Speranza costruttiva
La pazienza, dice un detto vero, è la virtù dei forti. Perché il forte può aspettare, non è impaziente. Anche noi possiamo aspettare il Regno che viene e vivere nell’oggi, perché conosciamo la verità del Regno di Dio arrivato in Gesù Cristo e che ritornerà nella sua gloria. Nonostante tutto quindi siamo forti, pur nella nostra debolezza di esseri umani.
Possiamo affrontare il futuro, dunque, con speranza sapendo che, anche se il Regno non lo instauriamo noi, già possiamo muoverci come suoi cittadini: costituendo la chiesa insieme, agendo nella società con responsabilità, intervenendo con amore del prossimo, specie quando è in difficoltà. Dalla predicazione su Romani 8:18-25
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Speranza costruttiva
La fede dona speranza nel ritorno del Signore e ci fa vedere l’intervento dello Spirito, in momenti particolari, ciò ci rafforza nella speranza cristiana. E ...YouTube
Taiwan Files – Salta l’annuncio del candidato d’opposizione
Sabato 18 novembre doveva essere il giorno dell'annuncio del candidato unitario dell'opposizione dialogante con Pechino per le presidenziali di gennaio. L'annuncio non è mai arrivato, perché il Taiwan People's Party di Ko Wen-je non ha accettato il "margine d'errore" dei sondaggi d'opinione inizialmente concordato con il Guomindang. C'è tempo fin a venerdì 24 per depositare le candidature, ma ricucire appare complicato. Il Dpp sorride e aspetta, senza accordo Lai Ching-te è strafavorito. Incognita sul terzo (quarto?) incomodo Gou Taiming. Appendice sul summit Biden-Xi visto da Taiwan. Puntata speciale della rassegna di Lorenzo Lamperti con notizie e analisi da Taipei (e dintorni)
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Biden e Xi
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Ben(e)detto del 18 novembre 2023
Il "grande gioco” di Guadalcanal
Dall'epica battaglia iniziata ottantuno anni fa ai giochi del Pacifico. La geografia non cambia: Guadalcanal (e quindi l'arcipelago delle Isole Salomone) resta una dei siti più strategici del Pacifico.
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GAZA. Israele ordina a 400mila palestinesi di Khan Yunis di fuggire verso Ovest
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della redazione
(foto di archivio, commons.wikimedia)
Pagine Esteri, 18 novembre 2023 – La tv al Jazeera riporta che l’esercito israeliano ha intimato a staff medico, pazienti e sfollati nell’al Shifa di Gaza city di evacuare l’ospedale entro un’ora. L’agenzia di stampa palestinese Wafa aggiunge che 26 persone sono state uccise durante la notte in un attacco israeliano a edifici di Khan Younis nel sud di Gaza. In Cisgiordania cinque palestinesi sono stati uccisi la scorsa notte in un attacco di droni israeliani nel campo profughi di Balata, contro una edificio usato dalle Brigate dei Martiri di Al Aqsa (Fatah).
Queste notizie giungono mentre lancia Israele lancia un nuovo avvertimento ai palestinesi della città meridionale di Khan Younis affinché si allontanino subito verso Ovest, indicando così l’intenzione di attaccare nel sud dopo aver già occupato il nord. Una mossa del genere potrebbe costringere centinaia di migliaia di palestinesi fuggiti a sud dall’assalto israeliano a Gaza City a fuggire nuovamente, insieme ai residenti di Khan Younis, una città di oltre 400.000 abitanti, peggiorando una terribile crisi umanitaria.
Un portavoce militare ha detto che le truppe israeliane dovranno avanzare su Khan Yunis “per cacciare i combattenti di Hamas dai tunnel sotterranei e dai bunker”.
Israele ha bombardato gran parte di Gaza city riducendola in macerie e ordinato lo sfollamento dell’intera metà settentrionale di Gaza lasciando senza casa circa due terzi dei 2,3 milioni di palestinesi della Striscia. Uno sfollamento che potrebbe diventare permanente.
Ieri le autorità sanitarie di Gaza hanno aumentato il bilancio dei palestinesi uccisi a oltre 12.000, 5.000 dei quali bambini. Le Nazioni Unite ritengono credibili queste cifre, anche se ora vengono aggiornate raramente a causa della difficoltà di raccogliere informazioni. Pagine Esteri
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La flotta cinese bullizza ancora. Sonar contro una nave australiana
Canberra ha espresso le “più serie preoccupazioni” a Pechino a seguito di “un’interazione poco sicura e poco professionale” tra una nave militare australiana con un cacciatorpediniere della Marina dell’Esercito di liberazione popolare (Pla-N).
L’episodio, su cui Formiche.net ha ricevuto una nota per la stampa qualche ora fa, è avvenuto il 14 novembre 2023, quando la “Hmas Toowoomba”, una fregata Classe Amzac, si trovava all’interno della Zona Economica Esclusiva del Giappone per una visita portuale programmata.
La Toowoomba era nella regione per condurre “operazioni a sostegno all’applicazione delle sanzioni delle Nazioni Unite (non viene definito quali, ndr). Si era fermata per condurre attività di immersione al fine di rimuovere le reti da pesca che si erano impigliate intorno alle sue eliche. In ogni momento, la Toowoomba ha comunicato la sua intenzione di condurre le operazioni di immersione sui normali canali marittimi e utilizzando segnali riconosciuti a livello internazionale. Mentre era ferma, un cacciatorpediniere della Pla-N che operava nelle vicinanze si è avvicinato. [A quel punto la Toowoomba] ha nuovamente avvisato il cacciatorpediniere [cinese] che erano in corso operazioni di immersione e ha chiesto alla nave di tenersi a distanza di sicurezza. Nonostante il riconoscimento delle comunicazioni, la nave cinese si è avvicinata. Poco dopo, è stata rilevata azionare il sonar montato sullo scafo in modo da mettere a rischio la sicurezza dei sommozzatori australiani che sono stati costretti a uscire dall’acqua”.
Il comunicato stampa del governo australiano bolla la decisione immotivata e deliberata cinese come “condotta non sicura e non professionale”, e aggiunge che “le valutazioni mediche fatte dopo l’uscita dall’acqua hanno rilevato che i sommozzatori [australiani] avevano riportato ferite minori, probabilmente a causa degli impulsi sonar del cacciatorpediniere cinese”.
La Cina non è nuova a certe attività di bullismo che mettono a rischio la sicurezza delle acque di una regione estesa, l’Indo Pacifico, dove le tensioni non mancano. Recentemente, i battelli militari e quelli della flottiglia ibrida dei pescherecci cinesi hanno in più di un’occasione avvicinato per disturbare le attività delle forze armate filippine. Per almeno tre volte ci sono stati attacchi fisici, una collisione e due usi di cannoni ad acqua. Manila è il principale degli obiettivi, perché Pechino l’ha recentemente persa. Con il cambio presidenziale dello scorso anno, le Filippine di Ferdinand Marcos Jr hanno velocemente implementato la cooperazione — anche militare — con gli Stati Uniti — e la Cina ha perso svariate aliquote dell’influenza rafforzata durante la presidenza di Rodrigo Duterte.
Se la vicenda filippina è la rivisitazione in chiave moderna di come l’America smuova gli equilibri regionali — e dunque alteri i piani cinesi — con l’Australia la questione è diversa. La Cina ha sempre mosso molta influenza nel Paese, sebbene Canberra, anglofona e occidentalizzata totalmente, sia storica alleata americana. Negli ultimi anni, per rappresaglia a decisioni australiane (anche dettate dagli Usa), la Cina aveva avviato pratiche di coercizione economica contro l’Australia, ma recentemente era sembrata possibile una distensione.
Anthony Albanese era stato in visita a Pechino, e non succedeva dal 2016 che un primo ministro australiano entrasse nella Città Proibita. I rapporti tra Canberra e Pechino si erano deteriorati terribilmente nel 2018, quando il governo australiano — su indicazione americana — tagliò fuori Huawei dal proprio 5G. In mezzo accuse sull’uso strategico degli expat cinesi per influenzare le dinamiche politiche australiane, l’appoggio a Washington per un’inchiesta sulle origini del Covid, una guerra commerciale, l’accordo Aukus (che permetterà all’Australia, grazie a Usa e Uk, di ottenere una dotazione di sommergibili nucleari e missili Tomahawk). La coercizione economica ha complicato l’export di prodotti agro-alimentari australiani, su cui Pechino ha imposto dazi pesanti), e considerando che la Cina è il primo partner commerciale dell’Australia non è stato semplice.
Albanese era a Pechino pochi giorni prima del vertice tra Joe Biden e Xi Jinping. In un quadro di volontà di comunicazione tra le due potenze, l’australiano commentava che adesso ci sono “segnali promettenti” per riavviare una “discussione costruttiva” con Pechino, e quello che faceva era anche frutto di un equilibrio delicato che certi Paesi hanno la necessità di tenere. D’altronde, l’Australia fa parte di coloro che in questo momento possono più facilmente intavolare relazioni con la Cina se le comunicazioni Washington-Pechino funzionano, mentre devono tenere una linea più severa in altre fasi.
Nei giorni ancora precedenti, Albanese era a Washington, e — come ricordava Guido Santevecchi, guru sulla Cina al Corriere della Sera — durante il loro incontro Biden aveva rievocato il vecchio principio enunciato da Ronald Reagan quando trattava con i sovietici: “Mostrare fiducia e verificare”. La vicenda della Toowoomba è già una prima verifica su quella fiducia concessa? Possibile che la notizia sia stata diffusa solo adesso per non alterare il clima del summit Biden-Xi, che c’è stato il 15 novembre. Ora la vicenda viene fatta circolare anche per calmare letture eccessivamente positive dell’incontro e questioni a cascata (come riflessi sulle politiche interne dei Paesi coinvolti)?
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Child Protection Day: Mass surveillance prevents finding real solutions
On the European Day on the Protection of Children against Sexual Exploitation and Sexual Abuse (#EndChildSexAbuseDay) on 18 November 2023, civil rights activist and MEP Patrick Breyer (Pirate Party, Greens/EFA) calls for a rational debate on effective child protection rather than embracing mass surveillance solutionism:
“Paedocriminals can circumvent any form of surveillance, but a society tackling child protection in a rational way can make a real difference. As long as surveillance projects such as chat control and blanket data retention are confused with child protection, there will be a lack of political will to invest in direct and genuine child protection. Europe urgently needs a rational debate about effective child protection rather than embracing mass surveillance solutionism.Statistically speaking, there are one or two children in every school class who have suffered sexualised violence (“Vor unseren Augen”, 2023, German only). In 70 to 85% of all cases, according to the Council of Europe, child sexual abuse is committed by someone the child knows and trusts. Perpetrators mainly lurk in the immediate vicinity and use strategies to gain trust and extort secrecy. In 90% of cases, the sexual offences are not reported to the police. Perpetrators benefit from the lack of awareness, education and professional handling of the issue of child sexual abuse.
On the Internet, organised criminals, unlike the majority of citizens, technically protect themselves from surveillance measures. The journalist and darknet expert Daniel Moßbrucker has succeeded in disrupting a paedocriminal forum and force it to give up. He calls on law enforcement agencies to initiate a paradigm shift. Their current tactics are allowing the darknet forums to grow, even though this could be curbed by proactive removal.
For better child protection, Europe needs mandatory protection programmes and responsible experts in schools, churches and sports clubs. Europe urgently needs long-term and well-funded awareness campaigns and counselling services, child and youth work as well as a strong civil society. When it comes to investigation, the solutions are raising public awareness, specially trained experts, long-term investigations, removal of child sexual exploitation content, targeted investigation orders and login traps.
It is misleading, inappropriate for the topic and contradicts the available science to claim that programmes of mass surveillance have an effect on structures and strategies of paedocriminality. Rather, the issue of child protection is being used as a pretext to politically enforce surveillance measures such as the lobbying project Chat Control or the blanket data retention of internet addresses. Our children and abuse victims deserve real, effective, court-proof and rights-respecting protection. Let’s stop spying and start protecting.”
📣 Torna il JOB&Orienta, il Salone italiano dedicato a orientamento, scuola, formazione e...
📣 Torna il JOB&Orienta, il Salone italiano dedicato a orientamento, scuola, formazione e lavoro.
📌Dal 22 al 25 novembre, il MIM sarà presente con oltre 50 eventi e uno spazio per l’orientamento e la formazione.
Ministero dell'Istruzione
📣 Torna il JOB&Orienta, il Salone italiano dedicato a orientamento, scuola, formazione e lavoro. 📌Dal 22 al 25 novembre, il MIM sarà presente con oltre 50 eventi e uno spazio per l’orientamento e la formazione.Telegram
Il narcisismo della coppia Landini-Schlein
Nell’era del narcisismo, con un dibattito pubblico di conseguenza caratterizzato da posizioni assunte per partito preso su impulso demagogico, la giornata di oggi verrà ricordata come uno spartiacque. Mai, infatti, la sinistra, nella sua duplice declinazione politica e sindacale, era apparsa più autoreferenziale, velleitaria e graniticamente chiusa al confronto.
Sui giornali odierni troneggia il gran rifiuto di Elly Schlein. Giorgia Meloni aveva invitato la segretaria del Pd ad un confronto pubblico ad Atreju, la kermesse del movimento giovanile di Fratelli d’Italia. In passato, da Walter Veltroni a Enrico Letta fino a Giuseppe Conte, altri leader della sinistra erano stati invitati e nessuno aveva mai rifiutato. L’ha fatto Elly Schlein, e nel farlo ha disconosciuto la figura presidente del Consiglio come avversario politico e interlocutore legittimo, preferendo trattarlo da “nemico assoluto”, in ciò confermando le tesi di un vecchio saggio di Luca Ricolfi sull’arroganza intellettuale di certa sinistra (“Perché siamo antipatici? La sinistra e il complesso dei migliori”). “Dietro la scelta di Elly Schlein si intravede ancora l’ombra di quella presunzione e di quell’arroganza che tanto hanno allontanato la sinistra dal suo popolo”, ha scritto Federico Geremicca sulla Stampa. E ha scritto la verità.
Analogo atteggiamento hanno assunto i sindacati. Nelle scorse settimane, i segretari generali di Cgil e Uil hanno ostentatamente disertato gli incontri con il governo sulla legge di bilancio. E si capisce, dal momento che avevano programmato una giornata di sciopero quando della manovra non si conosceva ancora neanche una virgola. La giornata è infine giunta, ma oggi, in piazza, la coppia Landini-Bombardieri ha esibito una piattaforma politica pot-pourri che andava delle morti sul lavoro all’evasione fiscale. Tutto e nulla. Il senso dello sciopero risiede, evidentemente, nello sciopero in quanto tale. Una logica affine a quella dei Cobas, lontana anni luce dalla logica cgiellina dei Di Vittorio, dei Lama, dei Trentin. Demagogia allo stato puro.
Di ben altra pasta è fatto Luigi Sbarra. Lo si capisce dal suo inascoltato monito ai colleghi di Cgil e Uil: “State attenti a non svilire lo sciopero, a non farlo diventare un rito fine a se stesso, che, ripetuto in maniera compulsiva, alla lunga logora la rappresentanza sociale e dà spazio ai populismi”, ha detto il segretario generale della Cisl enunciando una tesi che in anni lontani accomunò personalità culturalmente distanti, ma accomunate da un prorompente senso dello Stato e della realtà, come il socialista Filippo Turati e il liberale Luigi Einaudi.
Sbarra, oggi, è rimasto a casa. Riunirà la sua piazza il prossimo sabato, ma lo farà su una serie di proposte circostanziate, che daranno dignità alla Cisl e metteranno in difficoltà il governo. La politica, che sia partitica o sindacale, si fa così: attraverso il metodo del confronto e con l’obiettivo della mediazione. In alternativa c’è solo la demagogia, che in politica si traduce nel narcisismo più inconcludente. Inconcludente come proclamare un grande sciopero per poi accorgersi che le adesioni nei comparti principali sono state mediamente del 4%.
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Gelo a Nordio
Al Consiglio dei ministri arrivano progetti indirizzati a garantire la sicurezza privata e collettiva. Dal Consiglio dei ministri poi partono disegni di legge, o direttamente si emanano decreti legge, che trasformano in norme quella volontà di garanzia. Chi mai potrebbe essere contrario? Chiunque conosca il diritto e la giustizia, conosca il rapporto fra la norma scritta e la realtà, abbia studiato l’effetto che certe leggi producono e, insomma, abbia letto e apprezzato (come noi) le cose sostenute e scritte da Carlo Nordio. Con un senso di gelo.
È ovvio che chi truffa un anziano debba essere punito. Se è per questo anche chi truffa un giovane. Evidente che chi organizza una sommossa in carcere debba essere ulteriormente condannato. Naturale che chi occupa la casa di altri debba sì trovare un tetto a cura dello Stato, ma nelle patrie galere. E così via per i vari reati, che tali sono sempre stati. Il guaio è che non serve a nulla aumentare le pene né inventare nuove definizioni e fattispecie di reato. Lo spiegò benissimo Nordio: se il legislatore predilige vestire i panni della severità – limitandosi a ideare reati da inserire nel codice penale e calcare la mano aumentando le pene – otterrà due soli risultati: i carichi di lavoro dei tribunali aumenteranno e i processi non si faranno, quindi le condanne non arriveranno; mentre, se si arriva a sentenza, l’esagerazione delle pene spinge il giudice a collocarsi nella parte bassa della scelta. Dopo di che la severità reclamizzata esplode in bolla di scivoloso sapone, schiumante aspettative e illusioni puntualmente disilluse.
L’aumento delle pene (teoriche), come capita nel caso delle truffe agli anziani, apre però la strada alla possibilità di arrestare e trattenere in custodia cautelare. Ma chi? Non certo il truffatore, giacché sarà riconosciuto e definibile tale soltanto dopo una sentenza di definitiva condanna. Quindi si può portare in galera il presunto truffatore, che è anche – secondo quanto previsto dalla Costituzione (articolo 27) – un presunto non colpevole o, se si preferisce il più chiaro linguaggio delle convenzioni internazionali, un presunto innocente. Sicché la custodia cautelare, che dovrebbe essere utilizzata solo in casi estremi di pericolo e violenza, non è un sistema per punire i criminali ma diventa un moltiplicatore di inciviltà giuridica.
Fra l’altro: se poi (come spesso capita) non si arriva alla condanna, chi fu arrestato può far causa allo Stato e chiedere d’essere risarcito; ma il risarcimento non lo paga chi lo fece arrestare, bensì il contribuente; sicché all’anziano truffato si fa credere che il truffatore è stato subito punito, mentre in realtà si chiederanno alla vittima i soldi perché sia risarcito, talché l’anziano è doppiamente raggirato.
Mi piace la destra di legge e ordine. Come mi piace ricordare che legge e ordine sono anche di sinistra. Sono buon senso e Stato di diritto. Ma se si vogliono assicurare la legge e l’ordine non serve a nulla moltiplicare le trombonate della falsa severità, serve una giustizia funzionante. Se uno scippa una persona, non c’è bisogno di promettergli l’ergastolo: è sufficiente condannarlo in fretta e mandarlo a scontare una pena equa. E se ci riprova si aumenta la dose. Questo ha effetti dissuasivi, non i ceppi di cartapesta. Senza dimenticare che far funzionare decentemente la giustizia, con tempi umani, è uno degli impegni cui sono legati i quattrini del Pnrr. Oltre che il rispetto per sé stessi e la civiltà.
A tal proposito: nessuno meglio di Nordio ha spiegato quanto sia necessario separare le carriere dei magistrati dell’accusa da quelle dei magistrati giudicanti, così come nessuno più del ministro Nordio ha ribadito che quella riforma – anche costituzionale – s’ha da fare. Gliecché tale sua intenzione è stata posticipata all’approvazione dello scarabocchio costituzionale ingannevolmente e falsamente intitolato al premierato. E quando una cosa si stabilisce che verrà dopo a un’altra che non verrà, significa che non si farà.
La Ragione
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L’export delle armi, la politica e la ricerca della decisione. Il commento di Filippo del Monte
Con una proposta presentata lo scorso 11 agosto dal ministro degli Esteri, Antonio Tajani, il governo sta provando ad apportare alcune modifiche alla Legge 185/90, quella che regola le esportazioni di armamenti. L’obiettivo è duplice: razionalizzare la normativa in materia e reintrodurre il Comitato interministeriale per gli scambi di materiali di armamento per la difesa (Cisd), abolito nel 1993.
Il Disegno di Legge n. 855 è attualmente in discussione al Senato, ma ha generato già una levata di scudi da parte di numerose organizzazioni di stampo pacifista, che hanno accusato l’esecutivo di voler rendere più facile l’export di armi e sistemi d’arma italiani nel mondo.
In realtà questa è una argomentazione capziosa, anche perché in Italia e, più in generale, in Europa, l’esportazione di armamenti è soggetto a normative stringenti, tali da impedire qualunque “traffico illecito” o favorire lo scoppio di nuovi conflitti e/o la recrudescenza di quelli già in atto.
In particolare, per quanto concerne la normativa italiana, i divieti all’esportazione di materiali d’armamento si applicano quando mancano adeguate garanzie sulla definitiva destinazione dei prodotti per la difesa, ovvero sussistono elementi per ritenere che il destinatario previsto utilizzi gli stessi prodotti a fini di aggressione contro un altro Paese; quando il Paese destinatario è in stato di conflitto armato, in contrasto con l’articolo 51 della Carta delle Nazioni Unite; nel caso sia stato dichiarato verso un Paese l’embargo totale o parziale delle forniture di armi da parte di organizzazioni internazionali cui l’Italia aderisce; quando il governo di quel Paese sia responsabile di gravi violazioni dei diritti umani accertate da organizzazioni internazionali cui l’Italia aderisce; quando in un Paese si destinino a bilancio militare risorse eccedenti le proprie esigenze di difesa.
L’impianto della Legge 185/90 è stato modificato nel 2012, con il recepimento della direttiva europea 2010/80 Ue, che ha introdotto il principio generale in base al quale il trasferimento di prodotti per la difesa fra Stati membri deve essere subordinato al rilascio di un’autorizzazione preventiva dello Stato membro da cui partono i prodotti, salvo i casi di fornitori o destinatari facenti parte di un organismo governativo o delle forze armate, di forniture effettuate dall’Unione europea, dalla Nato, dalla Iaea o da altre organizzazioni intergovernative per lo svolgimento dei propri compiti o di programmi di cooperazione tra Stati membri in materia di armamenti – o ancora di fornitura di aiuti umanitari per fronteggiare catastrofi -, autorizzazione accordata sotto forma di una licenza di trasferimento.
Il testo del Disegno di legge n. 855 è facilmente consultabile e dalla relazione generale che lo accompagna si può facilmente notare come alla base del provvedimento vi sia la necessità di snellire le procedure contrattuali e burocratiche, al netto di un rafforzamento dei controlli e del perimetro d’azione del decisore politico su esportazione e importazione di armamenti.
Se, infatti, la proposta del governo Meloni amplia il termine per la presentazione della documentazione comprovante la conclusione dell’operazione di trasferimento, di pari passo inasprisce le sanzioni amministrative per la mancata produzione della documentazione richiesta.
La proposta di Tajani, presentata di concerto con i colleghi ministri della Difesa, di Economia e finanze, Interno e Imprese e Made in Italy, è in linea con le esigenze attuali tanto del comparto industriale dell’aerospazio-difesa, quanto della sicurezza nazionale.
La Aerospace and defence industries association of Europe (Asd) in un suo recente documento, intitolato The Importance of Exports for the European Defence Industry, ha spiegato come il mercato AD&S europeo sia oggi frammentato e soggetto a limitazioni di budget e cicli di approvvigionamento non sincronizzati, oltreché a rischi sull’intera catena del valore, soggetta alle ricadute dello scontro politico-diplomatico sui materiali critici. Inoltre, l’industria della difesa europea non riesce a competere con Paesi come gli Stati Uniti, la Russia e la Cina.
Per esempio, nel 2020, a parità di potere d’acquisto, i 27 Paesi membri dell’Ue hanno speso collettivamente circa 216 miliardi di euro per la difesa, contro i 766 miliardi di dollari degli Stati Uniti, i 178 miliardi di dollari della Russia e i 332 miliardi di dollari della Cina.
Si deve, inoltre, considerare come la quota di mercato dei produttori europei di armamenti in Europa sia inferiore alle aspettative, con molti Paesi del vecchio continente che preferiscono affidarsi ad appaltatori stranieri, principalmente statunitensi, per l’acquisto di velivoli dual use, elicotteri da trasporto pesante e velivoli unmanned. Il mercato europeo e quello dei Paesi Nato da soli non bastano a coprire i costi del comparto industriale di settore. Ecco perché l’Asd sta mettendo in evidenza quanto sia importante diversificare e favorire le esportazioni di armamenti creati da industrie europee con tecnologia europea.
Per quanto concerne l’Italia, l’aerospazio-difesa ha un fatturato di circa 17 miliardi di euro, e il valore della produzione, incluso l’indotto, è di circa quaranta miliardi di euro. Sono i numeri presentati nel febbraio scorso in audizione alla commissione Esteri e Difesa di Camera e Senato da Giuseppe Cossiga, presidente della Federazione aziende italiane per l’aerospazio, la difesa e la sicurezza (Aiad). Anche l’Aiad, sulla stessa linea d’onda dell’Asd, ha richiesto di rivedere la Legge 185/90 non per stravolgerne il contenuto, ma per garantire ai processi di esportazione di armamenti una più chiara impronta governativa sulle decisioni da prendere.
Il tentativo di reintrodurre il Cisd – le cui funzioni sono oggi demandate a un comitato tecnico istituito presso la Farnesina e denominato Unità per le autorizzazioni dei materiali di armamento-Uama – risponde all’esigenza di dare un chiaro indirizzo di politica estera anche ad una materia complessa come quella dell’export di armi. Nel corso degli anni non sono stati rari i casi in cui dalla Uama sono passate decisioni di carattere squisitamente politico, che hanno influenzato la postura geopolitica ed economico-industriale del Paese all’estero.
L’ultimo caso è quello relativo all’export militare italiano verso Israele, con ogni operazione sospesa su ordine della Uama – nel rispetto della normativa vigente e come atto dovuto – a partire dallo scorso 7 ottobre, giorno d’inizio del conflitto contro Hamas. Fino a quel giorno, ha spiegato il ministro della Difesa, Guido Crosetto, le licenze approvate, per un valore di 9,9 miliardi di euro erano state 21, così come nel 2019 erano stati 28 i milioni stanziati durante il governo Conte 1 e 21 milioni nel 2020, ai tempi del Conte 2. E ancora, nel 2021 sono stati spesi 12 milioni sulle armi e 9 milioni nel 2022. Con questi numeri il ministro della Difesa ha voluto evidenziare come ogni governo, a prescindere dal colore, faccia “affari” con l’export di armi, sbugiardando la linea “pacifista” – nei fatti esclusivamente antioccidentale – del leader del Movimento 5 Stelle. Nei giorni scorsi Giuseppe Conte aveva violentemente attaccato il governo Meloni, in particolare i ministri Tajani e Crosetto, sull’appoggio fornito ad Israele.
Ma da questi numeri emerge, ancora una volta, come la politica funga da “comparsa” sulla delicata materia dell’esportazione di armi rispetto ai veri attori protagonisti che sono tecnici. Ma se si “deresponsabilizza” il decisore politico su una materia che ha necessariamente implicazioni politiche, è chiaro che sia poi il tecnico a dover decidere, generando inevitabili cortocircuiti.
Questo perché nei processi di promozione del sistema-Paese passa anche la presentazione di prodotti per la difesa sviluppati con know-how nazionale e da aziende italiane che, sia come capofila, sia come parte dell’indotto, rappresentano eccellenze al livello mondiale. Analizzando la serie storica delle esportazioni di armamenti italiani, contenuta nella Relazione sulle operazioni autorizzate e svolte per il controllo dell’esportazione, importazione e transito dei materiali di armamento del 2022, si può notare la crescita delle autorizzazioni alle esportazioni di armi e sistemi e, dunque, anche del fatturato connesso, in Paesi come la Turchia (oggi al primo posto), il Qatar, Singapore, gli Emirati Arabi Uniti, l’Arabia Saudita, il Kuwait e l’India. Infatti, se la capacità italiana di esportare armi negli Stati Uniti e nei Paesi Ue e Nato può sembrare scontata, è interessante valutare come le direttrici commerciali AD&S italiane si stiano indirizzando verso i Paesi d’interesse del Mediterraneo allargato e di una strategia che lo connette, necessariamente, all’Indo-Pacifico e che, in un certo senso, stiano ricalcando il percorso della costituenda Via del Cotone indo-araba, da contrapporre alla cinese Via della Seta.
FPF and OneTrust Release Collaboration on Conformity Assessments under the proposed EU AI Act: A Step-by-Step Guide & Infographic
Today, the Future of Privacy Forum (FPF) and OneTrust released a collaboration on Conformity Assessments under the proposed EU AI Act: A Step-by-Step Guide and accompanying Infographic. Conformity Assessments are a key and overarching accountability tool introduced in the proposed EU Artificial Intelligence Act (EU AIA or AIA) for high-risk AI systems.
Conformity Assessments are expected to play a significant role in the governance of AI in the EU, and the Guide and Infographic provide a step-by-step explanation of what a Conformity Assessment is–designed for individuals at organizations responsible for the legal obligation to perform one–along with a roadmap outlining the series of steps for conducting a Conformity Assessment.
The Guide and Infographic can serve as an essential resource for organizations who want to prepare for compliance with the EU AIA’s final text, which is expected to be adopted by the end of 2023 and become applicable in late 2025.
Click here to view the Infographic
Key aspects of the Guide and Infographic include:
- Information and background about the proposed EU AI Act & Conformity Assessments. The proposed EU AIA is a risk-based regulation with enhanced obligations for high-risk AI systems, including the obligation to conduct Conformity Assessments. In the EU context, the Conformity Assessment obligation is not new: the EU AIA aims to align with the processes and requirements found in laws that fall under the New Legislative Framework (NLF), and Conformity Assessments are also part of several EU laws on product safety, such as the General Product Safety Regulation, the Machinery Regulation, or the in vitro diagnostic Medical Devices Regulation.
- The Conformity Assessment applicability for AI systems. A Conformity Assessment is the process of verifying and/or demonstrating that a high-risk AI system complies with the requirements enumerated under Title III, Chapter 2 of the EU AIA. The first step in the Conformity Assessment journey is determining whether an organization’s AI system falls under the Conformity Assessment legal obligation, and the Guide and Infographic include a flowchart of questions for an organization to answer in order to determine whether they need to comply with the Conformity Assessment obligation.
- Conformity Assessment requirements for high-risk AI systems. The Guide describes each Conformity Assessment requirement, its meaning, and at what phase of the AI system’s life cycle each requirement should be met. These requirements include Risk Management System; Data and Data Governance; Technical Documentation; Record Keeping; Transparency Obligations; Human Oversight; Accuracy, Robustness and Cybersecurity.
- Overview of EU Plans for Standards & Presumption of Conformity. The European Commission is looking to obtain standards that provide “procedures and processes for conformity assessment activities related to AI systems and quality management systems of AI providers.” Such standards will be crucial to developing operational guidance for the implementation of Conformity Assessments and are expected to facilitate compliance with the technical obligations prescribed by the EU AIA. Given that the EU AIA is still under negotiation, the draft standardization request that was issued by the European Commission in December 2022 may be amended when the AIA is finally adopted.
For more information about the EU AIA, Conformity Assessments, and the Guide and Infographic, please contact Katerina Demetzou at kdemetzou@fpf.org.
Ministero dell'Istruzione
Il #17novembre ricorre la Giornata internazionale delle studentesse e degli studenti, in memoria di quei giovani e dei loro docenti e del coraggio manifestato nell’atroce eccidio del lontano 17 novembre 1939.Telegram
In Cina e Asia – APEC: Xi annuncia nuove aperture ai capitali stranieri
APEC: Xi annuncia nuove aperture ai capitali stranieri
Gli Stati Uniti rinnovano l'impegno a inviare armi a Taiwan
Von der Leyen spinge sul pedale del de-risking
Pechino: intelligenza artificiale rischio per la sicurezza nazionale
Le restrizioni Usa minacciano il cloud computing di Alibaba e Tencent
La crisi immobiliare cinese non accenna a finire
Pianificatore statale cinese intende attrarre nuovi investimenti stranieri
Cina e Giappone annunciano la creazione di un nuovo quadro per il dialogo commerciale
L'articolo In Cina e Asia – APEC: Xi annuncia nuove aperture ai capitali stranieri proviene da China Files.
GAZA. Cosa stanno facendo esattamente le forze speciali americane in Israele?
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di Connor Echols* – Responsible Statecraft
(foto di Ambasciata Usa a Tel Aviv)
Mentre l’esercito israeliano entra nel secondo mese di operazione a Gaza, le domande continuano a vorticare sull’esatta natura del sostegno americano alla guerra, con importanti implicazioni potenziali per gli interessi americani in Medio Oriente. Il Pentagono è stato abbastanza trasparente riguardo alle sue azioni al di fuori di Israele, inclusa la decisione di spostare due gruppi d’attacco di portaerei in Medio Oriente, oltre ad altre risorse navali e sistemi di difesa missilistica. Ma due questioni più delicate rimangono avvolte nel mistero: cosa stanno facendo esattamente le forze speciali americane in Israele? E quali armi stanno dando gli Stati Uniti alle Forze di Difesa Israeliane (IDF)?
Cosa ci fanno i soldati americani in Israele?
Le forze per le operazioni speciali statunitensi sono di stanza in Israele e “aiutano attivamente gli israeliani” in una serie di aree, tra cui gli sforzi per “identificare gli ostaggi, compresi quelli americani”, ha rivelato la settimana scorsa un funzionario del Dipartimento della Difesa.
Il funzionario non ha condiviso ulteriori dettagli, ma altri hanno detto al New York Times che il Dipartimento della Difesa “ha inviato diverse dozzine di commando nelle ultime settimane, oltre a una piccola squadra che era in Israele il 7 ottobre per condurre un addestramento precedentemente programmato”. Secondo il Times, anche altri paesi occidentali hanno inviato forze speciali “più vicine a Israele” per aiutare nel recupero degli ostaggi e nella potenziale evacuazione dei civili.
Il Pentagono aveva inviato anche un generale del Corpo dei Marines con una notevole esperienza in operazioni speciali per consigliare le operazioni di terra di Israele, ma il generale ha lasciato il paese prima dell’incursione di terra di Tel Aviv.
Un funzionario ha detto al giornalista Spencer Ackerman che gli Stati Uniti stanno prendendo in considerazione “contingenze” di emergenza con cui le forze speciali americane assisteranno direttamente nel recupero degli ostaggi, ma questi piani rimangono ipotetici, secondo il funzionario. L’unica prova concreta del coinvolgimento “diretto” degli Stati Uniti è stata una serie di voli di droni disarmati sul sud di Gaza che stanno aiutando a localizzare gli ostaggi.
Alcuni testimoni oculari affermano di aver visto soldati con stemmi con la bandiera americana sul terreno a Gaza, ma nessun organo di informazione ha confermato questa affermazione. È anche plausibile che un soldato israelo-americano avrebbe potuto indossare uno stemma del genere senza il permesso degli Stati Uniti o dell’esercito israeliano.
Per quanto riguarda l’identità dei soldati statunitensi in Israele, una foto della Casa Bianca durante la visita del presidente Joe Biden del 18 ottobre mostrava l’incontro del presidente con diversi membri della Delta Force, la principale unità antiterrorismo e di recupero ostaggi del Pentagono. Non è chiaro se unità militari statunitensi stiano attualmente operando in Israele per operazioni non speciali. Il Pentagono non ha risposto ad una richiesta di commento da parte di RS sulle sue operazioni in Israele.
Maggiore segretezza sui trasferimenti di armi
L’amministrazione Biden è stata criticata dal Congresso per i suoi tentativi di nascondere i dettagli sui trasferimenti di armi americane a Israele nel corso della guerra, inclusa una misura proposta per ignorare i requisiti di notifica al Congresso che darebbero ai legislatori l’opportunità di opporsi a specifiche vendite di armi.
“Non c’è motivo per cui non possiamo garantire che l’assistenza necessaria degli Stati Uniti a Israele avvenga in modo rapido e che il Congresso sia in grado di adempiere al suo dovere di controllo costituzionale”, il rappresentante Gregory Meeks (DN.Y.) – il democratico in classifica alla Camera Commissione per gli affari esteri – ha detto la settimana scorsa al Washington Post.
Il senatore Chris Van Hollen (D-Md.), da parte sua, ha affermato che il Congresso “non dovrebbe fare eccezioni a questa pratica” e ha sostenuto che è responsabilità del legislatore “rivedere questi fondi e garantire che il loro utilizzo sia nel migliore interesse di il popolo americano”.
Mentre i legislatori avrebbero ricevuto informazioni complete su quali armi verranno inviate a Israele, la Casa Bianca ha evitato di condividere pubblicamente informazioni sul suo sostegno, in netto contrasto con la contabilità dettagliata degli aiuti dell’amministrazione Biden all’Ucraina.
L’amministrazione non ha spiegato questa discrepanza, ma molto probabilmente deriva da una semplice logica politica. Mentre Biden è stato orgoglioso di vantare il sostegno della sua squadra all’Ucraina, si trova ad affrontare molte più contraccolpi per aver sostenuto Israele, le cui azioni a Gaza hanno attirato critiche significative sia negli Stati Uniti che all’estero.
Questa logica è apparsa di recente quando è emerso che gli Stati Uniti pianificano di fornire fucili alla polizia nazionale israeliana, controllata dal ministro di estrema destra Itamar Ben-Gvir, che ha promesso di dare armi ai coloni in Cisgiordania. L’ex funzionario del Dipartimento di Stato Josh Paul ha anche detto a RS la scorsa settimana che diverse unità della polizia israeliana erano state precedentemente segnalate per presunte “gravi violazioni dei diritti umani”, cosa che dovrebbe legalmente impedire loro di ricevere armi americane.
L’unico altro trasferimento di armi pianificato a Israele che è stato reso pubblico è una spedizione precedentemente approvata di 320 milioni di dollari in kit di bombe di precisione noti come Spice Family Gliding Bomb Assemblies. Secondo quanto riferito, la deputata Ilhan Omar (D-Minn.) si opporrà a questa vendita presentando una “risoluzione di disapprovazione” che bloccherebbe il trasferimento se ricevesse una maggioranza a prova di veto in entrambe le camere del Congresso. Secondo Paul, i kit rappresentano “il tipo di mezzi che Israele ha utilizzato nell’ultimo mese per devastare Gaza”.
La posta in gioco è alta per gli interessi statunitensi nella regione
Un’altra probabile ragione della segretezza sul coinvolgimento degli Stati Uniti è il timore che il sostegno americano a Israele danneggerà la posizione di Washington in Medio Oriente, soprattutto data la diffusa opposizione della regione all’offensiva israeliana, che numerosi commentatori arabi hanno definito un “genocidio”.
Se le persone in Medio Oriente arrivassero a credere che le truppe americane siano direttamente coinvolte nelle ostilità, ciò potrebbe avere conseguenze disastrose sulla percezione delle azioni americane nella regione. Come ha osservato un cablogramma trapelato di recente dall’ambasciata americana in Oman , la campagna israeliana sta già “perdendo il pubblico arabo per una generazione”.
Secondo Stephen Wertheim, storico e membro senior del Carnegie Endowment for International Peace, tale impatto potrebbe essere avvertito ben oltre la regione. “I costi, in termini di prestigio e potere americano, si sono già rivelati sostanziali”, ha scritto Wertheim sul New York Times. “E potrebbero andare molto peggio.” E le potenziali conseguenze di un coinvolgimento diretto degli Stati Uniti non si limiterebbero al disprezzo pubblico, sostiene il giornalista Ackerman.
“Se le FSA dovessero entrare a Gaza come combattenti, come potrebbe sentirsi obbligato a rispondere l’Iran, la cui strategia regionale si basa sulla guida di un ‘asse di resistenza’ verso Stati Uniti, Israele e Arabia Saudita?” ha chiesto. “Cosa sceglierebbe di fare? Quale sarebbe l’impatto su Giordania, Egitto, Arabia Saudita, ecc.?”
*Connor Echols è un reporter di Responsible Statecraft. In precedenza è stato redattore associato presso la Fondazione Nonzero, dove ha co-scritto una newsletter settimanale di politica estera. Echols ha conseguito la laurea presso la Northwestern University, dove ha studiato giornalismo e studi sul Medio Oriente e sul Nord Africa.
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I droni Global Hawk di Sigonella a sostegno di Israele
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di Antonio Mazzeo
Pagine Esteri, 17 novembre 2023 – Prima operazione di intelligence, riconoscimento e sorveglianza di potenziali “obiettivi” di un drone Northrop Grumman RQ-4D “Global Hawk” di US Air Force nel teatro di guerra del Mediterraneo orientale.
Mercoledì 15 novembre il velivolo senza pilota è decollato dalla base siciliana di Sigonella per raggiungere il Mediterraneo orientale dove ha svolto una missione spia di fronte le coste della Siria meridionale e del Libano.
Le forze armate USA hanno dato il via a numerose missioni di pattugliamento e sorveglianza nella regione dopo lo scoppio del conflitto tra Hamas e le forze armate israeliane e i massicci bombardamenti di Gaza. Le attività erano state svolte fino ad ora però solo con i velivoli P-8A “Poseidon” di US Navy e i droni “Reaper” di US Air Force, decollati tutti da NAS Sigonella. Adesso fanno la loro comparsa a supporto degli strike israeliani anche i grandi droni “Global Hawk”.
Sigonella è stata utilizzata dalle forze armate USA anche come base di transito degli aerei cargo C-17A Globemaster lll che stanno trasferendo armi, munizioni e apparecchiature belliche dagli Stati Uniti d’America (via Ramstein, Germania) fino
alla base aerea israeliana di Nevatim, nel deserto del Negev, a pochi km dalla città di Beersheba.
Sul diretto coinvolgimento bellico del territorio italiano il governo Meloni-Tajani-Crosetto non ha ancora sentito il dovere di proferire parola alcuna: né il Parlamento né i cittadini sono stati informati.
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Com’è andato il summit tra Xi e Biden
Raggiunti i risultati previsti, tranne che sull'intelligenza artificiale. La distanza maggiore resta quella su Taiwan, ma il tono del confronto è più che cordiale. Una piccola ombra dalla conferenza stampa del leader americano, mentre quello cinese incontra Musk, Cook e i vecchi amici dell'Iowa
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Prime adesioni all’Osservatorio carta, penna & digitale
I primi ad aderire all’Osservatorio carta, penna & digitale della Fle sono stati i confindustriali Federazione Carta e Grafica e Comieco. L’annuncio è stato dato questa mattina, nel corso del convegno “Lettura su carta e scrittura a mano” che si è svolto a Milano presso la Fondazione Corriere della Sera, presieduta da Ferruccio de Bortoli, nel quadro della manifestazione Book City.
Ospite d’onore il Segretario generale della Fle, Andrea Cangini, che ha illustrato alla platea lo studio elaborato dalla Fondazione Luigi Einaudi che dimostra, su base scientifica, l’imprescindibilità della scrittura a mano e della lettura su carta. Tra i relatori, il presidente della Commissione Cultura della Camera, Federico Mollicone, che ha annunciato l’intenzione di “istituzionalizzare il meritorio Osservatorio costituito dalla Fondazione Luigi Einaudi”. Siamo appena partiti, e siamo partiti bene.
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FPF Submits Comments with the National Telecommunications and Information Administration (NTIA) on Kids Online Health and Safety
On November 15, the Future of Privacy Forum filed comments with the National Telecommunications and Information Administration (NTIA) in response to their request for comment on Kids Online Health and Safety as part of the Biden-Harris Administration’s interagency Task Force on Kids Online Health & Safety.
Young people increasingly engage with their peers online and lawmakers continue to introduce legislation to expand protections for the privacy and safety of minors beyond the existing COPPA framework. However, adopting a one-size-fits-all approach to developing policies for minors online presents challenges, as protections that are appropriate for very young children may not be suitable for older teenagers with greater agency and autonomy. While addressing online experiences for minors is a multi-faceted issue, as evidenced by the interagency task force, FPF has identified four of the most impactful areas for privacy that the Task Force should consider as they develop voluntary guidance, policy recommendations, and a toolkit on safety-, health-, and privacy-by-design for industry to apply in developing digital goods and services.
1. Children and teens have varying privacy needs across developmental stages, and overgeneralized restrictions may exacerbate health risks and undermine the developmental benefits of social online experiences. In particular, limitations on access to content and connecting with peers may have negative consequences on the ability of adolescents to explore and develop independence and identity.
2. While many stakeholders agree on high-level policy goals, such as extending heightened protections to both children and teens or minimizing unnecessary data collection, there is little consensus on how best to implement broadly agreed-upon policy goals. In some areas, such as age assurance, there is significant disagreement on how best to grapple with conflicting equities on privacy and safety.
3. Companies building new features to protect the privacy and safety of minors online currently take into account the varying developmental stages of minors and the interaction between minors’ autonomy and parental involvement. These two considerations inform how companies balance privacy and safety before introducing new features and reviewing existing tools as research and societal norms evolve.
4. FPF recommends additional research investigating minors using online services for educational purposes versus recreation, shifts in privacy risks at different ages and stages of development, and the relationship between privacy and safety in applying heightened protections to teens. This research is necessary to identify appropriate safeguards for minors online in both policy and practice.
Noyb presenta una denuncia contro la Commissione Europea per annunci mirati di chatcontrol
Oggi, @noyb.eu ha presentato una denuncia contro la direzione generale per la migrazione e gli affari interni della Commissione europea. Nel settembre 2023, la Commissione ha utilizzato il micro-targeting illegale su Twitter (X) per promuovere la sua regolamentazione su #chatcontrol, fortemente criticata. Sembra che la Commissione fosse alla disperata ricerca del sostegno pubblico, che potesse essere utilizzato per fare pressione sui governi nazionali affinché accettassero la controversa proposta legislativa. Questa mossa ha minato le procedure democratiche stabilite tra le istituzioni dell’UE e ha violato il GDPR dell’UE.
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Un consorzio per il Tempest. A dicembre il trilaterale di Tokyo con Crosetto e Shapps
Italia, Regno Unito e Giappone si preparano a incontrarsi a Tokyo nella seconda metà di dicembre, con l’obiettivo di strutturare i propri programmi per lo sviluppo del caccia di sesta generazione, nell’ambito del Global combat air programme. La conferma sul periodo sembra arrivare direttamente dal Paese del Sol Levante, ma l’impegno a incontrarsi nella capitale giapponese per la definizione del trattato per avviare l’iter parlamentare era già stato anticipato nel corso dell’ultimo vertice trilaterale tenutosi a Roma tra Guido Crosetto, ministro della Difesa italiano, al termine dell’incontro con Grant Shapps, segretario alla Difesa britannico, e Yoshiaki Wada, consigliere speciale del ministro della Difesa giapponese. Nell’incontro di dicembre, invece, ad accogliere Crosetto e Shapps dovrebbe essere direttamente il ministro della Difesa, Minoru Kihara.
Un consorzio per il Gcap
Insieme i tre dovranno coordinare la nascita dell’entità, con ogni probabilità basato nel Regno Unito, che dovrà occuparsi dello sviluppo vero e proprio del caccia e che dovrà guidare e mantenere in linea i progressi verso l’obiettivo di mettere in volo un sistema nel 2035. L’idea di questa nuova struttura arriva direttamente da quanto stabilito da Regno Unito, Italia, Germania e Spagna per lo sviluppo coordinato dell’Eurofighter, un programma il cui successo vuole essere adesso replicato anche per il Gcap. Sotto la supervisione di questo nuovo ente, le aziende leader del progetto (l’italiana Leonardo, la giapponese Mitsubishi Heavy Industries e la britannica BAE Systems) dovranno procedere allo sviluppo del primo design entro il 2027.
Le manovre di Tokyo
Nel frattempo, il governo giapponese sta chiedendo alla Dieta, il Parlamento nipponico, l’approvazione per la nascita e la gestione di questo nuovo ente per il Gcap nel corso del prossimo anno. L’obiettivo è assicurare i quattro miliardi di yen (circa 26 milioni di euro) parte della quota che il Giappone dovrà versare per garantire il funzionamento del nuovo organismo. Inoltre, l’esecutivo di Fumio Kishida è impegnato nelle negoziazioni con i legislatori relativamente alle rigide regole del Paese per quanto riguarda le leggi che regolano le esportazioni e i trasferimenti di materiali di Difesa, basate sulla Costituzione rigidamente pacifista dello Stato giapponese. Un prerequisito alla successiva possibilità di commercializzazione sul mercato del Gcap stesso.
Il Gcap
Il progetto del Global combat air programme è destinato a sostituire i circa novanta caccia F-2 giapponesi e gli oltre duecento Eurofighter britannici e italiani, e prevede lo sviluppo di un sistema di combattimento aereo integrato, nel quale la piattaforma principale, l’aereo più propriamente inteso, provvisto di pilota umano, è al centro di una rete di velivoli a pilotaggio remoto con ruoli e compiti diversi, dalla ricognizione, al sostegno al combattimento, controllati dal nodo centrale e inseriti in un ecosistema capace di moltiplicare l’efficacia del sistema stesso. L’intero pacchetto capacitivo è poi inserito all’intero nella dimensione all-domain, in grado, cioè di comunicare efficacemente e in tempo reale con gli altri dispositivi militari di terra, mare, aria, spazio e cyber. Questa integrazione consentirà al jet di essere fin dalla sua concezione progettato per coordinarsi con tutti gli altri assetti militari schierabili, consentendo ai decisori di possedere un’immagine completa e costantemente aggiornata dell’area di operazioni, con un effetto moltiplicatore delle capacità di analisi dello scenario e sulle opzioni decisionali in risposta al mutare degli eventi.
Il programma congiunto
L’avvio del programma risale a dicembre dell’anno scorso, quando i governi di Roma, Londra e Tokyo hanno concordato di sviluppare insieme una piattaforma di combattimento aerea di nuova generazione entro il 2035. Nella nota comune, i capi del governo dei tre Paesi sottolinearono in particolare il rispettivo impegno a sostenere l’ordine internazionale libero e aperto basato sulle regole, a difesa della democrazia, per cui è necessario istituire “forti partenariati di difesa e di sicurezza, sostenuti e rafforzati da una capacità di deterrenza credibile”. Grazie al progetto, Roma, Londra e Tokyo puntano ad accelerare le proprie capacità militari avanzate e il vantaggio tecnologico.
In Cina e in Asia: Xi a Biden: "Il mondo è abbastanza grande per il successo di Cina e Usa”
I titoli di oggi: Xi a Biden: “Il mondo è abbastanza grande per il successo di Cina e Usa” Cina e Usa lanciano un gruppo di lavoro sulla cooperazione climatica Gli Stati Uniti ribadiscono il sostegno alle Filippine nel vertice sulla Difesa dell’ASEAN Tre “pilastri” dei colloqui dell’IPEF sono stati completati Xiaomi mostra il suo primo veicolo elettrico Apre il ...
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Oggi alle 10.30 torna L'Ora di Costituzione! Il tema della sesta lezione è su “La formazione delle Leggi”.
Seguite qui la diretta streaming ▶️ youtube.com/playlist?list=PLN2…
Ministero dell'Istruzione
Oggi alle 10.30 torna L'Ora di Costituzione! Il tema della sesta lezione è su “La formazione delle Leggi”. Seguite qui la diretta streaming ▶️ https://www.youtube.com/playlist?list=PLN2gnr6NfC7p46Fp8rgOjI-ycQCCMyxx6Telegram
Dialoghi – Finché pietà filiale non ci separi: chi si prende cura degli anziani in Cina?
Mentre si alza l'età media dei cinesi, sono ancora tante le sfide da affrontare nell’assistenza agli anziani, in un panorama fatto di incentivi ma anche di pressioni per le famiglie della “Nuova era”.
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Scuola di Liberalismo 2023 – Messina: lezione del prof. Giancristiano Desiderio sul tema “La mia filosofia”
Sesto appuntamento dell’edizione 2023 della Scuola di Liberalismo di Messina, promossa dalla Fondazione Luigi Einaudi ed organizzata in collaborazione con l’Università degli Studi di Messina e la Fondazione Bonino-Pulejo. Il corso, giunto alla sua tredicesima edizione, si articolerà in 15 lezioni, che si svolgeranno sia in presenza che in modalità telematica, dedicate alle opere degli autori più rappresentativi del pensiero liberale.
La sesta lezione si svolgerà giovedì 16 novembre, dalle ore 17 alle ore 18.30, in diretta streaming sulla piattaforma ZOOM.
La lezione sarà tenuta da Giancristiano Desiderio (giornalista, scrittore, saggista e docente di Filosofia e Storia, nonché membro del Comitato Scientifico della Fondazione Luigi Einaudi), che relazionerà sull’opera “La mia filosofia” di Benedetto Croce.
La partecipazione all’incontro è valida ai fini del riconoscimento di 0,25 CFU per gli studenti dell’Università di Messina.
Come da delibera del Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Messina e della Commissione “Accreditamento per la formazione” di AIGA, è previsto il riconoscimento di n. 12 crediti formativi ordinari in favore degli avvocati iscritti all’Ordine degli Avvocati di Messina per la partecipazione all’intero corso.
Per ulteriori informazioni riguardanti la Scuola di Liberalismo di Messina, è possibile contattare lo staff organizzativo all’indirizzo mail SDLMESSINA@GMAIL.COM
Pippo Rao, Direttore Generale della Scuola di Liberalismo di Messina
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Marwan Barghouti, un potenziale leader del dopoguerra per la Palestina?
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Di Noura Doukhi – L’Orient Today
(foto da commons.wikimedia di Ben Siesta)
(traduzione a cura della redazione)
Il nome di Marwan Barghouti è riemerso frequentemente negli ultimi giorni mentre gli osservatori contemplano i potenziali scenari del dopoguerra a Gaza. Molti cittadini palestinesi e operatori umanitari hanno chiesto ancora una volta a Israele di rilasciarlo. Una delle possibili opzioni in discussione per il futuro dell’enclave palestinese assediata riguarda Barghouti, detenuto da Israele dal 2002. Alcuni lo ritengono capace di ristabilire la legittimità dell’Autorità nazionale palestinese (Anp) e di assumere la guida di un potenziale governo che gestirebbe la situazione in Cisgiordania e nella Striscia di Gaza.
Una settimana fa, il Segretario di Stato americano Antony Blinken ha affermato che qualsiasi piano per il futuro governo nella Striscia di Gaza “deve includere un governo guidato dai palestinesi e Gaza unificata con la Cisgiordania sotto l’Autorità Palestinese, per raggiungere infine un Stato”. Barghouti è un candidato popolare per i palestinesi, ma probabilmente incontrerebbe una forte resistenza da parte di Israele e dell’Anp a Ramallah.
Dal punto di vista israeliano, Barghouti è una figura del terrorismo palestinese. E’ stato in prigione per più di 20 anni per il suo presunto ruolo nell’organizzazione di attacchi suicidi mortali durante la Seconda Intifada (2000-2005). Barghouti, all’epoca segretario generale di Fatah in Cisgiordania, è stato condannato nel 2004 a cinque ergastoli. Da allora ha continuato a sostenere la sua innocenza e a considerare illegittimo il tribunale che lo ha processato. “Marwan è accusato di aver fondato le Brigate dei Martiri di al-Aqsa [una milizia di Fatah particolarmente attiva durante la Seconda Intifada] e alcuni dei suoi sostenitori provengono da questo stesso gruppo”, ha spiegato Tahani Moustafa, analista palestinese dell’International Crisis Group.
Trentaquattro per cento dei voti
Israele è diffidente nei confronti di Barghouti anche a causa della sua capacità di galvanizzare un movimento nazionale palestinese diviso da tempo. A differenza di altre figure dell’Anp, Barghouti non è stato accusato di collaborare con le autorità israeliane. Essendo stato una figura di spicco nella Prima e nella Seconda Intifada, Barghouti condanna lo stretto coordinamento tra le autorità della Cisgiordania e di Israele sulle questioni di sicurezza. “Mai prima nella storia è stato chiesto a una popolazione sotto occupazione di fornire servizi all’occupante”, ha affermato in un’intervista a Le Monde nel 2016. “Abu Mazen [Mahmoud Abbas, attuale presidente dell’Autorità Palestinese] ha offerto a Israele undici anni di sicurezza senza precedenti. Ma Israele ne ha approfittato per espandere gli insediamenti, confiscare le terre, ebraicizzare Gerusalemme e continuare l’assedio di Gaza, dove la disoccupazione e la povertà sono ai massimi livelli”, ha continuato.
Nel corso degli anni la posizione di Barghouti ha contribuito ad aumentare la sua popolarità tra la popolazione palestinese. “La sua prigionia è infatti uno dei motivi per cui Marwan è così popolare”, ha osservato Hamada Jaber, consulente del Centro palestinese per la politica e la ricerca sui sondaggi (PCPSR). “Continua a seguire ciò che accade in Palestina ed è ancora presente nella comunità”, ha aggiunto Jaber.
Nel 2006, il leader di Fatah è stato il primo candidato a candidarsi al parlamento da una prigione israeliana e ha rinnovato il suo seggio nel Consiglio legislativo palestinese. Barghouti rappresenta una minaccia per l’Autorità Palestinese, che è stata afflitta per anni da corruzione, autoritarismo e inerzia ed è improbabile che spinga per il rilascio di Barghouti. Venerdì scorso, Mahmoud Abbas ha dichiarato che l’Autorità Palestinese sarebbe pronta a riprendere il controllo di Gaza “nel quadro di una soluzione politica globale” che comporti la formazione di uno Stato palestinese indipendente, che includa Gaza, Cisgiordania e Gerusalemme Est. Anche se questo scenario ha poche possibilità di successo, Jaber ha detto che una cosa è certa: “I maggiori perdenti dal possibile rilascio di Marwan Barghouti sarebbero gli attuali leader di Fatah”.
Dalla sua cella, Barghouti ha appoggiato la lista Fateh per le elezioni legislative del 2021, guidate dalla moglie Fadwa e da Nasser al-Qidwa, in cambio del sostegno di quest’ultimo alla sua candidatura presidenziale. Le elezioni, inizialmente promesse da Mahmoud Abbas, avrebbero dovuto essere le prime dal 2005-2006. Tuttavia, Abbas le ha rinviate a tempo indeterminato, temendo che le liste dei dissidenti potessero autorizzare Hamas a prendere il controllo in Cisgiordania, come hanno notato diversi osservatori.
Moustafa suggerisce: “La popolarità di Marwan può essere in gran parte spiegata dal fatto che rappresenta un voto di protesta contro Mahmoud Abbas…Ma ancora una volta, questo non significa molto, date le limitate opzioni disponibili all’interno di Fatah”.
Secondo un sondaggio pubblicato lo scorso settembre da PCPSR e condotte tra i palestinesi della Cisgiordania e di Gaza, se oggi si tenessero nuove elezioni presidenziali, Barghouti sarebbe il candidato preferito, Abbas riceverebbe il 34% dei voti, seguito da Ismail Haniyeh (capo dell’ufficio politico di Hamas). Gli eventi del 7 ottobre hanno offuscato ulteriormente l’immagine delle autorità di Ramallah, poiché Hamas si è rafforzato e si è presentato ancora una volta come il difensore della causa palestinese su scala nazionale.
Nel panorama attuale, Barghouti ha il vantaggio di rappresentare una terza opzione tra l’attuale leadership di Fatah e Hamas. Pertanto, potrebbe attirare in qualche modo anche il sostegno della fazione islamica. Presentato come mediatore, nel 2006 insieme ad altri prigionieri ha firmato la “Lettera dei prigionieri”, in cui chiedeva l’integrazione del movimento islamico nell’OLP.
Negli ultimi anni, Hamas ha fatto sapere in diverse occasioni che Barghouti costituisce una priorità in qualsiasi accordo di scambio di prigionieri con Israele. Il 28 ottobre, l’ala militare del movimento islamico ha dichiarato di essere pronta a rilasciare i quasi 240 ostaggi israeliani catturati il 7 ottobre in cambio del rilascio di tutti i prigionieri palestinesi incarcerati in Israele. Tuttavia, la vicinanza tra Barghouti e Hamas sembra complicare ulteriormente il suo rilascio. “È difficile immaginare come (Barghouti) possa contribuire a raggiungere gli obiettivi che Israele e la comunità internazionale si sono prefissati a Gaza”, ha continuato Moustafa. Questi obiettivi includono “limitare la resistenza e creare un’entità in grado di mantenere la pace a Gaza nel nello stesso modo in cui si aspettano che l’Anp faccia in Cisgiordania – cosa che ha dimostrato di non poter più fare”.
L’ultima risorsa di Barghouti potrebbe essere quella di fare pressione su stati arabi come la Giordania e l’Egitto affinché spingano per il suo rilascio. Gli hanno mostrato sostegno in passato e potrebbero essere motivati dal desiderio di mantenere la propria stabilità. “Se la comunità internazionale e i paesi arabi fossero disposti a gestire il conflitto, Barghouti potrebbe essere l’unico leader in grado di isolare Israele e la comunità internazionale per circa un decennio”, ha affermato Jaber.
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denuncia della noyb contro la Commissione UE per gli annunci mirati di controllo della chat La Commissione europea ha utilizzato il micro-targeting per promuovere la sua legislazione sugli abusi sessuali sui minori. Ciò ha violato la legge europea sulla privacy
Londra: no della Corte Suprema alla deportazione dei migranti in Ruanda
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di Redazione
Pagine Esteri, 15 novembre 2023 – I giudici della Corte suprema del Regno Unito hanno giudicato illegale, all’unanimità, il piano del governo che prevede la deportazione dei migranti senza permesso in Ruanda. Secondo la proposta di Westminster, presentata nell’aprile del 2022, coloro che arrivano illegalmente nel Regno Unito dovrebbero essere trasferiti in Ruanda ed è dal Paese africano che potrebbero poi fare richiesta d’asilo. Tuttavia, la Corte suprema ha confermato la precedente sentenza della Corte d’appello secondo cui tale piano è illegale a causa del rischio che i richiedenti asilo inviati in Ruanda possano essere rimpatriati nel loro Paese e possano subire violazioni dei loro diritti umani.
La sentenza della Corte Suprema è un ostacolo significativo per il governo conservatore del primo ministro Rishi Sunak. Il tema del contrasto dell’immigrazione clandestina e della riduzione del numero delle richieste di asilo è centrale nella sua proposta politica per le prossime elezioni parlamentari. Ridurre l’immigrazione clandestina è infatti uno dei cinque impegni principali di Sunak, sui quali ha chiesto agli elettori di giudicarlo in vista delle prossime elezioni. I sondaggi danno il Partito Conservatore in netto svantaggio rispetto al Partito Laburista.
«Prendiamo atto del giudizio di oggi e ora considereremo i prossimi passi. Questo non era il risultato che volevamo, ma abbiamo passato gli ultimi mesi a pianificare ogni eventualità e rimaniamo completamente impegnati a fermare l’immigrazione illegale», ha detto il premier. «La nostra partnership con il Ruanda, per quanto coraggiosa e ambiziosa, è solo una parte di una serie di misure per fermare i barconi e contrastare l’immigrazione clandestina» ha dichiarato invece il ministro dell’Interno James Cleverly
«Esamineremo attentamente la sentenza odierna per comprendere le implicazioni e i prossimi passi. E continueremo a cercare ogni strada possibile per interrompere il vile modello di business delle bande criminali che mettono a rischio vite innocenti per il proprio guadagno finanziario», ha detto il ministro utilizzando una fraseologia tipica del discorso della destra radicale.
Durante il suo intervento alla Camera dei Comuni, il primo ministro ha proclamato l’intenzione di finalizzare un nuovo trattato con il Ruanda alla luce della sentenza della Corte Suprema. Sunak ha dichiarato che i nuovi piani verranno presentati “nei prossimi giorni”, e che il nuovo testo fornirebbe le necessarie “rassicurazioni” per non incontrare più obiezioni giuridiche. «Il governo sta già lavorando a un nuovo trattato con il Ruanda e lo finalizzeremo alla luce della sentenza odierna», ha dichiarato il premier, aggiungendo di essere “pronto a rivedere la nostra cornice giuridica nazionale» se necessario.
Il governo del Regno Unito sostiene che, sebbene il Ruanda sia stato teatro di un genocidio che ha ucciso più di 800.000 persone nel 1994, da allora il paese si è costruito una reputazione di stabilità e progresso economico. Una stabilità costruita però sulla repressione politica. La sentenza della Corte Suprema ha rilevato sistematiche violazioni dei diritti umani, inclusi omicidi politici, che hanno portato la polizia britannica “ad avvertire i cittadini ruandesi che vivono in Gran Bretagna dei piani credibili di ucciderli da parte di quello Stato”. Secondo gli stessi dati ufficiali forniti dal governo del Runda, il paese gode di un record di rigetto del 100% delle richieste di asilo dei richiedenti provenienti da paesi dilaniati dalla guerra come Siria, Yemen e Afghanistan.
Politici dell’opposizione, gruppi di rifugiati e organizzazioni per i diritti umani affermano che il piano del governo non è etico né praticabile. Amnesty International, in particolare, ha affermato che Sunak dovrebbe “tracciare una linea su un capitolo vergognoso della storia politica del Regno Unito”. Pagine Esteri
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Sciopera(n)ti
La disfida dello sciopero è una sfida al buon senso e uno scioperare della ragionevolezza. Il diritto di sciopero è garantito dalla Costituzione, nessuno lo mette in discussione ma – come capita all’articolo 1, anzi come capita a tutta la Costituzione – anche l’articolo 40 andrebbe letto tutto: «Il diritto di sciopero si esercita nell’ambito delle leggi che lo regolano». Di quello si discute, sebbene con toni da ripicche infantili. Lo sciopero si farà, ma non risolverà nessuno dei problemi di cui ci si rifiuta di parlare. Ne vedo almeno tre.
1. Chi governa dovrebbe cercare di costruire il consenso attorno alle politiche che intende praticare; chi sciopera dovrebbe provare a correggere quelle politiche a favore degli interessi che rappresenta. Salvini non lavora per la prima cosa e Landini non lavora per la seconda. Si soddisfano della contrapposizione, avendo ciascuno da gestire la concorrenza nel proprio campo. Salvini approva una legge di bilancio che, in materia di pensioni, va in direzione opposta a quella che promise. Landini chiede un taglio del cuneo fiscale che sarà impossibile rendere significativo e permanente se non si ferma il crescere della spesa pensionistica, che si guarda bene dal proporre. La contrapposizione diventa la loro identità, il che li lega a sorte comune.
2. Quando la Costituzione fu scritta – prevedendo anche le mai giunte «norme di legge» sui sindacati, articolo 39 – sia i partiti politici che i sindacati erano organizzazioni di massa. Oggi gli iscritti sono una frazione di quel che erano allora. Al sindacato sono iscritti più i pensionati che non i lavoratori e i partiti (mentre diminuiscono i votanti) hanno preso il nome del capo di turno. Peccato che la democrazia funzioni male senza partiti e il mercato funzioni male senza sindacati. Intendendosi per tali, nell’uno e nell’altro caso, non dei comitati autolegittimati ma delle comunità vaste e popolate, capaci di vivace discussione interna.
3. Sono cambiati il mondo e il modo in cui viviamo. Nel 1948 nel dire “lavoratori” si indicavano non soltanto i titolari di un contratto da lavoro dipendente, ma una condizione sociale ed esistenziale. Scioperare significava porre il datore di lavoro davanti al pericolo di perdere capacità produttiva, quindi ricchezza. Valeva nelle società agricole e di prima industrializzazione. Oggi siamo una società di servizi e “lavoratori” potrebbe identificarsi con “contribuenti” – i cui antagonisti sono in gran parte i mantenuti e gli evasori – tanto che lo sciopero non lo convochi avverso il ‘padrone’ (evolutosi in imprenditore), ma contro il governo. Nella surreale condizione in cui l’impresa non avrebbe nulla in contrario a che il governo finanziasse altra spesa per ingraziarsi il sindacato, tanto più che questo aiuterebbe a tenere i salari bassi, mentre al governo c’è chi promette ai pensionandi ben più di quello che il sindacato osa chiedere (e chi ha qualche anno si ricorda di Carlo Donat Cattin, democristiano, che faceva la concorrenza alla triplice). Così procedendo non soltanto si è creato il più grande debito pubblico europeo, ma a pagare lo sciopero sono i lavoratori che lo fanno e quelli che lo subiscono. Tenuto presente che i trasporti non sono più da decenni uno sfizio per giramondo, ma l’esigenza dei pendolari e il sistema circolatorio delle aree metropolitane.
Sicché, da tempo, la principale efficacia dello sciopero consiste nell’annunciarlo. In qualche caso non aderisce quasi nessuno, divenendo strumento ricattatorio – anche verso i sindacati confederali – di sigle corsare. E lo si colloca a ridosso di feste e fine settimana, in un impeto di clemenza per sé e per gli altri.
Si potrebbe discutere di organizzazione produttiva e normativa sindacale, si potrebbe parlarsi anziché parlare alle telecamere, cercare il concerto anziché produrre lo sconcerto, ragionare di futuro anziché echeggiare il passato, ma volete mettere il bello di una sceneggiata la cui trama sarà dimenticata già il mattino appresso.
Davide Giacalone
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Nasce l’Ossevatorio carta, penna & digitale della Fle
Negli ultimi 10 anni i disturbi dell’apprendimento degli studenti italiani sono aumentati del 357%, i casi di disgrafia del 163%. Le recenti prove Invalsi hanno certificato che la metà dei ragazzi al termine delle scuole secondarie fatica a comprendere ciò che legge, mentre un’indagine conoscitiva della commissione Istruzione del Senato ha messo in relazione l’uso degli smartphone col progressivo deterioramento delle facoltà mentali dei più giovani.
Luigi Einaudi riteneva che una società è sana quando ciascuna persona è messa nelle condizioni di realizzare al massimo le proprie potenzialità. Sta accadendo esattamente il contrario. Tutti gli indicatori ci dicono che il quoziente di intelligenza, la soglia di attenzione, lo spirito critico e le conoscenze dei più giovani sono in drastico e costante calo. Tutti gli studi attribuiscono all’abuso di digitale – social, videogiochi, conoscenza – la principale tra le cause di questo allarmante e generalizzato decadimento delle capacità cognitive delle nuove generazioni. I nostri figli, i nostri nipoti.
Il digitale offre straordinarie opportunità, ma espone anche a rischi consistenti. È un’impetuosa rivoluzione che sta rapidamente cambiando ogni ambito della vita privata e pubblica, sovvertendo antiche consuetudini, vecchi codici morali e recenti assetti del potere. Il digitale va studiato senza pregiudizi, va governato e in alcuni casi va anche limitato.
Per fissare un principio e indicare un limite concreto che a nostro giudizio andrebbe posto all’entusiastica pervasività della tecnologia digitale, lo scorso 18 luglio la Fondazione Luigi Einaudi ha presentato in Senato uno studio che, compendiando le principali ricerche scientifiche internazionali, ha dimostrato il valore imprescindibile della scrittura a mano e della lettura su carta, soprattutto nel mondo dell’Istruzione: perdere queste consuetudini significherebbe compromettere il pensiero logico-lineare, impoverire il linguaggio, limitare la conoscenza, fiaccare la memoria. Un danno alla persona, un danno alla società. A conclusioni analoghe sono recentemente giunti sia il governo svedese sia l’Economist britannico.
Concludendo i nostri lavori, il ministro dell’Istruzione Giuseppe Valditara ha detto che, “nel sistema scolastico, il digitale va accettato e sfruttato, ma la lettura su carta e la scrittura a mano sono insostituibili”. Affermazione necessaria, ma non sufficiente.
La Fondazione Luigi Einaudi ha perciò deciso di costituire un “Osservatorio permanente Carta, Penna & Digitale” aperto al contributo di esperti, associazioni e operatori del settore che, attraverso un Comitato scientifico designato ad hoc, sviluppi una costante attività di analisi, ricerca e sensibilizzazione sulle implicazioni delle nuove tecnologie e sull’importanza della lettura su carta e della scrittura a mano in quanto pratiche imprescindibili per la crescita della persona, la diffusione della cultura e lo sviluppo della società.
Lo dobbiamo ai fasti passati della nostra civiltà; lo dobbiamo al futuro dei nostri figli e, di conseguenza, della nostra Italia.
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