Oggi l’ottava lezione della Scuola di Liberalismo – Gazzetta del Sud
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Xu Xiangshun o Alvise Giusti? Quella volta in cui Piero Angela forse si è sbagliato
È morto Xu Xiangshun (Alvise Giusti), da alcuni soprannominato “il contadino cinese dalle origini italiane” e definito da Piero Angela “l’italiano di Wenzhou”. Lo ha annunciato sua figlia il 16 settembre scorso sul suo profilo Douyin. La sua storia, tra Cina e Italia, interseca i grandi eventi del secolo scorso alla personale ricerca di una propria identità culturale, rimasta incompresa ...
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In Cina e Asia – Gaza, Wang Yi va New York per parlare della crisi
Gaza, Wang Yi va New York per parlare della crisi
Cina, Giappone e Corea del Sud lavorano a un vertice trilaterale tra i leader
Belt and road, pronta la roadmap per i prossimi dieci anni
La Cina valuta costruzione di un tunnel sottomarino tra Russia e Crimea
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Eugen Rochko Contro Golia. L'articolo di Johanna Jürgens dal Die Zeit, è su L'Internazionale (con paywall)
internazionale.it/magazine/joh…
Eugen Rochko Contro Golia
È un informatico tedesco. Voleva creare un social network migliore di Twitter, così nel 2016 ha fondato Mastodon. Per rovesciare i rapporti di potere della rete LeggiJohanna Jürgens (Internazionale)
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#laFLEalMassimo – La Povertà delle Nazioni
Apro come sempre con un pensiero alla guerra ancora in corso in Ucraina per via della folle volontà espansionistica di Putin che potrà concludersi solo con la ricacciata dell’invasore entro i propri confini e a cui si è aggiunto di recente una preghiera per le vittime degli orrori in corso nella Striscia di Gaza. Venendo al nostro Paese, mentre il governo Meloni cerca di capitalizzare in termini di consenso il momento favorevole nel quale l’inflazione si riduce per l’azione incisiva della BCE e le tensioni sulla sostenibilità del nostro debito rimangono anestetizzate dagli stimoli del programma Next Generation EU. I segnali del declino economico e sociale dell’Italia restano evidenti a tutti quelli che hanno occhi per vedere e strumenti per capire. L’economista Ugo Panizza ha recentemente evidenziato sul social network X, la vecchia Twitter che, in riferimento a un recente working paper intitolato Welfare Working Nations, l’Italia sia l’unico paese tra quelli analizzati a evidenziare una crescita del PIL scalato per la popolazione in età lavorativa significativamente inferiore agli altri. Che vuol dire questo? Che nei paesi sviluppati la popolazione invecchia e la quota di quelle in età lavorativa si riduce nel tempo.
Guardando a un indicatore che tiene conto di questo fenomeno che rapporta la crescita del PIL alle persone che hanno l’età per lavorare, vediamo che quasi tutti i paesi crescono in modo simile e il quasi è dato dall’Italia che rimane indietro. Lo stesso Panizza nella discussione social segnala come lettura un paper di Pellegrino e Zingales dove leggiamo che a metà degli anni 90 la crescita della produttività italiana subisce una rilevante battuta d’arresto, probabilmente per l’incapacità di sfruttare appieno la l’evoluzione nel settore ICT e per la prevalenza di un sistema poco meritocratico nella selezione e remunerazione dei manager. Nel 2023 la crescita della ricchezza delle nazioni è fortemente collegata con la libertà che gli individui dispongono di assumersi rischi, talvolta fallire, innovare, in qualche caso dare vita a vere e proprie rivoluzioni, come accaduto ieri con Internet e oggi con intelligenza artificiale. L’Italia, su tutti questi fronti rimane drammaticamente indietro, prima per atteggiamento culturale e poi per le necessarie e logiche conseguenze sociali ed economiche.
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L’Europa giochi in Difesa. Ecco cosa dicono Crosetto, Tremonti e Pontecorvo
Secondo Guido Crosetto, ministro della Difesa, “in una futura difesa europea può esserci un esercito, una marina e un’aeronautica europea. Potrebbe esserci se selezionassimo le persone, tra 20 anni, ma non abbiamo 20 anni davanti, siamo in ritardo; quindi, l’unica possibilità è mettere insieme le difese dei vari Paesi, rendendole interoperabili. In questo percorso siamo facilitati perché lo abbiamo iniziato nella Nato”. Nel suo videomessaggio alla conferenza organizzata da Aspen Institute Italia (con la collaborazione con l’Aeronautica Militare, Intesa Sanpaolo, Comune di Pavia, Università degli Studi di Pavia e il contributo di Fondazione Banca del Monte di Lombardia e Leonardo), il ministro ha aggiunto che così l’Europa può diventare “colonna portante della Nato”, dotandosi poi “di forze armate europee a tutti gli effetti”. “È la sfida che abbiamo davanti: l’Europa deve trovare un linguaggio comune, una strategia comune, che ancora non esiste”, ha proseguito.
LA DIFESA E I CONTI
“Soltanto quattro anni fa non avremmo parlato della necessità di raggiungere il 2% di investimenti in difesa, ma avremmo parlato probabilmente di ulteriori tagli”, ma “abbiamo deciso di invertire la tendenza”, ha detto. “La decisione non è più politica, quindi da conteggiare nel Patto di stabilità, ma necessità di sopravvivenza, non possiamo non farlo, non ci è consentito di decidere di non aumentare investimenti in difesa, perché la difesa è diventato il prerequisito della libertà, della democrazia, dello sviluppo”, ha continuato.
Giulio Tremonti, presidente di Aspen Institute Italia e della commissione Affari esteri e Comunitari della Camera, ha ricordato che “nel 2003 il governo italiano propose di emettere eurobond per infrastrutture e difesa europea. All’epoca la proposta fu respinta. Oggi che gli eurobond esistono devono essere applicati anche all’industria della difesa. Terminata l’illusione della pace universale – idea base della globalizzazione, l’ultima utopia del Novecento, torna essenziale dare priorità al sistema della difesa: come diceva Luigi Einaudi ‘per una nazione importa più essere indipendente che essere ricca’. E in un sistema geopolitico caratterizzato dal global disorder con due guerre ai confini europei – Ucraina e Medio Oriente – la difesa torna ad assumere un ruolo altamente strategico”, ha aggiunto
CROSETTO SU ISRAELE
“Abbiamo la libertà, per essere amici della democrazia e di Israele, di dire che dobbiamo distinguerci dai terroristi”, ha dichiarato Crosetto. “Ci sono delle linee che noi in democrazia dobbiamo preservare: il diritto internazionale, le regole di convivenza democratica ci impongono un rispetto anche nella guerra”, ha continuato.
“Anche nella guerra ci sono regole”, ha aggiunto, “e sono quelle che dicono che gli eserciti si possono scontrare ma i civili innocenti che non c’entrano nulla devono essere preservati il più possibile perché quando vengono coinvolti uomini, donne e bambini, che nulla c’entrano con gli scontri militari, noi perdiamo ogni giorno un pezzo della nostra credibilità”.
PONTECORVO SU INVESTIMENTI E AEROSPAZIO
“Il sistema di sicurezza europeo ha bisogno di importanti investimenti nel prossimo futuro: vuoi per riequilibrare il rapporto con gli Stati Uniti vuoi perché non sappiamo da dove arriveranno le minacce future ed a queste minacce bisogna predisporre risposte multilivello”, ha detto Stefano Pontecorvo, presidente di Leonardo. “E per queste ragioni sarebbe necessaria un po’ più di lungimiranza e visione da parte delle autorità europee”.
Nel negoziato per la riforma del patto di stabilità, ha ricordato Pontecorvo, l’Italia si sta battendo perché le spese per la Sicurezza vengano stralciate dal calcolo del deficit. “Per fortuna, dalle bozze della riforma sembra emergere l’intenzione di introdurre un diverso sistema di calcolo delle spese per la Sicurezza sul deficit. Ma c’è di più. Oggi Bruxelles è arrivata ad emettere eurobond per finanziare il Next Generation Eu: iniziativa lodevole che fa dell’Europa un Continente all’avanguardia nella salvaguardia dell’Ambiente. Ma c’è – Credo sia necessario un salto di qualità delle policy europee anche per la Difesa”. “Per queste ragioni”, ha proseguito, “non si possono aspettare vent’anni per finanziare gli investimenti con l’emissione di eurobond. Servono subito”, ha spiegato ancora definendo il settore aerospaziale come un “ponte” tra Paesi in quanto, “per sua stessa natura, può svolgere un ruolo di avanguardia nella costruzione di nuove partnership” grazie all’alto tasso di innovazione e all’alta intensità di capitale.
Pontecorvo ha ricordato che la Cina ha speso nel 2022, 292 miliardi di dollari: il 4,2% in più rispetto al 2021, ma il 63% rispetto al 2013. La Russia, in un solo anno, l’ultimo, ha aumentato la propria spesa militare del 9,2%. Per avere un termine di paragone con l’Europa, nel 2022 la spesa militare del Continente è aumentata del 13% rispetto al 2021 ed ha toccato livelli della Guerra fredda. Ma l’incremento rispetto al 2013 è stato del 30%: la metà della Cina.
Così l’Europa può diventare colonna portante della Nato. Cos’ha detto Crosetto a Pavia
Secondo Guido Crosetto, ministro della Difesa, “in una futura difesa europea può esserci un esercito, una marina e un’aeronautica europea. Potrebbe esserci se selezionassimo le persone, tra 20 anni, ma non abbiamo 20 anni davanti, siamo in ritardo; quindi, l’unica possibilità è mettere insieme le difese dei vari Paesi, rendendole interoperabili. In questo percorso siamo facilitati perché lo abbiamo iniziato nella Nato”. Nel suo videomessaggio alla conferenza Aspen di Pavia il ministro ha aggiunto che così l’Europa può diventare “colonna portante della Nato”, dotandosi poi “di forze armate europee a tutti gli effetti”. “È la sfida che abbiamo davanti: l’Europa deve trovare un linguaggio comune, una strategia comune, che ancora non esiste”, ha proseguito.
LA SVOLTA DI CINQUE SECOLI FA
“La battaglia di Pavia del 25 febbraio 1525 è stata la prima battaglia europea”, ha evidenziato il ministro. “Combattuta in modo rivoluzionario, per la prima volta con armi da fuoco”, una “battaglia che segnò un momento decisivo del predominio spagnolo in Italia e dimostrò la schiacciante predominanza della fanteria e della cavalleria”, “il passaggio alle più moderne strategie militari” e il “mutamento della composizione delle truppe, un rinascimento militare” e oggi “viviamo anni che richiedono l’idea di rivoluzione, perché l’idea di un esercito europeo è sicuramente una nuova rivoluzione nel campo della difesa e dell’Ue”, ha spiegato ancora.
INVESTIMENTI E PATTO DI STABILITÀ
“Soltanto quattro anni fa non avremmo parlato della necessità di raggiungere il 2% di investimenti in difesa, ma avremmo parlato probabilmente di ulteriori tagli”, ma “abbiamo deciso di invertire la tendenza”, ha detto. “La decisione non è più politica, quindi da conteggiare nel Patto di stabilità, ma necessità di sopravvivenza, non possiamo non farlo, non ci è consentito di decidere di non aumentare investimenti in difesa, perché la difesa è diventato il prerequisito della libertà, della democrazia, dello sviluppo”, ha continuato.
REGOLE ANCHE IN GUERRA
“Abbiamo la libertà, per essere amici della democrazia e di Israele, di dire che dobbiamo distinguerci dai terroristi”, ha dichiarato Crosetto. “Ci sono delle linee che noi in democrazia dobbiamo preservare: il diritto internazionale, le regole di convivenza democratica ci impongono un rispetto anche nella guerra”, ha continuato. “Anche nella guerra ci sono regole”, ha aggiunto, “e sono quelle che dicono che gli eserciti si possono scontrare ma i civili innocenti che non c’entrano nulla devono essere preservati il più possibile perché quando vengono coinvolti uomini, donne e bambini, che nulla c’entrano con gli scontri militari, noi perdiamo ogni giorno un pezzo della nostra credibilità”.
“Distruzione totale”, Gaza si risveglia dopo 50 giorni di bombe
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di Michele Giorgio
(questo articolo è stato pubblicato sul quotidiano Il Manifesto)
Pagine Esteri, 25 novembre 2023 – La magnitudine della devastazione di Gaza si comincia a conoscere solo ora, con il cessate il fuoco. In quasi 50 giorni di bombardamenti aerei, cannonate e altro ancora, i giornalisti palestinesi e persone comuni hanno potuto, a rischio della vita, far conoscere al mondo con video, foto e messaggi le conseguenze dell’offensiva militare di Israele in quel piccolo lembo di terra. Ma ieri nel primo dei quattro giorni di tregua tra Israele e Hamas e dello scambio ostaggi-prigionieri politici, i palestinesi hanno avuto la possibilità di girare, osservare e controllare, senza temere di essere disintegrati dalle bombe, l’apocalisse che ha investito la loro terra.
I filmati diffusi dalle persone in queste ultime ore mostrano un paesaggio lunare, centri abitati ridotti in cumuli di pietre, persone che si aggirano come fantasmi tra le rovine di case, edifici pubblici, moschee, scuole, asili. E anche i cadaveri rimasti senza sepoltura, alcuni in avanzato stato di decomposizione, altri carbonizzati, di adulti e di bambini. Ovunque. Sotto i palazzi crollati e nelle strade, anche su quella costiera, coperti dai passanti con cartoni e stracci. La Protezione civile di Gaza passerà i giorni di tregua a recuperare una parte dei corpi delle migliaia di dispersi (7mila?) facendo salire il numero dei palestinesi uccisi già oltre 14mila. Israele lo ritiene gonfiato ad arte «dal ministero della sanità di Hamas». Ma le agenzie umanitarie sanno che è molto vicino alla realtà, se non addirittura sottostimato. La guerra di Gaza non è finita, non si faccia illusioni chi spera che questa tregua di quattro giorni porti a un cessate il fuoco permanente. «Ci sarà una breve pausa e poi continueremo ad operare con piena potenza militare. Non ci fermeremo finché non raggiungeremo i nostri obiettivi, la distruzione di Hamas e la liberazione degli ostaggi», ha assicurato il ministro della Difesa israeliano Yoav Gallant al termine ieri dell’incontro con l’omologo italiano Guido Crosetto, uno dei numerosi premier, ministri e uomini politici occidentali giunti in processione a Gerusalemme in queste ultime settimane per ribadire il loro appoggio all’offensiva militare israeliana «contro Hamas», però, se possibile, «con qualche civile ucciso in meno».
Quando ieri mattina alle 7 i boati incessanti delle esplosioni andate avanti per tutta la notte facendo altri morti e feriti, si sono spenti per la prima volta dopo settimane, migliaia di sfollati palestinesi si sono messi in marcia verso i quartieri orientali di Khan Yunis, la fascia Est della Striscia, Gaza city e anche il nord desiderosi di tornare alle loro case e in cerca di un breve momento di normalità. Uomini, donne e bambini, a piedi o a bordo delle poche auto che hanno ancora carburante, alcuni su carretti tirati da asinelli. Altri hanno messo le borse sulle spalle e si sono incamminati. Hanno attraversato scene di immensa distruzione.
Marwa Dabdoub, 37 anni, ha raccontato a un media locale di aver trovato la sua casa a Gaza city distrutta dai bombardamenti. «Eravamo felici di vedere la tregua, ma oggi abbiamo scoperto che la nostra casa non c’è più. Non siamo riusciti a trovare nulla. Ci hanno distrutto tutto», ha detto rovistando tra le macerie dell’abitazione. Come lei altre migliaia di palestinesi non hanno trovato altro che pietre, terra, pilastri di cemento spezzati. Sono 1,7 milioni i palestinesi costretti dalla guerra e dalle intimazioni dell’esercito israeliano a lasciare le proprie case nel capoluogo Gaza city e nel nord della Striscia e che da settimane vivono ammassati in scuole, tende e ospedali nel sud. Le distruzioni sono talmente vaste che la ricostruzione di case e infrastrutture richiederà anni, ammesso che Israele lo permetta. «Sono andato in giro appena è cominciata la tregua» ha scritto su X, Refaat, un abitante di Gaza city. «Distruzione completa, totale. Case edifici, moschee, giardini pubblici, scuole, condutture dell’acqua, pali della luce. Gli invasori israeliani in realtà non cercavano niente e nessuno. Hanno solo provocato caos e attuato una vendetta sui cittadini palestinesi e le loro vite».
Recuperare qualcosa di utile dalle macerie di casa è essenziale per chi non ha più nulla. Così come trovare cibo. Ieri dal valico di Rafah sono entrati a Gaza 200 autocarri carichi di aiuti e altrettanti ne entreranno oggi, domani e lunedì. Ma la quantità di merci resta largamente insufficiente rispetto ai bisogni della popolazione. Le priorità nei carichi restano l’acqua, le medicine e tutto ciò che serve agli ospedali ancora operativi: a Gaza ci sono 35mila feriti. Ieri la Mezzaluna rossa ha evacuato altri feriti e ammalati dall’ospedale Ahli di Gaza city. Cercare i parenti sopravvissuti è un’altra priorità così come dare una degna sepoltura ai membri della famiglia uccisi dagli attacchi israeliani. Alcuni sono stati sepolti in fosse comuni nei giardini e nei terreni agricoli, o sono ancora nelle sacche per cadaveri davanti agli ingressi degli ospedali.
La striscia di sangue si è allungata anche ieri. Perché l’esercito israeliano, dando seguito a quanto aveva scritto in un volantino lanciato due giorni fa sul sud di Gaza, ha impedito alla maggior parte delle persone di tornare al nord. Per fermarle hanno lanciato lacrimogeni, sparato in aria, infine ad altezza d’uomo. Almeno due palestinesi sono stati uccisi, una ventina feriti, hanno riferito le agenzie di stampa. I soldati hanno aperto il fuoco anche nei pressi dell’ospedale Rantisi per fermare chi era sulla via del ritorno. E hanno effettuato un raid nell’ospedale Indonesiano dove, ha riferito il direttore generale del ministero della Sanità, Munir Al-Bursh, hanno ucciso una donna e arrestato tre persone. Reparti corazzati israeliani stazionano in modo permanente sulle strade di collegamento Salah al-Din e Al-Shati. Il presunto «corridoio sicuro» rimarrà aperto durante i giorni della tregua in modo che ai residenti nel nord sia consentito di andare verso sud. Ma non di ritornare. 75 anni fa, andò allo stesso modo.
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Ministero dell'Istruzione
Oggi, #25novembre, ricorre in tutto il mondo la Giornata internazionale per l'eliminazione della violenza contro le donne, istituita dall'Assemblea Generale delle Nazioni Unite nel 1999.Telegram
Taiwan Files – Elezioni presidenziali: corsa a 3 dopo una settimana folle
Cronaca di una drammatica settimana di politica taiwanese, con l'accordo nell'opposizione per una candidatura unitaria che salta in livestreaming tra accuse incrociate. Lai Ching-te della maggioranza Dpp sceglie come vice l'ex rappresentante negli Usa Hsiao Bi-khim ed è il grande favorito. Nell'opposizione si ritira Gou Taiming dopo l'indagine della Cina sulla sua Foxconn. Restano Hou Yu-ih del Guomindang e Ko Wen-je del People's Party. Gli scenari a 50 giorni dal voto. Il racconto di Lorenzo Lamperti da Taipei
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In questi giorni al Job&Orienta siete stati tantissimi a venirci a trovare al nostro stand. Vi aspettiamo anche domani!
📹 Qui il video per rivivere insieme la 32esima edizione ▶️ youtu.be/b0ScszjnUYw
📷 Qui l’album ▶️ flickr.
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Nuove regole per Unifil? Da Tel Aviv, Crosetto lancia la sfida all’Onu
Nel primo dei quattro giorni di tregua stabiliti tra Israele e Hamas, il ministro della Difesa Guido Crosetto ha fatto visita a Tel Aviv all’omologo israeliano Yaov Gallant. La presenza italiana in Israele in questo momento così delicato del conflitto non è affatto un caso, e anzi riporta quel ruolo da protagonista giocato dal nostro Paese nel processo di mediazione, rimarcato con orgoglio dallo stesso ministro Crosetto, che si è detto “quasi commosso di essere qui in un giorno così importante per Israele e per la pace”. Anche Gallant ha sottolineato l’importanza di quanto sta facendo l’Italia per Israele, una dimostrazione concreta di amicizia e solidarietà in un momento cruciale per lo Stato mediorientale.
La situazione
“Per Israele – ha spiegato Crosetto– il punto finale è rendere Hamas non più un pericolo”. Per il ministro, infatti, Hamas è un’organizzazione terroristica “che ha nello statuto l’eliminazione di Israele e della popolazione ebrea da questa zona del mondo”, per cui non esiste la possibilità di mediazione. Il ministro è tornato a indicare la soluzione di due popoli e due Stati come l’unica in grado di dare una pace duratura, aggiungendo però come l’obiettivo “non sarà facile, non sarà breve”. Per Israele, infatti, è questione di vita o di morte, ha sottolineato Crosetto, aggiungendo come si tratti di una condizione “che noi fatichiamo a capire al sicuro nelle nostre nazioni”. È allora l’obiettivo degli altri Paesi far sì che “le conseguenze, non militari ma quelle civili, siano minori possibili”. Il ministro si è poi detto “convinto che le operazioni dureranno a lungo, ma che ci sarà tutta l’attenzione che è possibile in una guerra per avere meno vittime civili innocenti”. Intanto, la buona notizia è a liberazione dei primi ostaggi: “Mi auguro la liberazione di tutti gli ostaggi”
Gli aiuti italiani
Come ricordato ancora da Crosetto, inoltre, l’Italia si sta prodigando attivamente attraverso l’invio di aiuti umanitari, in particolare attraverso la presenza di nave Vulcano, della Marina militare, con a bordo personale 170 militari, e trenta membri del personale sanitario della Marina. A questi si aggiungerà una ulteriore trentina tra medici e infermieri delle altre Forze armate. La nave è attrezzata per svolgere ogni tipo di attività medica, dalle operazioni alla diagnostica. A bordo, inoltre, saranno trasportati medicinai e aiuti destinati alla popolazione civile. L’intenzione italiana è quella di far seguire alla nave anche un ospedale da campo a terra. “Lo Stato maggiore della Difesa sto attrezzando e coordinando l’invio di una struttura ospedaliera a terra, in accordo con i palestinesi, da impiantare sul terreno di Gaza, vicino a dove c’è la necessità” ha spiegato Crosetto.
Coordinamento internazionale
L’obiettivo sottolineato da Crosetto per arrivare a una soluzione della crisi è muoversi in uniformità con tutti gli altri Paesi, occidentali e arabi, per frenare l’escalation. Lunedì, come da lui stesso anticipato, Crosetto sarà a New York, alle Nazioni Unite, non solo per parlare della missione in Libano. In particolare, ha detto Crosetto, “occorre che le Nazioni Unite decidano: o la missione Unifil ha ancora un senso, oppure bisogna chiedersi se ha senso mantenerla”. L’ipotesi del ministro, allora, è che l’Onu riveda le regole di ingaggio, perché “le attuali non danno sicurezze ai contingenti, basta guardare la situazione e gli attacchi di ogni giorno”. A fine ottobre, tra l’altro, Crosetto aveva visitato il contingente italiano dell’operazione Leonte XXXIV, poco dopo che un missile, deviato, aveva colpito senza nessuna conseguenza il quartier generale della missione Unifil a Naqoura, undici chilometri più a sud rispetto alla base italiana. “La risoluzione Onu – ha aggiunto Crosetto in Israele – prevede che nella striscia di confine tra Libano e Israele non ci siano nemici, né da una parte né dall’altra; quindi, che non ci sia una presenza israeliana che può minacciare il Libano, ma dall’altra parte ci sono presenze di Hezbollah”. Riflettendo su questo punto, in particolare, il ministro si è domandato “che senso ha mantenere una missione Onu, se non fa nulla per raggiungere l’obiettivo di quella missione?”.
C’è stato un tempo in cui un “vagoncino presidenziale” rallentava l’intero traffico ferroviario e nessuno si scandalizzava
Intenti come siamo ad indignarci per le imprese ferroviarie presenti del ministro Lollobrigida, rischiamo di trascurare le delizie del passato. Un passato recente. Si tende a dimenticare, per esempio, che fino alla metà degli anni Novanta a diversi presidenti di organi costituzionali era riservato quello che oggi verrebbe giudicato un inaudito privilegio. Privilegio che mandava in solluccheri Giovanni Spadolini in particolare.
Quando l’allora presidente del Senato doveva affrontare un viaggio in treno, non riservava un posto in prima classe, né prenotava un salottino per sè e per il proprio staff. La sua segretaria telefonava all’apposito servizio di palazzo Madama, che provvedeva ad agganciare al convoglio desiderato la carrozza presidenziale: un vagoncino retrò in stile Orient Express dotato di un lussuoso salottino, una cucina e una cuccetta con lenzuola fresche di bucato per eventuali riposini diurni. Un commesso del Senato vi svolgeva le funzioni del maggiordomo, un cuoco vi cucinava le pietanze gradite.
Raccontano che Giovanni Spadolini adorasse viaggiare così. E pazienza se, essendo stato costruito in tempi in cui i treni forse arrivavano in orario, ma di sicuro erano più lenti, il vagoncino presidenziale obbligava il convoglio cui era agganciato a moderare la velocità, con gran scorno dei viaggiatori comuni e oggettive ricadute sull’intero traffico ferroviario.
Nessuno, allora, avvertiva il problema, essendo (allora) chiaro a tutti che le Istituzioni avessero diritto ai propri spazi, alla propria privacy e al proprio stile. Di sicuro la pensava così il grande Spadolini, il quale, un giorno, dovendo rientrare da Milano a Roma, non essendo disponibile l’amato vagoncino riservò un’intera carrozza di prima classe. Era la primavera del 1994, la legislatura volgeva al termine, e alla stazione di Milano si trovavano anche alcuni parlamentari che come lui dovevano rientrare a Roma. Gli chiesero se potevano prender posto nella “sua” carrozza: sdegnosamente, Spadolini rifiutò.
È opinione diffusa che tale sgarbo gli costò i voti necessari ad essere rieletto presidente del Senato. La spuntò, d’un soffio, Carlo Scognamiglio, uomo d’una eleganza antica, come Spadolini attratto dal lussuoso vagoncino. Mal gliene incolse quando commise la leggerezza di consentire al figlio e ad un gruppo di suoi amici di prender posto sull’ambita carrozza presidenziale per un breve viaggio in Liguria. Scognamiglio si era premurato di pagare un biglietto di prima classe per ciascun ragazzo, ma fatale fu la fermata fuori programma a Ventimiglia per far scendere i giovani viaggiatori. Erano i tempi in cui andava affermandosi la malsana logica dell’«uno vale uno». Lo scandalo fu inevitabile, la campagna stampa al grido di “Il trenino di Carlino” devastante. Da quel momento in poi il vagoncino presidenziale non toccò più binario.
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Ministero dell'Istruzione
Oggi al #JobOrienta, dopo gli eventi dei giorni scorsi sulla piattaforma UNICA, sulla nuova filiera tecnico-professionale, sulle discipline STEM e sulle Storie di alternanza e competenze, si parlerà d’Istituzione del sistema terziario di Istruzione T…Telegram
Guerra. Voci da Gaza (parte seconda)
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(Traduzione a cura di Federica Riccardi)
insaniyyat.org/voices-from-gaz…
Insaniyyat, Society of Palestinian Anthropologists
Dall’inizio della guerra israeliana contro la popolazione di Gaza, familiari e amici, compresi i membri della nostra comunità Insaniyyat, hanno cercato con ansia di avere notizie dei propri cari in tutta Gaza. Di seguito sono riportate le trascrizioni di messaggi di testo personali, note vocali e post sui social media che gli amici e i cari di Gaza sono riusciti a inviare in risposta; messaggi intermittenti composti nel bel mezzo dei bombardamenti e della distruzione, mentre erano sopraffatti dalle notizie di continue morti, anche di amici e parenti, senza elettricità, cibo, acqua, rifugio sicuro e speranza.
“R” Fotografo, Gaza City
R è un fotografo e padre devoto di due figlie di 2 e 6 anni. Uno dei suoi recenti progetti ha celebrato la vita e le conquiste delle persone di Gaza che hanno perso gli arti durante le guerre precedenti; le sue fotografie ritraggono il modo in cui continuano a vivere una vita piena nonostante le amputazioni. Fa parte di una rete regionale di fotografi documentaristi e lavora come freelance per agenzie di stampa locali e internazionali. Vive a Gaza City, ma è stato costretto a mandare sua moglie e le sue figlie, e poi suo padre e sua madre, sua sorella con la famiglia a Deir al-Balah, dove vive la famiglia di sua moglie. Poi, anche lui è dovuto fuggire da Gaza. La sua casa, quella dei suoi genitori e quella di sua sorella a Gaza sono state tutte bombardate. È ancora a Deir al-Balah, dai suoceri, insieme ad altri 30 membri della famiglia.
R ha inviato i seguenti messaggi ad un amico tra il 13 ottobre e il 12 novembre
Venerdì 13 ottobre (mattina)
[da Gaza City]
Ho già mandato le bambine [di 2 e 6 anni], la loro madre e i miei genitori dalla famiglia di mia moglie a Deir al-Balah.
Sto bene, ma la situazione è molto difficile. I massacri avvengono ovunque.
Non ci sono auto. Sto pensando di farmi 20 chilometri a piedi per andare dalle ragazze [a Deir al-Balah].
Venerdì 13 ottobre (sera)
[da Deir Balah]
La gente sta ancora lasciando Gaza [City], e ci sono persone che non possono lasciare le loro case, ma la città è quasi vuota ora. Ogni volta che cerco di comunicare con qualcuno all’interno di Gaza, mi dice che è una città fantasma.
Cerco di fotografare quello che posso.
Ho provato a chiamare Samar [un amico comune] ma non c’è linea. Non so se sono lì [Gaza City] o se sono andati via.
…
Ho comprato del cibo in scatola, una scatola di formaggio, biscotti e sardine.
Sono uscito sotto i bombardamenti e ho trovato cibo in scatola, biscotti, acqua, za’atar, dukkah e formaggio.
Qui c’è una palma, così ogni tanto raccolgo qualche dattero e mangio un frutto fresco.
Mangio poco per non dover andare in bagno.
La notte e le sue preoccupazioni sono iniziate.
Oh Dio, ti prego, salvaci da ciò che sta per accadere.
Vado da mia figlia maggiore e poi torno. Piange per la paura, perché hanno ricominciato a bombardare.
A mezzanotte tutti i servizi di telecomunicazione e internet potrebbero essere interrotti in tutta la Striscia di Gaza. Se perdi i contatti con noi, sappi che stiamo bene, e non importa quali immagini vedrai in TV, noi staremo bene, e io farò tutto il possibile per tenere al sicuro le mie figlie e l’impossibile per proteggerle.
Che mondo ingiusto è questo.
Vorrei non conoscere così tante persone a Gaza.
Ho perso molte persone. Ogni volta che chiedo di qualcuno, mi dicono che è stato martirizzato o che è disperso.
Mia figlia più grande, che ha quasi 7 anni, capisce già tutto.
Sabato 14 ottobre
Buongiorno, è stata una notte molto difficile ma è passata.
Sto scattando alcune foto, ma tutti sono nervosi, le bambine piangono in continuazione e io sono impegnato a prendermi cura di loro.
Tutti aspettano l’invasione. Ci sono ancora persone all’interno di Gaza [City] che non sono riuscite a uscire ieri.
Oggi hanno dato una finestra di quattro ore per le persone che vogliono andarsene.
Domenica 15 ottobre (mattina)
Per la maggior parte del tempo non c’è internet né batteria.
Ci sono attacchi dappertutto, ma non sappiamo nemmeno dove, perché non c’è modo di sapere dove sono i bombardamenti.
Negli ospedali non ci sono abbastanza medicine, non ci sono infermieri né medici e il sistema sanitario è completamente collassato.
La rete di comunicazione è pessima, noi stiamo bene.
Dio, facci uscire indenni da questa situazione.
Domenica 15 ottobre (sera)
Sembra che la casa della mia famiglia sia stata colpita qualche tempo fa – qualcuno me l’ha detto solo ora. Ci sono così tanti ricordi lì
…
Non sono triste per le pietre, la costruiremo di nuovo.
Ieri ho detto a mia figlia: “Voglio portarti in Egitto”. E lei ha risposto: “A trovare Rula?” [un’amica di famiglia].
Lunedì 16 ottobre
Oggi ho messo il mondo sottosopra alla ricerca di sonniferi e non ne ho trovati
Da stamattina non abbiamo più acqua, a parte qualche cassa d’acqua in bottiglia per bere. Il mare è vicino, ma è troppo rischioso andarci: tutta la costa è piena di navi da guerra.
Forse, se piove, possiamo raccogliere l’acqua nelle pentole.
Martedì 17 ottobre
Non c’è più acqua in nessuno dei serbatoi e non ce n’è in tutta la Striscia di Gaza. Ci è rimasta solo una cassa d’acqua che vogliamo conservare per i bambini.
Mercoledì 18 ottobre
Cercherò di uscire in sicurezza. Ancora una volta, prega per me affinché riesca a prendere le cose e a tornare sano e salvo.
Sto bene, ho trovato due casse d’acqua grazie a Dio. Ci sono stati un sacco di bombardamenti, ma sono andato al mercato e ho comprato delle arance per le mie figlie.
Sabato 4 novembre (mattina)
Siamo riusciti a comprare un sacco di farina
Tra poco usciremo e cercheremo di prendere dell’acqua.
Questa è farina rubata
Se ci prendono, ci rinchiudono tutti.
Hahahahaa
L’abbiamo pagata all’intermediario, al venditore e, naturalmente, a chi l’ha saccheggiata.
Un processo molto complicato.
Le trattative sono state intense.
La mia razione d’acqua è ora di 200 millilitri al giorno.
Esco di nuovo sotto ai bombardamenti, devo trovare dell’acqua. Andrò nello stesso posto dove l’ho presa prima. Prega che la trovi e che torni sano e salvo dal giro.
Se potessi sentire come bombardano Gaza, i missili, la terra trema per i bombardamenti.
Sabato 4 novembre (sera)
Ogni giorno raccogliamo delle olive dall’albero, le schiacciamo, ci mettiamo sopra il sale e il giorno dopo le mangiamo così…
È il momento della raccolta delle olive, ma le mangiamo così perché le olive vanno a male. Dovremmo raccoglierle e spremerle per ottenere l’olio, ma non ci sono frantoi in funzione.
Mamma e papà ti salutano
La mamma dice che la prossima volta che verrai vuole cucinarti un buon piatto.
Domenica 5 novembre (sera)
Buongiorno, grazie a Dio, stiamo ancora bene.
Voglio che chiami un medico per me
Ho bisogno di un sedativo per bambini
Mia figlia è sopraffatta dalla paura, si lamenta dei dolori alle gambe e allo stomaco e si comporta come una persona disorientata e confusa
Domenica 5 novembre (notte)
Oggi sono riuscito a bere un litro d’acqua.
Ho mangiato un po’ di datteri e za’atar.
Lunedì 6 novembre
Giuro che è stata una notte difficile.
C’erano un sacco di bombe e i bambini piangevano tutti seduti in mezzo alla casa.
Non ho trovato nessuna delle medicine di cui hai scritto [suggerite dal medico].
Ma useremo una medicina alternativa e le massaggeremo i muscoli con dell’olio d’oliva.
Tra un po’ devo uscire per cercare una nuova fonte d’acqua, ma aspetto che i bombardamenti si calmino. Ci sono stati bombardamenti vicino alla fonte d’acqua da cui ci siamo riforniti e ho paura a camminare nelle zone agricole.
Martedì 7 novembre (sera)
Ho fatto un bagno. Ho scaldato l’acqua salata sul fuoco. Non c’era acqua fredda disponibile, così ho fatto un bagno vero Hahahaha
Oggi c’è stato un massacro vicino a noi….
Abbiamo persino smesso di sentire il rumore dei missili che cadono. Sentiamo solo le esplosioni improvvise.
…
Sì, hanno bombardato un quartiere con un solo colpo…
Martedì 7 novembre (notte fonda)
Ho pregato, ho preso le mie figlie in braccio e mi sono sdraiato accanto a loro. Mi sentivo stanco morto: il mio cervello era addormentato, ma i miei occhi erano ancora aperti.
Mercoledì 8 novembre
Sono a un chilometro dall’ospedale Al-Shifa
e ci sono combattimenti per le strade di Gaza
Giovedì 9 novembre (mattina)
Ho dormito per 4 ore, un sonno interrotto ma buono.
Ci sono bombardamenti sulla strada [di Gaza City] che usiamo per arrivare a casa nostra, si chiama Al-Baraka Street.
Hanno detto qualcosa al telegiornale?
Giovedì 9 novembre (notte)
Quali notizie ci sono, a parte una pausa di 4 ore al giorno per il corridoio umanitario, in modo che la gente possa lasciare Gaza [City]?
Venerdì 10 novembre
Cosa scrivono le notizie sull’ospedale Al-Shifa e su ciò che sta accadendo lì intorno?
La rete è pessima, ma noi stiamo bene.
Uno dei miei cugini è riuscito a fuggire oggi [da Gaza City], ma il resto della sua famiglia è morto o non può uscire. Sua madre è paralizzata e lui è l’unico figlio. Lei gli ha detto di prendere i suoi figli e di fuggire. Non poteva trasportare sua madre
Sabato 12 novembre
Buonasera, come stai? Noi stiamo bene, grazie a Dio. È dalla mattina che cerco acqua e qualsiasi cosa da comprare. Sono riuscito a tornare solo poco fa, le strade erano terrificanti e non c’era praticamente nulla da comprare e quello che c’era era raddoppiato di prezzo.
Grazie a Dio, siamo riusciti a procurarci acqua, farina, una scatola di Prill [pastiglie per purificare l’acqua], un pacchetto di sigarette e dei pannolini.
Oggi il mio telefono era senza batteria. Ha piovuto per 5 secondi e poi non c’era il sole, quindi non abbiamo potuto caricare la batteria con l’energia solare.
Sorseggio la stessa tazza di caffè ogni poche ore, dalla mattina alla sera. Ci è permessa solo una tazza piccola al giorno.
Mia madre ha nascosto il sacchetto del caffè insieme alle chiavi di casa. Pagine Esteri
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Tecnocina: Il capo dei nerd
Per gentile concessione di add editore riproponiamo un estratto di Tecnocina, il libro in cui Simone Pieranni ripercorre la storia della Repubblica popolare dal 1949 fino ai giorni nostri, attraverso un intreccio di vicende affascinanti mai narrate prima al cui centro spiccano le storie di donne e uomini finora ignoti.
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In Cina e Asia – Cina, l’Oms osserva casi di polmonite batterica tra i bambini
Cina, picco di casi di polmonite batterica tra i bambini
Mar cinese meridionale: fregata cinese osserva le esercitazioni di Filippine e Usa
Pentagono: Usa ritardo di 4 anni sulla Cina
Il tribunale della Corea del Sud ordina al Giappone di risarcire le "comfort women”
Nepal: scontri tra polizia e manifestanti pro-ripristino della democrazia
Sri Lanka: sempre più famiglie sotto la soglia di povertà
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GAZA. Cominciata la tregua. Israele ordina ai palestinesi di non tornare al Nord
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della redazione
Pagine Esteri, 24 novembre 2023 – Non ci sono notizie di bombardamenti, colpi di artiglieria e di lanci di razzi. Sembra tenere il cessate di quattro giorni tra Israele e Hamas, la prima pausa in una guerra che dura da 48 giorni e che ha devastato la Striscia di Gaza e ucciso oltre 14mila palestinesi.
La tregua è iniziata alle 7 del mattino (le 6 in Italia) e questo pomeriggio alle 16 (le 15 italiane) dovrebbe esserci il rilascio di 13 donne e bambini israeliani nelle mani di Hamas e l’afflusso di aiuti a Gaza. In cambio 40 prigionieri palestinesi detenuti nelle carceri israeliane saranno stati liberati, si tratta in prevalenza di donne e adolescenti.
Nelle ore precedenti alla tregua, Israele ha bombardato senza sosta Gaza. Soldati inoltre hanno effettuato una incursione nell’ospedale Indonesiano dove, secondo testimoni, hanno ucciso una donna e arrestato tre palestinesi. L’Esercito israeliano intanto ha intimato alla popolazione di non tornare al Nord di Gaza e a Gaza city – come molti sfollati palestinesi intendevano fare – perché sarebbero ancora un “territorio di guerra”. Pagine Esteri
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Nuova scissione, Syriza è allo sbando
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di Redazione
Pagine Esteri, 23 novembre 2023 – Il finora principale partito di opposizione greco, Syriza, continua a perdere militanti e dirigenti che accusano la nuova leadership di “comportamento autoritario” e di snaturare la formazione.
Oggi nove parlamentari aderenti alla corrente denominata “6+6”, tra cui alcuni ex ministri e dirigenti del partito, hanno annunciato l’abbandono di Syriza che rimane così con soli 36 parlamentari sui 300 totali, appena quattro in più rispetto al terzo partito, il socialista Pasok.
La “coalizione della sinistra radicale” sembrava aver retto bene alla gestione della crisi del 2015 quando, giunta al potere con la promessa di mettere fine all’austerità e di respingere i piani “lacrime e sangue” della Troika, aveva invece capitolato ai diktat di Bruxelles e delle istituzioni finanziarie internazionali nonostante la vittoria del ‘no’ nel referendum convocato dal premier Tsipras per respingere il Terzo Memorandum, cioè l’elenco di tagli e privatizzazioni imposto dall’UE e dal FMI in cambio di nuovi prestiti.
Ma la crisi di fiducia nel partito è arrivata con alcuni anni di ritardo quando, alle ultime doppie elezioni della scorsa primavera, Syriza ha perso una quota molto consistente di consensi, attirati a destra dai presunti ottimi risultati economici del premier di Nea Dimokratia, Kiriakos Mitsotakis, verso sinistra a beneficio di alcune formazioni più o meno radicali e dissidenti, e verso l’astensionismo e la disillusione.
La schiacciante sconfitta elettorale di giugno ha portato alle dimissioni di Alexis Tsipras dopo 15 anni alla guida del partito e all’elezione, a sorpresa, di Stefanos Kasselakis, figlio di armatori, poi funzionario della banca d’affari Goldman Sachs e infine armatore egli stesso. Catapultato alla leadership di Syriza da primarie condizionate dai media conservatori greci, “l’americano” Kasselakis ha promesso di trasformare il partito in una formazione liberal ed ha escluso la vecchia guardia dalla gestione.
La nuova impronta imposta da Kasselakis alla formazione, oltretutto, non ha oltretutto convinto l’elettorato, con i sondaggi che danno Syriza addirittura al terzo posto alla pari col Partito Comunista (KKE).
«Stefanos Kasselakis è stato eletto democraticamente, ma procede in modo non democratico» hanno dichiarato in un comunicato i deputati fuoriusciti insieme ad altri 48 membri del partito. «Smantella Syriza e lo trasforma in un partito amorfo, e manifesta un mix di opinioni e messaggi contraddittori e superficiali» hanno aggiunto.
Intervenendo recentemente ad una conferenza degli industriali greci, il 35enne uomo d’affari ha assicurato che Syriza non “demonizzerà” più il capitale privato, definendo il capitale «uno strumento di prosperità».
L’esodo di massa è iniziato il 12 novembre, quando la fazione più a sinistra (sopravvissuta alla fuoriuscita delle correnti radicali e marxiste che hanno abbandonato Syriza già nel 2015 per formare tre diverse formazioni) chiamata “Umbrella”, guidata dall’ex ministro delle Finanze Euclid Tsakalotos, ha annunciato che si sarebbe staccata, accusando Kasselakis di «pratiche trumpiane, populismo di destra, fanatismo e odio per il percorso storico della sinistra». Ieri, poi, altri 90 militanti e dirigenti intermedi avevano annunciato la loro fuoriuscita dalla formazione.
I fuoriusciti di “Umbrella”, tra cui due deputati, hanno espresso l’intenzione di ricongiungersi ad altri gruppi che hanno abbandonato Syriza in passato per formare un nuovo partito della sinistra radicale che recuperi i valori e le proposte politiche proprie del partito prima dell’avvento di Kasselakis.
I deputati già fuoriusciti e quelli che oggi hanno annunciato l’abbandono – 11 in totale – hanno i numeri per formare un nuovo gruppo parlamentare guidato dall’ex ministro dell’Economia e degli Interni Alexis Charitsis e forse un partito di stampo socialdemocratico ed ecologista pronto a competere alle prossime elezioni europee.
Tra loro c’è anche l’ex ministra del Lavoro Effie Achtsioglu che aveva sfidato Kasselakis alle primarie di settembre.
Anche il vicepresidente di Syriza, Dimitrios Papadimoulis, ha annunciato oggi il suo abbandono, diventando il terzo eurodeputato a dimettersi da quando è stato eletto Kasselakis.
In un comunicato i protagonisti della scissione affermano che «La Grecia è a un punto critico… l’estrema destra e le percezioni reazionarie stanno guadagnando terreno… Di fronte a questo sviluppo, le forze dell’opposizione progressista appaiono distanti dalle ansie e dai problemi dei cittadini». «Manca un progetto politico e sociale moderno che ci convinca, non retoricamente, ma nei fatti, che possiamo sconfiggere il dominio della destra» si legge nella dichiarazione, secondo la quale «milioni di greci» attendono un partito di sinistra che possa produrre soluzioni progressiste ai problemi del paese mentre «SYRIZA sta sprofondando nel discredito». Pagine Esteri
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Perché a Meloni non conviene candidarsi alle europee
Ma siamo sicuri che a Giorgia Meloni converrebbe candidarsi alle elezioni europee del prossimo giugno? Ad oggi, il presidente del Consiglio non ha sciolto la riserva. Chi, tra i suoi fedelissimi, la invita a gettarsi nella mischia elettorale lo fa spinto dall’interesse di partito: con il premier capolista in tutte le circoscrizioni, Fratelli d’Italia confermerebbe la propria posizione egemonica nella coalizione e raffredderebbe di conseguenza i bollenti spiriti di Matteo Salvini.
Due obiezioni. La prima è che tutti i sondaggi dicono che Fratelli d’Italia stacca la Lega di circa 20 punti percentuali: un distacco tale da non rendere necessario l’impegno in prima persona del leader. La seconda obiezione è di natura politico-diplomatica. C’è da credere che Matteo Salvini imposterà la campagna elettorale della Lega sui canoni identitari di destra e su quelli di un antieuropeismo di maniera. Difficile pensare che Giorgia Meloni avrebbe il coraggio di suonare uno spartito radicalmente diverso. Per un pugno di voti tutt’altro che necessari, perderebbe così l’autorevolezza che si è concretamente guadagnata agli occhi dei partner e delle istituzioni europee e correrebbe il rischio di alimentare la sfiducia dei mercati finanziari.
In campagna elettorale, si sa, ci si fa prendere la mano. Si tende ad esagerare, si strilla, si denuncia. La necessità di competere con gli alleati e di mobilitare la propria base elettorale sospingerebbe fatalmente Giorgia Meloni verso i temi e i toni degli anni trascorsi all’opposizione. Temi e toni opportunamente accantonati con l’assunzione delle responsabilità di governo. Sarebbe un balzo all’indietro, con evidenti ricadute negative sulla credibilità internazionale del presidente del Consiglio italiano e di conseguenza sull’interesse nazionale. Sarebbe un peccato. Di più, sarebbe un errore. E Giorgia Meloni dovrebbe saperlo bene. Gli basterebbe ricordare quello che è stato il suo principale passo falso sulla scena internazionale. Ovvero il suo esplicito sostegno al leader di Vox, Santiago Abascal, uscito a testa bassa dalla recenti elezioni spagnole.
No, a Giorgia Meloni non conviene affatto candidarsi alle elezioni europee. Le conviene volare alto e coltivare un sano aplomb istituzionale. Il premier spagnolo Sanchez è in grave difficoltà, il presidente francese Macron e il cancelliere tedesco Sholz attraversano una fase di instabilità politica in patria e usciranno indeboliti dalle elezioni: a Giorgia Maloni basterà evitare passi falsi per accreditarsi come uno dei capi di governo più solidi dell’intera Unione Europea.
L'articolo Perché a Meloni non conviene candidarsi alle europee proviene da Fondazione Luigi Einaudi.
Tecnologia e nuovi modelli, ecco la via polacca allo spazio
La guerra in Ucraina ha imposto nell’agenda europea la questione dell’integrazione dei sistemi di difesa ed una sempre maggiore attenzione anche a domini in espansione, come quello spaziale, dove il blocco occidentale deve affrontare la sfida che gli viene posta tanto dalla Repubblica Popolare Cinese, quanto dalla Russia.
Nell’impalcatura di difesa collettiva a giocare un ruolo essenziale è la Polonia. Posta alla frontiera sia con la Russia che con l’Ucraina e storicamente soggetta a spinte e controspinte dell’equilibrio tra potenze continentali, Varsavia è l’elemento di punta della cosiddetta “Nato dell’est”, cioè di quel blocco di Paesi dell’Europa orientale ostile alla politica espansionista russa e sul quale gli Stati Uniti, ormai sempre più indirizzati verso l’Indo-Pacifico ed il confronto con la Cina, intendono costruire il perno della nuova difesa euro-atlantica.
L’ultimo Forum italo-polacco dell’Aerospazio (organizzato da Ice Agenzia, insieme all’Ambasciata d’Italia a Varsavia, alla Camera di Commercio e dell’Industria Italiana in Polonia e in partenariato strategico con “Leonardo”), tenutosi il 23 novembre, è stato solo l’ultimo degli eventi che hanno confermato la propensione dei polacchi a svolgere quella funzione di “scudo dell’Occidente” che da più parti gli viene affibbiata.
Non a caso, anche nel settore aerospaziale la Polonia sta affrontando una fase di importante trasformazione e modernizzazione, chiaramente improntata al miglioramento del proprio sistema di difesa nazionale. Uno degli obiettivi a medio termine del governo di Varsavia è quello di modernizzare la propria aeronautica militare, la Siły Powietrzne, e le proprie componenti spaziali, puntando all’introduzione di nuove tecnologie, procedure e strutture organizzative. Lo scopo dichiarato è quello di elevare le Forze Armate polacche (Siły Zbrojne Rzeczypospolitej Polskiej) tra le forze di combattimento più moderne a livello globale.
Per la Polonia il settore spaziale è diventato una delle leve più importanti per rafforzare il proprio ruolo geostrategico in Europa. Nell’arco dell’ultimo decennio, la Polonia è stata una di quelle nazioni che ha fatto passi letteralmente da gigante nella propria politica spaziale, con importanti investimenti – condotti in particolare dalle Forze Armate, mentre ancora risulta scarno il contributo polacco all’sa – e la ricerca di nuove collaborazioni ed integrazioni tra sistemi industriali. Si tratta di una politica spaziale che, come ha ben sintetizzato Marcello Spagnulo, “punta allo Spazio per contare in Terra”.
Le aspettative connesse alla politica aerospaziale polacca sono legate ad un vero e proprio “salto generazionale” che sta avvenendo a Varsavia, che porta con sé anche un cambiamento di visione sull’importanza del dominio spaziale per l’ammodernamento e l’efficienza operativa delle proprie Forze Armate. I panel del Forum italo-polacco sono andati proprio in questa direzione, da un lato analizzando le concrete possibilità di incrementare la cooperazione industriale tra Italia e Polonia, con uno sguardo specifico al comparto della difesa polacco, e, dall’altro, valutando l’impatto che lo sviluppo dell’industria aerospaziale può generare sull’innovazione e la competitività di un Paese che ha convintamente sposato la sfida tecnologica e vuole rivestire un importante ruolo in un settore ad alta competitività globale.
Ad emergere è la politica industriale e militare-spaziale polacca come un percorso ormai incasellato nelle dinamiche strategiche di questo Paese posto alla frontiera dell’Europa “atlantica”, che procede indipendentemente da chi effettivamente sieda al Palazzo della Cancelleria di Varsavia ed individuato, ormai, come una priorità.
Una breve nota a margine: la crescita dell’aerospazio-difesa polacco non può che attirare l’interesse per il comparto industriale e gli investitori italiani del settore, che da anni svolgono un importante ruolo nel Paese e che sono riferimenti fondamentali per Varsavia. Non a caso la Farnesina dedica ampio spazio all’aerospazio polacco nei suoi programmi di “diplomazia economica”, la quale molto spesso funge da apripista o è parte integrante della diplomazia “politica” vera e propria.
L’inquietante industria dell’aldilà digitale | Guerre di Rete
"A dieci anni esatti dalla puntata di Black Mirror che per prima ha immaginato il nostro aldilà digitale, sta però rapidamente diventando realtà qualcosa che ancora solo pochi anni fa sarebbe stato considerato impossibile: creare un simulacro potenzialmente immortale di noi stessi."
Amreo
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Poliverso - notizie dal Fediverso ⁂
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