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oggi, 25 ottobre, a roma, spazio modulo: “l’opera come processo”, a cura di sara davidovics


Nella cornice del ROME ART WEEK 2025
in collaborazione con il CentroScritture

Oggi, sabato 25 ottobre, dalle ore 18:30 alle 21:30
Spazio MODULO
(via Ottobiano 31, Roma)

è lieto di presentare

Progetto 5 | L’opera come processo
a cura di Sara Davidovics


Cingolani | Cipitelli | Gualtieri | Orecchini | Schiavone
=
Cinque artisti chiamati a confrontarsi sul tema del processo compositivo dell’opera
in relazione con uno spazio ambiente ricavato all’interno di uno studio d’artista

locandina: Spazio MODULO presenta "Progetto 5 | L’opera come processo", a cura di Sara Davidovics - con opere di Cingolani | Cipitelli | Gualtieri | Orecchini | Schiavone
cliccare per ingrandire

Comunicato stampa:
slowforward.net/wp-content/upl…
_

#CentroScritture #DavideGualtieri #FabioOrecchini #IvanSchiavone #LauraCingolani #PierpaoloCipitelli #RAW #RAWRomeArtWeek #RomeArtWeek #SaraDavidovics #SpazioMODULO

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Sto configurando Actions Ring di Logitech per Lightroom Classic, supporta anche il mio “vecchio” MX Master 3.
Si preannuncia interessante!!!

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“Exploring SFW Content On The Hub” — “Esplorando Contenuti SFW Sull’Hub”


Conosco da tempo immemore il famoso meme per cui qualcuno va su PornHub e assolutamente non per guardare contenuti disgustosi, signora mia, ci mancherebbe, ovviamente guardo solo roba per bene lì sopra, che però su altri siti per qualche motivo non è stata caricata, e quindi mannaggia… Eppure, io pensavo fosse appunto un meme; sapevo che stranamente lì sopra si trovano anche video non pornografici, ed esattamente da ciò sarebbe nato il ridere, ma credevo fossero comunque delle rarità… e, invece, sotto sotto, l’ipotetica scusa di cui sopra potrebbe per qualcuno non essere una scusa, ma la verità. (No, dai, non prendiamoci in giro.) 😳

youtube.com/watch?v=ZsxgSk09eD…

PornHub non lo uso (anche perché mi fa paura che, come Facebook, sia fatto in PHP… e intendo PHP vecchio, col routing di merda che negli URL include .php)… ma, di contro, su YouTube ho infatti trovato questo bel video pazzo, dove questo qui spiega le varie cose safe-for-work (cioè, video che potrebbero stare ovunque) che ha trovato proprio lì sopra, e non a caso: A quanto pare, il sito ha proprio una categoria chiamata SFW, dove vengono inserite le cose che porni non sono… e, tutto sommato, non sono affatto poche. 🤯

La cosa che meno mi stupisce è che ci siano video di gaming, perché, come lui stesso dice nel video, i gamer sono praticamente scarafaggi che senza fatica infestano l’intero Internet dall’alba dei tempi — e, aggiungerei io, proprio come scarafaggi temo che riuscirebbero a resistere anche se una bomba atomica virtuale si abbattesse sull’intera rete togliendo di mezzo tutti gli altri — però fa comunque impressione… Soprattutto se il motivo è che su PornHub, contemporaneamente, da un lato si ottengono più visualizzazioni per gli standard di canali medio-piccoli rispetto a YouTube (!), e dall’altro si guadagnano più soldi da queste (e beh, da quel che so PornHub è anche peggio di YouTube senza ad-block, con pubblicità di provenienza più che dubbia, quindi ha senso; i gooner mi correggano se sbaglio). 🥴

Poi, ok, il resto è roba un po’ mista… musica, e anche questo forse non stupisce troppo conoscendo le menti degli artisti, video a caso che ricordano un po’ le istanze PeerTube sfigate, ma direi che se voglio vedere quelli me ne vado appunto su PeerTube, propaganda religiosa, ma anche quella si trova praticamente su qualsiasi sito di condivisione di video, e i commenti dicono che si trovano anche lezioni di matematica, di cui il tizio nel video non ha parlato… e a questo punto io davvero non so più in che linea temporale sto vivendo. Ah e, infine, c’è una specie di meta secondario all’interno di tutto questo, per cui alcuni utenti che caricano video SFW li titolano come se fossero roba NSFW… e un pochino ridere in effetti fa. 💃

La cosa per me relativamente stupefacente, però, è che questa parte del sito non è roba nuova… eppure ha senso, altrimenti non credo che il meme sarebbe mai nato già tanto tempo fa, non essendoci altrimenti stati video SFW caricati in generale, penso. Cercando "pornhub sfw" sul web (virgolette incluse, altrimenti escono solo risultati del sito di PornHub… ‘stammerda sarebbe da chiudere anche solo per la quantità di SEO spam che fa secondo me), infatti, ci sono vari articoli di testate risalenti addirittura al decennio scorso che parlano di questa cosa… e ho trovato un comunicato della piattaforma di fine 2018 dove annunciano la nuova categoria praticamente come una presa per il culo a Starbucks, che ha voluto vietare ai clienti di guardare porno nei loro negozi: pornhub.com/press/show?id=1741. (…Ma chi cazzo è che guarda i porno mentre prende il caffé al gusto di diabete??? Non penso ci sia nessuno che si impegna così nel rovinare contemporaneamente il corpo e la mente!) 🧸


Octt è un’entità completamente safe-for-work, ma forse il suo corpo è comunque interessante. Ora puoi scoprire le conseguenze che ha subito a causa della medicina moderna, su stuffoctt: Intervista alla ragazza magica dopo 50 giorni di terapia riparatoria della discrepanza corporea. (Messaggio promocttionale, ormai ci sto prendendo gusto a fare spam contestualizzato così.)

#pornhub #SFW #video

Questa voce è stata modificata (4 giorni fa)

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Treno Jazz ETR425.057 in transito a Bolgheri (20/01/2024)


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Preparativi per il Linux Day 2025


Preparativi in corso per il #linuxday 2025, dove porto un intervento dal titolo:

Dare nuova vita ai vecchi PC: #streaming #audio con #Linux.

In foto un piccolo spoiler. 😎

Potrebbe interessarti anche:

precario per scelta, ma di qualità (spero)

lista di proposte e aggiunte per dblog

tema acor3 per dblog

#audio #linux #linuxday #streaming

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Picanello, 5000 libri possono tornare a casa in una nuova biblioteca


E’ passata quasi una settimana dal giorno in cui, alla Biblioteca Bellini di via Sangiuliano, è apparso un cartello di chiusura per “guasto tecnico alla fornitura idrica”. La chiusura è durata solo un giorno, poi – per fortuna – la biblioteca ha riaperto i battenti, ma il guasto tecnico è stato riparato solo successivamente, mettendo in difficoltà sia gli utenti sia – […]

Leggi il resto: argocatania.it/2025/10/23/pica…

#Biblioteca #bibliotecaVincenzoBellini #ComitatoAbitantiPicanello #ComuneDiCatania #lavoriPubblici #Picanello

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Il governo Segni entra in crisi il 6 maggio 1957


Gronchi ha una propria interpretazione del potere conferito al Presidente della Repubblica dall’art. 92 della Costituzione. Egli ritiene, infatti, che compito del Capo dello Stato non sia soltanto quello di individuare una personalità e nominare un governo in grado di ottenere la fiducia in Parlamento, ma anche di scegliere un esecutivo idoneo a sopperire alle esigenze della nazione <76: un criterio di valutazione, quest’ultimo, palesemente discrezionale, soprattutto se si considera la ferma convinzione di Gronchi della necessità di un governo con la sinistra, in direzione del quale si concentreranno tutti i suoi sforzi durante il mandato.
Il governo ereditato da Gronchi è quello guidato da Scelba, suo acerrimo nemico <77. Tuttavia, il governo Scelba entra in crisi molto presto, a causa del ritiro del proprio appoggio da parte del Pri. Il 22 giugno 1955 il governo si dimette e il 6 luglio 1955 viene nominato – voluto dalla segreteria democristiana, ma non gradito a Gronchi – il primo ministero Segni (si ripropone la coalizione centrista di Dc, Psdi e Pli, senza i repubblicani, che però votano la fiducia), cui Gronchi riesce a imporre, per la carica di ministro degli Interni, il nome di Tambroni <78. L’iter di formazione del governo Segni non esula da particolarità: infatti, a costui viene affidato un pre-incarico finalizzato a prendere il tempo necessario a delineare un programma di governo che trovi la convergenza delle forze del quadripartito. La scelta del pre-incarico sembra aver consentito a Gronchi di indirizzare le politiche governative sulle idee del centro-sinistra <79. Il governo Segni inizia l’opera di statalizzazione dell’economia, presentando un disegno di legge per l’istituzione del Ministero delle Partecipazioni statali. Il disegno viene approvato, nella sua versione definitiva, con un emendamento, fortemente voluto, tra gli altri, da Enrico Mattei, che sottrae le aziende a prevalente partecipazione statale alla disciplina sindacale degli altri datori di lavoro <80. Inoltre, è sotto il governo Segni che, il 25 marzo 1957, viene firmato il Trattato di Roma che istituisce la Comunità economica europea.
Zoli I
Il governo Segni entra in crisi il 6 maggio 1957, a causa della perdita del sostegno dei socialdemocratici di Saragat. Sulle ragioni della decisione dei socialdemocratici, al di là dei motivi fondati su contrasti relativi a singole scelte politiche (in particolare, su un progetto di legge sui patti agrari), si interrogano le testate giornalistiche del tempo, trovando spiegazioni diverse: qualcuno attribuisce la decisione a un impulso derivante dal capo del partito laburista del Regno Unito, pronunciatosi sulla questione dell’unificazione socialista, altri, invece, e questa versione è particolarmente interessante ai nostri fini, rinvengono la ragione del distacco dalla coalizione governativa nei contrasti emersi in materia di politica estera tra il Quirinale e il ministro degli esteri Martino (Pli) <81. Effettuate le consultazioni di rito, Gronchi affida l’incarico a Adone Zoli, il quale forma un governo monocolore Dc che si presenta al Parlamento il 29 maggio. Nel conferimento della fiducia, si rivela determinante il voto favorevole del Msi, a causa dell’astensione del Psi. Rifiutando di presiedere un governo a cui il sostegno della destra è fondamentale, Zoli rassegna le proprie dimissioni <82. Al termine delle rinnovate consultazioni, Gronchi rilascia la seguente dichiarazione: “quello che importa non sono le formule che debbono essere considerate strumenti per raggiungere delle finalità, e le finalità [del procedimento di formazione di un governo], secondo me, sono due: rispondere alle esigenze del Paese e rispettare l’autorità e il prestigio del Parlamento”. Inoltre, continua, “secondo la costituzione italiana la scelta del Capo dello Stato costituisce di per se il governo nella pienezza dei suoi poteri” e il Parlamento interviene solo successivamente con il voto di fiducia, rendendo quindi la responsabilità del Capo dello Stato italiano diversa da quella del Presidente francese, che nomina un governo che può dirsi formato soltanto dopo l’investitura del Parlamento <83. Gronchi, sulla base di tali considerazioni, si riserva di decidere se accettare le dimissioni del primo ministro e assegna prima un mandato esplorativo al presidente del Senato, Merzagora (16 giugno), allo scopo di sondare la concreta possibilità di formare un governo che ottenga la fiducia delle camere, poi un incarico a Fanfani (18 giugno). E’ questa la prima volta che viene introdotto nella storia costituzionale italiana lo strumento del mandato esplorativo <84. Il fallimento dei tentativi Merzagora e Fanfani determina la decisione di Gronchi di rigettare le dimissioni di Zoli, il 22 giugno. La ripresentazione di Zoli alle camere, senza una nuova discussione su un voto di fiducia (peraltro già ottenuta), non rimane avulsa dalle critiche parlamentari. In particolare, don Sturzo, richiamandosi a un tema per la prima volta introdotto da Maranini nel 1949, ossia quello della “partitocrazia”, denuncia, da un lato, il ruolo sempre più crescente dei partiti nelle crisi di governo, che ostacolano un’assunzione di responsabilità in sede parlamentare, dall’altro lato, la scarsa trasparenza nella scelta e nomina dei ministri, non più facilmente riconducibile a una scelta del Presidente del Consiglio, da effettuarsi in vista del mantenimento dell’unità di indirizzo politico <85.

[NOTE]76 Cfr. A. Baldassarre – C. Mezzanotte, op. cit., pp. 87-88.
77 Quando Scelba si reca, come da prassi, dal Presidente della Repubblica per presentare le dimissioni del governo “in segno di ossequio”, Gronchi fa emettere un comunicato in cui dichiara di “non accettare” le dimissioni (anziché di respingerle) (cfr. A. Baldassarre – C. Mezzanotte, op. cit., pp. 89-90). Per una ricostruzione del dialogo intercorso tra Scelba e Gronchi cfr. I. Montanelli – M. Cervi, op. cit., 1989, pp. 28-29; P. Guzzanti, Presidenti della Repubblica. Da De Nicola a Cossiga, Bari, Laterza, 1992 p. 93.
78 Cfr. ASPR, Ufficio per gli affari giuridici e le relazioni costituzionali, Crisi di governo-Diari, busta 10; G. Mammarella – P. Cacace, op. cit., p. 65; F. Damato, op. cit., pp. 55-56; P. Guzzanti, op. cit., p. 82.
79 Sul significato di questo pre-incarico, che troverebbe un precedente – seppure diverso – in quello affidato da Einaudi a De Gasperi dopo la tornata elettorale del 1953, cfr. M. Nardini, I primi passi della presidenza Gronchi ed il governo Segni, in Aa. Vv., op. cit., 2013, pp. 5-8. In effetti, il pre-incarico affidato a De Gasperi non fu frutto di una scelta interamente riconducibile al Capo dello Stato, che avrebbe preferito affidare l’incarico direttamente al leader della Dc. Fu De Gasperi stesso a ritenere opportuno un sondaggio presso le forze politiche. A ben vedere, tra l’altro, a seguito di quel sondaggio De Gasperi si rivelò propenso a rifiutare un eventuale incarico, che alla fine accettò soltanto a causa delle insistenze del Presidente. Il suo governo non ottenne tuttavia la fiducia delle camere.
80 Cfr. I. Montanelli – M. Cervi, op. cit., 1989, pp. 30-32.
81 Cfr., per la prima versione, Enrico Mattei, Il governo Segni virtualmente in crisi per la decisione dei socialdemocratici di ritirarsi, in La Nazione del 6 maggio 1957; per la seconda versione, Le dimissioni di Segni probabilmente in giornata, in Paese sera del 7 maggio 1957. Le ragioni delle dimissioni non sembrano peraltro potersi rinvenire, come invece è sostenuto da qualcuno, in un tentativo di riavvicinamento tra Saragat e Nenni, a quanto risulta dalle dichiarazioni di quest’ultimo riportate nel secondo articolo menzionato: “la crisi di governo […] rimette in movimento una situazione stagnante. Ma nelle dichiarazioni di Saragat la difesa del centrismo, prospettata in polemica con noi, lascia assai incerti su quello che la socialdemocrazia vuol fare, se cioè passare decisamente alla opposizione […] o tentare la ricostruzione di un governo di centro, il cosiddetto “quadripartito di ferro”. In questo secondo caso verrebbe ribadita la politica che ha reso impossibile il riavvicinamento tra i due partiti, che dell’unità socialista è la premessa”. Entrambi gli articoli sono consultabili in ASPR, Ufficio per gli affari giuridici e le relazioni costituzionali, Crisi di governo-Diari, busta 11. Per la tesi dell’avvenuto distacco a causa del riavvicinamento tra partito socialista e partito socialdemocratico, cfr. S. Tabacchi, La formazione del governo Zoli, in Aa. Vv., op. cit., 2013, p. 5. Montanelli, invece, pone l’accento sul ruolo che le divisioni interne alla Dc hanno nella crisi di governo (cfr. I. Montanelli – M. Cervi, op. cit., 1989, pp. 67-68).
82 Cfr. ASPR, Ufficio per gli affari giuridici e le relazioni costituzionali, Crisi di governo-Diari, busta 11. Una ricostruzione è anche fornita in I. Montanelli – M. Cervi, op. cit., 1989, pp. 71-73.
83 Dichiarazione rilasciata in data 13 giugno 1957 al segretario della stampa parlamentare. La dichiarazione, riportata integralmente, si trova in ASPR, Ufficio per gli affari giuridici e le relazioni costituzionali, Crisi di governo-Diari, busta 11 e in Segretariato Generale della Presidenza della Repubblica, Servizio archivio storico, documentazione e biblioteca, Discorsi e messaggi del Presidente della Repubblica Giovanni Gronchi, Quaderni di documentazione, n. 11, Roma, 2009, p. 217.
84 Secondo parte della dottrina il “mandato esplorativo” si distinguerebbe dal pre-incarico in virtù della dichiarata non disponibilità del soggetto (in questo caso, Merzagora) di accettare un incarico (cfr. S. Tabacchi, op. cit., p. 10). Altri rinvengono un elemento distintivo nella circostanza che nel caso del pre-incarico il soggetto scelto viene effettivamente incaricato a formare il nuovo governo, mentre nel caso del mandato esplorativo no. La valutazione circa la riconducibilità del mandato all’una o l’altra categoria sarebbe quindi effettuabile soltanto ex post, dopo aver constatato a chi viene affidato l’incarico vero e proprio. La distinzione è peraltro meramente descrittiva (cfr. Fascicolo curato dalla Presidenza della Repubblica sulla crisi del II governo Moro, in ASPR, Ufficio per gli affari giuridici e le relazioni costituzionali, Crisi di governo-Diari, busta 20, pp. 12-14). Si segnala, peraltro, che la prassi successiva sembrerebbe suggerire un ulteriore tipo di criterio distintivo: il mandato esplorativo infatti si connoterà nel corso della presidenza Saragat per la sua genericità (si tratta di sondare gli orientamenti delle forze politiche allo scopo di valutare quali strade siano praticabili per la formazione di un governo di cui non sono precisata né la formula politica né il programma).
85 Cfr. S. Tabacchi, op. cit., pp. 12-13. Una critica all’imposizione fatta da Gronchi, nel “suo stile presidenziale”, a Zoli affinchè quest’ultimo si ripresentasse alle camere si riscontra anche in P. Guzzanti, op. cit., p. 96. Una ricostruzione dell’intera vicenda si trova anche in G. Mammarella – P. Cacace, op. cit., pp. 65-66 e F. Damato, op. cit., pp. 63-64.
Elena Pattaro, I “governi del Presidente”, Tesi di dottorato, Alma Mater Studiorum – Università di Bologna, 2015

#1955 #1957 #DC #ElenaPattaro #esplorativo #GiovanniGronchi #governi #mandato #Pli #Presidente #Repubblica #repubblicani #Scelba #socialdemocratici #Zoli


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oggi, 23 ottobre, a roma: “la preistoria acustica della poesia”, di brunella antomarini


locandina della presentazione de "La preistoria acustica della poesia", di Brunella Antomarini, 23 ott 2025, Roma, Libreria Altroquando
cliccare per ingrandire

A Roma, oggi, giovedì 23 ottobre, alle ore 18:30
presso la Libreria Altroquando
via del Governo Vecchio 82-83

Presentazione del libro

La preistoria acustica della poesia

di Brunella Antomarini
Edizioni Metilene, 2024

Con l’autrice interviene Rosaria Lo Russo

::: Un incontro dedicato alle origini sonore e rituali della poesia :::

In La preistoria acustica della poesia – Per uno studio antropologico del fenomeno poetico. (Edizioni Metilene, 2024), Brunella Antomarini indaga la nascita della parola poetica come forma primordiale di conoscenza e memoria, in epoche nelle quali ritmo, voce e canto erano ancora inseparabili. Il volume – parte della collana Interstizi curata da Matteo Moca – analizza attraverso i secoli e le tecnologie il legame profondo tra voce e pensiero, tra oralità e scrittura, interrogando la natura stessa dell’esperienza poetica.

#Altroquando #BrunellaAntomarini #EdizioniMetilene #LaPreistoriaAcusticaDellaPoesia #LibreriaAltroquando #Metilene #presentazione #RosariaLoRusso

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oggi, 23 ottobre, le scritture complesse @ ‘sonde poetiche’, podcast di radioarte


SONDE POETICHE

a cura di

Gianluca Codeghini e Andrea Inglese

oggi, 23 ottobre 2025 ore 18:30, in replica alle 21:30

n. 7 di 8:

Scritture complesse (con Daniele Poletti & Luigi Severi)

su radioarte.it

COSA è SONDE POETICHE

Con questa nuova piattaforma ci rivolgiamo principalmente a quel non pubblico che non ha nulla da perdere se non la propria curiosità, il proprio desiderio e lo stupore per le parole. Ogni puntata di SONDE POETICHE sarà caratterizzata da suoni con durata a tempo variabile, da parole e rumori intorno a un concetto o a un autore.

LA PUNTATA DI OGGI

La “poesia” non basta. Non è dicitura sufficiente, soddisfacente, per indicare tutti gli usi e costumi nei territori che le sono interni, adiacenti, latamente connessi. Quindi vanno registrati tentativi di stabilire nuovi “generi” o di celebrare nuove “forme”. Da qualche tempo, Daniele Poletti – autore, editore, creatore di rivista – parla di “scritture complesse”. E in questa prospettiva si muove anche Luigi Severi, scrittore di versi e prosa, oltre che talentuoso e insostituibile saggista del contemporaneo letterario.

#AndreaInglese #DanielePoletti #GianlucaCodeghini #LuigiSeveri #RadioArte #scrittureComplesse

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“It’s Not Just You – The iOS Keyboard is Broken” — “Non Sei Tu – La Tastiera iOS è rotta”


A quanto pare, con l’ultimo aggiornamento “STABILE” di iOS — non si parla di beta e cose varie, ma della versione di rilascio, anche se io personalmente non definirei “stabile” qualcosa con questi problemi — gli utenti melisti stanno passando dei momenti di altissima qualità, nonché di gran desain aggiungerei, per mezzo della tastiera virtuale, che è completamente fottuta, e nemmeno in modo semplice!!! 🤯

youtube.com/watch?v=hksVvXONrI…

Sembrano esserci poche informazioni online su questo bug di iOS 26 (che lo youtuber dice che forse c’era già da iOS 18, addirittura, ma meno diffuso), ma la prova della sua esistenza sono questo video e i commenti… e il video mi è arrivato da un’utente iOS che conosco che sta impazzendo anch’essa a causa del problema, quindi è un fatto. Per chi ha il cervello così marcio da non poter guardare un video da due minuti e mezzo, il punto è che l’area della tastiera rileva correttamente i tocchi, tant’è che i pop-up dei tasti appaiono giusti… ma, nel campo di testo vengono inserite spesso tutt’altre lettere, per giunta ogni volta diverse, come se si fosse cliccato male, ma per l’appunto accade anche cliccando bene… Non si riesce a scrivere nemmeno una frase semplice come “thumbs up” senza errori. 😶

Ma ora, dico io… come cazzo si fa a vendere telefoni (e tablet; immagino che la cosa ci sia anche su iPadOS, anche se non lo so io) che superano ampiamente il migliaio di euro con problemi del genere? E pensare che coloro che hanno mangiato il frutto del peccato continueranno a dire che questi cosi non sono giocattoli per ricchi e che valgono davvero quello che costano, a differenza di qualunque generico telefono asiatico dal costo di 1/6 l’iPhone… che avrà sì i suoi problemi, ma non questo! Io personalmente impazzirei del tutto con una rogna del genere, visto che una gran parte di ciò che faccio col telefono è scrivere testi medio-lunghi, maremma maiala. E nemmeno ho capito se questo fatto riguarda solo la tastiera virtuale integrata, o colpisce anche quelle di terze parti… cosa che temo, visto che il bug sembra stare “nel mezzo”, ma tanto su iOS non credo ci siano tastiere di terze parti decenti, essendo che non c’è un ecosistema di app open-source sano come su Android. 😹

Sarebbe effettivamente interessante a questo punto capire cos’è che causa il problema, e in che cazzo di modo questo sia passato senza problemi oltre il filtro di quality-assurance di Apple (…che devo pensare esista, anche se ormai inizio a nutrire dubbi a riguardo). Non dovrebbe essere il correttore automatico, perché il bug si presenta anche spegnendo quello; e comunque, quello, a regola, dovrebbe agire solo alla fine di una parola, mai in mezzo… e le ipotesi finiscono qui, perché è veramente insensato. Non avendo attualmente un dispositivo meloso per fare miei test (…per fortuna?), ad esempio per vedere se con tastiere fisiche, o virtuali di terze parti, si nota un comportamento simile, per me il mistero rimane sospeso… Vi saluto dal mio Android mezzo vecchio, dove però la tastiera funziona. 💨

#bug #glitch #iOS #iOS26 #keyboard #tastiera #typing

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26 ottobre, roma: cerimonia finale della ix edizione del premio zavattini


Si terrà domenica 26 ottobre 2025 alle ore 11:00, presso il Cinema Nuovo Aquila (Via L’Aquila 66/74, Roma), la Cerimonia di premiazione della IX edizione del Premio Cesare Zavattini, il concorso dedicato al riuso del cinema d’archivio, rivolto a giovani filmmaker che vogliono sperimentare nuove forme di racconto attraverso materiali audiovisivi del passato. In tale ambito saranno presentati i progetti vincitori e consegnati i relativi riconoscimenti.

premio zavattini 2025

All’evento saranno presenti componenti della Giuria, presieduta dal regista Roland Sejko e composta da Monica Maurer, Benni Atria, Ivelise Perniola e Alessia Petitto; il presidente della Fondazione AAMOD Vincenzo Vita e i rappresentanti degli Enti che hanno sostenuto e collaborato con l’iniziativa; il direttore del Premio Antonio Medici, la coordinatrice Aurora Palandrani, i tutor che hanno seguito lo sviluppo dei progetti, Luca Onorati, Giovanni Piperno e Chiara Ronchini.

Nell’ambito dell’iniziativa sarà inoltre proiettato il breve cortometraggio Tentativi di analisi, vincitore del Premio Memory Ciak, nato dalla collaborazione tra Bookciak, Azione!, la Fondazione AAMOD e il Premio Cesare Zavattini. Presenteranno il film l’autore, Pietro Bonaccio, e Gabriella Gallozzi, ideatrice e direttrice di Bookciak, Azione!

Per partecipare è necessario compilare il modulo al seguente link:

https://docs.google.com/forms/d/e/1FAIpQLScoK9FURPM4w6ErMw9D_9t288pPpNfok3gW4MSv_LjX9e7NYw/viewform

PROGETTI VINCITORI:

Altrimenti inventa di Meriam Jarboua
Un film che affronta l’assenza di rappresentazioni visive dei migranti nordafricani in Italia negli anni Ottanta e Novanta del Novecento, proponendo un originale e sperimentale lavoro di “reinvenzione” dell’archivio mancante, che parte dalla propria storia familiare e approda a una dimensione più collettiva, interrogandosi sui temi dell’identità e della memoria.

Milano Infetta di Tommaso Cohen
Attraverso la storia dello spazio occupato Virus di Milano, base del nascente movimento punk italiano sgomberato nel 1984, esplora rabbia e desideri giovanili utilizzando poco noti materiali d’archivio, e nello stesso tempo allarga lo sguardo a una città che lasciandosi alle spalle Resistenza e lotte operaie sta diventando capitale degli affari e del glamour.

Nido di vespe di Riccardo Calisti e Giovanni Mauriello
Con ironia e leggerezza, la coppia di autori intreccia la propria storia con quella del quartiere romano di Torpignattara, tra intimità e memoria collettiva, con un approccio meta-narrativo che stratifica diverse dimensioni di racconto intorno ai temi del nido.

La Giuria della IX edizione del Premio Cesare Zavattini ha inoltre assegnato una Menzione speciale al progetto Noialtre di Michele Sammarco.

Il Premio Cesare Zavattini/UnArchive è un progetto della Fondazione Archivio Audiovisivo del Movimento Operaio e Democratico ETS.

La IX edizione dell’iniziativa è stata realizzata con il sostegno della Direzione del Cinema del MIC, Istituto Luce Cinecittà e Nuovo Imaie, con la partnership di Home Movies, in collaborazione con Cineteca Sarda, Archivio delle Memorie Migranti, Premio Bookciak, Azione!, Deriva Film, Officina Visioni, UCCA, FICC, ANCR. Media partner: Radio Radicale e Diari di Cineclub.

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Eccoci con le nostre clip della tredicesima diretta di Super Mario Party: Jamboree!


Eccoci con le nostre clip della tredicesima diretta di Super Mario Party: Jamboree!• Si vince nel gioco "Non amichevole", come definito da Samuel• Boia quanti biscotti abbiamo fatto!• Il furto viene ripagato profumatamente• I cancelli maledetti#clip #Mari

Eccoci con le nostre clip della tredicesima diretta di Super Mario Party: Jamboree!
• Si vince nel gioco “Non amichevole”, come definito da Samuel
• Boia quanti biscotti abbiamo fatto!
• Il furto viene ripagato profumatamente
• I cancelli maledetti

#clip #MarioParty

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La si torna a giocare online! – Super Mario Party Jamboree ITA #13


Salve a tutti ragazzi! Eccoci di nuovo in live su Super Mario Party Jamboree!Vediamo se siamo ancora bravi a giocarci!✅ Buona Visione 🎵 Tutte le musiche riprodotte nella schermata del countdown e fine della diretta sono disponibili su https://music.creepe

youtube.com/embed/_w2Cq8wiu5k?…

Salve a tutti ragazzi! Eccoci di nuovo in live su Super Mario Party Jamboree!
Vediamo se siamo ancora bravi a giocarci!

✅ Buona Visione

🎵 Tutte le musiche riprodotte nella schermata del countdown e fine della diretta sono disponibili su music.creeperiano99.it/

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🔴 In diretta ora! La si torna a giocare online! – Super Mario Party Jamboree ITA #13 📺 Guarda ora su you

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La si torna a giocare online! – Super Mario Party Jamboree ITA #13

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23 e 24 ottobre, roma: workshop+reading del premio di traduzione mazzucchetti-gschwend


Workshop di traduzione e reading di autori italiani e tedeschi a Villa Massimo (con il Goethe Institut e la Casa di Goethe), 23-24 ottobre 2025
cliccare per ingrandire

Workshop di traduzione e reading di autori italiani e tedeschi a Villa Massimo (con il Goethe Institut e la Casa di Goethe), 23-24 ottobre 2025
cliccare per ingrandire

A Roma si raccoglieranno, il 23 e il 24 ottobre 2025 presso il Goethe-Institut, la Casa di Goethe e l’Accademia Tedesca Roma Villa Massimo, traduttrici, poeti e accademici per discutere in modo approfondito su cosa rende la traduzione poetica così difficile e affascinante allo stesso tempo, perché continuiamo a tradurre nonostante la sua apparente impossibilità e quale resilienza abbia reso possibile la lunga tradizione dei traduttori di poesia. Il workshop è concepito principalmente come piattaforma di dialogo e scambio tra alcuni dei protagonisti più interessanti e originali nel campo della traduzione poetica e della pratica poetica in Italia e in Germania.

Nel corso del workshop, quattro poeti di lingua italiana e quattro di lingua tedesca si traducono a vicenda con il supporto di traduttori professionisti. Vengono formate coppie composte da un poeta tedesco e uno italiano, ciascuna delle quali è affiancata da due traduttori.

Due i momenti pubblici dell’iniziativa. Giovedì 23 ottobre, a partire dalle ore 10, il Goethe-Institut di Roma ospita nella sede di via Savoia 15 l’evento di apertura, che, dopo i saluti di Jessica Kraatz Magri (Direttrice Goethe-Institut di Roma), prevede le conferenze sulla teoria della traduzione poetica con la partecipazione di Camilla Miglio (“Traducibilità / intraducibilità. Una questione poetica e linguistica, politica e culturale”), Paola Del Zoppo (“Ritmo, paesaggio, continuo dissenso: verso una teoria euristico-ermeneutica della traduzione poetica”), Adrian La Salvia (“Das horizontale Übersetzen”). Introduce e modera Federico Italiano.

È invece in calendario per venerdì 24 ottobre, dalle ore 18, nella Sala Mosaico dell’Accademia Tedesca Roma Villa Massimo (Largo Villa Massimo 1), l’evento conclusivo con le letture delle poesie tradotte durante il workshop dagli 8 poeti italiani e tedeschi coinvolti. Sono in programma i saluti di Julia Draganović (Direttrice Accademia Tedesca Roma Villa Massimo), Jessica Kraatz Magri (Direttrice Goethe-Institut Rom) e Gregor Lersch (Direttore Casa di Goethe), Thomas Bagger (Ambasciatore della Repubblica Federale di Germania in Italia) e Giuseppe Iannaccone (Presidente del Centro per il libro e la lettura). Anche in questo caso introduce e modera Federico Italiano, mentre a tradurre simultaneamente saluti e colloqui con i poeti è Soledad Ugolinelli.

(da cepell.it/il-23-e-24-ottobre-a…)

#AccademiaTedescaAVillaMassimo #AccademiaTedescaDiRomaVillaMassimo #AdrianLaSalvia #AnnCotten #CamillaMiglio #CarmenGallo #CasaDiGoethe #DafneGraziano #DilekMayaturk #EmanueleFranceschetti #FedericoItaliano #GiuseppeIannaccone #GoetheInstitut #GregorLersch #JessicaKraatzMagri #JuliaDengg #JuliaDraganović #LauraRagone #lettura #linguaItaliana #linguaTedesca #MarcoGiovenale #NoemyNagy #PaolaDelZoppo #PiaElisabethLeuschner #poesia #poesie #PremioDiTraduzioneMazzucchettiGschwend #prosa #ProsaInProsa #reading #scritturaDiRicerca #SimoneLappert #SoledadUgolinelli #SteffenPopp #TheresiaPrammer #ThomasBagger #traduzione #traduzioni #ValentinaDiRosa #VerenaVonKoskull #VillaMassimo #workshop

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alzare il volume / luca zanini. 2025


Alzare il volume
-It begins to tell round midnight

certi si incastrano che spara a] caso i sonnanbuli li] incrocia quelli sottovoce hanno] sempre lavorato fatto sacrifici si devono muovere dai bersagli dalle trappole carré soprattutto apre firma] la consegna l’inquadratura si candida da lontano [si sporgono i] limiti di legge tutto] è messo nei contrasti il televoto contrario è di tutto mangiano il tavolo grava sui bordi della seriòla la] telefonia regala gettoni di domenica quelle] pari gli aghi per impedire [i piccioni i] colleghi della mensa l’Albergo Moderno fanno sapere il taxi arriva] al predellino
*

#LucaZanini #post2025 #testi2025


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Un viaggio nelle fiabe del bosco U-magico con Amalia Scalise e Gianni il Gufo

Indice dei contenuti

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Conosciamo L’autrice



Gianni il gufo

e i racconti del bosco U-magico

Amalia Scalise

Racconti per bambini

Book Sprint Edizioni

05/05/2025

14 x 21 x 0.13 cm

122 pp

amazon.it/Gianni-racconti-u-ma…

“Gianni il gufo e i racconti del Bosco U-magico. Un’estate indimenticabile” è un romanzo ambientato in una piccola comunità, creata dalla fantasia dell’autrice e abitata da animali di diverse specie, che vivono insieme in perfetta armonia. Il libro si suddivide in brevi episodi, permettendo al lettore di conoscere gli amici di Gianni, protagonista principale, che, con la sua saggezza, riesce a venire in soccorso di tutti coloro che gli chiedono aiuto, per risolvere piccoli e grandi problemi quotidiani. Nella comunità gli abitanti svolgono la loro vita come se fossero esseri umani, da qui deriva il nome U-magico. Ogni racconto si conclude positivamente lasciando a chi legge uno spunto di riflessione su diverse tematiche, alcune delle quali relative all’educazione civica, dal rispetto e tutela dell’ambiente all’importanza dell’amicizia e della solidarietà, dal ruolo degli anziani nella società al rapporto tra genitori e figli, dai pericoli nell’utilizzo scorretto della rete e dei social all’accettazione della sconfitta.

booksprintedizioni.it/libro/Ro…

Amalia Scalise e i suoi racconti: quando la fiaba incontra l’educazione


Un libro che incanta grandi e piccoli

I Racconti di Amalia Scalise sono stati una vera sorpresa. Fin da quando ho avuto il libro tra le mani, sono rimasta affascinata dalla copertina vivace e dalle illustrazioni colorate che trasmettono allegria e poesia.
Ma è solo leggendo le pagine che ho compreso la vera magia: questo è un libro che ogni bambino dovrebbe poter leggere — e che ogni adulto dovrebbe raccontargli.

Da educatrice e laureata in arte, ho trovato tra queste pagine preziosi insegnamenti di vita, presentati con semplicità e dolcezza. Gianni, il gufo saggio, e il Bosco U-magico non sono solo personaggi e luoghi immaginari: sono metafore di una comunità solidale, dove la gentilezza, la gratitudine e l’amicizia sono la vera magia.

Fiabe e mente dei bambini: cosa dice la scienza sul potere dei racconti
Introduzione


Le fiabe non sono solo ricordi d’infanzia o storie per addormentarsi. Dietro quel “C’era una volta” si nasconde un potente strumento educativo: un linguaggio che aiuta i bambini a sviluppare linguaggio, empatia e fiducia nel mondo. La psicologia e le neuroscienze confermano che raccontare storie ai più piccoli è un atto che nutre la mente e calma le emozioni.

Un viaggio antico quanto l’uomo


Le fiabe affondano le loro radici in tempi remoti, quando la parola era l’unico mezzo per tramandare saggezza e valori. Prima che venissero scritte, erano raccontate attorno al fuoco, nei villaggi e nelle famiglie, come strumenti di coesione sociale e di educazione morale. Nel XVII secolo Charles Perrault trasformò quei racconti popolari in capolavori letterari come Cenerentola e Cappuccetto Rosso. Più tardi, i Fratelli Grimm e Hans Christian Andersen ne consolidarono il valore educativo e simbolico. Nel Novecento, Gianni Rodari ne rinnovò lo spirito, portando la fiaba nel mondo moderno come palestra per la fantasia e per la libertà di pensiero.

Come le fiabe aiutano il cervello a crescere


Le ricerche neuroscientifiche mostrano che ascoltare o leggere fiabe attiva simultaneamente le aree del cervello legate al linguaggio, alla memoria e alle emozioni. Ogni racconto diventa una palestra mentale dove il bambino impara a:

• costruire nessi logici e sequenze temporali;
• comprendere la relazione tra causa ed effetto;
• ampliare il vocabolario e sviluppare l’immaginazione.

Il linguaggio simbolico delle fiabe consente inoltre di affrontare temi complessi — paura, giustizia, perdita, speranza — in modo accessibile e rassicurante.

Il potere psicologico dei racconti

Le fiabe sono il primo “specchio dell’anima”. In esse, draghi, streghe e mostri rappresentano le paure interiori che il bambino impara a riconoscere e superare. Seguendo l’eroe o l’eroina nel loro viaggio, i piccoli lettori apprendono che le difficoltà si possono affrontare e che la crescita passa attraverso il coraggio e la fiducia. Ogni lieto fine diventa così una conquista simbolica: la prova che anche il dolore può trasformarsi in forza.

Un’eredità da preservare


In un’epoca dominata dalla tecnologia, le fiabe continuano a essere uno degli strumenti più efficaci per costruire empatia, pensiero critico e identità. Leggere o raccontare una storia a un bambino significa offrirgli un modello di mondo, un rifugio emotivo e una bussola morale. Per questo, educatori e psicologi raccomandano di mantenere viva la narrazione orale, accanto ai libri illustrati e agli strumenti digitali.

Il libro in sè


Il piccolo, ma grande libro di fiabe e racconti di Amalia Scalise ha vinto il concorso letterario di Canti di…versi di San Pietro Magisano Calabria. Quando l’autrice mi ha comunicato la notizia non ne sono per niente rimasta sorpresa, ero certa che questo piccolo tesoro sarebbe stato notato. Leggendo questi racconti ho trovato molti spunti, Gianni ci insegna a guardare oltre, a non dare per scontato alcune cose, a non cadere nella disperazione davanti a piccoli errori, a comprendere che anche quando sembra che tutto stia andando storto, in realtà, bisogna guardare ciò che è accaduto di positivo e qualcosa, anche piccolino verrà sempre a galla.

Amicizia, Gratitudine, lealtà, comprensione sono solo alcuni dei dettami che si possono incontrare nel Bosco U-magico dove, la vera magia è l’amicizia.

Conosciamo L’autrice


Ho posto quattro domandine all’autrice che, ho il piacere di condividere con voi

Chi è Gianni il gufo? Ti sei ispirata a qualcuno in particolare?


Nel mio libro, Gianni incarna la figura paterna che tutti dovrebbero avere:
presente, solida, rassicurante. Nella mia vita ho avuto un legame profondo con
i miei genitori e la fortuna di avere accanto uno zio che è stato per me come un
secondo padre. Questo mi ha permesso di percepire la presenza maschile come
qualcosa di protettivo e confortante.
Al contrario, il rapporto con i nonni è stato quasi assente: quelli paterni
vivevano troppo lontano, mentre quelli materni sono venuti a mancare quando
ero ancora molto piccola. È da questo vuoto che nasce Nonna Gilda, un
personaggio che nel libro rappresenta la nonna ideale, così come l’ho sempre
immaginata e come avrei voluto che fosse, se avessi avuto la possibilità di
conoscerla davvero.

Dove nascono le tue fiabe?

Credo che le mie favole nascano dal legame profondo con mia madre,
un’artista capace di trasformare la realtà attraverso la pittura, le parole e
l’immaginazione. Da bambina ascoltavo le storie che inventava per me,
viaggiando con lei in mondi incantati dove diventavo l’eroina di mille
avventure. È da quell’ascolto e da quella meraviglia che è nato il mio amore
per la narrazione. Scrivere favole, oggi, è il mio modo di raccogliere la sua
eredità invisibile e continuare a dialogare con lei.

3. Il bosco U-magico è un luogo in particolare a te caro?


Sì, i boschi mi sono profondamente cari. Varcarne la soglia è come entrare in
un tempo sospeso, dove tutto parla un linguaggio antico e silenzioso. Tra gli
alberi avverto un legame primordiale con la terra, un senso di mistero e di
incanto che invita all’ascolto. È un luogo di pace e di protezione, dove il
mondo sembra ritrovare la propria armonia e anch’io, per un momento, con
esso.
Si dice che i bambini nascano sotto i cavoli, ma la mia cicogna deve
essersi smarrita per strada, attratta dal profumo di muschio, e sono finita
sotto una piantina di fragoline di bosco.

Ultima domanda nei racconti brevi hai inserito tanti avvenimenti e tante lezioni
importanti che dovremo tutti tenere a mente: la generosità, l’amicizia, l’aiuto
reciproco, l’ascolto attivo e non passivo e molte altre cose, quale è la tua
speranza nei confronti dei piccoli lettori? Cosa speri che imparino leggendo
Gianni il gufo?

Le mie favole nascono anche dal mio essere insegnante, un ruolo che sento di
portare con me ben oltre le mura della scuola. Attraverso queste storie desidero
accompagnare i giovani lettori in piccole riflessioni sulla vita quotidiana,
invitandoli a guardare il mondo con curiosità e sensibilità. Più che trasmettere
nozioni, mi interessa coltivare uno sguardo attento, capace di empatia e di
ascolto. Il messaggio che mi sta più a cuore è che i veri eroi non sono quelli dei
racconti epici, ma coloro che, nella vita di ogni giorno, sanno vivere in armonia
e tendere la mano agli altri.

Conclusione


In un mondo sempre più veloce, dove l’attenzione si frammenta tra schermi e notifiche, le fiabe restano un’oasi di silenzio e significato. Raccontarle a un bambino significa donargli tempo, ascolto e immaginazione: tre strumenti che nessun algoritmo potrà mai sostituire. Ogni storia, anche la più semplice, insegna che le difficoltà si affrontano, che il bene può vincere e che dentro ciascuno di noi vive un eroe in attesa di scoprirsi. Perché, in fondo, le fiabe non servono solo ai bambini: ricordano agli adulti come si fa a sperare.

Sono fortemente convinta che questo libro sia un tesoro imperdibile, il mio augurio e che possa anche essere preso in considerazione dalle scolaresche.

youtube.com/shorts/pwx0KeUyt_Q…

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Il Gruppo di Studio AISA ha realizzato un questionario destinato agli Atenei italiani e agli Enti di ricerca, per una prima mappatura delle attività di didattica della scienza aperta esistenti.

La scienza aperta è entrata nel quadro della ricerca e dell’istruzione promuovendo la trasparenza, la riproducibilità e l’accesso equo alla conoscenza. Insegnare scienza aperta non significa solo […]

aisa.sp.unipi.it/questionario-…

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“Are the NPCs in Pokémon Legends: Z-A okay?” — “Ma gli NPC in Leggende Pokémon Z-A stanno bene?”


È intrigante vedere che, se da un lato ci sono i gamer brainrottati come me, che con Pokémon Z-A stanno godendo, e dall’altro tutti quelli ancora sani che, loro malgrado, anche questo giochino non riescono proprio a farselo andare giù… in mezzo ci sono tutti quei pazzi che ogni giorno mi danno l’ispirazione per continuare a vivere che, anziché pensare alle cose importanti dell’esperienza, vanno a cercare i dettagli inutili ma pazzurdi… tipo i dialoghi degli NPC in giro per Luminopoli, e la grande scoperta che viene da una passeggiata del genere è che questi individui sono quasi tutti assolutamente cucinati. 🌚

youtube.com/watch?v=c2Gzqglt_X…

Lasciando stare il dibattito su se sia buono avere la maggior parte degli NPC nella città con questi dialoghi pop-up che si leggono in automatico, e non solo quelli vecchio stile a cui bisogna parlare interagendoci (che ci sono, ma di meno), per cui ora una parte dell’esplorazione è stata uccisa, perché ora sia i dialoghi spassosi che quelli chiave non sono da scoprire con fatica, ma lo si fa totalmente per caso camminando… È evidente che stavolta, quelli che nel team di sviluppo sono soliti dare voce ai personaggi circa inutili, si sono divertiti parecchio, e forse questa è l’unica cosa che a Game Freak ancora si salva (nel contesto di Pokémon, si intende, perché tolto quello per qualche motivo i giochi li sanno fare apparentemente bene). 😤

La varietà è grande e vale la pena guardare tutto il video — mi secca solo che sia in inglese, perché scommetto che in italiano tutte le cose sono solo più divertenti… magari farò un video o un articolo io con la stessa premessa, chi lo sa — ma bene o male tutto si può classificare in delle precise categorie: vecchi che vivono crisi di terza età, membri della forza lavoro o gente non meglio specificata che parla di cose e problemi spaventosamente reali, e allenatori che nelle loro giornate hanno idee o modi di agire decisamente bizzarri, e in certi casi preoccupanti. A tratti le cose sembrano pensieri intrusivi usciti direttamente dalle teste degli sviluppatori, ed altre volte frasi uscite direttamente da biscotti della fortuna, quindi che dire. 📜

Comunque sia, un filo rosso di pazzia lega tutte queste persone, e beh… nei commenti c’è chi dice che forse è colpa della deprivazione del sonno, che in effetti ha senso: da un lato, per chi partecipa alla Royale Z-A, e passa la notte a fare lotte… e, dall’altro, chi semplicemente subisce l’infinito inquinamento acustico che dalle zone lotta si diffonderà fuori (anche se, in realtà, ogni notte la posizione cambia, quindi la possibilità di dormire ogni tanto la avrebbero… vabbé). Però, caspiterina, queste abilità di scrittura sono sprecate per un RPG a mondo statico come Pokémon… sarebbe invece bellissimo avere dialoghi di questo tenore in un gioco di simulazione a conversazione dinamica come Animal Crossing… (Immaginiamo a questo punto se Game Freak e Nintendo si scambiassero i dipendenti…) 🤖


Gli NPC in questo gioco faranno piangere, ma le nuove lotte dinamiche sono bellissime, e io non me lo aspettavo. Scopri precisamente tutta l’epicità nel nuovo articolo stufocttato: Le sfavillanti lotte in tempo reale di Leggende Pokémon: Z-A. (Messaggio promocttionale, abbiate pazienza.)

#dialoghi #GVG #Pokémon #PokemonZA

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L’XI congresso del PCI si svolse a Roma dal 25 al 31 gennaio del 1966


È illuminante il dibattito che si svolge nella direzione del PCI su come preparare l’XI congresso. Ingrao chiede di poter esprimere liberamente le sue opinioni in fase congressuale, ma le reazioni sono immediate, tutta la direzione del partito è in subbuglio: “una parte di questo gruppo organizza una lotta contro le posizioni del partito e con preoccupazioni di potere […] un attacco cioè alla linea del compagno Togliatti, che investe la linea del partito da basi frazionistiche” tuona Emilio Sereni <38. Secondo Pajetta “la democrazia effettiva […] non si ottiene con uno sviluppo nel partito di dissensi che lo frenerebbero e bloccherebbero l’azione e la lotta di massa” <39. E Amendola afferma: “la pubblicità del dibattito non è sempre garanzia di democrazia […] può a volte esser dannosa perché finisce per personalizzare le posizioni e inevitabilmente quindi per cristallizzarle” <40. Il più conciliante, pur condividendo le critiche mosse ad Ingrao, fu Enrico Berlinguer, che chiedeva “una base unitaria comune, su cui possano esprimersi sino al congresso, e con certe cautele, certe divergenze”, affermando inoltre che non si doveva confondere la passione politica con l’esasperazione <41. Sempre Amendola, avanza al comitato centrale una richiesta di abiura: Ingrao rifiuta e la rottura è definitiva.
Questo è il clima che precede l’XI congresso del PCI, che si svolse a Roma dal 25 al 31 gennaio del 1966. “L’XI congresso del PCI per la pace e la libertà dei popoli per il rinnovamento dell’Italia e del socialismo. Longo propone una concreta linea di lotta unitaria a tutte le forze operaie e democratiche”, scrive “l’Unità” in prima pagina il 26 gennaio 1966, aggiungendo poi: “Il partito uscirà dal Congresso temperato dal dibattito democratico, ancora più forte, ancora più unito, più capace di guidare i lavoratori alla lotta” <42. Durante i primi giorni tutto procede serenamente e nulla dei precedenti dibattiti traspare. Anche i cosiddetti ingraiani più autorevoli (Reichlin, Rossanda, Pintor, Natoli, Trentin) tennero dei discorsi molto misurati, riferiti principalmente ai loro settori di competenza, o tacquero. Il terzo giorno salì alla tribuna Ingrao. Il suo intervento ribadiva, senza demagogia e con toni pacati, le sue posizioni sui punti che erano già stati discussi. “Ma alla fine del suo intervento pronunciò una frase che occorre citare precisamente: ‘Sarei insincero se tacessi che il compagno Longo non mi ha persuaso rifiutando di introdurre nel nostro partito il nuovo costume della pubblicità del dibattito, cosicché siano chiari a tutti i compagni non solo gli orientamenti e le decisioni che prevalgono e impegnano, ma anche il processo dialettico di cui sono il risultato’.
Nella quasi totalità l’assemblea reagì con un grande e insistito applauso e quando Ingrao, nell’emozione, alzò alto il pugno, l’applauso divenne quasi un’ovazione. Al tavolo folto della presidenza al contrario pressoché tutti rimasero irrigiditi e a braccia conserte. Da quel momento il clima del congresso cambiò totalmente” <43. Tutto il gruppo dirigente del partito reagì con pesanti interventi, attacchi durissimi, quasi tutti rivolti a denunciare un frazionismo in atto, o a segnalare il pericolo di una divisione del partito. Il congresso fu organizzato esplicitamente per sconfiggere e togliere ogni spazio a chi avanza dei dubbi sulla riforma del partito e delle sue regole e la richiesta della “pubblicità del dibattito” divenne il nemico principale <44.
Ingrao non metteva in discussione il centralismo democratico, cioè il dovere di accettare, di sostenere e di applicare la linea dominante con la disciplina, ma chiedeva che la linea dominante fosse “il risultato misurabile di un’esplicita dialettica da tutti comprensibile, fosse quindi successivamente sottoposta a una verifica dei fatti e, di fronte a nuovi sviluppi della situazione, potesse essere precisata o corretta con il concorso di tutti”. Ma il gruppo dirigente del partito non si fidava di Ingrao, vedeva nella sua figura, nel suo carisma, un pericolo alla tradizionale coesione del partito. Seguì quindi dopo il Congresso un’epurazione accurata e selettiva, che colpiva le punte estreme e più esposte (Rossada, Pintor ecc.). Ingrao venne degradato e isolato in sedi istituzionali; Berlinguer, che allora era a capo della segreteria nazionale, venne accusato di eccessiva tolleranza e sostituito da Napolitano nel suo ruolo chiave; illuminante è il caso di Luciano Magri: “Io non fui rimosso perché non c’era niente da cui rimuovermi, […] fui semplicemente confinato nel mio ufficio, senza avere assolutamente niente da fare. Dopo pochi mesi, quando andai da Amendola per dirgli che non potevo andare in pensione a trentadue anni, e gli chiesi di mandarmi a lavorare in qualsiasi piccola federazione, mi rispose senza sorridere: ‘devi fare una quarantena perché sei un giovane intelligente, abbiamo lavorato bene insieme, ma devi ancora imparare la disciplina bolscevica’ ” <45. A confermare che l’ingraismo non era una frazione resta il fatto che nessuno dei puniti protestò, e nessuno difese nessuno, tutti accettarono la linea dettata dalla maggioranza senza discutere.
Con l’XI congresso il partito ribadì la priorità delle gerarchie interne rispetto alla riflessione e al rapporto con la società, accrescendo così processi già avviati, in relazione alla formazione dei gruppi dirigenti, ma disincentivando allo stesso tempo la militanza di larghi settori di attivisti. Da quello scontro prende le mosse anche una graduale marginalizzazione (e talvolta una volontaria presa di distanze) non tanto dell’ala ingraiana, quanto della sua propaggine sinistra, che in parte, di lì a poco, darà vita al “Manifesto” <46.
Nella stessa politica delle alleanze il PCI seguirà una strada intermedia tra quelle proposte da Amendola e Ingrao, con una grande attenzione – tipica di Longo – all’unità del movimento operaio ma anche ai nuovi movimenti di massa, e con l’attacco frontale alla DC all’indomani del crollo di Agrigento e delle alluvioni del ’66, che mettono in luce l’esistenza di un “sistema di potere” il cui impatto si rivela devastante per lo stesso territorio <47. L’emergere dello scandalo dei fascicoli del SIFAR e del “piano Solo” rinnoverà i dubbi sulla natura pienamente democratica della DC, e il golpe dei colonnelli in Grecia tornerà a porre all’attenzione dei comunisti il problema della difesa della democrazia <48.

[NOTE]38 G. Crainz, Il paese mancato, Isola del Liri, 2007, p. 166.
39 Ibid.
40 Ibid.
41 Cfr. ibid; Cfr. inoltre A. Lepre, op. cit., p. 218.
42 Cfr. “l’Unità”, 26 gennaio 1966.
43 L. Magri, op. cit., pp. 195-196.
44 Cfr. G. Crainz, op. cit., p. 167; Cfr. inoltre L. Magri, op. cit., pp. 196.
45 L. Magri, op. cit., p. 201
6 Cfr. G. Crainz, op. cit., pp. 168-175.
47 I ritmi furibondi e insensati assunti dalla speculazione edilizia in tutta Italia sembrano trovare improvvisa sintesi emblematica ad Agrigento. Nella bella città siciliana si sono costruiti palazzi perfino su zone franose. Interi quartieri sono inevitabilmente travolti dai crolli, mettendo drammaticamente sotto accusa le scelte sbagliate compiute dai gruppi dominanti e dalla DC in termini di assetto del territorio. La battaglia di denuncia viene vigorosamente
sostenuta in parlamento, nel paese, su “l’Unità” da tutto il partito con il contributo determinante di Mario Alicata, membro della direzione e direttore del giornale (cfr. Il sacco di Agrigento: DC e governo devono trarre le conseguenze politiche, su “l’Unità”, 6 dicembre 1966; G. Crainz, op. cit., pp. 69-77).
48 Cfr. G. Crainz, op. cit., pp. 95-110.
Vincenzo Aristotele Sei, Il partito comunista nella società italiana da Togliatti a Berlinguer, Tesi di laurea, Università degli Studi della Calabria, 2011

Difficile scovare qualcosa nel sorvegliatissimo dibattito sviluppato all’XI Congresso del gennaio ’66. Nella relazione introduttiva di Longo le questioni culturali sono platealmente schivate, limitandosi ad accenni polemici come nel passaggio che segue: “Sono comparsi fenomeni di logoramento del costume del partito, propensioni a un tipo di critica generica, astratta, e perciò non produttiva, a discussioni condotte in modo ermetico, allusivo, tale da rendere difficile, a tutti i compagni, la comprensione dei termini reali del contendere” <564. Il bersaglio è costituito dai continui cedimenti all’«estremismo», al «massimalismo», o alternativamente all’«operaismo» – intendendo con tale termine non la corrente politico-ideologica di Panzieri e Tronti ma la tensione “fabbrichista” di un pezzo del partito eccessivamente schiacciata sulle posizioni sindacali della Cgil, in quel torno di tempo più radicali della tattica politica stabilita dal partito (vedi ad esempio tutta la vicenda legata alla III Conferenza operaia di Genova del maggio ’65, altro momento simbolico dello scontro tra Amendola e la sinistra – in quel caso rappresentata dalla relazione di Luciano Barca). Anche nell’intervento di Rossanda i temi culturali-ideologici sono ampiamente elusi, limitando il discorso alla questione scolastica e all’accesso allo studio. Solo un passaggio sembra intervenire sul rapporto tra politica e cultura: “Il collegamento e il dialogo con altre forze culturali non è mai per noi un’esercitazione di liberalismo o di buone maniere. Non sarebbe allora se non una nuova forma di strumentalismo. È invece la necessità di intendere i processi sociali reali che affiorano nella crisi della cultura contemporanea, nella sua protesta e nei suoi positivi fermenti, e di intessere un dialogo che sposti tutto il fronte di questa cultura attorno ad obiettivi di trasformazione sociale, intendendo, nello stesso momento, e sottolineando i momenti di originalità e di autonomia con i quali altre forze culturali appaiono interessate a questa trasformazione. Non possiamo commettere l’errore di ignorarle perché il loro metodo, le loro condizioni, il loro linguaggio si differenziano dal nostro. Siamo marxisti e siamo gramsciani perché le giudichiamo dal loro modo di porsi davanti alla società, prima che davanti alla nostra tradizione culturale <565.
La flebile richiesta di considerazione di un dibattito lungamente affrontato in sede di Sezione culturale troverà chiuso il partito ad ogni possibile accoglimento. Nelle Tesi finali scompare ogni riferimento ai problemi culturali, men che meno ideologici, considerati – prima ancora che “discutibili” – di fatto marginali (ed è forse questo il limite decisivo dell’azione di Rossanda: il confronto non avviene nel “caldo” degli anni Cinquanta, ma nel freddo disinteresse della metà dei Sessanta, dove i problemi, per il Pci, iniziavano ad essere di tutt’altra natura). La battaglia culturale sembrava uscire così di scena, relegata in poche e dure battute nella parte conclusiva delle Tesi: “Questa continua verifica [della linea politico-ideale, nda] deve garantire la più salda unità politica e impedire che la permanenza di linee politiche diverse o di elementi di orientamento eterogenei e contrastanti rispetto alla linea politica che il partito si è data, ne ostacoli l’azione. La sicurezza della linea politica, la convinzione della sua giustezza, l’impegno per dimostrarne nella pratica la validità, sono decisivi per l’azione di massa del partito, per la conquista delle masse al partito, per lo sviluppo dell’attivismo. […] È però necessario che oggi il partito accresca il suo impegno contro atteggiamenti di superficialità e di provinciale sufficienza che si sono manifestati negli ultimi anni nei confronti della realtà dei paesi socialisti” <566.

[NOTE]564 Relazione di Luigi Longo, in XI Congresso del Partito comunista italiano. Atti e risoluzioni, Editori Riuniti, Roma 1966, p. 82.
565 Ivi, p. 387.
566 Ivi, p. 748.
Alessandro Barile, Apogeo e crisi della politica culturale comunista. Rossana Rossanda e la Sezione culturale del Pci (1962-1965), Tesi di dottorato, Università di Roma La Sapienza, 2022

#1966 #25 #31 #AlessandroBarile #Congresso #dibattito #frazionismo #gennaio #massimalismo #operaismo #PCI #pubblicità #tesi #VincenzoAristoteleSei #XI


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oggi, 22 ottobre, a roma, palazzo delle esposizioni: quel che non puoi vedere // tentativi di visione


federica luzzi_ presentazione
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posti limitati: a questo indirizzo è possibile prenotarsi

OGGI, 22 ottobre, h. 18:30, incontro con:
Ivana Della Portella – Vicepresidente dell’Azienda Speciale Palaexpo
Federica Luzzi– artista visiva
Naoya Takahara– artista visivo
Maria Pia D’Orazi – storica del teatro e giornalista
Giuseppe Garrera – storico dell’arte e collezionista

Il cofanetto “Quel che non puoi vedere / Tentativi di visione 試行、イメージへ” è la restituzione in forma cartacea di quanto emerso grazie all’omonima performance ideata da Federica Luzzi e Naoya Takahara (Roma 2022, AOC F58) al cui centro c’è il particolare acustico del pavimento in legno di AOC, che ricorda “uguisubari”, il pavimento dell’usignolo, presente in molti antichi templi e residenze nobili giapponesi: grazie a un sistema di morsetti e chiodi, ogni volta che le travi vengono calpestate producono un suono simile al canto di questo volatile, avvisando i residenti che qualcuno è entrato. Un’immersione inedita nella cultura giapponese in dialogo con quella occidentale.

Il cofanetto invita il lettore ad associare liberamente i vari materiali: oltre al libro (che raccoglie i contributi di Flavio Arcangeli, Gabriella Dalesio, Giuseppe Garrera, Alex Kerr, Melissa Lohman, Federica Luzzi, Pasquale Polidori, Marcello Sambati, Naoya Takahara, Monica Vacca), 22 foto, 3 haiku e 3 racconti tradizionali giapponesi.

Cambiaunavirgola Edizioni

Sarà proiettato il video della performance “Quel che non puoi vedere/Tentativi di visione試行、イメージへ” (durata: 00:24:59 minuti) ideata da Federica Luzzi e Naoya Takahara con Flavio Arcangeli, Melissa Lohman, Simone Pappalardo, Pasquale Polidori, Marcello Sambati.

Patrocinio di Istituto di Giapponese di Cultura di Roma, Fondazione Italia – Giappone, 2022.

Informazioni


Ingresso libero fino a esaurimento posti con possibilità di prenotazione

Sala Auditorium – Palazzo Esposizioni Roma
Scalinata di via Milano 9 a

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#AlexKerr #art #arte #FedericaLuzzi #FlavioArcangeli #FondazioneItaliaGiappone #GabriellaDalesio #GiuseppeGarrera #ilPavimentoDellUsignolo #IstitutoDiGiapponeseDiCulturaDiRoma #IvanaDellaPortella #MarcelloSambati #MariaPiaDOrazi #MelissaLohman #MonicaVacca #NaoyaTakahara #PalazzoDelleEsposizioni #PasqualePolidori #SalaAuditorium #SimonePappalardo #uguisubari

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oggi e domani, 22 e 23 ottobre, a roma, presso la fiap: “la ri/nascita dell’associazionismo partigiano e democratico”


FIAP – Federazione Italiana Associazioni Partigiane

Oggi e domani, mercoledì 22 e giovedì 23 ottobre 2025
Casa della Memoria e della Storia
Via San Francesco di Sales, 5 – Roma

Convegno di studi:

LA RI/NASCITA DELL’ASSOCIAZIONISMO PARTIGIANO E DEMOCRATICO: RIFLESSIONI TRA PASSATO E PRESENTE (1945 – 2025)


Locandina del convegno "La rinascita dell'associazionismo partigiano e democratico"
cliccare per ingrandire

Iniziativa promossa da ANVRG in collaborazione
con le ASSOCIAZIONI DELLA CASA DELLA MEMORIA E DELLA STORIA

#associazionismo #CasaDellaMemoriaEDellaStoria #FederazioneItalianaAssociazioniPartigiane #Fiap #FIAPFederazioneItalianaAssociazioniPartigiane

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eroganza senza spam con l’acqua universitaria che sa di rotto (erogatore acqua con display trovato sprogrammato o qualcosa del genere)


La settimana scorsa, giovedì (mannaggia al giorno della settimana che devo rimanere lì per 8 ore e passa di fila…), all’università ho visto una di quelle cose tecniche spaccate che, come pure i muri dell’ateneo e degli autobus ormai sanno, mi interessano fin troppo particolarmente per motivi non umanamente giustificabili… E, stavolta, ciò che trovo non funzionare a dovere è uno (1) degli erogatori di acqua in giro che, al posto del solito video autopromozionale maledetto dell’università — i cui suoni sono normalmente soliti rimbombare nel silenzio del particolare atrio in cui questa precisa unità sta, creando un’ambiance che non so mai ben spiegaremostra un menu… 😲
Foto del fronte dell'erogatore, la parte col display e il logo; il menu come descritto ha molto padding su sinistra e destra, la griglia ha celle visibili e spaziate anch'esse, il video ha un'icona di video generica rossa, e in cima c'è un listino di pagina: 1/1.
C’è un’interfaccia che decisamente non ho mai visto prima nel mondo intero, con uno sfondo di un certo blu brutto che dà immediatamente a vedere la puzzolenza di questo LCD chiaramente del decennio scorso (se non di due…), una griglia 4×3 di file più un tasto Indietro, e lì si vede quello che presumo sia appunto il video famigerato… “bitrate_1080.mp4” (e che nome strano, fa sembrare che l’abbiano copiato su questa macchinetta dritto per dritto appena uscito dal programma di montaggio). Ovviamente, quello schermo non è touch, quindi provare a cliccare non serve assolutamente a niente… e così, questo oggetto si fa immediatamente più oscuro del solito ai miei occhi… Finché non ho trovato niente di meno che la scheda di questo preciso prodotto, il BCC Vision, dal sito del produttore, Blupura, dove, tra le tante robe, c’è scritto che questo coso ha un telecomando in dotazione… non è chiaro se a infrarossi, o che. (Appare invece evidente che il firmware è uno di quelli strani proprietari da media player, e sembra che le uniche sue funzioni siano riprodurre video ed immagini JPEG in particolare… PNG e altre no, scusate?) ⛲

La cosa veramente interessante (oddio, si fa per dire) in tutto questo, però, è probabilmente il fatto che oggi è martedì, e… questo distributore era ancora esattamente in questo stato; e io lo sapevo fottutamente, perciò ho aspettato per parlarne. Questa è per me la prova provata che questo posto d(‘)istruzione è amministrato da fantasmi, e non da persone che possono interagire con gli oggetti rotti per sistemarli… porca miseria, magari il telecomando di questo affare lo avete perso o non sapete che esiste (entrambe ipotesi molto italiane), ma almeno provare a staccarlo dalla corrente e riattaccarlo no? Assumendo non si sia sminchiata la memoria — e non penso sia il caso, altrimenti manco il menu col file si vedrebbe a questo punto — fare ciò dovrebbe sistemarlo, perché ricordo che, quando qui salta la corrente, questi cosi si riaccendono normalmente… E ok, non è collegato ad una presa accessibile, bensì il cavo va dentro il muro retrostante, ma sono abbastanza sicura che il quadro elettrico del piano stia nella guardiola giusto lì affianco. 😐

Rimane un mistero come mai il video, che tanto piaceva a tutti, si sia chiuso e questo affare sia tornato al menu — le mie sole ipotesi sono o un raggio cosmico, o qualcuno che magari si è divertito con un blaster IR (sempre assumendo usi quello il telecomando, perché io il ricevitore non lo vedo) e ha avuto culo. Per fortuna — e qui davvero c’è da ringraziare il cielo, perché questo periodo dell’anno è proprio quello in cui, misteriosamente e inspiegabilmente, visto che fino al giorno X – 1 non presentano problemi, questi affari smettono di funzionare in giro per l’intero campus, e finiscono in “manutenzione”, che è una scusa per sabotare gli studenti credibile e sensata quanto la famosa “Giornata della Manutenzione di Internet” in Cina — l’erogazione dell’acqua funziona ancora perfettamente, quindi non mi lamenterò… per stavolta solo risate, e parole superflue come al solito. 👍

#acqua #BCCVision #Blupura #dispenser #erogatore #università

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Lavorare stanca (ancora)

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Lavorare stanca

Lavorare stanca

I diamanti

Cesare Pavese

Raccolta di poesie

4punte edizioni

giugno 2023

Rilegato

128

Pubblicata per la prima volta nel 1936 – mentre Pavese si trova al confino a Brancaleone Calabro – la raccolta poetica “Lavorare stanca” racchiude i temi che resteranno centrali in tutta la sua opera. Con i versi lunghi, di tredici o sedici sillabe, e uno stile semplice e diretto in contrasto con quello dell’epoca, Pavese apre la strada a un nuovo mondo narrativo, in cui le poesie hanno l’aria di racconti, microstorie. Nonostante i riferimenti a luoghi a lui conosciuti, l’autore dona a ogni elemento – le stelle, l’alba, le colline, ma anche la città, gli uomini e le donne – una dimensione mitica, universale, e fa emergere tra le pagine fitte, distinta, la presenza di un «Io» ingombrante, pur se mimetizzato negli altri. Un viaggio che evoca con nostalgia non solo il passato, ma anche un futuro su cui egli già proietta tutto il senso di inadeguatezza e l’irrimediabilità della propria solitudine. Prefazione di Simona Mingardi.

Rileggere Pavese come se fossimo noi a tornare a casa la sera.


Non ci può essere migliore recensione, per un libro di poesie, se non quella che lo stesso autore scrive. Probabilmente questo lo sapeva anche Pavese che nei due testi in appendice alla sua opera spiega perfettamente le percezioni che la lettura mi aveva dato. In particolare a pag. 120 leggiamo:

Definito “Lavorare stanca” come l’avventura dell’adolescente che, orgoglioso della sua campagna, immagina consimile la città, ma vi trova la solitudine e vi rimedia col sesso e la passione che sevono solo a gettarlo lontano da campagna e città, in una più tragica solitudine che è la fine dell’adolescenza […]


C’è una stanchezza che non passa. Non quella delle braccia, ma quella che scava dentro e non trova nome. Quella di chi lasciava le Langhe per la scintillante città e le sue promesse. Quella di chi si sottrae alla carezza della brezza marina e allo sguardo delle esperidi per un nebbioso posto fisso (non parlo di Pavese). Ma anche di chi è strappato alle proprie radici dall’istinto di sopravvivenza. Pavese siamo noi nel tempo e nello spazio alla ricerca spesso di un orizzonte che si sottrae ad ogni passo. E che per ogni passo in avanti che ci sembrerà di fare non sarà mai più vicino rispetto al punto dal quale eravamo partiti. È come se il percorso obbligato di crescità che la modernità ci ha imposto non facesse altro che allontanarci dall’essere umani mentre ci affanniamo a diventare persone.

La città mi ha insegnato infinite paure


Poesie e poetica


La sua lingua è nuda, prosastica, quasi sgraziata. È il contrario della poesia come la immaginavano gli altri: Pavese non vuole consolare, vuole far vedere.

C’è il lavoro, sì, ma dietro il lavoro c’è l’assenza. L’impossibilità di stare davvero con gli altri, la solitudine come condizione naturale. In questa raccolta, l’uomo è un animale separato: guarda, ricorda, desidera, ma non si muove più. Il mito — quello che Pavese inseguirà sempre — qui è solo un’eco lontana, un sogno che non sa ancora di esserlo.

Cosa rimane


Eppure qualcosa resta. Nella polvere delle Langhe, nei paesi immobili, nei versi che sembrano camminare e non arrivare mai, c’è una specie di pietà. Pavese non giudica ma osserva. La sua poesia è stanca ma lucida, come chi ha smesso di cercare risposte e continua comunque a fare domande.

La vite, la vite e la donna


Come già egregiamente espresso nella recensione de “La Luna e i falò”, scritta da Cristina Desideri per il nostro blog, l’uva e il lavoro che la circonda è un tema centrale anche in Lavorare stanca. Una vite che è la vita stessa che assorbe e rimanda le personalità di chi gli vive intorno, come fa con i profumi e gli aromi delle erbe che crescono nelle sue vicinanze. Una vite che si confonde poeticamente con il desiderio e quindi, per Pavese, con la donna. Un appagamento fugace di felicità terrena e di senso di libertà che si può raggiungere talvolta in un orgasmo etilico o erotico.

Questa raccolta, infine, è un bazar di profumi e sensazioni. Talvolta disturbanti. C’è quasi bisogno, tra una poesia e l’altra di annusare dei chicchi di caffè, come facevano alcuni profumieri del passato, per resettare il naso e predisporlo a una nuova esperienza sinestetica.

La casa editrice


Una menzione di merito va certamente alla casa editrice “4 Punte Edizioni” che ha scelto di ripubblicare questa raccolta. I chiodi a “4 Punte” erano uno strumento di sabotaggio e resistenza usato dai partigiani. I libri “resistenti” che fanno parte della collana #ilTrenoVersoSud ci rinnovano la necessità di sabotare con ogni mezzo controculturale l’egemonia indifferente e repressiva che troppo spesso si respira in questo paese.

L’eccellente prefazione di Simona Mingardi riesce a spaziare in poche righe tra i sentimenti e le opere di Pavese, aiutandoci a comprendere la raccolta.

Un piccolo aneddoto


Cesare Pavese fu vittima della repressione fascista che lo costrinse al confino, presso Brancaleone (RC) tra il 1935 – 36′.

Lo scorso agosto, durante un evento di presentazione di una mia raccolta di poesie svoltasi a Bova Marina (RC), ho avuto modo di conoscere il fratello di un altro confinato politico antifascista. Anch’egli confinato sempre a Brancaleone, nello stesso periodo di Pavese. Il fratello mi ha raccontato che Pavese, essendo un ospite di “spicco”, riceveva talvolta delle sigarette o altre piccole gentilezze dai carcerieri ma non era solito condividere tali “gioie” con gli altri reclusi che certamente non apprezzavano questa caratteristica. Una piccola storia nella storia che certamente nulla toglie al grande poeta ma ci dona una punta di colore nell’affresco del poeta.

#antifascismo #ilTrenoVersoSud #lavoro #Pavese #poesia #terraEVendemmia #uva #vino


La Luna e i falò: “Pavese e l’amara nostalgia di un’identità perduta”

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la luna e i falò

Title:
La luna e i falò

Author:
Cesare Pavese

Genre:
narrativa

Publisher:
Einaudi

Pages:
174

Source:
einaudi.it/catalogo-libri/narr…

Cesare Pavese (1908-1950) è stato un importante scrittore, poeta e traduttore italiano, considerato uno dei maggiori esponenti della letteratura del Novecento. Nato a Santo Stefano Belbo, in Piemonte, Pavese si laureò in lettere e iniziò la sua carriera come traduttore di opere americane.
La sua scrittura è caratterizzata da una profonda introspezione e una riflessione sulla solitudine e l’esistenza umana. Tra le sue opere più celebri ci sono “La luna e i falò”, “Il mestiere di vivere” e “Tra donne sole”. Pavese affrontò temi come l’amore, la morte e il legame con la propria terra.
Oltre alla narrativa, Pavese scrisse anche poesie e saggi. La sua opera fu influenzata dalle esperienze personali, tra cui la sua lotta contro la depressione. Morì nel 1950 a Torino, in circostanze tragiche, ma il suo lascito letterario continua a essere studiato e apprezzato.

Trama



La luna e i falò, pubblicato nel 1949 da Cesare Pavese, è un romanzo intenso che racconta il ritorno di Anguilla nel suo paese natale, dopo aver vissuto molti anni in California. Il romanzo intreccia memoria, territorio, storia e riflessioni sociali, descrivendo un Piemonte rurale nel dopoguerra e nel periodo successivo alla liberazione del 25 aprile.
La vicenda tocca la Resistenza, il periodo difficile della guerra e della ricostruzione, mostrando come i contadini abbiano vissuto la libertà conquistata con fatica e senso di responsabilità. Pavese descrive la povertà diffusa e le differenze tra contadini e signori: i primi lavorano duramente la terra, mentre i secondi godono di privilegi, controllano le proprietà e le gerarchie sociali.

La vendemmia



Un elemento centrale del romanzo è la vendemmia, raccontata come un vero rito collettivo: la raccolta dell’uva unisce i contadini in lavoro e socialità, ma è anche un momento di fatica e riflessione. La festa dopo la vendemmia celebra il raccolto, rafforzando i legami comunitari e offrendo un’occasione di gioia e condivisione. La luna illumina le notti di lavoro e le veglie dei falò, simboli della ciclicità della vita e della memoria della comunità. I falò rappresentano la comunione, la fatica collettiva e la continuità della tradizione contadina.

Significato del Falò


Ritualità e Tradizione: I falò rappresentano rituali legati alla tradizione contadina. Essi evocano una connessione con la terra e le origini, richiamando il calore e la comunità.
Illuminazione e Riflessione: Il falò simboleggia anche la luce in mezzo all’oscurità, una fonte di calore e conforto, ma al contempo può rappresentare la fragilità e l’effimero di certe esperienze di vita
Memoria e Nostalgia: Attraverso il falò, Pavese esprime nostalgia per un passato idealeizzato, un momento di riunione e di condivisione che contrasta con l’alienazione della vita moderna.
Trasformazione e Rinnovamento: Il falò può essere visto come un simbolo di trasformazione, dove il fuoco purifica e crea spazio per nuove esperienze, riflettendo il percorso di crescita personale del protagonista.

Significato della Luna


Simbolo di Nostalgia: La luna rappresenta il legame con il passato e i ricordi. Il protagonista, attraverso la sua visione della luna, riflette sulla sua infanzia e sulle esperienze vissute. La luna diventa quindi un simbolo di nostalgia e di una ricerca di un tempo perduto.

Contrasto tra Luce e Ombra: La luna illumina la notte, ma al contempo evidenzia le ombre e le parti oscure della vita. Questa dualità riflette le esperienze del protagonista, che si trova a confrontarsi con le bellezze e le difficoltà della vita.

Riflessione sull’Identità: La luna, nel suo ciclo di fasi, può simboleggiare anche i cambiamenti dell’individuo. Il protagonista cerca di comprendere la propria identità e il proprio posto nel mondo, e la luna diventa un elemento che accompagna questa ricerca interiore.

Collegamento con la Natura: La luna è anche un simbolo della connessione con la natura e il paesaggio piemontese, che fa da sfondo alla narrazione. Questa connessione rappresenta un ritorno alle origini e alle radici, temi molto cari a Pavese.

La luna non è solo un elemento descrittivo, ma un simbolo ricco di significati che accompagna il protagonista nella sua introspezione e nel suo viaggio esistenziale. La sua presenza sottolinea la bellezza e la complessità della vita, con tutte le sue luci e ombre.

La chiesa


Pavese inserisce anche aspetti legati alla Chiesa, alla politica e alla stampa, che influenzano l’opinione pubblica e i discorsi della comunità, sottolineando come i valori, le gerarchie e le credenze modellino la vita rurale nel dopoguerra. Il ritorno di Anguilla dalle terre lontane della California è uno strumento per confrontare esperienze diverse e per misurare il cambiamento nel tempo e nello spazio. La frase che riassume perfettamente uno dei temi principali del romanzo è: “L’ignorante non si conosce mica dal lavoro che fa, ma da come lo fa”, enfatizzando l’onestà e la dignità del lavoro al di là della posizione sociale.


Personaggi principali


Anguilla
Anguilla è il protagonista del romanzo, un giovane che dopo anni vissuti in California ritorna nel suo paese natale in Piemonte. Rappresenta il ritorno alle radici, la ricerca di un senso di appartenenza e l’elaborazione del passato. Attraverso i suoi occhi, Pavese mostra il contrasto tra il mondo rurale della povertà contadina e le esperienze all’estero. Anguilla incarna il viaggio interiore e fisico, la nostalgia, la riflessione sulla propria identità e la tensione tra il desiderio di progresso e la fedeltà alle tradizioni.



Nuto
Nuto è un personaggio emblematico del mondo contadino e delle gerarchie sociali locali. È il figlio di un piccolo proprietario terriero, benestante rispetto agli altri contadini. Nuto rappresenta il legame con il passato e con la comunità, ma anche le contraddizioni sociali: da una parte amico e confidente, dall’altra simbolo delle differenze di classe tra chi possiede la terra e chi la lavora.



Il legame tra Anguilla e Nuto



Il rapporto tra i due è complesso e ambivalente: Amicizia e complicità: Nuto conosce Anguilla sin dall’infanzia e rappresenta un ponte tra il passato e il presente. I loro dialoghi e momenti condivisi mostrano una profonda intesa, basata sulla conoscenza reciproca e sull’esperienza comune della vita contadina.
Contrasto sociale e morale: Nuto incarna anche il mondo dei signori e dei privilegi, pur non essendo completamente distante dalle difficoltà del lavoro contadino. Questo crea tensioni interiori in Anguilla, che riflette sulla giustizia sociale e sulle differenze tra persone.



Specchio dell’identità: Anguilla vede in Nuto un riflesso del paese che ha lasciato, un punto di riferimento per confrontare cambiamento e continuità. Nuto, a sua volta, rappresenta per Anguilla il legame con la comunità e la memoria delle tradizioni, senza le quali il ritorno perderebbe senso.
Simbolo della nostalgia e della memoria: Entrambi, nel loro legame, incarnano la tensione tra passato e presente, tra il desiderio di progresso e la forza delle radici. Nuto permette ad Anguilla di misurare quanto il paese sia cambiato e quanto lui stesso sia cambiato durante gli anni in California.

In sintesi, Anguilla e Nuto sono specchi l’uno dell’altro: Anguilla porta lo sguardo esterno e il viaggio interiore, Nuto rappresenta continuità, appartenenza e confronto con le strutture sociali locali. La loro amicizia è fondamentale per comprendere i temi del romanzo: memoria, radici, differenze sociali, povertà e il senso di identità nel dopoguerra.


Le letture che Nuto consiglia al protagonista


Nuto invita il narratore (Anguilla) a leggere libri che non siano “favole” ingenue, ma testi capaci di farlo riflettere sulla realtà sociale, sulla storia e sulle ingiustizie.
Mentre il protagonista da bambino si nutriva di racconti semplici, intrisi di immaginazione e stereotipi (come le favole del principe che salva la principessa), Nuto lo spinge verso una lettura adulta, concreta e critica, che serve a comprendere il mondo e non a illudersi.

Significato


Nuto rappresenta la voce della coscienza, della Resistenza e dell’impegno politico e sociale.
Le letture che propone diventano un contrappeso alle illusioni infantili: servono a “smascherare” lo stereotipo delle favole e a capire che la vera vita non ha un lieto fine scontato, ma va affrontata con consapevolezza e responsabilità.
Attraverso i libri, Nuto vuole formare l’amico a un pensiero più maturo, dove la libertà e la dignità non si aspettano da un salvatore esterno (un “principe”), ma si costruiscono con la propria lotta.
In pratica, le letture consigliate da Nuto sono lo strumento con cui Pavese mostra il passaggio dal mondo ingenuo delle favole alla realtà adulta della storia e della società.

Cinto


Cinto è un ragazzino poverissimo e storpio, che vive nella cascina della Mora insieme al padrone Valino, uomo duro e violento.
Il protagonista Anguilla lo incontra al suo ritorno dall’America e lo guarda quasi come un riflesso del sé bambino: anche lui è cresciuto in miseria, in una campagna piena di fatiche e ingiustizie.

Ruolo simbolico


Specchio del protagonista: Cinto rappresenta ciò che Anguilla era da piccolo: un orfano povero, senza protezione, costretto a subire la durezza della vita.
Il futuro negato: la sua deformità fisica e la condizione di sfruttamento mostrano come nei contadini non ci sia spazio per favole di riscatto o “principi salvatori”.
L’innocenza ferita: Pavese mette in lui la speranza di un riscatto (Anguilla vorrebbe portarlo via con sé), ma il destino lo colpisce tragicamente: Valino, in un gesto di disperazione, dà fuoco alla cascina e muore con la famiglia, mentre Cinto si salva per miracolo.

Stereotipi e rovesciamento


Nei racconti fiabeschi, il bambino povero o menomato viene spesso “salvato” e trova il lieto fine.
Pavese rovescia questo schema: Cinto non è salvato da un eroe, né diventa principe. Sopravvive, ma resta solo, ferito e senza garanzie per il futuro.

Significato nel romanzo


Cinto è la prova che la vita contadina non è una favola: non offre riscatto facile, ma solo fatica e dolore. Attraverso di lui, Pavese sottolinea la continuità della miseria: ciò che Anguilla ha sofferto da bambino si ripete identico nelle nuove generazioni.
È il personaggio che più mette in luce la disillusione del protagonista e la morale del romanzo: non ci sono principi né magie, ma solo memoria, radici e la consapevolezza della durezza del vivere.

Santina, un personaggi dalle molte sfaccettature


Santina è un personaggio chiave con molte sfaccettature, che rappresenta un legame profondo con il passato e con le radici del protagonista, Anguilla. Santina è descritta come una figura simbolica e carismatica, incarnando l’ideale di una bellezza e di una vita semplice, legata alla terra e alla tradizione.
Il suo personaggio evoca sentimenti di nostalgia e un forte desiderio di connessione con le origini. La sua presenza nel romanzo riflette i temi del ritorno, della ricerca di identità e della lotta tra il mondo moderno e quello tradizionale. Santina è quindi non solo una persona, ma un simbolo delle esperienze e delle emozioni che il protagonista vive durante il suo viaggio alla ricerca di sé stesso e del significato della sua esistenza.
Pavese utilizza Santina per esplorare la complessità dei legami umani e il modo in cui il passato influisce sul presente.

Santina e il fascismo


Santina incarna in un frammento del testo, il lato oscuro della femminilità: non più musa o sogno adolescenziale, ma figura corrotta e corruttrice, che usa il suo fascino per sopravvivere e dominare.
Rappresenta anche la disillusione politica e morale: la guerra ha distrutto ogni illusione di purezza, mostrando come la realtà sia complessa, fatta di compromessi e tradimenti.

Pavese mostra Santina come un personaggio ambiguo e contraddittorio

Santina e il passaggio ai partigiani


Dopo essere stata amante dei fascisti e delle brigate nere, Santina cerca di salvarsi a guerra quasi finita, passando dalla parte dei partigiani.
Non lo fa per convinzione politica, ma per opportunismo e paura: capisce che i fascisti stanno perdendo e tenta di cambiare bandiera per sopravvivere.
I partigiani però non si fidano: la considerano una traditrice e la condannano a morte.
Viene giustiziata come collaborazionista, esempio della durezza della giustizia sommaria della Resistenza.

Significato simbolico


Santina rappresenta la corruzione morale e l’egoismo di chi, invece di scegliere con coscienza, cambia campo solo per convenienza.
In lei Pavese denuncia la guerra civile come terreno di ambiguità e brutalità, dove non c’è spazio per le favole né per i lieti fini.

Analisi psicologica dei personaggi



Dal punto di vista psicologico, il romanzo può essere interpretato attraverso diverse teorie:


-Erik Erikson – sviluppo dell’identità: Anguilla attraversa una fase di crisi d’identità, cercando di conciliare il sé lontano (California) con le radici nel paese natale. Il ritorno alle origini rappresenta una ricerca di integrazione tra passato e presente.


-John Bowlby – teoria dell’attaccamento: Il legame con la terra, le persone e la comunità rappresenta una “base sicura”, mentre la lontananza genera ansia e senso di perdita.

-Sigmund e Anna Freud – psicologia del trauma: Gli eventi della Resistenza e il dopoguerra lasciano tracce nei personaggi, con memorie traumatiche che si manifestano in riflessioni e simboli (luna, falò, terre).


-Kurt Lewin – psicologia sociale: La differenza tra contadini e signori e i riti collettivi come la vendemmia evidenziano come norme sociali e dinamiche di gruppo, influenzino comportamento e decisioni individuali.

-Abraham Maslow – piramide dei bisogni: Anguilla e gli altri personaggi cercano di soddisfare bisogni primari di sopravvivenza, appartenenza e realizzazione personale, attraverso lavoro, comunità e riflessione sulla propria identità.


In questo modo, Pavese non descrive solo paesaggi e società, ma approfondisce la psicologia dei personaggi, i loro conflitti interiori e la tensione tra radici, memoria e aspirazioni personali.


Riflessioni personali


Leggere La luna e i falò significa immergersi in una dimensione di ritorno, memoria e perdita. Il narratore, Anguilla, torna nel suo paese d’infanzia sperando di ritrovare radici e senso dopo anni di lontananza, ma scopre che nulla è più come prima: i luoghi sono cambiati, le persone sono morte o trasformate, la guerra ha lasciato ferite insanabili.
La luna e i falò, due immagini forti che danno il titolo al romanzo, rappresentano poli opposti: la luna come desiderio di permanenza, ciclicità, sogno di un ordine universale; i falò come distruzione, violenza, roghi che cancellano corpi e storie. In mezzo a questo contrasto si muove l’uomo, che cerca un senso e un’appartenenza ma deve fare i conti con l’inevitabile disgregazione del tempo e della storia.
Ciò che colpisce è la tensione tra il bisogno umano di “ritornare a casa” e l’impossibilità reale di farlo. Non esiste un ritorno puro, perché il passato non torna: resta solo la memoria, spesso ingannevole, e l’impronta di ciò che si è vissuto. In questo senso, il romanzo parla non solo della Resistenza e di un’Italia spaccata, ma di una condizione umana universale: tutti noi cerchiamo un “nido”, un’origine, e tutti ci scontriamo con la consapevolezza che quel nido non può più accoglierci. La teoria di Bowlby, in psicologia, spiega scientificamente come la presenza di una base sicura sia fondamentale per lo sviluppo di una persona, il romanzo di Pavese ne offre una dolorosa e poetica rappresentazione attraverso la figura di Anguilla. Anguilla, il “senza nome”, è la prova che senza un luogo (fisico o affettivo) a cui poter tornare, l’esplorazione del mondo si trasforma in un vagabondare senza meta, e la ricerca di sé si conclude con l’amara consapevolezza di non appartenere a nessun luogo.

Forse la verità sta nell’accettare il movimento: come la luna che ritorna e come i falò che bruciano, anche l’esistenza alterna luce e perdita. Pavese ci ricorda che il senso non è nel recuperare il passato, ma nel saperlo guardare e trasformare in coscienza.

#einaudi #Pavese



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Treno Frecciabianca 8606 con ETR460.030 in transito a Castagneto Carducci (30/01/2024)


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“Oltre il potere. Una prospettiva giuridica per le lotte sociali” – È disponibile il libro a cura dei Giuristi Democratici


Un lavoro collettivo per stimolare una visione complessiva

Il libro “Oltre il potere. Una prospettiva giuridica per le lotte sociali” – Momo Edizioni sviluppa, sistematizza e allarga il lavoro contenuto nel Libro bianco dell’Associazione Giuristi Democratici. Il volume, frutto di contributi elaborati collettivamente, spazia tra molteplici aspetti per stimolare la ricerca di una visione complessiva e coordinata, utile non solo agli addetti ai lavori del mondo giuridico.

La presentazione del volume in quarta di copertina evidenzia già la peculiarità di un lavoro oltre modo necessario in un momento in cui il protagonismo sociale, soprattutto delle nuove generazioni, si riaffaccia prepotentemente nelle piazze e nelle iniziative che attraversano le nostre città.

Uno dei nodi cruciali della nostra epoca è il progressivo abbandono di una visione sistematica della società. Ne derivano la frammentazione delle idee e delle proposte e la rinuncia a disegnare complessivamente e coerentemente il sistema. L’associazione Giuristi Democratici nel corso degli anni ha profuso il proprio impegno concreto e ha sviluppato un dibattito interno proficuo e vivace. A un certo punto si è deciso di fare un salto di qualità. Provare a rendere coerenti analisi e proposte di trasformazione. Un concetto guida è stato determinante: l’attacco e il superamento del potere.

Puoi ordinare il libro “Oltre il potere. Una prospettiva giuridica per le lotte sociali”:

  • nelle librerie in tutta Italia

All’Avv. Pietro Adami, che ha curato il volume e scritto la premessa abbiamo chiesto quali sono gli aspetti essenziali che fanno di “Oltre il potere. Una prospettiva giuridica per le lotte sociali” un libro utile ed importante da leggere.

INTERVISTA ALL’AVV. PIETRO ADAMI

* Qual è il fine del libro “Oltre il potere. Una prospettiva giuridica per le lotte sociali”?

Il fine del libro è quello di mettere a sistema una serie di riflessioni effettuate dai Giuristi Democratici negli ultimi anni. Ci riferiamo a riflessioni che non sono mai solo teoriche ma derivano da un’esperienza di impegno, di difesa, di cause portate avanti e di vicende seguite direttamente nel campo del reale. Le conoscenze che abbiamo voluto socializzare non sono astratte, derivano dal nostro lavoro al fianco dei movimenti o nell’ambito delle battaglie che ci hanno visto impegnati, come quelle referendarie —pensiamo al referendum sull’acqua o quello sulla riforma costituzionale— o da esperienze di difesa di singoli individui. Questo bagaglio di esperienze ci ha portato a maturare delle convinzioni.

Negli anni passati avevamo iniziato un lavoro embrionale per raccogliere non solo i nostri saperi ma anche le nostre proposte di riforma. Siamo partiti da questo e nelle nostre assemblee abbiamo deciso insieme di voler provare a mettere all’interno di un’unica riflessione non solo tutto quello che abbiamo “pensato”, ma anche quelle che sono le nostre proposte di riforma per la società e quindi del sistema.

La nostra è un’associazione variegata sia come componenti, avvocati, magistrati, funzionari, docenti e studenti universitari e settori di cui si occupa, diritto penale, amministrativo, civile, del lavoro, internazionale (ndr: per via della complessità del tema non abbiamo messo nulla di ‘internazionale’; semmai faremo una seconda opera). A partire da questa complessità e ricchezza abbiamo scelto di provare a vedere se riuscivamo a costruire un testo in cui ci fosse sicuramente analisi ma anche una prospettiva di riforma. Elaborare insieme e proporre quello che noi vorremmo, mettendo volta per volta anche una sorta di conclusione rispetto a come dovrebbe cambiare la normativa a nostro giudizio.

È stato un processo complesso. Abbiamo costituito delle commissioni settoriali che hanno discusso e proposto testi che poi abbiamo insieme elaborato, per certi versi sfrondato per cercare di avere un’uniformità comunicativa. Abbiamo cercato di rimodulare parti di pura riflessione, senza mai dimenticare i concetti fondamentali, per arrivare a centrare il punto: la norma oggi è così e deve cambiare in questi termini.

Il libro è redatto dall’Associazione Nazionale Giuristi Democratici, ma non è un libro per giuristi. Le proposte di riforma, per esempio, del diritto del lavoro, sulla reintroduzione dell’articolo 18, sono proposte di riforma giuridica in cui il cambiamento della norma è finalizzato a un cambiamento di rapporti sul posto di lavoro.

Non è un libro per i giuristi, è invece al contrario un libro dei giuristi, che deriva da quello che hanno raccolto all’interno della società e che si rivolge alla società con delle proposte. Proposte per il diritto di famiglia, il diritto del lavoro, sulla partecipazione democratica. I capitoli sono tanti, arrivando a proposte dettagliate sia in alcuni settori meno appariscenti, che in quelli più alla ribalta. Facciamo l’esempio del carcere: ci sono una serie di proposte concrete per la gestione della situazione carceraria. Quando abbiamo fatto circolare attraverso i nostri circuiti la prima versione del libro, abbiamo avuto una serie di indicazioni di ritorno, che abbiamo discusso e tenuto presenti all’interno della versione finale.

Il fine del libro è quello di offrire un programma di trasformazione della società, almeno sotto alcuni aspetti, che sia coordinato e che discenda da un’idea di fondo.

* Il metodo che avete scelto per redigere il libro rappresenta una sperimentazione innovativa che si affianca alle finalità del volume. Ne puoi parlare brevemente?

Il metodo è partecipato. Se ne parla sempre, ma una cosa è dirlo e un’altra farlo. Abbiamo voluto farlo realmente. Ci abbiamo messo diversi anni. Se vuoi veramente che le cose emergano dal tessuto sociale, dai movimenti, dagli incontri, devi ascoltare veramente quello che emerge e poi elaborarlo. Il materiale che emerge è in forma di bisogni e deve essere trasformato in una proposta normativa. In questo sta il nostro ruolo: trasformare il bisogno in una proposta normativa.

È un lavoro che non finisce. Ci sono ancora altri settori, altri aspetti della nostra vita collettiva che dobbiamo esplorare. All’interno di questo percorso aspettiamo risposte e proposte che noi poi potremo tradurre. Quindi nel libro non c’è la visione “finale” di come si deve trasformare la società, ma una proposta che continua ad essere discussa con altri, con gli attori di queste vicende per perfezionarsi ulteriormente. Questa operazione non finirà mai perché a mano a mano che emergono problemi, nuove visioni, nuovi ragionamenti si deve ripartire, aggiornare, modificare.

L’obiettivo del libro non è mettere un punto fermo ma stimolare un dibattito e nello stesso tempo fare in modo che ci sia una visione complessiva della trasformazione della società.

********************************************************************************************************

Oltre il potere. Una prospettiva giuridica per le lotte sociali” a cura di Pietro AdamiMomo EdizioniProgetto grafico di Gianmarco MecozziPrima edizione Ottobre 2025

INDICE

  • Premessa a cura di Pietro Adami
  • Repubblica e Costituzione
  • Unione Europea
  • Costituzione della Terra
  • Autonomia differenziata
  • Beni comuni
  • Strumenti di democrazia diretta
  • Indipendenza e autonomia della magistratura, cultura della giurisdizione
  • Vincoli di bilancio
  • Tutela dell’ambiente
  • Asilo, respingimenti e ONG
  • La normativa antifascista
  • Democrazia digitale
  • Lo stato sociale digitale
  • Diritto penale
  • Crimini di sistema
  • Contro la violenza sulle donne
  • L’uso di nuove tecnologie digitali nelle indagini penali
  • La parte offesa
  • Carcere
  • Ergastolo ostativo
  • Regime detentivo speciale ex art. 41-bis O.P.
  • Riportare la Costituzione sui luoghi del lavoro
  • Delocalizzazioni
  • Diritto di cittadinanza sociale, diritto al lavoro e al reddito
  • Reddito di cittadinanza e riassorbimento della disoccupazione
  • Seconde generazioni
  • Qualcosa sui Giuristi Democratici

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25 ottobre, roma, spazio modulo: “l’opera come processo”, a cura di sara davidovics


Nella cornice del ROME ART WEEK 2025
in collaborazione con il CentroScritture

Sabato 25 ottobre, dalle ore 18:30 alle 21:30
Spazio MODULO
(via Ottobiano 31, Roma)

è lieto di presentare

Progetto 5 | L’opera come processo
a cura di Sara Davidovics


Cingolani | Cipitelli | Gualtieri | Orecchini | Schiavone
=
Cinque artisti chiamati a confrontarsi sul tema del processo compositivo dell’opera
in relazione con uno spazio ambiente ricavato all’interno di uno studio d’artista

locandina: Spazio MODULO presenta "Progetto 5 | L’opera come processo", a cura di Sara Davidovics - con opere di Cingolani | Cipitelli | Gualtieri | Orecchini | Schiavone
cliccare per ingrandire

Comunicato stampa:
slowforward.net/wp-content/upl…
_

#CentroScritture #DavideGualtieri #FabioOrecchini #IvanSchiavone #LauraCingolani #PierpaoloCipitelli #RAW #RAWRomeArtWeek #RomeArtWeek #SaraDavidovics #SpazioMODULO

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Catania, il dialogo con la città e le due anime del Pd


Sabato 18 ottobre, nei pressi del Teatro Massimo di Catania, il circolo Officina Democratica e il circolo PD Catania Centro hanno promosso una giornata di confronto nell’ambito della Festa dell’Unità. Un appuntamento scandito da dibattiti e interventi su quattro temi centrali: la sfida educativa contro le mafie, la sostenibilità urbana, il futuro della città e la […]

Leggi il resto: argocatania.it/2025/10/21/cata…

#ComuneDiCatania #DecretoCaivano #OfficinaDemocratica #PD #povertàEducativa #PUGExPRG_ #SanCristoforo

Questa voce è stata modificata (1 settimana fa)

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oggi, 21 ottobre, allo studio campo boario (roma): in occasione delle mostre “fausto battelli, pittore paparazzo” e “aria di famiglia”, talk su “le dicotomie dell’arte”


Nel contesto di RAW – Rome Art Week, 2025 –
e parallelamente alle mostre
“Aria di famiglia” e “Fausto Battelli, pittore paparazzo” –

allo Studio Campo Boario
(Roma, viale del Campo Boario 4/a)

Oggi, martedì 21 ottobre, h. 17:30-19:30

Talk: LE DICOTOMIE DELL’ARTE


a cura di
Alberto D’Amico e Roberta Melasecca

intervengono
Maurizio G. De Bonis, Giuseppe Garrera, Pericle Guaglianone

romeartweek.com/it/eventi/?cod…

opera di Fausto Battelli, 1972

Il talk prenderà in esame cinque contrapposizioni che, nel corso del tempo, hanno definito e trasformato la ricerca artistica:

– Pittura e fotografia : due linguaggi che si osservano, si contaminano e si ridefiniscono a vicenda.
– Astrazione e figurazione : tensione costante tra dimensione espressiva metaforica e rappresentazione del reale.
– Arti maggiori e minori : una distinzione oggi sempre più fragile, che invita a rivalutare pratiche considerate “marginali”.
– Notorietà e anonimato : due destini che spesso si alternano nella vita degli artisti, tra riconoscimento e oblio.
– Arte e artigianato : un confine mobile in cui si incontrano manualità, riflessione estetica e concetto di riproducibilità.

Verrà presa come punto di partenza la figura di Fausto Battelli, fotoreporter e pittore, ma anche ceramista e autore di manufatti polimaterici, la cui opera riflette molte di queste tensioni: tra arte “alta” e produzione artigianale, tra linguaggio visivo e vita vissuta.
Sarà un’occasione per interrogarsi su come le contrapposizioni, più che dividere, possano diventare motore di creatività e dialogo tra generazioni, linguaggi e sensibilità diverse.

#abstractArt #AlbertoDAmico #AntonioDAmico #AriaDiFamiglia #art #arte #arteAstratta #arteEArtigianato #artiMaggioriEArtiMinori #artiMaggioriEMinori #artigianato #astrazione #astrazioneEFigurazione #confronto #dialogo #FaustoBattelli #FaustoBattelliPittorePaparazzo #GiuseppeGarrera #LeDicotomieDellArte #MaurizioGDeBonis #mostra #notorietàEAnonimato #oblio #paparazzi #paparazzo #PericleGuaglianone #pittura #pitturaEFotografia #RAW #RAWRomeArtWeek #RobertaMelasecca #RomeArtWeek #successo #successoEOblio #talk

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Una questione di gravità : osmio o oro?

edu.inaf.it/rubriche/astronomo…

Meglio l’oro o l’osmio per testare la gravità ?

#gravità_ #metalli


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oggi, 21 ottobre, allo studio campo boario (roma): “fausto battelli, pittore paparazzo” – esposizione nel contesto della mostra “aria di famiglia”


In occasione di RAW – Rome Art Week, 2025 – e nel
contesto della mostra “Aria di famiglia”

allo Studio Campo Boario
(Roma, viale del Campo Boario 4/a)

Fausto Battelli, pittore paparazzo


vernissage oggi, martedì21 ottobre, h. 17:00-20:00

romeartweek.com/it/eventi/?cod…

Un'opera di Fausto Battelli in mostra allo Studio Campo Boario

La mostra “Fausto Battelli, pittore paparazzo” ripercorre il percorso artistico di un autore italiano che ha attraversato molteplici stagioni creative, muovendosi con libertà tra linguaggi e discipline. Dagli esordi come ceramista, Battelli approda negli anni della dolce vita alla fotografia, intraprendendo la carriera di fotoreporter e documentando volti e atmosfere di un’epoca irripetibile.

Negli anni successivi, torna alla pittura, sua prima passione, sviluppando una ricerca personale che oscilla tra figurazione e astrazione, tra arte e artigianato. Le sue opere polimateriche più recenti testimoniano una continua sperimentazione, in bilico tra gesto artistico e pratica manuale.

Un percorso irregolare e indipendente, che non ha trovato pieno riconoscimento nella storia dell’arte ufficiale, ma che solleva una domanda cruciale: come guardiamo oggi ai cosiddetti “minori”?

In mostra, una selezione di opere rappresentative di questa ricerca complessa e sfaccettata, capace di toccare i confini dell’arte “alta” per immergersi, senza pregiudizi, in una produzione ibrida e commerciale, che pure ha incontrato il favore del pubblico.

*

Aria di famiglia — Rome Art Week 2025


Aria di famiglia evoca la nozione wittgensteiniana di somiglianze di famiglia: non un marchio identico che uniforma, ma una costellazione di segni che si richiamano l’un l’altro, come echi che risuonano nello spazio tra le opere e le persone. È in questa trama di rimandi sottili, di affinità impreviste e di differenze che si sfiorano, che prende forma il senso della mostra”

In questo caso il nucleo è quello di una famiglia romana che, nel corso di tre generazioni, ha intrecciato vite e linguaggi artistici diversi, passando dalla pittura alla ceramica, dal design tecnico alla scrittura, dalla fotografia alla musica.

  • Fausto Battelli (1934–2018)
    Pittore e fotografo, fratello maggiore, ha attraversato l’arte italiana dal dopoguerra in poi, oscillando tra fotografia di cronaca e di costume e una pittura che spazia dall’astratto materico alle periferie urbane. La sua produzione riflette tensioni, ossessioni e cambiamenti di un’epoca.
  • Dora Battelli (1931 – 1981)
    Sorella di Fausto, madre di Alberto e Stefano. Ceramista dalla mano sensibile, ha unito gesto artigianale e spirito creativo, lasciando una traccia personale e intima nella tradizione familiare.
  • Antonio D’Amico (1926 – 1996)
    Marito di Dora, padre di Alberto e Stefano. Pur lavorando al di fuori del campo artistico, ha coltivato con passione le sue ossessioni meccaniche: radio, orologi, schemi tecnici. Oggetti e invenzioni che testimoniano un modo diverso di fare arte, a cavallo tra mestiere, tempo e immaginazione, con rare ma significative incursioni artistiche.
  • Alberto D’Amico (1962)
    Artista dal percorso accidentato, tra cinema e arti figurative, con un gusto per l’ibridazione e la contaminazione. Espone le sue false copertine di Urania, che reinventano il linguaggio della fantascienza popolare e dell’editoria di massa. Autore anche del libro Aenigma, in cui scrittura e immagine si intrecciano.
  • Stefano D’Amico (1966)
    Diplomato in scultura all’Accademia di Belle Arti, si esprime con disegni e acquerelli di grande sensibilità. Accanto alla pratica visiva coltiva la passione per il canto e per il pianoforte, che suona “a orecchio” con dedizione, rivelando un’altra sfumatura della creatività familiare.

#abstractArt #AlbertoDAmico #AntonioDAmico #AriaDiFamiglia #art #arte #arteAstratta #astrazione #ceramica #dolceVita #DoraBattelli #FaustoBattelli #FaustoBattelliPittorePaparazzo #fotoreportage #fotoreporter #mostra #paparazzi #paparazzo #pittura #RAW #RAWRomeArtWeek #RomeArtWeek #StefanoDAmico

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oggi, 21 ottobre, venti anni fa, iniziava l’edizione 2005 di romapoesia


Nel 2005 un evento, Poesia ultima / L’esperienza-divenire delle arti, organizzato da RomaPoesia (Luigi Cinque e Nanni Balestrini) e in parte curato da me, univa – in una serie di giornate e incontri principalmente all’Auditorium e presso la Fondazione Baruchello – autori molto diversi tra loro, poeti, artisti, musicisti, performer, e videomaker, in un tentativo di dare un quadro di alcune linee di ricerca (o non di ricerca) contemporanee.

Il sottotitolo diceva, anche: “generazione ’68-’78”.

Qui il programma completo: slowforward.net/2006/08/12/ott…

E qui una – direi tutt’ora attuale – scheda di descrizione e dichiarazione di intenti, non firmata ma mia: slowforward.net/2006/08/12/ott…
(leggibile anche qui, o su archive.org, e su Academia)

(N.b.: Entrambi i post sono stati importati su WordPress nel 2006, essendo usciti in origine su slow-forward.splinder.com e in varie altre sedi ‘ufficiali’ della manifestazione).

Come è ovvio, la cosa nel suo complesso fu da alcuni versanti fortemente e pressoché ciecamente osteggiata (soprattutto da parte del sottobosco poetico, che infatti – in virtù della sua ostilità alla sperimentazione – sarebbe stato debitamente ascensorizzato nell’arco del quindicennio successivo). Stessi oppositori e stessa veemenza disordinata avrebbero accolto prima gammm alla sua nascita a fine giugno 2006 e poi Prosa in prosa nel 2009. (Tutto è registrato e fortunatamente immortalato da memorabili thread di commenti su vari blog, soprattutto Nazione indiana e Absolute poetry: chi vuole può divertirsi a compulsare).

Qui di séguito ripropongo una parte credo significativa della scheda descrittiva (cfr. il secondo link sopra riportato), con elementi, suggestioni e interrogativi che periodicamente riemergono nel sempiterno dibattito italiano sulla poesia, che specie da un decennio a questa parte sembra ogni volta ripartire beato e beota da zero senza interrogarsi su quello che l’ha preceduto, pur essendoci infiniti stimoli proprio nel passato recente e meno recente (ma studiabile, rintracciabile, si pensi solo ad alfabeta2, EX.IT – Materiali fuori contesto, Poeti degli anni zero, o appunto a Prosa in prosa, gammm, RomaPoesia, RicercaBO, e poi a Parola plurale, slowforward, La camera verde, Biagio Cepollaro E-dizioni, Ákusma, “Baldus”, Poesia italiana della contraddizione, MilanoPoesia, “Altri termini” eccetera).

(In realtà il problema è duplice: da una parte c’è la sostanziale e a volte intenzionale mancanza di riferimenti e conoscenza da parte dei giovani poeti, dall’altra la loro indisponibilità a riconoscere che le questioni che dibattono e in cui si dibattono sono state già affrontate, ma da autori della ricerca letteraria, quindi da gente e strutture e testi di cui – per via della medesima ignoranza – non vogliono avere contezza. Anche perché dialogare con la ricerca letteraria vuol dire ipso facto inimicarsi a sangue e per sempre i federali e i capibastone del mainstream).

Ecco un estratto dalla scheda, appunto:

Le questioni e gli interrogativi che la poesia rivolge a sé e al contesto sociale (e che quest’ultimo riformula in ulteriori domande) possono riguardare:

– la situazione della scrittura di ricerca, nella sua interazione con altre arti, lingue e culture;

– i rapporti complessi di legame/indipendenza che la poesia (di ricerca e non) intrattiene oggi con i propri ‘padri’, con i molti valori stilistici portati dal Novecento;

– la dicibilità del mondocome resistenza di una poesia civile, e dell’io ‘lirico’ affermato o negato in questa

– l’occorrenza di motivi costanti (il corpo in immagine distante, la vita degli oggetti) in libri e autori nati negli anni Sessanta e Settanta: che configurano una sorta di scrittura insieme antirealistica e fredda.

Questi nuclei, individuati ‘scansionando’ per letture parallele siti e sedi e libri recenti di poesia, sono ripartiti nelle due giornate di incontro a Roma, 21-22 ottobre 2005, in modo tale che alcuni degli autori più significativi appartenenti alle generazioni dei nati nel decennio 1968-1978 si trovino a conversare e dibattere tra loro, e soprattutto a porre in parallelo il discorso critico e la lettura, teoria e voce. È la sfida e l’ipotesi in gioco. Ogni nucleo tematico raggruppa autori che intervengono sull’argomento e portano testi (propri e altrui) a sostegno di quanto affermano. I testi – non polemiche e poetiche pre/testuali – sono al centro delle argomentazioni. O anche: i testi narrano se stessi, senza argomentazioni affatto.


Volume con materiali, testi e documentazione del lavoro svolto nel 2005 da artisti e poeti @ RomaPoesia e Fondazione Baruchello (ulteriori dati: slowforward.net/2006/10/31/esp…)

#111 #Akusma #AlessandroBroggi #AltriTermini #AndreaInglese #AndreaPonso #AndreaRaos #AnnalisaCattani #AntonelloFaretta #Auditorium #Sud_ #Baldus #BiagioCepollaro #CarlaCruz #CarlaSubrizi #ChristianRaimo #CollanaLiquid #DomenicoMangano #edizioniOèdipus #ElisaBiagini #EmilioFantin #EsseZetaAtona #FabrizioLombardo #FlorindaFusco #FondazioneBaruchello #FrancescoForlani #FrancescoVentrella #gammm #generazione6878 #GherardoBortolotti #GianfrancoBaruchello #GianlucaCodeghini #GiovannaFrene #goldiechiari #GuendalinaSalini #IlariaGiannini #ItaloZuffi #LauraPugno #LidiaRiviello #LuigiCinque #LuigiPingitore #LuigiSeveri #MarinellaSenatore #MarioDesiati #MartaValentiChloéBarreau #MarziaMigliora #MassimoGezzi #MassimoGrimaldi #MassimoSannelli #MicheleZaffarano #MilanoPoesia #NanniBalestrini #NeroMagazine #poesia #poesiaCivile #PoesiaItalianaDellaContraddizione #PoesiaItalianaOnLine #poetiPost68 #poetipost68 #ProsaInProsa #RiccardoPrevidi #ricercaLetteraria #RomaPoesia #RomaPoesia2005 #SandrineNicoletta #SaraVentroni #scheda #scritturaAntirealistica #scritturaDiRicerca #scritturaFredda #scrittureDiRicerca #SilviaIorio #sottobosco #sottoboscoChePrendeLAscensore #sottoboscoPoetico #Sparajurij #sperimentazione #sperimentazioneLetteraria #StefaniaGalegati #StefanoPasquini #TaniaCarson #TommasoOttonieri #UnDoNet #ValerieTevere

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L’uomo in spats (senza pantaloncini) e il confine tra libertà e buon gusto sul tatami


https://www.youtube.com/watch?v=kg_JwQVQyNo Quando Brianna Ste-Marie — argento ADCC e una delle figure più rispettate del grappling moderno — parla, di solito lo fa con equilibrio. Ma sul tema “uomini in spats senza pantaloncini” ha deciso di mollare il f

youtube.com/watch?v=kg_JwQVQyN…

Quando Brianna Ste-Marie — argento ADCC e una delle figure più rispettate del grappling moderno — parla, di solito lo fa con equilibrio. Ma sul tema “uomini in spats senza pantaloncini” ha deciso di mollare il freno a mano.

Durante un’intervista al podcast Jits and Giggles, la canadese ha raccontato un episodio avvenuto in un camp in Colombia: un atleta si presenta alla sessione serale indossando solo le sue spats. Nessun pantaloncino, nessuna remora.

“L’ho guardato e gli ho detto: ‘Scendi subito dal tappeto e vai a cambiarti.’ Non è accettabile,” racconta.
“Vedevo letteralmente il contorno del pacco. Non capisco come abbiamo potuto perdere la bussola al punto da pensare che vada bene così.”


Non è solo una questione estetica: è questione di ambiente, di rispetto, di limiti. E Ste-Marie lo dice senza giri di parole — come dovrebbe fare chiunque abbia abbastanza esperienza da sapere che il tatami non è una zona franca del buon senso.


Il dress code del grappler moderno


Il dibattito non è nuovo. Gordon Ryan ha persino inserito nel suo famoso (e controverso) dress code la regola esplicita: shorts sopra le spats.
E se conosci Gordon, sai che non è uno particolarmente ossessionato dalle convenzioni. Eppure anche lui ha capito che certe regole servono: non per moralismo, ma per ordine.

Siamo in uno sport dove ci si strozza, si suda addosso, si finisce incastrati in posizioni che con un minimo di fantasia potrebbero far arrossire chiunque.
Proprio per questo l’equilibrio tra libertà e decenza è più che un tema di “stile”: è un patto sociale.


L’approccio “primitivo” (che rispetto)


Io l’ho sempre detto, anche commentando il caso Gordon Ryan e il dress code: per quanto mi riguarda puoi rollare anche in mutande.
Ho lottato spesso a torso nudo, Brazilian Style, e mi piace quel ritorno primitivo al corpo, al contatto, alla semplicità del gesto. È quasi un richiamo alle origini: due esseri umani, uno cerca di strangolare l’altro, niente orpelli.

C’è qualcosa di autentico, persino poetico, in quella nudità agonistica.
Ma — e qui viene il punto — se la tua libertà diventa una distrazione per chi ti sta intorno, o peggio una barriera per chi vorrebbe iniziare ma si sente a disagio… forse non è più libertà, è solo mancanza di attenzione.


Il problema non è la pelle, ma il contesto


La scena descritta da Ste-Marie è un perfetto esempio di questo slittamento.
Non è scandalosa in sé, ma rompe la sintonia collettiva.
In un camp internazionale, con atleti di vari livelli e culture diverse, la vista di un “pacco in HD” a un metro di distanza può essere un po’ troppo.
E non serve un master in antropologia per capire che certe cose — pur naturali — non aiutano la coesione del gruppo.

Poi certo, se ti piace sentire il tessuto tecnico aderire come una seconda pelle, nessuno ti giudica.
Ma se proprio hai le gambe delicate e vuoi metterti gli yoga pants, mettiti dei cazzo di pantaloncini sopra.

Non per pudore, ma per rispetto di chi condivide lo spazio.


La questione invisibile: le donne sul tatami


C’è anche un altro tema, meno detto: le ragazze.
Ste-Marie lo tocca indirettamente quando parla di “ambienti in cui le persone non si sentano a disagio”.
Il BJJ ha ancora un problema di proporzioni — in molte palestre le donne sono una minoranza — e creare un contesto sicuro è una responsabilità comune.
Non servono crociate sul dress code: basta un po’ di empatia.

Perché se un gesto semplice come infilare un paio di shorts può far sentire qualcun altro più a suo agio, è un piccolo prezzo da pagare.
La forza del jiu-jitsu è nella fiducia reciproca: ti lascio mettermi in strangolamento solo se so che rispetterai il mio limite.
Vale anche per l’abbigliamento.


Il valore del confine


Il messaggio di Ste-Marie non è moralista, anzi.
È una lezione su come i confini servano a proteggere, non a limitare.
Quando dice “i principianti faticano a mettere limiti” sta parlando anche di questo: di quella educazione implicita che i veterani dovrebbero trasmettere.
Saper dire “questo non va bene qui dentro” è un atto di leadership, non di censura.

E chi si allena da anni sa che il tatami è una società in miniatura.
Ci sono regole non scritte che tengono tutto insieme: si saluta, si pulisce, si rispetta la distanza.
Il dress code non è diverso — è un segno di cura.


L’ironia della libertà


Il paradosso è che chi difende l’“autenticità” del roll in spats integrali spesso finisce per trasformarlo in una provocazione.
E allora la libertà perde la sua innocenza e diventa posa.
Quella sì, da evitare.

Personalmente resto dell’idea che il BJJ sia un linguaggio corporeo: puoi comunicare intensità, rispetto, gioco, persino ironia.
Ma non serve farlo con l’anatomia in primo piano.
C’è già abbastanza ego nei tornei, nelle storie Instagram, nei post “war ready”.


Conclusione: un po’ di buon senso (e pantaloncini)


In fondo la regola è semplice:
allenati come vuoi, ma senza dimenticare che condividi uno spazio con altri esseri umani.
Il tatami è un luogo sacro e imperfetto, dove convivono culture, pudori e manie.
Non serve vestirsi da monaco shaolin, ma nemmeno trasformare la lezione serale in una replica di Magic Mike.

Puoi rollare a torso nudo, puoi preferire le spats sotto, puoi farlo per comodità o per stile.
Ma se vuoi davvero essere un grappler maturo, mettiti quei pantaloncini sopra e risparmia al mondo il tuo pacco in 4K.
È una forma di rispetto, non di censura.
E in un’epoca in cui tutti vogliono “essere se stessi”, ricordarsi anche degli altri è ancora la forma più elegante di libertà.


Il blogverso italiano di Wordpress ha ricondiviso questo.


Dress code alla Kingsway di Gordon Ryan.


Premessa scomoda. Tendenzialmente sono un cazzone e se uno si presenta col kimono di Naruto a me va bene (Jacopo, sto parlando di te). Tollero persino gli spezzati. Ma capisco benissimo Gordon Ryan e chiunque scelga regole chiare. Anzi: quando devo scegli

Premessa scomoda. Tendenzialmente sono un cazzone e se uno si presenta col kimono di Naruto a me va bene (Jacopo, sto parlando di te). Tollero persino gli spezzati. Ma capisco benissimo Gordon Ryan e chiunque scelga regole chiare. Anzi: quando devo scegliere dove allenarmi, tendo a preferire palestre con regole più rigide. È dai dettagli che si costruisce una comunità attenta a quello che fa.

Cosa ha deciso Gordon Ryan


Gordon Ryan ha introdotto un dress code netto nella sua nuova Kingsway Headquarters. Obiettivo dichiarato: look pulito e professionale, dentro e fuori dal tatami, con uniformità soprattutto per ciò che finisce sui social.

  • No-gi: rash guard e shorts neri o bianchi, almeno per l’80% della superficie. Loghi ok, ma base rigorosa.
  • Gi: solo bianco per tutti fino alla cintura nera. Nero consentito ai black belt e oltre. Vietati capi larghi, tasche, zip e t-shirt. Obbligatori rash guard sotto il gi e, per gli uomini, shorts sopra spats o compressioni.

Nota curiosa: niente blu. Sorprende, visto che il blu è spesso più diffuso del nero.

Perché farlo


La motivazione è semplice e operativa: uniformità visiva e professionalità. Serve nelle classi, nelle foto, nei video, nei reel. Ryan sottolinea che non vuole costringere nessuno a comprare il suo merch. In accademia ci sono capi neutri per chi dimentica qualcosa, ma il principio non cambia: allinearsi a una cornice comune.

Qui si innesta la lettura più ampia. Nel jiu-jitsu convivono tradizione e modernità. Relson Gracie, per dirne uno, ha sempre difeso il gi bianco perché rende chiarola cintura dell’avversario. È una logica funzionale, non nostalgica. E, paradossalmente, la scelta di Ryan, pur venendo dal no-gi, dialoga con quella linea.

La tensione identità vs. regole


Il primo contraccolpo è prevedibile: addio espressione personale. Niente gi rosa shocking, niente palette custom. Ryan non la prende larga: se non ti piace, non venire. È un posizionamento. E ogni posizionamento, per definizione, esclude qualcosa.

C’è poi un tema di coerenza apparente. Ryan, atleta no-gi, ha vestito rash di mille colori nel corso degli anni. Perché ora il bianco e nero? Risposta pratica: un conto è il tuo percorso da atleta, un altro è la coerenza visiva di un luogo. Se alleni persone, vuoi un ambiente leggibile a colpo d’occhio, in presenza e online.

Sulle compressioni lo scetticismo resta. Nell’MMA e nel grappling la compressione totale evita grip indesiderati sugli shorts. L’obbligo di shorts sopra spats è una scelta di decoro e riconoscibilità. Non massimizza sempre la performance micro, ma aumenta l’ordine macro.

L’argomento che conta davvero: comunità


Torniamo ai dettagli. Una palestra è un’istituzione culturale, non solo quattro materassine. Le regole visive fanno tre cose utili:

  1. Abbassano l’attrito decisionale. Ti vesti così. Fine.
  2. Rendono il gruppo riconoscibile. Dentro e fuori dall’accademia.
  3. Trasmettono attenzione. Se curi il colore dei capi, tenderai a curare anche igiene, puntualità, modo di stare sul tatami.

È il motivo per cui, pur essendo indulgente con Naruto e con gli spezzati, tendo a scegliere scuole che impostano una grammatica chiara. Le piccole prescrizioni educano il comportamento. Allenano il senso del contesto. Fanno crescere meglio i nuovi.

Non è un culto, è un confine


Il confronto con altre realtà aiuta. AOJ ha uno standard severo e ha costruito un’estetica riconoscibile a livello mondiale. Gracie Barra, invece, viene spesso criticata per l’obbligo di brand proprietario, percepito come costoso e identitario in modo forzato. Ryan si colloca in mezzo: rigore sì, obbligo di logo no. È un confine, non un recinto.

Obiezione: si perde “divertimento”


Vero a metà. L’auto-espressione nel BJJ vive in mille altri punti: scelta dei corsi, stile tecnico, attitudine nelle ronde, obiettivi agonistici o ricreativi. La divisa influisce meno di quanto pensiamo. E in cambio hai foto e video ordinati, minor rumore visivo, più concentrazione.

Se poi la tua identità passa dal gi mimetico o dalla rash neon, forse stai delegando alla stoffa la narrazione che dovresti fare con il gioco a terra.

Impatto pratico per le accademie


Se dirigi una palestra e stai ragionando sul tuo standard:

  • Definisci palette e capi base. Due colori, max tre. Tutti gli altri su richiesta.
  • Motiva la regola. Non perché “si è sempre fatto”, ma per igiene, ordine, media, riconoscibilità.
  • Gestisci le eccezioni. Visitor kit in spogliatoio. Prima volta, si chiude un occhio. Dalla seconda, si allinea.
  • Allinea staff e agonisti. Lo standard parte dall’insegnante.
  • Comunicalo bene. Una pagina chiara sul sito, un post fissato in bacheca, una FAQ essenziale.


Il punto di equilibrio


Il dress code di Ryan non è un vezzo. È una scelta manageriale e culturale. Serve a dare forma all’esperienza e a renderla scalabile. Non tutti lo ameranno. Ma una palestra senza confini chiari spesso diventa un posto dove ognuno fa come gli pare e l’energia si disperde.

Io continuerò a sorridere se entra uno col kimono cammo. Ma se devo scegliere dove passare il mio tempo, preferisco un tatami con regole esplicite. È lì che impari a rispettare il contesto, non solo l’avversario. E alla lunga, sono questi dettagli a tenere insieme le persone.

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