Italia decima al mondo per contributo del turismo al Pil. Giorgetti:”Possiamo fare meglio”
[quote]Con 258 miliardi di dollari l’Italia si piazza al decimo posto nella classifica globale per il contributo del turismo al Pil in termini assoluti
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HarmonyOS: 1 miliardo di dispositivi e un ecosistema open source in crescita
LaOpen Source Hongmeng Technology Conference 2025, recentemente svoltasi a Changsha, ha messo in luce i risultati raggiunti da HarmonyOS “Hongmeng” (鸿蒙) , il sistema operativo open source sviluppato da Huawei. Richard Yu, direttore esecutivo di Huawei e presidente del Device BG, ha dichiarato in un videomessaggio: “Negli ultimi cinque anni, grazie al supporto della Open Atom Open Source Foundation, l’industria, il mondo accademico e la ricerca hanno collaborato per sviluppare HarmonyOS come progetto open source, creando un vero e proprio miracolo nella storia dello sviluppo software cinese”.
Secondo i dati più recenti, la comunità open source di HarmonyOS conta oltre 9.200 collaboratori e più di 130 milioni di righe di codice contribuite fino al 31 agosto 2025 e il sistema operativo cinese è installato su quasi un miliardo di dispositivi. Il sistema operativo copre settori molto diversi, tra cui amministrazione pubblica, trasporti, finanza, energia, tutela delle acque e edilizia, affermandosi come il sistema open source in più rapida crescita.
L’avvio dell’open source risale a settembre 2020, quando la Open Atom Open Source Foundation ha integrato il codice delle funzionalità di base di HarmonyOS donato da Huawei, dando vita al progetto OpenHarmony. Da quel momento, tutte le aziende hanno potuto sviluppare versioni commerciali basate su questa piattaforma, tra cui il Hongmeng 5, rilasciato da Huawei.
Ban di Android e 6 anni per essere autosufficiente
Il progetto HarmonyOS nasce ufficialmente nel 2019, come risposta strategica di Huawei alla crescente incertezza geopolitica e tecnologica. L’idea iniziale era quella di sviluppare un sistema operativo distribuito, capace di operare su dispositivi diversi – dagli smartphone ai tablet, dai cruscotti per auto agli elettrodomestici connessi – offrendo un’esperienza utente uniforme e integrata.
La spinta decisiva allo sviluppo di HarmonyOS arrivò nel maggio 2019, quando il governo degli Stati Uniti inserì Huawei nella “Entity List”, impedendo all’azienda di ricevere tecnologia statunitense senza autorizzazioni speciali. Tra i blocchi più significativi c’era quello relativo a Google, che gestisce Android e i servizi Google Mobile Services (GMS). In pratica, Huawei si trovava di fronte all’impossibilità di aggiornare Android sui propri dispositivi con i servizi Google ufficiali.
Questo divieto accelerò in modo radicale l’autonomia tecnologica cinese.
Se prima il Paese poteva dipendere da sistemi controllati da altri, come Android o altre piattaforme americane, il ban ha imposto a Huawei e a tutta l’industria cinese di sviluppare soluzioni proprie, aperte e indipendenti. HarmonyOS non è quindi solo un sistema operativo: rappresenta un punto di svolta strategico, capace di ridurre la vulnerabilità tecnologica della Cina e di creare un ecosistema digitale nazionale competitivo.
Dal punto di vista della sicurezza e dell’intelligence internazionale, la situazione assume un peso notevole. L’incapacità di controllare il software cinese, che fino a pochi anni fa poteva essere influenzato indirettamente tramite piattaforme straniere, oggi appare come un errore strategico e di intelligence di proporzioni significative. La direzione è chiara: un sistema operativo completamente cinese, open source e distribuito, riduce la dipendenza da fornitori esterni e consolida l’autonomia nazionale, invertendo equilibri tecnologici che fino a poco tempo fa sembravano consolidati.
In sintesi, il ban su Android ha rappresentato più che un semplice ostacolo commerciale: ha accelerato l’indipendenza tecnologica cinese, trasformando un momento critico in un’opportunità storica per l’industria nazionale e per l’evoluzione di ecosistemi digitali propri, come HarmonyOS.
Accelerazione della crescita
Al 20 settembre 2025, i dispositivi HarmonyOS sono installati su un miliardo di dispositivi e HarmonyOS 5 hanno superato i 17 milioni, mentre l’App Store di HarmonyOS ospita più di 30.000 applicazioni e meta-servizi. Yu Chengdong ha sottolineato come la crescita sia stata rapida: “Ci sono voluti quasi 10 mesi per raggiungere i 10 milioni di dispositivi, e solo due mesi per raddoppiare fino a 20 milioni”, evidenziando una curva di adozione in accelerazione senza precedenti.
Questa impennata indica un punto di svolta nell’ecosistema: HarmonyOS sta passando da un sistema “usabile” a uno “facile da usare”, integrandosi profondamente nella vita quotidiana degli utenti. La piattaforma non si limita più a un singolo dispositivo, ma crea un’esperienza connessa tra telefoni, tablet, laptop, cruscotti per auto e dispositivi per la smart home, migliorando l’efficienza e la fruibilità dei servizi digitali.
Esperienza utente integrata
Gli utenti hanno iniziato a sperimentare una gestione più intuitiva delle funzioni quotidiane. Per esempio, attraverso HarmonyOS è possibile prenotare ristoranti o acquistare biglietti anche all’estero utilizzando app come Dianping, senza dover passare da applicazioni isolate. Weibo, invece, ha introdotto immagini HDR Vivid ad alta definizione, migliorando la qualità visiva dei contenuti quotidiani.
Questa integrazione tra sistemi e applicazioni permette di combinare scenari di vita reale con funzionalità digitali avanzate, creando un ecosistema fluido che cresce grazie al feedback degli utenti e all’ottimizzazione costante del sistema.
Co-creazione con sviluppatori e partner
HarmonyOS non è più solo il prodotto di un singolo fornitore, ma un ecosistema collaborativo. L’App Store di Hongmeng 5 conta oltre 9.000 applicazioni coinvolte in 70 esperienze innovative, mentre più di 100 piattaforme governative e aziendali hanno adottato il sistema, coinvolgendo circa 38 milioni di aziende.
Le app leader, come la versione Hongmeng di Xiaohongshu, hanno introdotto funzionalità innovative basate sul riconoscimento dei gesti, mentre Weibo ha migliorato l’esperienza visiva. Il design leggero e l’architettura flessibile di HarmonyOS permettono agli sviluppatori di testare e ottimizzare nuove funzionalità rapidamente, riducendo costi e tempi di sviluppo. Questo modello di co-creazione genera un ciclo virtuoso di feedback, innovazione e crescita continua.
Ecosistema digitale in espansione
Con più di 20 milioni di dispositivi, HarmonyOS ha raggiunto una scala critica che amplifica gli effetti di rete. Ogni nuovo utente e ogni nuova applicazione rafforzano l’intero ecosistema, incrementando la qualità delle interazioni e stimolando ulteriori innovazioni. L’adozione diffusa del linguaggio ArkTS e l’evoluzione della toolchain DevEco Studio hanno semplificato l’ingresso di sviluppatori di piccole e medie dimensioni, contribuendo alla biodiversità dell’ecosistema.
Il sistema opera oggi come un ciclo auto-rinforzante tra utenti, partner e sviluppatori: il feedback guida l’ottimizzazione, le innovazioni ampliano l’ecosistema e la crescita complessiva attira ulteriori utenti e aziende. HarmonyOS dimostra così che il valore di un ecosistema digitale risiede nella sua simbiosi, piuttosto che nella quantità di singoli nodi.
Verso il futuro
Secondo Richard Yu, HarmonyOS continuerà a svilupparsi trasformando il feedback degli utenti in esperienze sempre più integrate e funzionali. Il percorso di crescita del sistema operativo mostra come l’evoluzione digitale vada oltre la tecnologia, puntando alla creazione di un ecosistema collaborativo dove utenti, aziende e sviluppatori coesistono in un equilibrio virtuoso.
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Gestione della crisi digitale: la comunicazione è la chiave tra successo o fallimento
Negli ultimi anni gli attacchi informatici sono diventati una delle principali minacce per le aziende, indipendentemente dal settore. Se i reparti tecnici si concentrano sulla risoluzione dei problemi e sul ripristino dei sistemi, il vero banco di prova per un’organizzazione è la capacità di comunicare con il pubblico in modo chiaro e credibile.
In una crisi digitale, infatti, la reputazione rischia di subire danni spesso più pesanti delle perdite economiche derivanti l’attacco stesso.
La reputazione, un patrimonio fragile
La fiducia dei clienti, dei partner e persino dei dipendenti è un bene intangibile che si costruisce nel tempo e può essere compromesso in poche ore. Non è solo la gravità dell’attacco a determinare l’impatto sull’immagine aziendale, ma soprattutto la qualità delle informazioni che vengono trasmesse all’esterno.
Un’azienda che sceglie il silenzio o fornisce comunicazioni vaghe lascia spazio a interpretazioni negative e alla diffusione di voci incontrollate.
Al contrario, chi mostra trasparenza e mantiene un dialogo costante con gli utenti dimostra di avere la situazione sotto controllo, anche in condizioni di emergenza. La reputazione, in questo senso, diventa parte integrante della gestione della crisi.
Errori di comunicazione che danneggiano il brand
Durante un attacco informatico molte imprese cadono negli stessi errori, che finiscono per aggravare molto la crisi:
- Il silenzio totale. Non rilasciare alcun commento porta inevitabilmente i media e gli utenti a colmare il vuoto con supposizioni e notizie non verificate. Questo genera un danno reputazionale difficile da contenere.
- Troppi dettagli tecnici. Fornire un eccesso di informazioni può apparire come un segnale di panico e, in alcuni casi, offrire nuovi spunti agli stessi criminali. La comunicazione deve essere chiara ma sempre calibrata.
- Messaggi vaghi o impersonali. Minimizzare l’impatto o utilizzare un linguaggio troppo burocratico rischia di essere percepito come mancanza di sincerità, riducendo ulteriormente la fiducia del pubblico.
Queste strategie non proteggono il brand: anzi, creano un effetto boomerang che può durare ben oltre la fine dell’attacco.
La trasparenza come arma di difesa
Una comunicazione efficace durante una crisi informatica non significa divulgare ogni dettaglio tecnico, ma costruire un racconto chiaro e coerente. È fondamentale trasmettere tre messaggi chiave:
- Ammissione del problema, senza minimizzazioni.
- Azioni in corso, per dimostrare che il team tecnico e quello comunicativo stanno lavorando in sinergia.
- Tempistiche e aggiornamenti, per ridurre l’incertezza e mostrare che l’azienda è presente.
Questa trasparenza equilibrata è il miglior antidoto contro la diffusione di speculazioni, aiuta a rafforzare la credibilità e permette di mantenere neutro il tono delle conversazioni sui media e sui social.
PR e cybersecurity: una responsabilità condivisa
In passato la sicurezza informatica era considerata un ambito tecnico, affidato esclusivamente agli specialisti IT. Oggi è chiaro che la posta in gioco è molto più alta: la reputazione aziendale. Per questo motivo, i reparti di pubbliche relazioni devono essere coinvolti fin dai primi momenti della crisi.
Solo con un flusso costante di informazioni tra IT e PR è possibile fornire al pubblico aggiornamenti corretti e tempestivi. La mancanza di coordinamento, al contrario, espone l’azienda al rischio di comunicazioni incoerenti o contraddittorie, che aumentano la sfiducia e possono generare un danno di lungo periodo.
Verso un protocollo di comunicazione nelle crisi digitali
Ogni organizzazione dovrebbe predisporre in anticipo un protocollo condiviso per la gestione delle comunicazioni in caso di attacco informatico. Questo documento deve stabilire:
- i tempi entro cui fornire i primi aggiornamenti ufficiali;
- i canali da utilizzare (social, sito web, conferenze stampa);
- il portavoce autorizzato a parlare a nome dell’azienda;
- la linea di trasparenza da mantenere con clienti, partner e media.
Prepararsi prima significa evitare improvvisazioni durante la crisi e dimostrare professionalità, trasformando un momento critico in un’occasione per rafforzare la fiducia.
Conclusioni
La gestione di un attacco informatico non è soltanto un tema tecnico.
La comunicazione gioca un ruolo decisivo nel proteggere la reputazione aziendale. Le imprese che scelgono la trasparenza, la coerenza e la tempestività non solo riducono l’impatto immediato della crisi, ma possono persino rafforzare il legame con i propri clienti e stakeholder.
In un contesto in cui gli attacchi informatici sono sempre più frequenti, saper comunicare diventa un elemento strategico, al pari delle misure di difesa tecnologica.
Perché non si sta discutendo se verrai attaccato. Si sta solo discutendo come ne uscirai fuori dopo un attacco informatico. Ed è questa la cosa più importante sulla quale puntare.
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Bilanciare velocità e sicurezza! Questa la vera sfida del Vibe Coding
Il settore della sicurezza informatica sta vivendo una svolta: l’intelligenza artificiale sta diventando non solo uno strumento per gli sviluppatori, ma anche un’arma per gli aggressori. E di questo ne abbiamo parlato abbondantemente.
Questo concetto è stato portato all‘attenzione da Ami Luttwak, CTO di Wiz, spiegando che le nuove tecnologie ampliano inevitabilmente la superficie di attacco e che l’integrazione dell’IA nei processi aziendali accelera sia lo sviluppo che l’emergere di vulnerabilità.
Secondo Luttwak, accelerare lo sviluppo attraverso il vibe coding e l’integrazione di agenti di intelligenza artificiale spesso porta a bug nei meccanismi principali, come il sistema di autenticazione. Questo perché gli agenti eseguono i compiti assegnati letteralmente e non forniscono sicurezza di default.
Di conseguenza, le aziende sono costrette a bilanciare velocità e sicurezza, e gli aggressori stanno iniziando a sfruttare questo vantaggio. Ora creano exploit utilizzando prompt, gestendo i propri agenti di intelligenza artificiale e persino interagendo direttamente con gli strumenti aziendali, impartendo comandi come “trasferisci tutti i segreti” o “elimina file”.
Le vulnerabilità emergono persino nei servizi di intelligenza artificiale progettati per uso interno. Quando le aziende implementano soluzioni di terze parti per migliorare la produttività dei dipendenti, spesso cadono vittima di attacchi alla supply chain. È successo a Drift, una startup che offre chatbot per le vendite e il marketing. Una compromissione ha permesso all’azienda di ottenere token di accesso Salesforce da centinaia di clienti, tra cui Cloudflare, Google e Palo Alto Networks. Gli aggressori si sono mascherati da chatbot e hanno navigato nell’infrastruttura dei clienti, richiedendo dati ed espandendo il loro raggio d’azione.
Uno scenario simile è stato osservato nell’operazione s1ingularity contro il sistema di build Nx. Gli aggressori hanno iniettato codice dannoso che ha rilevato l’uso di strumenti di intelligenza artificiale come Claude e Gemini, reindirizzandoli poi alla ricerca autonoma di dati preziosi. Di conseguenza, sono stati rubati migliaia di token e chiavi, dando accesso a repository GitHub privati.
Sebbene Wiz stimi che solo l’1% delle aziende abbia integrato completamente l’intelligenza artificiale nei propri processi, gli attacchi vengono registrati ogni settimana e colpiscono migliaia di clienti. L’intelligenza artificiale è coinvolta in ogni fase della catena di attacco, dalla creazione di exploit all’avanzamento occulto all’interno dei sistemi.
Secondo Luttwak, l’obiettivo dei difensori ora è comprendere lo scopo delle applicazioni dei clienti e costruire una sicurezza orizzontale su misura per le esigenze specifiche di ogni azienda. Ha sottolineato che le startup che lavorano con i dati aziendali devono dare priorità alla sicurezza fin dal primo giorno.
Il set minimo include la nomina di un CISO, l’implementazione di registri di audit, un’autenticazione avanzata, il controllo degli accessi e il Single Sign-On.
Ignorare questi requisiti porta al cosiddetto “debito di sicurezza”, per cui le aziende inizialmente trascurano la sicurezza ma alla fine sono costrette a riprogettare tutti i loro processi per soddisfare gli standard attuali, il che è sempre difficile e costoso.
Luttwak ha posto particolare enfasi sull’architettura. Per una startup di intelligenza artificiale rivolta al mercato aziendale, è fondamentale considerare inizialmente la possibilità di archiviare i dati all’interno dell’infrastruttura del cliente. Questo non solo aumenta la fiducia, ma riduce anche il rischio di compromissioni su larga scala.
Luttwak ritiene che oggi tutti i settori siano accessibili alle startup informatiche, dalla protezione anti-phishing agli endpoint, fino all’automazione dei processi basata sull’intelligenza artificiale.
Tuttavia, ciò richiede una nuova mentalità: difendersi dagli attacchi che si basano sull’intelligenza artificiale tanto quanto lo fanno i difensori.
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Un’estensione barzelletta e cade Chat Control! Houston, abbiamo un problema… di privacy
Nel 2025 l’Unione Europea vuole avere il controllo totale sulle chat private. Il Regolamento “Chat Control” (proposta COM(2022)209) promette di combattere la pornografia minorile con la scansione dei messaggi privati su WhatsApp, Telegram, Gmail e simili. Nobile proposito nella teoria. Ma nella pratica vuol dire che qualsiasi messaggio che scrivi online potrebbe essere letto e analizzato da sistemi automatici, con conseguenze reali e immediate per la privacy di tutti. E poiché nessun sistema è inviolabile, possiamo farci due conti sul rischio che corriamo.
Per l’utente comune le conseguenze sono semplici ma concrete:
- Ogni messaggio diventa potenzialmente visibile a un algoritmo che lo valuta e lo categorizza.
- Le piattaforme dovranno introdurre strumenti di scansione, con errori e falsi positivi che possono portare a blocchi o sospensioni ingiustificati.
- La fiducia nelle chat private crolla: niente è più davvero “solo tra te e l’altro”.
E tutto questo mentre chi vuole davvero nascondersi non è il vicino timido – sono criminali, pedofili, terroristi ed estremisti politici pronti a usare qualsiasi mezzo per restare invisibili. Queste categorie continueranno a usare crittografia custom e canali offuscati; Chat Control finirà per colpire i cittadini onesti, lasciando impuniti i malintenzionati.
Aprirà backdoor e vulnerabilità sfruttabili da differenti categorie di malintenzionati dotati della giusta combinazione di competenze e motivazione.
Il risultato? Un sistema goffo, costoso, inefficace e potenzialmente dannoso per miliardi di utenti.
L’illusione del controllo
La narrativa ufficiale è semplice: costringiamo le Big Tech a inserire scanner automatici dei contenuti ovunque. “Niente più segreti, niente più abusi”. Un claim coinvolgente. Peccato che non funzioni così. Puoi obbligare una piattaforma a installare scanner, ma non puoi impedire a due persone determinate di criptare i loro messaggi sopra qualsiasi servizio. La crittografia non è un optional che si elimina con un intervento normativo.
Come dicevano i Cypherpunk nel 1993: “La privacy è necessaria per una società aperta nell’era elettronica. Non possiamo aspettarci che governi, aziende o altre grandi organizzazioni ci diano la privacy come un regalo.”
Serve una prova pratica? Eccola: github.com/F00-Corp/Asocial
Come ho creato un’estensione in un pomeriggio.
Ho preso Cursor, ho rifiutato di scrivere codice a mano e in poche ore ho sfornato un’estensione Chrome che cripta e decripta testi ovunque: LinkedIn, Reddit, Gmail, Twitter.
Funziona così:
- Scrivi un messaggio in un campo di testo;
- Premi Ctrl+Shift+E e guarda il tuo messaggio trasformarsi in un blob indecifrabile. Solo chi ha la chiave giusta potrà leggerlo. Addio, Grande Fratello europeo;
- L’estensione usa ECIES per l’incapsulamento delle chiavi con chiavi effimere per messaggio e AES-256-GCM per cifrare il payload. Le chiavi e i metadati restano locali, lo scambio avviene via JSON copy/paste;
- Pubblica il blob su qualunque social o campo testuale;
- Il destinatario importa la chiave e legge il messaggio originale, pulito e sicuro.
Dal punto di vista della piattaforma quel contenuto è solo rumore casuale. Buona fortuna a “scannerizzarlo”. Tutto diventa più costoso, non impossibile. Non si ostacola, ma almeno si aumenta l’effort anche per chi vorrebbe impiegare backdoor o vulnerabilità che saranno inevitabilmente generate da questo nuovo sistema di controllo.
La strategia di cypher squatting: occupare lo spazio, gratis e con stile
Non è solo crittografia, è strategia. Facciamo cypher squatting: usiamo qualsiasi piattaforma disponibile, gratuitamente, come canale per i nostri messaggi privati. Post, commenti, bio, descrizioni, paste su forum abbandonati, immagini con blob nei metadati – qualsiasi cosa che la piattaforma ospiti e non richieda server nostro. Noi non regaliamo i nostri pensieri, le nostre emozioni o le nostre parole a chi ci ospita. Lo facciamo intenzionalmente perché possiamo.
Perché funziona:
- Le piattaforme trattano quei blob come contenuto legittimo di utenti. Bloccarli in massa significherebbe rompere interi flussi di servizio e di business.
- Non serve infrastruttura aggiuntiva: usi lo storage pubblico della piattaforma come ponte.
- È resiliente: se un canale viene chiuso, se ne usa un altro. Ridondanza gratuita.
Questa non è una pretesa di eroismo, ma applicazione pragmatica di civiltà digitale. Rivendichi ciò che ti appartiene e lo chiudi con un lucchetto matematico prima di offrirlo alla piattaforma.
Perché è alla portata di chiunque
- Usa solo API standard di WebCrypto.
- Nessun server centrale necessario.
- Scambio chiavi con copy/paste semplice.
Se sai premere Ctrl+Shift+E, puoi proteggere le tue chat. Non serve essere un genio della NSA. L’Europa? Può solo guardare impotente. È software libero, è matematica, ed è replicabile in mille varianti.
Come scriveva The Mentor nel Hacker Manifesto: “Questo è il nostro mondo ora… il mondo dell’elettrone e dello switch, la bellezza del baud.”
I sistemi come Chat Control? Non potranno mai vincere contro un mondo che non si può controllare.
Mini panel tecnico (per non tecnici)
- Crittografia dei messaggi: ECIES (Elliptic Curve Integrated Encryption Scheme)
- Chiavi effimere per ogni messaggio per garantire forward secrecy
- AES-256-GCM cifra il testo e garantisce integrità
- Gestione delle chiavi: tutto locale
- File delle chiavi cifrato con password usando PBKDF2 + AES-256-GCM
- Ogni chiave memorizzata è cifrata separatamente
- Magic Codes: identificatori a 7 caratteri per trovare rapidamente le chiavi
- Nessuna rete coinvolta: tutte le operazioni avvengono sul tuo computer
In breve: i messaggi sono cifrati con ECIES + AES-GCM, le chiavi sono protette sul dispositivo, e ogni messaggio usa una chiave temporanea. Nessuno, piattaforma o governo, può leggere i contenuti senza acquisire la chiave corretta. Attenzione: non è un cheat code di invulnerabilità.
L’elefante nella stanza
Se l’UE volesse veramente fermare questo approccio dovrebbe vietare:
- AES, RSA, Curve25519 e tutto ciò che protegge VPN, pagamenti online e comunicazioni.
- L’uso di testo apparentemente casuale su rete pubblica (ciao ciao HTTPS).
In pratica dovremmo tornare all’era dei modem 56k oppure bisognerebbe vietare l’elettricità e il pensiero indipendente. Buona fortuna con quello.
La morale
Il Chat Control è stato venduto politicamente con un: “proteggiamo i bambini”. Ma è tecnicamente ridicolo: la crittografia è open source, riproducibile, e impossibile da cancellare.
Il risultato concreto è quel disastro annunciato già da parte di attivisti purtroppo inascoltati o ascoltati solo all’interno delle proprie bolle informative: sistemi insicuri per miliardi di utenti onesti, mentre i criminali veri – pedofili, terroristi ed estremisti – continueranno a operare indisturbati con pochi accorgimenti tecnici.
Oppure, come nel mio caso, con Ctrl+Shift+E e un po’ di cypher squatting. Pensate se ci si prenderà più di un pomeriggio. Come dice Morpheus in Matrix: “The Matrix is a system, Neo. That system is our enemy.” Il Chat Control è lo stesso sistema.
Cosa vogliamo da chi legge
Rifiutarsi di subire passivamente le invasioni della propria sfera personale è un bene. La privacy non è un optional ma un diritto umano fondamentale.Esprime il diritto di esistere senza etichette, di esprimersi senza essere categorizzati, indicizzati o manipolati. Finanche il diritto di poter essere nessuno. Quell’autodeterminazione informativa che purtroppo stiamo dimenticando per effetto di narrazioni confondenti.
Questa dimostrazione pratica dimostra una cosa semplice: difendersi da tecnologie di controllo invasive è molto più semplice di quanto si pensi. Mantenere IGIENE DEI DATI online e offline è un must-have: qualsiasi informazione che non volete pubblica non deve esistere in forma digitale. MAI.
Se l’estensione vi interessa, il repository su GitHub è pubblico – clonatelo, espandetelo, integrate le vostre idee e, se vi va, fatemi sapere cosa state combinando. Si tratta di uno spunto, forse una provocazione, un divertessiment di ricerca scientifica. Qualcosa che ho voluto però condividere.
Resistete, criptate e fate della privacy un’abitudine e non un optional teatrale.
Disclaimer: l’articolo è stato riletto e approvato da L4wCyph3r per evitare fraintendimenti.
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TOR Anonymizer v3.0: Protezione Avanzata per la Privacy Digitale
In un panorama digitale sempre più caratterizzato da sorveglianza di massa e raccolta indiscriminata di dati, la ricerca dell’anonimato online è diventata una necessità primaria per giornalisti, attivisti, ricercatori. È in questo contesto che emerge TOR Anonymizer v3.0, uno strumento che rappresenta un significativo salto di qualità nella protezione della privacy digitale.
Il vero punto di forza di TOR Anonymizer v3.0 sta nella gestione evoluta dei percorsi all’interno della rete Tor. A differenza di un client tradizionale, che si limita a creare connessioni elementari, questo strumento introduce un sistema avanzato capace di costruire collegamenti multi-hop con nodi scelti in modo strategico, così da rafforzare l’anonimato.
Gli entry guard vengono mantenuti stabili per ridurre i rischi di correlazione, mentre i circuiti vengono rinnovati automaticamente ogni dieci secondi con tempistiche variabili, rendendo imprevedibile l’attività di rete.
In parallelo, un meccanismo di controllo continuo analizza qualità e latenza di ciascun percorso, garantendo così efficienza e stabilità costanti.
Tra le componenti più sofisticate spicca il sistema di kill switch avanzato, che va ben oltre il classico interruttore di emergenza. Si tratta infatti di un meccanismo di monitoraggio continuo capace di analizzare fino a quindici parametri della connessione in tempo reale, individuando anomalie di latenza, perdita di pacchetti o pattern di traffico sospetti.
In presenza di irregolarità, il tool attiva immediatamente un protocollo di emergency shutdown multilivello, accompagnato da una procedura di bonifica che elimina ogni traccia digitale dalla memoria del sistema. In sostanza, anche la minima anomalia nella rete viene gestita con contromisure istantanee e mirate, rendendo estremamente difficile qualsiasi tentativo di de-anonimizzazione.
Uno degli aspetti più sofisticati è il sistema di generazione di traffico fittizio, che non si limita a inviare pacchetti a caso ma si basa su un algoritmo intelligente capace di riprodurre pattern di navigazione umana credibili.
Il motore simula visite a siti legittimi in modo casuale ma realistico, bilanciando in modo dinamico il rapporto tra traffico reale e offuscamento e modulando il volume delle comunicazioni artificiali in base all’attività dell’utente. In questo modo le tracce genuine vengono confuse all’interno di uno sfondo molto più ampio, rendendo la correlazione dei flussi estremamente ardua.
Il tool adotta contromisure sofisticate contro il browser fingerprinting: modula automaticamente gli user-agent seguendo schemi non prevedibili per impedire l’associazione diretta con un singolo client, altera dinamicamente gli header HTTP per imitare diversi browser e dispositivi, e gestisce in modo intelligente cookie e sessioni per ridurre tracce persistenti. A complemento, vengono falsificate impostazioni come fuso orario e localizzazione, così che i segnali raccolti dai siti appaiano incoerenti tra loro e diventi molto più difficile ricostruire un’identità univoca a partire dall’insieme di fingerprint.
In test indipendenti eseguiti su infrastrutture di laboratorio, TOR Anonymizer v3.0 ha mostrato risultati soddisfacenti: ha preservato l’anonimato nel 99,8% dei casi contro attacchi di correlazione di base e ha raggiunto un’efficacia del 97,3% anche contro tecniche avanzate di timing attack. La rotazione completa dell’identità digitale avviene in meno di due secondi, mentre l’overhead computazionale si mantiene contenuto, nell’ordine del 15-20% rispetto a una distribuzione Tor “vanilla”. Questi dati indicano che il tool offre un bilanciamento efficace tra robustezza della protezione e impatto sulle prestazioni.
Il sistema è stato progettato per resistere ad attacchi reali: prima di tutto seleziona con cura i nodi di ingresso per evitare che nodi malevoli si infilino nella rete. Quando serve, cambia rapidamente i percorsi di comunicazione e aggiunge traffico “falso” che imita l’uso normale, così da confondere chi cerca di collegare due punti della stessa sessione.
Per chi prova ad analizzare i pacchetti, l’informazione utile è frammentata e mascherata su più livelli, rendendo il lavoro degli attaccanti molto più difficile. Infine, ogni richiesta DNS passa esclusivamente attraverso la rete Tor, quindi non ci sono “fughe” che possano rivelare quali siti vengono visitati. In sostanza, il sistema combina più barriere complementari per proteggere l’anonimato in scenari complessi.
TOR Anonymizer v3.0 non è soltanto uno strumento operativo, ma si configura anche come una vera e propria piattaforma di ricerca. Grazie alla sua architettura modulare, offre la possibilità di sperimentare nuove tecniche di anonimizzazione in ambienti controllati, verificare in modo rigoroso l’efficacia delle contromisure contro la sorveglianza digitale e sviluppare algoritmi anti-fingerprinting da validare direttamente sul campo. In questo modo diventa non solo un tool per la protezione della privacy, ma anche un laboratorio flessibile per l’innovazione in ambito sicurezza.
Come per qualsiasi soluzione basata su Tor, l’efficacia complessiva di TOR Anonymizer v3.0 dipende direttamente dalla stabilità e dalla resilienza della rete Tor stessa. In periodi di sorveglianza intensificata o in caso di attacchi coordinati alla rete, anche gli strumenti più sofisticati possono vedere ridotta la capacità di garantire anonimato completo. È quindi fondamentale considerare lo stato della rete come un fattore critico nel mantenimento della privacy.
Per un operatore di sicurezza informatica, TOR Anonymizer v3.0 rappresenta uno strumento strategico per la protezione dell’anonimato e la sperimentazione di tecniche avanzate di difesa della privacy. Pur consapevoli che nessun sistema può garantire anonimato assoluto, l’adozione di strumenti come questo permette di ridurre significativamente la superficie di attacco, testare contromisure contro sorveglianza e fingerprinting, e integrare pratiche di offuscamento del traffico in scenari reali. La modularità e la trasparenza del tool ne fanno anche una piattaforma utile per valutare vulnerabilità della rete e rafforzare protocolli interni di sicurezza, fornendo un vantaggio operativo concreto nella gestione del rischio digitale.
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[quote]MILANO – Il 29 settembre, sette attiviste di Palestine Action Italia hanno bloccato l’ingresso principale della sede di Leonardo spa di Nerviano (Milano) incatenandosi al cancello e mostrando striscioni con…
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@Notizie dall'Italia e dal mondo
Dalla Generazione Z alle comunità indigene, cresce la contestazione contro un potere accusato di lawfare, repressione e sudditanza agli interessi delle élite
L'articolo Perù in fiamme, Bolouarte sotto accusa: contestata all’ONU e nelle piazze proviene da
Piano Trump, la giravolta di Netanyahu: “No al ritiro dell’Idf”. Smotrich: “Finirà in lacrime”
[quote]Il primo ministro si è anche detto contrario a uno Stato palestinese, scontrandosi ancora una volta con il programma discusso a Washington
L'articolo Piano Trump, la giravolta di Netanyahu: “No al ritiro dell’Idf”. Smotrich: “Finirà in lacrime” su
Eredità Agnelli, spunta nuovo testamento. I legali dei fratelli Elkann: “Non incide”
[quote]TORINO – La scansione di un testamento scritto a penna da Gianni Agnelli nel lontano 1998 ribalta l’eredità dell’Avvocato. “Lascio a mio figlio Edoardo la mia partecipazione nella società semplice…
L'articolo Eredità Agnelli, spunta nuovo testamento. I legali dei fratelli
UCRAINA. Giovani in fuga e accuse a Zelensky
@Notizie dall'Italia e dal mondo
Mentre le trattative tra Russia e Ucraina sono in stallo, i giovani fuggono dal paese e crescono le accuse di accentramento e autoritarismo nei confronti del presidente Zelensky
L'articolo UCRAINA. Giovani in fuga e accuse a Zelensky proviene pagineesteri.it/2025/09/30/mon…
LockBit 5.0: la minaccia cross-platform che sfida le difese enterprise
@Informatica (Italy e non Italy 😁)
LockBit, dopo anni di indiscussi primati nel cybercrime, dimostra di saper evolversi con una pericolosa efficacia. La scoperta di LockBit 5.0 da parte dei ricercatori di Trend Micro segna un punto di svolta nella guerra informatica: non siamo più di fronte a una semplice
LE ACCUSE DEI POLITICI OCCIDENTALI E DEI MEDIA CONTRO LA RUSSIA RIGUARDO AGLI INCIDENTI CON I DRONI IN EUROPA NON SONO CONFERMATE DAI RISULTATI DELLE VERIFICHE DELLA NATO E DEI SERVIZI DI INTELLIGENCE NAZIONALI - Berliner Zeitung
L'analisi mostra che la maggior parte degli incidenti fa parte di operazioni standard o è conseguenza delle interferenze dei jammer ucraini, senza prove di intenzioni militari da parte della Russia. Il giornale afferma che queste accuse infondate, amplificate dai media, creano un clima di paura utilizzato per giustificare il riarmo dell'Europa.
Info Defense
Creating Python GUIs with GIMP
GUI design can be a tedious job, requiring the use of specialist design tools and finding a suitable library that fits your use case. If you’re looking for a lightweight solution, though, you might consider just using a simple image editor with a nifty Python library that [Manish Kathuria] whipped up.
[Manish’s] intention was to create a better-looking user interface solution for Python apps that was also accessible. He’d previously considered other Python GUI options to be unimpressive, requiring a lot of code and delivering undesirable results. His solution enables the use of just about any graphic you can think of as a UI object, creating all kinds of visually-appealing possibilities. He also was eager to make sure his solution would work with irregular-shaped buttons, sliders, and other controls—a limitation popular libraries like Tkinter never quite got around.
The system simply works by using layered image files to create interactive interfaces, with a minimum of code required to define the parameters and performance of the interface. You’re not strictly limited to using the GIMP image editor, either; some of the examples use MS Paint instead. Files are on Github for those eager to try the library for themselves.
We’ve featured some neat GUI tools before, too, like this library for embedded environments. Video after the break.
youtube.com/embed/382ugrMfP8g?…
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TekaSketch: Where Etch A Sketch Meets Graph Theory
The Etch A Sketch was never supposed to meet a Raspberry Pi, a camera, or a mathematical algorithm, but here we are. [Tekavou]’s Teka-Cam and TekaSketch are a two-part hack that transforms real photos into quite stunning, line-drawn Etch A Sketch art. Where turning the knobs only results in wobbly doodles, this machine plots out every curve and contour better than your fingertips ever could.
Essentially, this is a software hack mixed with hardware: an RPi Zero W 2, a camera module, Inkplate 6, and rotary encoders. Snap a picture, and the image is conveyed to a Mac Mini M4 Pro, where Python takes over. It’s stripped to black and white, and the software creates a skeleton of all black areas. It identifies corner bridges, and unleashes a modified Chinese Postman Algorithm to stitch everything into one continuous SVG path. That file then drives the encoders, producing a drawing that looks like a human with infinite patience and zero caffeine jitters. Originally, the RPi did all the work, but it was getting too slow so the Mac was brought in.
It’s graph theory turned to art, playful and serious at the same time, and it delivers quite unique pieces. [Tekavou] is planning on improving with video support. A bit of love for his efforts might accellerate his endeavours. Let us know in the comments below!
youtube.com/embed/g_TLOn1jJWY?…
Klein has attempted to subpoena Discord and Reddit for information that would reveal the identity of moderators of a subreddit critical of him. The moderators' lawyers fear their clients will be physically attacked if the subpoenas go through.
Klein has attempted to subpoena Discord and Reddit for information that would reveal the identity of moderators of a subreddit critical of him. The moderatorsx27; lawyers fear their clients will be physically attacked if the subpoenas go through.#News #YouTube
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Lumafield Shows Why Your Cheap 18650 Cells Are Terrible
Lithium-ion cells deliver very high energy densities compared to many other battery technologies, but they bring with them a danger of fire or explosion if they are misused. We’re mostly aware of the battery conditioning requirements to ensure cells stay in a safe condition, but how much do we know about the construction of the cells as a factor? [Lumafield] is an industrial imaging company, and to demonstrate their expertise, they’ve subjected a large number of 18650 cells from different brands to a CT scan.
The construction of an 18650 sees the various layers of the cell rolled up in a spiral inside the metal tube that makes up the cell body. The construction of this “jellyroll” is key to the quality of the cell. [Lumafield’s] conclusions go into detail over the various inconsistencies in this spiral, which can result in cell failure. It’s important that the edges of the spiral be straight and that there is no electrode overhang. Perhaps unsurprisingly, they find that cheap no-name cells are poorly constructed and more likely to fail, but it’s also interesting to note that these low-quality cells also have fewer layers in their spiral.
We hope that none of you see more of the inside of a cell in real life than you have to, as they’re best left alone, but this report certainly sheds some light as to what’s going on inside a cell. Of course, even the best cells can still be dangerous without protection.
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Macintosh System 7 Ported To x86 With LLM Help
You can use large language models for all sorts of things these days, from writing terrible college papers to bungling legal cases. Or, you can employ them to more interesting ends, such as porting Macintosh System 7 to the x86 architecture, like [Kelsi Davis] did.
When Apple created the Macintosh lineup in the 1980s, it based the computer around Motorola’s 68K CPU architecture. These 16-bit/32-bit CPUs were plenty capable for the time, but the platform ultimately didn’t have the same expansive future as Intel’s illustrious x86 architecture that underpinned rival IBM-compatible machines.
[Kelsi Davis] decided to port the Macintosh System 7 OS to run on native x86 hardware, which would be challenging enough with full access to the source code. However, she instead performed this task by analyzing and reverse engineering the System 7 binaries with the aid of Ghidra and a large language model. Soon enough, she had the classic System 7 desktop running on QEMU with a fully-functional Finder and the GUI working as expected. [Kelsi] credits the LLM with helping her achieve this feat in just three days, versus what she would expect to be a multi-year effort if working unassisted.
Files are on GitHub for the curious. We love a good port around these parts; we particularly enjoyed these efforts to recreate Portal on the N64. If you’re doing your own advanced tinkering with Macintosh software from yesteryear, don’t hesitate to let us know.
Tre gravi falle scoperte in VMware vCenter e NSX: patch da applicare subito
Il 29 settembre 2025 Broadcom ha diffuso l’avviso di sicurezza VMSA-2025-0016, riguardante la correzione di tre vulnerabilità individuate nei prodotti VMware vCenter e VMware NSX. I bug, interessano diverse soluzioni dell’ecosistema VMware e presentano una gravità classificata come alta, con un punteggio CVSSv3 compreso tra 7,5 e 8,5.
Le falle coinvolgono i seguenti componenti e piattaforme:
- VMware vCenter Server
- VMware NSX e NSX-T
- VMware Cloud Foundation
- VMware Telco Cloud Platform
- VMware Telco Cloud Infrastructure
Dettagli sulle vulnerabilità
Le vulnerabilità identificate sono catalogate come CVE-2025-41250, CVE-2025-41251 e CVE-2025-41252.
CVE-2025-41250 – Iniezione dell’intestazione SMTP in vCenter
Una debolezza in VMware vCenter consente l’iniezione di intestazioni SMTP. Un utente con privilegi non amministrativi, ma autorizzato a creare attività pianificate, potrebbe manipolare le email di notifica inviate dal sistema. La vulnerabilità ha un punteggio CVSS massimo di 8,5.
- Risoluzione: installare le patch indicate nella Matrice di risposta.
- Ringraziamenti: segnalazione a cura di Per von Zweigbergk.
CVE-2025-41251 – Meccanismo di recupero password debole in NSX
VMware NSX presenta una falla nel sistema di recupero delle password. Un attaccante non autenticato potrebbe sfruttarla per enumerare nomi utente validi, aprendo la strada a possibili attacchi brute-force. Il problema è stato valutato con un punteggio massimo di 8,1.
- Risoluzione: aggiornamenti disponibili nelle versioni corrette indicate da Broadcom.
- Ringraziamenti: segnalazione attribuita alla National Security Agency (NSA).
CVE-2025-41252 – Enumerazione dei nomi utente in NSX
Un’ulteriore vulnerabilità in VMware NSX permette a un utente non autenticato di enumerare account validi, aumentando il rischio di tentativi di accesso non autorizzati. La criticità è stata valutata con un punteggio massimo di 7,5.
- Risoluzione: patch ufficiali disponibili nella Matrice di risposta.
- Ringraziamenti: anche in questo caso, segnalazione della National Security Agency (NSA).
Broadcom raccomanda l’immediata applicazione delle patch fornite per tutte le distribuzioni interessate. Al momento non sono previste soluzioni alternative o mitigazioni temporanee.
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0-day 0-click su WhatsApp! un’immagine basta per prendere il controllo del tuo iPhone
Qualche produttore di spyware starà probabilmente facendo ginnastica… strappandosi i capelli. Ma ormai è il solito teatrino: c’è chi trova, chi incassa, chi integra e poi arriva il ricercatore di turno a rovinare la festa — per etica o per qualsiasi altra ragione scenica.
Recentemente è stata individuata una falla di sicurezza in WhatsApp che consente l’esecuzione di codice remoto (RCE) senza necessità di clic (0-click). Questa vulnerabilità risulta essere già attivamente sfruttata dagli aggressori su piattaforme Apple, tra cui iOS, macOS e iPadOS.
I ricercatori di DarkNavyOrg hanno individuato una falla sfruttando due vulnerabilità, CVE-2025-55177 e CVE-2025-43300, in una proof-of-concept. Questa debolezza permette di compromettere i dispositivi in modo silenzioso, senza richiedere alcun intervento dell’utente.
Le vittime ricevono un file immagine DNG dannoso tramite WhatsApp e, dopo l’analisi automatica, subiscono il controllo completo del dispositivo. Lo sfruttamento inizia con CVE-2025-55177, un difetto logico critico nella logica di gestione dei messaggi di WhatsApp.
Per impostazione predefinita, WhatsApp non è in grado di comprendere che un messaggio in arrivo sia realmente originato da un dispositivo connesso autorizzato. Un aggressore può aggirare le verifiche di sicurezza iniziali e includere un file DNG contraffatto nella cronologia chat della vittima modificando la fonte del messaggio.
Poiché WhatsApp elabora i messaggi automaticamente, anche prima che l’utente li visualizzi, il payload viene recapitato senza avvisare la vittima. Una volta consegnato, il carico utile DNG malformato innesca la seconda falla, CVE-2025-43300. Questa vulnerabilità risiede nella libreria di analisi dei file DNG, dove un controllo improprio dei limiti provoca un errore di danneggiamento della memoria.
Quando il motore di elaborazione multimediale di WhatsApp tenta di analizzare la struttura DNG non corretta, sovrascrive le regioni di memoria critiche, consentendo a un aggressore di dirottare il flusso di esecuzione ed eseguire codice arbitrario sul dispositivo di destinazione. Uno sfruttamento riuscito comporta la compromissione completa del dispositivo e in questo scenario gli aggressori possono effettuare tutte le classiche operazione di un spyware:
- Esfiltrare dati personali, inclusi messaggi, contatti, foto e credenziali;
- Intercettazione dei flussi audio e video in diretta dalla telecamera e dal microfono;
- Installare backdoor persistenti o malware per l’accesso a lungo termine;
- Manipolare le impostazioni di sistema, disattivare le funzionalità di sicurezza o rimuovere le prove di compromissione.
Le vittime non hanno la possibilità di ispezionare o bloccare il payload dannoso prima dell’esecuzione e le protezioni standard degli endpoint potrebbero non contrassegnare il file DNG malformato come dannoso.
La società DarkNavyOrg è tuttora impegnata nell’investigazione degli exploit di tipo zero-click associati. Una vulnerabilità relativa a Samsung (CVE-2025-21043) è stata menzionata dal gruppo come attualmente in fase di studio. La recente serie di scoperte mette in evidenza la difficoltà costante nel salvaguardare i parser di file sofisticati all’interno delle app di messaggistica che operano su più piattaforme, ove persino formati sicuri come il DNG possono essere sfruttati come canali di attacco.
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In occasione del XXII Congresso Coscioni: “I diritti spiegati ai bambini – Laboratori sui temi della disabilità e dell’inclusione”
I diritti spiegati ai bambini
Laboratori sui temi della disabilità e dell’inclusione
Palazzo del Popolo, Piazza del Popolo 1 – Orvieto (TR)
Per il secondo anno, nel corso del Congresso, l’Associazione Luca Coscioni per la libertà di ricerca scientifica è lieta di organizzare i laboratori “I diritti spiegati ai bambini”, sui temi della disabilità e dell’inclusione. I laboratori si svolgeranno sabato 4 ottobre 2025, dalle 15.00 alle 18.00, e domenica 5 ottobre, dalle 10.00 alle 12.00.
Un viaggio per scoprire la ricchezza della diversità
I laboratori sono pensati per bambini dai 4 ai 10 anni e guidano i più piccoli alla scoperta dei diritti, dell’unicità di ciascuno e del valore dell’inclusione. Attraverso giochi, racconti e attività creative, i bambini saranno accompagnati a riflettere in modo semplice e coinvolgente sul rispetto, sulla collaborazione e sulla bellezza della diversità.
Obiettivi pedagogici
- Sviluppare empatia e sensibilità verso le difficoltà degli altri.
- Riconoscere e valorizzare le proprie unicità e quelle altrui.
- Imparare collaborazione, rispetto reciproco e sostegno.
- Trasformare le barriere in occasioni di crescita e inclusione condivisa.
Preannuncia la partecipazione dei tuoi figli! Invia una mail a laboratoribambini@associazionelucacoscioni.it indicando quanti bambini sono, l’età e le sessioni cui prenderanno parte.
L'articolo In occasione del XXII Congresso Coscioni: “I diritti spiegati ai bambini – Laboratori sui temi della disabilità e dell’inclusione” proviene da Associazione Luca Coscioni.
Testamento biologico e diritti nel fine vita – Incontro informativo in provincia di Pavia
Testamento biologico e diritti nel fine vita – Incontro informativo a Travacò Siccomario
Venerdì 17 ottobre 2025
Ore 21:00
Biblioteca Comunale “C. Protti”, Via Po 18 – Sala Ermanno Bonazzi, Travacò Siccomario (PV)
Un incontro pubblico aperto alla cittadinanza per approfondire il tema del testamento biologico (DAT – Disposizioni Anticipate di Trattamento) e, più in generale, i diritti nel fine vita.
Durante l’evento si parlerà:
- della legge 219/2017 su consenso informato e DAT,
- delle modalità per redigere e depositare le disposizioni,
- dello stato della normativa nazionale dopo la sentenza Cappato-Antoniani,
- delle nuove leggi regionali approvate in Toscana e Sardegna,
- del servizio gratuito di orientamento legale e medico-sanitario attivo con il nostro Numero Bianco.
Interverranno:
- Cristiana Zerosi e Alice Spaccini, membri della Giunta dell’Associazione Luca Coscioni.
Sarà inoltre l’occasione per presentare ufficialmente alla cittadinanza la nascita della Cellula Coscioni di Pavia, attiva sul territorio per promuovere libertà civili, autodeterminazione e accesso ai diritti.
Prenotazione consigliata: biblioteca@comune.travacosiccomario.pv.it
L'articolo Testamento biologico e diritti nel fine vita – Incontro informativo in provincia di Pavia proviene da Associazione Luca Coscioni.
Screenshots shared with 404 Media show tenant screening services ApproveShield and Argyle taking much more data than they need. “Opt-out means no housing.”#News
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What happened to RubyGems, Bundler, and the Open Source drama that controls the internet infrastructure.#Features
TikTok: The art of the (non) deal
IT'S MONDAY, AND THIS IS DIGITAL POLITICS. I'm Mark Scott, and I bring you an exclusive first look at the latest Star Wars epic coming to a cinema near you later this year.
— The United States has a deal to shift ownership of TikTok's US unit to American owners — or does it?
— Some of the biggest social media companies are speaking out of both sides of their mouths when it comes to online safety.
— Artificial intelligence is expected to boost global trade by at least a third by 2040, according to estimates from the World Trade Organization.
Let's get started
Ask Hackaday: How Do You Distro Hop?
If you read “Jenny’s Daily Drivers” or “Linux Fu” here on Hackaday, you know we like Linux. Jenny’s series, especially, always points out things I want to try on different distributions. However, I have a real tendency not to change my distro, especially on my main computer. Yet I know people “distro hop” all the time. My question to you? How do you do it?
The Easy but Often Wrong Answer
Sure, there’s an easy answer. Keep your /home
directory on a separate disk and just use it with a new boot image. Sounds easy. But the truth is, it isn’t that easy. I suppose if you don’t do much with your system, that might work. But even if you don’t customize things at the root level, you still have problems if you change desktop environments or even versions of desktop environments. Configuration files change over time. Good luck if you want to switch to and from distros that are philosophically different, like systemd
vs old-school init
; apparmor vs SELinux. So it isn’t always as simple as just pointing a new distro at your home directory.
One thing I’ve done to try out new things is to use a virtual machine. That’s easy these days. But it isn’t satisfying if your goal is to really switch to a new distro as your daily driver.
The Reason
Not a cuddly logo, but a good distro nonetheless.
The reason this came up is that I generally like KDE and was using Kubuntu for a number of years. They tend to lag a bit on the KDE desktop, so when KDE came out with Neon, I was sold. However, since they were both based on Ubuntu/Debian, there was a mostly working upgrade path to convert a Kubuntu installation to Neon.
Fast forward to today. Neon has been suffering lately. I hear there is one volunteer keeping it running. KDE has decided to shift focus to a new distro that does things I’m not crazy about (immutable system; Wayland). So it was time to hop again.
I’d heard that OpenSUSE was good at keeping up with KDE, and the rolling release of Tumbleweed appeals to me. So I made the switch.
The Hard Way
I am in no way suggesting you do this. It was a bad idea, and while it worked, it was a lot of effort. Even so, it only worked because I have way more disk storage than I need: my root file system is way under 3 TB, and I have about 9 TB of RAID as my primary hard drive. Of course, you should be backed up. But if you’ve ever had to restore from a backup, you know that’s no fun. Better to have it and not need it.
So what did I do? I used kvm to stand up a virtual machine, and then I installed Tumbleweed on it. I turned off the btrfs features since I didn’t plan to use them. Then I set about matching my Neon desktop. All the KDE settings. All the strange systemd
services and timers I have set up. The systems I use to run my own dynamic DNS. As much of everything as I could think of.
I got to the point where working in the VM was comfortable. My browsers and all my other tools were ready and configured.
You know I forgot something. I knew too, so I wanted to save things for reference. First, I booted from a live image and made a copy of my entire root file system under /NEON
. Then I rebooted and created a new virtual machine and booted a “live” ISO file on it.
A Hard Day’s Night
The next step was to copy the snapshot of the /NEON
directory into the VM. Sure, I could have used LVM snapshots or, if I were still using btrfs, a snapshot from that. But I have plenty of disk space, especially after pruning off some very large directories from the copy.
The key to this, by the way, is using the nbd
program to mount the VM’s disk image. You do need the nbd
module loaded, if you have it as a module, and then you export it using nbd
. From there, you get a device you can mount just like any other. I’d explain it, but you really shouldn’t be taking this as instructions. Still, if you need to do it, [shamil] has a good, concise explanation.
Of course, the new VM won’t boot. You have to bind
mount all the running directories (like /run
and /proc
) to the right mountpoint and then chroot
into the mounted file system. Once there, you can rebuild your init image and run grub
. After that, you should be able to boot into the old Neon system in the new VM.
The Beauty of It…
It has been a while since I’ve installed Linux from a CD, but you still have an ISO file.
So at this point, I had not made any changes to my main OS. I had a copy of it for backup purposes, and I was able to boot into a clone of it using a VM. I could also boot into the target system with a different VM.
The next step was to boot to a live image again and nuke nearly everything on the root file system except for /NEON
, and the VMs, of course, which were on separate drives.
I thought about running the Tumbleweed installer and then copying files from the VM, but instead I decided to just do it by hand. I copied the files from the new VM over to the real root drive, using nbd
again. Then I had to do the whole bind/mount/chroot/reinstall steps again.
Did It Boot?
It did, in fact, boot up. There were a few glitches, mostly due to self-inflicted problems. When I restored some large directories and some SSD-based temporary directories, I created some SELinux problems that were fun to track down. I had, of course, forgotten a few things installed deeply, too. But that wasn’t a problem. I could still go grab stuff from /NEON
or even boot the Neon install up in the VM to compare things.
I am about to the point where I will delete the extra copies of things. I’ve already released the Tumbleweed VM. But it occurs to me: I won’t do this again. That leads to my question for you. If you distro hop, how do you do it? Let us know in the comments. Then again, current thinking is to have a minimal system and then put everything in its own container anyway.
Again, I beg you, don’t follow my example. This was way too much work and risk. But I’m also crazy enough to relocate /usr.
10″ LEGO Tyre is Practical Nostalgia
If there’s one thing that has come to define the generations after the baby boom, it’s probably nostalgia. It’s heavily marketed and weaponized by the market: yearning for better, simpler times seems to be a core thread of the consumer economy these days. [Makerneer] combined his xilennial love of LEGO bricks with the flat tires on his log splitter to produce a 10″ TPU tyre will never go flat, and provide a dopamine release every time he sees it.
The tyre is a custom model to fit his particular rims, but he does provide STEP and F3D files if you’d like to try modifing it for your own purpose — they’re at Step 6 of the Instructable. Props to [Makerneer] for truly open-sourcing the design instead of just tossing STL files online. His build log also takes the time to point out the ways he had to modify the LEGO tyre profile to make it amenable to 3D printing: notably chamfering some of the tread pattern to eliminate bridging, which is a bit of a no-no with TPU.
As you can see in the (unfortunately vertical) demo video below, it’s a bit quite a bit squishier than a regular run-flat tyre, but that was part of [Makerneer]’s design goal. He didn’t like how rigid the non-pneumatic tyres he’d tried were, so endevoured to design something himself; the whole LEGO thing was just for fun. If you wanted to replicate this tyre with a bit less skoosh, you need only tune the infill on your print.
While only time will tell how long this LEGO-inspired add-on will continue adding whimsy to [Makerneer]’s log-splitting, we have tests to show it will outperform any other plastic he might have printed. This project is probably more practical than a 3D printed bicycle tyre, which doesn’t even have the side benefit of whimsy.
youtube.com/embed/_iNaEs9MEEw?…
Two Decades Of Hackaday In Words
I think most of us who make or build things have a thing we are known for making. Where it’s football robots, radios, guitars, cameras, or inflatable textile sculptures, we all have the thing we do. For me that’s over the years been various things but has recently been camera hacking, however there’s another thing I do that’s not so obvious. For the last twenty years, I’ve been interested in computational language analysis. There’s so much that a large body of text can reveal without a single piece of AI being involved, and in pursuing that I’ve created for myself a succession of corpus analysis engines. This month I’ve finally been allowed to try one of them with a corpus of Hackaday articles, and while it’s been a significant amount of work getting everything shipshape, I can now analyse our world over the last couple of decades.
The Burning Question You All Want Answered
Battle of the Boards, over the decades.
A corpus engine is not clever in its own right, instead it will simply give you straightforward statistics in return for the queries you give it. But the thing that keeps me coming back for more is that those answers can sometimes surprise you. In short, it’s a machine for telling you things you didn’t know. To start off, it’s time to settle a Hackaday trope of many years’ standing. Do we write too much about Arduino projects? Into the engine goes “arduino”, and for comparison also “raspberry”, for the Raspberry Pi.
What comes out is a potted history of experimenter’s development boards, with the graph showing the launch date and subsequent popularity of each. We’re guessing that the Hackaday Arduino trope has its origins in 2011 when the Italian board peaked, while we see a succession of peaks following the launch of the Pi in 2012. I think we are seeing renewals of interest after the launch of the Pi 3 and Pi 4, respectively. Perhaps the most interesting part of the graph comes on the right as we see both boards tail off after 2020, and if I had to hazard a guess as to why I would cite the rise of the many cheap dev boards from China.
The Perils Of The Corpus Maintainer
The astute among you might wonder why the figures on the graph above are not higher, because surely we have featured more Arduino or Raspberry Pi projects than that. And here we touch on a problem faced by anyone working with data. It comes down to this: are we looking at spotting the trends from the data, or absolute figures? When I built this corpus, I had to make two choices, one over how much I was allowed to stress Hackaday’s infrastructure, and the other in how much computing power and physical storage space I was prepared to give the project on my bench. I lack a computing cloud for my work, instead I have to rely on silicon and spinning rust I own, and to that there’s a finite limit.
Thus in building this corpus I reasoned that the more important words pertaining to each story would be nearer the start, and restricted myself to the title and first paragraph of each Hackaday piece, or about a hundred words. It’s definitely enough for trend analysis, but for obvious reasons if the word you are looking for is way down in the third or fourth paragraph, you’ll be disappointed. Furthermore if this technique angers you, don’t look too closely at how your oscilloscope samples higher frequency waveforms.
World Events Playing Out On Our 3D Printers
We’re not a world news site, but there are times when events intrude upon our world. Perhaps the greatest of these was the COVID pandemic, when for many people the world stopped. Hackaday kept going, but unsurprisingly there was a lot of discussion of the pandemic and the projects which surrounded it.
Do you remember the period in which governments were in a panic about not having enough ventilators? We had quite a few stories on the subject at the time, and they appear in the corpus. Fortunately it was pretty soon understood that home made ventilators would be dangerous so we were right to be cautious covering such projects.
Language Evolving Before Our Very Eyes
Rise Of The Retrocomputers!
When I started on my corpus software projects, I was interested in the relationships between words because I had spent a while working in the search engine business. Later on I became interested in using the same techniques to spot trends in news content which is what has sustained my interest, but there’s another use for these techniques.
In the dictionary business, lexicographers use corpus engines to track developments in language, and we can see that in action in Hackaday too. When did you first hear the term “Retrocomputer”? We’ve all been fooling around with old computers for years now, but in our corpus it first appeared in 2012. Since then it’s had a few ups and downs, but it remains on an upward trajectory. For the graph I combined all the various forms of the word, “retrocomputer”, “retrocomputing”, and so on.
So What’s Under The Hood?
Computers are not clever in themselves, they are merely very good at repetitively doing something you tell them to, for many hours without complaint. In this case, my computer is analysing and indexing a large body of text, and the way I’m doing it was arrived at over quite a few iterations. It’s a product of the hardware I had when i started work on it, an Intel Core laptop which was quite flashy for the mid-2000s, and then later a pair of always-on Raspberry Pi boards with USB hard drives. My problem was that if I tried to use any of the available databases to store my index they would quickly become unusable due to its immense size, so I arrived at a technique using flat files instead.We Brits only use the word “soccer” when Americans play it. From my UK news corpus, not from Hackaday.
You can run a version of my software yourself, it can be found in my GitHub repository. The processing script takes the text and splits it into sentences and words, then stores frequency and collocate data as a huge tree of small JSON files on a hard disk volume, the reasoning being that the filesystem is an extremely fast way to retrieve data categorised by directory and filename.
The version I’ve used only deals in single word phrases, but other versions have extended the directory tree based index to support multi-word phrases. You can also plumb in a part-of-speech tagger if you wish. The result is a fully functional corpus engine that can run on an original Raspberry Pi 1, not bad considering that it can mine multi-million-word corpora in an instant. Mine has the task of continually updating a corpus of news data, allowing me to watch events unfold in real time.
Now. Over To You
I have spent a lot of time over the last month getting the Hackaday corpus together and ready for analysis, and then more time gathering the data for and writing this story. I’ve only been able to show you a small amount of what’s in this trove of data, so perhaps there are trends you’d like to see explored. Use the comments below to request, and maybe I can show them in a follow-up.
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We are looking for an investor who can lend 45,000 US dollars to our company.
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With this budget, we will produce our own uniquely designed furniture through our contracted manufacturers and offer them to the global market. By producing in bulk (wholesale), we will significantly reduce production costs and be able to sell high-quality, durable, and aesthetically pleasing furniture at affordable prices.
With the budget of 45,000 US dollars you will invest in our company, we will produce our own designed furniture and sell it in the global market.
With the money you lend, we will have the company we have agreed on produce quality furniture for a certain amount of money and sell it on the international market.
Since our furniture will be produced wholesale, we will provide a cost advantage and will be offered to customers at affordable prices.
In short, we will be able to sell quality, beautiful-looking, comfortable furniture to people at affordable prices.
Since the furniture we produce will be made of cheap and high-quality materials, people will want to buy it quickly.
You know that furniture is a type of profession that has been very profitable for years and will provide us with a large profit in a short time.
Thanks to our experience in advertising, we will expand into international markets and make quick profits.
Because our advertising network is strong, we will be able to acquire a customer base from many countries in a short time.
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In short, you will receive back the 45,000 US dollars you lent to our company as 250,000 US dollars, and we will give you back your money in an increased amount.
We will contact you on March 22, 2026, and refund your winnings of 250,000 US dollars.
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