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Summit Roma-Israele sull’antisemitismo globale


Apertura SEN. GIULIO MARIA TERZI DI SANTAGATA, Presidente Commission Politiche dell’Unione Europea del Senato della Repubblica DAN DIKER. Presidente del Jerusalem Center For Public Affairs ANDREA CANGINI, Segretario Generale della Fondazione Luigi Einaudi

Apertura
SEN. GIULIO MARIA TERZI DI SANTAGATA, Presidente Commission Politiche dell’Unione Europea del Senato della Repubblica
DAN DIKER. Presidente del Jerusalem Center For Public Affairs
ANDREA CANGINI, Segretario Generale della Fondazione Luigi Einaudi

Saluti Introduttivi
DR. GIUSEPPE PECORARO, Coordinatore nazionale per la lotta contro l’antisemitismo
HON. MICHAL COTLER-WUNSH, Inviato speciale israeliano per la lotta all’antisemitismo

Primo Panel – L’antisemitismo in ambito politico

Il nuovo antisemitismo genocida, Fiamma Nirenstein, Jerusalem Center for Public Affairs (CPA), giornalista de Il Giornale

La convergenza tra antisionismo e antisemitismo, Dan Diker, President Jerusalem Center for Public Affairs

Incitamento, finanziamento del terrorismo e discorso sull’antisemitismo nell’Autorità Palestines e in Hamas, Khaled Abu Toameh, giornalista arabo-israeliano del ‘”Jerusalem Post” e Senior Fellow del Jerusalem Center for Public Affairs e del Gatestone Institute.

Second Panel – Geopolitica dell’antisemitismo

Antisemitismo islamico, Gen. Yossi Kuper wasser, già capo della division di ricerca dell’intelligence militare dell’IDF e direttore del progetto sugli sviluppi regionali del Medio Oriente presso il Centro di Gerusalemme e direttore del Progetto sugli sviluppi regionali del Medio Oriente presso il Centro di Gerusalemme per gli Affari Pubblici.

Antisemitismo e Occidente, David Wurmser, consigliere per il Medio Orient dell’ex vicepresidente americano Dick Cheney

Islamismo ed estrema destra: uniti dall’odio per gli ebrei, Michele Groppi, Docente King’s College di Londra, presidente di ITSS Verona

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La legge di bilancio non è stata ancora varata che il governo ha già avviato le privatizzazioni di asset pubblici con le quali prova a far quadrare dei bilanc


IRAN. Le donne baha’ai che fanno paura alla Repubblica islamica


Beni confiscati, terre espropriate, case incendiate, cimiteri profanati, arresti arbitrari, torture, oltre 200 «giustiziati» dal 1979, tutto per annientare la pacifica minoranza religiosa L'articolo IRAN. Le donne baha’ai che fanno paura alla Repubblica

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di Antonella Tarquini –

Pagine Esteri, 22 novembre 2023.

Gli ayatollah hanno paura delle donne.

Non solo di quelle che continuano a sfidarli scendendo quasi quotidianamente in piazza e si tolgono il velo da quando Masha Amini, la 22enne arrestata il 13 settembre 2022 dalla «polizia morale» perché il suo velo non copriva bene i capelli è morta in prigione per le violenze dei carcerieri. Ma anche di quelle colpevoli di seguire la religione monoteista bah’ai, proibita dalla Tehran sciita che la considera eretica. Anch’esse, come Masha e le tante ragazze che hanno subito la stessa sorte, sono ormai simbolo della violenza contro le donne sotto la Repubblica islamica. Le donne sono infatti al centro dell’ennesima campagna di repressione dei bah’ai d’Iran. Nei giorni scorsi cinque anziane tra i 70 e i 90 anni di Hamadan sono finite in carcere malgrado una sia affetta da Alzheimer, altre diciannove sono state arrestate a Isfahan, Karaj, Yazd. “Una campagna al femminile” marcata da arresti e interrogatori di una violenza molto più forte che in passato, afferma Hamdam Nadafi, portavoce dei bah’ai di Francia. Alcune sono malate, private delle visite dei familiari come altre decine di bah’ai che scontano lunghe pene nella sinistra prigione di Evin.

Sono davvero le donne che possono mettere a rischio il regime totalitario dell’ayatollah Khamenei, Guida suprema della rivoluzione? O più semplicemente il clero sciita vuole combattere quel che la fede bah’ai veicola: la parità uomo-donna? Non é superfluo ricordare come alla nascita della religione, a metà dell’800, contribuì una donna, una dei 18 adepti del dignitario religioso, il Bab: la poetessa Tahirih. Di lei si dice che rifiutò di sposare lo Scià dell’epoca, si sa che fece scandalo togliendosi ostentatamente il velo in pubblico, proclamando ia libertà e parità dei sessi.

Una persecuzione ininterrotta fin dalla sua nascita

L’arrivo di Khomeini e della sua rivoluzione islamica ha inasprito il calvario della comunità bah’ai, già in atto sotto il regno dei Pahlavi, Reza Scià e Mohammed Reza Scià. Beni confiscati, terre espropriate, case incendiate, cimiteri profanati, arresti arbitrari, torture, oltre 200 «giustiziati» dal 1979, decine gli scomparsi, tra cui nel 1980 i nove membri dell’assemblea collegiale dirigente. E poi il divieto di assumere un bah’ai, il blocco delle pensioni e delle eredità, l’accesso vietato agli studi superiori a meno che nei formulari di ammissione i candidati non si dichiarino musulmani, abiura rifiiutata in blocco. Neppure i bambini si salvano: alle elementari (scuola d’obbligo dalla quale non possono essere esclusi) gli insegnanti cercano di far loro rinnegare la religione dei genitori con angherie e umiliazioni di ogni genere. Le incitazioni all’odio sulla stampa e nelle prediche dei mullah in moschea sono all’ordine del giorno, manifesti invitano a boicottare gli «apostati». Risale a Reza Scià il divieto di registrazione dei matrimoni tra bah’ai che per la legge sono concubini, i loro figli illegittimi.

Gli ayatollah fanno di tutto per annientare la pacifica minoranza religiosa, circa 300.000 persone, e indurre all’esilio. Obiettivo confermato dal memorandum scoperto nel 1993 redatto dal Consiglio culturale rivoluzionario e firmato prima di morire (1989) dall’ayatollah Khomeini, in cui si legge che lo sviluppo e l’evoluzione della comunità bah’ai devono essere bloccati. Nel frattempo pero’ la fede bah’ai ha conquistato piu’ di sei milioni di seguaci in 233 paesi, da 400.000 che erano agli inizi degli anni ’60: dopo il cristianesimo é la religione geograficamente più diffusa ed é riconosciuta dal Vaticano. Il sogno di Khomeini di un mondo interamente musulmano, che continua a nutrire la jihad, sembra in pericolo. Tanto piu’ che la campagna mondiale «OurStoryIsOne» lanciata a luglio per commemorare l’esecuzione di dieci donne bah’ai nel 1983 ha suscitato livelli senza precedenti di solidarietà

nella società iraniana, all’interno e nella diaspora. Gli iraniani di tutte le comunità religiose ed etniche si sono uniti per reclamare una società che sia per tutti fondata sull’uguaglianza , la comprensione, la giustizia, proprio mentre gli occhi del mondo sono puntati su Tehran e il suo appoggio ai terroristi di Hamas che hanno attaccato l’odiato stato di Israele.

Le accuse per giustificare gli arresti sono incesto, pedofilia, prostituzione, e spionaggio a favore di Israele (ridicolo per donne anziane malate o affette da Alzheimer) e attentato alla sicurezza dello stato. Si basano sul fatto che é in Israele, ad Haifa, che sorge il Centro mondiale bah’ai, la sede spirituale ed amministrativa della fede bah’ai. Lo decise il fondatore Baha’u’llah durante i suoi spostamenti in esilio ed oggi il giardino a terrazze é meta di pellegrinaggio dei bah’ai di tutto il mondo.

La nascita della nuova dottrina

Come abbia potuto nascere a metà dell’800, in una Persia sciita e integralista, una dottrina progressista che abolisce il clero, sostiene la giustizia sociale, la parità tra uomo e donna, la tolleranza, la ricerca indipendente della verità anche religiosa, l’esistenza di un solo Dio per tutte le religioni, é tuttora inspiegabile. Inevitabile fu la reazione alla scissione e alla nascita di una fede umanistica cosi rivoluzionaria agli antipodi del fanatismo, ma nulla puo’ giustificare la violenza della repressione odierna. Culla ne fu la città di Shiraz dove nel 1844 Ali Muhammad Shirazi detto il Bab (la porta, cioé la porta aperta su una nuova era) annuncio’ l’arrivo imminente del nuovo profeta inviato da Dio in terra, scandalizzando l’islam sciita per il quale l’ultimo profeta é Maometto. Appoggiando il clamoroso gesto della poetessa Tahirih il Bab colpi’ al cuore l’integralismo religioso, pagando con la vita: venne fucilato, i seguaci massacrati, Tahirih strangolata. Morendo, l’ultimo messaggio: «la mia morte non porrà fine alla liberazione delle donne nel mondo, ma ne sarà l’inizio».

Tra scissioni e persecuzioni e con la morte del Bab il movimento ando’ spegnendosi finche’ Baha’u’llah, (la gloria di Dioi), un nobile di Tehran, raccolse il testimone e si presento’ come l’atteso profeta. Fini’ i suoi giorni in esilio ad Acri in Israele, raccomandando al figlio di far erigere il Centro dei bah’ai ad Haifa, e la tomba del Bab sulle pendici del Monte Carmelo, allora in Palestina. Entrambi parte della lista del patrimonio mondiale dell’Unesco. Lascio’ centinaia di testi in cui promuove la piena parità dei sessi, l’istruzione come bene universale, l’armonia tra religione e scienza, una società senza barriere di razza, credo, classe. Testi che si oppongono ad ogni assolutismo e integralismo religioso, messaggi moderni che cozzano con l’Islam e sono condannati anche in altri paesi come il Qatar e lo Yemen dove le persecuzioni dei bah’ai sono all’ordine del giorno.

«Un genocidio culturale perpetrato nell’indifferenza generale», dichiarava anni fa l’avvocatessa Shirin Ebadi, premio Nobel per la pace che pur non essendo bah’ai accetto’ di difendere alcuni dirigenti di questa fede «perché nessuno vuole farlo, per paura di rappresaglie». Ancora una donna a sfidare il clero, che ha portato i riflettori sulla causa bah’ai, contribuendo anche ad indurre molti atenei stranieri a riconoscere i diplomi rilasciati dall’Istituto di insegnamento superiore, organismo creato dai bah’ai per formare i giovani esclusi dalle università iraniane, via internet. Chiuso dalle autorità nel 1998.

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Inizia il Job&Orienta! Vi aspettiamo allo stand e agli eventi culturali, ai convegni, ai seminari formativi e ai laboratori.
Oggi si svolgerà il primo dei 5 grandi eventi del MIM, UNICA, la nuova piattaforma per famiglie, studentesse e studenti.


Il quartetto di giganti dagli anelli | Cosmo

"Se chiedessi quanti pianeti del Sistema solare hanno gli anelli, pochissimi mi risponderebbero quattro: Giove, Saturno, Urano e Nettuno. Ma in effetti è proprio la risposta giusta."

bfcspace.com/2023/11/22/il-qua…



Il #22novembre ricorre la Giornata nazionale per la sicurezza nelle scuole, istituita dal Parlamento italiano il 13 luglio 2015.


In Cina e in Asia – Oltre il 75% dei fondi esteri arrivati in Cina nel 2023 sono andati via


In Cina e in Asia – Oltre il 75% dei fondi esteri arrivati in Cina nel 2023 sono andati via xi jinping
I titoli di oggi:

Oltre il 75% dei fondi esteri arrivati in Cina nel 2023 sono andati via
Gli uomini di Xi diventano sempre più importanti
La Corea del Nord lancia un satellite spia
Il “Double Eleven non ha più senso di esistere”
Cina e Russia vogliono rafforzare gli investimenti reciproci
La Cina ha costruito il primo "comando near-space" al mondo

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GAZA. Approvato l’accordo per il rilascio di ostaggi israeliani e prigionieri politici palestinesi.


L'intesa dovrebbe partire domani. Prevede la liberazione di 50 donne e bambini israeliani e la scarcerazione di 150 detenuti palestinesi in prevalenza donne e ragazzi. E quattro giorni di tregua nei bombardamenti israeliani su Gaza. Netanyahu: la guerra r

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della redazione

(foto Wafa news agency- commons.wikimedia)

Pagine Esteri, 22 novembre 2023 – Dopo Hamas anche il governo Netanyahu ha approvato l’accordo mediato dal Qatar, assieme ad Egitto e Usa, per garantire il rilascio di circa 50 ostaggi israeliani a Gaza – 30 bambini, otto madri e 12 donne in gruppi di 12-13 persone al giorno – in cambio per la prima volta dal 7 ottobre di un cessate il fuoco di quattro giorni e della scarcerazione di 150 prigionieri politici palestinesi, in maggioranza donne e adolescenti della Cisgiordania e Gerusalemme Est detenuti in Israele. Inoltre, il rilascio futuro di ogni dieci ostaggi aggiuntivi comporterà un ulteriore giorno di tregua.

Questa mattina Israele ha pubblicato una lista con i nomi di 300 prigionieri politici palestinesi che potrebbero essere liberati in questi giorni e in futuro, per dare ai suoi cittadini l’opportunità, per 24 ore, di presentare ricorso alla Corte Suprema contro la loro scarcerazione. Pertanto, l’accordo raggiunto dovrebbe entrare in vigore a partire da domani.

Tutti i particolari delle intese mediate dal Qatar si conosceranno nelle prossime ore. Tuttavia è già noto che Israele consentirà l’ingresso di ulteriore carburante a Gaza nonché di maggiori quantità di aiuti umanitari per i civili palestinesi in condizioni di vita disastrose a causa della devastante offensiva militare israeliana in corso da quasi 50 giorni. Secondo Hamas, Israele fermerà i voli di droni sul sud di Gaza e li effettuerà solo nel nord per sei ore al giorno, dalle 10:00 alle 16:00.

Durante la tregua Hamas dovrebbe localizzare altre 30 altre madri e bambini israeliani, oltre ai 50 iniziali, che sono nelle mani di altre organizzazioni palestinesi, tra cui il Jihad islami. Hamas sostiene di aver 210 dei circa 240 ostaggi, decine dei quali sono stranieri. Parte dell’accordo prevederebbe che la Croce Rossa abbia accesso ai rapiti che rimarranno come ostaggi a Gaza.

Non è chiaro quali intese siano state o saranno raggiunte per gli ostaggi stranieri. Israele afferma che l’accordo appena raggiunto non ha nulla a che fare con gli ostaggi che non sono israeliani e che altri governi dovranno lavorare ad accordi separati. Da parte sua Hamas ha detto che non rilascerà alcun soldato israeliano e consegnerà gli ostaggi alla Croce Rossa e poi li trasferirà all’esercito israeliano. Gli ostaggi verranno quindi sottoposti a un primo controllo medico, quindi saranno portati in uno dei cinque centri medici isolati in tutto Israele per incontrare le loro famiglie.

Il voto finale dell’esecutivo politico-militare israeliano è stato 35-3. I tre ministri di Otzma Yehudit (estrema destra) sono stati gli unici a votare contro l’accordo. Il ministro della Sicurezza e leader di Otzma Yehudit, Itamar Ben Gvir si è opposto con forza all’accordo descrivendolo una “capitolazione” che, tra le altre cose, porterà all’aumento della pressione internazionale su Israele affinché non riprenda i combattimenti dopo la scadenza del cessate il fuoco.

Il gabinetto di guerra israeliano ribadisce che riprenderà la guerra contro Gaza con tutta la forza necessaria. Nel frattempo, l’esercito attacca in Cisgiordania. Almeno sei palestinesi sono stati uccisi a Tulkarem da un drone israeliano durante un’incursione dell’esercito nella città palestinese. Pagine Esteri

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Weekly Chronicles #55


Tra nuove minacce per la privacy e qualche buona notizia.

Questo è il numero #55 delle Cronache settimanali di Privacy Chronicles, la newsletter che parla di sorveglianza di massa, crypto-anarchia, privacy e sicurezza dei dati.

Nelle Cronache della settimana:

  • Dimmi cosa scrivi…chatGPT ti dirà chi sei e dove sei
  • Una telecamera nel bagno dell’autogrill
  • L’Unione Europea fa dietrofront sul Chatcontrol

Nelle Lettere Libertarie: Viva la libertad, carajo!

Rubrica OpSec - Scenario della settimana: Marta è una giornalista politica. Vuole iniziare a scrivere pubblicamente le sue critiche e opinioni su governo e alcuni movimenti politici, sia sui social network che sul suo blog personale. Marta teme che qualcuno possa segnalare i suoi contenuti o riconoscerla e minacciarla. Teme anche che in caso di segnalazioni il suo account PayPal possa essere bloccato.

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Dimmi cosa scrivi…chatGPT ti dirà chi sei e dove sei


L’intelligenza artificiale generativa è molto bella. Ci semplifica il lavoro, ogni tanto ci ispira, qualche volta ci stupisce. E a stupire stavolta è una ricerca che parla di Large Language Models e privacy.

Secondo questa ricerca parrebbe che i modelli LLM come chatGPT siano in grado di inferire caratteristiche uniche sulle persone e perfino determinare il luogo in cui si trovano, in base a ciò che scrivono. Non ci credi? Facciamo un esempio.

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llm-privacy.org

Qui una persona racconta brevemente di essere arrivata in un luogo da cui si vedono le alpi, inserendo alcune informazioni generiche in merito al trasporto pubblico, a un’arena e circa un famoso evento sul formaggio. A partire da queste poche righe, saresti in grado di capire la città esatta in cui si trova questa persona?

Magari sì, ma ti richiederebbe diverse ore di lavoro e la conoscenza di qualche tecnica di OSINT. Un motore come chatGPT impiega invece circa 240 volte in meno rispetto a un essere umano per capire che quella persona si trova a a Zurigo, nel quartiere Oerlikon.

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llm-privacy.org

Il patrimonio informativo a disposizione di questi motori LLM è talmente vasto che permette di inferire con una precisione sbalorditiva informazioni che richiederebbero a un’analista parecchio lavoro. Purtroppo, neanche l’anonimizzazione degli elementi direttamente identificativi è utile a limitare l’inferenza, come mostra il prossimo esempio:

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llm-privacy.org

Immaginate cosa saranno in grado di fare (e probabilmente già fanno) le agenzie di intelligence con uno strumento del genere. Cari lettori, è forse ora di iniziare a imparare qualcosa di OSINT e cercare di limitare il più possibile l’esposizione online.

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Una telecamera nel bagno dell’autogrill


Giovedì ero in viaggio per una trasferta di lavoro che mi ha portato verso il Veneto. Verso le 11:30 decido di fermarmi per una pausa caffè e per fare un salto in bagno. In prossimità di Verona vedo il cartello che indicava l’uscita per il prossimo autogrill e una grande insegna con scritto Bauli.

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#55


VERSIONE ITALIANA UE PROSEGUONO I NEGOZIATI SULL’ AI ACT L’AI Act è la normativa che nasce per regolamentare l’intelligenza artificiale. Il dossier attualmente è nell’ultima fase del processo legislativo quella nella quale la Commissione europea, il Consiglio e il Parlamento si riuniscono in “triloghi” per definire le disposizioni finali della legge. Francia, la Germania e …


Gaza, Xi: "Senza la soluzione dei due stati niente pace e stabilità”


Gaza, Xi: 10524750
Il presidente cinese interviene all'incontro virtuale dei Brics e articola la posizione cinese sul conflitto tra Israele e Hamas, mentre si conclude la visita della delegazione di paesi a maggioranza musulmana a Pechino. Al G20 virtuale indiano partecipa il premier Li Qiang

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GAZA. Jabaliya circondato, colpiti Nuseirat e Khan Yunis. Imminente accordo per scambio ostaggi-prigionieri palestinesi


Il ministero della Sanità di Gaza riferisce che dall'inizio della guerra sono stati uccisi 14.128 palestinesi, il 69% delle persone uccise sono donne e bambini. I feriti sono oltre 33.000. L'articolo GAZA. Jabaliya circondato, colpiti Nuseirat e Khan Yun

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della redazione

Pagine esteri, 21 novembre 2023 – Mentre si attende l’annuncio di un accordo per una tregua di 4-5 giorni assieme alla liberazione di 53 ostaggi israeliani e alla scarcerazione di 150 prigionieri politici palestinesi (in maggioranza donne e minori), a Gaza infuriano i bombardamenti aerei e i combattimenti sul terreno. Israele ha circondato il campo profughi di Jabalia che descrive come una roccaforte di Hamas. L’agenzia di stampa palestinese Wafa ha riferito di 33 persone uccise e decine ferite in un attacco aereo israeliano su Jabalia. Altri dieci palestinesi sono morti in un altro raid dell’aviazione contro un palazzo di Khan Yunis. Qualche ora prima almeno 20 palestinesi erano sono stati uccisi in un bombardamento israeliano sul campo profughi di Nuseirat, alle porte del territorio meridionale di Gaza e punto di arrivo di un gran numero di persone in fuga dalle aree del nord occupate da Israele. E’ stato colpito anche l’ospedale Al Awda, nel nord, con tre membri del personale medico uccisi

Il ministero della Sanità di Gaza riferisce che dall’inizio della guerra sono stati uccisi 14.128 palestinesi, il 69% delle persone uccise sono donne e bambini. I feriti sono oltre 33.000. Aggiunge che 25 ospedali e 55 cliniche non sono più operativi a causa degli attacchi israeliani nella Striscia.

Nel frattempo, pioggia e freddo hanno peggiorato le già terribili condizioni di vita degli sfollati, molte migliaia dei quali dormono all’aperto o in tende improvvisate. I bombardamenti israeliani anche nelle aree meridionali indicano agli abitanti di Gaza che non esiste un posto sicuro dove andare. Nonostante l’ordine israeliano di allontanarsi dalle loro case, si ritiene che decine di migliaia di civili restino nel nord di Gaza che Israele dice di controllare e dove i militanti di Hamas resistono con azioni di guerriglia. Tutti gli ospedali in quella zona hanno smesso di funzionare ma ospitano ancora pazienti e sfollati. L’Organizzazione Mondiale della Sanità sta lavorando a un piano per evacuare tre ospedali: Al Shifa, Al Ahli e Indonesiano.

Questa sera il premier israeliano Netanyahu ha convocato il suo gabinetto di guerra tra i crescenti indiscrezioni di un accordo per liberare parte dei 240 ostaggi presi dai militanti di Hamas dopo l’attacco in Israele il 7 ottobre. Secondo le ultime notizie date dai media locali, Hamas libererà circa 53 ostaggi, per lo più donne e bambini e alcuni stranieri, mentre Israele rilascerà 150 prigionieri palestinesi. Non ci saranno combattimenti per quattro-cinque giorni e sorvoli su Gaza di droni israeliani di sorveglianza per 6 ore al giorno. Contro l’intesa sono schierati i ministri dell’estrema destra, Itamar Ben Gvir e Bezalel Smotrich, che parlano di “cedimento alle condizioni di Hamas”. Pagine Esteri

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pagineesteri.it/2023/11/21/in-…



L’ASSURDITÀ DI SCUSARSI PER L’OMICIDIO DI GIULIA IN QUANTO UOMINI


Doveva succedere, ed è successo. È successo che più d’un uomo noto si sia pubblicamente scusato idealmente con Giulia e concretamente con tutte le donne che subiscono violenza e che l’abbia fatto non in quanto uomo violento pentito della propria violenza

Doveva succedere, ed è successo. È successo che più d’un uomo noto si sia pubblicamente scusato idealmente con Giulia e concretamente con tutte le donne che subiscono violenza e che l’abbia fatto non in quanto uomo violento pentito della propria violenza passata, ma in quanto uomo. Uomo e basta. Se era un modo per distinguersi dal coro del cordoglio sono state parole subdole. Se, come sembra, erano parole sincere, sono state parole emblematiche. Emblematiche di un assurdo senso di colpa collettivo che da anni, in forma crescente, caratterizza le élite occidentali. Élite di un Occidente che sembra trovare una propria identità non nell’atto di rivendicare ciò che è, ma nell’atto di scusarsi per ciò che è stato.

Ci si scusa, afflitti, per il colonialismo, per il fascismo, per il comunismo, per il cambiamento climatico, per la globalizzazione, per la pedofilia, per la prevaricazione di genere, per l’abitudine di mangiare carne… Comportamenti spesso frutto di processi secolari che ci hanno indotto un tempo a considerare normale quel che, col tempo, oggi consideriamo anormale e spesso inaccettabile. Ma il senso comune non basta. Non basta prendere atto dell’avvenuta metamorfosi di valori, morali, etiche e norme di legge. Bisogna cospargersi il capo di cenere e chiedere scusa per le azioni dei nostri nonni come, eventualmente, del nostro vicino di casa.

Ne discendono il trionfo della “cancel culture”, l’esplosione dell’ideologia “woke” che dalla giovane società statunitense si sono fatte sorprendentemente largo negli atenei e nei salotti della Vecchia Europa. Ne discendono il culto delle minoranze e il senso si spaesamento e di colpa delle maggioranze. Ne discende una società afflitta, dove la responsabilità penale non è più personale ma collettiva e dove la Storia non è più oggetto di studio ma motivo di biasimo e di vergogna.

Prendiamo la questione di genere. Abbiamo vissuto per millenni in una società patriarcale e per millenni ci siamo riconosciuti in una Chiesa che con Sant’Agostino considerava la donna “l’ostacolo principale sulla via che conduce a Dio”. In Italia, le donne hanno avuto riconosciuto il diritto di voto solo nel 1945; il reato di adulterio, punito per la donna con un anno di reclusione, è stato abolito solo nel 1968; il delitto d’onore, cioè le attenuanti per l’uxoricida dell’adultera, e il matrimonio riparatore, cioè la norma del codice penale che cancellava la colpa dello stupratore che sposava la vittima, sono stati abrogati solo nel 1981. Quarant’anni fa appena.

La civiltà cambia, progredisce. Ma cambia a progredisce lentamente, perché lento é il processo di sostituzione di consuetudini e valori vecchi con consuetudini e valori nuovi. Eppure il cambiamento c’è stato, e c’è stato grazie all’affermazione del principio liberale che ha messo al centro la persona in quanto tale. La persona, il singolo cittadino indipendentemente dal fatto che sia uomo o donna, in quanto titolare di diritti incomprimibili ed universali. È per questo che di fronte al mostruoso martirio della povera Giulia la reazione di chi si scusa in quanto uomo finisce per disconoscere il processo di revisione culturale che indiscutibilmente c’è stato, per offendere la stragrande maggioranza di uomini che mai leverebbero una mano su una donna e per relativizzare la responsabilità personale di quell’unico uomo che vigliaccamente l’ha uccisa.

HuffingtonPost

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ICYMI: FPF Webinar Discussed The Current State of Kids’ and Teens’ Privacy


Privacy by design for kids and teens has expanded across the globe. As policymakers, advocates, and companies grapple with the ever-changing landscape of youth privacy regulation, the Future of Privacy Forum recently hosted a webinar discussing the curren

Privacy by design for kids and teens has expanded across the globe. As policymakers, advocates, and companies grapple with the ever-changing landscape of youth privacy regulation, the Future of Privacy Forum recently hosted a webinar discussing the current state of kids’ and teens’ privacy policy. The webinar explored the current frameworks that are influential worldwide, the variations in youth privacy approaches, and the nuances of several emerging trends.

The virtual conversation, moderated by FPF’s Chloe Altieri, included a discussion about the industry’s work on compliance with a variety of regulations across jurisdictions. The webinar began with presentations from the panelists, setting the stage with their current work on youth privacy issues. The panelists were Phyllis H. Marcus, Partner at Hunton Andrews Kurth LLP, Pascale Raulin-Serrier, Senior Advisor in Digital Education and Coordinator of the DEWG at the French CNIL, Michael Murray, Head of Regulatory Policy at the U.K. ICO, and Shanna Pearce, Managing Counsel, Family Experience at Epic Games.

Phyllis led the audience through the current U.S. legislative and regulatory landscape. The U.S. States have been incredibly active in children’s and teens’ privacy legislation, with 11 states having enacted bills and an additional 35 states have considered legislation for youth online safety. The trends emerging from the online safety legislation being considered show four primary categories of laws being considered by state regulators: Platform Accountability Laws, Age Verification Laws, Social Media Metering Laws, and the California Age-Appropriate Design Code (CA AADC). In recent actions, the Federal Trade Commission has stepped up enforcement of the Children’s Online Privacy Protection Act (COPPA). Finally, the U.S. Congress has taken an interest in enhancing youth online safety measures through the introduction of COPPA 2.0 by Sen. Markey and Sen. Cassidy and the Kids Online Safety Act (KOSA) by Sen. Blumenthal and Sen. Blackburn.

Pascale discussed the work of the French CNIL, both nationally and internationally, in making privacy and youth online safety an effective initiative. Key international initiatives include the International Resolution on Children’s Digital Rights adopted in 2021, which harmonized a regulatory vision and set of core principles among Data Protection Authorities Worldwide around youth online safety. Additionally, the CNIL is working to improve digital education to combat the issues of online safety. The CNIL published eight recommendations to enhance the protection of children online in 2021 with the aim of providing practical advice to a range of stakeholders. Such recommendations include strengthening youth awareness of risks online and privacy rights as well as encouraging youth to exercise their privacy rights in order to stay safe. Youth education efforts are being undertaken in conjunction with digital literacy efforts that empower parents and caretakers to have meaningful conversations about online safety with their children.

Michael discussed the United Kingdom’s Age Appropriate Design Code (U.K. Children’s Code), which is a statutory code of practice under the UK’s General Data Protection Regulation(GDPR). The Children’s Code is grounded in the principles established by the United Nations Convention on the Rights of the Child (UNCRC). Michael explained that the Code sets out 15 interlinked standards of age-appropriate design for online services that are likely to be accessed by children. The U.K. Information Commissioner’s Office (ICO) has undertaken a wide-ranging effort to supervise the code by exploring the possible ways the ICO could provide guidance for online services to meet the Code’s objectives. The ICO not only looks to submitted complaints but also to industry engagement efforts and engagement with other regulators or government offices to inform its guidance. According to recent industry surveys, this new method of supervising code implementation has been effective.

Shanna discussed the safety and privacy considerations that are necessary when building online experiences for kids and teens, specifically on gaming platforms. Shanna spoke about the balance and thoughtful product design required to create a positive experience for younger players and their guardians in compliance with global regulations. One product of this balancing act for Epic Games was the deployment of a suite of protections across its ecosystem of games, including age-appropriate default settings, parental controls, and Cabined Accounts, an Epic account designed to create a safe and inclusive space for younger players. Players with Cabined Accounts can still play Fortnite, Rocket League, or Fall Guys but won’t be able to access certain features, such as voice chat, until their parent or guardian provides verifiable parental consent (“VPC”).

After the panelists’ presentations, we launched into a discussion on several of the most salient issues unsettled in youth privacy policy, such as online safety, age assurance, parental consent, new regulatory requirements, and guidance for the industry. We have summarized the discussion and included key takeaways.

How are policymakers and industry members working to resolve points of tension between privacy and safety? How is this tension and its resolution approached differently across the globe?


Michael Murray gave a three-fold answer on the difference between U.S. and U.K. child privacy & safety policy. The first key difference is that in the U.K. context, the ICO and OFCOM lead a dual effort where the ICO focuses on privacy, and the U.K.’s Office of Communications (Ofcom) focuses on safety and content regulation. In the U.S., there is no defined, systemic privacy and safety regulatory effort. The second is that the U.K. is a signatory to the UNCRC, which defines children as anyone under the age of 18, and that is reflected in U.K. law. In contrast, the U.S. is not a UNCRC signatory, and the current U.S. federal protections define children as individuals under the age of 13 years old. Finally, third, the U.S. operates largely under an actual knowledge standard that an online site or service is directed to children. Whereas the U.K. Code and, recently, the California AADC operate under a “likely to be accessed” by children standard.

Phyllis H. Marcus elaborated on some of the points Michael brought up, describing the knowledge standard and tensions between privacy and safety we see in the U.S. COPPA is a privacy rather than a safety regime, but it does have safety components as one of its statutory underpinnings. It is important to know that this current regime is being somewhat upended by the patchwork of state laws being passed. Additionally, this regime may change if COPPA 2.0 and KOSA make their way through Congress and especially if they go into effect, where, combined, they will regulate privacy and safety regimes in tandem.

Pascale provided insight into the approach by France and the European Union (EU), where safety and privacy are not opposing or differentiated regulatory efforts. Safety is an element of privacy regulation and is considered within Data Protection legislation.

Age assurance is a large part of the policy conversation on youth privacy and safety online, especially as privacy protections for teens are expanding. What are your thoughts on the current issues around age assurance?


According to Michael, the area of age assurance and age verification is rapidly evolving, but there is “no silver bullet” for establishing or verifying user age on digital platforms and services. The U.K. Code takes a risk-based and proportional response to age assurance. The lower the risk of processing a child’s data, the less intensive age assurance or verification mechanisms need to be. For example, self-declaration might be a suitable mechanism for a lower-risk service. However, where risk is higher, more assurance and verification are needed to protect against processing children’s data, which is a GDPR violation. For higher-risk services, age estimation software with a buffer, a form of cabined accounts, or age verification through mobile contracts and digital IDs could be employed. These methods are all still immature, and there is no clear one-size-fits-all solution.

Pascale expressed that there are no clear solutions for age assurance and verification at this time. The CNIL, along with working groups such as DEWG, are still experimenting with age assurance methods. The CNIL is working towards developing a technical approach among different stakeholders in both the government and private sectors to harmonize methods across the chain of actors concerned. However, it is clear that the solution developed will not rely on biometric data collection for age verification efforts, though scans and estimations of face shape may be permitted. The end goal will be to find a strong mechanism for verification while balancing privacy concerns.

What are the important considerations when trying to strike a balance between data minimization, collecting information for age assurance, the level of accuracy that is appropriate, and the evolving landscape of age assurance technologies?


Shanna discussed the challenges the industry faces with respect to the state of age assurance technology in certain scenarios. Those challenges include imprecision with some age assurance technology and methods that cannot be used across all types of devices where users access online services, such as gaming consoles. These challenges are reduced when several methods are offered for verification of adults providing parental consent but may be significant where a single method is used as a gate for users to access services. While alternative age assurance technologies continue to develop, Shanna observed that the industry can find creative ways to improve the reliability of existing methods like self-reported age gates–such as providing child experiences that reduce the incentive to misstate age (Epic’s Cabined Accounts are one example) and using trusted data intermediaries to reduce friction and privacy risk to parents providing parent verification.

Michael echoed concerns about data minimization complicating age verification techniques. He added that when given a choice, a lot of parents prefer age estimation mechanisms as opposed to giving hard identifiers or personal information such as ID numbers or credit cards for age verification purposes.

These questions around age assurance are sometimes linked to discourse about parental consent. Can you speak to these two topics and share a bit about the emerging methods for each?


Phyllis provided more insight into age assurance and parental consent practices in the U.S., noting that, at least in the U.S., age assurance and parental consent “are really two different things.” When it comes to children’s use of online services under federal law, there is no requirement to verify the age of users. Rather, the U.S. requirement is to obtain consent from someone whom the company has reasonable assurance to be the parent of a child requesting access to a service. There are some parental consent mechanisms that have been whitelisted by the FTC and have been in place for decades, while others are still being reviewed by the FTC. The idea of age assurance, on the other hand, is relatively new in the U.S., and there are a number of actors considering the possibility of deploying age assurance methods in the states. Key considerations for exploring the use of age assurance technology in the U.S. include looking at less-intrusive, less risky verification methods and making data minimization a priority. Finally, Phyllis made clear that when using age estimation systems for age assurance, the over/under age estimations could be risky if not adequately tested. When estimating a user’s age with just a few years for margin of error, that would be the difference in compliance and non-compliance.

There is a lot of work being done globally by lawmakers, regulators, advocates, industry leaders, and researchers to answer these policy questions we have discussed today. How are recommendations created, and how is this guidance impactful for remedying noncompliance or figuring out solutions to protect youth privacy online?


Pascale noted that in addition to the CNIL’s eight recommendations previously mentioned, global IT experts are exploring age verification technologies to be able to create recommendations for compliance and enforcement. Work is also being done on digital education for parents as a way to increase awareness and understanding of child privacy and safety online. There is a balance between allowing parents to be involved and requiring online services to add protections. There are also important nuances around teen autonomy, developmental stages, and parents sharing too much of their child’s information. There is more to come on recommendations providing topics of discussion with parents as well as developing cooperation on a voluntary basis with the industry.

Michael agreed that digital education is a vitally important part of the solution, and research shows that parents want to have a say in the online services their kids use. Still, it cannot be the entire solution, and parents will not always be able to make informed decisions. Children’s design codes are placing an emphasis on the design of online services to avoid placing an overwhelming burden on the shoulders of parents. This emphasis works productively in tandem with developing resources for parents to have productive conversations with their children.

Recent youth privacy legislation has included a variety of standards for the level of knowledge of an online service’s audience’s age. These variations in legislation have led to companies needing to consider youth privacy issues, like age assurance, that previously did not. How is this impacting emerging technology and the practical implementation of new products?


Phyllis responded that the development of new standards for determining what services do or do not fall under the scope of regulatory scrutiny and age assurance requirements is one of the most hotly contested and highly discussed issues in the evolving U.S. landscape. Under COPPA, the requirements are defined clearly into buckets, which then clearly define the scope of the law. The current federal standard in the U.S. is actual knowledge that a service is directed to children. Phyllis cautions that it’s important to note that most new initiatives change this paradigm, and the jury is still out on what the new standard will ultimately entail with COPPA 2.0 and KOSA.

Shanna noted that while many services were developed and deployed prior to legislation going into effect, those services may be brought into scope later. Retrofitting an existing service to address things like parental consent and default settings may require significant design and technical effort, and the process is complicated further as the age of digital consent differs across regions. Shanna stated that engagement by regulatory bodies and issuing of guidance is invaluable to companies trying to comply with these evolving requirements in the tech space.

Pascale added that this is not the first time that the industry has faced technical difficulties like the ones we see today in age assurance and verification. According to Pascale, innovation is a key element to prioritize in each company’s approach because big innovations can guide smaller ones.

We asked a final question to all of our panelists: What do you foresee as the near future of youth privacy policy? What issue should companies or policymakers have top of mind right now?


Phyllis observed that there is a lot on the horizon and that it will be easy for actors to fall behind if they are not intentionally keeping up with youth privacy. It is clear that developments in the U.K. have had an effect on U.S. policy at both the state and federal levels. These initiatives will continue to be momentum to keep an eye on.

Pascale opined that privacy by design is one of the best policy options. While digital education is important to aid in solving these issues, integrating privacy by design at the conception of tech innovation will help to distribute the pressure of protecting youth online.

Michael noted that age assurance is an obvious answer. Additionally, the resolution of First Amendment questions presented in the litigation of the California Age-Appropriate Design Code will be critical. The suit brings up fundamental issues around how to protect data without impacting U.S. constitutional rights that will be an important debate.

Shanna is interested in seeing how companies balance privacy with uses of emerging technologies that improve online safety. She also observed that a variety of laws are currently taking shape around the globe, and there’s an opportunity to improve consistency and clarity of forthcoming guidance so companies can comply effectively.

Each of the panelists shared helpful resources, which we have listed and linked below, along with a few of our own. You can also find the panelist’s presentation slides and additional resources here.

Phyllis H. Marcus’ Recommended Resource:

Pascale Raulin-Serrier’s Recommended Resources:

Michael Murray’s Recommended Resources:

Shanna Pearce’s Recommended Resources:

Additional Future of Privacy Forum Resources of note:

Coming up soon! You won’t want to miss FPF’s final session in our virtual Immersive Tech Panel Series on December 6 at 11 am ET. The December session will dive into designing immersive spaces with kids and teens in mind. You can register for this event here.

For more information or to learn how to become involved with FPF’s youth privacy analysis and initiatives, please contact Chloe at caltieri@fpf.org. Subscribe here to receive monthly newsletters from the Youth and Education Team.


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Penando


Una nuova legge per scriverci cosa? Le leggi non cancellano il male dalla storia, servono a fissare il confine fra il lecito e l’illecito, punendo gli sconfinamenti. Un orribile omicidio ha non soltanto ricordato che il male esiste, che è radicato nell’an

Una nuova legge per scriverci cosa? Le leggi non cancellano il male dalla storia, servono a fissare il confine fra il lecito e l’illecito, punendo gli sconfinamenti. Un orribile omicidio ha non soltanto ricordato che il male esiste, che è radicato nell’animo umano, ma ha anche portato alla luce il vaniloquio di chi si lancia verso l’aumento delle pene e di chi si butta su concetti come prevenzione ed educazione. Oltre al dolore per quella giovane vita rubata si deve avere la forza di guardare in faccia la realtà per quella che è, senza bendarsi di pregiudizi.

Le pene come disincentivo al crimine sono una bufala già da secoli riconosciuta come tale. Gli Stati americani con la maggiore presenza di crimini di sangue sono gli stessi in cui c’è la pena di morte. Da noi il problema non sono le leggi (sempre migliorabili, ma senza l’illusione che basti condannare per lasciar credere di cancellare), semmai la giustizia. Ovvero la capacità di punire tempestivamente. Con particolare attenzione ai così detti piccoli reati, che non soltanto non sono piccoli per chi li subisce ma spesso segnano le tappe di una carriera criminale che prima la si stronca meglio è. Da noi il problema è l’esecuzione della pena, talché non si finisca in vincoli prima del processo e magari se ne esca dopo la condanna e affinché non capiti di leggere che chi ha ucciso esca dalla cella perché è ingrassato. A questo servono edifici carcerari adeguati e civili: a che un giudice non ne faccia uscire il condannato perché malandato.

La responsabilità penale è personale non per amore di una rima, ma perché si punisce chi ha scelto di praticare il male. Se si comincia a dire che quel male si spiega con tare sociali o culturali forse non ci se ne rende conto, ma si alleggerisce la posizione del criminale. Che è colpevole in quanto individuo, non in quanto appartenente a un genere o a una etnia.

L’educazione conta, eccome se conta. Ma cos’è l’educazione? Non certo il pistolotto settimanale sul rispetto e sulla bontà. Serve a nulla. L’educazione è trasmettere la capacità di dominare e coartare i propri istinti naturali: se desideri molto una cosa non è un buon motivo per prenderla, se molto la detesti non è un buon motivo per cancellarla. L’educazione non è la sola conoscenza dei diritti, ma la pratica dei doveri. Per questo servono cultura, letteratura, filosofia, storia, capacità di ragionamento analitico, geometrico, matematico. Serve la scuola seria, non la testimonianza di passaggio. Serve insegnare a fare i conti con le sconfitte, con le umiliazioni e con il dolore, non cancellare i voti onde evitare che qualcuno li prenda male.

Se si vuole che ci sia più coscienza collettiva, capace di riconoscere il male, occorre non metterla fuori strada. È irritante leggere i numeri relativi alle donne ammazzate messi in relazione con questo o quel governo. Che sia per condannarli o incensarli è senza senso, perché i governi non c’entrano nulla. È vero che in Italia ci sono meno donne ammazzate della media europea e meno che nei Paesi del Nord Europa ed è vero che diminuiscono (troppo lentamente). Il dato non dev’essere nascosto (noi gli dedicammo uno specifico approfondimento) ma deve essere capito. Perché se la causa fosse il “patriarcato” ne deriverebbe che ce n’è di meno in Italia e in Spagna rispetto ad altri Paesi europei. Quel numero non deve servire a consolare – che anche una sola persona morta ammazzata è già troppo – ma a evitare di abboccare a spiegazioni tanto facili da non spiegare niente.

Una società aperta e paritaria, non soltanto per genere, è una società più esposta ai pericoli che l’esistenza del male comporta. Non è un buon motivo per rinunciare all’apertura, ma per capire che la libertà ha bisogno di responsabilità. Collettiva e individuale. Non serve scriverlo in una legge, serve praticarlo. Specie se si fa politica, se si ha un ruolo pubblico. Specie se si hanno dei figli. Si chiama “esempio”. È penando la fatica della libertà che si migliora il mondo in cui si vive.

La Ragione

L'articolo Penando proviene da Fondazione Luigi Einaudi.



In viaggio verso i giganti ghiacciati, con Luca Nardi e Fabio Nottebella | AstroSpace

«“Giganti ghiacciati” è uno di quei saggi scientifici da avere nella propria libreria. Perché raccoglie tutte le informazioni finora a nostra disposizione sui due pianeti ghiacciati del nostro Sistema Solare, perché le racconta con passione e con competenza. Ma soprattutto, perché ci ricorda che l’esplorazione dello spazio di anno in anno ci regala una visione sempre più ampia della nostra casa, una conoscenza sempre più approfondita di ogni suo anfratto.»

astrospace.it/2023/11/21/in-vi…



Less waste, more consumer protection: MEPs adopt ‘Right to repair’ position


Today, the European Parliament adopted its position on the ‘right to repair’ law. The new rules will make it easier for consumers to get their defective products repaired, reducing the need …

Today, the European Parliament adopted its position on the ‘right to repair’ law. The new rules will make it easier for consumers to get their defective products repaired, reducing the need to discard them. MEPs agreed that manufacturers shall be obliged to provide spare parts to independent repairers, and a digital platform shall be set up in each Member State to connect customers and repairers. The legislation also introduces rules to encourage more repairs during the warranty period instead of replacing goods. The text now moves into trilogue negotiations with the Council of the EU and the European Commission.

Patrick Breyer, Member of the European Parliament for the German Pirate Party, comments:

“Pirates support this initiative because we think users should control the tech they use every day. For IT, the requirement that updates must be reversible and shall not lead to diminished performance will be useful. But we Pirates still believe that the right to repair could go further, and would like to see this implemented in future legislation. Current laws say IT device makers must provide updates for a reasonable period of time, but they’re not required to fix known vulnerabilities quickly. That needs to change to keep us safe. The source code and tools for development of information technology should be made public so the community can take care of them when a manufacturer stops supporting a widely used product. Requiring manufacturers to enable 3D printing of spare parts in case of orphan products, as now proposed by Parliament, is a significant step in the right direction.“

Czech Pirate Party MEP Marcel Kolaja, Quaestor of the European Parliament and Member of the leading Internal Market and Consumer Protection Committee (IMCO), comments:

“The ‘right to repair’ proposal is a milestone on the way to a more circular economy. Nowadays, most of the time, it is easier for consumers to throw away broken goods than to have them repaired, even if it is only a minor damage. The result is both unnecessary spending and tons of waste that burdens the environment. Today, Europeans are estimated to lose up to €12 billion a year by throwing away goods unnecessarily, generating 35 million tonnes of waste. Both are relatively easy to prevent, which we are now aiming to do with this mandate.”


patrick-breyer.de/en/less-wast…



Sabato 18 novembre si è tenuta a Roma l'iniziativa “CESSATE IL FUOCO Giustizia per la Palestina Pace per due popoli”, presso la sala Carla Lonzi della Cas


I deputati del Parlamento europeo coinvolti nella legge sull’Intelligenza artificiale discuteranno martedì (21 novembre) l’aspetto di governance della legislazione alla luce delle recenti discussioni sui modelli di intelligenza artificiale più potenti. L’AI Act è una legge fondamentale che regola l’intelligenza...


di Ramon Mantovani Il 16 novembre il Congreso de los Diputados ha “investido”, e cioè eletto, Presidente del Governo il socialista Pedro Sanchez. I voti


Paola Mastrocola e Luca Ricolfi – Il danno scolastico


L'articolo Paola Mastrocola e Luca Ricolfi – Il danno scolastico proviene da Fondazione Luigi Einaudi. https://www.fondazioneluigieinaudi.it/paola-mastrocola-e-luca-ricolfi-il-danno-scolastico/ https://www.fondazioneluigieinaudi.it/feed


Le deportazioni di massa dei rifugiati afghani dal Pakistan


Il piano di estradizione dei profughi senza documenti dovrebbe concludersi entro il mese di gennaio 2024, secondo le autorità pakistane. L’Alto Commissario dell’Onu Volker Turk invoca il rispetto dei diritti umani, Amnesty International chiede che le oper

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di Valeria Cagnazzo

Pagine Esteri, Anabah, 21 novembre 2023 – Al confine tra il Pakistan e l’Afghanistan, le montagne continuano il racconto della terra in cielo. In questa stagione, le vette si uniscono al colore azzurro con un gesto leggero, che ne fa sbiadire i contorni rocciosi e le confonde con il celeste come in un cinguettio, come se nei millenni di sorveglianza alla frontiera la catena dell’Hindu Kush si fosse convertita alla lingua degli uccelli. Il ghiaccio in questa stagione colora le cime come la punta di un pastello sbriciolata da un temperino.

Le montagne dell’Hindu Kush si rincorrono per oltre 800 chilometri dalle regioni centro-occidentali dell’Afghanistan a quelle nord-orientali del Pakistan. Le più alte superano i 7.000 metri di altitudine – l’Himalaya non è troppo distante, con i suoi scalatori, le sue vertigini, gli scheletri seppelliti lungo i suoi crinali. Ottemperando per millenni al suo lavoro di reggere il cielo come un vestito, l’Hindu Kush ha di volta in volta svelato agli uomini riserve di lapislazzuli azzurri come i suoi ghiacci nella valle di Kowkchech, o di smeraldi nella valle del Panjshir, questo pozzo di luce dove mi trovo e dove sventolano le bandiere di Emergency dal 1999, o, ancora, ha fatto riaffiorare dalle sue radici i gioielli di Alessandro Magno, il re viaggiatore ossessionato dal superamento delle frontiere. La storia ha attraversato questi massicci con valichi e passi che permettessero in ogni direzione il movimento degli uomini, il contatto tra le culture, lo scambio delle merci, delle stoffe, delle spezie, delle lingue. Più che il tempo, è stata la guerra, come sempre, a logorarne tanti: durante l’occupazione militare del Paese a partire dal 2001, gli Stati Uniti sfruttarono molti di questi passi nella montagna per muovere i loro mezzi militari corazzati, rendendone molti, ancora oggi, inagibili.

Oltre che della natura montuosa, il confine tra Afghanistan e Pakistan è opera soprattutto del disegno degli uomini. Si chiama “linea Durand” la frontiera che per 2.640 km separa i due Paesi. Definita a tavolino alla fine dell’’800, aveva lo scopo di delimitare i territori della Corona Britannica in India da tutto quello che si trovava subito a nord, vale a dire un impero russo in espansione verso sud e verso gli sbocchi sul mare. Per frenarlo, quindi, l’allora emiro afghano fu convinto dagli ambasciatori britannici a ratificare questa frontiera. Si divisero ufficialmente, così, i due stati, con una barriera che, inutile dirlo, spaccava in due intere comunità pashtun.

In queste settimane, è lungo questa frontiera che si sta giocando la vita di quasi due milioni di profughi afghani.

Alla vigilia dell’inverno, due mesi fa, le autorità pakistane hanno, infatti, annunciato il nuovo piano di estradizione dal Paese degli immigrati illegali, in prima battuta dei rifugiati afghani senza documento di soggiorno, con un invito a lasciare il Pakistan entro il primo novembre. A partire da quella data, il Ministro degli Interni ha promesso che il governo avrebbe messo in campo tutti i mezzi per deportare i clandestini afghani rimasti. E, di fatto, è con estrema rapidità che la macchina dell’estradizione forzata si è messa in moto e, tra il 15 settembre e l’11 novembre, 327.000 profughi afghani sono già rientrati nel loro Paese d’origine, molti costretti anche sotto la minaccia dell’arresto, mentre un altro milione e settecentomila di loro rischia di affrontare lo stesso destino.

Per decenni, il Pakistan ha ospitato rifugiati dall’Afghanistan, in fuga dalla guerra, dalle persecuzioni o dalla miseria del loro Paese. Due ondate di migrazioni, in particolare, hanno segnato la diaspora afghana oltre il confine: la prima, nel 1979, ai tempi dell’occupazione sovietica del Paese. La seconda, che coinvolse almeno 800.000 persone, solo due anni fa, quando nell’agosto 2021 i talebani tornarono al potere, a seguito dell’uscita dal Paese delle forze internazionali che avevano occupato l’Afghanistan per oltre vent’anni e che adesso lo lasciavano in maniera caotica, con sagome di disperati aggrappati ai carrelli dei loro aerei di ritorno.

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In tutto, il Pakistan sarebbe casa oggi per almeno 3.7 milioni di rifugiati afghani secondo le Nazioni Unite. Una popolazione che le autorità tengono a dividere in due sottogruppi: gli immigrati legali, ovvero i circa 1,3 milioni di rifugiati afghani regolarmente registrati, a cui si aggiungono altri 840.000 afghani in possesso di un altro tipo di documento che ne riconosca l’asilo, temporaneo o meno; e quelli, invece, illegali, che hanno attraversato la frontiera clandestinamente, percorrendo uno dei tanti passi che la traforano per il passaggio di treni merce e bestiame. Questi ultimi, nel giro di pochissimo tempo, sono finiti in cima alle agende del governo di Anwaar-ul-Haq Kakar con una sola risoluzione: la deportazione.

Non basta l’inverno imminente a fermare il piano di creare un improvviso popolo di due milioni di profughi rimpallati da un versante all’altro della frontiera. Profughi nel loro Paese. Per quanto anche questa definizione, per la grande maggioranza di questa massa di persone oggetto della discordia tra Aghanistan e Pakistan, sia inesatta: dal 1979 ad oggi, sono trascorsi 44 anni. Vale a dire una vita. Molti dei rifugiati che il governo pakistano vuole adesso rigettare indietro con un colpo di scopa sono nati in Pakistan, lì sono cresciuti, lì hanno frequentato la scuola, e magari ci si sono innamorati e vi hanno messo su una famiglia e una casa. Buona parte di loro non ha più nessun legame in Afghanistan, meno che mai con il nuovo-vecchio Paese amministrato dal governo de facto dei talebani.

Né l’Afghanistan sarebbe pronto a ricevere questa ondata di persone. La crisi umanitaria, per quanto lontana dai riflettori mediatici, continua a tenere quasi la totalità della popolazione, oltre 24 milioni di abitanti, sotto la soglia di povertà, e a rendere dipendente almeno la metà dall’assistenza internazionale, il cui intervento nel Paese, però, si è drasticamente ridotto dopo il ritorno dei talebani. I quali rigettano la politica pakistana di deportazione dei rifugiati, e annunciano, intanto, l’allestimento dei primi campi profughi transitori per fornire cibo e aiuto temporaneo ai deportati afghani.

Le tensioni tra i due Paesi si inaspriscono di giorno in giorno, ma il Pakistan non accetta intimidazioni e sembra sordo anche alle denunce della comunità internazionale: per il governo pakistano, i rifugiati afghani senza documento sono “un problema di sicurezza” da risolvere con urgenza. Secondo il Ministro degli Interni pakistano Sarfraz Bugti, dei 24 attentati suicidi avvenuti in Pakistan nell’ultimo anno, almeno 14 sarebbero riconducibili a residenti di nazionalità afghana. “Sono attacchi contro di noi da parte dell’Afghanistan e gli afghani sono coinvolti in questi attacchi. Ne abbiamo le prove”, avrebbe aggiunto. Accuse che l’autoproclamatosi Emirato Islamico dell’Afghanistan ha rigettato, dichiarando che l’Afghanistan non può essere colpevolizzato del “fallimento della sicurezza” di altri Paesi nella regione.

Quasi due milioni di persone sono diventate il pericolo da epurare per sbarazzarsi dallo spettro della violenza terroristica nel Paese. Al costo di incrinare definitivamente i rapporti politici ed economici con l’Afghanistan, ma con il beneficio di investire le deportazioni nella propaganda politica per le elezioni annunciate per il mese di febbraio 2024.

Da Ginevra, il 15 novembre scorso l’Alto Commissario per i Diritti Umani Volker Turk si è detto “allarmato” dai report che riferiscono gli abusi, i maltrattamenti, le detenzioni arbitrarie, la distruzione delle proprietà e delle estorsioni che stanno caratterizzando l’ondata di deportazioni condotte dal Pakistan contro i profughi afghani. L’obiettivo è, secondo molte testimonianze, quello di rendere la vita dei profughi afghani impossibile, così da costringerli con la forza a lasciare tutto affrontando il viaggio verso l’ignoto. Raid notturni, sequestro di gioielli e beni di prima necessità, fino alla chiusura di attività commerciali e all’arresto di rifugiati per ore o per giorni. Ferma è arrivata la condanna anche da parte della ONG Amnesty International, che ha chiamato il Pakistan a “fermare le deportazioni”.

C’è un senso di paura nella comunità afghana, viviamo costantemente in ansia, sigilliamo le porte appena sentiamo le auto della polizia avvicinarsi”, ha raccontato Junaid in un report di Amnesty International.

“Migliaia di rifugiati afghani stanno venendo usati come pedine politiche”, ha denunciato Livia Saccardi, che per la ONG è Regional Director per l’Asia Meridionale, “per essere riportati nell’Afghanistan a guida talebana dove la loro vita e la loro integrità fisica potrebbe essere in pericolo, nel pieno di un crollo dei diritti umani e di una catastrofe umanitaria in corso. Nessuno dovrebbe essere sottoposto a deportazioni forzate di massa, e il Pakistan dovrebbe ricordare bene i suoi obblighi secondo il diritto internazionale, incluso il principio di non-respingimento”.

Per agevolare le operazioni, il governo pakistano ha costruito 49 centri di detenzione, che preferisce definire “di transito”, con la possibilità di realizzarne di nuovi. Non esiste, tuttavia, un ordinamento legale che regolamenti la gestione dei centri. In almeno di sette di questi, sempre Amnesty ha potuto documentare la totale assenza del rispetto dei diritti umani come il diritto a un avvocato o di comunicare con i familiari, che spesso assistono alla scomparsa di un loro caro senza riceverne più notizie.

Una volta superato il confine, le prime vittime della deportazione sarebbero, poi, senza dubbio le donne e le bambine, strappate da un giorno all’altro alla possibilità di ricevere un’educazione e di avere un lavoro e una vita pubblica.

“Il Pakistan deve assicurare la protezione per gli individui che potrebbero affrontare persecuzioni, torture, maltrattamenti o altri irrimediabili rischi in Afghanistan”, ha dichiarato l’Alto Commissario Turk. “Questo include le donne e le bambine, gli ufficiali e il personale di sicurezza del precedente governo, le minoranze etniche e religione, gli attivisti per i diritti umani e della società civile e gli operatori mediatici”.

“Questi nuovi sviluppi sono un cambio di passo della lunga tradizione pakistana di accogliere, generosamente, rifugiati afghani in vasti numeri”, ha aggiunto Turk. Già tra il 2015 e il 2016, tuttavia, quando le relazioni politiche col governo afghano iniziavano a deteriorarsi, ai profughi afghani in Pakistan era spettato un destino molto simile, con raid e maltrattamenti denunciati da Human Rights Watch e minacce di deportazioni di massa, in molti casi andate a termine. Né i richiami dell’Onu o di Amnesty intimidiscono adesso il governo pakistano, che nella persona del Ministro dell’Informazione Jan Achakzai promette che “tutti i profughi afghani saranno deportati entro la fine di gennaio”.

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Il Pakistan non è il solo, del resto, a volersi liberare degli immigrati afghani proprio nel cuore della stagione più fredda. Anche dall’Iran, più in sordina, nella sola scorsa settimana sarebbero stati rimpatriati circa 20.000 rifugiati.

In Afghanistan, intanto, un sole tardivo ancora riscalda, fino al tramonto, e le vette si imbiancano lentamente, una alla volta, come un presagio di futuro dal cielo. Ma il clima secco già spacca le mani e le labbra, e la notte il gelo arriva improvviso sul petto, come una coperta bagnata. La frontiera afghana si prepara incredula a venire attraversata migliaia di volte per consegnare all’inverno più cupo e al freddo più disperato i suoi antichi figli senza più una casa.

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Golden power su Safran. Perché la cosa riguarda anche i caccia europei


Il governo italiano ha esercitato il suo diritto di Golden power per bloccare l’acquisizione da un miliardo e ottocento milioni da parte di Safran, società francese specializzata nella costruzione di motori a reazione, dell’italiana Microtecnica, filiale

Il governo italiano ha esercitato il suo diritto di Golden power per bloccare l’acquisizione da un miliardo e ottocento milioni da parte di Safran, società francese specializzata nella costruzione di motori a reazione, dell’italiana Microtecnica, filiale della controllata di Raytheon Technologies (Rtx), Collins Aerospace. La motivazione dietro la decisione del governo riguarda la preoccupazione che l’operazione possa influire sulla fornitura di componenti-chiave per il programma Eurofighter, nel quale Roma collabora con Londra, Berlino e Madrid (mentre Parigi preferì perseguire il proprio programma nazionale Rafale). Secondo quanto riportato dal Financial Times, sulla base del documento del governo italiano, la motivazione alla base dell’impiego del Golden power, di cui Roma si sarebbe consultata anche con Berlino, sarebbe che Safran non avrebbe dato “la necessaria priorità alle linee di produzione industriale di interesse per la difesa nazionale”, esprimendo la preoccupazione che l’accordo potesse portare all’interruzione delle forniture di parti di ricambio e servizi per i programmi di caccia Eurofighter e Tornado, necessari per garantire i requisiti operativi della Nato. Di conseguenza, l’Italia ha concluso che l’accordo “rappresenta una minaccia eccezionale agli interessi essenziali della difesa e della sicurezza nazionale”.

Lo stop a Safran

Il blocco da parte di Roma di un’acquisizione da parte di una società di un Paese alleato europeo o della Nato è un fatto relativamente raro. Nonostante la dichiarazione dell’amministratore delegato di Safran, Olivier Andriès, secondo il quale le resistenze verso la sua società sarebbero infondate, dato che il gruppo è già fornitore dell’Eurofighter e di altri programmi italiani, la decisione del governo segnala l’attenzione riposta per il settore della Difesa e per il destino delle sue aziende. Se finora la maggior parte degli interventi in questo senso hanno rappresentato il blocco di acquisizioni da parte di aziende cinesi verso realtà italiane in settori strategici, Difesa in primis (ma anche energia e comunicazioni).

Il dossier dei caccia

Il tema, tuttavia, tocca un ambito molto particolare, dove in Europa si muovono da tempo diverse direttrici di tensione che coinvolgono Parigi, Berlino e Roma, quello dei caccia. Il caso di Safran, infatti, verte sul programma congiunto che Italia, Germania, Regno Unito e Spagna hanno portato avanti per la realizzazione di un caccia di quarta generazione. Oggi sta prendendo forma una situazione simile, con l’Italia impegnata ancora una volta con la Gran Bretagna (e il Giappone) per la realizzazione del caccia di sesta generazione Global combat air programme (Gcap), mentre Francia e Germania sono impegnate nel progetto parallelo del Fcas. Tuttavia, mentre il Gcap è ormai decollato (si attende a dicembre il vertice tra ministri dei Paesi partner che vedrà la nascita del consorzio responsabile della sua realizzazione), il programma franco-tedesco è paralizzato da una serie di attriti che coinvolgono Eliseo e Cancellierato.

Berlino verso il Gcap?

La condivisione con Berlino della decisione italiana sul Safran, tra l’altro, rimanda all’ipotesi, più volte avanzata (anche se sempre smentita) di un potenziale allontanamento tedesco dal programma Fcas per una possibile adesione al Gcap. Nel corso dell’ultimo anno, infatti, si sono susseguiti attriti e incomprensioni tra Germania e Francia su tutti i programmi d’armamento condivisi, da quello aereo del caccia a quello terrestre del carro armato Main ground combat system (Mgcs). Oltre alle voci degli esperti (una fra tutte, quella del capo di Stato maggiore dell’Aeronautica militare, generale Luca Goretti, che ha sempre auspicato una convergenza dei due programmi aerei europei) sull’impossibilità per l’Europa di mantenere due progetti paralleli così ambiziosi in un campo avanzato come la sesta generazione di caccia, anche i ritardi del Fcas, messi a paragone con lo slancio del Gcap, potrebbe rappresentare un valido incentivo per Berlino per decidere definitivamente di abbandonare la difficile cooperazione con Parigi, preferendole la più ampia collaborazione con gli altri partner europei.


formiche.net/2023/11/safran/



FPF Offers Input on Massachusetts Student Data Privacy Proposal


On October 30, FPF provided testimony before a hearing of the Massachusetts Joint Committee on Education regarding H.532/S.280, an Act Relative to Student and Educator Data Privacy. Read our written testimony in full. Our testimony focused on highlighting

On October 30, FPF provided testimony before a hearing of the Massachusetts Joint Committee on Education regarding H.532/S.280, an Act Relative to Student and Educator Data Privacy.

Read our written testimony in full.

Our testimony focused on highlighting relevant FPF resources for policymakers (including a case study on student privacy in Utah, our state student privacy laws tracker, and a series of student data privacy ethics training scenarios), and sharing our thoughts on both things we believe the bill does well, as well as recommendations for changes and improvements.

FPF’s Director of Youth & Education Privacy, David Sallay, discussed his previous experience as chief privacy officer for the Utah State Board of Education and applauded policymakers for calling for the creation of a similar role in H.523/S.280. During the hearing, he also highlighted how the role could help address several of the other bills that were discussed, including providing support to rural schools and to Massachusetts’ educator-to-career data center. By designating privacy-focused personnel and requiring training, Massachusetts has an opportunity to improve structure, transparency, and consistency for schools, districts, and parents.

FPF’s testimony also included several recommendations and improvements, including expanding the bill’s student data privacy training requirements beyond educators, as procurement, IT, and other administrative staff often also have access to covered data. One component of the bill that will likely prove to be controversial is the broad private right of action included in the enforcement provisions. We expect this to be the subject of continued discussion and debate in the legislature. Citing his experience in Utah, David noted that granting the chief privacy officer role the authority to investigate alleged violations of student privacy laws, could help streamline and simplify enforcement.

Read our written testimony and watch the hearing.


fpf.org/blog/fpf-offers-input-…



Cara Elena, noi ti diciamo grazie per le parole vere e forti che con coraggio stai dicendo in queste ore di dolore irreparabile. Non silenzio, ma rumore. Rumor


Ma quale “attentato alla Costituzione”: i sindacati non hanno letto von Hayek


Affari&Finanza – La Repubblica L'articolo Ma quale “attentato alla Costituzione”: i sindacati non hanno letto von Hayek proviene da Fondazione Luigi Einaudi. https://www.fondazioneluigieinaudi.it/ma-quale-attentato-alla-costituzione-i-sindacati-non-hann


Guerra sottomarina: gli USA stanno perdendo la superiorità sulla Cina


Secondo il quotidiano statunitense "Wall Street Journal", Washington sta perdendo la supremazia sulla Cina nella guerra sottomarina, che conservava da decenni L'articolo Guerra sottomarina: gli USA stanno perdendo la superiorità sulla Cina proviene da Pa

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di Redazione

Pagine Esteri, 20 novembre 2023 – Secondo il quotidiano economico statunitense “Wall Street Journal”, Washington sta perdendo la supremazia nella guerra sottomarina, che ha mantenuto per decenni, a causa dei rapidi progressi di Pechino sul fronte delle tecnologie di propulsione e rilevamento.

In un articolo il quotidiano ricorda che all’inizio di quest’anno la Cina ha varato un sottomarino d’attacco con sistema di propulsione a idrogetto. Si tratta del primo utilizzo di tale sistema di propulsione avanzato, che anche gli Stati Uniti stanno introducendo. Alcuni mesi prima del varo, foto satellitari del cantiere per sottomarini a propulsione navale di Huludao aveva mostrato sezioni di un sottomarino di dimensioni senza precedenti in Cina. Pechino – scrive il “Wall Street Journal” – sta rapidamente colmando il divario con gli Stati Uniti in termini di rumorosità dei sistemi propulsivi e capacità di rilevamento sottomarino, che sino ad oggi rendevano i sottomarini d’attacco statunitensi assai superiori a quelli cinesi.

La Cina può inoltre far leva sulla sua capacità manifatturiera per produrre sottomarini a un ritmo superiore a quello degli Stati Uniti, come già sta accadendo per diverse categorie di navi da guerra, inclusi i cacciatorpediniere lanciamissili.
Nel 2021 è stato completato nei cantieri navali di Huludao un secondo complesso per l’assemblaggio, consentendo così al cantiere di lavorare contemporaneamente alla fabbricazione di due sottomarini.
Nel frattempo, il Pacifico sta diventando un teatro sempre più pericoloso per i sottomarini statunitensi: Pechino ha quasi completato la realizzazione di una serie di reti di sensori subacquei nota come “Grande muraglia sottomarina”, destinata a monitorare il Mar Cinese Meridionale e altre regioni chiave al largo delle coste cinesi.

L’Esercito Popolare di Liberazione cinese si sta dotando di ulteriori capacità di contrasto nei confronti dei sommergibili, con l’acquisizione di un maggior numero di aerei ed elicotteri per il pattugliamento marittimo in grado di interagire con le sonoboe collocate in mare.

Il “Wall Street Journal” ricorda che ad agosto le forze armate cinesi hanno effettuato una vasta esercitazione di lotta antisommergibile nel Mar Cinese Meridionale protrattasi per più di 40 ore, col coinvolgimento di decine di aerei da pattugliamento marittimo e lotta antisommergibile Y-8. Secondo il quotidiano statunitense, che nota anche la rapida espansione della flotta cinese di superficie, «l’era di dominio incontrastato degli Stati Uniti nei mari attorno alla Cina sta giungendo al termine». – Pagine Esteri

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GAZA. 12 uccisi nell’ospedale indonesiano, morti e feriti a Jabaliya


Almeno 12 palestinesi sono stati uccisi e decine feriti nelle ultime ore da spari contro l'ospedale Indonesiano circondato dai carri armati israeliani. Nell'ospedale si trovano 700 pazienti insieme al personale medico e centinaia di sfollati. L'articolo

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della redazione

Pagine Esteri, 20 novembre 2023 – Almeno 12 palestinesi sono stati uccisi e decine feriti nelle ultime ore da spari contro l’ospedale Indonesiano circondato dai carri armati israeliani. Lo denunciano fonti della struttura sanitaria situata nel nord della Striscia di Gaza. Non ci sono stati commenti sino ad ora da parte dell’esercito israeliano sui colpi contro l’ospedale dove si trovano ancora 700 pazienti insieme al personale medico.

L’agenzia di stampa palestinese WAFA riferisce che la struttura nella città di Beit Lahia è stata colpita da colpi di artiglieria e che ci sono stati sforzi frenetici per evacuare i civili in pericolo. Il personale ospedaliero ha negato la presenza di militanti armati nei locali. Come tutte le altre strutture sanitarie nella metà settentrionale di Gaza, l’ospedale indonesiano ha in gran parte cessato le attività, ma continua a ospitare pazienti, personale e residenti sfollati.

L’Indonesia ha condannato “l’attacco di Israele all’ospedale” istituito con suoi finanziamenti, aggoiungendo che lo Stato ebraico ha violato le leggi umanitarie internazionali. Israele sostiene che le sue forze a Gaza attaccano “infrastrutture terroristiche” e ha ordinato l’evacuazione totale del nord, dove però rimangono ancora migliaia di civili, molti dei quali si rifugiano negli ospedali.

Israele non cessa la sua offensiva di terra.

Violenti scontri a fuoco tra militanti armati di Hamas e forze israeliane sono in corso anche nel campo profughi di Jabalia, nel nord di Gaza, in cui vivono 100.000 rifugiati palestinesi. Israele lo considera “un’importante roccaforte militante”. I ripetuti bombardamenti israeliani di Jabalia hanno ucciso molte decine di civili nelle ultime settimane. Video mostrano attacchi aerei e truppe che vanno casa per casa.

Intanto cibo, carburante, medicine e acqua potabile stanno finendo in tutta Gaza sotto l’assedio israeliano che dura da sei settimane. Nel sud, dove si stanno rifugiando centinaia di migliaia di sfollati dal nord, almeno 14 palestinesi sono stati uccisi in due attacchi israeliani contro case a Rafah, secondo le autorità sanitarie di Gaza.

Oggi un gruppo di 28 neonati prematuri evacuati dallo Shifa, il più grande ospedale di Gaza, sono stati portati in Egitto per cure urgenti. Altri neonati sono morti dopo che le loro incubatrici erano state messe fuori uso a causa del collasso dei servizi medici durante l’assalto militare israeliano a Gaza City.

Le forze israeliane hanno sequestrato lo Shifa la settimana scorsa per cercare “una rete di tunnel di Hamas” sotto l’ospedale. Centinaia di pazienti, personale medico e sfollati lo hanno lasciato nel fine settimana. I medici hanno denunciato di essere stati espulsi dalle truppe. Secondo Israele le partenze sono state volontarie. Pagine esteri

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“ICO: ‘Be smarter than your smart tech’” L’Information Commissioner’s Office (“ICO”) del Regno Unito ha pubblicato alcuni suggerimenti per aiutare i consumatori a fare acquisti tecnologici intelligenti durante i saldi del Black Friday. Con questa particolare iniziativa l’Autorità intende sensibilizzare sui potenziali rischi a cui gli acquirenti potrebbero esporsi inconsapevolmente. Un recente studio mostra infatti …


Rigenerata, un racconto sulla libertà e il piacere di andare in bicicletta


Come conclusione ideale di Libriamoci 2023, giornate di lettura a voce alta, vi presento qui in formato audio e in formato testo “Rigenerata” un racconto che parla della libertà e del piacere di andare in bicicletta.

Il racconto si può ascoltare da qui: funkwhale.it/library/tracks/12…
Un grosso grazie va a Cristina Castigliola (cristinacastigliola.it/index.p…), la bravissima attrice e speaker che ci ha regalato il suo tempo e la sua voce.

Il testo è tratto dalla raccolta Fatte di storie curata da Clara Marcolin e realizzata nell'ambito del progetto LibLab presso la biblioteca di Cormano (MI).

Il progetto LibLab, sviluppato tra il febbraio 2018 e il marzo 2019, ha coinvolto cinque biblioteche del CSBNO in un viaggio alla scoperta del Design Thinking e della progettazione partecipata, per rendere gli utenti protagonisti ed ideatori di servizi innovativi.

I testi sono stati scritti e condivisi attraverso la lettura ad alta voce da un gruppo di utenti italiane e straniere della biblioteca di Cormano.

Il testo del racconto si può scaricare da qui: dgxy.link/Rigenerata
L'autrice del testo ha deciso di rimanere anonima firmandosi con lo pseudonimo di Chitta.

Buona lettura e buon ascolto 😀

#bici #bicicletta #cicliste #lettura #podcast #fediverso #funkwhale

@Rivoluzione mobilità urbana🚶🚲🚋 @macfranc @il_biciclista 🚲 :antifa: 🌈 @Marcos M.

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🔶 Il MIM al JOB&Orienta 2023.



Scuola di Liberalismo 2023 – Messina: lezione del prof. Lorenzo Infantino sul tema “Conoscenza e processo sociale”


Settimo appuntamento dell’edizione 2023 della Scuola di Liberalismo di Messina, promossa dalla Fondazione Luigi Einaudi ed organizzata in collaborazione con l’Università degli Studi di Messina e la Fondazione Bonino-Pulejo. Il corso, giunto alla sua tred

Settimo appuntamento dell’edizione 2023 della Scuola di Liberalismo di Messina, promossa dalla Fondazione Luigi Einaudi ed organizzata in collaborazione con l’Università degli Studi di Messina e la Fondazione Bonino-Pulejo. Il corso, giunto alla sua tredicesima edizione, si articolerà in 15 lezioni, che si svolgeranno sia in presenza che in modalità telematica, dedicate alle opere degli autori più rappresentativi del pensiero liberale.

La settima lezione si svolgerà lunedì 20 novembre, dalle ore 17 alle ore 18.30, in diretta streaming sulla piattaforma ZOOM.

La lezione sarà tenuta dal prof. Lorenzo Infantino (Ordinario di Metodologia delle Scienze Sociali presso l’Università LUISS Guido Carli di Roma, nonché Presidente della Fondazione von Hayek – Italia), che relazionerà sull’opera “Conoscenza e processo sociale” di Friedrich August von Hayek.

La partecipazione all’incontro è valida ai fini del riconoscimento di 0,25 CFU per gli studenti dell’Università di Messina.

Come da delibera del Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Messina e della Commissione “Accreditamento per la formazione” di AIGA, è previsto il riconoscimento di n. 12 crediti formativi ordinari in favore degli avvocati iscritti all’Ordine degli Avvocati di Messina per la partecipazione all’intero corso.

Per ulteriori informazioni riguardanti la Scuola di Liberalismo di Messina, è possibile contattare lo staff organizzativo all’indirizzo mail SDLMESSINA@GMAIL.COM

Pippo Rao Direttore Generale della Scuola di Liberalismo di Messina

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Scuola di Liberalismo 2023 – Messina: lezione del prof. Lorenzo Infantino sul tema “


Settimo appuntamento dell’edizione 2023 della Scuola di Liberalismo di Messina, promossa dalla Fondazione Luigi Einaudi ed organizzata in collaborazione con l’Università degli Studi di Messina e la Fondazione Bonino-Pulejo. Il corso, giunto alla sua tred

Settimo appuntamento dell’edizione 2023 della Scuola di Liberalismo di Messina, promossa dalla Fondazione Luigi Einaudi ed organizzata in collaborazione con l’Università degli Studi di Messina e la Fondazione Bonino-Pulejo. Il corso, giunto alla sua tredicesima edizione, si articolerà in 15 lezioni, che si svolgeranno sia in presenza che in modalità telematica, dedicate alle opere degli autori più rappresentativi del pensiero liberale.

La settima lezione si svolgerà lunedì 20 novembre, dalle ore 17 alle ore 18.30, in diretta streaming sulla piattaforma ZOOM.

La lezione sarà tenuta dal prof. Lorenzo Infantino (Ordinario di Metodologia delle Scienze Sociali presso l’Università LUISS Guido Carli di Roma, nonché Presidente della Fondazione von Hayek – Italia), che relazionerà sull’opera “Conoscenza e processo sociale” di Friedrich August von Hayek.

La partecipazione all’incontro è valida ai fini del riconoscimento di 0,25 CFU per gli studenti dell’Università di Messina.

Come da delibera del Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Messina e della Commissione “Accreditamento per la formazione” di AIGA, è previsto il riconoscimento di n. 12 crediti formativi ordinari in favore degli avvocati iscritti all’Ordine degli Avvocati di Messina per la partecipazione all’intero corso.

Per ulteriori informazioni riguardanti la Scuola di Liberalismo di Messina, è possibile contattare lo staff organizzativo all’indirizzo mail SDLMESSINA@GMAIL.COM

Pippo Rao Direttore Generale della Scuola di Liberalismo di Messina

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Cosa cambia con i nuovi velivoli da combattimento senza pilota. L’analisi di Marrone e Calcagno


L’uso dei velivoli senza pilota nelle operazioni militarista subendo una profonda trasformazione. Il conflitto in Ucraina è stato caratterizzato fin dai primi mesi di guerra da un uso massiccio di droni da parte di entrambi gli schieramenti: da apparecchi

L’uso dei velivoli senza pilota nelle operazioni militarista subendo una profonda trasformazione. Il conflitto in Ucraina è stato caratterizzato fin dai primi mesi di guerra da un uso massiccio di droni da parte di entrambi gli schieramenti: da apparecchi commerciali e acquistabili a poche centinaia di euro come i DJI Mavic 3 fino a droni armati militari ad ala fissa come il TB-2 Bayraktar turco. Tuttavia, un conflitto tra avversari grossomodo di pari livello in termini di numeri e capacità come quello in Ucraina sta dimostrando quanto i droni tradizionali siano vulnerabili a sistemi di difesa aera avanzati come i SAMP/T italofrancesio gli S-300 e S-400 russi. Se questi sistemi, conosciuti anche come uncrewedaerial systems (Uas), restano del tutto rilevanti in conflitti asimmetrici, risulta necessario lo sviluppo e impiego di sistemi molto più sofisticati e pensati specificamente per operazioni in spazi aerei contesi. Anche per questo motivo in vari Paesi sono in atto programmi volti allo sviluppo dei cosiddetti uncrewed combat aeril systems (Ucas).

Gli Ucas si distinguono in modo sostanziale dai tradizionali Uas in quanto più adatti alla guerra ad alta intensità con avversari quasi alla pari, essendo capaci di trasportare armamenti sofisticati raggiungendo velocità superiori e mantenendo al tempo stesso caratteristiche di bassa osservabilità. Grazie anche a tecnologie legate all’intelligenza artificiale gli Ucas sono perciò destinati ad agire più autonomamente di fronte a minacce aeree e sistemi terrestri di difesa aerea, spesso a fianco di velivoli di quarta, quinta e sesta generazione. Di conseguenza, pur avendo alcuni aspetti in comune con gli odierni droni armati, gli Ucas differiscono sostanzialmente da questi in termini di prestazioni, utilizzo operativo, e costi.

Diversi Paesi nel mondo stanno puntando a dotarsi di questa capacità, di cui si discuterà il 21 novembre nel webinar Iai Velivoli da combattimento senza pilota, intelligenza artificiale e futuro della difesa. Gli Usa vantano la gamma più ampia di programmi in questo ambito, con l’obiettivo iniziale di estendere il ‘braccio’ dei velivoli pilotati rendendo gli Ucas dei moltiplicatori di forze. È tuttavia probabile che nel medio e lungo termine questa capacità (negli Usa come altrove) venga vista sempre di più come uno strumento impiegabile anche indipendentemente dagli aerei pilotati. La Us Air Force sta investendo nel programma Collaborative Combat Aircraft (CCA) per mettere in servizio almeno 1.000 Ucas che agiranno in concerto con aerei da combattimento muniti di pilota nel ruolo di loyalwingmen, o adjuncts. La Us Navy invece ha come priorità quella della messa in servizio dell’MQ-25A Stingray, in principio specializzato nel rifornimento in volo per gli aerei da combattimento lanciati dalle portaerei, in seguito con armamenti a bordo.

Nonostante gli sviluppi in Cina in questo settore siano generalmente avvolti nella segretezza, Pechino vanta un programma Ucas abbastanza avanzato. Il Gonji-11 (GJ-11), evoluzione del dimostratore Sharp Sword, che decollò per il suo volo inaugurale nel 2013, sembra essere progettato per operare nel ruolo di supporto aereo e bombardamento tattico. Vari modelli sono stati inoltre presentati dalle industrie cinesi, facendo intendere l’esistenza di altri concetti (se non addirittura programmi) legati allo sviluppo di Ucas sia indipendenti da piattaforme pilotate, come il CH-7, che adjunct, come il Dark Sword.

La Russia ha concentrato i propri sforzi in questo campo nello sviluppo del Su-70 ‘Okhnotnik-B’, un Ucas pesante specializzato in missioni di bombardamento. Secondo le autorità russe il Su-70 dovrebbe operare all’interno di formazioni miste insieme ai velivoli da combattimento a bassa osservabilità Sukhoi Su-57, anche se ci sono vari dubbi sulla validità di questo accoppiamento visto il gap di velocità massima dell’Ucas rispetto al ben più veloce Su-57. La facoltà da parte di un pilota di poter pilotare il proprio velivolo e contemporaneamente controllare uno o più Ucas richiede un alto livello di automazione all’interno dell’abitacolo di modo da minimizzare il più possibile il carico di lavoro. L’industria di Mosca non ha però le capacità necessarie per adattare il Su-70a questo ruolo anche a causa delle sanzioni imposte sul Paese dopo l’invasione dell’Ucraina nel 2022.

L’Europa invece si trova oggi indietro rispetto ai progressi fatti da altri Paesi, ed è urgente riflettere su come recuperare terreno.


formiche.net/2023/11/nuovi-vel…



Dalla dipendenza tecnologica alla mancanza di competenze, le PMI digitali europee si trovano ad affrontare una sfida in salita per guidare l’agenda della sovranità digitale dell’UE. La European DIGITAL SME Alliance ha organizzato lunedì (13 novembre) il Digital SME Summit,...


#NoiSiamoLeScuole questa settimana racconta del plesso scolastico “Giovanni Modugno” dell’IC “Modugno-Rutigliano-Rogadeo” di Bitonto, in provincia di Bari, che sarà demolito e ricostruito grazie alla linea di investimento dedicata dal #PNRR alla cost…


Secondo un documento informale visionato da Euractiv, i tre maggiori paesi dell’UE stanno spingendo per codici di condotta senza un regime sanzionatorio iniziale per i modelli di fondazione piuttosto che obblighi prescrittivi nel regolamento sull’intelligenza artificiale. L’AI Act è una...