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Operazione internazionale contro il più grande gruppo di ransomware al mondo. Aiuta il portale “No More Ransom”
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In un'azione coordinata supportata da #Eurojust ed #Europol, le autorità giudiziarie e di polizia di 10 paesi diversi hanno colpito #LockBit, l'organizzazione di ransomware più attiva al mondo.
Due membri del team ransomware sono stati arrestati in Polonia e Ucraina.
Inoltre, le forze dell’ordine hanno compromesso la piattaforma principale di LockBit e rimosso 34 server nei Paesi Bassi, Germania, Finlandia, Francia, Svizzera, Australia, Stati Uniti e Regno Unito.
LockBit è emerso per la prima volta alla fine del 2019, inizialmente chiamandosi ransomware “ABCD”. Da allora, è cresciuto rapidamente e nel 2022 è diventato la variante di ransomware più diffusa a livello mondiale. Si ritiene che gli attacchi LockBit abbiano colpito oltre 2.500 vittime in tutto il mondo. Il gruppo operava come "ransomware-as-a-service", il che significa che un team principale crea il proprio malware e gestisce il proprio sito Web, concedendo in licenza il proprio codice agli affiliati che lanciano attacchi.
L'azione congiunta ha permesso alle diverse forze di polizia di prendere il controllo di gran parte delle infrastrutture che permettono il funzionamento del ransomware LockBit, compresa la darknet, e, in particolare, il "muro della vergogna" utilizzato per pubblicare i dati delle vittime che si sono rifiutate di pagare il riscatto. Questa azione ha interrotto la capacità della rete di operare. Le autorità hanno inoltre congelato più di 200 conti di criptovaluta collegati all'organizzazione criminale.
Questa operazione internazionale segue una complessa indagine condotta dalla National Crime Agency del Regno Unito. Supportate da Eurojust ed Europol, le forze dell'ordine di altri nove paesi hanno lavorato su questo caso in stretta collaborazione con l'Agenzia nazionale anticrimine, comprese le autorità di Francia, Germania, Svezia, Paesi Bassi, Stati Uniti, Svizzera, Australia, Canada e Giappone.
Il caso è stato aperto presso Eurojust nell’aprile 2022 su richiesta delle autorità francesi. Il Centro europeo per la criminalità informatica (EC3) di Europol ha organizzato riunioni operative per sviluppare le piste investigative in preparazione della fase finale dell’indagine.
La polizia giapponese, la National Crime Agency e il Federal Bureau of Investigation hanno unito le loro competenze tecniche per sviluppare strumenti di decrittazione progettati per recuperare i file crittografati dal ransomware LockBit.
Queste soluzioni sono state rese disponibili gratuitamente sul portale “No More Ransom”, disponibile in 37 lingue.
Finora, più di 6 milioni di vittime in tutto il mondo hanno beneficiato di No More Ransom, che contiene oltre 120 soluzioni in grado di decrittografare più di 150 diversi tipi di ransomware.
Oltre le verie Autorità Giudiziarie dei Paesi interessati, hanno preso parte all'indagine le seguenti autorità di polizia:
Regno Unito: National Crime Agency, South West Regional Organized Crime Unit
Stati Uniti: Federal Bureau of Investigation – Newark
Francia: JUNALCO (National Jurisdiction Against Organized Crime) e Gendarmerie Nationale
Germania: Dipartimento centrale per la criminalità informatica del Nord Reno-Westfalia (CCD), Ufficio statale per le indagini penali dello Schleswig-Holstein (LKA Schleswig-Holstein), Ufficio federale della polizia criminale (Bundeskriminalamt)
Svezia: Centro svedese per la criminalità informatica,
Paesi Bassi: Team Cybercrime Zeeland-West-Brabant, Team Cybercrime Oost-Brabant, Team High Tech Crime);
Australia: Polizia federale australiana Canada: Polizia a cavallo reale canadese
Giappone: Agenzia nazionale di polizia ·
Svizzera: Polizia cantonale di Zurigo.
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“Adam Smith a trecento anni dalla nascita”, del prof. Infantino la prima lezione della Scuola di Liberalismo
Nell’Aula Malagodi della Fondazione Luigi Einaudi si è svolta questa sera la prima lezione della Scuola di Liberalismo 2024, “Adam Smith a trecento anni dalla nascita. Alle origini delle scienze sociali” a cura del professore Lorenzo Infantino. Nelle quasi due ore di lezione di fronte a numerosi partecipanti, in sala e da remoto, il professore ha ripercorso tutta l’opera del filosofo ed economista scozzese.
“Le biblioteche sono piene di scritti dedicati all’opera di Adam Smith”, ha spiegato Infantino. “Il maggior numero di commentatori si è soffermato sulla Ricchezza delle nazioni, molti meno sono stati coloro che hanno rivolto la loro attenzione ai Sentimenti morali, ancor meno sono stati gli studiosi che hanno preso in considerazione i saggi postumi. A proposito di questi ultimi Joseph A. Schumpeter ha scritto: «Oso dire che chi non conosce questi saggi non può avere un’idea adeguata della statura di Smith».”
Smith sosteneva che: “Nessuno può raggiungere i propri scopi senza interagire e senza collaborare con gli altri”. Per il professor Infantino questa è la spiegazione della “società aperta”, che si basa sul presupposto che ogni azione umana intenzionale determini conseguenze in intenzionali. È quella che il filosofo scozzese chiamava “la mano invisibile del mercato”. La teoria della mano invisibile attraversa tutta l’opera di Smith. La pagina in cui l’autore fa ricorso a questa metafora è la più importante della Ricchezza delle nazioni. Essa infatti contiene una premessa senza cui non è possibile avere contezza della funzione del mercato e da cui si giunge a una teoria della limitazione del potere e all’indicazione dell’habitat normativo della Grande Società.
Al termine della lezione è seguito un dibattito con gli iscritti, segno che il professor Infantino ha stimolato la curiosità dei presenti.
L'articolo “Adam Smith a trecento anni dalla nascita”, del prof. Infantino la prima lezione della Scuola di Liberalismo proviene da Fondazione Luigi Einaudi.
Dalla drone diplomacy alla Kaan diplomacy, le ambizioni turche sul nuovo caccia
Mercoledì 21 febbraio, la base aerea di Akinci ha ospitato il primo volo del “Kaan”, il prototipo turco di caccia di quinta generazione. Culmine di un processo avviato nel dicembre 2010, quando Ankara ha aperto il programma di sviluppo del velivolo da combattimento. Nell’agosto 2011 è stato poi firmato un contratto di progettazione concettuale tra il governo e l’azienda Turkish Aerospace Industries, a cui è seguito un contratto di sviluppo firmato nell’agosto 2016. Fino al primo volo di prova di pochi giorni fa, a cui seguirà la costruzione di altri cinque prototipi.
Il programma mira a mettere in campo un aereo da combattimento di quinta generazione per soddisfare i requisiti dell’aeronautica militare turca oltre il 2030 (le previsioni sono quelle di mantenerlo in servizio fino al 2037), sostituendo la flotta di F-16 del Paese. Non a caso, il caccia Kaan dovrebbe incorporare la maggior parte delle caratteristiche di un aereo standard di quinta generazione, come la bassa osservabilità, gli alloggiamenti interni per le armi, la fusione dei sensori, i collegamenti dati avanzati e i sistemi di comunicazione. Tutte presenti nei sistemi F-35, dal cui programma Ankara è però esclusa da Washington, dopo la decisione turca di acquistare i sistemi di difesa antiaerea S-400 prodotti dalla Federazione Russa. Spingendo così la Turchia a sviluppare autonomamente capacità multiruolo di quel calibro.
Un aspetto interessante del progetto Kaan è quello “autarchico”: la Turchia mira a diventare uno dei pochi Paesi a possedere l’intera catena del valore per la produzione di aerei da combattimento avanzati, che comprende tecnologia, infrastrutture, risorse umane e capacità produttive. Un aspetto sempre più importante alla luce della frammentazione geopolitica del mondo odierno, dove la disruption delle supply chain è un evento tutt’altro che improbabile, i cui effetti sono in grado di pesare tantissimo. Soprattutto nel campo dell’industria della difesa. Russia docet.
Ma per Ankara, le connotazioni geopolitiche dietro allo sviluppo di un caccia di quinta generazione non si limitano alla tutela delle linee di rifornimento logistiche dei materiali. Il progetto Kaan è anzi una forte opportunità di proiezione esterna: attraverso l’esportazione di un velivolo dalle simili capacità (anche se ridotte rispetto alla versione originale, come da prassi in alcune versioni di sistemi d’arma destinate all’export) la Turchia potrebbe riuscire ad assicurarsi importanti introiti da reinvestire in nuovi progetti, ma anche a creare o a rafforzare la propria posizione diplomatica con gli altri attori coinvolti.
D’altronde, non sarebbe la prima volta. Il Paese guidato da Recep Tayyip Erdoğan ha già dimostrato di saper sfruttare abilmente le proprie capacità nella dimensione unmanned, portando avanti una vera e propria drone diplomacy che gli ha permesso di sviluppare connessioni con vari attori e posizioni d’interesse in vari teatri. Dalla Libia all’Azerbaigian, arrivando fino all’Ucraina.
Non a caso, la scorsa settimana l’ambasciatore di Kyiv in Turchia ad Ankara Vasyl Bodnar ha dichiarato che il suo Paese sta monitorando da vicino lo sviluppo del caccia di quinta generazione made in Turkey, aggiungendo che: “Noi non solo acquisteremo il caccia Kaan, ma lo utilizzeremo, e sappiamo dove verrà impiegato”.
Ma le ambizioni di Ankara si spingono ancora più a Est, verso il continente asiatico. Agli occhi della Turchia, Paesi come Pakistan, Malesia, Indonesia e Kazakistan (che hanno già acquistato in precedenza materiale militare turco) rappresentano possibili acquirenti del nuovo sistema di caccia multiruolo agli occhi del complesso militare-industriale anatolico. Cercando di proporsi come una valida alternativa a Mosca in quel mercato.
Ministero dell'Istruzione
Con riferimento a notizie di stampa, il #MIM precisa che nelle nuove Linee guida sull’educazione alla cittadinanza, che sono in via di elaborazione, sarà contenuta la seguente dizione: “È opportuno evitare l’utilizzo dello smartphone (cellulare) nell…Telegram
A Singapore Pechino mostra il suo nuovo elicottero per l’export
La Cina ha esposto al Singapore airshow 2024 il suo elicottero d’attacco Z-10 Me. È la prima volta che Pechino mostra questa tecnologia al di fuori del suo territorio nazionale. Il fatto che abbia deciso di farlo a Singapore, anche in occasione della limitata presenza di prodotti statunitensi all’air show, non è un caso. Il mezzo è stato rivelato in Cina nel 2021 e, a oggi, le Forze armate di Pechino dovrebbero essere dotate di non meno di duecento esemplari.
L’elicottero
Il Z-10 Me è un elicottero d’attacco dotato di una avanzata configurazione di armamenti offensivi e contromisure difensive. Il mezzo può portare une munizionamento esplosivo per il suo cannoncino da 23mm e un serbatoio sganciabile da 280 chili. Il velivolo può essere armato con missili guidati Cr5 e missili aria-aria M-502KG e TY-90, oltre a essere dotato di un sistema radar, un missile approach warning system e sistemi ad infrarossi direzionali che fanno da contromisura peri missili a ricerca di calore.
L’aquila e il dragone
Questa manifestazione è parte delle meccaniche da guerra fredda con cui Pechino sta provando a proporsi come alternativa agli Stati Uniti. Da un lato vogliono diventare più forti nella produzione e nell’esportazione di sistema d’arma. Dall’altro, più velatamente, cercano d proporsi come garante della sicurezza dell’Asia orientale. L’elicottero, in apparenza molto simile al AH-64 Apache americano, potrebbe risultare conveniente per buona parte delle aviazioni asiatiche grazie alla differenza di prezzo con il suo corrispondente americano. A confermare quest’apparenza di guerra di soft power l’unica manifestazione americana all’Airshow è stato un sorvolo ravvicinato con un bombardiere B-52. Non essendo il bombardiere fra i mezzi acquistabili si intuisce la funzione puramente comunicativa dell’evento. Nessun membro della delegazione americana, guidata dal vicesegretario per le acquisizioni dell’aeronautica Andrew Hunter, ha parlato con la stampa, avendo, probabilmente, compreso l’errore strategico di presentarsi alla manifestazione in maniera così poco prorompente.
L’orso e il dragone
Un’altra funzione dell’evento potrebbe essere quella di prendere il posto dell’altro venditore di elicotteri d’attacco, la Russia. Pechino potrebbe stare tentando di sfruttare la finestra di opportunità prodotta dall’ insicurezza del mercato riguardo le armi di Mosca. L’istanza è la conseguenza della performance mediocre delle forze armate russe nel teatro ucraino. Presentandosi come provider alternativo, cosa che sta facendo anche l’Occidente, la Cina potrebbe rafforzare le sue entrate e insieme potenziare la sua posizione in Asia rendendo i paesi della sua area strategica dipendenti da lei nell’autonomia militare. Un esempio di questo meccanismo sono i recenti accordi con le forze armate pachistane che acquisteranno un numero non specificato di elicotteri.
Ministero dell'Istruzione
Al via la seconda edizione dei Campionati Nazionali di Imprenditorialità, organizzata da Junior Achievement - Young Enterprise Italy ETS, in collaborazione con il #MIM.Telegram
Export militare, arriva l’ok del Senato alla modifica della 185
Arriva dal Senato l’approvazione del disegno di legge del governo che modifica la legge 185 sull’import-export della difesa. Con la decisione a Palazzo Madama, il provvedimento passa ora alla Camera dei deputati, dove dovrà passare la verifica della commissione Difesa prima di passare definitivamente in Aula. La principale riforma vede la reintroduzione presso la presidenza del Consiglio dei ministri del Comitato interministeriale per gli scambi di materiali di armamento per la difesa (Cisd), soppresso nel 1993. L’organo si occuperà di formulare gli indirizzi generali per l’applicazione della stessa legge 185, e in generale delle politiche di scambio nel settore della difesa. Una misura che, come riportato dalla legge stessa, segue “l’esigenza dello sviluppo tecnologico e industriale connesso alla politica di difesa e di produzione degli armamenti”.
Faranno parte del Cisd, che sarà presieduto direttamente dal presidente del Consiglio, i ministri degli Affari esteri, dell’Interno, della Difesa, dell’Economia e delle finanze, delle Imprese e del Made in Italy. Le funzioni di segretario saranno svolte dal sottosegretario alla presidenza del Consiglio con funzioni di segretario e alle sue riunioni potranno essere invitati di volta in volta anche altri ministri, qualora interessati al dossier in corso di valutazione.
La misura è stata ripetutamente invocata diverse volte dall’intero settore, con l’obiettivo di portare la responsabilità di una materia delicata come l’import-export militare sotto l’autorità politica più elevata. L’obiettivo di riunire la materia in un comitato di ministri ad hoc è rendere quella che adesso è una responsabilità, anche personale, di una sola figura – nella fattispecie il direttore dell’Uama – una responsabilità invece condivisa a livello politico. Una volta effettuata questa decisione dall’esecutivo, l’Uama potrebbe semplicemente occuparsi di rilasciare le dovute documentazioni e supervisionare la corretta applicazione amministrativa delle misure previste dalla legge.
Al momento, infatti, il ministro plenipotenziario che guida l’Uama ha una responsabilità diretta circa le decisioni da prendere sulla possibilità o meno di esportare (o importare) da un determinato Paese. Spetta a questo funzionario, dunque, una decisione molto delicata e un esame molto approfondito sull’aderenza di potenziali partner commerciali internazionali ai prerequisiti legali previsti dalla legge italiana, primo fra tutto il rispetto dei diritti umani. Compito non facile e potenzialmente foriero di implicazioni enormi.
Una modifica come quella prevista dal nuovo disegno di legge permetterebbe invece di accelerare i procedimenti sui permessi all’esportazione di sistemi d’arma, settore su cui si basa non solo la sostenibilità finanziaria del settore della difesa, ma l’economia stessa del Paese. Quasi il 70% del fatturato industriale del settore, infatti, dipende dall’export, un fatturato che vale 17 miliardi di euro, più o meno un intero punto percentuale di Pil.
L’Italia, inoltre, non è l’unico Paese che sta rivedendo le proprie regole sulle esportazioni della Difesa. Anche Tokyo e Berlino hanno di recente messo mano alle proprie norme, un segnale dell’importanza rivestita dalla materia e, in particolare, dell’impatto che le norme sull’export militare ha sui programmi congiunti internazionali. In particolare, il governo Fumio Kishida ha reso possibile per il Giappone esportare materiale d’armamento, attrezzature militari e tecnologie di difesa prodotte nel Paese del Sol levante sia verso i Paesi proprietari delle licenze, sia verso le Nazioni che si difendono da un’invasione. La decisione ancora non ricomprende il caso di prodotti co-sviluppati con partner internazionali a Paesi terzi, mancando un accordo tra i vari partiti di maggioranza, e in questo senso un progetto come il Global Combat Air Programme per sviluppare, insieme a Italia e Regno Unito, il caccia di sesta generazione resta per ora escluso dalla possibilità di esportazione da parte di Tokyo. Infatti, eliminare il divieto di esportare prodotti co-sviluppati ad altri Paesi rappresenterebbe un boost sostanziale alla sostenibilità dei progetti non solo per il Giappone, ma in generale per lo sviluppo dell’intero programma. Permetterebbe, infatti, al consorzio Gcap di avere nel Giappone un partner cruciale per la sua presenza nell’Indo-Pacifico, diventando una potenziale piattaforma per l’esportazione del sistema a Paesi partner come Australia o Corea del Sud.
Una ratio simile è stata seguita dalla ministra degli Esteri tedesca, Annalena Baerbock, che nel corso della sua visita in Israele aveva rivelato l’intenzione del governo federale di rimuovere il veto che impedisce l’esportazione di Eurofighter all’Arabia Saudita. Una decisione che segnò un importante cambio di passo in generale per il futuro dei progetti congiunti europei. Le restrizioni tedesche, infatti, sono state criticate a lungo dai Paesi partner dei diversi programmi, considerati delle limitazioni all’appetibilità dei sistemi per il timore dei Paesi acquirenti di rischiare di rimanere senza pezzi di ricambio per i propri velivoli, spingendoli potenzialmente ad affidarsi ad altri fornitori. Adesso, con la riapertura da parte di Berlino, i programmi congiunti, a partire dai caccia Eurofighter e Tornado (a cui partecipa anche l’industria italiana), potrebbero vedere allargarsi la lista di ordini, con una nuova spinta sui mercati globali.
Anche in questo caso il tema delle regole sulle esportazioni militari legate ai programmi congiunti riguarda da vicino anche i programmi di prossima generazione, con Berlino che è impegnata, insieme alla Francia, nella realizzazione del caccia di sesta generazione Fcas. Progetti all’avanguardia come Gcap, Fcas o l’Eurofigher richiedono investimenti massicci per essere sviluppati e infine prodotti, e i soli mercati interni dei Paesi partner non basta a ripagare gli investimenti.
Sono un medico americano a Gaza. Non ho visto una guerra ma l’annientamento
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di Irfan Galaria* – Los Angeles Times
(Traduzione di Federica Riccardi, foto di archivio)
Pagine Esteri, 22 febbraio 2024 – A fine gennaio ho lasciato la mia casa in Virginia, dove lavoro come chirurgo plastico e ricostruttivo, e mi sono unito a un gruppo di medici e infermieri in viaggio verso l’Egitto con l’organizzazione umanitaria MedGlobal per fare il volontario a Gaza. Ho lavorato in altre zone di guerra. Ma ciò a cui ho assistito nei 10 giorni successivi a Gaza non era una guerra, era l’annientamento. Almeno 28.000 palestinesi sono stati uccisi dai bombardamenti di Israele su Gaza.
Dal Cairo, capitale dell’Egitto, abbiamo guidato per 12 ore verso est fino al confine di Rafah. Abbiamo superato chilometri di camion di aiuti umanitari parcheggiati perché non potevano entrare a Gaza. A parte la mia squadra e altri inviati delle Nazioni Unite e dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, c’erano pochissime altre persone.
Entrare nel sud di Gaza il 29 gennaio, dove molti sono fuggiti dal nord, è sembrato come le prime pagine di un romanzo distopico. Le nostre orecchie erano stordite dal costante ronzio di quelli che mi hanno detto essere i droni di sorveglianza che giravano costantemente. I nostri nasi sono stati investiti dalla puzza di 1 milione di sfollati che vivevano in prossimità senza servizi igienici adeguati. I nostri occhi si sono persi nel mare di tende. Abbiamo alloggiato in una guest house a Rafah. La prima notte è stata fredda e molti di noi non sono riusciti a dormire. Siamo rimasti sul balcone ad ascoltare le bombe e a vedere il fumo che saliva da Khan Yunis.
Quando ci siamo avvicinati all’Ospedale Europeo di Gaza, il giorno dopo, c’erano file di tende che costeggiavano e bloccavano le strade. Molti palestinesi si sono avvicinati a questo e altri ospedali sperando che rappresentassero un rifugio dalla violenza – si sbagliavano.
La gente si è riversata anche all’interno dell’ospedale: ha vissuto nei corridoi, nei vani delle delle scale e persino nei ripostigli. Le corsie, un tempo ampie, progettate dall’Unione Europea per accogliere la circolazione del personale medico, delle barelle e delle attrezzature, erano ora ridotte a un passaggio a fila indiana. Ai lati, coperte appese al soffitto delimitavano piccole aree per intere famiglie, offrendo un briciolo di privacy. Un ospedale progettato per ospitare circa 300 pazienti stava ora lottando per assisterne più di 1.000 con altre centinaia di persone in cerca di rifugio.
Il numero di chirurghi locali disponibili era limitato. Ci è stato detto che molti sono stati uccisi o arrestati, e che non si sa dove si trovino e nemmeno se siano ancora vivi. Altri erano intrappolati nelle aree occupate del nord o in luoghi vicini da dove era troppo rischioso recarsi in ospedale. Era rimasto solo un chirurgo plastico locale, che copriva l’ospedale 24 ore su 24, 7 giorni su 7. La sua casa era stata distrutta, quindi viveva nell’ospedale ed era in grado di infilare tutti i suoi effetti personali in due piccole borse. Questa storia è diventata fin troppo comune tra il personale dell’ospedale rimasto. Quel chirurgo era fortunato, perché sua moglie e sua figlia erano ancora vive, mentre quasi tutti gli altri erano in lutto per la perdita dei loro cari.
Ho iniziato a lavorare immediatamente, eseguendo da 10 a 12 interventi al giorno, lavorando dalle 14 alle 16 ore di seguito. La sala operatoria tremava spesso a causa degli incessanti bombardamenti, che a volte avvenivano a intervalli di 30 secondi. Abbiamo operato in ambienti non sterili che sarebbero stati impensabili negli Stati Uniti. Avevamo un accesso limitato alle attrezzature mediche più importanti. Ogni giorno eseguivamo amputazioni di braccia e gambe, usando una sega Gigli, uno strumento dell’epoca della Guerra Civile, essenzialmente un segmento di filo spinato. Molte amputazioni si sarebbero potute evitare se avessimo avuto accesso ad attrezzature mediche standard. È stata una lotta cercare di curare tutti i feriti all’interno delle strutture di un sistema sanitario che è completamente collassato.
Ho ascoltato i miei pazienti che mi sussurravano le loro storie, mentre li portavo in sala operatoria per l’intervento. La maggior parte di loro stava dormendo nelle proprie case, quando sono state bombardate. Non potevo fare a meno di pensare che i più fortunati erano morti all’istante, per la forza dell’esplosione o per essere stati sepolti dalle macerie. I sopravvissuti hanno dovuto affrontare ore di interventi chirurgici e diversi passaggi in sala operatoria, mentre piangevano la perdita dei figli e dei coniugi. I loro corpi erano pieni di schegge che dovevano essere estratte chirurgicamente dalla carne, un pezzo alla volta.
Ho smesso di tenere il conto di quanti nuovi orfani avevo operato. Dopo l’intervento venivano messi da qualche parte in ospedale, senza sapere Il racconto del dottor Irfan Galaria: “Ho smesso di tenere il conto di quanti nuovi orfani avevo operato. Dopo l’intervento venivano messi da qualche parte in ospedale, senza sapere chi si sarebbe preso cura di loro o come sarebbero sopravvissuti. In un’occasione, un gruppo di bambini, tutti di età compresa tra i 5 e gli 8 anni, sono stati portati al pronto soccorso dai loro genitori. Tutti erano stati colpiti da singoli colpi di cecchino alla testa. Queste famiglie stavano tornando alle loro case a Khan Yunis, a circa 2,5 miglia dall’ospedale, dopo che i carri armati israeliani si erano ritirati. Ma a quanto pare i cecchini erano rimasti indietro. Nessuno di questi bambini è sopravvissuto.
L’ultimo giorno, mentre tornavo alla guest house dove la gente del posto sapeva che alloggiavano gli stranieri, un ragazzino si è avvicinato e mi ha offerto un piccolo regalo. Era un sasso della spiaggia, con un’iscrizione in arabo scritta con un pennarello: “Da Gaza, con amore, nonostante il dolore”. Mentre stavamo sul balcone a guardare Rafah per l’ultima volta, sentivamo i droni, i bombardamenti e le raffiche di mitragliatrice, ma questa volta c’era qualcosa di diverso: I suoni erano più forti, le esplosioni più vicine.
Questa settimana, le forze israeliane hanno fatto irruzione in un altro grande ospedale di Gaza e stanno pianificando un’offensiva di terra a Rafah. Mi sento incredibilmente in colpa per essere riuscito a partire mentre milioni di persone sono costrette a sopportare l’incubo di Gaza. Come americano, penso ai dollari delle nostre tasse che pagano le armi che probabilmente hanno ferito i miei pazienti. Già cacciate dalle loro case, queste persone non hanno un altro posto dove andare. Pagine Esteri
*Irfan Galaria è un medico con uno studio di chirurgia plastica e ricostruttiva a Chantilly, Va.
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In Cina e in Asia – Biden dice stop alla presenza delle gru cinesi nei porti degli Usa
I titoli di oggi: Biden dice stop alla presenza delle gru cinesi nei porti degli Stati Uniti Ucraina, l’Ue annuncia sanziona per la prima volta aziende cinesi Wang Yi chiede a Macron di rafforzare il commercio tra Cina e Francia Nelle aziende cinesi arrivano le milizie armate Il costo per crescere un figlio in Cina è il più alto al ...
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…e di lavoro si muore …ancora di più l La Città di Sotto
"Ufficialmente sono 1.041 le denunce di incidenti mortali sul posto di lavoro arrivate all’Inail in tutto il 2023. Vittime che aumentano a 1.466 se come riferimento prendiamo i dati dell’Osservatorio nazionale di Bologna, una fotografia indipendente che monitora e registra tutti i morti sul lavoro in Italia, anche quelli che non dispongono di un’assicurazione."
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Riciclaggio da Riga a Berlino attraverso Malta. Perquisizioni anche in Italia
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Oltre 100 perquisizioni in un'operazione su larga scala contro una rete criminale russo-eurasiatica e un istituto finanziario con sede a Malta presumibilmente coinvolto in servizi di riciclaggio di denaro svolte dalle autorità nazionali di Lettonia, Germania, Francia, Italia e Malta hanno effettuato. Per l'Italia hanno svolto le attività la Procura della Repubblica di Roma e la Guardia di Finanza - Nucleo Polizia Economica e Finanziaria di Roma. Quattro i sospetti che sono stati arrestati durante la giornata di azione sostenuta da #Eurojust ed #Europol. Potenziali sospettati e testimoni sono stati interrogati anche in Lettonia, Germania, Estonia e Malta.
Nel corso delle azioni sono stati impiegati oltre 460 agenti di polizia per effettuare le perquisizioni. La Germania ha inoltre schierato quattro agenti per supportare le indagini e le perquisizioni in Lettonia e Malta. Oltre agli arresti sono stati sequestrati diversi conti bancari e proprietà.
Dalla fine del 2015 l'istituto finanziario maltese ha riciclato almeno 4,5 milioni di euro in procedimenti criminali. La somma totale del denaro riciclato potrebbe ammontare a decine di milioni di euro. L'istituto finanziario e il gruppo criminale organizzato dietro di esso offrivano servizi di riciclaggio di denaro attraverso una rete di false imprese e individui che erano amministratori registrati, senza svolgere alcuna attività commerciale reale.
Il gruppo criminale organizzato operava principalmente da Riga e Berlino. Le indagini sono state avviate nel 2021 dalle autorità lettoni dopo aver notato trasferimenti di denaro insoliti dalla Lettonia all'istituto finanziario maltese. Contemporaneamente le autorità tedesche avevano avviato indagini su flussi di denaro sospetti che coinvolgevano lo stesso istituto finanziario.
Durante la giornata dell’azione, Europol ha inviato un esperto di riciclaggio di denaro in Lettonia e ha allestito un ufficio mobile presso il centro di coordinamento di Eurojust per supportare l’operazione. Da dicembre 2021 Europol sostiene le indagini fornendo analisi operative e finanziarie e competenze operative. L'Agenzia ha inoltre sostenuto la squadra investigativa comune e ha fornito sostegno finanziario al caso.
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Ministero dell'Istruzione
Il #MIM ha sottoscritto oggi il #Contratto collettivo nazionale integrativo sulla mobilità del personale della #scuola per l’anno scolastico 2024/2025.Telegram
Ministero dell'Istruzione
Oggi #21febbraio, nella Giornata nazionale del Braille, prosegue l’attività della Biblioteca “Luigi De Gregori” del #MIM per la valorizzazione dei testi scritti con il rivoluzionario alfabeto per non vedenti e ipovedenti.Telegram
Assange non ha nulla in comune con Navalny né col giornalismo
Spiace non poter solidarizzare con un uomo solo costretto metaforicamente in catene, ma i paragoni, parlando di Julian Assange, non reggono. Non regge, per cominciare, il paragone con Alexei Navalny. Navalny si è spontaneamente consegnato alla finta giustizia di uno Stato autocratico (la Russia) per tutelare la libertà altrui, mentre Assange si sottrae alla giustizia di uno Stato democratico (gli Stati Uniti) per tutelare la propria, personale libertà. E non regge il paragone fatto da molti, soprattutto nel mondo grillino, con i tanti giornalisti che rischiano la prigione per aver legittimamente esercitato la libertà di stampa. Il paragone non regge per il semplice fatto che Julian Assange non è un giornalista, ma un attivista politico e non utilizza gli strumenti del mestiere di giornalista, ma quelli dell’agente di un servizio di intelligence ostile.
Assange non ha diffuso informazioni ricevute da una fonte compiacente, le ha sottratte illegalmente. L’accusa, infatti, è di hackeraggio. Cioè di aver aiutato l’ex militare americano Chelsea Manning a decrittare le password del Pentagono e di altre agenzie statunitensi per mettere le mani su informazioni classificate: 250mila documenti segreti la quasi totalità dei quali non svelava alcun misfatto né alcuna illegalità. È stata una colossale opera di disvelamento di fonti riservate della Cia e di dispacci diplomatici segreti che è servita (quasi) solo a mettere a repentaglio operazioni in corso e relazioni diplomatiche, oltre che la vita di un numero ragguardevole di agenti americani e, soprattutto, di loro collaboratori afghani e iracheni. Un’operazione che ha il sapore dell’offensiva spionistica. Un gusto certificato dalla successiva collaborazione tra WikiLeaks e l’hacker russo Guccifer2.0, al soldo dei servizi segreti militari del presidente Vladimir Putin. Un’operazione che, giova ricordarlo oggi, fu realizzata ai tempi della campagna per le presidenziali americane, quando a competere erano Donald Trump e Hillary Clinton. Un’operazione evidentemente volta a screditare l’antagonista del magnate americano, notoriamente sintonico con gli interessi della Russia putiniana.
Spiace non poter solidarizzare con un uomo solo costretto metaforicamente in catene, ma i paragoni non reggono. Julian Assange non è un martire e non è un giornalista: è un attivista politico e molto lascia credere che la sua attività sia stata se non concordata di certo incoraggiata dagli apparati russi al solo scopo di mettere in difficoltà il paese capofila del fronte liberal-democratico occidentale a cui Vladimir Putin ha dichiarato guerra: gli Stati Uniti d’America.
L'articolo Assange non ha nulla in comune con Navalny né col giornalismo proviene da Fondazione Luigi Einaudi.
Kilonove, fabbriche di metalli pesanti l MEDIA INAF
"Secondo gli astronomi, nei giorni successivi a un evento di fusione, l’evoluzione della kilonova è essenzialmente caratterizzata dal decadimento radioattivo degli elementi più pesanti del ferro, sintetizzati durante la fusione."
Fincantieri guarda al Golfo. Così produrrà le sue navi negli Emirati
Firmato a Roma l’accordo tra Fincantieri ed Edge group, azienda specializzata dell’industria militare del Golfo, per un valore complessivo di trenta miliardi di euro, che prevede la creazione di una joint venture fra le due società al fine di cominciare a produrre i design di Fincantieri direttamente negli Emirati Arabi Uniti. La firma è avvenuta a Palazzo Marina a Roma tra Hamad Al Marar, ceo e direttore generale di Edge group, e Pierroberto Folgiero, ceo e direttore generale di Fincantieri, alla presenza del sottosegretario per la Difesa, Matteo Perego di Cremnago, il capo di Stato maggiore della Marina militare, ammiraglio Enrico Credendino, il segretario generale Difesa e direzione nazionale armamenti, generale Luciano Portolano, il presidente di Fincantieri, generale Claudio Graziano, e il direttore generale della divisione Navi militari, Dario Deste.
I dettagli dell’accordo
Grazie alla firma, Fincantieri ed Edge group prevedano la creazione di una joint venture che porterà alla nascita di una filiera per la costruzione di navi militari direttamente negli Emirati Arabi, per un valore di trenta miliardi di euro. Come registrato da Folgiero, l’obiettivo dell’intesa è “creare una piattaforma industriale unica nel suo genere in grado di cogliere con massimo spirito imprenditoriale e competenze distintive le notevoli opportunità di mercato che hanno origine negli Emirati”. La joint venture si occuperà delle operazioni commerciali e dello sviluppo e protezione delle proprietà intellettuali condivise. Questo accordo servirà anche ad aumentare le capacità di Edge nella costruzione di navi militari, in particolare le fregate, e faciliterà l’ingresso di Fincantieri nei mercati del Golfo. L’intesa prevede anche lo sviluppo di un programma di costruzione di sottomarini per l’industria emiratina permettendole di sviluppare e diversificare le sue capacità di produzione underwater.
I risvolti strategici
Nel quadro dell’accordo, il sottosegretario Perego ha fatto notare l’importanza e l’impatto che tale intesa avrà per le relazioni tra Italia ed Emirati Arabi Uniti, data “la volontà politica dei due Paesi di consolidare e rafforzare i rapporti di collaborazione nel settore marittimo già avviati l’anno scorso con la visita del ministro della Difesa e della presidente Meloni”. Per il sottosegretario, quella tra Italia ed Emirati è un’importante sinergia “che traccia ulteriori traiettorie lungo le quali possono nascere significative collaborazioni strategiche e strutturate in tutti i domini della Difesa”. Inoltre, sempre secondo Perego, questo accordo avrà importanti risvolti nello sviluppo di tecnologie militari e nell’ambito economico, “la cornice in cui le due importanti aziende possono sviluppare congiuntamente soluzioni innovative nel settore navale, a vantaggio dei mercati domestici e internazionali.”
Il lato emiratino
Questo accordo è parte dell’insieme di iniziative messe in atto dai Paesi del Golfo per modernizzare le loro forze armate e diversificare le loro economie diminuendo gradualmente la dipendenza della loro economia dall’esportazione di carburanti fossili. Come sottolineato da Al Marar, “attraverso questa joint venture con Fincantieri non stiamo solo espandendo le diverse capacità di Edge nella navalmeccanica, ma stiamo stabilendo un nuovo punto di riferimento per la collaborazione e lo scambio di conoscenze nell’industria marittima globale”. Per l’amministratore delegato della società araba, la partnership “incarna il nostro impegno verso l’innovazione, facendo leva sull’incomparabile expertise di Fincantieri”.
La presenza di Fincantieri nel Golfo
Questo accordo non è l’unica iniziativa del gruppo italiano per conquistare il mercato del Golfo. Già al World defense show di Riyad, Fincantieri aveva presentato la sua nuova fregata FCx30 nelle sue tre configurazioni (leggera, antisottomarino e completa) impegnandosi a costruire l’unità multiruolo in soli trentadue mesi. La compagnia ha deciso di adottare una tempistica così ambiziosa grazie al nuovo sistema di costruzione modulare. Applicando questo nuovo approccio il gruppo triestino sarà in grado di costruire in contemporanea lo scafo e l’albero della nave riducendo ampiamente i tempi di produzione. Il progetto di modularità prevede anche lo sviluppo di un modello informatico che andrà costruito in contemporanea con la nave affinché il lavoro sul software, una volta completata l’unità, sia ridotto al minimo. L’ad Folgiero ha spiegato che queste innovazioni permetteranno a Fincantieri di ridurre il tempo di costruzione standard di una fregata, ad oggi stimato in quaranta mesi.
La US Space Force lancia l’idea di una red line con Pechino. Di cosa si tratta
La US Space Force vuole un “telefono rosso” con Pechino, esattamente come quella nata tra Washington e Mosca dopo la Crisi dei Missili Cubani. E i motivi sembrano essere pressoché gli stessi.
“Dobbiamo ottenere il consenso dei nostri alleati e partner, ma è anche importante avere una comprensione condivisa con i potenziali avversari, in modo che non ci siano errori di calcolo… Questo è il valore della hotline, perché le norme internazionali non sono ancora ben stabilite, nonostante gli sforzi degli Stati Uniti per assumere un ruolo di leadership in questo settore”. Come riportato da DefenseOne, con queste parole il generale Anthony Mastalir, comandante delle forze spaziali statunitensi nell’Indo-Pacifico, ha commentato all’Air & Space Forces Association Warfare Symposium, la necessità di stabilire una linea di comunicazione diretta con Pechino per prevenire l’emergere di crisi nello spazio. Una necessità emersa alla luce del proliferare delle capacità anti-satellite cinesi, e della sfida che esse rappresentano per gli Stati Uniti.
Soprattutto considerando come, rispetto alle norme nei domini marittimo e aereo, le regole di ingaggio nello spazio rimangano piuttosto “immature”, come lo stesso Mastalir ha dichiarato. “Quando si pensa a un atto ostile o a una dimostrazione di intenti ostili nello spazio, cosa si intende? E tutte le nazioni hanno una visione condivisa di simili atti?”
Le armi antisatellite in orbita (comunemente note come Asat) della Cina rappresentano una fonte di grande preoccupazione per gli Stati Uniti; così come lo sono anche le capacità di disturbo e i sistemi ad energia diretta che la Cina sta costruendo. “Ciò che mi preoccupa maggiormente sono le capacità da cui dipendono le capacità di joint combined warfare nell’area dell’Indo-Pacifico, e molte di queste sono messe a rischio dalle capacità di energia diretta che la Cina sta costruendo, non solo per ‘abbagliare’, ma per essere distruttive” ha dichiarato il militare americano.
Nella memoria delle forze armate americane è ancora nitido il ricordo di quanto, nel 2007, la Repubblica Popolare decise di distruggere uno dei suoi stessi satelliti.
I leader militari statunitensi e cinesi hanno recentemente ripristinato le comunicazioni, dopo che la Cina le aveva interrotte nel 2022 a seguito della significativa visita condotta dall’allora presidente della Camera Nancy Pelosi sull’isola di Taiwan. Tuttavia, una linea diretta per le operazioni spaziali rappresenterebbe un nuovo e più canale di comunicazione tra funzionari cinesi e americani. Anche se non è la prima volta che una proposta simile viene mossa: già in passato infatti la US Space Force aveva sottolineato quanto fosse importante istituire una “red line” che tenesse in continuo contatto Washington con Pechino e Mosca, per evitare che si verificassero incidenti di sorta nell’orbita terrestre ed extraterrestre.
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Ue e Giappone giocano assieme in difesa. Ecco come
L’Unione europea ha deciso di avviare negoziati con il Giappone per giungere a un accordo di partenariato per la sicurezza e la difesa. Lo riferisce la stampa giapponese, che cita i contenuti di un documento approvato lunedì dal Consiglio Affari esteri dell’Unione.
Bruxelles punta a rafforzare le relazioni bilaterali con il Tokyo, negoziando un aumento della cooperazione in aree quali la sicurezza marittima, la condivisione di intelligence e la risposta ad “attacchi ibridi”, che includono tattiche non militari come “la disseminazione di informazioni false per conseguire obiettivi strategici”. La decisione europea giunge nel solco dell’impegno a “sviluppare ulteriormente il partenariato di difesa” assunto lo scorso luglio con il Giappone, in risposta alla crescente presenza militare della Cina nell’Indo Pacifico.
Nel documento, citato dalla stampa giapponese, il Giappone viene definito dall’Unione europea “un partner chiave nell’Indo-Pacifico”, area in cui la proiezione di alcuni dei 27 si sta facendo sempre più importante (tra questi c’è l’Italia). Le due parti sono, si legge ancora, “partner di lungo corso negli ambiti della pace, della sicurezza e della difesa, e hanno sviluppato significativamente le loro relazioni in queste aree negli ultimi anni”. Per questo, Bruxelles punta a “elevare la cooperazione al prossimo livello”.
Tra le aree potenzialmente interessate dal rafforzamento del partenariato di sicurezza figura la sicurezza marittima, anche tramite esercitazioni congiunte nell’Indo Pacifico. Ulteriori aree di possibile rafforzamento della cooperazione sono la protezione delle infrastrutture critiche, il coordinamento contro il terrorismo e la sicurezza e la difesa spaziale.
Nel decennio passato, l’approccio dell’Unione europea all’Indo-Pacifico era principalmente incentrato sulla connettività. La svolta è avvenuta nel 2021, all’indomani della pandemia Covid-19, con la nuova Strategia dell’Unione europea per l’Indo-Pacifico, che ha dimostrato la volontà di impegnarsi anche nella sicurezza e nella difesa. Dal vertice tra Unione europea e Giappone dell’anno scorso, poi, è emerso l’impegno a promuovere la cooperazione non solo in materia di sicurezza economica, ma anche di sicurezza e difesa, considerato in particolare che il confine militare e non militare diventato sempre più labile. In questo senso, l’Unione europea si muove in scia agli Stati Uniti e alla Nato.
La condivisione di informazioni rappresenta la base della cooperazione, anche per rafforzare la fiducia reciproca. Tocca poi all’impegno in sicurezza e difesa, dossier su cui l’Italia è in prima linea visto il Global Combat Air Programme che coinvolge anche Giappone e Regno Unito per la realizzazione dell’aereo stealth di sesta generazione.
Londra e Riga guidano la nuova coalizione di droni per Kyiv
Londa e Riga saranno anime gemelle in uno sforzo atto a rifornire Kyiv con migliaia di droni con firs-person view (Fpv), impiegati in enormi quantità lungo il fronte come surrogati delle loitering munitions. Secondo i media lettoni, alla coalizione dovrebbero aderire otto Stati, tra cui Germania e Paesi Bassi.
Giovedì 15 febbraio il Ministero della Difesa inglese ha diramato un comunicato stampa in cui si legge che almeno una parte dei droni che sarà inviata all’Ucraina sarà prodotta da enti della manifattura britannica, senza però identificare i fornitori di droni o specificare se Ministero della Difesa acquisterà modelli commerciali già disponibili o prodotti appositamente per un impiego militare. Quest’ordine sarà il primo impiego effettivo di un fondo di 200 milioni di sterline (pari a circa 252 milioni di dollari) istituito a gennaio dalla Gran Bretagna appositamente per fornire droni all’Ucraina. Il Primo Ministro Rishi Sunak ha annunciato a gennaio che, oltre a piccoli veicoli aerei a basso costo senza equipaggio, il Ministero della Difesa acquisterà droni d’attacco a lungo raggio, droni marini e altre tipologie nell’ambito dell’impegno.
Il Ministero della Difesa di Riga ha invece pianificato di stanziare circa dieci miliardi di euro all’anno per la produzione di questa tipologia di drone, esclusivamente con l’intento di rifornire le forze armate di Kyiv impegnate nel combattimento contro Mosca. Ma il ruolo della Lettonia non si esaurisce qui: il Paese dovrebbe ospitare una scuola di droni per gli operatori ucraini, oltre che stabilire un campo di prova per verificare le prestazioni dei droni.
Per l’Ucraina i droni si sono rivelati fondamentali nel tentativo di controbilanciare la schiacciante superiorità numerica della Russia nell’ambito delle munizioni a lungo raggio, come i proiettili d’artiglieria. I numeri parlano chiaro: attualmente l’Ucraina spara solo 2.000 proiettili contro i 10.000 della Russia. La carenza di munizioni comincia a far sentire i suoi effetti al fronte, tant’è che viene considerata una delle principali motivazioni dietro la decisione del Comando ucraino di ritirare le proprie forze dalla cittadina di Avdiivka, teatro di feroci combattimenti negli ultimi mesi a causa dei ripetuti tentativi russi di occupare la città.
Oltre a ricevere droni già assemblati l’Ucraina, così come la Russia, ne produce un gran numero anche a livello domestico, affidandosi a componenti a basso costo acquistati solitamente dalla Cina. Alcune varianti possono costare anche solo 400 dollari. L’Ucraina produce fino a 50.000 droni Fpv al mese, e spera di arrivare a produrne fino a un milione nel 2024.
“Insieme, (il Regno Unito e la Lettonia) daranno all’Ucraina le capacità di cui ha bisogno per difendersi e vincere questa guerra, per garantire che Putin fallisca nelle sue ambizioni illegali e barbariche” ha dichiarato al riguardo il ministro della Difesa britannico Grant Shapps in un comunicato.
Ministero dell'Istruzione
Il #MIM e il Comando Generale delle Capitanerie di Porto - Guardia Costiera bandiscono il #Concorso Nazionale "La Cittadinanza del Mare", rivolto alle studentesse e agli studenti delle scuole primarie e secondarie di I e II grado, statali e paritarie…Telegram