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Presentazione


#presentazione
Elena Brescacin, in arte Elettrona - "talksina" era un nick di vent'anni fa e ho dovuto tenermelo anche se non mi piace più, perché la maggioranza dei siti di tecnologia mi conoscono in quel modo. Elettrona è il soprannome, talksina l'handle degli account per capirsi.
Mi occupo di accessibilità digitale e design inclusivo per lavoro, giochi di parole e utilizzo di WordPress per hobby; tecnologia? Mi autodefinisco geek con tutte le conseguenze del caso nel disordine e nel portafoglio.
A livello sociale/volontariato, mi occupo di sensibilizzazione su HIV - mi dà un po' fastidio definirmi "attivista" perché l'attivismo si fa in altri modi, non scrivendo e parlando in giro.
Sto avvicinandomi a Friendica sperando di liberarmi, prima o poi, dai social commerciali.
Keywords: #WordPress #accessibility #a11y #hiv

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U=U: scienza, non paranoie


U=U, cosa vuol dire questa sigla in ambito HIV e perché è importante? Alessandro si mette a nudo e spiega la propria esperienza di persona che vive col virus. Scienza, non paranoie. DISCLAIMER: post ad alto contenuto di psicoblog e anche qualcosa di più e

U=U, cosa vuol dire questa sigla in ambito HIV e perché è importante? Alessandro si mette a nudo e spiega la propria esperienza di persona che vive col virus. Scienza, non paranoie.

DISCLAIMER: post ad alto contenuto di psicoblog e anche qualcosa di più esplicito.

Lettori avvisati, mezzi salvati.


Rischi e paranoie


Un lettore del blog mi ha chiesto: “c’è una situazione in cui hai corso un rischio e non te ne sei mai pentito?”

Rispondo volentieri e in modo esplicito: smettere di usare il preservativo con l’uomo che ho sposato.

Non nego di aver passato mesi con le paranoie prima della decisione: chi me lo faceva fare, potevo continuare come ero abituato? Impossibile!

All’epoca, 2017-18, nel web internazionale vedevo girare questa sigla strana: “U=U”, “undetectable = untransmittable”. Concetto complesso per chi ignora la questione HIV ma io avevo già capito il riferimento alla quantità di virus presente nel mio sangue. Non rilevabile, non trasmissibile. Impossibile sbagliare, direbbe la campagna mediatica costruita dalle associazioni HIV per sensibilizzare sul tema – peccato che un sito pieno di informazioni così chiare sia on line solo dal 2023.

Una scoperta fondamentale che avrebbe potuto fermare la diffusione di HIV in pochi anni eppure almeno in Italia non aveva troppa copertura mediatica, anzi ne parlavano solo pochi addetti ai lavori.

Poi ci si metteva pure il mio dottore: “sì, è così, è dimostrato da molti studi, io però fossi in voi non rischierei.”

Per me e il mio amato Negativo erano più i dubbi che gli entusiasmi in merito a quanto dicevano medici e associazioni internazionali sulla mancata trasmissione sessuale grazie all’efficacia degli antivirali e, quando sai di una nuova strategia di protezione ma hai paura dell’ignoto, puoi anche proseguire con la vita di sempre però la consapevolezza acquisita ti ha già strappato dalla zona di comfort facendoti sentire addosso, nel vero senso della parola, una scomodità che prima nemmeno percepivi.

Realizzando come questa faccenda rischiasse di mandarci in crisi, ci siamo concessi la classica “pausa di riflessione” che se per gli altri è il politicamente corretto di “lasciarsi”, per noi invece era riflessione vera su una situazione che non potevamo né volevamo più ignorare.

Fossi stato più stronzo mi sarei sfilato il preservativo di nascosto (stealthing) quello però è un abuso sessuale e avrebbe determinato la chiusura definitiva del nostro rapporto perché l’avrei tradito nel peggiore dei modi, con un atto di violenza.

HIV senza preservativo: la scienza prima di U=U


Il virus non era ancora con me quando tra il 2007 e 2008 si parlava di studi prima in Svizzera poi in Canada, in cui si confermava l’impossibilità di trasmissione al partner negativo di una coppia sierodiscordante. Lì il campione però si concentrava maggiormente sulle coppie etero in cerca di una gravidanza quindi, più di tanto, non ho approfondito. C’erano gli antivirali però rispetto al 2024, 2007-2008 è un’era geologica fa.

Addirittura nello stesso periodo era uscito un articolo di giornale, che ora non trovo più, in cui parlavano di un gene isolato in persone esposte ad alto rischio HIV e rimaste negative; “test disponibile entro due anni” dicevano i giapponesi. E io scemo a pensare “dai speriamo che presto venga fuori in tutto il mondo così lo posso fare anch’io e se sono coperto non devo preoccuparmi più dell’AIDS” – capivo a malapena la differenza tra HIV e AIDS.

Arrivato il 2009, poi il 10 e 11, quella storia è passata sotto silenzio; nel 2012 però negli Stati Uniti ha iniziato a uscire la profilassi pre-esposizione PrEP e io, ancora negativo, mi sono tranquillizzato: OK qualche mese di pazienza e arriverà in Italia!

I mesi però sono diventati anni perché questa terapia per negativi che vogliono evitare di infettarsi è arrivata in Europa nel 2016 ma io ero già HIV positivo dal 2013 dopo una relazione abusante.

Mi sono trovato nella peggiore delle situazioni anche se, fosse stato per me, sarei entrato in Prep non appena fosse uscita sul mercato anche a costo di essere il primo a sperimentarla. Quanto cazzo paura mi hanno fatto dell’AIDS in adolescenza, andassero all’inferno tutti loro e la loro sierofobia.

U=U: la fine delle paranoie


Fra il 2007 e 2016 tre studi hanno coinvolto diverse coppie sierodiscordanti gay ed etero in cui il partner HIV positivo era in terapia coi farmaci antivirali e in nessun caso si è verificata la trasmissione da contatto sessuale senza protezioni a barriera. Da allora gradualmente si è iniziato a parlarne sui forum del settore, prima a mezza bocca poi sempre più forte.

U=U, carica virale non rilevabile, mi pareva di sentire parlare una lingua sconosciuta perché ancora nel 2017-18 in Italia non era diffusa questa evidenza. La comunità scientifica italiana lo ha ufficializzato solo il 12 novembre 2019.

Io però mi ero stancato di stare dietro ai profilattici perché da anni i risultati delle analisi parlavano chiarissimo: prima “meno di cinquanta copie”, poi “non rilevabile”, il mio virus nel sangue era sempre in pieno relax e probabilmente, ai tecnici di laboratorio, diceva pure: “fatemi il favore di dire al mio umano che non ho intenzione di toccare suo marito! Ancora non lo capisce!”

Da positivo non ero capace di sentire cosa stesse dicendo il mio HIV, figuriamoci i negativi dell’ospedale! Quindi sono andato avanti ancora per un bel po’ a tenermi l’opzione “preservativi” nella nota della spesa anche se, pur non facendolo pesare, ero sempre più insofferente: vivere assieme pianificando di sposarci, avere l’evidenza scientifica U=U in casa ma comportarci come fossimo in una coppia sierodiscordante agli inizi in cui il virus ancora fa paura.

La libertà


Se levarsi i preservativi di nascosto è un abuso, non lo è dimenticarsi “casualmente” di comprarli e poi sul più bello mettere la mano sotto il cuscino e dire: “oops, sì, maledizione credevo ce ne fosse ancora uno, in effetti mi sembrava di aver acquistato una cosa in meno! Ora che si fa?”

Stavo tranquillo perché prima mi ero consultato col dottore: “vorremmo sposarci e vivere un’intimità più serena ma per sicurezza mi piacerebbe che mio marito entrasse in PrEP; che ne pensi, doc?”

Per farla breve, il medico ha risposto che avendo io la carica virale non rilevabile ed essendo la nostra relazione monogama, è inutile la profilassi pre-esposizione; così io ho lanciato al mio compagno una provocazione un po’ ironica un po’ no: “perfetto allora se mi fai le corna e allarghi la famiglia con un virus in più, non dare la colpa a me”.

Che si fa, rinunciamo oppure U=U? “La seconda opzione”, mi ha risposto. E io ho fatto lo stronzo come al solito: no, non ho capito, la seconda cioè? Voglio sapere cosa hai deciso. Niente scorciatoie o parole non dette. Consenso o dissenso esplicito.

Solo quando mi ha guardato negli occhi e mi ha detto “U=U” la serata è andata avanti. I giorni a seguire non sono stati facili perché – lo ammetto – un po’ mi ha condizionato con le paranoie “e se ti si fosse alzato il virus nel sangue e tu non lo sai”, “e se la medicina ha deciso di non funzionare, della scienza non so se e quanto fidarmi, c’è sempre la sfortuna”.

Come potevo dirgli “se non ti fidi del medico fidati di me” se era una situazione di cui avevo scarso controllo anch’io? A sentir lui avrebbero dovuto inventare un apparecchio agganciabile a un dito (quale dei 21?) che monitorasse la carica virale minuto per minuto.

OK, adesso ci ridiamo su entrambi però allora mi sarebbe venuto da strozzarlo e rimanere vedovo in anticipo perché iniziava a far tornare le paure anche a me, così mi sono armato di pazienza lasciandolo aspettare i tempi tecnici e farsi il test HIV pur consapevole razionalmente io per primo di quale sarebbe stato l’esito.

Finalmente col suo risultato negativo in mano l’ho portato a festeggiare in un bel posto dove ci siamo mangiati antipasto, primo, secondo e dolce tutti e due. Cioè tre col virus.

Eravamo liberi e lo saremmo stati per sempre, col preservativo da usare solo se l’avessimo volontariamente scelto. Io più di tutti mi sentivo libero come non mi ero mai sentito prima.

A fine serata, in una coincidenza che non dimenticheremo mai, la radio dell’auto ha trasmesso un brano che tutt’oggi porto nel cuore: “viva la libertà” di Jovanotti. Canzone su cui gli ho fatto la proposta definitiva di sposarmi e siamo finiti come due cretini in macchina a cantare il ritornello.

Sono ormai passati anni dalla scatola mai acquistata e ci siamo sposati; lui è ancora negativo, ancora mi sopporta, non mi sono mai pentito di aver guardato quel giorno l’insegna della farmacia ed essere passato avanti.

Poi certo, durante l’emergenza covid ci siamo impauriti più di prima e abbiamo fatto scorte di profilattici ma la consapevolezza acquisita ci ha permesso anche di ironizzare sulla prevenzione dei due virus insieme: dove va la mascherina? Dove va il preservativo? Che faccia hai, che faccia ho.


youtube.com/watch?v=7ZR_nM-42J…


Dall’incontro col mio HIV ho giurato a me stesso che avrei sempre usato il preservativo anche in una storia a lungo termine. E invece adesso? Sì, dai, ma nel 2013 la situazione era diversa e U=U non era stato ancora scoperto.

Va bene, avrei voluto finire il post con la canzone ma non me la sento perché il rischio è ancora alto: vero che noi positivi U=U siamo le persone più sicure, infatti siamo periodicamente controllati per tutte le infezioni sessualmente trasmissibili. Questo vale anche per i negativi sotto profilassi pre-esposizione PrEP in quanto la terapia in oggetto prevede esami regolari, dalla Chlamydia alla sifilide e le altre.

La realtà però è complessa, e il virus in circolazione non è qualcosa da prendere alla leggera. Specie qui in Italia c’è una scarsa informazione su U=U e PrEP, anni di stigma sdoganato dai media stanno ancora causando problemi tanto che i controlli per le infezioni a trasmissione sessuale sono ancora a completo carico dei pazienti perché la sessualità è ancora vista come un capriccio e non come un diritto. Etero, gay o altro che si sia.

Allora il preservativo rimane sempre un ausilio necessario per tutelarsi (e tutelare gli altri) in caso si ignori il proprio stato di salute. Ho scelto di condividere la mia esperienza solo per far capire che, oggi, la prevenzione dell’HIV non passa più solo dalle barriere fisiche. Né tanto meno dallo stigma.


Il cambiamento positivo


Post personale di Alessandro che racconta la propria esperienza con #HIV

DISCLAIMER: nel post c’è ironia ma anche tanto Drama Queen: lettori avvisati.

Il cambiamento POSITIVO


Ora non è “Gifter” a parlare ma Alessandro con un post dove condivido la mia esperienza di persona con HIV per smontare i pregiudizi di chi è scettico sulla mia partecipazione a questo blog satirico.

Evento negativo? Sì. Notizia devastante? Di sicuro. Ma siccome quando il “cambiamento positivo” arriva te lo tieni, vale la pena prenderne atto e nel tempo imparare a conviverci più pacificamente possibile.

2013: Think twice!


Ascolto tutta la musica perché ne sono appassionato ma c’è un particolare brano che non riesco ad affrontare: “think twice” di Celine Dion; anche cercando il video per condividerlo sul blog, ho silenziato l’audio perché quella canzone mi è a dir poco indigesta.



youtu.be/vGwIaL0jOUg


Una volta però adoravo questo brano perché era quello che aveva unito me e Alberto, grande amore ed errore allo stesso tempo.

A 32 anni avrei dovuto già essere adulto invece sono caduto fra le braccia di chi prometteva fedeltà ma era un traditore seriale e io ho continuato a perdonarlo malgrado, col senno di poi, i segnali di relazione malsana fossero palesi.

Alla fine però un giorno, trovando l’ennesimo calzino estraneo sotto il nostro letto, ho preso tutta la sua roba e gli ho lasciato la valigia fuori dalla porta.

Avessi trovato preservativi usati anziché i calzini sarebbe stato disgustoso ma alla fine avrei gestito solo le corna, invece così ho dovuto affrontare un “cambiamento positivo” di cui avrei fatto volentieri a meno.

Anche “Twink Twice” è riuscito a farmi odiare: per fortuna non è andato avanti molto con quella storia, ma le scenate di Alberto fuori casa o al telefono a supplicare “Alex, ti prego, perdonami” con la canzone in sottofondo, si sono ripetute da metà gennaio 2013 fino a marzo e tralascio il dettaglio sul San Valentino – più volte ha rischiato una mia denuncia per stalking.

Adesso quindi solo le prime note di quel brano mi fanno innervosire come quando un seccatore suona il campanello sperando di vendermi oggetti o divulgare religioni improbabili.

Con chi suona alla porta non mi sono mai permesso ma ad Alberto ho lanciato più di qualche secchiata d’acqua dalla finestra quando veniva a rompermi le palle, sì! E in pieno inverno non è il massimo pertanto qualora si fosse preso un bel raffreddore, se l’è cercato.

In compenso nello stesso maledetto periodo mi ero beccato io un’influenza potentissima anche senza prendere secchiate, o almeno io l’ho considerata come tale. Amore finito, stress, ma con una pillola e un po’ di riposo passa tutto.

Appena guarito, sono andato in discarica a buttare le ultime mutande che Alberto aveva lasciato nel mio cassetto forse per illudersi di chissà cosa; però il vecchio Gifter, anzi il vecchio Alex in questo contesto, se ha deciso di chiudere, chiude senza alcuna possibilità di ripensamento. Ancora ignoravo che, oggettivamente, non di tutti i regali lasciati dall’ex ci si può liberare.

2013: Rito di passaggio


Quando superi il momento clou dello stress da relazione finita cosa pensi? “I cimiteri sono pieni di persone insostituibili”, ci può essere qualcun altro da amare, e capisci che a 37 anni forse forse è il caso di “rimettersi sul mercato” per non diventare la vedova austera del diciannovesimo secolo.

Allora, nell’idea di ricominciare a conoscere gente col classico “poi si vedrà”, ho preso una decisione importante: fare il test per le infezioni sessualmente trasmissibili HIV compreso in quanto mi sentivo in perfetta forma ma, sapendo che io ero monogamo e Alberto no, mi ritenevo una persona sufficientemente vulnerabile: nella peggiore delle ipotesi avrei quantomeno salvaguardato eventuali nuove relazioni a breve, medio o lungo termine.

Noi gay abbiamo maturato una certa consapevolezza in decenni di HIV o AIDS associati principalmente al nostro orientamento sessuale: i virus non guardano se sei monogamo o poligamo, è sufficiente una porta aperta a cui accedere e non gliene frega un accidenti se tu fai l’amore senza protezione perché “ti fidi” del tuo partner o se stai con una persona completamente anonima appena conosciuta della quale ti importa solo finché ti rivesti. I virus entrano in casa tua senza bussare né chiederti: “posso?”

A dire il vero è così anche per le persone etero, queste ultime però il più delle volte si sentono cullate nella “comfort zone” mediatica delle categorie a rischio e anche se il traditore seriale è la persona “della porta accanto” che si dedica a casa e lavoro, spesso e volentieri l’etero medio non considera l’eventualità infezioni sessuali, non si sottopone ai test, poi succedono le tragedie di marito o moglie in AIDS conclamato dopo anni di silenzio, o positività all’HIV scoperte durante una gravidanza.

Poco mi importa se sono brutale ma, siccome la vita non fa sconti, neanch’io li concedo quando mi esprimo su questi temi.

Coi test avevo previsto di chiudere definitivamente il capitolo Alberto e, nel merito, scherzavo anche assieme al mio migliore amico: “insomma dai, non sarò mica così sfigato da essere cornuto e sieropositivo? Posso reggere il tradimento ma l’HIV non so.”

Adriano però è parecchio più malizioso di me e ha lanciato il sasso: “io ti sto addosso come una ventosa perché l’influenza che hai avuto qualche tempo fa non mi è piaciuta affatto”.

E chi se la ricordava più, non certo io! Ma lui da brava “sanguisuga” come lo chiamo tutt’ora, non si perde ogni minima fragilità da parte mia e già allora diceva “noi due possiamo reggere il peso di qualunque sventura. Sono con te”.

Lui mi è vicino fin dall’adolescenza, il primo a cui ho confidato che “non mi piaceva la gnocca” (come parlavo male a suo tempo), quella è un’amicizia che dura da decenni. Ne abbiamo passate tante e ci sentiamo in una botte di ferro, neanche c’è il pericolo di rubarci i partner uno con l’altro perché è etero!

2013: La risposta


L’influenza, cosa vuoi che sia! Avevo già letto sull’Internet che il passaggio da HIV negativo a positivo potesse scatenare dei sintomi simil-influenzali però su questo non ho mai voluto condizionarmi e dopo Alberto, nella mia vita, a nessuno avevo permesso di affacciarsi finché non sarei stato certo di “essere sano” – così definivo la negatività all’HIV fino a quel momento. Quindi mi sono fatto prelevare il sangue senza troppi pensieri drammatici: tutto sommato, ero tranquillo: avevo “la coscienza a posto”, “mi ero comportato bene”, il test era uno scrupolo ma generalmente “l’AIDS prende solo chi non fa attenzione”. Anch’io vittima, in qualche modo, delle campagne mediatiche fatte coi piedi.

Lo screening era per tutte le infezioni sessualmente trasmissibili, non ero andato in una di quelle strutture dove fanno anonimo il test solo per l’HIV e sono rimasto in attesa dei risultati.

Ero sereno fino a quando non mi è squillato il cellulare: il dottore voleva “vedermi per discutere degli esiti” e a quel punto ho anche aggredito la signorina addetta alle chiamate: “porca puttana, ragazzetta, non farmi giri di parole dimmi che sono sieropositivo e sparisci!” Lei formale ma gentile: “signore abbia pazienza, non sono tenuta a darle informazioni al telefono, le chiedo cortesemente di prendere appuntamento col medico!” Venerdì 3 maggio 2013, va bene.

Mi ha accompagnato Adriano quel giorno, unica persona di cui potessi fidarmi ed è rimasto lì fuori ad attendermi mentre io ero chiuso in stanza a parlare col dottore. “Tutto negativo, tranne l’HIV, mi spiace”. No, cazzo no! Io HIV positivo no! Alberto non poteva avermi fatto questo!

Ricevuta una simile notizia ti crolla ogni certezza, ma ognuno reagisce a suo modo: io in quel momento non avevo più un dottore di fronte, non era più l’ambulatorio ma mi sentivo come se fossi a casa mia a tavola davanti ad Alberto e ci sarebbe mancata solo Think Twice per farmi definitivamente sbroccare.

Santa pazienza aveva (e ha tutt’ora) quel medico. Solo quando mi sono calmato, mi ha spiegato tutto il percorso da fare; avevo troppa paura del “dopo” e ricordo ancora che dissi “dottore la prego se mi dà una medicina che non mi rende un fantasma con le gambe la accetto”.

Lui fece molto di più e mi diede l’opportunità di seguire un percorso di terapia sia antivirale sia psicologica grazie a cui adesso ho ritrovato il mio equilibrio e non ho problemi a parlarne apertamente.

Alberto? Ovviamente risultato anche lui positivo e ancora oggi sono convinto che non ne fosse a conoscenza: come prestava poca attenzione in auto così era nella sessualità e gli effetti si sono visti eppure, nel tempo, mi sono fatto passare il rancore nei suoi confronti perché l’odio non mi faceva stare bene.

La psicoterapia è durata un anno e mezzo di cui giudicavo i primi mesi come assolutamente inutili perché mi facevo talmente schifo da essermi chiuso in casa senza farmi la doccia per giorni; Adriano da parte sua veniva anche a trovarmi ma sempre più di rado.

“Non mi vuoi più come amico perché ho l’HIV, gli scrissi un giorno ma la sua risposta fu impietosa: “se non vengo volentieri da te è perché puzzi come una capra. Pensi di spaventare il virus così? Più facile che me ne vada io! Continua di questo passo e l’HIV rimarrà l’unico a starti vicino ma solo perché gli tocca e da te non può staccarsi sennò muore”.

Nessun professionista ti dirà mai una frase simile, un amico d’infanzia invece sì specialmente quando ti vede autodistruggerti e non sa cosa fare per aiutarti.

A questo si è aggiunta la terapia d’urto dello psicologo al quale confidai che avevo passato l’estate del 2013 studiando quale fosse il modo migliore per morire, prima che mi ammazzasse il virus.

Mi affrontò a muso duro: “quanti modi per morire stai descrivendo. Ma se passi i giorni a pensarci senza metterlo in pratica, intuisco che non vuoi ucciderti veramente. Che dici? Partiamo da qui: tu, morire, in realtà non vuoi”.

“E certo che non voglio morire”, era stata la mia risposta, “ma è l’HIV che mi costringe a pensarci! A 37 anni la data di scadenza! Non è giusto!”

Quel sant’uomo mi ha lasciato sparare cazzate a raffica e poi si è messo a dirmi le stesse parole che già avevo sentito dal medico: “adesso non è più una condanna a morte”, “segui regolarmente la terapia”, “abbi uno stile di vita più sano possibile”, c’è voluto molto tempo ma alla fine oltre ad aver fatto pace con l’HIV l’ho fatta con la mia autostima e ho debellato i sentimenti di stigma e omofobia interiorizzati che da anni tenevo dentro.

Capitolo chiuso anche l’odio per l’infezione: ormai sono emotivamente sereno, tanto che il virus fa parte della mia famiglia esattamente come il gatto e me ne prendo cura rimanendo fedele alle medicine e ai controlli medici.

Dovrei fare più esercizio fisico ma io e il mio HIV siamo così: quando uno vuole andare a fare una passeggiata, l’altro si mette d’accordo con Giove Pluvio e fa piovere. Tale umano tale virus! Serie tv, divano, attività in orizzontale! Almeno essendo in simbiosi non c’è rischio che mentre guardiamo lo sport l’HIV tifi per gli avversari.

Lo ammetto, dopo tutto quello che mi ha fatto penare per farsi accogliere, mi sono pure affezionato a questo virus. Lui che mi ha costretto a mettere in discussione troppe certezze fondate sul nulla ma che alla fine mi ha permesso di trovarne più salde comprese alcune amicizie e amori solidi che prima, forse, c’erano e non li vedevo.

Brutto da dire forse ma senza di lui probabilmente non avrei stretto amicizia con @talksina l’ideatrice di questo blog, che divide con me l’esperienza dal punto di vista opposto: quello di una persona senza HIV ed ex compagna di un uomo col virus.

Cosa potrei volere di più? Tornare col segno negativo? Al momento non ci penso perché non è possibile, salvo le persone con leucemia trapiantate di staminali su cui i media ogni tanto parlano.

Mi basterebbe mantenere HIV sulla soglia di Non Rilevabile Non Trasmissibile senza dover assumere farmaci, la ricerca si sta concentrando in questo senso perciò è questione solo di pazienza; per adesso il mio desiderio è vivere e godermela al massimo, ho già perso troppo tempo dietro alle cazzate!

In chiusura tranquillizzo i lettori sul fatto che non ho alcuna intenzione di scrivere libri e guadagnare sulla mia esperienza ma voglio solo raccontarla per aiutare a sconfiggere lo stigma.

Testo aggiornato rispetto alla pubblicazione iniziale (13 aprile 2023).


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Felici e orgogliosi di aver partecipato a una raccolta fondi, ora chiusa, per un ragazzo con HIV.

plusbrothers.net/b/8tF

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