Attacco delle IDF a Gaza: cosa è successo
Avviso contenuto: Verso le 9 del mattino arriva in Italia la notizia di un attacco delle Forze di Difesa Israeliane nella Striscia di Gaza. In un primo momento viene pubblicata solo da poche fonti e i dati sono contrastanti. Nel frattempo il ministero della Sanità di Hamas
Verso le 9 del mattino arriva in Italia la notizia di un attacco delle Forze di Difesa Israeliane nella Striscia di Gaza. In un primo momento viene pubblicata solo da poche fonti e i dati sono contrastanti.
Nel frattempo il ministero della Sanità di Hamas pubblica dati che parlano di oltre 30 mila morti dal 7 ottobre e della volontà di Francia, Stati Uniti e Canada (tra gli altri) di tentare di aggirare il blocco di Israele inviando aiuti umanitari via aerea.
Quindi giunge la notizia, diffusa da Al-Jazeera, di un attacco israeliano a sud di Gaza City, poi diventato un generico “a nord di Gaza”, contro persone in attesa di aiuti alimentari. All’inizio si parla di 50 morti, che poi in una nota del ministero della Sanità di Gaza salgono a 70. A metà giornata ancora non si ha una precisa dinamica dell’evento.
A mezzogiorno arriva il primo tweet delle Idf sull’account X in lingua ebraica in cui parlano in un primo momento (più di sette ore dopo l’accaduto) solo di feriti:
Poco prima dell’una arriva la ricostruzione di al-Jazeera. Nella prima mattinata (ore 4.30 locali) del 29 febbraio, centinaia di persone si erano radunate alla rotonda di al-Nabulsi, su Harun al-Rashid Street, a sud di Gaza City, in attesa della consegna di aiuti alimentari.
Il corrispondente dell’agenzia qatariota sul posto ha riportato che la folla è stata attaccata con proiettili di artiglieria, missili di droni e colpi di arma da fuoco.
Un camion, che avrebbe dovuto consegnare aiuti alimentari, è stato utilizzato per togliere dalla strada numerosi cadaveri e trasferire i feriti alle strutture sanitarie più vicine.
Un portavoce dell’esercito israeliano ha affermato che i militari non sono a conoscenza di “bombardamenti israeliani” nella zona.
Un comandante dell’esercito – riporta il Times of Israel, mantenendo la fonte anonima – ha detto che le Idf non hanno sparato sulla folla che si precipitava verso il convoglio principale degli aiuti.
Ha riconosciuto però che le truppe hanno aperto il fuoco su diversi civili. Questa reazione sarebbe dovuta al fatto che i civili si sarebbero mossi verso le truppe e un carro armato a un posto di blocco dell’Idf, mettendo in pericolo i soldati. Il tutto dopo che gli stessi, continua la fonte, si erano precipitati contro l’ultimo camion del convoglio più a sud.
Circa duecento metri, dunque, avrebbero separato secondo le Idf i due avvenimenti. Da un lato un attacco diretto delle forze armate preoccupate per la propria incolumità (da cui, affermano, sarebbero rimaste uccise solo una decina di persone). Dall’altro una tragedia provocata da un centinaio di civili che, radunati per prendere gli aiuti nei camion, sarebbero morti a causa di “sovraffollamento e calpestio”.
Arriva intanto il video delle Idf, pubblicato con l’intento di mostrare “l’attacco” ai camion.
Alle 13.40 (ora italiana) Al-Jazeera pubblica questa mappa:
Secondo l’agenzia i morti sarebbero oltre il centinaio, circa 750 i feriti. Arrivano le prime testimonianze video dagli ospedali adiacenti.
Questa la lettura dell’evento da parte del ministro della Sicurezza nazionale israeliano Itamar Ben-Gvir:
Al momento non c’è nessuna conferma ufficiale da parte delle Idf di ver aperto il fuoco sui civili.
Il portavoce, il contrammiraglio Daniel Hagari, ha detto che sono stati sparati dei colpi ma non sulla folla. L’unico intento era quello di disperdere le persone che avevano portato al blocco del convoglio.
Al-Jazeera torna sull’evento in contemporanea con la pubblicazione di un video che proverebbe un lancio di colpi d’artiglieria avvenuto alle 4.30. La Casa Bianca parla di “un incidente serio” ma non fa nomi. Arrivano le richieste di un cessate il fuoco immediato da diverse parti del mondo.
Lo fa anche l’Italia, per la prima volta così apertamente, attraverso il ministro degli Esteri, Antonio Tajani, e la premier, Giorgia Meloni.
Alle 19 di ieri arriva quindi la notizia della convocazione del Consiglio di Sicurezza straordinario all’Onu, su richiesta dell’Algeria, per condannare Israele dell’attacco.
Tutti i membri votano a favore, tranne gli Stati Uniti. L’ambasciatore Usa Robert Wood, riporta al-Jazeera, ha sostenuto che gli USA non hanno “tutti i fatti sul campo: questo è il problema”.
Si moltiplicano i messaggi di richiesta di una maggiore apertura all’ingresso di aiuti umanitari. Nel frattempo, Hamas ha fatto sapere che quello che considera un feroce attacco deliberato non aiuterà il raggiungimento di un accordo per il cessate il fuoco.
A 9 giorni dall’inizio del Ramadan, il fatto che diminuiscano le possibilità di raggiungere un accordo mette grande preoccupazione. Biden rassicura che entro lunedì si troverà una quadra.
L'articolo Attacco delle IDF a Gaza: cosa è successo proviene da Lo Spiegone.
Presidenziali USA: Joe Biden è l’uomo giusto per i Dem?
Avviso contenuto: Le sue abilità di front-man non sono più quelle di un tempo, questo è vero. Eppure, nel corso del lungo tragitto che lo ha portato dalla piccola cittadina di Scranton alla Casa Bianca, Joe Biden ha dimostrato di avere sempre una freccia al proprio arco.
Le sue abilità di front-man non sono più quelle di un tempo, questo è vero. Eppure, nel corso del lungo tragitto che lo ha portato dalla piccola cittadina di Scranton alla Casa Bianca, Joe Biden ha dimostrato di avere sempre una freccia al proprio arco. In vista delle elezioni di novembre, la sfida davanti al più che ottantenne presidente è quella di un secondo mandato.
Cosa dicono i sondaggi
Non è facile orientarsi tra tutti i sondaggi che raccontano la politica statunitense. Tuttavia, il Pew Research Center, uno dei più accreditati centri di ricerca degli USA, ha pubblicato un mese fa un’analisi molto interessante per capire il sentimento dell’elettorato nei confronti del presidente.
Secondo il centro, la fetta di cittadini convinti che Biden sarà un presidente senza successo a lungo termine è aumentata costantemente nel corso del mandato democratico. Si tratta di un dato molto interessante alla luce delle enormi sfide che ha dovuto affrontare l’amministrazione in carica.
Tra gestione del Covid-19 e rilancio dell’economia in politica interna, così come di fronte ai conflitti che attraversano l’Europa e il Medio Oriente, la Casa Bianca ha dovuto fare i conti con un quadriennio particolarmente turbolento. Il fatto che secondo l’opinione pubblica di questi anni non rimarrà una grande eredità solleva più di una preoccupazione ai democratici.
Lo Spiegone
Fonte: Pew Research Center. Rielaborazione grafica de Lo Spiegone
Le criticità evidenziate dal trend purtroppo per Biden ricorrono in numerose rilevazioni. Se ci si focalizza sulla fase conclusiva del mandato, per FiveThirtyEight il presidente ha il tasso di gradimento più basso dai tempi di Dwight D. Eisenhower. Senza contare che l’età avanzata del presidente costituisce un vincolo oggettivo per molti statunitensi. L’86% della popolazione ritiene che Biden sia troppo anziano per proseguire con un altro mandato. Insomma, un periodo ben poco rassicurante per il presidente e i democratici, sicuro preludio di una conclusione incerta.
Le alternative dei democratici
Nel frattempo, la corsa verso le elezioni va avanti. Come da tradizione, il presidente è il grande favorito per vincere le primarie democratiche, che fino a qualche settimana fa lo vedevano competere con Dean Phillips e Marianne Williamson.
Membro di lunga data del Congresso il primo, autrice già candidata in occasione delle primarie del 2020 la seconda, Phillips e Williamson sono due profili di secondo livello, incapaci di scalfire le gerarchie democratiche. Anche per questo, il cammino di Biden procede senza intoppi. Dopo un risultato al di sotto delle più fosche aspettative nei primi Stati al voto, Williamson si è ritirata dalla competizione. La corsa è finita per lei, ma di fatto anche per Phillips.
A questo punto, le alternative per il Partito democratico si restringono. A meno di un clamoroso colpo di scena, Biden vincerà agilmente la maggioranza dei delegati impegnati alla Convention nazionale del Partito democratico, prevista per la seconda metà di agosto. Per l’occasione, dal 19 al 22 agosto si riuniranno a Chicago i 3.934 delegati, chiamati a eleggere il candidato democratico per la Casa Bianca, secondo i risultati delle primarie. Se un candidato riceve la maggioranza dei voti, il nome sul ticket sarà suo.
C’è un’altra possibilità, ovvero che Biden decida di ritirarsi dopo la Convention. La scelta del sostituto toccherebbe allora al Comitato nazionale, un organo composto da addetti ai lavori che sarebbe così incaricato di prendere una scelta forse più diplomatica che prettamente politica. Secondo il New Republic, in questo scenario la nomina dovrebbe spettare necessariamente a Kamala Harris.
L’attuale vicepresidente potrebbe infatti contare su enormi vantaggi strategici. Una volta appoggiata dal partito, il principale sarebbe senza dubbio l’organizzazione con la quale condurre la campagna elettorale. Uno scoglio non indifferente per chi, da outsider, volesse tentare il grande salto, risultando niente di più che un mero guastafeste agli occhi dell’establishment e forse anche a una buona parte di elettori.
Le sfide del fronte democratico
I dubbi democratici però non si dissiperebbero nemmeno con un’eventuale convergenza sulla vicepresidente. I tassi di gradimento di Harris sono tutt’altro che entusiasmanti, mentre crescono gli attacchi dei repubblicani volti a delegittimarne la figura e l’operato. La propaganda del GOP non ha mai risparmiato insulti sessisti e razzisti nei suoi confronti, alimentando una spirale di odio suprematista che è diventata nel tempo la cifra identitaria per il partito di Abraham Lincoln.
La storia politica dell’ex procuratrice dimostra però che ha le spalle larghe ed è molto determinata a raggiungere i suoi obiettivi. In questo momento, ricompattare il fronte democratico, a partire dai gruppi sui quali il suo profilo ha una presa maggiore e che risulteranno decisivi in molti Stati.
Impegnata nella difesa dei diritti sessuali e riproduttivi, dopo il rovesciamento di Roe v. Wade da parte della Corte Suprema ha reso l’aborto uno dei temi centrali della sua campagna sul territorio. Oggi però, come riporta il New Yorker, le sue attenzioni sono rivolte soprattutto alle comunità afroamericane e latine. Si tratta di due fasce elettorali fondamentali per il successo dei democratici, la cui affezione nei confronti del progetto politico di Biden è gradualmente diminuita negli ultimi mesi.
Alle voci critiche si sono aggiunte le comunità araboamericane, che criticano il supporto statunitense allo Stato di Israele, rimasto intatto nonostante l’escalation militare e il tentativo di pulizia etnica in corso nei territori palestinesi. In occasione delle primarie in Michigan, sono state organizzate forme di protesta volte a minare il sostegno a Biden.
Se nei prossimi mesi non si dovessero registrare cambiamenti nella posizione democratica, il boicottaggio araboamericano potrebbe rappresentare un ostacolo importante alle elezioni. Non l’unico: diversi sondaggi mostrano infatti come si stia creando anche una spaccatura generazionale verso la guerra in Medio Oriente, con un numero crescente di giovani schierati dalla parte dei palestinesi.
Democrazia contro autoritarismo, ancora?
Non è detto che, a novembre, le guerre che dividono l’opinione pubblica a stelle e strisce siano un fattore decisivo per le elezioni. Una cosa scontata, invece, è il filo conduttore della campagna dei democratici, a prescindere dal profilo che si ritroverà a dirigere i lavori. Questo filo sarà, ancora una volta, la difesa della democrazia.
Il presidente l’ha espresso senza mezzi termini in occasione del terzo anniversario dell’assalto a Capitol Hill da parte dei sostenitori di Trump. «Se la democrazia è ancora la causa sacra dell’America (nda, Stati Uniti)», ha detto, «la scelta alle elezioni è chiara». Nelle parole di Biden, Trump sarebbe una minaccia per gli USA, in quanto disposto a tutto pur di ottenere il potere.
In una società polarizzata come quella statunitense, la deriva messianica è uno sviluppo inevitabile per la comunicazione politica. A orientare il dibattito pubblico non è più lo scontro tra alternative politiche ma tra la difesa o meno di un assetto istituzionale, su cui insiste una narrativa para-religiosa. La scelta di campo dei democratici si inserisce in questa cornice: finirà per pagare?
Lo Spiegone
Fonte: Statista. Rielaborazione grafica de Lo Spiegone
Secondo Statista, all’inizio di febbraio i temi più importanti per i cittadini statunitensi riguardano il costo della vita e le opportunità di lavoro, il sistema sanitario e la gestione dei flussi migratori. Eppure, una rilevazione di Reuters/Ipsos ha messo in luce come per il 21% dei cittadini l’estremismo politico e la tenuta delle istituzioni siano diventati la questione decisiva per le elezioni.
È presto per capire se questo basterà a rivitalizzare gli animi degli elettori. Del resto, dal protagonista in poi, la sceneggiatura per i Dem è ancora in buona parte da scrivere.
Fonti e approfondimenti
538, “How popular is Joe Biden”, 28/02/2024.
Karni, A. & Peters, J., “Her Voice? Her Name? G.O.P.’s Raw Personal Attacks on Kamala Harris”, The New York Times, 12 agosto 2020.
Shepard, A., “There’s Only One Viable Alternative to Biden”, The New Republic, 23/02/2024.
Wolf, Z., “Biden’s plea to save democracy faces harsh democratic reality”, CNN, 6/01/2024.
Editing a cura di Cecilia Coletti
L'articolo Presidenziali USA: Joe Biden è l’uomo giusto per i Dem? proviene da Lo Spiegone.
Più debole la lotta alla corruzione e più stretti i bavagli. Ma la battaglia è solo cominciata
Qui Senato. Siamo riusciti a rallentare un poco, con una azione parlamentare significativa, l’approvazione di due provvedimenti che, insieme, rappresentano un pesante combinato disposto. Da un lato – con il ddl Nordio sulla Giustizia – si indebolisce il contrasto a corruzione e illegalità e dall’ altro – con la legge di delegazione europea dentro cui […]
L'articolo Più debole la lotta alla corruzione e più stretti i bavagli. Ma la battaglia è solo cominciata proviene da Articolo21.