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Examining the First Mechanical Calculator


Blaise Pascal is known for a number of things, but we remember him best for the Pascaline, an early mechanical calculator. [Chris Staecker] got a chance to take a close look at one, which is quite a feat since there were only about 20 made, and today we only know where nine of them wound up.

This Pascaline was lost for many years, and turned up in an antique store, where they thought it was a music box of some kind. The recent owner passed away, and now this machine is going to go up for auction, probably for more than we can afford. While he wasn’t able to handle the antique, he has plenty of knock-offs that were made back when people actually used them, which wasn’t that long ago. One of these is transparent, so you can see the mechanism inside.

The idea is to use the wheels like an old-fashioned phone dial to add counts to an output wheel. A linkage moves the next input wheel every time the current output wheel passes nine. Of course, if you have a multi-digit carry, it might take a little more elbow grease than just flipping the dial one normal position.

The Pascaline could subtract, too, but modern versions use a more efficient method. Pascal was worried about the extra elbow grease required to push the carry, and the Pascaline actually stored energy to drive the carry mechanism. Pretty forward-thinking for someone building the very first mechanical calculator.

This Pascaline was unusual because it was made for surveying and used old French units. If it were made today, for example, it would have inch wheels that would carry a foot when they went past 11.

What a beautiful machine. You’d like to think that if you lived in the 1650s, you’d dream up this machine. But, to be honest, we probably wouldn’t. We can’t say anything about you.

We’ve seen Pascaline machines before, of course. While we love complex mechanical computers, there’s a certain charm to the simple ones, too.

youtube.com/embed/CROrLQpN6dc?…


hackaday.com/2025/10/26/examin…




Linux Day Napoli 2025 – Grazie!

nalug.tech/linux-day-napoli-20…

Segnalato dal LUG di #Napoli e pubblicato sulla comunità Lemmy @GNU/Linux Italia

Grazie! Anche questa edizione è giunta al termine. Mesi di febbrili preparativi che terminano in una giornata intensa e piena di cose da fare. La soddisfazione che si ha a fine evento è enorme! Ci

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la lega è in calo di consenso. ed ha preso un target a caso odiato dalla gente parlando di nuove tasse (qualsiasi cosa significhi) proponendo di infliggergli nuove tasse. un giochino fin troppo prevedibile. perlomeno se ti aspetti specifiche meccaniche di azione.


La Russia testa il nuovo missile a propulsione nucleare Burevestnik. Putin: "Arma unica"

una nuova tecnologia che fa la stessa cosa di una vecchia tecnologia forse non è così nuova... ma forse l'unica vera differenza è le vecchie armi russe è tecnologia ucraina e parti di ricambio ucraina... queste sono prodotte spero per putin senza dipendere da kiev... e questo è forse l'unico motivo per cui ha senso per lui gioire. è come se la russia fosse ripartita da zero.




Un altro atto storico del movimento di liberazione curdo: il ritiro dei combattenti dalla Turchia


È giunto il momento che il governo turco accolga le richieste del movimento di liberazione curdo e adotti le misure legali e politiche necessarie per rendere questo processo reciproco e bilaterale.

A seguito dell’annuncio odierno, il Congresso nazionale del Kurdistan (KNK) accoglie nuovamente con favore i passi coraggiosi e determinati compiuti dal movimento di liberazione curdo verso una pace giusta in Turchia.

In risposta all’appello per la pace e una società democratica lanciato il 27 febbraio dal leader del popolo curdo Abdullah Öcalan, la parte curda si è dimostrata determinata ad adottare misure concrete per giungere a una soluzione pacifica della questione curda. A seguito di questo appello, il PKK ha dichiarato un cessate il fuoco unilaterale il 1° marzo e ha successivamente convocato il suo 12° Congresso a maggio, annunciando la decisione del partito di sciogliersi e porre fine alla lotta armata. Per riaffermare le sue decisioni in materia di pace e una società democratica, 30 combattenti per la libertà curdi, guidati dalla co-presidente dell’Unione delle comunità del Kurdistan (KCK) Besê Hozat, hanno bruciato le loro armi in una cerimonia pubblica l’11 luglio.

Questa mattina è stato compiuto un altro passo. Nelle montagne del Kurdistan meridionale (regione del Kurdistan iracheno), il movimento di liberazione curdo ha annunciato il ritiro di tutti i combattenti dalla Turchia, in conformità con la decisione del 12° Congresso del PKK, per promuovere il processo di pace e società democratica.

L’annuncio è stato fatto da Sabri Ok, membro del Consiglio Esecutivo della KCK, insieme a 25 guerriglieri per la libertà, tra cui Vejîn Dersîm, membro del comando provinciale di di Serhat delle Unità femminili libere (YJA Star), e Devrîm Palu, membro del consiglio di comando delle Forze di difesa del popolo (HPG) giunti dal Bakurê Kurdistan del nord alle Zone di difesa di Medya, nel Kurdistan meridionale. La KCK ha chiesto che insieme al rilascio di Abdullah Öcalan, lo Stato turco adotti immediatamente misure legali e politiche specifiche.

È giunto il momento che il governo turco accolga queste richieste e adotti misure concrete per rendere questo processo bilaterale e reciproco. Lo storico processo di transizione può essere organizzato all’interno di un quadro specifico, e richiede che ad Abdullah Öcalan, l’architetto di questo processo, sia consentito di vivere e lavorare liberamente come capo negoziatore per la parte curda.

Invitiamo pertanto l’Unione Europea, il Consiglio d’Europa e tutti gli Stati che svolgono un ruolo in Medio Oriente a sollecitare il governo turco a trovare una soluzione politica alla questione curda. Le concessioni della parte curda sono una chiara dimostrazione della sua determinazione, perseveranza e convinzione nel trovare una soluzione pacifica e garantire una vita migliore a tutti i popoli della Turchia e della regione.

È necessario riconoscere e apprezzare i passi storici compiuti dalla parte curda. La Commissione Europea, gli Stati membri dell’UE e gli Stati Uniti dovrebbero utilizzare tutti i mezzi a loro disposizione per incoraggiare la Turchia a partecipare onestamente a questo processo e rimuovere immediatamente il PKK dalle loro liste di organizzazioni terroristiche.

Consiglio Esecutivo del Congresso Nazionale del Kurdistan

26.10.2025

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La prigioniera politica curda Zeynab Jalalian è tornata in prigione un giorno dopo l’intervento chirurgico


La prigioniera curda Zeynab Jalalian, condannata all’ergastolo, è stata riportata nella prigione di Yazd solo un giorno dopo essere stata sottoposta a un intervento di embolizzazione dei fibromi, nonostante il peggioramento delle sue condizioni di salute.

Kurdistan Human Rights Network (KHRN) ha riferito che, a fronte del peggioramento delle sue condizioni e della crescente pressione internazionale, Zeynab Jalalian è stata recentemente trasferita sotto stretta sorveglianza in un ospedale privato di Yazd, dove è stata sottoposta all’operazione. Durante il trasferimento indossava catene alle caviglie. Tuttavia è stata riportata in carcere solo 24 ore dopo, prima di completare le necessarie cure post-operatorie.

Negli ultimi mesi, le autorità carcerarie hanno ripetutamente bloccato il suo trasferimento in ospedale e le hanno negato l’accesso alle cure mediche, adducendo vari pretesti, mentre la sua salute continuava a peggiorare.

Il 16 settembre 2025, un gruppo di 22 organizzazioni per i diritti umani e 13 difensori dei diritti umani, coordinati da REDRESS e KHRN, hanno rilasciato una dichiarazione congiunta chiedendo il suo immediato accesso alle cure mediche, la fine delle molestie e delle minacce e il suo rilascio incondizionato.

In precedenza, il 1° maggio, nove relatori speciali delle Nazioni Unite avevano espresso seria preoccupazione per la detenzione prolungata e arbitraria di Jalalian, il suo peggioramento delle condizioni di salute e le segnalazioni di torture e altre forme di maltrattamento. Avevano esortato le autorità iraniane a garantirle l’accesso immediato e incondizionato a cure mediche adeguate in un ospedale civile indipendente, avvertendo che “il tempo è essenziale”.

Zeynab Jalalian, a cui sono state negate le visite dei familiari per diversi anni, continua a soffrire di molteplici problemi di salute. Nonostante ciò, l’organizzazione di medicina legale di Yazd l’ha dichiarata idonea alla detenzione.

Nel frattempo, gli organi di sicurezza hanno subordinato il suo rilascio alla manifestazione di rimorso e pentimento.

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Assemblea nazionale di Rete Kurdistan Italia


Le popolazioni del Kurdistan e del Medio Oriente stanno vivendo un passaggio cruciale. Dopo anni di guerra, invasioni e tentativi di cancellazione politica e culturale, si apre oggi un nuovo scenario complesso: la prospettiva di un processo di pace in Turchia e il futuro incerto delle conquiste curde in Siria e in Iraq.

Il 12° congresso del Pkk ha sancito la fine della lotta armata e la volontà di portare avanti la battaglia sul piano politico, con l’annuncio ufficiale dello scioglimento dell’organizzazione armata e la nascita di una prospettiva politica che mira a trasformare la tregua in un percorso di pace irreversibile.

Una commissione parlamentare, sostenuta dalla maggior parte dei partiti turchi, sta ora discutendo il percorso di pace. La sfida è enorme: superare decenni di conflitto, cambiare leggi liberticide, democratizzare la Turchia e garantire giustizia per tutte le comunità.

Anche la caduta del decennale regime di Bashar Assad ha aperto nuove prospettive e pericoli. Negli ultimi mesi Ankara ha intensificato la pressione contro le Forze democratiche siriane (Sdf), l’alleanza curdo-araba che ha guidato la resistenza contro l’Isis. Il governo turco continua a considerare le Sdf una mera emanazione del Pkk e il presidente turco Erdogan minaccia nuove operazioni militari contro il Rojava se i curdi non accetteranno lo scioglimento delle proprie strutture difensive. Dietro queste minacce si nasconde la volontà di liquidare l’esperienza dell’Amministrazione autonoma democratica della Siria del nord-est.

La risposta curda è arrivata con chiarezza da parte di Abdullah Öcalan: il Rojava è una linea rossa. La prospettiva di cancellare le conquiste democratiche dei curdi non è accettabile né in Siria né in Turchia. Allo stesso tempo, nel Kurdistan del sud (Iraq), aree come Shengal e Makhmour continuano a subire attacchi e restrizioni, nel silenzio della comunità internazionale.

Oggi più che mai è vitale rafforzare gli sforzi di solidarietà con il popolo curdo e di pressione sul governo turco affinché le prospettive di pace si realizzino e il conflitto lasci spazio alla lotta politica e civile.

È in questo contesto che invitiamo tutte e tutti all’Assemblea nazionale di Rete Kurdistan in Italia, aperta a realtà organizzate, movimenti e singoli solidali con il popolo curdo. Sarà un momento per discutere insieme del nuovo scenario, delle responsabilità internazionali, del ruolo della solidarietà dal basso e delle prospettive per la costruzione di un Medio Oriente libero, democratico e giusto.

Programma;

10:00 Aggiornamenti da Turchia, Siria, Rojava, Iraq, Campo di Makhmour, Shengal e Iran

A seguire dibattito

13:30 – 15:00 Pranzo

A seguire dibattito, presentazione progetti e programmazione

Bologna, 25 Ottobre 2025 – dalle ore 10:00 presso Centro Sociale TPO, Via Casarini 17/5

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Tempo di speranza: il futuro del processo di pace in Turchia e nel Levante


Un incontro con il giornalista turco, torinese di adozione, MURAT CINAR, per discutere del processo di pace in corso tra kurdi ed Erdogan, il futuro del Rojava, il disarmo del Partito dei Lavoratori del Kurdistan, i riflessi sull’area mediorientale.

“C’è un uomo che dal profondo di una cella, su un’isola, in mezzo al Mar di Marmara, dove è stato tenuto in isolamento per oltre 26 anni, proprio come Nelson Mandela, ci parla di pace dopo 41 anni di conflitto armato tra guerriglia del Pkk ed esercito turco, mentre il mondo precipita in un abisso bellico e prevalgono logiche di sterminio di interi popoli…”

SABATO 11 OTTOBRE ALLE ORE 15.30
LABORATORIO CIVICO “CARLA NESPOLO”
VIA FAA’ DI BRUNO 39 – ALESSANDRIA
Al termine, ricco buffet.

Non mancate! Per info: 335 7564743 Organizza:
Associazione Verso il Kurdistan – ANPI di Alessandria – Città Futura

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“Çand”- festival della cultura curda


Arriva “Çand”- festival della cultura curda. Dal 16 al 18 ottobre, al Centro Socio Culturale Ararat (largo Dino Frisullo). Tre giorni di musica, cinema, letteratura, danza, buon cibo e tutta la poesia del crepuscolo nel cuore di Testaccio.

Tutti i giorni porte aperte dalle 17.30 con mostre fotografiche, infoshop e cena a cura della comunità curda di Roma.

L’iniziativa è promossa e sostenuta dall’Assessorato alla Cultura di Roma in collaborazione con l’Ufficio d’Informazione del Kurdistan in Italia e con il supporto di Zètema Progetto Cultura.

#CultureRoma

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500.000 persone sotto assedio a Sheikh Maqsood e Ashrafiyah


HTS ha imposto un blocco nei quartieri di Sheikh Maqsoud e Ashrafiyeh. Moschee, scuole e ospedali sono stati trasformati in quartieri generali militari. Almeno 42.000 famiglie sono senza carburante. Hay’at Tahrir al-Sham (HTS), guidata da Ahmed al-Sharaa (noto anche come Jolani), continua a violare l’accordo firmato il 10 marzo con Mazloum Abdi, comandante generale delle Forze democratiche siriane (SDF), intensificando i suoi attacchi nelle aree dell’amministrazione autonoma. Le fazioni affiliate a HTS, che hanno intensificato la loro attività da Deir Hafir a Tishrin e Aleppo, stanno prendendo di mira specificamente i quartieri di Sheikh Maqsood e Ashrafiyah nel tentativo di provocare scontri.

Durante i primi anni della crisi siriana, Sheikh Maqsood e Ashrafiyah furono presi di mira prima da al-Nusra e poi dall’ISIS. Adesso i due quartieri, che ospitano circa 50.000 famiglie (circa 500.000 persone), sono sotto assedio da parte di HTS. Delle sette strade principali che li collegano ad Aleppo, tre sono state bloccate con barricate di terra.

Come parte dell’accordo del 10 marzo, il 1° aprile è stato firmato un accordo tra l’Assemblea Generale dei quartieri di Sheikh Maqsood e Ashrafiyah e HTS per istituire posti di blocco congiunti lungo la strada principale. Tuttavia le fazioni di HTS hanno violato l’accordo 77 volte, effettuando sorveglianza con droni e rapendo civili. Hanno anche trasformato strutture pubbliche, come l’ospedale Asturiyan, in postazioni militari.

Gli svincoli di El Yarmouk, El Jindol, El Hadiqa Road, El Shihan Road, Telia Ashrafiyeh Road, El Ewarid Road e El Cezira Road collegano i quartieri ad Aleppo. Ma negli ultimi giorni, le forze di HTS hanno bloccato diverse di queste vie di comunicazione, tra cui Yarmouk Road a ovest di Sheikh Maqsoud, El Jindol Junction a nord e Nadiya El Cela Road.

Damasco vuole soffocarci

Parlando della situazione con Yeni Özgür Politika , Nuri Shekho, co-presidente dell’Assemblea generale dei quartieri di Sheikh Maqsood e Ashrafiyah ha dichiarato: “Il governo di Damasco vuole soffocarci. Quello che sta succedendo ora non è diverso da quello che faceva la Quarta Brigata del regime Baath”.

Nuri Shekho ha osservato che da quando HTS ha preso il controllo di Damasco nel dicembre 2024 ha attuato una politica di “vendetta”, perpetrando massacri, repressioni ed epurazioni in diverse città. “Stanno cercando di imporre un governo monolitico ovunque vadano. Uno stato o un potere fondato sulla vendetta potrà mai avere successo?”, ha chiesto. Sottolineando che i gruppi responsabili dei massacri di alawiti, drusi e cristiani stanno ora prendendo di mira i curdi, in particolare in questi due quartieri, Shekho ha avvertito che, mentre sono in corso colloqui per risolvere la situazione, HTS sta creando le condizioni per il conflitto.

HTS ha istituito da 25 a 30 posti di blocco che si estendono da ovest a nord di Aleppo, isolando i quartieri e interrompendo la rotta Deir Hafir-Regione di Cizire che collega Aleppo ai territori dell’Amministrazione Autonoma. Gli abitanti del posto sono ora costretti a utilizzare percorsi alternativi attraverso i villaggi di Hama, con una deviazione di 300 chilometri. Nel frattempo, i giovani che percorrono la strada di Deir Hafir vengono arrestati con il pretesto di avere legami con le SDF. Secondo fonti della Sicurezza Interna (Asayish), più di 20 persone sono state arrestate.

Damasco approva gli attacchi ma non può garantire la sicurezza

Shekho ha sottolineato che contro i quartieri è in corso una guerra particolare. Oltre a Emshat e Hamzat, nell’assedio sono coinvolti anche gruppi militanti stranieri, tra cui uiguri e turkmeni. “Questi gruppi prendono ordini direttamente dallo Stato turco. Sono pesantemente armati e non hanno legge, giustizia o moralità. Minacciano: “Se non consegnate le armi e non obbedite, il vostro destino sarà come quello di Serekaniye e Gire Spi”. Il silenzio di Damasco significa due cose: approvazione e incapacità di garantire la sicurezza”.

Le persone vengono uccise e le case sequestrate

Shekho ha anche descritto la tensione e l’insicurezza diffuse ad Aleppo: “Le case della gente vengono sequestrate, ci sono arresti, furti e uccisioni quotidiane. Vogliono imporre lo stesso nei nostri quartieri. La pressione militare e politica ha un impatto diretto sulla vita quotidiana. Ma entrambi i quartieri si rifiutano di arrendersi in qualsiasi circostanza. Continuiamo i colloqui per trovare una soluzione”.

Ha aggiunto: “Il cosiddetto governo ad interim ha respinto il progetto di uguaglianza, democrazia e libertà. Al contrario, impone sfollamenti, distruzione, oppressione e crisi. HTS sta imponendo uno stato sunnita a tutti i popoli”.

Militanti portati da Afrin

Hevîn Suleiman, co-presidente dell’Assemblea generale dei quartieri di Sheikh Maqsoud e Ashrafiyeh, ha dichiarato che i militanti hanno occupato ospedali, moschee e scuole. Rispondendo alla domanda sul perché il governo ad interim non stia risolvendo il problema ha dichiarato: “Quando solleviamo la questione con loro dicono che si tratta di ‘gruppi fuori controllo’. Le fazioni Emshat e Hamzat di Afrin sono state trasferite ad Aleppo. Lo abbiamo segnalato a Damasco, ma non c’è stata alcuna risposta, nessuna iniziativa. Di conseguenza l’accordo del 1° aprile non viene attuato, perché la Turchia vuole sabotarlo e distruggere il sistema attuale. Questi combattenti stranieri stanno cercando di prendere il controllo di Sheikh Maqsoud. La minaccia è costante”.

Hevîn ha osservato che l’Amministrazione Autonoma sta cercando di far rispettare l’accordo e di risolvere la crisi attraverso il dialogo: “I comitati congiunti devono cooperare ma a causa di interferenze esterne tutto questo nella pratica non è ancora avvenuto. Il governo ad interim vuole assorbire le nostre istituzioni. Ma insistiamo affinché tutti i popoli siedano al tavolo delle trattative con le proprie identità. La vita in questi quartieri dovrebbe servire da modello per tutta la Siria. Stiamo adottando precauzioni, ma non stiamo interrompendo il dialogo. Vogliamo una Siria decentralizzata che rappresenti tutti i colori, le identità e le culture. Il governo ad interim di Damasco, tuttavia, vuole un governo centralizzato”.

Oltre 40.000 famiglie senza carburante

Suleiman ha sottolineato come gli attacchi influiscano sulla vita quotidiana a Sheikh Maqsood e Ashrafiyah: “I servizi pubblici e sociali di base sono interrotti. Ancora più importante, le consegne di gasolio sono bloccate. L’inverno si avvicina. Ci sono malati, anziani e bambini. Se il gasolio non arriva, ci sarà una grave crisi di elettricità e riscaldamento”.

HTS, che ha chiuso la strada Aleppo-Raqqa vicino a Deir Hafir la scorsa settimana, sta impedendo al gasolio di entrare nei quartieri. Secondo Mihemed Ibiş, membro del comitato carburanti, che ha parlato con l’agenzia stampa ANHA prima dell’embargo, precedentemente circa 7.000 famiglie potevano almeno accedere al combustibile per il riscaldamento; adesso 42.000 famiglie ne sono completamente private.

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Ricostruire il PKK nel mezzo del caos del nuovo ordine mondiale


Nella spirale caotica della violenza nel mondo l’emergere di un nuovo attore capace di rispondere al bisogno di pace e libertà dei popoli è diventato inevitabile. Qualunque sia il suo nome o la sua forma, una cosa è certa: la ricostruzione del PKK è iniziata.

Il mondo si trova alle soglie di un periodo critico, in cui violenza e caos sono sempre più normalizzati e i segni del crollo delle civiltà moderne sono evidenti. Eppure, oggi, la violenza non è prodotta solo dal rombo degli aerei da guerra o dal rumore dei carri armati, ma anche dall’intorpidimento delle menti, dalla cancellazione della memoria e dalla pacificazione delle società.

Una citazione attribuita al filosofo tedesco Günther Anders descrive in modo sorprendente questa nuova forma di controllo: “Per reprimere preventivamente qualsiasi ribellione, non c’è bisogno di ricorrere alla violenza. Metodi arcaici come quelli di Hitler sono ormai obsoleti. Abbassare il livello di istruzione, trasformare l’accesso alla conoscenza in un privilegio d’élite e distrarre le masse con intrattenimento senza fine e intossicazione da consumi. In questo modo, l’ebbrezza della pubblicità e del consumo diventa lo standard della felicità umana e il modello di libertà. Oggi, lo stesso quadro si ripete: la violenza non opera attraverso la proibizione diretta, ma attraverso il vuoto e l’oblio. Alle società viene costantemente detto “è finita”, i legami con la memoria vengono recisi e le volontà sono costrette ad arrendersi. A questo punto riecheggiano nella nostra mente le parole del poeta francese Charles Baudelaire: “Il più grande trucco del diavolo è convincerti che non esiste”.

La decisione del PKK di sciogliersi al suo 12° Congresso è stata interpretata da molti come una “fine”. Eppure, questo non è altro che un trucco per nascondere la verità. Se un’epoca può essersi chiusa, ciò non significa che il bisogno di libertà dei popoli sia finito. Al contrario, l’ampiezza del vuoto rende inevitabile una nuova domanda: la ricostruzione del PKK?

Il concetto di “vuoto” è stato ampiamente discusso in concomitanza con lo scioglimento del PKK. Eppure la verità è questa: la storia del PKK è sempre stata quella di colmare un vuoto, affermando la verità contro l’inesistenza. Fin dalla sua fondazione, ha respinto la negazione imposta al popolo curdo, ha reso visibile l’invisibile, ha dato voce a chi era stato messo a tacere e ha ampliato l’eredità che aveva ereditato.

Oggi il PKK è più di un’organizzazione disciolta: è una verità storica che dura da mezzo secolo e una fiamma eterna di resistenza.

Dal congresso di fondazione del 1978 alla decisione di scioglimento del 2025, ogni congresso ha rappresentato la ricostruzione di questa verità in forme diverse. Il ritorno nel paese e l’inizio della lotta di guerriglia nel 1982, l’approfondimento ideologico e la dichiarazione dell’ARGK nel 1986, il Congresso di Heftanîn del 1990 come congresso di guerriglia, la riforma del 1995, la rinascita nonostante la cospirazione internazionale del 1999, il “congresso di costruzione” del 2005 su un nuovo paradigma, l’istituzionalizzazione della linea della Nazione Democratica nel 2013 e, infine, lo scioglimento del 2025, hanno tutti risposto alle profonde crisi del loro tempo e sono stati processi di ricostruzione.

Pertanto la domanda che dobbiamo porci oggi è: lo scioglimento è davvero una fine o la rinascita di una verità storica in un’altra forma? Lo scioglimento del PKK viene presentato come una fine; ma la realtà è che continua a vivere come speranza nella coscienza e nella memoria del popolo.

Il concetto di “generazione” di Ibn Khaldun, sviluppato nella Muqaddimah e ripreso da studiosi di sociologia e storia tra cui Hamit Bozarslan, è significativo per comprendere la dimensione temporale della trasformazione sociale e politica. Secondo lui la vita di una comunità o di una dinastia dura circa tre generazioni, ciascuna della durata media di quarant’anni, portando la durata naturale del potere politico a circa 120 anni. In questo ciclo, la prima generazione rappresenta la fondazione, la lotta e la solidarietà; la seconda generazione gode dei benefici del potere acquisito; e la terza generazione, scollegata dalla memoria della lotta, tende alla dissoluzione.

Ibn Khaldun illustra questo concetto con gli Israeliti: la comunità ebraica guidata da Mosè, portando con sé le tracce della schiavitù, non poté entrare direttamente nella “terra promessa” e vagò nel deserto per quarant’anni. La generazione che aveva sperimentato la schiavitù perì nel deserto, sostituita da una nuova generazione nata libera. Qui “generazione” non è semplicemente una categoria biologica, ma portatrice di memoria sociale e coscienza politica. Perché si verifichi una trasformazione sociale, almeno una generazione deve cambiare.

Applicando questo concetto alla Turchia, il processo di cambio di regime può essere visto come un governo che si avvicina alla fine di un ciclo generazionale, nel tentativo di integrare le dinamiche sociali esistenti nel suo quadro.

Le apparenti divisioni tra CHP, MHP e AKP sono, in realtà, parte di una strategia volta a tenere sotto controllo tutti gli elementi del regime. Come osserva Ibn Khaldun, le trasformazioni sociali maturano nel corso di un ciclo generazionale. In questo processo, l’accumulazione morale e sociale sviluppata dal Movimento per la Libertà del Kurdistan nel corso di decenni non può essere integrata in immagini negoziali fuorvianti. Qui, la distinzione morale, la resistenza intergenerazionale e la memoria sociale giocano un ruolo decisivo.

Le apparenti divisioni tra CHP, MHP e AKP sono, in realtà, parte di una strategia volta a tenere sotto controllo tutti gli elementi del regime. Come osserva Ibn Khaldun, le trasformazioni sociali maturano nel corso di un ciclo generazionale. In questo processo, l’accumulazione morale e sociale sviluppata dal movimento di liberazione del Kurdistan nel corso di decenni non può essere integrata in immagini negoziali fuorvianti. Qui, la distinzione morale, la resistenza intergenerazionale e la memoria sociale giocano un ruolo decisivo.

Pertanto, gli sforzi per un cambio di regime non dovrebbero essere visti semplicemente come divisioni tattiche superficiali, ma devono essere valutati alla luce di queste differenze generazionali e morali. In definitiva, ci troviamo di fronte a una Turchia al collasso economico, politico e morale, e a un Kurdistan in piena ascesa.

Cosa significa ricostruzione?

Lo scioglimento del PKK non è una fine; è la rinascita di una verità storica in nuove forme. Ma questa rinascita non può essere una mera ripetizione nostalgica. “Ricostruire il PKK” significa adattare la sua eredità cinquantennale alle caotiche condizioni del mondo odierno e ricostruirlo su un piano politico, sociale e morale più avanzato.

La richiesta di libertà e di pace non può essere distrutta

Lo scioglimento del PKK non elimina il bisogno di libertà del popolo. Finché il popolo curdo, le donne e gli oppressi manterranno la propria volontà, questa rivendicazione si riorganizzerà sotto un’altra organizzazione, forma o nome. La storia ci insegna che, come le leggi della natura, la volontà del popolo non ammette vuoti.

L’eredità morale porterà il nuovo attore

La più grande eredità del PKK non risiede nei suoi successi militari o politici, ma nel fondamento morale della sua resistenza e nei suoi valori rivoluzionari. Le conquiste militari e politiche sono spesso temporanee e contingenti. La consapevolezza di dover la vita al popolo, all’eredità dei martiri e la linea della libertà delle donne: questa eredità morale costituisce la base per la ricostruzione.

La soggettività strategica è essenziale

I curdi non devono più essere una mera merce di scambio sul tavolo degli altri; devono costruirne una loro. Questa equazione, sempre persa nei negoziati asimmetrici, cambia solo quando i curdi stabiliscono un proprio orizzonte strategico. La ricostruzione richiede soggettività diplomatica, infrastrutture economiche e istituzionali e l’integrità di una visione sociale.

La diaspora, le donne e i giovani sono i pionieri di questo processo

Nel XXI secolo, la lotta per la pace e la democrazia emerge non solo a livello nazionale, ma anche attraverso le voci della diaspora. La linea di libertà creata dalle donne, il dinamismo dei giovani, l’influenza internazionale della diaspora e l’esperienza e la conoscenza accumulate: tutte e tre queste fonti sono essenziali per la ricostruzione.

L’orizzonte della Nazione Democratica è la strada da seguire

La paradigmatica trasformazione del PKK nel confederalismo democratico offre un modello di soluzione nel caos mediorientale, un modello non solo per i curdi, ma per tutti i popoli della regione. Oggi, la ricostruzione significa istituzionalizzare questo orizzonte e creare meccanismi per portarlo dal livello locale a quello universale. In conclusione, lo scioglimento del PKK non è la fine di una storia, ma l’inizio di una nuova era. Nella spirale caotica della violenza globale, l’emergere di un nuovo attore che risponda alla richiesta di pace e libertà dei popoli è diventato inevitabile. Qualunque sia il suo nome, la sua forma o ciò che chiunque altro dice, una verità assoluta e innegabile rimane: la ricostruzione del PKK è iniziata.

di HÜSEYIN SALIH DURMUŞ

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2.541 persone in Siria firmano la petizione per incontrare Öcalan


In Siria, 2.541 persone hanno firmato la petizione “Voglio visitare Öcalan”. L’Iniziativa siriana per la libertà del leader Abdullah Öcalan e l’Iniziativa degli avvocati siriani per la difesa del leader Abdullah Öcalan hanno rilasciato una dichiarazione pubblica il 20 agosto per annunciare i risultati della campagna di raccolta firme lanciata in tutta la Siria nell’ambito della campagna “Voglio visitare Öcalan” lanciata dal Forum europeo per la libertà e la pace.

La dichiarazione rilasciata davanti alla sede dell’Iniziativa siriana per la libertà del leader Abdullah Öcalan a Qamishlo è stata letta in arabo dal membro dell’Iniziativa Jiyan Erkendi e in curdo dal membro dell’Iniziativa degli avvocati Ahin Heyder.

Nella dichiarazione si afferma che la campagna ha suscitato grande interesse e si aggiunge: “Hanno partecipato alla campagna difensori dei diritti umani, accademici, politici, intellettuali, leader tribali, religiosi, medici, ingegneri, curdi, arabi, assiri, armeni, yazidi, alawiti, ismailiti, drusi, turcomanni, circassi e molti altri gruppi etnici e religiosi provenienti da tutta la Siria. Hanno partecipato anche personalità di spicco di Damasco, Aleppo, Latakia, Tartus, Hums, Daraa, Quneitra, Siweyda e Idlib”.

La dichiarazione ha sottolineato che la campagna si è conclusa il 10 settembre e ha aggiunto che un totale di 2.541 persone provenienti da tutta la Siria vi hanno partecipato. La dichiarazione ha aggiunto che le firme raccolte saranno inviate al Segretario Generale delle Nazioni Unite, all’Organizzazione Europea per la Prevenzione della Tortura (CPT), alla Presidenza del Consiglio d’Europa, al Consiglio per i Diritti Umani delle Nazioni Unite e al ministero della giustizia turco.

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33 anni fa l’uccisione di Musa Anter


Musa Anter, affettuosamente conosciuto come “Apê Musa” (Zio Musa), era un importante scrittore curdo che scriveva per il quotidiano Özgür Gündem e il settimanale Yeni Ülke. Fu ucciso a colpi d’arma da fuoco a Diyarbakır il 20 settembre 1992.

Attirati fuori dal suo hotel da una persona che gli chiedeva aiuto per risolvere una controversia immobiliare, Anter e un amico salirono su un taxi con un uomo sconosciuto, descritto come di età compresa tra i 25 e i 30 anni. Quando iniziarono a sospettare che si trattasse di una trappola, chiesero di scendere dal taxi. Anche l’uomo che li accompagnava scese e, dopo averli superati, iniziò a sparare contro di loro con una pistola.

Musa Anter è stato colpito da quattro proiettili ed è morto poco dopo. L’amico, colpito da due proiettili, è rimasto gravemente ferito. Amnesty International ha riferito che nell’attacco è stata utilizzata una pistola calibro 9 mm con 14 colpi, avvenuto secondo il gruppo alla periferia della città, vicino a una stazione di polizia e a un posto di controllo del traffico presidiato.

Musa che non viveva a Diyarbakır, era in visita in città per firmare libri durante un festival culturale. Un gruppo precedentemente sconosciuto, Boz-Ok, ha rivendicato la responsabilità dell’omicidio, ma i redattori di Yeni Ülke e Özgür Gündem hanno smentito la notizia, incolpando lo Stato e le organizzazioni anti-guerriglia.

Nato nel 1920 nel villaggio di Zivingê a Nusaybin, Musa Anter ha vissuto molte esperienze nel corso della sua vita che altri conoscevano solo per sentito dire. Ha vissuto gli anni della fondazione della Repubblica Turca, la rivolta dello sceicco Said e il genocidio di Dersim, e la Seconda Guerra Mondiale da studente.

Fu uno dei protagonisti della breve primavera del movimento nazionale curdo alla fine degli anni ’50; nel “Processo dei 49” fu accusato di propaganda curda e separatismo. Il contesto era la sua poesia Qimil (Punteruolo), che aveva pubblicato in curdo sulla rivista Ileri Yurt nell’agosto del 1959. La rivista, con sede ad Amed (Diyarbakir), fu ancora una volta la prima rivista dopo decenni ad affrontare la questione curda. Musa Anter ne era il direttore.

Abdülkadir Aygan, un ex militante del PKK diventato informatore e reclutato dal JITEM (Servizio di intelligence e antiterrorismo della gendarmeria turca), ha affermato di aver fatto parte di un’unità del JITEM, insieme a un “Hamit” di Şırnak, che aveva assassinato Musa Anter.

Nel 2006 la Corte europea dei diritti dell’uomo (CEDU) ha riconosciuto la Turchia colpevole dell’omicidio di Musa Anter e l’ha condannata a una multa di 28.500 euro.

Nel 2009, 17 anni dopo l’omicidio, i pubblici ministeri turchi hanno riaperto +il caso in seguito all’interrogatorio di Aygan del 2004, in cui confessò di essere coinvolto nell’omicidio di Anter. Nel 2010, il caso fu accorpato ad altri due processi che coinvolgevano diversi presunti membri del JİTEM, tra cui Aygan, come imputati. Il processo accorpato iniziò a essere noto come “processo principale del JİTEM” (come ce n’erano altri). L’esercito turco confermò l’esistenza non ufficiale del JİTEM come unità di intelligence temporanea dal 1988 al 1990, che fu resa ufficiale prima di essere sciolto nel 2001, secondo quanto riportato in un promemoria del processo.

Hamit Yıldırım, accusato da Aygan di essere l’uomo armato, è stato arrestato in Turchia nel 2012 ma rilasciato nel 2017, quando è stato raggiunto il limite legale per la detenzione di una persona senza condanna.

Per motivi di sicurezza, nel 2015 il processo è stato trasferito da Diyarbakır ad Ankara. Il caso di omicidio di Anter, o “processo principale JİTEM”, è stato archiviato dalla sesta Corte per i crimini gravi di Ankara il 21 settembre 2022, a causa della prescrizione.

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