attribuiti al miliziano jihadista Bilal Badr, dell’Isis.

La situazione si è fatta ulteriormente critica per i civili palestinesi poiché i gruppi armati islamisti, Fatah al Islam e Jund al Sham, hanno occupato diverse scuole. Il Coordinatore Umanitario delle Nazioni Unite per il Libano, Imran Riza, ha chiesto la fine dei combattimenti e l’espulsione delle fazioni armate dalle scuole. “L’occupazione di otto scuole dell’Unrwa (Onu) sta impedendo l’accesso a quasi 6.000 bambini pronti a iniziare l’anno scolastico”, ha aggiunto Riza.

I nuovi scontri erano iniziati nella notte di giovedì, con spari di armi automatiche che hanno raggiunto anche i quartieri vicini al campo profughi. Fatah in quelle ore ha detto al giornale L’Orient Today che i suoi combattenti stavano “difendendo” la loro posizione essendo stati “presi di mira da colpi di arma da fuoco e razzi degli estremisti islamici” all’ingresso nord del campo. Un proiettile vagante ha ferito un uomo che si trovava fuori dalla zona di combattimento, nel rione di Taamir. Circa 700 persone hanno cercato rifugio nella moschea al-Mousalli.

Ain al-Hilweh, il più grande campo profughi palestinese del Libano, ospita più di 54.000 rifugiati. A loro si sono aggiunti negli ultimi anni migliaia di altri profughi palestinesi in fuga dalla guerra in Siria. Il campo, densamente popolato, è da anni teatro di sparatorie dovute a tensioni tra le varie fazioni armate palestinesi. Pagine Esteri

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“Intelligenza artificiale per principianti – IL TEMPO DELLE DONNE”


La ‘semplicità’ con la quale i servizi di AI ci si presentano è un’arma a doppio taglio. Ci facilita la vita ma rischia di farci porre meno domande di quelle che dovremmo su come funzionano e quali nostri dati trattano. Dobbiamo resistere alla tentazione di non farci domande


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Duplice anomalia: il governo legifera attraverso decreti urgenti che il parlamento poi emenda


Anch’io sono rimasto a dir poco sorpreso dal tono e dal contenuto delle dichiarazioni di domenica del ministro Giorgetti a proposito della cosiddetta tassa sugli extraprofitti delle banche su cui giustamente si sofferma l’editoriale di mercoledì scorso de

Anch’io sono rimasto a dir poco sorpreso dal tono e dal contenuto delle dichiarazioni di domenica del ministro Giorgetti a proposito della cosiddetta tassa sugli extraprofitti delle banche su cui giustamente si sofferma l’editoriale di mercoledì scorso del Foglio. E’ evidente che il ministro ha subìto una decisione tutta politica della Presidenza del Consiglio e parlando di una “versione definitiva” (!) fa capire che spera che il Parlamento procederà a emendare il testo. Tutto questo è segno di una grande confusione, ma apre anche un altro problema non secondario. Una delle cause principali del disordine delle leggi italiane è l’emendabilità dei decreti legge. Infatti le norme dei decreti legge entrano in vigore subito, ma quando sono emendate cessano di essere vigenti ma continuano a esistere nel periodo intermedio e provocano o possono provocare effetti che vanno appositamente regolati. Da qui il caos che è particolarmente grave per le norme fiscali che dovrebbero essere certe. Personalmente penso che un giorno la Corte costituzionale, che già fu costretta a intervenire per bloccare la reiterazione dei decreti legge non convertiti in legge, dovrà porsi il problema della emendabilità dei decreti legge: se il potere esecutivo sottrae al legislativo il potere di fare le leggi, dovrebbe trattarsi non solo di materie che richiedono un intervento “necessario e urgente”, ma anche di formulazioni che impegnano politicamente il governo. Gli emendamenti del Parlamento ai decreti legge sono da un punto di vista politico-costituzionale delle dichiarazioni di sfiducia contro l’esecutivo, perché indicano che il Parlamento disapprova l’uso che un governo ha fatto del potere straordinario di legiferare. Ho sempre pensato che i presidenti delle Camere dovrebbero intervenire su questa materia difendendo le prerogative degli organi deputati alla legislazione che sono le Camere. Più che di nuove norme costituzionali avremmo bisogno di rispettare e di far rispettare quelle che ci sono.

Il Foglio

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Sovranamente


Ad aprire quella che dovrebbe essere una seria campagna elettorale europea – il che vale per tutti i Paesi dell’Unione – è stato uno mai candidato e che mai lo sarà: Mario Draghi. Il tema è quello di avere gli strumenti per far valere la sovranità europea

Ad aprire quella che dovrebbe essere una seria campagna elettorale europea – il che vale per tutti i Paesi dell’Unione – è stato uno mai candidato e che mai lo sarà: Mario Draghi. Il tema è quello di avere gli strumenti per far valere la sovranità europea, che è l’opposto del sovranismo. Circa i bilanci statali lo scopo è quello di far valere il rigore, senza rigorismi formali che poi divengono lassismi sostanziali, perché non applicabili. La ricaduta italiana di un simile schema conduce a conclusioni ben diverse da quelle che qualcuno, fantasiosamente, ha voluto trarne: a noi converrebbe che i trasferimenti di sovranità siano più numerosi e veloci, così come ci converrebbe far scendere il debito pubblico maggiormente e più velocemente di quanto ci chiede la Commissione Ue. Entrambe le cose a salvaguardia della sovranità.

Si può dissentire ma, se si ragiona seriamente, occorre farlo contrastandone la sostanza, non sparacchiando castronerie dilapidatrici. Perché il presupposto è: nessuno dei Paesi dell’Unione ha, da solo, la forza di affrontare i problemi posti al di fuori dei propri confini, il che comporta l’impoverimento e l’insicurezza all’interno di quei confini. Nessuno dei nostri Paesi, da solo, è in grado di giocare un ruolo nella vicenda ucraina, per non parlare dell’impossibilità di difendere veramente i propri confini in caso di aggressione. Il nostro scudo difensivo è la Nato ma, in un quadro modificatosi dopo la fine della Guerra fredda e aggravatosi dopo l’invasione russa dell’Ucraina, la Nato stessa non può più essere a conduzione e responsabilità statunitense. Quindi serve una forza armata Ue, il che comporta integrazione dei sistemi produttivi europei nel campo della difesa. Ciascuna moneta nazionale sarebbe un turacciolo nell’Oceano, in balia di forze preponderanti, mentre l’euro è un’imbarcazione imperfetta, ma di stazza assai superiore. Lo spazio nel commercio globale lo trovano le aziende che sanno competere, ma il quadro di protezione e facilitazione è dato dai rapporti politici internazionali, in cui il peso specifico di uno Stato nazionale è largamente inferiore a quello dell’Ue. Ci sono, del resto, le esperienze positive: dalla gestione dei vaccini al debito comune per Ngeu (di cui l’Italia è il principale beneficiario).

Si può ben avversare tutto ciò, ma si deve anche essere capaci di spiegare come oggi il nazionalismo vestito da sovranismo non sarebbe il travestimento di un rattrappimento incapace di difendere i confini anche soltanto dall’ingresso di immigrati, posto che se ne ha continuo e crescente bisogno. Mentre il sovranismo che ha attuale corso in Ue (di estrema destra, ma anche di estrema sinistra) usa un trucco: considera incancellabile la condizione presente, nella quale chiede che ci sia più Nazione nelle scelte. Ma soltanto i fessi possono credere che le protezioni Ue siano incancellabili. Prego chiedere agli inglesi.

Ultimo pezzo, di un ragionamento altamente politico: il vecchio Patto di stabilità fissava degli obiettivi, ma falliva negli strumenti per farli rispettare (e il nostro debito pubblico ne è una dimostrazione); tornare a quello non ha senso, quindi si deve avere non la “elasticità” di cui favoleggiano gli spendaroli, ma l’adattabilità di bilancio: maggiore rigore in crescita, possibile spesa in recessione. Se tale politica fosse nazionale l’Ue si divaricherebbe e noi resteremmo indietro, perché altri avrebbero maggiore capacità di spesa (avendo meno debito). Quindi deve essere una politica europea, il che comporta cessione di sovranità fiscale in cambio di reale sovranità economica. Anche qui si può essere contrari, ma comporta restare prigionieri del debito, perdere sovranità e andarla a recuperare derubando i propri cittadini con una drammatica svalutazione dei risparmi (assai ricchi).

Se le forze politiche facessero politica conserverebbero, naturalmente, la libertà di pensarla diversamente, ma perderebbero quella di parlare costantemente d’altro, divagando nel nulla.

La Ragione

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