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Perché l’investimento di JP Morgan in Indra cambia la difesa spagnola (e non solo?)


Il gruppo finanziario JP Morgan accresce la propria partecipazione nel capitale di Indra, diventando il secondo maggiore azionista nella multinazionale di difesa spagnola. Il gruppo statunitense arrivando a quota 10,585%, diventa secondo solo alla Socieda

Il gruppo finanziario JP Morgan accresce la propria partecipazione nel capitale di Indra, diventando il secondo maggiore azionista nella multinazionale di difesa spagnola. Il gruppo statunitense arrivando a quota 10,585%, diventa secondo solo alla Sociedad estatal de Participaciones industriales (Sepi), partecipata spagnola che detiene il 25,159% della società. Dopo le due si colloca Escribano, società spagnola di tecnologia e difesa, da poco entrata in possesso dell’8% delle quote di Indra.
Questo attivismo suggerisce che qualcosa si muove nell’ambito della difesa spagnola, forse dettato dalla contingenza geopolitica che invita i Paesi a investire maggiormente nel settore.

Cos’è Indra e il rapporto con Leonardo

Indra è una multinazionale spagnola specializzata nell’aerospazio, tecnologie di informazione e difesa ed è una delle principali aziende europee del comparto. Negli ultimi anni, anche a causa dell’espansione dei conflitti a livello globale, l’azienda ha investito per rafforzare il proprio ruolo nel Vecchio continente attraverso compartecipazioni e un aumento delle proprie quote di mercato. Infatti, solo qualche giorno fa, Indra ha testato il centro operativo marittimo europeo a Bruxelles, sviluppato in collaborazione con l’italiana Leonardo, con lo scopo di mettere alla prova la prossima generazione di tecnologie per la sorveglianza marittima. Allo stesso modo, ad ottobre i due colossi della difesa hanno inaugurato il primo centro paneuropeo di cyber analisi per conto della Commissione europea. La multinazionale ha, poi partecipato, sempre insieme a Leonardo, all’ultima esercitazione dell’Alleanza atlantica dedicata alla cyber-sicurezza. Dentro i confini nazionali, a partire da gennaio, il ministero della Difesa spagnolo ha affidato alla multinazionale anche il compito di gestire i centri di sorveglianza e controllo dello spazio aereo del Paese.

JP Morgan investe in difesa

Attraverso l’acquisto di partecipazioni in Indra, il colosso bancario americano JP Morgan si trasforma in uno dei maggiori azionisti dell’azienda spagnola. La partecipazione del gruppo vale circa 268 milioni di euro ai prezzi di mercato e, secondo El Pais, non è ancora chiaro se l’acquisto da parte di JP Morgan sia stato realizzato per conto di terzi, con lo scopo di favorire l’ingresso di un investitore nel capitale di Indra. Certo è che la compagnia spagnola ha acquisito maggiore rilevanza strategica a seguito dell’invasione russa in Ucraina e del conseguente impegno del governo di Madrid di aumentare le proprie spese in difesa negli anni a venire.

Il ruolo della Spagna

La crescita di Indra, all’interno della quale il governo spagnolo continua a detenere la quota maggioritaria attraverso Sepi, testimonierebbe l’interesse di Madrid nel potenziare il proprio ruolo nella difesa. Ma l’operazione del colosso bancario americano non è l’unica che ha riguardato Indra nell’ultimo mese. Infatti, la società madrilena Escribano Mechanical & Engineering (EME) ha incrementato la propria partecipazione nella multinazionale della difesa dal 3,4% all’8%, sempre attraverso una compravendita finanziata da JP Morgan. Ai due movimenti di novembre, inoltre, si aggiungono le voci che suggeriscono la volontà di Indra di separare la sua parte tecnologica Mnsait, di un valore stimato di 2 miliardi di euro, dal resto del gruppo.

L’impegno nella Nato

Questi movimenti registrati all’interno del colosso spagnolo fanno pensare che il Paese voglia accrescere il proprio peso in ambito della difesa, forse stimolato anche dalla guerra in Ucraina e dall’acuirsi di minacce e incertezze geopolitiche. Magari prevedendo delle prospettive di crescita all’interno dell’Alleanza atlantica. È infatti da segnalare che, nonostante l’impegno e il sostegno della Spagna alla difesa dell’Ucraina, il Paese è ad oggi penultimo nell’ambito degli impegni di spesa della Nato. Madrid investe nella Difesa soltanto l’1,09% del Pil, in netto contrasto con l’intenzione, e l’impegno, del 2% entro il 2024, stabilito dalla Nato in Galles.


formiche.net/2023/12/jp-morgan…




Il Partito della Rifondazione Comunista condanna la criminalizzazione che colpisce le persone lgbtqia+ nella Russia di Putin. Qualsiasi movimento lgbtqia+ è


VENEZUELA. Il referendum per riprendere il territorio conteso


Il 3 dicembre si voterà per il recupero di El Esequibo, un'area in disputa tra Venezuela e Guayana. La controversia storica nacque nell'800, quando gli inglesi decisero di appropriarsi dei territori colonizzati. L'articolo VENEZUELA. Il referendum per ri

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El Esequibo: un territorio in disputa tra Venezuela e Guayana.

Domenica 3 dicembre oltre 20 milioni di venezuelani (secondo i dati del Consiglio Nazionale Elettorale) saranno chiamati al voto per sostenere o meno il recupero della regione del paese della Guayana Esequiba nella zona orientale del Venezuela. Un’area con un’estensione territoriale di quasi 160 mila km quadrati, quasi quanto quelli dell’intero Uruguay. La Guayana è una zona con una bassa densità abitativa in cui il 90% dell’intera popolazione è concentrato sul 5% dell’estensione del proprio territorio. È molto ricco di giacimenti minerali e petroliferi.

Il governo venezuelano, dallo scorso settembre, ha lanciato la sua campagna referendaria ed ha convocato il proprio popolo su una questione territoriale che è in disputa da 180 anni. Il governo ha dispiegato le sue forze in campo ed è seriamente intenzionato a vincere. Queste le principali domande di supporto alla campagna governativa per il Sì:

  1. Lei è d’accordo nel respingere con tutti i mezzi e nel rispetto della legge, la linea fraudolenta imposta dal Lodo Arbritale di Parigi del 1899 che mira a privarci della nostra Guayana Esequiba?
  2. Lei sostiene l’Accordo di Ginevra del 1966 come unico strumento giuridico valido per raggiungere una soluzione pratica e soddisfacente per il Venezuela e la Guayana riguardo alla controversia sul territorio della Guayana Esequiba?
  3. Lei è d’accordo con la posizione storica del Venezuela di non riconoscere la giurisdizione della Corte Internazionale di Giustizia per risolvere la controversia territoriale sulla Guayana Esequiba?
  4. Lei è d’accordo ad opporsi con tutti i mezzi e nel rispetto della legge, alla pretesa della Guayana di disporre unilateralmente di un mare in attesa di delimitazione, illegalmente e in violazione del diritto internazionale?
  5. Lei è d’accordo con la creazione dello stato di Guayana Esequiba e lo svilupppo di un piano accellerato di assistenza globale per la popolazione attuale e futura di quel territorio, che comprende, tra l’altro, la concessione della cittadinanza e della carta d’identità venezuelana, in conformità con l’Accordo di Ginevra e il diritto internazionale, incorporando di conseguenza detto stato nella mappa del territorio venezuelano?

La votazione si svolgerà dalle 6 di mattina fino alle 6 di pomeriggio nei 15.857 centri di votazioni e nei 28.027 seggi elettorali. Il referendum non è stato riconosciuto dallo stato della Guayana che ha interpellato la Corte Internazionale di giustizia, lo scorso 14 novembre perché sospenda la votazione.

Perché ritorna in disputa il territorio di Esequibo?

La tensione tra i due paesi si riaccese nell’anno 2015 quando la multinazionale petrolifera statunitense Exxon Mobil aveva stipulato degli accordi con l’allora presidente di Guayana, Donald Ramotar, per la perforazione del giacimento Stabroek Block nelle acque territoriali a confine con il Venezuela. Azione che aveva dato fastidio al governo venezuelano che la considerava un’intromissione e una minaccia per il proprio paese.

Poi, nel 2018 le tensioni erano cresciute quando l’esercito venezuelano aveva intercettato, nelle proprie acque territoriali, una nave norvegese per conto della compagnia Exxon Mobil che stava esplorando il territorio per le azioni di perforazione e sfruttamento delle risorse naturali. La nave Ramform Tethys della società norvegese Petroleum Geo-Service (PGS) stava effettuando un’ispezione sismica per conto di Exxon Mobil e dovette interrompere i lavori per l’intervento delle forze armate venezuelane.

Secondo l’analista politico Phil Gunson, in un’intervista rilasciata alla CNN spagnola, la convocazione del Referendum del 3 dicembre non è solo una pretesa nazionalista e antimperialista del governo bolivariano venezuelano bensì, è la risposta alla crisi che vive il paese. Maduro vorrebbero annettere questo territorio e appropiarsi delle ingenti risorse presenti nella zona denominata Arco Minero.

Nello scorso maggio del 2023 la multinazionale Exxon Mobil ha dichiarato che nell’anno 2022 con lo sfruttamento dei giacimenti della Guayana Esequibo, ha registrato dei profitti pari a 5.800 milioni di dollari. Inoltre, secondo stime future per il prossimo 2030 i profitti potrebbero aumentare a 7.500 milioni di dollari.

Le origine storiche del conflitto

L’America Latina è stato un continente conquistato da vari paesi europei durante i secoli dell’epoca moderna dal XV secolo fino alla fine del XIX secolo. Spagnoli, porotghesi, inglesi, olandesi e francesi hanno invaso e saccheggiato l’intero continente per secoli. Nell’anno 1814 il Regno Unito decise di comprare dai Paesi Bassi alcuni territori coloniali nella zona che oggi s’identifica coi paesi del Suriname e Guayana. Acquistò una parte delle sue colonie situate nell’attuale Guayana e così nacque la Guayana Britannica con capitale Georgetown. In quel trattato di compravendita tra i due stati europei non era stata delimitata bene la frontiera nella parte occidentale. Tuttavia gli inglesi, avendo scoperto una gran quantità di giacimenti d’oro in quel territorio, decisero di allargare le frontiere trasportandole ancor di più verso occidente fissando la delimitazione territoriale tra i due stati a quella vigente ancora oggi. Per i venezuelani invece la delimitazione territoriale si estenderebbe più a oriente fino al Rio Esequibo.

Nel febbraio del 1966 venne siglato il famoso accordo di Ginevra tra Venezuela e Regno Unito nel quale si stipulava la costituzione di una commissione bipartisan che avrebbe dovuto risolvere il problema territoriale tra i due paesi. Un accordo riconosciuto da entrambi le parti. Dopo alcuni mesi dalla costituzione della commissione, la Guayana Britannica ottenne l’indipendenza dall’Inghilterra e dall’Irlanda e si autodenominò solamente Guayana. Con quest’avvenimento cambiarono le sorti dei lavori della Commissione che lavorò fino all’anno 1970 senza risolvere sostanzialmente il problema. Seguiranno altri incontri negli anni successivi ma la situazione resta ancora in alto mare. Gli ultimi avvenimenti lo confermano.

Maduro e la sua campagna per i 5 SI.

Maduro sta facendo campagna per i 5 SI e nelle ultime dichiarazioni ha affermato che si tratta di una controversia storica che viene da molto lontano. L’attuale presidente della Guayana, Irfaan Ali (in carica dall’agosto del 2020) non è il primo a fare la vittima nella disputa. Maduro ha criticato le dichiarazioni di Ali in quanto quest’ultimo ha accusato il Venezuela di essere un paese colonialista, imperialista e aggressivo quando invece, secondo il presidente venezuelano, storicamente il Venezuela ha combattuto il colonialismo, l’imperialismo e le aggressioni dei paesi invasori. Lo dimostra il piano del grande Simòn Bolivar che in tutta la sua vita cercò di unificare tutti i latinoamericani sotto il progetto della Grande Colombia per difendersi dall’espansione imperialista dei paesi europei e dall’impero nordamericano. “L’Esequibo è parte del territorio venezuelano che si è conquistato e consolidato con il sangue dei nostri combattenti per la nostra indipendenza” ha dichiarato il primo mandatario venezuelano nei giorni passati.

Il 2 dicembre del 2023 si compiono 200 anni dalla famosa Dottrina Monroe in America Latina e la scelta di convocare questo referendum in Venezuela nello stesso periodo non sembra per niente casuale.

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Podcast. Il Libano in profonda crisi non vuole la guerra con Israele


Gli scontri sul confine hanno causato decine di morti libanesi, tra cui civili. Il leader di Hezbollah, Hassan Nasrallah, ha però scelto di non entrare in un conflitto aperto, in ragione anche delle prevedibili gravi conseguenze per il Libano. Ne abbiamo

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Pagine Esteri, 1 dicembre 2023. Intervista al giornalista Pasquale Porciello a Beirut. “Il Libano in crisi non può sopportare una guerra. Anche per questo Hezbollah ha scelto di non andare ad una guerra totale con Israele”, spiega Porciello.
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La Cina celebra il vecchio amico Henry Kissinger


La Cina celebra il vecchio amico Henry Kissinger 10772897
Pechino piange l'ex segretario di stato che favorì l'avvio delle relazioni diplomatiche con Washington. Ma in Vietnam e in Cambogia c'è un ricordo molto diverso

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In Cina e Asia – Cina-Usa: riprendono le relazioni militari. Estesa la cooperazione anche allo spazio


In Cina e Asia – Cina-Usa: riprendono le relazioni militari. Estesa la cooperazione anche allo spazio usa
I titoli di oggi:

Cina-Usa: riprendono le relazioni militari. Estesa la cooperazione anche allo spazio
Cina, scomparsa giornalista del South China Morning Post

Cina-Turkmenistan: rafforzata la cooperazione su energia e sicurezza
Polmonite tra i bambini, primi casi anche a Hong Kong

Cina, Pinduoduo tallona Alibaba
La Cina rivedrà le restrizioni sul vino australiano

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Cooperazione. Dal Primo congresso alla creazione dell'INTERPOL.


Immagine/foto
(Johannes Schober)

Nei giorni in cui si festeggiano i 100 anni dell'INTERPOL, proprio a Vienna, capitale ove è nata, continuiamo a ripercorrere la storia della cooperazione di polizia. Dopo il Primo congresso, tenutosi nel Principato di Monaco nel 1914 ...

Si deve attendere la fine della I^ Guerra Mondiale per proseguire nelle ricerche di intese volte a implementare la collaborazione transnazionale. Un primo parziale tentativo è del settembre 1922: durante una riunione della polizia a New York, fu istituita la Conferenza internazionale della polizia (IPC): concepita come un’organizzazione per promuovere e facilitare la cooperazione internazionale tra le forze di polizia, in realtà la Conferenza diede vita ad un’organizzazione prevalentemente americana che si occupava principalmente di favorire standard di professionalità tra le forze dell’ordine locali degli Stati Uniti. L'IPC fu organizzato in modo indipendente da funzionari di polizia, in particolare all'interno del Dipartimento di polizia di New York. La cooperazione era pensata in modo da attuarsi tra i membri della Conferenza, al di fuori del contesto dei sistemi legali formali. A causa della distanza con l'Europa e altre parti del mondo e delle reti di telecomunicazioni non ancora sviluppate, e poiché gli Stati Uniti non avevano ancora una polizia federale ben strutturata, le operazioni di polizia statunitensi in quel momento rimanevano isolate.

L’iniziativa della Polizia Austriaca nel 1923, e del suo Capo Johannes Schober (Cancelliere federale dal 1921 al 1922 e dal 1929 al 1930, immagine precedente), fa sì che si tenga a Vienna una nuova, la seconda, Conferenza internazionale di polizia criminale, durante la quale viene finalmente deliberata la creazione della Commissione Internazionale di Polizia Criminale, primo nucleo di quello che sarà l’attuale Interpol – OIPC, l’organizzazione di polizia internazionale più duratura.

Quella che fu allora definita ICPC (International Criminal Police Commission), fu il risultato non di una iniziativa diplomatica, ma di una proposta presa indipendentemente da funzionari di polizia di vari Paesi, principalmente europei. L’esigenza era quella di provvedere al controllo di una criminalità mutata alla fine del primo conflitto mondiale anche mercé la maggiore apertura delle frontiere. La particolarità è che la Commissione fu istituita senza la firma di un trattato internazionale o di un documento legale. Le attività dell’ICPC sono state pianificate in occasione di riunioni di polizia e tramite corrispondenza tra funzionari di polizia, senza controllo da parte dei rispettivi Governi. Inoltre, per molto tempo dalla sua fondazione, l’ICPC non ha avuto uno status giuridico riconosciuto a livello internazionale e non è stata formalizzata alcuna procedura legale affinché un’agenzia di polizia, piuttosto che uno Stato nazionale, acquisisse l’appartenenza alla Commissione.

Non a caso l’evento ha luogo al temine della I^ Guerra Mondiale. In tale periodo infatti emerge un aumento transnazionale e un’internazionalizzazione del crimine: nuovi tipi di reato hanno luogo in Paesi in fase di rapido cambiamento sociale e progresso tecnologico. La Commissione istituì nuovi sistemi di mezzi tecnologicamente avanzati per la comunicazione e trasmissioni dirette da polizia a polizia, in reazione alle gravose procedure legali di estradizione. Tra il 1923 e il 1938, la Commissione tenne quattordici incontri internazionali in vari Paesi europei e approfondì costantemente le strutture organizzative. Nel corso degli anni, l’adesione all’ICPC si andava gradualmente ampliando. Basti dire che nel 1940 la Commissione rappresentava più di 40 stati, tra cui la maggior parte delle potenze europee (ad esempio Francia, Germania e Italia) e alcuni Paesi non europei, come Bolivia, Iran, e Cuba.

Immagine/foto
(Michael Skubl)

Il quartier generale dell’ICPC fu posto a Vienna. Nel maggio 1934, fu un funzionario della Polizia italiana, Antonio Pizzuto, a proporre che la presidenza dell’ICPC risiedesse stabilmente presso la Direzione della Polizia della capitale austriaca. La mozione fu accolta e il presidente della polizia di Vienna Michael Skubl (immagine precedente) divenne il presidente dell’ICPC. La sede conteneva divisioni specializzate sulla falsificazione di passaporti, assegni e valute, impronte digitali e fotografie e altri sistemi tecnici propri della polizia. Inoltre, mezzi di comunicazione diretta “da polizia a polizia”, come una rete radio e pubblicazioni, risultano tra i primi traguardi della neonata ICPC. Nel 1935 l’organizzazione contava 34 Paesi membri.
… continua …



VERSIONE ITALIANA UK, LA PROPOSTA DI LEGGE SULLA PROTEZIONE DEI DATI E SULL’INFORMAZIONE DIGITALE ALL’ESAME DEL PARLAMENTO Il disegno di legge sulla protezione dei dati e sull’informazione digitale, originariamente pubblicato l’8 marzo, ha come obiettivo quello di apportare varie riforme al Regolamento generale sulla protezione dei dati e al Data Protection Act 2018 del Regno …


GAZA. Terminata la tregua. Ripresi i raid aerei israeliani


L'aviazione israeliana ha già colpito a nord e a sud di Gaza L'articolo GAZA. Terminata la tregua. Ripresi i raid aerei israeliani proviene da Pagine Esteri. https://pagineesteri.it/2023/12/01/medioriente/gaza-terminata-la-tregua-ripresi-i-raid-aerei-is

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della redazione

Pagine Esteri, 1 dicembre 2023 – Dopo una settimana questa mattina alle 7 (le 6 in Italia) si è conclusa la tregua tra Israele ed Hamas. Da Gaza giungono notizie di raid aerei israeliani sul nord e anche sul sud della Striscia dove sono stati centrati edifici di Rafah. Almeno quattro i morti. Hamas ha lanciato razzi facendo scattare le sirene di allarme in diverse località israeliane vicine a Gaza. Pagine Esteri

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L'ex responsabile del motore a razzo Blue Origin denuncia il licenziamento illegittimo per aver denunciato sulla sicurezza

La denuncia è stata presentata lunedì presso la Corte Superiore della contea di Los Angeles. Include una narrazione dettagliata sugli sforzi del direttore del programma Craig Stoker, nell'arco di sette mesi, per aumentare le sue preoccupazioni sulla sicurezza e su un ambiente di lavoro ostile alla Blue Origin

@Pirati Europei

techcrunch.com/2023/11/30/form…

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Unknown parent

@nicolaottomano

> instillando sempre il dubbio

Il dubbio non è un problema, soprattutto se paragonato alla disparità di accesso allo studio e al lavoro determinata dal pregiudizio

> le borse di studio riservate alle studentesse del PoliMi. Un'aberrazione a mio avviso

Sono d'accordo in linea di principio, ma viviamo nel mondo reale: se il problema delle performance delle donne nelle discipline STEM, mediamente inferiori a quelle degli uomini, non è dovuto a cause evolutive e in un certo senso "genetiche" (un'ipotesi possibile e molto suggestiva, ma mai dimostrata) allora questo ritardo è dovuto a una pressione sociale sbagliata da parte della società ed è quindi corretto iniziare a porre dei correttivi in tal senso, sia per quelle donne per cui il danno non è ancora stato fatto (bambine in età scolare e pre-scolare), sia per quelle per cui il danno è stato realizzato

Unknown parent

@nicolaottomano non si tratta di discriminare i ragazzi meritevoli, che comunque riescono a eccellere, ma di incentivare quelle ragazze che a fronte di una analisi costi benefici potrebbero decidere per un soffio di non iscriversi in certe facoltà


Sfatare i 10 principali miti su mastodon

Mastodon ha portato vita al Fediverso e ha aperto lo spazio a molte persone. Come piattaforma, ha trasformato il social networking federato, portando nella rete milioni di utenti attivi, centinaia di app e molte nuove piattaforme. La rete non sarebbe potuta crescere senza di essa.

Il punto, però, è questo: ci sono molti miti e voci che circolano all'interno della base utenti di Mastodon che fraintendono o falsificano notevolmente le informazioni sulla piattaforma. Nell'interesse di correggere la situazione su un gran numero di cose, abbiamo stilato un elenco dei miti sui mastodonti più pervasivi.

@Che succede nel Fediverso?

10. Mastodon non ha algoritmi, perché gli algoritmi sono pessimi
9.Mastodon è la stessa cosa del Fediverso
8. Non ci sono nazisti su Mastodon
7. Mastodon dovrebbe evitare le funzionalità dei social network più popolari, perché sono vettori di abusi
6. Mastodon rispetta la tua privacy ed è l'ideale per comunicazioni sicure
5. Se ti trovi su un server scadente, puoi facilmente spostarti su uno buono
4. Mastodon e il Fediverso funzionano sostanzialmente come la posta elettronica.
3. Mastodon è molto più bello di altri posti!
2. Mastodon è compatibile con ActivityPub
1. Mastodon è facile da usare!

in reply to Poliverso - notizie dal Fediverso ⁂

Mastodon e il Fediverso funzionano sostanzialmente come la posta elettronica.


Perché sarebbe un mito questo?

in reply to onitoring

@onitoring il post spiega che ciò che viene effettivamente inviato sono i payload JSON, che vengono inviati alla MultiInbox di un server, quindi diffusi ai file Inbox

Inoltre il server ActivityPub importa tutta una serie di contenuti che non sono visibili solo a chi ha fatto l'iscrizione su quei contenuti, ma anche agli altri utenti dell'istanza. Il sistema quindi ricorda abbastanza un server mail, ed è utile come esempio, ma è estremamente più complesso



Non ci uniamo al cordoglio per la morte di Henry Kissinger. Dispiace solo che non abbia trascorso gli ultimi decenni di vita in un carcere per i crimini contro


Nicola Matteucci, un «liberale scomodo»


È benvenuto il libro di Anna Maria Matteucci, Nicola Matteucci, mio fratello. Ricordi, epistolari e scritti inediti (Il Mulino, pagg. 296, euro 25), che ci stimola a ripensare la figura del grande studioso, che tanta importanza ha avuto nella cultura poli

È benvenuto il libro di Anna Maria Matteucci, Nicola Matteucci, mio fratello. Ricordi, epistolari e scritti inediti (Il Mulino, pagg. 296, euro 25), che ci stimola a ripensare la figura del grande studioso, che tanta importanza ha avuto nella cultura politica dell’Italia repubblicana. Matteucci è stato definito «un liberale scomodo»: una definizione che sottolinea giustamente l’originalità del suo pensiero. Negli anni Sessanta-Settanta il filosofo bolognese condusse una vigorosa battaglia per ripensare e riproporre il costituzionalismo, contro il positivismo giuridico di ispirazione kelseniana, che affermava il primato dello Stato sull’individuo e sui suoi dirittti, e che aveva in Norberto Bobbio il suo rappresentante più influente. Per Matteucci il costituzionalismo era la dottrina liberale per eccellenza, perché esso si propone di garantire i diritti di libertà dell’individuo e concepisce la costituzione come uno strumento per limitare i poteri del governo.

Il filosofo bolognese si era formato all’Istituto di studi storici di Napoli, sotto la guida di Benedetto Croce e di Federico Chabod. Ma crociano ortodosso non fu mai. Nel 1972 egli pubblicò uno dei suoi libri più importanti, Il liberalismo in un mondo in trasformazione, in cui faceva i conti con il liberalismo di Croce, per delineare una propria concezione del liberalismo all’altezza dei tempi nuovi. Secondo Matteucci c’era un limite molto serio nella visione crociana del liberalismo. Il pensatore napoletano avrebbe dovuto abbandonare la «filosofia dello spirito» per la scienza empirica della politica, al fine di analizzare i diversi sistemi politici, stabilendo tipi e classi per mezzo della logica classificatoria, e formulare leggi empiriche attraverso la ricerca di conformità o difformità di effetti. Ma Croce, diceva Matteucci, pur riconoscendo la funzione della scienza politica, non l’aveva vista come parte integrante di una moderna cultura liberale.

Per il filosofo bolognese, insomma, si doveva passare da una teoria filosofica del liberalismo a una teoria empirica, da una fondazione «metafisica» del fine (la libertà) a un’analisi empirica dei mezzi (le istituzioni non solo politiche, ma anche sociali ed economiche) per costruire la società liberale. Un liberalismo così inteso doveva aprirsi alle scienze sociali: cosa che a Croce non era riuscito di fare. E tuttavia della concezione crociana del liberalismo restava viva, secondo Matteucci, una dimensione fondamentale: che il liberalismo non poteva essere ridotto a mero utilitarismo, e che la libertà doveva essere intesa come il solo e vero ideale morale. D’altronde, senza l’amore per la libertà, anche le istituzioni liberali decadono. In questo modo Matteucci, mentre sottoponeva a una profonda revisione il liberalismo crociano, al tempo stesso ne conservava l’alta ispirazione etica: se l’idea della libertà non vive nelle menti e nei cuori, non c’è ingegneria istituzionale che possa salvare la società liberale.

La difesa del costituzionalismo liberale, della libertà dell’individuo in quanto persona e dei suoi diritti fondamentali ha sempre caratterizzato la riflessione di Matteucci. Di qui la sua ferma opposizione al comunismo in un Paese come l’Italia che aveva il più forte partito comunista dell’Europa occidentale. Nel 1957 il filosofo bolognese scrisse che per lui quello comunista era «un mondo chiuso e triste, dentro il quale non ci sono tensioni né esperienze, la cui unica preoccupazione è quella di conservarsi per un’occasione della quale si è perduto ormai il senso della scadenza… Noi non abbiamo ammirazione per i comunisti, non abbiamo stima dei loro dirigenti».

Allo stesso modo Matteucci non esitò, nella stagione sociale e politica apertasi in Italia dopo il Sessantotto la violenta contestazione nelle università e nelle fabbriche a condurre una ferma battaglia contro il populismo. «La democrazia populistica egli disse è caratterizzata, sul piano della cultura politica, dall’insorgenza di un nuovo clima di idee semplici e di passioni elementari (…) da un diffuso atteggiamento di rancore e di invidia contro le aristocrazie (lo specialista, l’esperto, lo studioso), in nome di un estremo egualitarismo». Il populismo era la forma peggiore di degenerazione della democrazia demagogica e poteva essere contrastato solo dalla cultura liberale, con la sua difesa dei diritti fondamentali della persona: una difesa che rifiutava qualunque forma di egualitarismo demagogico e valorizzava i meriti e i talenti degli individui. Matteucci condusse la sua battaglia antipopulistica scrivendo su riviste importanti (fu direttore del Mulino per parecchi anni) e sul quotidiano Il giornale, di cui fu autorevole editorialista.

Parlare della vastissima produzione scientifica del filosofo bolognese è qui impossibile: dagli studi sulla storia del costituzionalismo alla cura delle opere di Tocqueville, di cui fu il maggiore studioso italiano, ai molti lavori sulla democrazia americana.

Merita un cenno (il libro della sorella Anna Maria ci spinge a farlo) la durissima prova che Matteucci dovette affrontare da giovane (aveva 19 anni), e di cui egli non parlò mai (fu Indro Montanelli a rivelarlo): nel maggio 1945 suo padre si recò a ispezionare alcuni suoi possedimenti agricoli, ma non fece più ritorno, né il suo corpo fu mai ritrovato. Il ricco agrario (che non aveva mai aderito al fascismo e che non si era mai occupato di politica) era stato ferocemente punito da coloro che aspettavano l’ora «x» per imporre una nuova dittatura al nostro Paese.

Il Giornale

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Una Cyber force europea. La proposta di Michel per la Difesa Ue


La sicurezza europea richiede investimenti e programmazione di lungo periodo, ed è arrivato il momento per l’Unione di potenziare i propri asset e aumentare il livello della sua ambizione nel settore della Difesa. È questo il nodo centrale registrato dal

La sicurezza europea richiede investimenti e programmazione di lungo periodo, ed è arrivato il momento per l’Unione di potenziare i propri asset e aumentare il livello della sua ambizione nel settore della Difesa. È questo il nodo centrale registrato dal presidente del Consiglio europeo, Charles Michel, nel suo intervento alla Conferenza annuale dell’Agenzia europea per la Difesa (Eda). “È giunto il momento di creare un’Unione della Difesa – ha rimarcato Michel – abbinata a un mercato unico della Difesa; dobbiamo rendere più forte la nostra difesa europea. Ora, domani e in futuro”. Per fare questo, la proposta del presidente è stata quella di “aumentare i finanziamenti nel nostro settore della difesa”. L’obiettivo, più volte indicato anche da fonti industriali quale la vera chiave di volta per garantire una crescita del comparto comune, è quello di “aumentare la prevedibilità degli ordini pubblici” in modo da aiutare “la nostra industria ad accedere ai finanziamenti del settore privato”. In questo modo, ha detto Michel, si “manderà un messaggio chiaro: produci e noi compreremo; garantiremo contratti a lungo termine”.

Gli investimenti del Vecchio continente

In generale, ha sottolineato Michel, “gli Stati membri hanno aumentato drasticamente la spesa per la difesa”. La spesa totale per la difesa di tutti gli Stati membri dell’Ue per il 2023 è stata infatti di circa 270 miliardi di euro, ha riportato il presidente. “L’anno scorso, un quarto della spesa totale per la difesa è stato destinato agli investimenti” ha detto Michel, aggiungendo come questo significhi che nei prossimi dieci anni, l’Unione potrebbe investire quasi seicento miliardi nella difesa, cifre con le quali “possiamo fare grandi cose, questo può e deve essere un momento di svolta”. Secondo il presidente della Commissione, il momento attuale “è un’opportunità unica per rompere il modello di frammentazione del mercato, della domanda e dell’offerta”.

Bond per la sicurezza

Questo significa soprattutto rafforzare la base tecnologica e industriale europea. A questo scopo, diventa necessario coinvolgere “sia il denaro pubblico che quello privato”. Da qui l’idea di Michel di utilizzare obbligazioni europee per rafforzare il settore della difesa: “Queste obbligazioni dell’Ue potrebbero emergere come una nuova classe di attività, anche per gli investitori al dettaglio”. In questo quadro, il presidente della Commissione ha ricordato con favore la decisione della Banca europea degli investimenti (Bei) di stanziare otto miliardi di euro per la sicurezza fino al 2027. In questo senso, però, “dobbiamo coordinarci per far si che le spese per la difesa siano più efficaci”, e un ruolo cruciale potrebbe svolgerlo proprio l’Eda.

Un Dipartimento europeo della Difesa

La proposta del presidente del Consiglio europeo, allora, è questa: rendere l’Agenzia europea per la Difesa “un potente Dipartimento europeo della Difesa, gestito dall’Alto rappresentante sotto la guida-autorità del Consiglio Europeo”. In questo nuovo ruolo, l’Eda diventerebbe la “forza trainante per mettere in comune le competenze e gli strumenti militari nonché coordinare e guidare gli acquisti congiunti e il loro finanziamento, in stretta collaborazione con gli Stati membri” ha sottolineato Michel, ricordando come, sebbene negli ultimi anni il ruolo dell’Eda si sia profondamente ampliato, soltanto dieci dei quasi settanta progetti finanziati dalla Pesco siano coordinati dall’Eda: “Questo numero deve aumentare”.

Eu cyber force

Nel complesso, dunque, l’Unione europea sulla difesa deve cominciare a “pensare in grande”, ha continuato Michel. “dobbiamo concentrarci su progetti concreti che abbiano un impatto strutturale europeo e che garantiscano la sicurezza dei nostri cittadini” e “l’Ue potrebbe sviluppare capacità di prossima generazione pienamente interoperabili nei futuri sistemi di combattimento”. In questo senso, “Il dominio informatico offre un vasto potenziale” ha rimarcato il presidente, che ha proposto la creazione di un “cyber force europea congiunta che costituirebbe una componente fondamentale della nostra difesa europea”. Obiettivo di questa Cyber force europea sarebbe assumere una posizione di leadership nelle operazioni di risposta informatica e nella superiorità delle informazioni, oltre ad essere “dotata di capacità offensive”. Una notazione, quest’ultima, fondamentale, dal momento che prevedrebbe a monte la possibilità per l’Unione di stabilire attivamente obiettivi di importanza strategica tale da poter essere attaccati da assetti europei. Questa evenienza porta però al centro del dibattito la questione della catena di comando, cioè, chi avrebbe l’autorità per decidere una operazione offensiva? “Se vogliamo seriamente migliorare la nostra sicurezza – ha tuttavia concluso Michel – questo è il campo in cui possiamo fare un salto di qualità”.


formiche.net/2023/11/cyber-for…



"Lucio Libertini è stato uno dei protagonisti e una delle personalità più originali della storia della sinistra e del movimento operaio del secondo dopoguerr


Lo sciopero del trasporto ferroviario deciso da tutte le organizzazioni sindacali è una giusta risposta all'ignavia dell'attuale governo e dei precedenti che c


Al via la COP28: la presidenza della conferenza sul clima assegnata a un petroliere


La presidenza di turno della Conferenza mondiale sui cambiamenti climatici, che quest'anno si tiene negli Emirati Arabi Uniti, tocca a Sultan Al Jaber, amministratore della compagnia Abu Dhabi National Oil Company. È la prima volta nella storia della COP,

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di Eliana Riva

Pagine Esteri, 30 novembre 2023. La presidenza di turno della Conferenza mondiale sui cambiamenti climatici, che quest’anno si tiene negli Emirati Arabi Uniti, tocca a un petroliere: Sultan Al Jaber è amministratore della compagnia Abu Dhabi National Oil Company. È la prima volta nella storia della COP, che si è presentata già dalle prime ore molto complicata.

La guerra tra Russia e Ucraina aveva già aumentato nel 2022 distanze e spaccature che quest’anno, con la situazione a Gaza e in Israele sono divenute persino più profonde.

Le questioni calde sulle quali non è stato possibile trovare un accordo durante la COP27, l’appuntamento che lo scorso anno si è tenuto in Egitto, sono già tutte sul tavolo.

Gli incontri annuali, ai quali aderiscono formalmente tutti i Paesi del mondo, sono promossi dalla Convenzione delle Nazioni unite sui cambiamenti climatici e hanno lo scopo di trovare misure condivise per la realizzazione di una transizione energetica.

Il primo tra i temi riguarda la sorte dei combustibili fossili. I Paesi che ne sono ancora dipendenti, tra cui Cina e India chiedono che si arrivi ad una risoluzione finale che ne sancisca la diminuzione e ne regolamenti la modalità di utilizzo. Anche se l’India si prepara, in realtà, ad aumentarne la produzione per interrompere le importazioni entro il 2026. Altri Stati vorrebbero, al contrario, che nel documento finale della Conferenza si parlasse in maniera specifica dell’eliminazione del fossile. Sono soprattutto quei Paesi che possono farne a meno oppure le cui produzioni sono di diverso tipo: i Paesi del Golfo, ad esempio, disponibili a prevederne l’eliminazione, difenderanno invece l’utilizzo del petrolio, che posseggono in abbondanza e con il quale sperano di ottenere ancora enormi rendite.

La spaccatura geograficamente più significativa è quella che ripropone la contrapposizione storica dei Paesi ricchi a quelli più poveri, del nord con il sud del mondo. Le conseguenze dei cambiamenti climatici sono infatti ben più gravi al sud, dove risiede, però, la maggior parte dei Paesi meno industrializzati, che registrano dunque minori emissioni dannose all’ambiente. Questi Paesi chiedono che a pagare i costi dell’emergenza climatica siano dunque gli Stati più inquinanti. Lo scorso anno si è raggiunto un accordo sull’istituzione del fondo Loss and damage, che dovrebbe essere utilizzato proprio dai Paesi più poveri e meno inquinanti per rispondere ai danni causati dai disastri climatici. Tuttavia, in merito a questo fondo non si è deciso granché. I Paesi a basso reddito vorrebbero che fosse gestito con trasparenza da un organismo appositamente creato e aperto alla maggior parte degli Stati meno inquinanti. Gli Stati Uniti premono perché la gestione venga affidata invece alla Banca Mondiale e perché poche nazioni possano accedervi. Probabilmente a Dubai si troverà un accordo sull’affidamento temporaneo alla Banca Mondiale ma i soldi che il fondo pare possa contenere sono ancora troppo pochi. Molte ONG spingono perché anche le compagnie fossili vengano obbligate a versare un “obolo” di compensazione. Non è ancora chiaro, in ogni caso, se a pagare dovranno essere solo i Paesi storicamente più inquinanti o anche le cosiddette economie emergenti.

Intanto si comunicano le prime pesanti assenze. Non saranno oggi alla Conferenza (al loro posto dei rappresentanti) il presidente USA, Joe Biden e quello Cinese, Xi Jinping (Cina e Stati Uniti sono i maggiori produttori di gas serra). Anche il papa, che aveva espresso il desiderio di partecipare, non potrà recarsi a Dubai a causa dell’influenza. Pagine Esteri

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Lo stabilimento Ex Ilva di Taranto rischia la chiusura entro un mese per mancanza di liquidità e di bancabilità indispensabili per pagare i fornitori, i credi


Il regista Mohammed Alatar presenta a Roma “Il patriarca del popolo”


Il regista palestinese a Roma per la proiezione, venerdì 1 dicembre, del suo ultimo film. L'evento all'Archivio Audiovisivo del movimento operaio e democratico L'articolo Il regista Mohammed Alatar presenta a Roma “Il patriarca del popolo” proviene da Pa

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Pagine Esteri, 30 novembre 2023. Venerdì 1 dicembre 2023, presso l’Archivio Audiovisivo del movimento operaio e democratico, a Roma, verrà proiettato alle 18.00 l’ultimo film del regista palestinese Mohammed Alatar, “The People’s Patriarch” (“Il patriarca del popolo”). La serata, curata da Monica Maurer, regista di origini tedesche di fama mondiale che custodisce un importante fondo audiovisivo-storico sulla Palestina, si inserisce in un ricco cartellone di appuntamenti cinematografici che da anni portano in Italia film, registi e autori provenienti da varie parti del mondo.

“Normalmente quando si parla della Palestina a parlare sono i politici – ha dichiarato Alatar – Io ho voluto realizzare questo lavoro sulla figura di un uomo importante per la Palestina, Michel Sabbah, patriarca emerito di Gerusalemme, che mi ha parlato di pace e della necessità di trovare un modo per convivere”. Michel Sabbah, palestinese, è stato il primo arabo ad essere nominato Patriarca Latino di Gerusalemme, nel 1987 da Giovanni Paolo II. Il film raccoglie i suoi ricordi e i suoi pensieri, quelli di un religioso impegnato sul piano civile che ha seguito gli ideali di giustizia e pace.

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Dal 2015 Mohammed Alatar, che vive a Ramallah ed è originario di Jenin, ha realizzato una serie di film e documentari tra i quali “Jerusalem, the east side story” (2008), “The iron wall” (2008), “Broken” (2018), “Oltre ai terribili eventi di Gaza, anche in Cisgiordania oggi la situazione è davvero complicata – ha commentato il regista – ed è resa ancora più difficile dalla presenza e dalla violenza dei coloni israeliani”.

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Dopo la proiezione, Mohammad Alatar dialogherà con Monica Maurer e Raniero La Valle. Pagine Esteri

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Dialoghi – Il sogno cinese è di tutti, anche delle persone con disabilità


Dialoghi – Il sogno cinese è di tutti, anche delle persone con disabilità confucio disabilità cina
La situazione delle persone con disabilità in Cina è progressivamente migliorata negli ultimi trent’anni, ma restano ampi margini per una maggiore inclusione, soprattutto a livello sociale.

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In Cina e Asia – Gaza, la Cina pubblica documento per raggiungere una "pace duratura”


In Cina e Asia – Gaza, la Cina pubblica documento per raggiungere una gaza
I titoli di oggi: Gaza, la Cina pubblica documento per raggiungere una “pace duratura” La Cina rilascia le prime immagini della stazione spaziale Tiangong Governatore banca centrale cinese: “Slegare la crescita dagli investimenti” Hong Kong: 47 attivisti rischiano l’ergastolo Gli Usa accusano un funzionario indiano per il tentato omicidio di un leader sikh La Corea del Nord rilancia il commercio ...

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Attacco a Gerusalemme, uccisi 2 israeliani. In Cisgiordania spari dell’esercito uccidono un giovane palestinese


Ferite altre quattro persone. A Betunia Fuad Badran è stato ucciso mentre attendeva l'arrivo dei prigionieri rilasciati da Israele nell'ambito dello scambio con gli ostaggi israeliani a Gaza. La tregua continuerà anche oggi. L'articolo Attacco a Gerusale

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della redazione

Pagine Esteri, 30 novembre 2023Due israeliani, un uomo di 73 anni e una donna di 24, sono stati uccisi in un attacco compiuto oggi da due uomini armati ad una fermata d’autobus all’ingresso di Gerusalemme. Altri quattro sono stati feriti. I due palestinesi, di Gerusalemme Est, che hanno fatto fuoco sono stati uccisi pochi secondi dopo dagli spari della polizia e di soldato. Nei mesi scorsi era avvenuto un attentato con un ordigno (due morti) ad un’altra fermata d’autobus di Gerusalemme Ovest non lontana da quella dell’attacco di questa mattina.

Ore prima, colpi sparati da soldati israeliani avevano ucciso un palestinese, Fuad Badran, 21 anni, a Beitunia (Ramallah). Il giovane stava aspettando, riferiscono i media palestinesi, l’arrivo dei prigionieri politici scarcerati da Israele nell’ambito degli accordi di cessate il fuoco con Hamas a Gaza. Nei giorni scorsi un altro palestinese era stato ucciso da forze israeliane mentre era in attesa dei detenuti rilasciati. Con la morte di Fadi Badran, il bilancio di vittime palestinesi in Cisgiordania è salito a 455 dall’inizio dell’anno, di cui 247 dal 7 ottobre.

In queste ore è in corso un’altra incursione di reparti militari israeliani nella città di Tulkarem e nel suo campo profughi, in Cisgiordania. Ieri a Jenin erano stati uccisi, in un altro raid, 4 palestinesi tra cui un 15enne e un bambino di 9 anni.

Oggi Israele e Hamas hanno raggiunto un accordo dell’ultimo minuto per estendere di un giorno il cessate il fuoco a Gaza in modo da consentire ai negoziatori di continuare a lavorare per lo scambio di ostaggi con prigionieri palestinesi. La tregua nei passati sei giorni ha permesso l’arrivo degli aiuti umanitari fondamentali a Gaza dopo che gran parte del territorio palestinese costiero, popolato da 2,3 milioni di persone, è stato trasformato in una terra desolata dai bombardamenti israeliani.

“A Israele è stata consegnata una lista di donne e bambini secondo i termini dell’accordo, e quindi la tregua continuerà”, ha dichiarato in un comunicato l’ufficio del primo ministro israeliano proprio alla scadenza della tregua. Il movimento islamico aveva precedentemente sostenuto che Israele si era rifiutato di ricevere altre sette donne e bambini e i corpi di tre ostaggi morti in cambio del prolungamento della tregua. Hamas non ha fatto i nomi delle persone morte ma ieri aveva detto che una famiglia di tre ostaggi, incluso Kfir Bibas di 10 mesi, era morta durante un bombardamento israeliano su Gaza.

Hamas ieri ha liberato 16 ostaggi – 12 donne e bambini israeliani e 4 lavoratori tailandesi – in cambio del ritorno casa di 30 prigionieri palestinesi. Le condizioni del cessate il fuoco, compresa la fine dei combattimenti e l’ingresso di aiuti umanitari, rimangono le stesse, secondo un portavoce del ministero degli Esteri del Qatar, mediatore chiave tra le parti in guerra insieme all’Egitto e agli Stati Uniti.

Prima della tregua, Israele ha bombardato Gaza per sette settimane uccidendo più di 15.000 palestinesi e ferendone altri 35mila come rappresaglia all’attacco di Hamas dello scorso 7 ottobre in cui sono morti 1200 israeliani, in prevalenza civili.

Oggi il segretario di Stato americano Antony Blinken è arrivato a Tel Aviv, il suo terzo viaggio nella regione nelle ultime settimane per discutere l’estensione della pausa nei combattimenti, gli aiuti umanitari e lo scambio di altri ostaggi. Sempre oggi la Giordania ospita una conferenza a cui parteciperanno le principali agenzie umanitarie delle Nazioni Unite, regionali e internazionali per coordinare gli aiuti a Gaza. La Cina intanto invita il Consiglio di Sicurezza dell’Onu a formulare un calendario e una tabella di marcia “concreti” per attuare la soluzione a Due Stati (Israele e Palestina). Pagine Esteri

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Cooperazione. Un po' di storia. La seconda parte. Dal white slave traffic al Primo congresso.


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(Locandina di un film sul white slave traffic)

Nella parte precedente abbiamo raccontato degli albori della cooperazione internazionale di polizia.
Un altro focus delle attività di polizia internazionale a conclusione dell’Ottocento – allorquando il tema esordisce con grande forza nel dibattito pubblico – fu posto sulla prostituzione internazionale, definita inizialmente “commercio delle schiave bianche” (white slavery, immagine precedente).
Si trattava di un fenomeno criminale piuttosto esteso, coinvolgente donne maggiorenni ed anche minorenni, che necessitava di una risposta a livello internazionale. Furono soprattutto inchieste giornalistiche ad evidenziare episodi di vendita da parte delle famiglie o di rapimenti di giovani costrette a prostituirsi, in Inghilterra, Francia, Stati Uniti, tanto da divenire argomento di rilievo, che suscitava notevole interesse nei lettori.
Un primo International Congress on the White Slave Trade si tenne a Londra il 21, 22 e 23 giugno del 1899, con la partecipazione di delegati provenienti da Austria, Danimarca, Francia, Germania, Norvegia, Russia, Svezia, Svizzera, la stessa Gran Bretagna e Stati Uniti, su iniziativa della National Vigilance Association, una “association of men and women to enforce and improve the laws for the repression of criminal vice and public immorality, to check the causes of vice, and to protect minors”, considerata l'organizzazione più importante per la lotta contro il traffico sessuale nella Gran Bretagna di fine secolo.
Una più rilevante conferenza internazionale sulla tratta di prostitute fu organizzata dalle autorità francesi a Parigi il 15 luglio 1902. In un successivo incontro sempre nella capitale francese nel 1904, fu firmato l’“Accordo internazionale per la soppressione del traffico di schiave bianche” dai Governi di 12 Paesi europei. Ancora a Parigi il 4 maggio 1910, la “Convenzione internazionale per la soppressione del traffico di schiave bianche” fu firmata da 13 nazioni, tra cui la maggior parte dei Paesi che avevano sottoscritto sei anni prima. La “Convenzione internazionale per la repressione della tratta delle donne e dei fanciulli”, firmata a Ginevra nel 1921, auspicava un coordinamento internazionale ed accordi per le estradizioni degli imputati. Ratificata dall'Italia nel 1923, la Convenzione porterà alla costituzione dell’Ufficio Centrale per la repressione della tratta delle donne e dei fanciulli presso la Direzione Generale della Pubblica Sicurezza del Ministero dell'Interno.

Immagine/foto
(Alberto I di Monaco)

La prima iniziativa del XX secolo per istituire formalmente una organizzazione internazionale di polizia su questioni di natura non politica fu presa al Primo Congresso della Polizia Criminale Internazionale a Monaco, dal 14 al 18 aprile 1914. Aderirono 24 Paesi, su convocazione del Principe Alberto I di Monaco (Immagine precedente[i][/i]).
L’incontro si concentrò sulla applicazione della legge penale. Le discussioni al Congresso si svolsero esclusivamente all’interno di un quadro giuridico, compresi i dibattiti su accordi di diritto internazionale, come le procedure di estradizione, il perfezionamento dei metodi di identificazione e la costituzione di uno schedario centrale nazionale.
Le proposte che riguardavano misure di polizia furono discusse quindi solo in funzione di principi giuridici.
Il Congresso non portò ad istituire un’organizzazione di polizia internazionale, soprattutto perché l’incontro non era stato organizzato da dirigenti di polizia, ma da politici e da funzionari legali. Rimase comunque il corpus delle intenzioni dei partecipanti, definito come “le 12 volontà”, un lascito che servirà da base per la successiva iniziativa di Vienna, di cui parleremo nella parte successiva.
Si parte dal migliorare i contatti diretti tra le forze di polizia dei diversi Paesi, mediante speditezza tecnica di comunicazione e la scelta di un linguaggio comune per armonizzare gli scambi di informazione. Il francese fu designato come lingua internazionale, seppure l’esperanto sia menzionato come una possibilità per il futuro, se fosse diventato sufficientemente diffuso: cosa che – come sappiamo – non avverrà.
La formazione è considerata vitale, sia in termini di studio di scienze forensi per gli studenti di giurisprudenza, sia in termini di pratica investigativa per gli agenti di polizia. Tra le “volontà”, la necessità di creare un sistema internazionale, standardizzato e centralizzato di schedatura dei criminali. Infine, l’estradizione è un punto chiave di discussione al Congresso, con quattro “desideri” relativi a questo argomento: i partecipanti riconoscono la necessità di un trattato di estradizione modello e la trasmissione rapida delle richieste, che devono fungere da base per l’arresto provvisorio.
… continua …



Ucraina. La controffensiva è fallita, la Nato ha un “piano B”


Anche la Nato, ormai, ammette che la controffensiva ucraina è fallita. Secondo il quotidiano Bild i governi tedesco e americano hanno un "Piano B": negoziare con Mosca o congelare la guerra L'articolo Ucraina. La controffensiva è fallita, la Nato ha un “

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di Marco Santopadre*

Pagine Esteri, 30 novembre 2023 – L’inverno è arrivato con le sue tempeste di neve e le sue gelate, ed ormai nessuno può più nascondere che la controffensiva ucraina contro i russi, bloccata dai campi minati e dalle fortificazioni erette dalle truppe di Mosca, sia sostanzialmente fallita.
Neanche il segretario generale della Nato, Jens Stoltenberg, che in una lunga dichiarazione dai toni pure trionfalistici – «Kiev ha riconquistato il 50% del territorio occupato da Mosca, l’Ucraina ha prevalso come nazione indipendente e sovrana: questa è una grande vittoria» – non ha potuto non inserire un passaggio incontrovertibile, riconoscendo che «un sostanzioso sostegno militare da parte degli alleati Nato non è riuscito» a permettere agli ucraini di «spostare la linea del fronte: non dovremmo mai sottovalutare la Russia».

Secondo molti osservatori e diplomatici la situazione di stallo che dura ormai da parecchi mesi, con la linea del fronte che non si è sostanzialmente mossa, potrebbe lasciare spazio ad una nuova avanzata delle truppe di Mosca. Ad Avdiivka (nel Donbass), ad esempio – una delle poche località dove si combatte sul terreno una battaglia lunga e feroce – i militari di Mosca starebbero avanzando da tre direzioni, col rischio che le truppe ucraine rimangano chiuse in un cul de sac.

A Kiev servono più truppe
Quella in corso da quasi due anni si è ormai trasformata in una guerra di logoramento, che avvantaggia la Russia, dotata di un apparato militare-industriale in parte obsoleto ma molto più consistente di quello ucraino.
Il timore dei governi occidentali – scrive il Wall Street Journal – è che «la posizione dell’Ucraina sul campo di battaglia possa crollare già quest’inverno» a causa del fatto che l’esercito di Kiev «soffre una carenza della fanteria a causa delle pesanti perdite subite».

Per rimpinguare i ranghi Kiev sta preparando una nuova legge sulla mobilitazione militare generale che estenderebbe il reclutamento a fasce della popolazione finora esentate. D’altronde da quando le truppe russe hanno invaso l’Ucraina, si calcola che circa 600 mila uomini in età di leva abbiano abbandonato il paese per sfuggire all’arruolamento, mentre alcune categorie di cittadini sono state graziate suscitando il risentimento dei soldati impantanati al fronte. Per questo il governo ha intensificato ora la caccia ai renitenti e ai disertori, imponendo multe e pene detentive.

La nuova legge – che stando al presidente della “Commissione per la sicurezza e la difesa nazionale” Oleksandr Zavitnevych sarebbe in via di approvazione – dovrebbe prevedere il reclutamento anche di chi è stato condannato per reati di vario genere, degli studenti universitari finora esentati e dei cittadini ucraini che hanno prestato servizio militare in altri Paesi prima di ottenere la cittadinanza ucraina. Inoltre dovrebbe essere incrementato il reclutamento delle donne nei ranghi dell’esercito.

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Soldati ucraini al fronte

Le munizioni arrivano con il contagocce
Ma a Kiev non mancano solo gli uomini; i suoi reparti, soprattutto d’artiglieria, sono a corto di munizioni. L’Unione Europea finora è riuscita a spedire a Kiev neanche un terzo del milione di proiettili che aveva promesso entro il marzo prossimo. Anche le consegne di armi e munizioni provenienti dagli Stati Uniti sono diminuite da quando Washington ha deciso di dirottare verso Israele alcuni stock destinati a Kiev, circostanza segnalata con preoccupazione dallo stesso Volodymyr Zelensky.

Come se non bastasse, ora anche gli aiuti finanziari annunciati da Biden sono in ritardo, anche a causa dell’ostruzionismo dei repubblicani che controllano il senato di Washington.

Il “piano segreto” di Usa e Germania
Alle crescenti difficoltà materiali si sommerebbe però anche un mutamento di strategia da parte degli “alleati” di Kiev. Mentre Zelensky continua a perseguire pubblicamente la riconquista di tutti i territori annessi da Mosca, Crimea compresa, i suoi sostenitori della Nato nutrono ora seri dubbi su una linea intransigente quanto irrealistica, dopo aver lungamente spinto Kiev contro Mosca ed aver chiuso ad ogni seria trattativa nelle fasi iniziali del conflitto.

Per convincere Zelensky alla moderazione e ad un negoziato disponibile anche a “brutali compromessi”, secondo un articolo pubblicato dal quotidiano tedesco Bild che cita alcuni funzionari del governo Scholz, Washington e Berlino avrebbero messo a punto un piano diretto a ridurre gli aiuti militari e finanziari all’Ucraina, fornendo solo quelli sufficienti a evitare una Caporetto. Secondo la fonte citata da Bild, «il piano tedesco-americano è fornire a Kiev il tipo di armi e la giusta quantità per consentire all’esercito ucraino di mantenere l’attuale linea del fronte, ma non di riconquistare territori». Se Zelensky dovesse mettersi di traverso rispetto alla trattativa, il “piano segreto” di Joe Biden e Olaf Scholz (che però vedrebbe la contrarietà del suo ministro della Difesa, Boris Pistorius) prevederebbe un congelamento di fatto del conflitto senza il raggiungimento di un cessate il fuoco, così come era avvenuto in Donbass dopo le fasi più cruente del 2014.

Per ora la posizione ufficiale dei governi di Germania e Stati Uniti non è mutata e prevede il “sostegno totale all’Ucraina fino alla sconfitta della Russia”, ma nella grande stampa occidentale i difensori della trattativa, non fosse altro che per motivi di necessità, prendono sempre più piede. Occorre smetterla col «pensiero magico della sconfitta russa» e cominciare a ragionare su una strategia di contenimento di Mosca, ha avvertito nei giorni scorsi il Wall Street Journal, mentre il francese Le Figaro ricordava che «si è dissipata la speranza» di un «collasso dell’esercito russo nel medio termine».

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La Russia regge
Anche la Russia ha problemi non indifferenti a mantenere lo sforzo bellico, ma finora ha dimostrato di resistere meglio del previsto. E comunque, “è condannata a vincere”. Le sanzioni occidentali non hanno causato il previsto tracollo del suo Pil e anzi Mosca ha rapidamente riorientato gli scambi commerciali e la vendita dei suoi idrocarburi verso partner asiatici, africani e latino-americani, riuscendo a evitare l’isolamento. Anche la ribellione della Wagner è stata rapidamente assorbita e le falle create al fronte dallo smantellamento della compagnia mercenaria sono state tappate senza grandi problemi. Ora probabilmente Putin spera che la probabile vittoria di Donald Trump alle prossime presidenziali alleggerisca ulteriormente il sostegno statunitense a Kiev, e a quel punto diminuirebbe anche quello europeo spesso frutto proprio delle pressioni (e dei condizionamenti) di Washington.

Cresce la sfiducia in Zelensky
L’andamento non proprio trionfale della guerra nell’ultimo anno continua invece a provocare tensioni e spaccature all’interno dell’establishment ucraino e tra questo e le truppe.
I militari denunciano – racconta ancora Bild in un lungo reportage – le inefficienze della macchina statale e in particolare del governo, che li costringerebbe a combattere in condizioni insostenibili a causa della mancanza di armi ed equipaggiamenti, di assistenza e di una strategia bellica razionale.

Da parte loro, invece, i più stretti collaboratori di Zelensky e i dirigenti del suo partito – “Servitore del popolo” – accusano alcuni generali e soprattutto il capo di Stato Maggiore Valeriy Zaluzhny per il fallimento di una controffensiva che pure, per il presidente, procede a gonfie vele. Il generale è ancora molto popolare e secondo vari analisti potrebbe catalizzare lo scontento elettorale nei confronti dell’ex attore al comando dal 2019, anche se il diretto interessato nega ogni interesse per la politica. Nel dubbio, Zelensky ha rimandato a data da destinarsi le elezioni previste nel marzo del 2024. Secondo i risultati di un sondaggio riportato dall’Economist, la fiducia dei cittadini ucraini nei confronti di Zelensky, anche a causa dei numerosi scandali per corruzione che hanno interessato il suo entourage, è scesa al 32%, mentre il generale Zaluzhny godrebbe del sostegno del 70% del campione. Anche il direttore dell’intelligence militare ucraina, Kyrylo Budanov – la cui moglie sarebbe stata recentemente avvelenata – potrebbe contare su un 45% di opinioni positive.

Dopo aver rimosso vari stretti collaboratori di Zaluzhny, colpevole di aver confessato in un’intervista all’Economist le difficoltà di Kiev, Zelensky avrebbe ora ordinato ai governatori regionali di «interrompere ogni comunicazione» con il capo di Stato Maggiore, per evitare che “le élite regionali creino entusiasmo” intorno alla figura di Zaluzhny. Almeno così scrive il giornale online ucraino “Strana”, considerato un media dell’opposizione e filorusso (anche se è stato bandito anche da Mosca per le sue critiche nei confronti del Cremlino) e per questo teoricamente chiuso dal governo di Kiev già nel 2021. – Pagine Esteri

10748343* Marco Santopadre, giornalista e saggista, già direttore di Radio Città Aperta di Roma, è un analista dell’area del Mediterraneo, del Medio oriente e dell’Africa. Scrive, tra le altre cose, di Spagna, America Latina e movimenti di liberazione nazionale. Collabora con il Manifesto, Catarsi e Berria.

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VERSIONE ITALIANA UE, DUE COMMISSIONI DEL PARLAMENTO APPROVANO LO SPAZIO EUROPEO DEI DATI SANITARI E’ stata approvata la creazione di uno spazio europeo dei dati sanitari (EHDS), che consente ai cittadini di controllare i propri dati sanitari personali e di facilitarne la condivisione sicura a fini di ricerca e altruistici (ossia senza scopo di lucro). …


Una mattina la Moglie di Jim prima di uscire per andare al Lavoro lo guardò negli occhi e disse..Ti conviene farmi trovare qualcosa nel Garage che faccia da Zero a 100 in un secondo... Jim fece ritrovare a sua Moglie una Bilancia............................... Jim non è ancora stato Ritrovato.....................


JENIN. Due bambini palestinesi uccisi dal fuoco di precisione dei cecchini israeliani


I residenti del campo profughi nella Cisgiordania occupata lo hanno descritto come il raid più violento dal 7 ottobre. Le uccisioni sono state riprese dalle telecamere di sorveglianza L'articolo JENIN. Due bambini palestinesi uccisi dal fuoco di precisio

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Pagine Esteri, 29 novembre 2023. Due bambini di 8 e 15 anni sono stati uccisi dall’esercito israeliano durante il raid, durato più di 12 ore, all’interno del campo profughi palestinese di Jenin, nella Cisgiordania occupata. L’attacco israeliano è stato descritto dai residenti come il più violento dal 7 ottobre, giorno dal quale le incursioni israeliane sono avvenute a cadenza quasi quotidiana.

Adam Samer al-Ghoul di 8 anni e Basil Suleiman Abu al-Wafa di 15 anni sono stati uccisi da colpi di arma da fuoco che i tiratori scelti hanno sparato dalla distanza contro di loro, mentre camminavano in strada. I due bambini hanno tentato invano di cercare riparo ma non hanno avuto scampo. Fonti israeliane hanno dichiarato che si stavano preparando a “lanciare ordigni”. I video di entrambe le uccisioni, riprese da telecamere di sicurezza, hanno fatto il giro del web.

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L’esercito israeliano ha dichiarato che durante il raid sono stati uccisi altri due uomini, uno dei quali avrebbe avuto un importante ruolo di collegamento tra i gruppi armati palestinesi. La casa in cui si trovava è stata bombardata e distrutta da un drone. I mezzi israeliani hanno distrutto le strade del campo profughi, come è ormai tradizione durante i raid in Cisgiordania.

Nelle ultime 24 ore 35 palestinesi sono stati arrestati in Cisgiordania, tra i quali un bambino di 12 anni. Il numero totale degli arresti nella West Bank dal 7 ottobre supera i 3.300.

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Mafia in Procura


In attesa della pagella dei magistrati, il voto in Storia resta molto basso per giustizia e politica perché si continua a ignorare una insuperabile ingiustizia, cancellata dal dibattito pubblico. Mario Mori ha messo in fila i fatti che dimostrano come il

In attesa della pagella dei magistrati, il voto in Storia resta molto basso per giustizia e politica perché si continua a ignorare una insuperabile ingiustizia, cancellata dal dibattito pubblico. Mario Mori ha messo in fila i fatti che dimostrano come il lavoro del Ros dei Carabinieri, l’inchiesta mafia-appalti, sia stato destrutturato e seppellito dopo la morte di Giovanni Falcone e di Paolo Borsellino. Rincara la dose in un libro con Giuseppe De Donno, altro Carabiniere del Ros.

I due Carabinieri non soltanto documentano con precisione gli ostacoli che incontrarono –posti sia dal capo della Procura di Catania che da quello della Procura di Palermo – ma raccontano anche che il loro lavoro segreto era già conosciuto dai mafiosi, disvelato per mano di quegli uffici. Reclamano che sia fatta piena luce giudiziaria, ricordando Procure che lavorarono contro Borsellino e il Ros.

Mitomani? Può essere. Ma le pagelle sarebbero da bocciatura, anzi da espulsione, se non si aprisse una specifica inchiesta.

La Ragione

L'articolo Mafia in Procura proviene da Fondazione Luigi Einaudi.



Soloo un marziano può pensare che Crosetto l’abbia fatta fuori dal vaso


Ancora ricordo l’impressione che mi fece leggere, nel 2006, “L’uso politico della giustizia”, scritto da Fabrizio Cicchitto. Un saggio documentatissimo che ricostruisce il rapporto malato tra giustizia e politica sin dal primo dopoguerra, in un crescendo

Ancora ricordo l’impressione che mi fece leggere, nel 2006, “L’uso politico della giustizia”, scritto da Fabrizio Cicchitto. Un saggio documentatissimo che ricostruisce il rapporto malato tra giustizia e politica sin dal primo dopoguerra, in un crescendo che raggiunse il suo acme nel 1993 con Mani Pulite. Casi su casi di, come recita il titolo, uso politico delle vicende giudiziarie, ma soprattutto interviste, appelli, documento, stralci di relazioni congressuali da cui emerge la tendenza di alcune correnti della magistratura, con Md in testa, a farsi soggetto politico e ad abusare della propria funzione giurisdizionale per realizzare disegni e imporre originali forme di etica pubblica. Altro che separazione dei poteri: roba da giunta militare sudamericana.

Recentemente, ho letto il libro intervista all’ex potente capo dell’Associazione nazionale magistrati, Luca Palamara, firmato da Alessandro Sallusti. Ne risulta con forza incontrovertibile lo spirito di cosca che governa il Csm, la bramosia di potere di molti giudici e pm, l’avvio di indagini pretestuose nate solo per stroncare la carriera di politici considerati avversari della casta giudiziaria o semplicemente portatori di idee non condivise. Da brividi.

Stamattina ho letto l’editoriale del direttore del Foglio, Claudio Cerasa, da cui risulta l’esplicita mobilitazione delle toghe contro la riforma costituzionale cara a Giorgia Meloni. Nulla che incida sul rapporto tra potere esecutivo e potere giudiziario, eppure… Quelle che seguono sono le parole di Cerasa.

“Il primo episodio è legato alla discesa in campo di Giuseppe Santalucia, numero uno dell’Anm, l’Associazione nazionale dei magistrati, contro la riforma costituzionale progettata dal governo: ‘Si tratta – ha detto il 7 novembre – di uno sbilanciamento e uno squilibrio a favore del potere esecutivo’. Alla riunione della corrente Area a Palermo, sempre il segretario dell’Anm, a ottobre, ha spiegato anche che rischi correrebbe il governo, nelle aule giudiziarie, portando avanti la sua riforma plebiscitaria. ‘Se le minoranze vengono escluse dal circuito della partecipazione decisionale è logico e inevitabile che cerchino nelle aule di giustizia quella voce che non hanno avuto nella fase della formazione della volontà generale, quindi aumenteranno i conflitti’. L’8 novembre, il segretario di Magistratura democratica, Stefano Musolino, aggiunge un carico ulteriore, sempre sul tema: ‘La riforma costituzionale? Si tratta di una truffa delle etichette, giacché l’esito dei proponenti è quello di sconvolgere l’equilibrio tra i poteri dello stato, riducendo l’autonomia e l’indipendenza della magistratura tutta’.

Passano pochi giorni e alla riunione di Md a Napoli, il 12 novembre, i magistrati della corrente più a sinistra della magistratura aggiungono elementi in più, sempre sul tema riforme. Giuseppe Borriello, sostituto procuratore della Repubblica presso il tribunale di Potenza, dice che la magistratura deve denunciare ‘la deriva burocratica del nostro lavoro’, afferma che ‘il compito dei magistrati è di tutelare gli interessi della collettività’ e ribadisce il fatto che le funzioni giudiziarie ‘non possano non essere ispirate da contenuti valoriali per non utilizzare un termine pericoloso che è quello ideologico’. Valerio Savio, giudice del tribunale di Roma, dice che Md deve difendere ‘con forza’ le sue posizioni contro la riforma, suggerisce di portare avanti questa ‘battaglia’ anche all’interno degli uffici e invita a mandare ‘forte e chiaro all’esterno questo messaggio’ costruendo rapporti con i comitati che si creeranno”.

Ecco, forte di queste tre letture, mi chiedo: ma c’è davvero qualcuno, in questo sciagurato Paese, convinto che Guido Crosetto l’abbia fatta fuori dal vaso?

Formiche.net

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Carri, corazzati e difesa aerea. Perché Ercolani promuove il Dpp


La componente militare terrestre è quella in cui l’Italia appare maggiormente indietro, ed è per questo che l’inversione di tendenza inserita nell’ultimo Documento programmatico pluriennale della Difesa è una notizia positiva, soprattutto per quanto rigua

La componente militare terrestre è quella in cui l’Italia appare maggiormente indietro, ed è per questo che l’inversione di tendenza inserita nell’ultimo Documento programmatico pluriennale della Difesa è una notizia positiva, soprattutto per quanto riguarda i programmi di prossimo avvio, capaci di generare un impatto positivo sia a livello capacitivo che economico. Questo il cuore dell’intervento di Alessandro Ercolani, amministratore delegato di Rheinmetall Italia, ascoltato dalla commissione Difesa della Camera dei deputati nell’ambito delle audizioni relative al Dpp. “La nostra analisi del documento è positiva, dal momento che traguarda esigenze, bilancia in modo lungimirante il contributo tra programmi correnti e di nuovo avvio, e inquadra l’indirizzo politico di voler rendere l’Italia protagonista nel contesto delle alleanze”. Nel dettaglio, il Dpp “va a compensare quello che è un deficit capacitivo italiano sulla parte terrestre, causato non da carenze di personale o di qualifica, ma da tecnologie degli assetti datati e che vanno rinnovati” ha sottolineato Ercolani, che ha anche aggiunto come, per questo, “il dialogo tra industria e istituzioni è fondamentale”.

Un nuovo contesto

Come registrato dal manager, “un piano non è mai giusto o sbagliato, ma deve essere letto in relazione al contesto nel quale viene presentato”, e il contesto attuale è molto cambiato, deteriorato rispetto agli anni scorsi a causa dei cambiamenti geopolitici in atto. Anche dal punto di vista tecnologico, ha detto Ercolani, è in atto un cambiamento “che impatta gli aspetti tecnologici, visto il recente impiego di tecnologie ibride sui campi di battaglia, per esempio i droni o i satelliti civili, Starlink”. Addirittura, ha segnalato l’amministratore delegato, “la produzione di approvvigionamento delle filiere russe si basa sull’uso dei microchip che vengono dagli elettrodomestici”. Per il comparto industriale, questo significa che c’è una ibridazione civile militare, un vero e proprio cambio di paradigma: “Oggi – ha proseguito Ercolani – c’è la richiesta di tecnologie che siano combat proven; sono finiti i tempi della tanta teoria e tante riflessioni, servono tecnologie pronte per essere usate sul campo di battaglia”.

L’importanza della produzione

Questi elementi chiamano in causa l’aspetto cruciale dei tempi di produzione. “Il mondo della difesa italiano era abituato a ragionare su tempi di consegna di 24 o 54 mesi, rispettivamente per equipaggiamenti di media o elevata complessità”, ha detto Ercolani, aggiungendo come oggi questi tempi siano impensabili: “Per i tempo di consegna oggi si parla di uno o due anni, e questo ha un grande impatto sull’industria, e il Dpp ne prende atto”. Una delle lezioni arrivate dalla guerra in Ucraina è invece l’importanza della produzione: “Prima della guerra – ha spiegato Ercolani – gli Stati Uniti producevano 250mila colpi di artiglieria l’anno, l’Europa 300mila”, per la sua difesa, invece, Kiev “ne richiede due milioni l’anno”. Sforzi sono stati fatti, in particolare con i fondi europei dell’Edf per incentivare la produzione di munizioni. “Il Dpp rafforza la produzione italiana di alcune munizioni, essenziali e vitali per il mantenimento operativo degli assetti”.

Il ruolo del terrestre

Altra lezione della guerra ucraina, ha registrato ancora l’ad, è l’importanza della guerra terrestre: “La dottrina recente si concentrava maggiormente sulla superiorità navale e aerea, meno su quella terrestre; ora si passa a una superiorità veramente sul campo di battaglia, fatta di veicoli terrestri”. Il Dpp in questo senso è molto attento, dal momento che dei circa novanta miliardi messi a disposizione dal documento, di cui cinque dedicati ai progetti di previsto avvio, il 91% dei quali dedicato alla componente Esercito: “È un grande cambio, perché l’Italia negli anni precedenti ha investito molto nel settore navale e nell’ammodernamento dell’Aeronautica”. Se si guarda agli investimenti operanti complessivi per programmi in corso o nuovi (dodici miliardi) ben il 35% è dedicato a progetti nuovi, “un conto è mantenere le flotte esistenti, ma bisogna guardare alle nuove esigenze, e in questo l’Esercito ha un ruolo importante” anche perché “gli assetti terrestri saranno sempre più importanti per mantenere la leadership sui campi di battaglia”.

I programmi del Dpp

In particolare, sono due i programmi per la dimensione terrestre sottolineati da Ercolani presenti del Dpp, quello per il carro armato da battaglia Mbt, e in particolare del Leopard che, come ha spiegato il manager “da dichiarazioni fatte dagli organi competenti” è quello “che oggi incontra i requisiti operativi dell’Italia”, e quello per i veicoli da combattimento per la fanteria Aics (Armored infantry combat system), che dovranno sostituire “un equipaggiamento datato, di oltre quarant’anni, cioè il Dardo, con unità di fanteria corazzata di nuova generazione”. Tutto questo, ha sottolineato Ercolani, “sempre valorizzando le tecnologie, il comparto e i territori italiani in una cornice europea, dentro la volontà italiana di assumere e mantenere un ruolo di leader nelle alleanze Ue e Nato”. In totale, ha registrato ancora il manager, l’insieme dei due programmi vale circa dieci miliardi di euro “e si prefigura come una vera e propria legge terrestre, che permette all’Italia di raggiungere lo stesso livello che ha oggi sul marittimo e sull’aereo anche per il terrestre”. Un altro elemento importante è l’attenzione rivolta alla difesa aerea, contro i droni e i missili, i cui sistemi sono gli unici “in grado di proteggere cittadini, città e assetti strategici”. Non è un caso che “la percentuale di spesa ucraina per gli armamenti sia al 60% per le munizioni e il 25/30% nella difesa aerea”, e il Dpp ha tra i suoi elementi più importanti proprio il rafforzamento dei sistemi contraerei.


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INTERPOL 100 anni. Facciamo un po' di storia della cooperazione internazionale.


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Nei giorni in cui l’INTERPOL (abbreviazione di "Organizzazione Internazionale di Polizia Criminale"), ovvero la più importante organizzazione internazionale che facilita la cooperazione tra le forze di polizia di diversi paesi, celebra a Vienna i suoi 100 anni di vita (nell'immagine il segretario generale Jürgen Stock tiene il discorso d'apertura della 91a Assemblea Generale), ripercorriamo a tappe la storia della mutua assistenza tra Nazioni nel settore del contrasto alla criminalità globale, cominciando dall’inizio …

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Luigi Lucheni uccide l’imperatrice Elisabetta d’Austria

Siamo nel 1898. Il Governo italiano convoca a Roma una “Conferenza Internazionale per la difesa sociale contro gli anarchici” che si tiene dal 24 novembre al 21 dicembre. Il 10 settembre precedente, sulla passeggiata del Lago di Ginevra, in attuazione della dottrina anarchica della propaganda del fatto che prevede di colpire i simboli del potere, Luigi Lucheni aveva assassinato l’imperatrice Elisabetta d’Austria, popolarmente nota come Sissi (immagine precedente). L’ attentato si inserisce in quella che viene definita la “Decade del Regicidio”. Nel corso del decennio, attentati riconducibili agli anarchici hanno registrato 60 omicidi ed il ferimento di circa 200 persone.
Una settimana dopo l’assassinio di Sissi, il ministro degli esteri austriaco propone al suo collega svizzero di formare una “Lega internazionale di polizia” anti–anarchica. Il piano austro–svizzero rimane inattuato, ma il 29 settembre successivo il governo italiano indìce la conferenza internazionale che si terrà a Roma per organizzare la lotta all’anarchismo.
Partecipano 54 delegati provenienti da 21 Paesi europei, inclusi Gran Bretagna, l’Impero Germanico, Francia ed Austria–Ungheria. Nel protocollo finale sono individuate tre direttrici: monitoraggio del fenomeno anarchico – che utilizzava “mezzi violenti per distruggere l’organizzazione della società” –, creazione di agenzie specializzate e scambio di informazioni.

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Alphonse Bertillon e le misurazioni antropometriche

Ciò anche con riguardo alla identificazione attraverso il metodo del portrait parlé, sviluppato dal sistema di bertillonage inventato da Alphonse Bertillon, che prevedeva la classificazione dei sospetti criminali sulla base di misurazioni antropometriche (immagine precedente). Anche l'identificazione attraverso l'utilizzo delle impronte digitali (tuttora utilizzata) farà ingresso nell’ambito della polizia criminale-scientifica verso la fine dell’Ottocento.

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Nel novembre di due anni dopo, sono le autorità russe a prendere a monito l’assassinio del Presidente degli Stati Uniti McKinley (immagine sopra) per mano dell’anarchico di origini polacche Leon Czolgosz, quale occasione per implementare il Protocollo di Roma. La Conferenza si tiene nel marzo del 1904, a San Pietroburgo, allora capitale della Russia. Ad incontrarsi stavolta dieci delegazioni, che raggiungono un accordo su un Protocollo Segreto per una “guerra internazionale all’Anarchismo”.
In realtà, le pratiche di polizia internazionale dalla metà del XIX secolo in poi erano organizzate su base limitata. La maggior parte della cooperazione di polizia europea fino all’inizio del XX secolo come abbiamo visto riguardava per lo più compiti politici, relativi alla protezione del governo e mirati a contrastare attività sovversive.
Un esempio ci viene dalla Unione di polizia degli Stati tedeschi, un'organizzazione di polizia internazionale attiva dal 1851 al 1866 per sopprimere l'opposizione politica di liberali, democratici e socialisti. L'Unione di polizia coinvolgeva sette nazioni di lingua tedesca, che erano ideologicamente affini e politicamente federate.
Gli stessi Protocolli di Roma e San Pietroburgo non assumono la veste di Trattati da ratificare, e pochi Paesi introducono nella propria legislazione i suggerimenti provenienti dalle Conferenze.
Insomma, per il momento la Cooperazione rimane materia da trattarsi in via amministrativa a livello di Forze di Polizia.
… continua …



Il valore imprescindibile di carta e penna nei processi di apprendimento – Liceo “G.B. Grassi” di Latina


7 dicembre 2023, ore 9:00 presso l’Aula Magna del Liceo Scientifico “G.B. Grassi” di Latina, in Via Padre Sant’Agostino, 8. Saluti introduttivi VINCENZO LIFRANCHI, Dirigente Scolastico Liceo .B. Grassi Intervengono AVV. GIAN MARCO BOVENZI, Project Manager

7 dicembre 2023, ore 9:00 presso l’Aula Magna del Liceo Scientifico “G.B. Grassi” di Latina, in Via Padre Sant’Agostino, 8.

Saluti introduttivi

VINCENZO LIFRANCHI, Dirigente Scolastico Liceo .B. Grassi

Intervengono

AVV. GIAN MARCO BOVENZI, Project Manager della Fondazione Luigi Einaudi
PROF.SSA LARA BONADIA, Docente Liceo G.B. Grassi

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Appalti pubblici: lavoro e sviluppo territoriale


1 dicembre 2023, ore 15:00, Sala Tessitori – Piazza Oberdan, 5 – Trieste Saluti introduttivi GIAN PIERO GOGLIETTINO, Referente Fondazione Luigi Einaudi Friuli Venezia Giulia ROBERTO DIPIAZZA, Sindaco di Trieste EMANUELA PESEL, Presidente sez. controllo Co

1 dicembre 2023, ore 15:00, Sala Tessitori – Piazza Oberdan, 5 – Trieste

Saluti introduttivi

GIAN PIERO GOGLIETTINO, Referente Fondazione Luigi Einaudi Friuli Venezia Giulia
ROBERTO DIPIAZZA, Sindaco di Trieste
EMANUELA PESEL, Presidente sez. controllo Corte de Conti Friuli Venezia Giulia
MAURO SAVIANO, Direttore regionale INPS Friuli Venezia Giulia

Relatori

LAURA IMOVILLI, Commercialista in Trieste
GABRIELE ALLIERI, Giudice del lavoro presso Tribunale di Gorizia
FEDERICO DECLI, Dirigente affidamenti e servizi ASP Mare Adriatico Orientale
MARCO PADRINI, Direttore centrale FVG, patrimonio, demanio, servizi generali e sistemi informativi

Interverranno

MICHELANGELO AGRUSTI, President Confindustria Alto Adriatico*
DORINO FAVOT, Presidente Anci Friuli Venezia Giulia
ANTONIO PAOLETTI, Presidente C.C.IA.A. Venezia Giulia

Modera

FRANCESCO DE FILIPPO, Direttore Ansa Friuli Venezia Giulia

Conclude

MASSIMILIANO FEDRIGA, Presidente Regione Autonoma Friuli Venezia Giulia

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Semplificare la burocrazia per rendere più semplice fare imprese in Europa e abbracciare le tecnologie più recenti, compresa l’intelligenza artificiale, per sostenere aziende e amministrazioni pubbliche. Questo il messaggio della presidente della Commissione UE Ursula von der Leyen lanciato in...

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Bangladesh. Migliaia di arresti e morti prima delle elezioni


Associazioni per i diritti umani hanno denunciato l’arresto di 10 mila oppositori da parte delle forze di sicurezza del Bangladesh, nell’ambito di una “violenta repressione autocratica” che intende indebolire l’opposizione prima delle elezioni L'articolo

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di RedazionePagine Esteri, 27 novembre 2023 – Numerose associazioni per i diritti umani locali e internazionali, compresa “Human Rights Watch”, hanno denunciato l’arresto di oltre 10 mila oppositori da parte delle forze di sicurezza del Bangladesh, nell’ambito di una “violenta repressione autocratica” diretta a indebolire l’opposizione in vista delle elezioni generali previste a gennaio. Secondo HRW, il governo della prima ministra Sheikh Hasina, che punta a ottenere un quarto mandato consecutivo, ha avviato una vasta e violenta repressione delle opposizioni per “eliminare la concorrenza”. Gran parte degli oppositori arrestati sarebbero attivisti del Partito nazionalista del Bangladesh (Bnp), protagonista della grande manifestazione del 28 ottobre scorso. In un comunicato il BNP ha dichiarato che da ottobre sono stati arrestati almeno 16.625 membri della formazione. Altre decine di migliaia di persone sarebbero state denunciate – e subiranno quindi un processo – o multate; molti dirigenti e attivisti politici e sindacalisi sarebbero dati alla macchia per evitare l’arresto. Secondo l’ong, nelle violenze che hanno caratterizzato le proteste delle settimane scorse hanno perso la vita 16 persone, inclusi 2 agenti di polizia, e 5.500 persone sono rimaste ferite. «Il governo (del Bangladesh) professa di impegnarsi per elezioni libere ed eque con i partner diplomatici, mentre al contempo le autorità statali stanno riempiendo le prigioni con gli avversari politici della Lega Awami al governo» ha dichiarato Julia Bleckner, ricercatrice senior per l’Asia di HRW. Sulla base di interviste ai testimoni, dell’analisi di video e dei rapporti della polizia, l’ong afferma di aver trovato «prove che le forze di sicurezza sono responsabili dell’uso eccessivo della forza, di arresti arbitrari di massa, sparizioni forzate, torture e esecuzioni extragiudiziali».La Commissione elettorale è aperta alla possibilità di riprogrammare le elezioni se il Partito nazionalista del Bangladesh (Bnp) e altre forze politiche decidessero di parteciparvi, ha detto la commissaria elettorale Rashida Sultana in una conferenza stampa tenuta il 20 novembre a Dacca. Le dodicesime elezioni per il rinnovo della Casa della Nazione, il parlamento unicamerale del paese asiatico che conta ormai 170 milioni di abitanti, si dovrebbero tenere il prossimo 7 gennaio; si voterà per eleggere 300 parlamentari in altrettanti collegi (altri 50 sono di nomina e riservati a donne). Ma il Partito nazionalista, la principale forza di opposizione nel Paese, ha contestato il calendario elettorale e si è mobilitato con manifestazioni e scioperi. L’ultimo ciclo di proteste, di 48 ore, è iniziato il 26 novembre e il prossimo, della stessa durata, è stato annunciato a partire da mercoledì. Il Bnp chiede da mesi le dimissioni del governo in carica e l’insediamento di un esecutivo ad interim fino alle elezioni. Il Partito nazionalista ha boicottato le elezioni del 2014 e perso nettamente quelle del 2018 alle quali si è presentato senza la sua presidente, l’ex premier Khaleda Zia, condannata pochi mesi prima a cinque anni di reclusione per appropriazione indebita e a sette anni per abuso di potere. Il Bnp ritiene le condanne politicamente motivate e ne chiede l’annullamento. Il 28 ottobre a Dacca si sono scontrati manifestanti e forze dell’ordine. Negli scontri sono morti un agente e un attivista. Il giorno seguente il segretario generale del Bnp, Mirza Fakhrul Islam Alamgir, 75 anni, è stato arrestato nell’ambito di un’ondata di centinaia di arresti. Il 30 ottobre le ambasciate in Bangladesh di sette Paesi – Australia, Canada, Corea del Sud, Giappone, Norvegia, Regno Unito e Stati Uniti – a nome dei rispettivi governi hanno fatto “appello alla moderazione”. In risposta al comunicato il ministro degli Esteri bengalese, Abul Kalam Abdul Momen, ha però imputato le violenze e il tentativo di “fuorviare gli amici stranieri del paese” al Bnp. Pagine Esteri
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pagineesteri.it/2023/11/28/in-…



Weekly Chronicles #56


Cattolici spioni, data communism e illusioni liberali.

Questo è il numero #56 delle Cronache settimanali di Privacy Chronicles, la newsletter che parla di sorveglianza di massa, crypto-anarchia, privacy e sicurezza dei dati.

Nelle Cronache della settimana:

  • Catholic Laity and Clergy for Renewal, l’organizzazione cattolica che spia i preti gay
  • In UE arriva il Data Act: aprirà le porte al “data-communism”
  • I passaggi di stato dell’informazione

Nelle Lettere Libertarie: La strisciante minaccia delle leggi contro l’hate speech

Rubrica OpSec: una guida dettagliata per (provare a) rimanere anonimi online

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Catholic Laity and Clergy for Renewal, l’organizzazione cattolica che spia i preti gay


Un’organizzazione “noprofit” cattolica ha investito più di 4 milioni di dollari per spiare ed esporre i preti gay. È la Catholic Laity and Clergy for Renewal e ha una missione: assicurarsi che i preti rispettino il voto di castità.

Per farlo non hanno assoldato oscuri hacker col cappuccio ricercati dall’INTERPOL, ma si sono limitati a comprare dataset aggregati da alcuni dei numerosi data broker che lavorano con il sistema RTB (Real-Time Bidding) — una pietra miliare della pubblicità online.

Il sistema RTB è la tecnologia che oggi permette di mettere all’asta spazi pubblicitari online in tempo reale, ad esempio mentre un utente cerca una pagina web o utilizza un’app sul telefono. Poiché gli spazi pubblicitari sono profilati, per funzionare ha bisogno di enormi quantità di dati aggregati, come:

  1. Dati demografici: informazioni che riguardano l’età, il sesso, l’educazione e l’ambito lavorativo e famigliare delle persone
  2. Abitudini: dati legati alle abitudini online, come ricerche, click, e così via
  3. Uso di app: le app raccolgono enormi quantità di dati di utilizzo che poi sono usati per profilare ulteriormente le persone
  4. Geolocalizzazione: informazioni che riguardano la posizione del dispositivo usato per navigare o per usare l’app, in un determinato momento
  5. Informazioni sul dispositivo: dettagli tecnici sul dispositivo usato per navigare o per usare l’app

Questi possono essere facilmente acquistati da aziende di data brokering il cui business model è raccogliere e rivendere tutte o alcune categorie di questi dati. Un mercato molto florido è quello dei dati di geolocalizzazione dei dispositivi. Una volta ottenuti, non serve altro che qualche capacità tecnica di analisi per intrecciare e correlare i dataset e cercare di identificare le persone a cui si riferiscono. È un po’ come costruire un puzzle.

In questo caso, l’organizzazione ha comprato alcuni database specifici per le app di dating gay per cercare di identificare i membri del clero che ne fanno uso. Il caso più noto è quello di Jeffrey Burril, segretario generale dell’American Bishops’ Conference, che è stato esposto e costretto poi a dimettersi.

Il lavoro di Catholic Laity and Clergy for Renewal ci insegna che contro un attaccante con sufficienti risorse e tempo a disposizione non c’è privacy o anonimato che tengano. Neanche gli amici più cypherpunk potrebbero dirsi al riparo da attacchi di re-identificazione mirati di questo tipo. Se agli enormi dataset oggi facilmente disponibili aggiungiamo anche le potenzialità OSINT dell’intelligenza artificiale… la frittata è fatta e le agenzie di intelligence banchettano.

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In UE arriva il Data Act: aprirà le porte al “data-communism”


In UE è stato da poco approvato il testo del nuovo regolamento chiamato Data Act. Se avete l’impressione che esca un regolamento sui “dati” ogni due settimane, è perché più o meno è così. Da circa 3 anni l’UE è impegnata in una forsennata corsa verso la regolamentazione del cosiddetto “mercato digitale”, di cui i dati sono la prima risorsa.

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