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Difesa. Mariani promuove il Dpp, ma attenzione a tempi e investimenti


Industria e Forze armate devono essere sempre più un sistema finalizzato a soddisfare le necessità di difesa del Paese e anche ad avare un impatto positivo in termini di economici, di occupazione e di sviluppo tecnologico. Questo il tema centrale dell’int

Industria e Forze armate devono essere sempre più un sistema finalizzato a soddisfare le necessità di difesa del Paese e anche ad avare un impatto positivo in termini di economici, di occupazione e di sviluppo tecnologico. Questo il tema centrale dell’intervento del condirettore generale di Leonardo, Lorenzo Mariani, fatto nel corso dell’audizione in commissione Difesa della Camera dei deputati nell’ambito dell’esame del Documento programmatico pluriennale per la Difesa per il triennio 2023-2025. “I contenuti del Documento – ha detto Mariani – sono del tutto coerenti con i nostri intenti strategici”. In particolare, il manager del gruppo di piazza Monte Grappa ha registrato con soddisfazione l’aumento di disponibilità di cassa di quasi il 50% rispetto ai Dpp precedenti “È un’ottima notizia, una presa di coscienza comune che i programmi che partono vanno avanti”. La preoccupazione, infatti, deriva dal fatto che negli anni passati si erano messi in discussione la continuazione di programmi già lanciati.

Il nuovo Dpp

Altro elemento positivo rimarcato da Mariani è la garanzia di stabilità per la programmazione dovuto alla pianificazione per tutto il periodo. Nei precedenti Dpp, infatti, dopo un incremento di risorse per il primo e il secondo anno, era mancata una pianificazione per il terzo. Nel 2022 questa mancanza aveva riguardato già il secondo anno. “Invece – ha detto il manager – in questo caso c’è un incremento di livello dagli otto miliardi che cresce fino a 8,7 nell’arco del triennio fino al 2025”. Più in generale, ha riscontrato il condirettore generale, il Dpp vede un incremento importante di finanziamento per quanto riguarda la funzione Difesa, che passa da 13,8 miliardi a 19,6. A interessare in particolare Mariani è, però, come questi fondi andranno spesi, tra personale, esercizio e investimenti, con piani precedenti “fortemente sbilanciati sul personale con un sottofinanziamento della parte investimento ed esercizio”. Con questo nuovo Dpp, invece, “l’esercizio aumenta del 50% e l’investimento aumenta quasi del 300%” raggiungendo quella ripartizione 50:25:25 nei tre settori auspicata da tempo.

Tempi, budget ed export

Ma oltre ai fondi è importante porre attenzione ai tempi nei quali approvare il Documento. Al suo interno, infatti, sono presenti anche i programmi di previsto avvio, per i quali c’è la possibilità di farli partire entro l’anno: “Se il documento arriva a giugno i programmi dell’anno partono – ha sottolineato Mariani – con il risultato che dall’anno successivo cominciano a fatturare e incassare”. Quando, invece, arriva a novembre “di fatto si perde un anno sul lancio dei nuovi programmi”. Per il manager, dunque, il Dpp dovrebbe servire “ad alimentare la legge di Bilancio; farlo in parallelo potrebbe creare anche qualche problema”. Una questione che si lega fortemente anche all’aspetto delle esportazioni. “Nel settore della difesa ci sono chiari segnali di una nuova stagione di consolidamento industriale a livello europeo” ha sottolineato Mariani, aggiungendo come, se l’Italia intende partecipare a questi nuovi trend da protagonista, sia necessario avere da parte una “dote di programmi industriali”.

Programmi aeronautici

Tra questi, spiccano in particolare i programmi aeronautici, sia in corso che futuri, che avranno e hanno bisogno di sforzi per essere avviati e mantenuti. Tra questi, Mariani ha citato come vitale per l’industria nazionale quello dell’Eurofighter: “Ci sono aree che senza l’Eurofighter avrebbero una crisi importante a livello industriale. È, inoltre, un sistema che ha dato soddisfazioni enormi all’estero”. Tra quelli futuri, invece, spicca ovviamente il sistema aereo di sesta generazione portato avanti da Italia, Regno Unito e Giappone, il Global combact air programme (Gcap). “I primi contratti già stanno fluendo e questo finanziamento ulteriore previsto dal dpp metterebbe al sicuro la prima fase di sviluppo del programma”, ha commentato Mariani, sottolineando come “nessuna delle tre Nazioni è in grado di farcela da sola, e quindi è importantissimo che venga finanziato ed importante dimostrare che possiamo essere paritetici”.

Equilibrio import-export

Tra le criticità ravvisate dal condirettore generale di Leonardo, tuttavia, spicca il fatto che ancora una quota consistente dei fondi è spesa all’estero. “Non c’è nulla di male nell’acquistare del materiale in particolare dagli Usa – ha detto Mariani – l’unica cosa è che con un’attenta pianificazione, associata a una politica industriale che oggi esiste, ci si può pensare prima e si può arrivare con qualche anno di anticipo a definire che serve qualcosa che oggi l’industria non ha”. Una soluzione proposta dal manager è quella di stabilire se l’industria nazionale sia in grado di sviluppare, e in che modi e tempi. Altrimenti se “non la possiamo sviluppare da soli, ma serve una collaborazione, si può andare a un ritorno di offset o si può anche arrivare a decidere di comprare all’estero”. Il punto ha però sottolineato Mariani, è che comprare all’estero “non si può pensare che non abbia conseguenze” fosse anche solo perché “le Forze armate si ritrovano un sistema che hanno difficoltà a manutenere”.


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In Cina e Asia – Coree, salta l’accordo militare del 2018


In Cina e Asia – Coree, salta l’accordo militare del 2018 coree
I titoli di oggi:

Coree, salta l'accordo militare del 2018
Delegazione russa in Cina, Xi: "continuare le eterne relazioni di vicinato"
Pechino celebra i migliori giornalisti dell'anno sotto l'egida del pensiero di Xi Jinping
Cina, raro arresto nel mondo tech
Cina, morto il giornalista dissidente Sun Lin
Uruguay e Cina siglano patti di collaborazione in vista di un potenziale accordo di libero scambio
L'intelligence Usa sventa attentato a separatista Sikh

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News da Marte #23 | Coelum Astronomia

"Ricapitoliamo le esplorazioni che Curiosity, Perseverance e Ingenuity hanno svolto in quest’ultimo mese. C’è poi una significativa interferenza nelle attività dovuta all’attuale posizione di Marte in cielo. Si parte!"

coelum.com/news/news-da-marte-…

#23


Giuliano Guzzo: maschio, bianco, etero & cattolico colpevole di tutto



Questo è il giovane vicentino Giuliano Guzzo, travestito da promotore finanziario di successo con tanto di orologione regalato per la cresima o, più, probabilmente, preso in prestito da qualche parente ricco sul serio visto che lui "lavora" come vicegazzettiere a "La Verità" dove non è detto gli emolumenti siano principeschi.
Prima però si è laureato con una tesi in filosofia del diritto, materia frequentatissima dagli spiriti ingegnosi.
Così conciato, Giuliano ha pubblicato un libro sulla cui copertina si è fatto previdentemente ritrarre già in manette.

A metà novembre 2023 nel paese di Vigonovo -in una zona non nuova ad episodi efferati- si è consumato un delitto piuttosto odioso. In poche ore sono comparsi sul web molti e ingegnosi contenuti diversivi, soprattutto ad opera del milieu di micropolitici "occidentalisti" e relative gazzettine e di account più o meno anonimi che sporcano ovunque con l'agenda politica "occidentalista".
Solo che stavolta il colpevole è venuto su a bigoli e sarde in saor e ha condotto un'esistenza da perfetto rappresentante dei "valori" occidentali.
Difficile pensare di poter ribaltare il tavolo.


Spagna: l’estrema destra esulta per Milei e tenta la spallata di piazza


Contro la rielezione di Sánchez e l'amnistia agli indipendentisti catalani l'estrema destra spagnola scatena le piazze. Neofascisti, integralisti cattolici e complottisti uniti da una strategia trumpiana che premia Vox L'articolo Spagna: l’estrema destra

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di Marco Santopadre*

Pagine Esteri, 23 novembre 2023 – Lo spoglio per le presidenziali argentine non si era ancora concluso che il leader dell’estrema destra spagnola Santiago Abascal è corso a complimentarsi con il leader de “La Libertad Avanza”, il turbocapitalista argentino Javier Milei. «Oggi si apre un cammino di futuro e speranza per gli argentini e per tutta l’Iberoamerica e noi in Spagna esultiamo con particolare allegria» ha scritto su X il presidente di Vox, aggiungendo «Viva la Spagna e viva l’Argentina libere dal socialismo e sovrane!».

Da tempo Vox ha intessuto relazioni privilegiate con l’estrema destra latinoamericana, in nome dell’anticomunismo e del contrasto alle forze popolari che negli ultimi anni hanno riconquistato il potere in alcuni paesi del Cono Sur.Ora Abascal spera che il trionfo del “loco” a Buenos Aires si trasformi in un’onda in grado di attraversare presto l’Atlantico per spazzare via il governo di Pedro Sánchez, appena confermato primo ministro dopo trattative durate 171 giorni.

«Sánchez dittatore»
Giunto secondo alle elezioni del 23 luglio, il leader socialista è riuscito a comporre una maggioranza in parlamento – 179 voti contro i 171 raggranellati dalle destre – ottenendo il sostegno dei nazionalisti baschi, catalani e galiziani. Per conquistare gli indispensabili voti degli indipendentisti di Esquerra Republicana e di Junts, il leader socialista ha dovuto promettere una legge per amnistiare circa 400 tra dirigenti politici e attivisti processati per il loro ruolo nella celebrazione del referendum per l’autodeterminazione della Catalogna del 2017. Poco importa che grazie al provvedimento cadranno le accuse anche nei confronti di decine di poliziotti sotto inchiesta per le violenze nei confronti degli elettori e dei manifestanti catalani. Per le destre spagnole quella di Sánchez è una duplice colpa intollerabile: governare nonostante la sconfitta alle elezioni nelle quali il PP è arrivato in testa, e grazie all’amnistia concessa ai “separatisti” che attenterebbe all’unità della patria e legittimerebbe nuove spinte indipendentiste.

E così contro Sánchez – che slogan, striscioni e cartelli definiscono “usurpatore”, “dittatore” e “vendipatria” – le piazze hanno cominciato a ribollire mesi fa, quando le trattative per la formazione del nuovo esecutivo erano ancora agli inizi e la legge per l’amnistia solo una bozza.

Quando il Partito Popolare e Vox hanno capito che in Parlamento non avrebbero trovato appoggi sufficienti a governare – dopo i no dei nazionalisti di centro-destra baschi e delle Canarie – hanno fatto appello alla spallata dalla piazza e hanno mobilitato i governi locali e i loro addentellati nello “stato profondo”.

Le piazze e le strade hanno cominciato a riempirsi molto gradualmente – con numeri a lungo non proprio esaltanti per due formazioni che insieme sommano il 45% dei voti – e man mano che si avvicinava il 16 novembre, quando Sánchez ha incassato la fiducia, la tensione è salita a livelli parossistici.

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L’assedio alla sede del Psoe di Madrid

L’assedio ai socialisti
A farne le spese è stato anche il sovrano, Filippo VI, accusato di passività se non di complicità con i misfatti in corso alla Moncloa; per questo molti manifestanti hanno sventolato bandiere spagnole dalle quali era stato asportato, lasciando un consistente buco, lo stemma che raffigura i regni di Castiglia, Aragona, León, Navarra e Granada riuniti sotto il dominio spagnolo a partire dal XV secolo. I più fiduciosi, invece, si aspettano che il re non firmi la legge di amnistia nel caso dovesse passare l’esame delle camere.

Da quasi tre settimane migliaia di militanti delle formazioni di destra ed estrema destra, circondati da “elettori indignati” e da un’umanità quanto mai varia, assediano la sede statale del Partito Socialista a Madrid. In Calle Ferraz ogni sera va in scena un folkloristico ma non meno inquietante mix di complottismo, neofascismo, nostalgie franchiste, fondamentalismo cattolico e suggestioni trumpiane.

Nell’assedio convivono spezzoni diversi non sempre tra loro amichevoli. Si sono visti capannelli recitare “rosari per la salvezza della Spagna”; giovani palestrati scagliarsi contro i cordoni di polizia colpevoli di non unirsi alla sacra lotta contro i “nemici della Spagna”; pensionate in ghingheri inveire al grido di «Puigdemont (l’ex leader catalano attualmente in esilio) in prigione»; cinquantenni illustrare strampalate teorie negazioniste sul Covid e sul cambiamento climatico o denunciare i piani del governo per la sostituzione etnica.

Il fronte reazionario ha convocato molte altre manifestazioni, sia locali che nazionali. L’ultima e più numerosa ha riunito a Madrid, sabato scorso, più di 200 mila persone. Ma sono soprattutto gli assedi alle sedi socialiste, soprattutto a quella madrilena, a rappresentare il palcoscenico e la palestra dove le varie anime organizzate della protesta mostrano i muscoli e tentano di accrescere credibilità e consensi.

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Santiago Abascal e Tucker Carlson a calle Ferraz

La regia di Vox
A mettersi abilmente in mostra è stato soprattutto Vox, presente in forze sia con i propri dirigenti nazionali e locali, sia con decine di sigle – a volte reali, spesso fantasma – utili a pescare in ambiti diversi e a dare la sensazione dell’espansione del partito in tutti i settori indignati dal ritorno dei “rossi” a braccetto con i “separatisti”. Seppure a malincuore e in netto ritardo, il leader dei Popolari Núñez Feijóo ha dovuto ad un certo punto prendere le distanze dalle intemperanze violente di parte della piazza, perdendo appeal e lasciando campo libero alla sua destra. E così Vox – pure indebolito dalle lotte intestine tra le diverse correnti – ha conquistato il proscenio, utilizzando abilmente alcune sue emanazioni per dare la sensazione di un partito che si mette a disposizione, al servizio di una protesta corale e spontanea della società civile e delle associazioni degli “spagnoli per bene” contro il «colpo di stato ordito da Sánchez».

Questa strategia ha quindi proiettato in primo piano “Revuelta”, che si definisce “movimento giovanile contro il separatismo, la corruzione, le politiche contro la famiglia”. Si tratta di una sigla finora sconosciuta e fantasma, che non è però difficile ricondurre proprio a Vox e ad altri soggetti dell’arcipelago reazionario interni o orbitanti attorno al partito di Abascal. Tra questi c’è “Plataforma 711” (dall’anno della conquista araba e islamica della penisola iberica), dedita prima alla vendita di merchandising identitario e poi ad animare un’associazione universitaria di ultradestra “vicina” a Vox. Altre sigle utilizzate, come la Fundación Disenso e la Fundación Danaes, invece, sono riconducibili direttamente ad Abascal, come d’altronde il sindacato “Solidaridad” che per il 24 novembre ha indetto nientemeno che uno “sciopero generale”, forte del suo 0,1% di rappresentatività tra i delegati dei lavoratori.

Neonazisti, franchisti, integralisti cattolici e complottisti
Attorno e dentro la rete intessuta da Vox si muovono, come detto, i membri dei circoli fondamentalisti cattolici ed evangelici e soprattutto i militanti dei gruppi e dei partiti esplicitamente neofascisti e neonazisti, a capo spesso delle curve calcistiche più violente e addestrati a menare le mani. Sono loro – insieme ai militanti più scalmanati di Vox – ad animare le serate in calle Ferraz innalzando bambole gonfiabili, cantando inni franchisti – il “Cara al sol” è il più gettonato – e inveendo contro “i froci” e i “traditori” al governo.

L’elenco di sigle, alcune delle possono contare su migliaia di militanti e su finanziatori generosi, è lunga. La più consistente è forse “Democracia Nacional”, che si ispira a Roberto Fiore e alla sua Forza Nuova ed ha velleità elettorali. Poi ci sono Hogar Social, che invece scimmiotta Casapound; i tradizionalisti cattolici omofobi e transfobici di Hazte Oír; i nostalgici delle varie Falangi; gli xenofobi di “España 2000″, esperti nel conquistare i finanziamenti pubblici; gli escursionisti di “FACTA”, ammiratori del Terzo Reich e di Alba Dorata; i suprematisti islamofobi di “Hacer Nación”. Tutti giocano le loro carte per emergere come forza egemone della “riscossa nazionale”, e alcuni di strappare a Vox consensi elettorali tali da permettergli di accedere alle istituzioni.

Non mancano, in piazza, militari e agenti di polizia. D’altronde subito dopo la fiducia accordata dalle Cortes a Sánchez, 51 ufficiali in congedo delle forze armate hanno esplicitamente invitato l’esercito spagnolo a destituire l’esecutivo per ristabilire la legalità; giorni prima non erano mancati i pronunciamenti contro il nuovo governo da parte di associazioni di magistrati e di agenti della Guardia Civil (la polizia militarizzata).

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Santiago Abascal insieme a Javier Milei

La strategia trumpiana
A unificare e ad amplificare il caotico magma all’interno del quale si muovono le varie sigle e le varie correnti ideologiche, una strategia politica e comunicativa apertamente “trumpiana” (o “bolsonariana”) che descrive gli avversari di centro-sinistra e sinistra come nemici interni che si sarebbero impossessati illegittimamente del potere. Di qui i continui appelli a trasformare l’indignazione in mobilitazione, a cacciare gli usurpatori e ad occupare le sedi istituzionali.
Non a caso ai movimentati happening di calle Ferraz è stato invitato a partecipare anche l’ex anchorman di Fox News Tucker Carlson, grande amico di Abascal e tra i principali diffusori di fake news sui presunti brogli dei Democratici alle elezioni statunitensi del 2020.

Finora in Spagna non si è concretizzata la replica dell’occupazione del Campidoglio di Washington del 6 gennaio 2021 da parte della alt-right americana o del più recente assalto al Congresso nazionale di Brasilia. Eppure, per quanto la situazione politica e sociale spagnola differisca da quella di oltreoceano, il rischio di un’esplosione di violenza anche a Madrid non è trascurabile, al di là delle intenzioni dei principali organizzatori del “Noviembre Nacional”, come alcuni tra i promotori hanno definito il lungo assedio alla sede statale del PSOE. Pagine Esteri

10548518* Marco Santopadre, giornalista e saggista, già direttore di Radio Città Aperta di Roma, è un analista dell’area del Mediterraneo, del Medio oriente e dell’Africa. Scrive, tra le altre cose, di Spagna, America Latina e movimenti di liberazione nazionale. Collabora con il Manifesto, Catarsi e Berria.

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GAZA. 12 uccisi nell’ospedale indonesiano, morti e feriti a Jabaliya


Almeno 12 palestinesi sono stati uccisi e decine feriti nelle ultime ore da spari contro l'ospedale Indonesiano circondato dai carri armati israeliani. Nell'ospedale si trovano 700 pazienti insieme al personale medico e centinaia di sfollati. L'articolo

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della redazione

Pagine Esteri, 20 novembre 2023 – Almeno 12 palestinesi sono stati uccisi e decine feriti nelle ultime ore da spari contro l’ospedale Indonesiano circondato dai carri armati israeliani. Lo denunciano fonti della struttura sanitaria situata nel nord della Striscia di Gaza. Non ci sono stati commenti sino ad ora da parte dell’esercito israeliano sui colpi contro l’ospedale dove si trovano ancora 700 pazienti insieme al personale medico.

L’agenzia di stampa palestinese WAFA riferisce che la struttura nella città di Beit Lahia è stata colpita da colpi di artiglieria e che ci sono stati sforzi frenetici per evacuare i civili in pericolo. Il personale ospedaliero ha negato la presenza di militanti armati nei locali. Come tutte le altre strutture sanitarie nella metà settentrionale di Gaza, l’ospedale indonesiano ha in gran parte cessato le attività, ma continua a ospitare pazienti, personale e residenti sfollati.

L’Indonesia ha condannato “l’attacco di Israele all’ospedale” istituito con suoi finanziamenti, aggoiungendo che lo Stato ebraico ha violato le leggi umanitarie internazionali. Israele sostiene che le sue forze a Gaza attaccano “infrastrutture terroristiche” e ha ordinato l’evacuazione totale del nord, dove però rimangono ancora migliaia di civili, molti dei quali si rifugiano negli ospedali.

Israele non cessa la sua offensiva di terra.

Violenti scontri a fuoco tra militanti armati di Hamas e forze israeliane sono in corso anche nel campo profughi di Jabalia, nel nord di Gaza, in cui vivono 100.000 rifugiati palestinesi. Israele lo considera “un’importante roccaforte militante”. I ripetuti bombardamenti israeliani di Jabalia hanno ucciso molte decine di civili nelle ultime settimane. Video mostrano attacchi aerei e truppe che vanno casa per casa.

Intanto cibo, carburante, medicine e acqua potabile stanno finendo in tutta Gaza sotto l’assedio israeliano che dura da sei settimane. Nel sud, dove si stanno rifugiando centinaia di migliaia di sfollati dal nord, almeno 14 palestinesi sono stati uccisi in due attacchi israeliani contro case a Rafah, secondo le autorità sanitarie di Gaza.

Oggi un gruppo di 28 neonati prematuri evacuati dallo Shifa, il più grande ospedale di Gaza, sono stati portati in Egitto per cure urgenti. Altri neonati sono morti dopo che le loro incubatrici erano state messe fuori uso a causa del collasso dei servizi medici durante l’assalto militare israeliano a Gaza City.

Le forze israeliane hanno sequestrato lo Shifa la settimana scorsa per cercare “una rete di tunnel di Hamas” sotto l’ospedale. Centinaia di pazienti, personale medico e sfollati lo hanno lasciato nel fine settimana. I medici hanno denunciato di essere stati espulsi dalle truppe. Secondo Israele le partenze sono state volontarie. Pagine esteri

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VERSIONE ITALIANA USA, DIMINUISCONO LE CLASS ACTION VERSO LE AZIENDE PER AVER DIVULGATO LA CRONOLOGIA DELLE VISUALIZZAZIONI VIDEO DI PERSONE SENZA CONSENSOSecondo una analisi condotta da Bloomberg Law un gran numero di aziende, a partire dal 2022, si sono viste raggiungere da querela perché molti avvocati, interpretando un vecchio statuto, le hanno ritenute responsabili di …


GAZA. Oggi niente tregua, rinviata liberazione ostaggi e prigionieri palestinesi


La guerra che sta devastando Gaza andrà avanti. Usa e Qatar affermano che il cessate il fuoco entrerà in vigore domani L'articolo GAZA. Oggi niente tregua, rinviata liberazione ostaggi e prigionieri palestinesi proviene da Pagine Esteri. https://paginee

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della redazione

Pagine Esteri, 23 novembre 2023 – Il rilascio degli ostaggi israeliani nell’ambito di un cessate il fuoco temporaneo tra Israele e militanti palestinesi di Hamas non avverrà prima di domani. L’hanno detto qualche ora fa il consigliere per la sicurezza nazionale di Israele e gli Stati Uniti.

Israele sostiene che Hamas non ha ancora firmato le intese e comunicato la lista con i nomi dei 50 ostaggi che libererà in cambio di almeno 150 palestinesi – in prevalenza donne e adolescenti – incarcerati in Israele.

Non ci sarà neanche la tregua di quattro giorni che Israele e Hamas avevano concordato . La guerra che sta devastando Gaza continuerà anche oggi. Pagine Esteri

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Una guerra, lunga, a bassa intensità


Dopo aver pianificato molto abilmente l’assalto del 7 ottobre, Hamas non aveva evidentemente adottato alcuna contromisura per l’inevitabile controffensiva israeliana. Non ha previsto l’interruzione dell’elettricità e dell’acqua fornite da Israele a Gaza,

Dopo aver pianificato molto abilmente l’assalto del 7 ottobre, Hamas non aveva evidentemente adottato alcuna contromisura per l’inevitabile controffensiva israeliana. Non ha previsto l’interruzione dell’elettricità e dell’acqua fornite da Israele a Gaza, né ha predisposto misure per i civili che vivevano sopra o nelle vicinanze di strutture note di Hamas che sarebbero state bombardate. Non ha nemmeno preparato le sue milizie, i cui missili anticarro non erano all’altezza della rivoluzionaria difesa attiva «Trophy», dei carri armati «Merkava» di Israele e degli enormi veicoli da combattimento per la fanteria «Namer» da 65 tonnellate.

Quando sono iniziati i bombardamenti di Israele, i civili non potevano entrare nei tunnel di Hamas: uno dei suoi leader ha candidamente spiegato a un intervistatore della tv araba che i rifugi erano esclusivamente per loro, i miliziani, aggiungendo ipocritamente che la protezione dei civili era responsabilità delle sole Nazioni Unite, come se l’Onu avesse rifugi o armi antiaeree.

Nelle guerre passate, le offensive israeliane sono state sempre molto rapide: in parte perché puntualmente le Nazioni Unite iniziano a dettare i cessate il fuoco non appena Israele comincia ad avere successo sul campo, e in parte perché la velocità nel decidere, muoversi e combattere è il vantaggio più evidente dell’esercito israeliano in combattimento. Ma a Gaza, come previsto, la velocità è stata la prima cosa a cui gli israeliani hanno dovuto rinunciare. L’irruzione nei tunnel non avrebbe spinto il nemico a fuggire nel panico, come in tante offensive israeliane del passato. Al contrario, i sensori nascosti avrebbero innescato cariche di demolizione, destinate a esplodere dopo che i soldati fossero avanzati oltre, intrappolando le truppe nel sottosuolo.

Nelle ultime settimane, i soldati in avanscoperta sono stati quindi costretti a seguire pazientemente gli esploratori di tunnel, gli ingegneri da combattimento specializzati dell’«Unità Yahalom», che a loro volta si sono affidati ai loro radar a bassissima frequenza per scovare i tunnel attraverso la sabbia e la roccia e a cani appositamente addestrati per trovare la strada da percorrere. Per questo motivo, il numero di caduti israeliani è stato relativamente basso, mentre gran parte della rete di tunnel del Nord di Gaza è stata distrutta, centinaia di combattenti di Hamas sono stati uccisi, e circa cento di loro sono stati catturati per essere interrogati in Israele.

Fin dall’inizio, sarebbe stato impossibile trovare ostaggi o catturare i principali leader di Hamas, poiché entrambi i gruppi sono stati portati nel Sud di Gaza dopo che l’esercito israeliano aveva chiesto l’evacuazione del settore settentrionale. Ciò significa che la guerra non è ancora a metà strada: sono stati attaccati solo i tunnel settentrionali, mentre i razzi vengono ancora assemblati e lanciati ogni giorno dai tunnel meridionali. Tuttavia, da un punto di vista strettamente militare, le prime fasi della guerra si sono svolte con un successo superiore alle attese iniziali, considerando il vantaggio intrinseco dei difensori nella guerra urbana e le ampie opportunità di imboscata offerte dai tunnel.

Ma la strategia accorta e prudente che ha permesso a Israele di spazzare via il settore settentrionale con un numero minimo di vittime ha un alto prezzo politico: prolunga la guerra. Questo è un problema per il presidente Usa Joe Biden, che deve tenere sotto controllo i piccoli ma rumorosi progressisti filo-palestinesi del suo Partito Democratico, mentre la sua squadra diplomatica deve occuparsi degli alleati e degli amici dell’America nel mondo musulmano.

Al tempo stesso, però, su un altro tavolo la partita si sta evolvendo molto favorevolmente per la squadra di politica estera di Biden: non deve confrontarsi con gli alleati europei che si oppongono al sostegno degli Stati Uniti a Israele, come hanno dovuto fare i suoi predecessori nelle guerre precedenti. Nel 1967, ad esempio, il governo italiano si rifiutò di consentire l’invio di maschere antigas a Israele per fare fronte alla guerra chimica egiziana. Sei anni dopo, per paura dell’embargo petrolifero arabo, i governi europei non permisero agli aerei statunitensi che trasportavano rifornimenti a Israele di entrare nel loro spazio aereo. Ora le cose sono completamente diverse, perché tutti i governi europei che contano sostengono la politica statunitense a favore di Israele e Israele stesso, così come l’Unione Europea, la cui presidente Ursula von der Leyen è volata in Israele per dirlo chiaramente fin da subito.

Sebbene questo riduca notevolmente i problemi per il team di Biden, una grave ripercussione è inevitabile: la guerra di Israele è una terribile distrazione dalla guerra in Ucraina, che a sua volta è un’enorme distrazione dal confronto che conta davvero, quello con la Repubblica Popolare Cinese. Il fatto che Biden abbia incontrato Xi Jinping a San Francisco la scorsa settimana, senza che i due venissero alle mani, può essere un buon segno, ma non risolve il problema che deriva dalla bellicosità di Xi.

La quale si manifesta ogni giorno e in molti modi, con l’aggressivo pattugliamento di aerei e navi da guerra cinesi intorno a Taiwan, al largo delle Filippine, tra le isole del Vietnam e gli isolotti Senkaku del Giappone, nonché con le potenti forze di terra dispiegate costosamente alle altitudini estreme del Tibet per minacciare la frontiera indiana del Ladakh. L’India non è un alleato, ma le forze aeree, navali e terrestri statunitensi e indiane si addestrano insieme e il Pentagono deve pianificare il supporto aereo che gli Stati Uniti non negherebbero se fosse necessario.

Tutto ciò significa che, mentre la coalizione di governo israeliana si sta preparando a un altro mese di guerra, Biden e il suo team vorrebbero che i combattimenti fossero terminati ieri, o almeno non appena gli israeliani tenuti in ostaggio nella Striscia di Gaza potranno essere recuperati. Anche Hamas, nel frattempo, è alla disperata ricerca di un cessate il fuoco; solo il suo massimo leader vive nel lusso del Qatar, mentre tutti gli altri in fuga a Gaza sono in pericolo di vita.

Nei negoziati che si stanno tenendo in queste ore, la strategia di Hamas consiste nello scambiare il minor numero possibile di ostaggi con il cessate il fuoco più lungo possibile, esattamente il contrario di quanto chiede la coalizione israeliana, mentre i qatarioti pendono una volta da una parte e una dall’altra per trovare un compromesso.

Nell’attesa, i funzionari americani e israeliani si trovano su lati opposti della questione del cessate il fuoco, ma senza alcuna acrimonia percepibile. È una questione di fiducia reciproca. Gli israeliani non si sono mai fidati pienamente di Obama, che anzi ha ordinato un cambio di politica dannoso alle Nazioni Unite proprio negli ultimi giorni del suo mandato, ma si fidano di Biden. Sono anche impressionati dalla mano ferma del Segretario di Stato Antony Blinken e dalla competenza professionale del Segretario alla Difesa Lloyd Austin, già noto per il suo precedente ruolo di comandante di tutte le forze statunitensi in Medio Oriente.

Queste basi non assicurano che le due parti siano d’accordo su tutto, ma certamente su ciò che conta davvero: gli Stati Uniti accettano che Hamas, con la sua dittatura oppressiva su Gaza e la sua dichiarata politica genocida, non possa essere un partner negoziale e debba essere distrutto, proprio come è stato distrutto lo «Stato Islamico» dell’Isis.

Allo stesso modo, il nuovo governo di coalizione israeliano, a differenza di Netanyahu quando aveva ancora il controllo esclusivo, accetta che la diplomazia statunitense riprenda la ricerca di rimedi pacifici al conflitto.

La condotta esemplare dei cittadini arabi di Israele – molti dei quali, dai neurochirurghi ai meccanici, stanno facendo gli straordinari per sostituire i riservisti – e l’empatia dimostrata dai loro leader eletti sulla scia dell’assalto omicida del 7 ottobre, hanno insegnato anche agli israeliani scettici che la realtà della coesistenza all’interno di Israele potrebbe essere estesa ai territori palestinesi con un accordo politico.

Il Giornale

L'articolo Una guerra, lunga, a bassa intensità proviene da Fondazione Luigi Einaudi.



ProMossi


A forza di vivere tutto, eduardianamente, come un esame che non finisce mai, a forza di alternare la ripulsa per i giudizi negativi e la prosopopea per quelli positivi, si finisce con il fraintendere il significato delle cose e dei numeri. Dallo spread al

A forza di vivere tutto, eduardianamente, come un esame che non finisce mai, a forza di alternare la ripulsa per i giudizi negativi e la prosopopea per quelli positivi, si finisce con il fraintendere il significato delle cose e dei numeri. Dallo spread alle osservazioni della Commissione europea sul bilancio pubblico.

Quando lo spread italiano (la distanza fra il tasso d’interesse più basso per avere soldi in prestito e quello praticato a un determinato Paese) divenne enorme, la causa permanente era l’enorme debito pubblico. Se non ci fosse stato non sarebbe mai successo. Se un soggetto è troppo indebitato i prestatori faranno attenzione a dove mette i soldi e all’eventuale crescita del suo debito, talché aumenterà il rischio che i propri quattrini corrono e, quindi, il tasso d’interesse richiesto per prestarli. Fin qui siamo nell’ovvio, ma quel debito pubblico enorme c’era anche prima che lo spread esplodesse e, purtroppo, c’è ancora adesso che è basso. E allora? Era cambiato il contesto ed era stato commesso un grave errore, ma non dall’Italia: tentennando nell’affrontare il falso in bilancio dei greci, si era lasciato intendere (colpa di Merkel e Sarkozy) che un Paese dell’euro potesse andare in bancarotta. A quel punto gli occhi si girarono verso l’Italia. Che aveva e ha la responsabilità di un debito eccessivo, ma non aveva fatto niente di male.

Soltanto l’ottusa faziosità politica può far credere che il mondo dei soldi e degli interessi spenda la propria solidità per togliersi lo sfizio di ‘bocciare’ questo o quel governo. Quel mondo non fa questioni di parte, perché sta dalla propria parte. Che non si colloca né a destra né a sinistra, ma nel portafoglio. Ed è bene sia così. Ora che lo spread è basso, però, non significa che si ‘promuove’ l’Italia o il governo, ma che non si vedono pericoli imminenti. Quindi quelli che misurano lo spread in ragione dei governi o che ne rifiutano la misura perché i loro beniamini stanno governando, non sanno di che parlano.

Attenzione, però: non ho mai creduto che l’Italia fosse o sia a rischio di bancarotta, di default, ma non significa mica che non ci siano rischi. Anzi, c’è la certezza che ne viviamo uno assai grave, giacché lo spread è basso ma il nostro è più alto di quello greco di 40-50 punti, a seconda dei giorni. Significa che si considera più sicuro un soldo prestato ai greci che agli italiani o, se preferite, che per prestare soldi alla Grecia si chiede un tasso d’interesse inferiore a quello che si chiede all’Italia. E questo non è neanche un rischio, ma una certezza di svenamento. La cui responsabilità non va cercata nelle mani adunche dei mercanti, ma nel debito altissimo e nell’incapacità di farlo scendere (al contrario di quel che accade in Grecia e che è accaduto in Portogallo, che oggi ha un rating A, mentre noi navighiamo ai bordi della spazzatura).

Questa condizione si riflette pari pari nelle raccomandazioni della Commissione europea. Che non sono un giudizio sul governo. Il problema non è essere promossi, ma muoversi. Perché per uscire dallo svenamento del debito si deve non lasciarlo crescere in peso percentuale sul Prodotto interno lordo, il che si ottiene non certo pagando i debiti, ma fermandoli e producendo più ricchezza. Muoversi significa rendere reali le riforme che favoriscano la concorrenza, la formazione che aumenti la produttività del lavoro, il taglio delle spese correnti che favorisca la discesa della pressione fiscale e via andando in un elenco tanto ripetuto quanto trascurato. Se vendi il Monte dei Paschi di Siena (a proposito di “Prima l’Italia”: singolare che il collocamento sia a cura di operatori tutti stranieri) pensando di pagarci le pensioni che non riesci a limitare, stai dismettendo patrimonio per alimentare spesa corrente. E finisce male.

Passi per la propaganda un tanto al chilo, ma poi va dato il giusto peso alle cose, ricordando le crisi passate e che la protezione europea è fondamentale per non ritrovarsi in Argentina. Con o senza motosega.

La Ragione

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Germania e Italia insieme rafforzano la difesa europea. Parola dell’amb. Lucas


Gentili Ospiti, sono lieto che siate venuti in tanti al nostro ricevimento per celebrare l’anniversario della fondazione della Bundeswehr. La giornata di oggi è un’ottima opportunità prima di tutto per ringraziare l’Italia, questo splendido Paese, per la

Gentili Ospiti,

sono lieto che siate venuti in tanti al nostro ricevimento per celebrare l’anniversario della fondazione della Bundeswehr.

La giornata di oggi è un’ottima opportunità prima di tutto per ringraziare l’Italia, questo splendido Paese, per la sua straordinaria ospitalità. Le forze armate tedesche hanno oggi almeno 350 soldati di stanza in Italia, sia nelle missioni Nato che nell’ambito della nostra cooperazione bilaterale.

Questi militari e le loro famiglie, molti dei quali vivono nelle zone di Napoli, Catania o Ferrara, si sentono veramente a loro agio nella “bella Italia”. Si trovano così bene che molti tornano più volte per ulteriori missioni in Italia o rimangono nel Bel Paese anche dopo la fine del servizio.

Questi soldati e queste soldatesse, insieme alle loro famiglie, avvicinano i nostri due Paesi. L’ospitalità dei nostri amici e commilitoni italiani vi contribuisce in modo significativo.

Grazie Italia, grazie Forze armate italiane!

Cari ospiti,

il 12 novembre 1955 segna la nascita della Bundeswehr. Da allora, milioni di uomini – e migliaia di donne – hanno dato il loro contributo al mantenimento della pace. In questi decenni, la Bundeswehr ha vissuto una storia densa di eventi: dalla guerra fredda alla riunificazione, poi le missioni all’estero dalla Bosnia all’Afghanistan e al Mali, fino al nuovo orientamento verso la difesa collettiva e nazionale.

La Bundeswehr è figlia della guerra fredda. La sua fondazione è indissolubilmente legata all’adesione della Repubblica federale di Germania nella Nato. Questo mondo, segnato dalla contrapposizione fra est e ovest, appartiene ormai al passato.

A distanza di 68 anni il compito principale delle nostre forze armate rimane il mantenimento della pace – ma le sfide e i pericoli che affrontiamo oggi sono molto diversi da quelli della guerra fredda. Oggi stiamo assistendo a una “svolta epocale”, come l’ha definita il cancelliere Scholz, con una contemporaneità di grandi crisi, come la guerra russa contro l’Ucraina e la recente guerra in Medio Oriente, con nuovi pericoli per la nostra sicurezza – provenienti dallo spazio e dal cyber-spazio.

Noi tutti dobbiamo, pertanto, farci carico di maggiori responsabilità in materia di politica di sicurezza. La Germania non si tira indietro. Le nuove Direttive per la politica di sicurezza, pubblicate pochi giorni fa, parlano una lingua chiara. La Germania accetta la sua responsabilità che le deriva quale uno dei principali garanti della sicurezza europea. Ciò richiede considerevoli aumenti degli investimenti nelle nostre forze armate.

Spenderemo, quindi, nei prossimi anni per la difesa almeno il 2% del Prodotto interno lordo, in linea con le indicazioni della Nato.

Il Fondo speciale per la Bundeswehr di cento miliardi di euro, introdotto dal Cancelliere federale Scholz per migliorare le dotazioni della Bundeswehr, dà un importante contributo in questo senso. Da solo, però, non sarà sufficiente, il cancelliere federale ha annunciato, inoltre, aumenti sostanziali e duraturi del bilancio della difesa.

Anche il fatto che la Germania fornisca per la prima volta armi a un Paese in guerra al di fuori dell’Ue e della Nato fa parte di questa “svolta epocale”. Dopo gli Stati Uniti, la Germania è oggi il maggiore fornitore di armi all’Ucraina, solo quest’anno per un ammontare di 5,4 miliardi di euro.

Nel quadro della difesa collettiva e a prova della nostra solidarietà verso i nostri alleati ad est, la Germania stazionerà permanentemente in Lituania una brigata da combattimento della Bundeswehr con 4.000 effettivi – una novità nella politica di sicurezza tedesca dopo il 1945.

L’attacco terroristico di Hamas contro Israele e la guerra di aggressione russa contro l’Ucraina ci ricordano che la pace e la stabilità non possono essere date per scontate. Come comunità internazionale è essenziale essere coesi e adoperarsi per il rispetto della sovranità e del diritto internazionale nonché per la risoluzione pacifica dei conflitti.

Per superare le sfide che ci troviamo ad affrontare puntiamo sulla cooperazione nelle Nazioni Unite, nell’Alleanza nordatlantica e nell’Unione europea.

Nessuno Stato e nessuna organizzazione possiedono da soli le competenze e capacità necessarie per poter far fronte efficacemente alle sfide descritte. Solo attraverso l’unione e l’interazione di tutti i mezzi si può avere successo.

Pertanto, anche la stretta e consolidata cooperazione tra Germania e Italia riveste particolare importanza, ad esempio nelle esercitazioni e nelle operazioni: Germania e Italia collaborano intensamente nelle missioni all’estero, tra cui quelle di Kfor, Unifil, Enhance air policing in Romania, Capability Building in Iraq ed Eunavformed Irini. Il dispiegamento di parti essenziali della brigata tedesca Panzergrenadierbrigade 37 in Sardegna, svolto in modo impeccabile nel corso di un’esercitazione, ha messo in evidenza l’alto livello della cooperazione italo-tedesca.

Ma possiamo e vogliamo fare di più. Il Piano d’azione bilaterale che il presidente del Consiglio Meloni e il cancelliere federale Scholz sottoscriveranno la settimana prossima a Berlino offre a tal fine l’adeguata cornice, prevede come priorità una più stretta concertazione sulla politica militare.

Ciò include anche un potenziamento della nostra cooperazione nel settore dell’industria della difesa. Con le loro performanti imprese Germania e Italia possono dare un sostanziale contributo al rafforzamento delle capacità europee.

Stimati ospiti,

Gli insegnamenti tratti dalla nostra storia ci mostrano che soltanto in un’Europa unita e in grado di agire possiamo garantire un buon futuro alle generazioni che verranno dopo di noi.

Forze armate operative, ben addestrate e attrezzate sono un presupposto irrinunciabile a tal fine. Viviamo in tempi densi di sfide. Il ministro federale della Difesa, Pistorius, recentemente ha affermato che la Bundeswehr deve essere in grado di condurre una guerra di difesa. Questo è un obiettivo molto ambizioso.

I militari stanziati in Italia insieme alle loro famiglie nel quadro della cooperazione Nato e bilaterale forniscono un contributo al raggiungimento di quest’obiettivo – grazie al vostro sostegno, stimati amici italiani, che da decenni ci riservate un’ospitalità senza eguali.

Vi ringrazio.


formiche.net/2023/11/germania-…



La legge di bilancio non è stata ancora varata che il governo ha già avviato le privatizzazioni  di asset pubblici con le quali   prova a far quadrare dei


La monocommittenza degli avvocati


Introduzione e presentazione dello studio Giuseppe Benedetto, Presidente della Fondazione Luigi Einaudi Valter Militi, Presidente Cassa Nazionale di Previdenza e Assistenza Forense Interverranno avv. Ricardo Fratini, PhD Università degli Studi di Roma Tor

Introduzione e presentazione dello studio

Giuseppe Benedetto, Presidente della Fondazione Luigi Einaudi
Valter Militi, Presidente Cassa Nazionale di Previdenza e Assistenza Forense

Interverranno

avv. Ricardo Fratini, PhD Università degli Studi di Roma Tor Vergata
Francesco Greco, Presidente Consiglio Nazionale Forense
Mario Scilla, Coordinatore dell’Organismo Congressuale Forense

Modera
Giovanna Pancheri, Giornalista Sky TG24

Parteciperà all’evento il Ministro Carlo Nordio

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Summit Roma-Israele sull’antisemitismo globale


Apertura SEN. GIULIO MARIA TERZI DI SANTAGATA, Presidente Commission Politiche dell’Unione Europea del Senato della Repubblica DAN DIKER. Presidente del Jerusalem Center For Public Affairs ANDREA CANGINI, Segretario Generale della Fondazione Luigi Einaudi

Apertura
SEN. GIULIO MARIA TERZI DI SANTAGATA, Presidente Commission Politiche dell’Unione Europea del Senato della Repubblica
DAN DIKER. Presidente del Jerusalem Center For Public Affairs
ANDREA CANGINI, Segretario Generale della Fondazione Luigi Einaudi

Saluti Introduttivi
DR. GIUSEPPE PECORARO, Coordinatore nazionale per la lotta contro l’antisemitismo
HON. MICHAL COTLER-WUNSH, Inviato speciale israeliano per la lotta all’antisemitismo

Primo Panel – L’antisemitismo in ambito politico

Il nuovo antisemitismo genocida, Fiamma Nirenstein, Jerusalem Center for Public Affairs (CPA), giornalista de Il Giornale

La convergenza tra antisionismo e antisemitismo, Dan Diker, President Jerusalem Center for Public Affairs

Incitamento, finanziamento del terrorismo e discorso sull’antisemitismo nell’Autorità Palestines e in Hamas, Khaled Abu Toameh, giornalista arabo-israeliano del ‘”Jerusalem Post” e Senior Fellow del Jerusalem Center for Public Affairs e del Gatestone Institute.

Second Panel – Geopolitica dell’antisemitismo

Antisemitismo islamico, Gen. Yossi Kuper wasser, già capo della division di ricerca dell’intelligence militare dell’IDF e direttore del progetto sugli sviluppi regionali del Medio Oriente presso il Centro di Gerusalemme e direttore del Progetto sugli sviluppi regionali del Medio Oriente presso il Centro di Gerusalemme per gli Affari Pubblici.

Antisemitismo e Occidente, David Wurmser, consigliere per il Medio Orient dell’ex vicepresidente americano Dick Cheney

Islamismo ed estrema destra: uniti dall’odio per gli ebrei, Michele Groppi, Docente King’s College di Londra, presidente di ITSS Verona

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La legge di bilancio non è stata ancora varata che il governo ha già avviato le privatizzazioni di asset pubblici con le quali prova a far quadrare dei bilanc


IRAN. Le donne baha’ai che fanno paura alla Repubblica islamica


Beni confiscati, terre espropriate, case incendiate, cimiteri profanati, arresti arbitrari, torture, oltre 200 «giustiziati» dal 1979, tutto per annientare la pacifica minoranza religiosa L'articolo IRAN. Le donne baha’ai che fanno paura alla Repubblica

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di Antonella Tarquini –

Pagine Esteri, 22 novembre 2023.

Gli ayatollah hanno paura delle donne.

Non solo di quelle che continuano a sfidarli scendendo quasi quotidianamente in piazza e si tolgono il velo da quando Masha Amini, la 22enne arrestata il 13 settembre 2022 dalla «polizia morale» perché il suo velo non copriva bene i capelli è morta in prigione per le violenze dei carcerieri. Ma anche di quelle colpevoli di seguire la religione monoteista bah’ai, proibita dalla Tehran sciita che la considera eretica. Anch’esse, come Masha e le tante ragazze che hanno subito la stessa sorte, sono ormai simbolo della violenza contro le donne sotto la Repubblica islamica. Le donne sono infatti al centro dell’ennesima campagna di repressione dei bah’ai d’Iran. Nei giorni scorsi cinque anziane tra i 70 e i 90 anni di Hamadan sono finite in carcere malgrado una sia affetta da Alzheimer, altre diciannove sono state arrestate a Isfahan, Karaj, Yazd. “Una campagna al femminile” marcata da arresti e interrogatori di una violenza molto più forte che in passato, afferma Hamdam Nadafi, portavoce dei bah’ai di Francia. Alcune sono malate, private delle visite dei familiari come altre decine di bah’ai che scontano lunghe pene nella sinistra prigione di Evin.

Sono davvero le donne che possono mettere a rischio il regime totalitario dell’ayatollah Khamenei, Guida suprema della rivoluzione? O più semplicemente il clero sciita vuole combattere quel che la fede bah’ai veicola: la parità uomo-donna? Non é superfluo ricordare come alla nascita della religione, a metà dell’800, contribuì una donna, una dei 18 adepti del dignitario religioso, il Bab: la poetessa Tahirih. Di lei si dice che rifiutò di sposare lo Scià dell’epoca, si sa che fece scandalo togliendosi ostentatamente il velo in pubblico, proclamando ia libertà e parità dei sessi.

Una persecuzione ininterrotta fin dalla sua nascita

L’arrivo di Khomeini e della sua rivoluzione islamica ha inasprito il calvario della comunità bah’ai, già in atto sotto il regno dei Pahlavi, Reza Scià e Mohammed Reza Scià. Beni confiscati, terre espropriate, case incendiate, cimiteri profanati, arresti arbitrari, torture, oltre 200 «giustiziati» dal 1979, decine gli scomparsi, tra cui nel 1980 i nove membri dell’assemblea collegiale dirigente. E poi il divieto di assumere un bah’ai, il blocco delle pensioni e delle eredità, l’accesso vietato agli studi superiori a meno che nei formulari di ammissione i candidati non si dichiarino musulmani, abiura rifiiutata in blocco. Neppure i bambini si salvano: alle elementari (scuola d’obbligo dalla quale non possono essere esclusi) gli insegnanti cercano di far loro rinnegare la religione dei genitori con angherie e umiliazioni di ogni genere. Le incitazioni all’odio sulla stampa e nelle prediche dei mullah in moschea sono all’ordine del giorno, manifesti invitano a boicottare gli «apostati». Risale a Reza Scià il divieto di registrazione dei matrimoni tra bah’ai che per la legge sono concubini, i loro figli illegittimi.

Gli ayatollah fanno di tutto per annientare la pacifica minoranza religiosa, circa 300.000 persone, e indurre all’esilio. Obiettivo confermato dal memorandum scoperto nel 1993 redatto dal Consiglio culturale rivoluzionario e firmato prima di morire (1989) dall’ayatollah Khomeini, in cui si legge che lo sviluppo e l’evoluzione della comunità bah’ai devono essere bloccati. Nel frattempo pero’ la fede bah’ai ha conquistato piu’ di sei milioni di seguaci in 233 paesi, da 400.000 che erano agli inizi degli anni ’60: dopo il cristianesimo é la religione geograficamente più diffusa ed é riconosciuta dal Vaticano. Il sogno di Khomeini di un mondo interamente musulmano, che continua a nutrire la jihad, sembra in pericolo. Tanto piu’ che la campagna mondiale «OurStoryIsOne» lanciata a luglio per commemorare l’esecuzione di dieci donne bah’ai nel 1983 ha suscitato livelli senza precedenti di solidarietà

nella società iraniana, all’interno e nella diaspora. Gli iraniani di tutte le comunità religiose ed etniche si sono uniti per reclamare una società che sia per tutti fondata sull’uguaglianza , la comprensione, la giustizia, proprio mentre gli occhi del mondo sono puntati su Tehran e il suo appoggio ai terroristi di Hamas che hanno attaccato l’odiato stato di Israele.

Le accuse per giustificare gli arresti sono incesto, pedofilia, prostituzione, e spionaggio a favore di Israele (ridicolo per donne anziane malate o affette da Alzheimer) e attentato alla sicurezza dello stato. Si basano sul fatto che é in Israele, ad Haifa, che sorge il Centro mondiale bah’ai, la sede spirituale ed amministrativa della fede bah’ai. Lo decise il fondatore Baha’u’llah durante i suoi spostamenti in esilio ed oggi il giardino a terrazze é meta di pellegrinaggio dei bah’ai di tutto il mondo.

La nascita della nuova dottrina

Come abbia potuto nascere a metà dell’800, in una Persia sciita e integralista, una dottrina progressista che abolisce il clero, sostiene la giustizia sociale, la parità tra uomo e donna, la tolleranza, la ricerca indipendente della verità anche religiosa, l’esistenza di un solo Dio per tutte le religioni, é tuttora inspiegabile. Inevitabile fu la reazione alla scissione e alla nascita di una fede umanistica cosi rivoluzionaria agli antipodi del fanatismo, ma nulla puo’ giustificare la violenza della repressione odierna. Culla ne fu la città di Shiraz dove nel 1844 Ali Muhammad Shirazi detto il Bab (la porta, cioé la porta aperta su una nuova era) annuncio’ l’arrivo imminente del nuovo profeta inviato da Dio in terra, scandalizzando l’islam sciita per il quale l’ultimo profeta é Maometto. Appoggiando il clamoroso gesto della poetessa Tahirih il Bab colpi’ al cuore l’integralismo religioso, pagando con la vita: venne fucilato, i seguaci massacrati, Tahirih strangolata. Morendo, l’ultimo messaggio: «la mia morte non porrà fine alla liberazione delle donne nel mondo, ma ne sarà l’inizio».

Tra scissioni e persecuzioni e con la morte del Bab il movimento ando’ spegnendosi finche’ Baha’u’llah, (la gloria di Dioi), un nobile di Tehran, raccolse il testimone e si presento’ come l’atteso profeta. Fini’ i suoi giorni in esilio ad Acri in Israele, raccomandando al figlio di far erigere il Centro dei bah’ai ad Haifa, e la tomba del Bab sulle pendici del Monte Carmelo, allora in Palestina. Entrambi parte della lista del patrimonio mondiale dell’Unesco. Lascio’ centinaia di testi in cui promuove la piena parità dei sessi, l’istruzione come bene universale, l’armonia tra religione e scienza, una società senza barriere di razza, credo, classe. Testi che si oppongono ad ogni assolutismo e integralismo religioso, messaggi moderni che cozzano con l’Islam e sono condannati anche in altri paesi come il Qatar e lo Yemen dove le persecuzioni dei bah’ai sono all’ordine del giorno.

«Un genocidio culturale perpetrato nell’indifferenza generale», dichiarava anni fa l’avvocatessa Shirin Ebadi, premio Nobel per la pace che pur non essendo bah’ai accetto’ di difendere alcuni dirigenti di questa fede «perché nessuno vuole farlo, per paura di rappresaglie». Ancora una donna a sfidare il clero, che ha portato i riflettori sulla causa bah’ai, contribuendo anche ad indurre molti atenei stranieri a riconoscere i diplomi rilasciati dall’Istituto di insegnamento superiore, organismo creato dai bah’ai per formare i giovani esclusi dalle università iraniane, via internet. Chiuso dalle autorità nel 1998.

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Inizia il Job&Orienta! Vi aspettiamo allo stand e agli eventi culturali, ai convegni, ai seminari formativi e ai laboratori.
Oggi si svolgerà il primo dei 5 grandi eventi del MIM, UNICA, la nuova piattaforma per famiglie, studentesse e studenti.


Il quartetto di giganti dagli anelli | Cosmo

"Se chiedessi quanti pianeti del Sistema solare hanno gli anelli, pochissimi mi risponderebbero quattro: Giove, Saturno, Urano e Nettuno. Ma in effetti è proprio la risposta giusta."

bfcspace.com/2023/11/22/il-qua…



Il #22novembre ricorre la Giornata nazionale per la sicurezza nelle scuole, istituita dal Parlamento italiano il 13 luglio 2015.


In Cina e in Asia – Oltre il 75% dei fondi esteri arrivati in Cina nel 2023 sono andati via


In Cina e in Asia – Oltre il 75% dei fondi esteri arrivati in Cina nel 2023 sono andati via xi jinping
I titoli di oggi:

Oltre il 75% dei fondi esteri arrivati in Cina nel 2023 sono andati via
Gli uomini di Xi diventano sempre più importanti
La Corea del Nord lancia un satellite spia
Il “Double Eleven non ha più senso di esistere”
Cina e Russia vogliono rafforzare gli investimenti reciproci
La Cina ha costruito il primo "comando near-space" al mondo

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GAZA. Approvato l’accordo per il rilascio di ostaggi israeliani e prigionieri politici palestinesi.


L'intesa dovrebbe partire domani. Prevede la liberazione di 50 donne e bambini israeliani e la scarcerazione di 150 detenuti palestinesi in prevalenza donne e ragazzi. E quattro giorni di tregua nei bombardamenti israeliani su Gaza. Netanyahu: la guerra r

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della redazione

(foto Wafa news agency- commons.wikimedia)

Pagine Esteri, 22 novembre 2023 – Dopo Hamas anche il governo Netanyahu ha approvato l’accordo mediato dal Qatar, assieme ad Egitto e Usa, per garantire il rilascio di circa 50 ostaggi israeliani a Gaza – 30 bambini, otto madri e 12 donne in gruppi di 12-13 persone al giorno – in cambio per la prima volta dal 7 ottobre di un cessate il fuoco di quattro giorni e della scarcerazione di 150 prigionieri politici palestinesi, in maggioranza donne e adolescenti della Cisgiordania e Gerusalemme Est detenuti in Israele. Inoltre, il rilascio futuro di ogni dieci ostaggi aggiuntivi comporterà un ulteriore giorno di tregua.

Questa mattina Israele ha pubblicato una lista con i nomi di 300 prigionieri politici palestinesi che potrebbero essere liberati in questi giorni e in futuro, per dare ai suoi cittadini l’opportunità, per 24 ore, di presentare ricorso alla Corte Suprema contro la loro scarcerazione. Pertanto, l’accordo raggiunto dovrebbe entrare in vigore a partire da domani.

Tutti i particolari delle intese mediate dal Qatar si conosceranno nelle prossime ore. Tuttavia è già noto che Israele consentirà l’ingresso di ulteriore carburante a Gaza nonché di maggiori quantità di aiuti umanitari per i civili palestinesi in condizioni di vita disastrose a causa della devastante offensiva militare israeliana in corso da quasi 50 giorni. Secondo Hamas, Israele fermerà i voli di droni sul sud di Gaza e li effettuerà solo nel nord per sei ore al giorno, dalle 10:00 alle 16:00.

Durante la tregua Hamas dovrebbe localizzare altre 30 altre madri e bambini israeliani, oltre ai 50 iniziali, che sono nelle mani di altre organizzazioni palestinesi, tra cui il Jihad islami. Hamas sostiene di aver 210 dei circa 240 ostaggi, decine dei quali sono stranieri. Parte dell’accordo prevederebbe che la Croce Rossa abbia accesso ai rapiti che rimarranno come ostaggi a Gaza.

Non è chiaro quali intese siano state o saranno raggiunte per gli ostaggi stranieri. Israele afferma che l’accordo appena raggiunto non ha nulla a che fare con gli ostaggi che non sono israeliani e che altri governi dovranno lavorare ad accordi separati. Da parte sua Hamas ha detto che non rilascerà alcun soldato israeliano e consegnerà gli ostaggi alla Croce Rossa e poi li trasferirà all’esercito israeliano. Gli ostaggi verranno quindi sottoposti a un primo controllo medico, quindi saranno portati in uno dei cinque centri medici isolati in tutto Israele per incontrare le loro famiglie.

Il voto finale dell’esecutivo politico-militare israeliano è stato 35-3. I tre ministri di Otzma Yehudit (estrema destra) sono stati gli unici a votare contro l’accordo. Il ministro della Sicurezza e leader di Otzma Yehudit, Itamar Ben Gvir si è opposto con forza all’accordo descrivendolo una “capitolazione” che, tra le altre cose, porterà all’aumento della pressione internazionale su Israele affinché non riprenda i combattimenti dopo la scadenza del cessate il fuoco.

Il gabinetto di guerra israeliano ribadisce che riprenderà la guerra contro Gaza con tutta la forza necessaria. Nel frattempo, l’esercito attacca in Cisgiordania. Almeno sei palestinesi sono stati uccisi a Tulkarem da un drone israeliano durante un’incursione dell’esercito nella città palestinese. Pagine Esteri

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Weekly Chronicles #55


Tra nuove minacce per la privacy e qualche buona notizia.

Questo è il numero #55 delle Cronache settimanali di Privacy Chronicles, la newsletter che parla di sorveglianza di massa, crypto-anarchia, privacy e sicurezza dei dati.

Nelle Cronache della settimana:

  • Dimmi cosa scrivi…chatGPT ti dirà chi sei e dove sei
  • Una telecamera nel bagno dell’autogrill
  • L’Unione Europea fa dietrofront sul Chatcontrol

Nelle Lettere Libertarie: Viva la libertad, carajo!

Rubrica OpSec - Scenario della settimana: Marta è una giornalista politica. Vuole iniziare a scrivere pubblicamente le sue critiche e opinioni su governo e alcuni movimenti politici, sia sui social network che sul suo blog personale. Marta teme che qualcuno possa segnalare i suoi contenuti o riconoscerla e minacciarla. Teme anche che in caso di segnalazioni il suo account PayPal possa essere bloccato.

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Dimmi cosa scrivi…chatGPT ti dirà chi sei e dove sei


L’intelligenza artificiale generativa è molto bella. Ci semplifica il lavoro, ogni tanto ci ispira, qualche volta ci stupisce. E a stupire stavolta è una ricerca che parla di Large Language Models e privacy.

Secondo questa ricerca parrebbe che i modelli LLM come chatGPT siano in grado di inferire caratteristiche uniche sulle persone e perfino determinare il luogo in cui si trovano, in base a ciò che scrivono. Non ci credi? Facciamo un esempio.

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llm-privacy.org

Qui una persona racconta brevemente di essere arrivata in un luogo da cui si vedono le alpi, inserendo alcune informazioni generiche in merito al trasporto pubblico, a un’arena e circa un famoso evento sul formaggio. A partire da queste poche righe, saresti in grado di capire la città esatta in cui si trova questa persona?

Magari sì, ma ti richiederebbe diverse ore di lavoro e la conoscenza di qualche tecnica di OSINT. Un motore come chatGPT impiega invece circa 240 volte in meno rispetto a un essere umano per capire che quella persona si trova a a Zurigo, nel quartiere Oerlikon.

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llm-privacy.org

Il patrimonio informativo a disposizione di questi motori LLM è talmente vasto che permette di inferire con una precisione sbalorditiva informazioni che richiederebbero a un’analista parecchio lavoro. Purtroppo, neanche l’anonimizzazione degli elementi direttamente identificativi è utile a limitare l’inferenza, come mostra il prossimo esempio:

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llm-privacy.org

Immaginate cosa saranno in grado di fare (e probabilmente già fanno) le agenzie di intelligence con uno strumento del genere. Cari lettori, è forse ora di iniziare a imparare qualcosa di OSINT e cercare di limitare il più possibile l’esposizione online.

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Una telecamera nel bagno dell’autogrill


Giovedì ero in viaggio per una trasferta di lavoro che mi ha portato verso il Veneto. Verso le 11:30 decido di fermarmi per una pausa caffè e per fare un salto in bagno. In prossimità di Verona vedo il cartello che indicava l’uscita per il prossimo autogrill e una grande insegna con scritto Bauli.

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#55


VERSIONE ITALIANA UE PROSEGUONO I NEGOZIATI SULL’ AI ACT L’AI Act è la normativa che nasce per regolamentare l’intelligenza artificiale. Il dossier attualmente è nell’ultima fase del processo legislativo quella nella quale la Commissione europea, il Consiglio e il Parlamento si riuniscono in “triloghi” per definire le disposizioni finali della legge. Francia, la Germania e …


Gaza, Xi: "Senza la soluzione dei due stati niente pace e stabilità”


Gaza, Xi: 10524750
Il presidente cinese interviene all'incontro virtuale dei Brics e articola la posizione cinese sul conflitto tra Israele e Hamas, mentre si conclude la visita della delegazione di paesi a maggioranza musulmana a Pechino. Al G20 virtuale indiano partecipa il premier Li Qiang

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GAZA. Jabaliya circondato, colpiti Nuseirat e Khan Yunis. Imminente accordo per scambio ostaggi-prigionieri palestinesi


Il ministero della Sanità di Gaza riferisce che dall'inizio della guerra sono stati uccisi 14.128 palestinesi, il 69% delle persone uccise sono donne e bambini. I feriti sono oltre 33.000. L'articolo GAZA. Jabaliya circondato, colpiti Nuseirat e Khan Yun

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della redazione

Pagine esteri, 21 novembre 2023 – Mentre si attende l’annuncio di un accordo per una tregua di 4-5 giorni assieme alla liberazione di 53 ostaggi israeliani e alla scarcerazione di 150 prigionieri politici palestinesi (in maggioranza donne e minori), a Gaza infuriano i bombardamenti aerei e i combattimenti sul terreno. Israele ha circondato il campo profughi di Jabalia che descrive come una roccaforte di Hamas. L’agenzia di stampa palestinese Wafa ha riferito di 33 persone uccise e decine ferite in un attacco aereo israeliano su Jabalia. Altri dieci palestinesi sono morti in un altro raid dell’aviazione contro un palazzo di Khan Yunis. Qualche ora prima almeno 20 palestinesi erano sono stati uccisi in un bombardamento israeliano sul campo profughi di Nuseirat, alle porte del territorio meridionale di Gaza e punto di arrivo di un gran numero di persone in fuga dalle aree del nord occupate da Israele. E’ stato colpito anche l’ospedale Al Awda, nel nord, con tre membri del personale medico uccisi

Il ministero della Sanità di Gaza riferisce che dall’inizio della guerra sono stati uccisi 14.128 palestinesi, il 69% delle persone uccise sono donne e bambini. I feriti sono oltre 33.000. Aggiunge che 25 ospedali e 55 cliniche non sono più operativi a causa degli attacchi israeliani nella Striscia.

Nel frattempo, pioggia e freddo hanno peggiorato le già terribili condizioni di vita degli sfollati, molte migliaia dei quali dormono all’aperto o in tende improvvisate. I bombardamenti israeliani anche nelle aree meridionali indicano agli abitanti di Gaza che non esiste un posto sicuro dove andare. Nonostante l’ordine israeliano di allontanarsi dalle loro case, si ritiene che decine di migliaia di civili restino nel nord di Gaza che Israele dice di controllare e dove i militanti di Hamas resistono con azioni di guerriglia. Tutti gli ospedali in quella zona hanno smesso di funzionare ma ospitano ancora pazienti e sfollati. L’Organizzazione Mondiale della Sanità sta lavorando a un piano per evacuare tre ospedali: Al Shifa, Al Ahli e Indonesiano.

Questa sera il premier israeliano Netanyahu ha convocato il suo gabinetto di guerra tra i crescenti indiscrezioni di un accordo per liberare parte dei 240 ostaggi presi dai militanti di Hamas dopo l’attacco in Israele il 7 ottobre. Secondo le ultime notizie date dai media locali, Hamas libererà circa 53 ostaggi, per lo più donne e bambini e alcuni stranieri, mentre Israele rilascerà 150 prigionieri palestinesi. Non ci saranno combattimenti per quattro-cinque giorni e sorvoli su Gaza di droni israeliani di sorveglianza per 6 ore al giorno. Contro l’intesa sono schierati i ministri dell’estrema destra, Itamar Ben Gvir e Bezalel Smotrich, che parlano di “cedimento alle condizioni di Hamas”. Pagine Esteri

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L'articolo GAZA. Jabaliya circondato, colpiti Nuseirat e Khan Yunis. Imminente accordo per scambio ostaggi-prigionieri palestinesi proviene da Pagine Esteri.


pagineesteri.it/2023/11/21/in-…



L’ASSURDITÀ DI SCUSARSI PER L’OMICIDIO DI GIULIA IN QUANTO UOMINI


Doveva succedere, ed è successo. È successo che più d’un uomo noto si sia pubblicamente scusato idealmente con Giulia e concretamente con tutte le donne che subiscono violenza e che l’abbia fatto non in quanto uomo violento pentito della propria violenza

Doveva succedere, ed è successo. È successo che più d’un uomo noto si sia pubblicamente scusato idealmente con Giulia e concretamente con tutte le donne che subiscono violenza e che l’abbia fatto non in quanto uomo violento pentito della propria violenza passata, ma in quanto uomo. Uomo e basta. Se era un modo per distinguersi dal coro del cordoglio sono state parole subdole. Se, come sembra, erano parole sincere, sono state parole emblematiche. Emblematiche di un assurdo senso di colpa collettivo che da anni, in forma crescente, caratterizza le élite occidentali. Élite di un Occidente che sembra trovare una propria identità non nell’atto di rivendicare ciò che è, ma nell’atto di scusarsi per ciò che è stato.

Ci si scusa, afflitti, per il colonialismo, per il fascismo, per il comunismo, per il cambiamento climatico, per la globalizzazione, per la pedofilia, per la prevaricazione di genere, per l’abitudine di mangiare carne… Comportamenti spesso frutto di processi secolari che ci hanno indotto un tempo a considerare normale quel che, col tempo, oggi consideriamo anormale e spesso inaccettabile. Ma il senso comune non basta. Non basta prendere atto dell’avvenuta metamorfosi di valori, morali, etiche e norme di legge. Bisogna cospargersi il capo di cenere e chiedere scusa per le azioni dei nostri nonni come, eventualmente, del nostro vicino di casa.

Ne discendono il trionfo della “cancel culture”, l’esplosione dell’ideologia “woke” che dalla giovane società statunitense si sono fatte sorprendentemente largo negli atenei e nei salotti della Vecchia Europa. Ne discendono il culto delle minoranze e il senso si spaesamento e di colpa delle maggioranze. Ne discende una società afflitta, dove la responsabilità penale non è più personale ma collettiva e dove la Storia non è più oggetto di studio ma motivo di biasimo e di vergogna.

Prendiamo la questione di genere. Abbiamo vissuto per millenni in una società patriarcale e per millenni ci siamo riconosciuti in una Chiesa che con Sant’Agostino considerava la donna “l’ostacolo principale sulla via che conduce a Dio”. In Italia, le donne hanno avuto riconosciuto il diritto di voto solo nel 1945; il reato di adulterio, punito per la donna con un anno di reclusione, è stato abolito solo nel 1968; il delitto d’onore, cioè le attenuanti per l’uxoricida dell’adultera, e il matrimonio riparatore, cioè la norma del codice penale che cancellava la colpa dello stupratore che sposava la vittima, sono stati abrogati solo nel 1981. Quarant’anni fa appena.

La civiltà cambia, progredisce. Ma cambia a progredisce lentamente, perché lento é il processo di sostituzione di consuetudini e valori vecchi con consuetudini e valori nuovi. Eppure il cambiamento c’è stato, e c’è stato grazie all’affermazione del principio liberale che ha messo al centro la persona in quanto tale. La persona, il singolo cittadino indipendentemente dal fatto che sia uomo o donna, in quanto titolare di diritti incomprimibili ed universali. È per questo che di fronte al mostruoso martirio della povera Giulia la reazione di chi si scusa in quanto uomo finisce per disconoscere il processo di revisione culturale che indiscutibilmente c’è stato, per offendere la stragrande maggioranza di uomini che mai leverebbero una mano su una donna e per relativizzare la responsabilità personale di quell’unico uomo che vigliaccamente l’ha uccisa.

HuffingtonPost

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ICYMI: FPF Webinar Discussed The Current State of Kids’ and Teens’ Privacy


Privacy by design for kids and teens has expanded across the globe. As policymakers, advocates, and companies grapple with the ever-changing landscape of youth privacy regulation, the Future of Privacy Forum recently hosted a webinar discussing the curren

Privacy by design for kids and teens has expanded across the globe. As policymakers, advocates, and companies grapple with the ever-changing landscape of youth privacy regulation, the Future of Privacy Forum recently hosted a webinar discussing the current state of kids’ and teens’ privacy policy. The webinar explored the current frameworks that are influential worldwide, the variations in youth privacy approaches, and the nuances of several emerging trends.

The virtual conversation, moderated by FPF’s Chloe Altieri, included a discussion about the industry’s work on compliance with a variety of regulations across jurisdictions. The webinar began with presentations from the panelists, setting the stage with their current work on youth privacy issues. The panelists were Phyllis H. Marcus, Partner at Hunton Andrews Kurth LLP, Pascale Raulin-Serrier, Senior Advisor in Digital Education and Coordinator of the DEWG at the French CNIL, Michael Murray, Head of Regulatory Policy at the U.K. ICO, and Shanna Pearce, Managing Counsel, Family Experience at Epic Games.

Phyllis led the audience through the current U.S. legislative and regulatory landscape. The U.S. States have been incredibly active in children’s and teens’ privacy legislation, with 11 states having enacted bills and an additional 35 states have considered legislation for youth online safety. The trends emerging from the online safety legislation being considered show four primary categories of laws being considered by state regulators: Platform Accountability Laws, Age Verification Laws, Social Media Metering Laws, and the California Age-Appropriate Design Code (CA AADC). In recent actions, the Federal Trade Commission has stepped up enforcement of the Children’s Online Privacy Protection Act (COPPA). Finally, the U.S. Congress has taken an interest in enhancing youth online safety measures through the introduction of COPPA 2.0 by Sen. Markey and Sen. Cassidy and the Kids Online Safety Act (KOSA) by Sen. Blumenthal and Sen. Blackburn.

Pascale discussed the work of the French CNIL, both nationally and internationally, in making privacy and youth online safety an effective initiative. Key international initiatives include the International Resolution on Children’s Digital Rights adopted in 2021, which harmonized a regulatory vision and set of core principles among Data Protection Authorities Worldwide around youth online safety. Additionally, the CNIL is working to improve digital education to combat the issues of online safety. The CNIL published eight recommendations to enhance the protection of children online in 2021 with the aim of providing practical advice to a range of stakeholders. Such recommendations include strengthening youth awareness of risks online and privacy rights as well as encouraging youth to exercise their privacy rights in order to stay safe. Youth education efforts are being undertaken in conjunction with digital literacy efforts that empower parents and caretakers to have meaningful conversations about online safety with their children.

Michael discussed the United Kingdom’s Age Appropriate Design Code (U.K. Children’s Code), which is a statutory code of practice under the UK’s General Data Protection Regulation(GDPR). The Children’s Code is grounded in the principles established by the United Nations Convention on the Rights of the Child (UNCRC). Michael explained that the Code sets out 15 interlinked standards of age-appropriate design for online services that are likely to be accessed by children. The U.K. Information Commissioner’s Office (ICO) has undertaken a wide-ranging effort to supervise the code by exploring the possible ways the ICO could provide guidance for online services to meet the Code’s objectives. The ICO not only looks to submitted complaints but also to industry engagement efforts and engagement with other regulators or government offices to inform its guidance. According to recent industry surveys, this new method of supervising code implementation has been effective.

Shanna discussed the safety and privacy considerations that are necessary when building online experiences for kids and teens, specifically on gaming platforms. Shanna spoke about the balance and thoughtful product design required to create a positive experience for younger players and their guardians in compliance with global regulations. One product of this balancing act for Epic Games was the deployment of a suite of protections across its ecosystem of games, including age-appropriate default settings, parental controls, and Cabined Accounts, an Epic account designed to create a safe and inclusive space for younger players. Players with Cabined Accounts can still play Fortnite, Rocket League, or Fall Guys but won’t be able to access certain features, such as voice chat, until their parent or guardian provides verifiable parental consent (“VPC”).

After the panelists’ presentations, we launched into a discussion on several of the most salient issues unsettled in youth privacy policy, such as online safety, age assurance, parental consent, new regulatory requirements, and guidance for the industry. We have summarized the discussion and included key takeaways.

How are policymakers and industry members working to resolve points of tension between privacy and safety? How is this tension and its resolution approached differently across the globe?


Michael Murray gave a three-fold answer on the difference between U.S. and U.K. child privacy & safety policy. The first key difference is that in the U.K. context, the ICO and OFCOM lead a dual effort where the ICO focuses on privacy, and the U.K.’s Office of Communications (Ofcom) focuses on safety and content regulation. In the U.S., there is no defined, systemic privacy and safety regulatory effort. The second is that the U.K. is a signatory to the UNCRC, which defines children as anyone under the age of 18, and that is reflected in U.K. law. In contrast, the U.S. is not a UNCRC signatory, and the current U.S. federal protections define children as individuals under the age of 13 years old. Finally, third, the U.S. operates largely under an actual knowledge standard that an online site or service is directed to children. Whereas the U.K. Code and, recently, the California AADC operate under a “likely to be accessed” by children standard.

Phyllis H. Marcus elaborated on some of the points Michael brought up, describing the knowledge standard and tensions between privacy and safety we see in the U.S. COPPA is a privacy rather than a safety regime, but it does have safety components as one of its statutory underpinnings. It is important to know that this current regime is being somewhat upended by the patchwork of state laws being passed. Additionally, this regime may change if COPPA 2.0 and KOSA make their way through Congress and especially if they go into effect, where, combined, they will regulate privacy and safety regimes in tandem.

Pascale provided insight into the approach by France and the European Union (EU), where safety and privacy are not opposing or differentiated regulatory efforts. Safety is an element of privacy regulation and is considered within Data Protection legislation.

Age assurance is a large part of the policy conversation on youth privacy and safety online, especially as privacy protections for teens are expanding. What are your thoughts on the current issues around age assurance?


According to Michael, the area of age assurance and age verification is rapidly evolving, but there is “no silver bullet” for establishing or verifying user age on digital platforms and services. The U.K. Code takes a risk-based and proportional response to age assurance. The lower the risk of processing a child’s data, the less intensive age assurance or verification mechanisms need to be. For example, self-declaration might be a suitable mechanism for a lower-risk service. However, where risk is higher, more assurance and verification are needed to protect against processing children’s data, which is a GDPR violation. For higher-risk services, age estimation software with a buffer, a form of cabined accounts, or age verification through mobile contracts and digital IDs could be employed. These methods are all still immature, and there is no clear one-size-fits-all solution.

Pascale expressed that there are no clear solutions for age assurance and verification at this time. The CNIL, along with working groups such as DEWG, are still experimenting with age assurance methods. The CNIL is working towards developing a technical approach among different stakeholders in both the government and private sectors to harmonize methods across the chain of actors concerned. However, it is clear that the solution developed will not rely on biometric data collection for age verification efforts, though scans and estimations of face shape may be permitted. The end goal will be to find a strong mechanism for verification while balancing privacy concerns.

What are the important considerations when trying to strike a balance between data minimization, collecting information for age assurance, the level of accuracy that is appropriate, and the evolving landscape of age assurance technologies?


Shanna discussed the challenges the industry faces with respect to the state of age assurance technology in certain scenarios. Those challenges include imprecision with some age assurance technology and methods that cannot be used across all types of devices where users access online services, such as gaming consoles. These challenges are reduced when several methods are offered for verification of adults providing parental consent but may be significant where a single method is used as a gate for users to access services. While alternative age assurance technologies continue to develop, Shanna observed that the industry can find creative ways to improve the reliability of existing methods like self-reported age gates–such as providing child experiences that reduce the incentive to misstate age (Epic’s Cabined Accounts are one example) and using trusted data intermediaries to reduce friction and privacy risk to parents providing parent verification.

Michael echoed concerns about data minimization complicating age verification techniques. He added that when given a choice, a lot of parents prefer age estimation mechanisms as opposed to giving hard identifiers or personal information such as ID numbers or credit cards for age verification purposes.

These questions around age assurance are sometimes linked to discourse about parental consent. Can you speak to these two topics and share a bit about the emerging methods for each?


Phyllis provided more insight into age assurance and parental consent practices in the U.S., noting that, at least in the U.S., age assurance and parental consent “are really two different things.” When it comes to children’s use of online services under federal law, there is no requirement to verify the age of users. Rather, the U.S. requirement is to obtain consent from someone whom the company has reasonable assurance to be the parent of a child requesting access to a service. There are some parental consent mechanisms that have been whitelisted by the FTC and have been in place for decades, while others are still being reviewed by the FTC. The idea of age assurance, on the other hand, is relatively new in the U.S., and there are a number of actors considering the possibility of deploying age assurance methods in the states. Key considerations for exploring the use of age assurance technology in the U.S. include looking at less-intrusive, less risky verification methods and making data minimization a priority. Finally, Phyllis made clear that when using age estimation systems for age assurance, the over/under age estimations could be risky if not adequately tested. When estimating a user’s age with just a few years for margin of error, that would be the difference in compliance and non-compliance.

There is a lot of work being done globally by lawmakers, regulators, advocates, industry leaders, and researchers to answer these policy questions we have discussed today. How are recommendations created, and how is this guidance impactful for remedying noncompliance or figuring out solutions to protect youth privacy online?


Pascale noted that in addition to the CNIL’s eight recommendations previously mentioned, global IT experts are exploring age verification technologies to be able to create recommendations for compliance and enforcement. Work is also being done on digital education for parents as a way to increase awareness and understanding of child privacy and safety online. There is a balance between allowing parents to be involved and requiring online services to add protections. There are also important nuances around teen autonomy, developmental stages, and parents sharing too much of their child’s information. There is more to come on recommendations providing topics of discussion with parents as well as developing cooperation on a voluntary basis with the industry.

Michael agreed that digital education is a vitally important part of the solution, and research shows that parents want to have a say in the online services their kids use. Still, it cannot be the entire solution, and parents will not always be able to make informed decisions. Children’s design codes are placing an emphasis on the design of online services to avoid placing an overwhelming burden on the shoulders of parents. This emphasis works productively in tandem with developing resources for parents to have productive conversations with their children.

Recent youth privacy legislation has included a variety of standards for the level of knowledge of an online service’s audience’s age. These variations in legislation have led to companies needing to consider youth privacy issues, like age assurance, that previously did not. How is this impacting emerging technology and the practical implementation of new products?


Phyllis responded that the development of new standards for determining what services do or do not fall under the scope of regulatory scrutiny and age assurance requirements is one of the most hotly contested and highly discussed issues in the evolving U.S. landscape. Under COPPA, the requirements are defined clearly into buckets, which then clearly define the scope of the law. The current federal standard in the U.S. is actual knowledge that a service is directed to children. Phyllis cautions that it’s important to note that most new initiatives change this paradigm, and the jury is still out on what the new standard will ultimately entail with COPPA 2.0 and KOSA.

Shanna noted that while many services were developed and deployed prior to legislation going into effect, those services may be brought into scope later. Retrofitting an existing service to address things like parental consent and default settings may require significant design and technical effort, and the process is complicated further as the age of digital consent differs across regions. Shanna stated that engagement by regulatory bodies and issuing of guidance is invaluable to companies trying to comply with these evolving requirements in the tech space.

Pascale added that this is not the first time that the industry has faced technical difficulties like the ones we see today in age assurance and verification. According to Pascale, innovation is a key element to prioritize in each company’s approach because big innovations can guide smaller ones.

We asked a final question to all of our panelists: What do you foresee as the near future of youth privacy policy? What issue should companies or policymakers have top of mind right now?


Phyllis observed that there is a lot on the horizon and that it will be easy for actors to fall behind if they are not intentionally keeping up with youth privacy. It is clear that developments in the U.K. have had an effect on U.S. policy at both the state and federal levels. These initiatives will continue to be momentum to keep an eye on.

Pascale opined that privacy by design is one of the best policy options. While digital education is important to aid in solving these issues, integrating privacy by design at the conception of tech innovation will help to distribute the pressure of protecting youth online.

Michael noted that age assurance is an obvious answer. Additionally, the resolution of First Amendment questions presented in the litigation of the California Age-Appropriate Design Code will be critical. The suit brings up fundamental issues around how to protect data without impacting U.S. constitutional rights that will be an important debate.

Shanna is interested in seeing how companies balance privacy with uses of emerging technologies that improve online safety. She also observed that a variety of laws are currently taking shape around the globe, and there’s an opportunity to improve consistency and clarity of forthcoming guidance so companies can comply effectively.

Each of the panelists shared helpful resources, which we have listed and linked below, along with a few of our own. You can also find the panelist’s presentation slides and additional resources here.

Phyllis H. Marcus’ Recommended Resource:

Pascale Raulin-Serrier’s Recommended Resources:

Michael Murray’s Recommended Resources:

Shanna Pearce’s Recommended Resources:

Additional Future of Privacy Forum Resources of note:

Coming up soon! You won’t want to miss FPF’s final session in our virtual Immersive Tech Panel Series on December 6 at 11 am ET. The December session will dive into designing immersive spaces with kids and teens in mind. You can register for this event here.

For more information or to learn how to become involved with FPF’s youth privacy analysis and initiatives, please contact Chloe at caltieri@fpf.org. Subscribe here to receive monthly newsletters from the Youth and Education Team.


fpf.org/blog/icymi-fpf-webinar…



Penando


Una nuova legge per scriverci cosa? Le leggi non cancellano il male dalla storia, servono a fissare il confine fra il lecito e l’illecito, punendo gli sconfinamenti. Un orribile omicidio ha non soltanto ricordato che il male esiste, che è radicato nell’an

Una nuova legge per scriverci cosa? Le leggi non cancellano il male dalla storia, servono a fissare il confine fra il lecito e l’illecito, punendo gli sconfinamenti. Un orribile omicidio ha non soltanto ricordato che il male esiste, che è radicato nell’animo umano, ma ha anche portato alla luce il vaniloquio di chi si lancia verso l’aumento delle pene e di chi si butta su concetti come prevenzione ed educazione. Oltre al dolore per quella giovane vita rubata si deve avere la forza di guardare in faccia la realtà per quella che è, senza bendarsi di pregiudizi.

Le pene come disincentivo al crimine sono una bufala già da secoli riconosciuta come tale. Gli Stati americani con la maggiore presenza di crimini di sangue sono gli stessi in cui c’è la pena di morte. Da noi il problema non sono le leggi (sempre migliorabili, ma senza l’illusione che basti condannare per lasciar credere di cancellare), semmai la giustizia. Ovvero la capacità di punire tempestivamente. Con particolare attenzione ai così detti piccoli reati, che non soltanto non sono piccoli per chi li subisce ma spesso segnano le tappe di una carriera criminale che prima la si stronca meglio è. Da noi il problema è l’esecuzione della pena, talché non si finisca in vincoli prima del processo e magari se ne esca dopo la condanna e affinché non capiti di leggere che chi ha ucciso esca dalla cella perché è ingrassato. A questo servono edifici carcerari adeguati e civili: a che un giudice non ne faccia uscire il condannato perché malandato.

La responsabilità penale è personale non per amore di una rima, ma perché si punisce chi ha scelto di praticare il male. Se si comincia a dire che quel male si spiega con tare sociali o culturali forse non ci se ne rende conto, ma si alleggerisce la posizione del criminale. Che è colpevole in quanto individuo, non in quanto appartenente a un genere o a una etnia.

L’educazione conta, eccome se conta. Ma cos’è l’educazione? Non certo il pistolotto settimanale sul rispetto e sulla bontà. Serve a nulla. L’educazione è trasmettere la capacità di dominare e coartare i propri istinti naturali: se desideri molto una cosa non è un buon motivo per prenderla, se molto la detesti non è un buon motivo per cancellarla. L’educazione non è la sola conoscenza dei diritti, ma la pratica dei doveri. Per questo servono cultura, letteratura, filosofia, storia, capacità di ragionamento analitico, geometrico, matematico. Serve la scuola seria, non la testimonianza di passaggio. Serve insegnare a fare i conti con le sconfitte, con le umiliazioni e con il dolore, non cancellare i voti onde evitare che qualcuno li prenda male.

Se si vuole che ci sia più coscienza collettiva, capace di riconoscere il male, occorre non metterla fuori strada. È irritante leggere i numeri relativi alle donne ammazzate messi in relazione con questo o quel governo. Che sia per condannarli o incensarli è senza senso, perché i governi non c’entrano nulla. È vero che in Italia ci sono meno donne ammazzate della media europea e meno che nei Paesi del Nord Europa ed è vero che diminuiscono (troppo lentamente). Il dato non dev’essere nascosto (noi gli dedicammo uno specifico approfondimento) ma deve essere capito. Perché se la causa fosse il “patriarcato” ne deriverebbe che ce n’è di meno in Italia e in Spagna rispetto ad altri Paesi europei. Quel numero non deve servire a consolare – che anche una sola persona morta ammazzata è già troppo – ma a evitare di abboccare a spiegazioni tanto facili da non spiegare niente.

Una società aperta e paritaria, non soltanto per genere, è una società più esposta ai pericoli che l’esistenza del male comporta. Non è un buon motivo per rinunciare all’apertura, ma per capire che la libertà ha bisogno di responsabilità. Collettiva e individuale. Non serve scriverlo in una legge, serve praticarlo. Specie se si fa politica, se si ha un ruolo pubblico. Specie se si hanno dei figli. Si chiama “esempio”. È penando la fatica della libertà che si migliora il mondo in cui si vive.

La Ragione

L'articolo Penando proviene da Fondazione Luigi Einaudi.



In viaggio verso i giganti ghiacciati, con Luca Nardi e Fabio Nottebella | AstroSpace

«“Giganti ghiacciati” è uno di quei saggi scientifici da avere nella propria libreria. Perché raccoglie tutte le informazioni finora a nostra disposizione sui due pianeti ghiacciati del nostro Sistema Solare, perché le racconta con passione e con competenza. Ma soprattutto, perché ci ricorda che l’esplorazione dello spazio di anno in anno ci regala una visione sempre più ampia della nostra casa, una conoscenza sempre più approfondita di ogni suo anfratto.»

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Less waste, more consumer protection: MEPs adopt ‘Right to repair’ position


Today, the European Parliament adopted its position on the ‘right to repair’ law. The new rules will make it easier for consumers to get their defective products repaired, reducing the need …

Today, the European Parliament adopted its position on the ‘right to repair’ law. The new rules will make it easier for consumers to get their defective products repaired, reducing the need to discard them. MEPs agreed that manufacturers shall be obliged to provide spare parts to independent repairers, and a digital platform shall be set up in each Member State to connect customers and repairers. The legislation also introduces rules to encourage more repairs during the warranty period instead of replacing goods. The text now moves into trilogue negotiations with the Council of the EU and the European Commission.

Patrick Breyer, Member of the European Parliament for the German Pirate Party, comments:

“Pirates support this initiative because we think users should control the tech they use every day. For IT, the requirement that updates must be reversible and shall not lead to diminished performance will be useful. But we Pirates still believe that the right to repair could go further, and would like to see this implemented in future legislation. Current laws say IT device makers must provide updates for a reasonable period of time, but they’re not required to fix known vulnerabilities quickly. That needs to change to keep us safe. The source code and tools for development of information technology should be made public so the community can take care of them when a manufacturer stops supporting a widely used product. Requiring manufacturers to enable 3D printing of spare parts in case of orphan products, as now proposed by Parliament, is a significant step in the right direction.“

Czech Pirate Party MEP Marcel Kolaja, Quaestor of the European Parliament and Member of the leading Internal Market and Consumer Protection Committee (IMCO), comments:

“The ‘right to repair’ proposal is a milestone on the way to a more circular economy. Nowadays, most of the time, it is easier for consumers to throw away broken goods than to have them repaired, even if it is only a minor damage. The result is both unnecessary spending and tons of waste that burdens the environment. Today, Europeans are estimated to lose up to €12 billion a year by throwing away goods unnecessarily, generating 35 million tonnes of waste. Both are relatively easy to prevent, which we are now aiming to do with this mandate.”


patrick-breyer.de/en/less-wast…



Sabato 18 novembre si è tenuta a Roma l'iniziativa “CESSATE IL FUOCO Giustizia per la Palestina Pace per due popoli”, presso la sala Carla Lonzi della Cas


I deputati del Parlamento europeo coinvolti nella legge sull’Intelligenza artificiale discuteranno martedì (21 novembre) l’aspetto di governance della legislazione alla luce delle recenti discussioni sui modelli di intelligenza artificiale più potenti. L’AI Act è una legge fondamentale che regola l’intelligenza...


di Ramon Mantovani Il 16 novembre il Congreso de los Diputados ha “investido”, e cioè eletto, Presidente del Governo il socialista Pedro Sanchez. I voti


Paola Mastrocola e Luca Ricolfi – Il danno scolastico


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Le deportazioni di massa dei rifugiati afghani dal Pakistan


Il piano di estradizione dei profughi senza documenti dovrebbe concludersi entro il mese di gennaio 2024, secondo le autorità pakistane. L’Alto Commissario dell’Onu Volker Turk invoca il rispetto dei diritti umani, Amnesty International chiede che le oper

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di Valeria Cagnazzo

Pagine Esteri, Anabah, 21 novembre 2023 – Al confine tra il Pakistan e l’Afghanistan, le montagne continuano il racconto della terra in cielo. In questa stagione, le vette si uniscono al colore azzurro con un gesto leggero, che ne fa sbiadire i contorni rocciosi e le confonde con il celeste come in un cinguettio, come se nei millenni di sorveglianza alla frontiera la catena dell’Hindu Kush si fosse convertita alla lingua degli uccelli. Il ghiaccio in questa stagione colora le cime come la punta di un pastello sbriciolata da un temperino.

Le montagne dell’Hindu Kush si rincorrono per oltre 800 chilometri dalle regioni centro-occidentali dell’Afghanistan a quelle nord-orientali del Pakistan. Le più alte superano i 7.000 metri di altitudine – l’Himalaya non è troppo distante, con i suoi scalatori, le sue vertigini, gli scheletri seppelliti lungo i suoi crinali. Ottemperando per millenni al suo lavoro di reggere il cielo come un vestito, l’Hindu Kush ha di volta in volta svelato agli uomini riserve di lapislazzuli azzurri come i suoi ghiacci nella valle di Kowkchech, o di smeraldi nella valle del Panjshir, questo pozzo di luce dove mi trovo e dove sventolano le bandiere di Emergency dal 1999, o, ancora, ha fatto riaffiorare dalle sue radici i gioielli di Alessandro Magno, il re viaggiatore ossessionato dal superamento delle frontiere. La storia ha attraversato questi massicci con valichi e passi che permettessero in ogni direzione il movimento degli uomini, il contatto tra le culture, lo scambio delle merci, delle stoffe, delle spezie, delle lingue. Più che il tempo, è stata la guerra, come sempre, a logorarne tanti: durante l’occupazione militare del Paese a partire dal 2001, gli Stati Uniti sfruttarono molti di questi passi nella montagna per muovere i loro mezzi militari corazzati, rendendone molti, ancora oggi, inagibili.

Oltre che della natura montuosa, il confine tra Afghanistan e Pakistan è opera soprattutto del disegno degli uomini. Si chiama “linea Durand” la frontiera che per 2.640 km separa i due Paesi. Definita a tavolino alla fine dell’’800, aveva lo scopo di delimitare i territori della Corona Britannica in India da tutto quello che si trovava subito a nord, vale a dire un impero russo in espansione verso sud e verso gli sbocchi sul mare. Per frenarlo, quindi, l’allora emiro afghano fu convinto dagli ambasciatori britannici a ratificare questa frontiera. Si divisero ufficialmente, così, i due stati, con una barriera che, inutile dirlo, spaccava in due intere comunità pashtun.

In queste settimane, è lungo questa frontiera che si sta giocando la vita di quasi due milioni di profughi afghani.

Alla vigilia dell’inverno, due mesi fa, le autorità pakistane hanno, infatti, annunciato il nuovo piano di estradizione dal Paese degli immigrati illegali, in prima battuta dei rifugiati afghani senza documento di soggiorno, con un invito a lasciare il Pakistan entro il primo novembre. A partire da quella data, il Ministro degli Interni ha promesso che il governo avrebbe messo in campo tutti i mezzi per deportare i clandestini afghani rimasti. E, di fatto, è con estrema rapidità che la macchina dell’estradizione forzata si è messa in moto e, tra il 15 settembre e l’11 novembre, 327.000 profughi afghani sono già rientrati nel loro Paese d’origine, molti costretti anche sotto la minaccia dell’arresto, mentre un altro milione e settecentomila di loro rischia di affrontare lo stesso destino.

Per decenni, il Pakistan ha ospitato rifugiati dall’Afghanistan, in fuga dalla guerra, dalle persecuzioni o dalla miseria del loro Paese. Due ondate di migrazioni, in particolare, hanno segnato la diaspora afghana oltre il confine: la prima, nel 1979, ai tempi dell’occupazione sovietica del Paese. La seconda, che coinvolse almeno 800.000 persone, solo due anni fa, quando nell’agosto 2021 i talebani tornarono al potere, a seguito dell’uscita dal Paese delle forze internazionali che avevano occupato l’Afghanistan per oltre vent’anni e che adesso lo lasciavano in maniera caotica, con sagome di disperati aggrappati ai carrelli dei loro aerei di ritorno.

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In tutto, il Pakistan sarebbe casa oggi per almeno 3.7 milioni di rifugiati afghani secondo le Nazioni Unite. Una popolazione che le autorità tengono a dividere in due sottogruppi: gli immigrati legali, ovvero i circa 1,3 milioni di rifugiati afghani regolarmente registrati, a cui si aggiungono altri 840.000 afghani in possesso di un altro tipo di documento che ne riconosca l’asilo, temporaneo o meno; e quelli, invece, illegali, che hanno attraversato la frontiera clandestinamente, percorrendo uno dei tanti passi che la traforano per il passaggio di treni merce e bestiame. Questi ultimi, nel giro di pochissimo tempo, sono finiti in cima alle agende del governo di Anwaar-ul-Haq Kakar con una sola risoluzione: la deportazione.

Non basta l’inverno imminente a fermare il piano di creare un improvviso popolo di due milioni di profughi rimpallati da un versante all’altro della frontiera. Profughi nel loro Paese. Per quanto anche questa definizione, per la grande maggioranza di questa massa di persone oggetto della discordia tra Aghanistan e Pakistan, sia inesatta: dal 1979 ad oggi, sono trascorsi 44 anni. Vale a dire una vita. Molti dei rifugiati che il governo pakistano vuole adesso rigettare indietro con un colpo di scopa sono nati in Pakistan, lì sono cresciuti, lì hanno frequentato la scuola, e magari ci si sono innamorati e vi hanno messo su una famiglia e una casa. Buona parte di loro non ha più nessun legame in Afghanistan, meno che mai con il nuovo-vecchio Paese amministrato dal governo de facto dei talebani.

Né l’Afghanistan sarebbe pronto a ricevere questa ondata di persone. La crisi umanitaria, per quanto lontana dai riflettori mediatici, continua a tenere quasi la totalità della popolazione, oltre 24 milioni di abitanti, sotto la soglia di povertà, e a rendere dipendente almeno la metà dall’assistenza internazionale, il cui intervento nel Paese, però, si è drasticamente ridotto dopo il ritorno dei talebani. I quali rigettano la politica pakistana di deportazione dei rifugiati, e annunciano, intanto, l’allestimento dei primi campi profughi transitori per fornire cibo e aiuto temporaneo ai deportati afghani.

Le tensioni tra i due Paesi si inaspriscono di giorno in giorno, ma il Pakistan non accetta intimidazioni e sembra sordo anche alle denunce della comunità internazionale: per il governo pakistano, i rifugiati afghani senza documento sono “un problema di sicurezza” da risolvere con urgenza. Secondo il Ministro degli Interni pakistano Sarfraz Bugti, dei 24 attentati suicidi avvenuti in Pakistan nell’ultimo anno, almeno 14 sarebbero riconducibili a residenti di nazionalità afghana. “Sono attacchi contro di noi da parte dell’Afghanistan e gli afghani sono coinvolti in questi attacchi. Ne abbiamo le prove”, avrebbe aggiunto. Accuse che l’autoproclamatosi Emirato Islamico dell’Afghanistan ha rigettato, dichiarando che l’Afghanistan non può essere colpevolizzato del “fallimento della sicurezza” di altri Paesi nella regione.

Quasi due milioni di persone sono diventate il pericolo da epurare per sbarazzarsi dallo spettro della violenza terroristica nel Paese. Al costo di incrinare definitivamente i rapporti politici ed economici con l’Afghanistan, ma con il beneficio di investire le deportazioni nella propaganda politica per le elezioni annunciate per il mese di febbraio 2024.

Da Ginevra, il 15 novembre scorso l’Alto Commissario per i Diritti Umani Volker Turk si è detto “allarmato” dai report che riferiscono gli abusi, i maltrattamenti, le detenzioni arbitrarie, la distruzione delle proprietà e delle estorsioni che stanno caratterizzando l’ondata di deportazioni condotte dal Pakistan contro i profughi afghani. L’obiettivo è, secondo molte testimonianze, quello di rendere la vita dei profughi afghani impossibile, così da costringerli con la forza a lasciare tutto affrontando il viaggio verso l’ignoto. Raid notturni, sequestro di gioielli e beni di prima necessità, fino alla chiusura di attività commerciali e all’arresto di rifugiati per ore o per giorni. Ferma è arrivata la condanna anche da parte della ONG Amnesty International, che ha chiamato il Pakistan a “fermare le deportazioni”.

C’è un senso di paura nella comunità afghana, viviamo costantemente in ansia, sigilliamo le porte appena sentiamo le auto della polizia avvicinarsi”, ha raccontato Junaid in un report di Amnesty International.

“Migliaia di rifugiati afghani stanno venendo usati come pedine politiche”, ha denunciato Livia Saccardi, che per la ONG è Regional Director per l’Asia Meridionale, “per essere riportati nell’Afghanistan a guida talebana dove la loro vita e la loro integrità fisica potrebbe essere in pericolo, nel pieno di un crollo dei diritti umani e di una catastrofe umanitaria in corso. Nessuno dovrebbe essere sottoposto a deportazioni forzate di massa, e il Pakistan dovrebbe ricordare bene i suoi obblighi secondo il diritto internazionale, incluso il principio di non-respingimento”.

Per agevolare le operazioni, il governo pakistano ha costruito 49 centri di detenzione, che preferisce definire “di transito”, con la possibilità di realizzarne di nuovi. Non esiste, tuttavia, un ordinamento legale che regolamenti la gestione dei centri. In almeno di sette di questi, sempre Amnesty ha potuto documentare la totale assenza del rispetto dei diritti umani come il diritto a un avvocato o di comunicare con i familiari, che spesso assistono alla scomparsa di un loro caro senza riceverne più notizie.

Una volta superato il confine, le prime vittime della deportazione sarebbero, poi, senza dubbio le donne e le bambine, strappate da un giorno all’altro alla possibilità di ricevere un’educazione e di avere un lavoro e una vita pubblica.

“Il Pakistan deve assicurare la protezione per gli individui che potrebbero affrontare persecuzioni, torture, maltrattamenti o altri irrimediabili rischi in Afghanistan”, ha dichiarato l’Alto Commissario Turk. “Questo include le donne e le bambine, gli ufficiali e il personale di sicurezza del precedente governo, le minoranze etniche e religione, gli attivisti per i diritti umani e della società civile e gli operatori mediatici”.

“Questi nuovi sviluppi sono un cambio di passo della lunga tradizione pakistana di accogliere, generosamente, rifugiati afghani in vasti numeri”, ha aggiunto Turk. Già tra il 2015 e il 2016, tuttavia, quando le relazioni politiche col governo afghano iniziavano a deteriorarsi, ai profughi afghani in Pakistan era spettato un destino molto simile, con raid e maltrattamenti denunciati da Human Rights Watch e minacce di deportazioni di massa, in molti casi andate a termine. Né i richiami dell’Onu o di Amnesty intimidiscono adesso il governo pakistano, che nella persona del Ministro dell’Informazione Jan Achakzai promette che “tutti i profughi afghani saranno deportati entro la fine di gennaio”.

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Il Pakistan non è il solo, del resto, a volersi liberare degli immigrati afghani proprio nel cuore della stagione più fredda. Anche dall’Iran, più in sordina, nella sola scorsa settimana sarebbero stati rimpatriati circa 20.000 rifugiati.

In Afghanistan, intanto, un sole tardivo ancora riscalda, fino al tramonto, e le vette si imbiancano lentamente, una alla volta, come un presagio di futuro dal cielo. Ma il clima secco già spacca le mani e le labbra, e la notte il gelo arriva improvviso sul petto, come una coperta bagnata. La frontiera afghana si prepara incredula a venire attraversata migliaia di volte per consegnare all’inverno più cupo e al freddo più disperato i suoi antichi figli senza più una casa.

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In Cina e Asia – Crisi Medio Oriente, Pechino lavora con i player regionali


In Cina e Asia – Crisi Medio Oriente, Pechino lavora con i player regionali medio oriente
I titoli di oggi: Crisi Medio Oriente, Pechino lavora con i player regionali Xi chiede a Macron più investimenti in Cina Mar cinese meridionale, le Filippine propongono un codice di condotta senza la Cina Il nuovo leader argentino Milei minaccia di rivedere le relazioni con la Cina Insurrezione in Myanmar: stranieri e cooperanti trasferiti in territorio protetto Guerra Israele-Hamas: ...

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VERSIONE ITALIANA USA, LA FCC PERSEGUIRA’ UNA INDAGINE SULL’IMPATTO DELL’INTELLIGENZA ARTIFICIALE SU ROBOCALL E ROBOTEXTSJessica Rosenworcel, Presidente della Federal Communication Commission, ha dichiarato che verrà avviata una indagine sull’impatto dell’intelligenza artificiale sulle robocall e sui robotext, con il fine di eliminare “questa spazzatura”. Alla Agenzia sarà chiesto anche di raccogliere informazioni su questo argomento specifico …

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Samah Jabr, nata nel 1976 a Gerusalemme Est, è psichiatra e scrittrice. Samah Jabr ha intitolato il suo messaggio al pubblico italiano delle iniziative di pre


Golden power su Safran. Perché la cosa riguarda anche i caccia europei


Il governo italiano ha esercitato il suo diritto di Golden power per bloccare l’acquisizione da un miliardo e ottocento milioni da parte di Safran, società francese specializzata nella costruzione di motori a reazione, dell’italiana Microtecnica, filiale

Il governo italiano ha esercitato il suo diritto di Golden power per bloccare l’acquisizione da un miliardo e ottocento milioni da parte di Safran, società francese specializzata nella costruzione di motori a reazione, dell’italiana Microtecnica, filiale della controllata di Raytheon Technologies (Rtx), Collins Aerospace. La motivazione dietro la decisione del governo riguarda la preoccupazione che l’operazione possa influire sulla fornitura di componenti-chiave per il programma Eurofighter, nel quale Roma collabora con Londra, Berlino e Madrid (mentre Parigi preferì perseguire il proprio programma nazionale Rafale). Secondo quanto riportato dal Financial Times, sulla base del documento del governo italiano, la motivazione alla base dell’impiego del Golden power, di cui Roma si sarebbe consultata anche con Berlino, sarebbe che Safran non avrebbe dato “la necessaria priorità alle linee di produzione industriale di interesse per la difesa nazionale”, esprimendo la preoccupazione che l’accordo potesse portare all’interruzione delle forniture di parti di ricambio e servizi per i programmi di caccia Eurofighter e Tornado, necessari per garantire i requisiti operativi della Nato. Di conseguenza, l’Italia ha concluso che l’accordo “rappresenta una minaccia eccezionale agli interessi essenziali della difesa e della sicurezza nazionale”.

Lo stop a Safran

Il blocco da parte di Roma di un’acquisizione da parte di una società di un Paese alleato europeo o della Nato è un fatto relativamente raro. Nonostante la dichiarazione dell’amministratore delegato di Safran, Olivier Andriès, secondo il quale le resistenze verso la sua società sarebbero infondate, dato che il gruppo è già fornitore dell’Eurofighter e di altri programmi italiani, la decisione del governo segnala l’attenzione riposta per il settore della Difesa e per il destino delle sue aziende. Se finora la maggior parte degli interventi in questo senso hanno rappresentato il blocco di acquisizioni da parte di aziende cinesi verso realtà italiane in settori strategici, Difesa in primis (ma anche energia e comunicazioni).

Il dossier dei caccia

Il tema, tuttavia, tocca un ambito molto particolare, dove in Europa si muovono da tempo diverse direttrici di tensione che coinvolgono Parigi, Berlino e Roma, quello dei caccia. Il caso di Safran, infatti, verte sul programma congiunto che Italia, Germania, Regno Unito e Spagna hanno portato avanti per la realizzazione di un caccia di quarta generazione. Oggi sta prendendo forma una situazione simile, con l’Italia impegnata ancora una volta con la Gran Bretagna (e il Giappone) per la realizzazione del caccia di sesta generazione Global combat air programme (Gcap), mentre Francia e Germania sono impegnate nel progetto parallelo del Fcas. Tuttavia, mentre il Gcap è ormai decollato (si attende a dicembre il vertice tra ministri dei Paesi partner che vedrà la nascita del consorzio responsabile della sua realizzazione), il programma franco-tedesco è paralizzato da una serie di attriti che coinvolgono Eliseo e Cancellierato.

Berlino verso il Gcap?

La condivisione con Berlino della decisione italiana sul Safran, tra l’altro, rimanda all’ipotesi, più volte avanzata (anche se sempre smentita) di un potenziale allontanamento tedesco dal programma Fcas per una possibile adesione al Gcap. Nel corso dell’ultimo anno, infatti, si sono susseguiti attriti e incomprensioni tra Germania e Francia su tutti i programmi d’armamento condivisi, da quello aereo del caccia a quello terrestre del carro armato Main ground combat system (Mgcs). Oltre alle voci degli esperti (una fra tutte, quella del capo di Stato maggiore dell’Aeronautica militare, generale Luca Goretti, che ha sempre auspicato una convergenza dei due programmi aerei europei) sull’impossibilità per l’Europa di mantenere due progetti paralleli così ambiziosi in un campo avanzato come la sesta generazione di caccia, anche i ritardi del Fcas, messi a paragone con lo slancio del Gcap, potrebbe rappresentare un valido incentivo per Berlino per decidere definitivamente di abbandonare la difficile cooperazione con Parigi, preferendole la più ampia collaborazione con gli altri partner europei.


formiche.net/2023/11/safran/



FPF Offers Input on Massachusetts Student Data Privacy Proposal


On October 30, FPF provided testimony before a hearing of the Massachusetts Joint Committee on Education regarding H.532/S.280, an Act Relative to Student and Educator Data Privacy. Read our written testimony in full. Our testimony focused on highlighting

On October 30, FPF provided testimony before a hearing of the Massachusetts Joint Committee on Education regarding H.532/S.280, an Act Relative to Student and Educator Data Privacy.

Read our written testimony in full.

Our testimony focused on highlighting relevant FPF resources for policymakers (including a case study on student privacy in Utah, our state student privacy laws tracker, and a series of student data privacy ethics training scenarios), and sharing our thoughts on both things we believe the bill does well, as well as recommendations for changes and improvements.

FPF’s Director of Youth & Education Privacy, David Sallay, discussed his previous experience as chief privacy officer for the Utah State Board of Education and applauded policymakers for calling for the creation of a similar role in H.523/S.280. During the hearing, he also highlighted how the role could help address several of the other bills that were discussed, including providing support to rural schools and to Massachusetts’ educator-to-career data center. By designating privacy-focused personnel and requiring training, Massachusetts has an opportunity to improve structure, transparency, and consistency for schools, districts, and parents.

FPF’s testimony also included several recommendations and improvements, including expanding the bill’s student data privacy training requirements beyond educators, as procurement, IT, and other administrative staff often also have access to covered data. One component of the bill that will likely prove to be controversial is the broad private right of action included in the enforcement provisions. We expect this to be the subject of continued discussion and debate in the legislature. Citing his experience in Utah, David noted that granting the chief privacy officer role the authority to investigate alleged violations of student privacy laws, could help streamline and simplify enforcement.

Read our written testimony and watch the hearing.


fpf.org/blog/fpf-offers-input-…