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Corpi che sfuggono: Schütte a Venezia


Sono stato a vedere la mostra Genealogies di Thomas Schütte, allestita dalla Pinault Collection a Venezia nella sede di Punta della Dogana. Un’esposizione che attraversa decenni di produzione, materiali eterogenei e registri espressivi che vanno dall’ironia alla gravità. L’essere umano è al centro: corpi, volti, figure. Ma sempre sfuggenti. Mai rassicuranti.

Il lavoro di Schütte sul corpo mi ha colpito in particolare per la sua capacità di destabilizzare. Le figure non aderiscono a un codice normativo: sono deformate, abbozzate, eccessive, assenti. I “Fratelli” presentano espressioni contratte, fisse, ambigue. Nascono da uno studio sui busti romani e sono ispirati dallo scandalo Mani Pulite. Mi hanno molto colpito: mi sono sentito osservato e inquietato da queste figure mute, statiche, eppure piene di tensione.

“Vater Staat”, imponente e trasandato con la sua vestaglia, è lo Stato ridotto a una goffa caricatura. Un padre vecchio, immobile, incapace eppure enorme. E proprio da questa immobilità emerge una strana forma di potenza simbolica. Lo sguardo dell’artista, in questi casi, è acuto, critico, capace di riflettere in modo ironico e cupo sul potere e sull’identità.

Il corpo qui non è un’icona, ma un campo di tensioni. Sospeso tra fallimento, desiderio e memoria. La mia passione per l’arte queer mi ha fatto pensare al corpo come indefinito, che scivola via dalla norma. Anche se questa lettura è del tutto personale e soggettiva, resta però chiaro che questi corpi non si lasciano facilmente decifrare, né tantomeno glorificare.

La rappresentazione femminile, invece, mi ha coinvolto meno. Pur essendo varia e apparentemente sovversiva (le Donne piangenti, le donne distese deformate, la Geisha attempata), mi è sembrata spesso meno profonda e meno incisiva rispetto al lavoro fatto sui corpi e sui volti maschili. Un po’ come se l’artista stesse cercando un modo alternativo di raffigurare le donne, ma da una posizione inevitabilmente maschile, senza riuscire davvero a costruirne uno alternativo e senza scardinarne lo sguardo.

Durante la visita, una sorpresa: un’immagine bellissima e inattesa. Alcune opere erano collocate in cima al torrione, con il belvedere sulla laguna. Il cielo di Venezia, la luce dell’acqua, il vento: un momento sospeso. E anche lì, in quell’aria, il corpo sembrava sfuggire, come un fantasma.

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La rappresentazione queer alla Biennale di Venezia 2024.


Faccio un salto nel passato anche qui, alla Biennale Arte 2024 di Venezia, la rappresentazione queer era forte e presente, ed è stato potente vederla.

Alcune opere mi hanno colpito particolarmente. Louis Fratino esplora la tensione tra famiglia e desiderio con immagini viscerali, raccontando come le persone LGBTQ+ socializzano da ‘outsider’ e affrontano la violenza della tradizione. Xiyadie documenta la vita queer in Cina dagli anni ’80, con opere intime che parlano di repressione, desiderio e liberazione. In Sewn, la metafora del cucirsi con un filo fatto di sperma e sangue rende fisico il dolore dell’identità negata. Omar Mismar sfida la censura in Libano con Two Unidentified Lovers in a Mirror, forse il mio preferito, dove la riorganizzazione dei volti di due amanti mette in discussione la negazione dell’intimità queer.
Lauren Halsey non lavora sul tema queer nello specifico, ma con la sua installazione monumentale celebra la diaspora nera, creando un ponte tra passato e presente.

Ognuna di queste opere è un atto di resistenza, un modo per riscrivere narrazioni e spazi.
Semplicemente è stato bello vedere così tanta arte queer alla Biennale, non solo come tema, ma come presenza forte e consapevole.

Il tema della Biennale era "Stranieri ovunque" ed era molto presente con opere sulle migrazioni e sui popoli, con tanta rappresentanza di artisti di popolazioni e entie oppresse e marginalizzate. Il rischio di una cornice così internazionale e istituzionale è quello di essere poco incisivi e di essere manipolati, nel mio caso mi ha aiutato a capire di più e ha creato consapevolezza e curiosità su tante altre situazioni anche lontane da noi.
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Nel soffitto affrescato da Camillo Mantovano, tra la rigogliosa natura dipinta, si cela un simbolo: la lotta tra un airone e un falco, allegoria dello scontro tra bene e male. Un tema che richiama la vicenda del patriarca Giovanni Grimani e il suo processo per eresia. Arte, storia e potere intrecciate in un racconto di giustizia e attesa.
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