Serie A, B, Champions, Mondiali: le date della stagione calcistica 2022/2023
La stagione calcistica 2022/2023 sarà particolare per il calcio europeo, e di conseguenza quello italiano, a causa dei Mondiali che si disputeranno in Qatar nei mesi invernali. Per la prima volta nella storia della competizione, infatti, i principali campionati europei subiranno una sosta prolungata per consentire ai calciatori la trasferta in terra qatariota e disputare [...]
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CULTURA. A People by the Sea: l’autodeterminazione palestinese al Museo di Bir Zeit (Seconda parte)
di Patrizia Zanelli*
Pagine Esteri, 31 agosto 2022 –
Con il declino di Acri, negli anni 1830, i consolati europei si erano trasferiti a Haifa, determinando l’ascesa anche di questa città che diventerà un importante polo industriale nel secolo successivo.
La mostra A People by the Sea al Museo Palestinese di Bir Zeit racconta soprattutto la realtà palestinese della prima metà del Novecento.
Uno dei risultati più importanti delle riforme ottomane è la nascita in Palestina di una stampa moderna locale, che si sviluppa con maggiore rapidità dopo il ripristino della Costituzione ottomana, nel 1908, e il conseguente allentamento della censura. Su un pannello della mostra ci sono due documenti interessanti: uno è la copertina del quarto numero della rivista Bākūrat al-adab (La primizia della letteratura), datato 1905, anno di fondazione a Giaffa della stessa testata il cui nome indica appunto l’esistenza di una nascente letteratura moderna palestinese. L’altro è la prima pagina dell’edizione del 2 settembre 1911 di Annafayr (Annafire), un giornale dedito a questioni politiche, letterarie e socioculturali, fondato a Gerusalemme nel 1906. L’articolo d’apertura è intitolato “La morte della libertà in Egitto” – all’epoca guidato dal khedivè Abbas II e sotto occupazione britannica sin dal 1882 – e denuncia proprio i problemi che sta subendo l’organo ufficiale di un partito nazionalista egiziano a causa della presenza militare inglese nel paese. Ciò indica che il nazionalismo anticolonialista è già emerso anche in Palestina, dove evidentemente c’è una discreta libertà di stampa. In fondo alla stessa pagina compare la pubblicità di una compagnia navale francese che organizza viaggi per l’America e ha appunto un ufficio a Gerusalemme. Entrambi questi documenti sono interessanti anche a livello artistico ossia grafico: l’abbinamento di disegni in stile Liberty alla calligrafia araba è particolarmente affascinante.
Foto di Patrizia Zanelli, diritti riservati
Nella mostra sono esposti altri annunci pubblicitari di crociere su transatlantici di lusso che indicano sia la domanda crescente di questo tipo di viaggi in Palestina, e ovviamente l’agiatezza dell’alta borghesia palestinese sia la dinamicità economica delle città portuali. Con la fioritura di giornali e riviste, inoltre, si rivitalizza la vita culturale a Haifa e Giaffa, dove si organizzano spettacoli teatrali e concerti, spesso in riva al mare, come confermano più fotografie esposte in A People by the Sea.
Foto di Patrizia Zanelli, diritti riservati
Foto di Patrizia Zanelli, diritti riservati
L’effettiva presenza, nelle case delle famiglie borghesi e nei caffè, di radioricevitori, grammofoni e dischi in vinile, su cui sono registrate canzoni interpretate dalle voci più celebri dell’Egitto e del Levante, è invece documentata da alcuni annunci pubblicitari presentati nella mostra.
Lungo il percorso di A People by the Sea, a un certo punto, si trova una scheda informativa che indica la prima ondata migratoria colonialista ebraica, legata al sionismo internazionale, iniziata nel 1882, e l’avvio della costruzione dell’insediamento sionista di Tel Aviv, nel 1909, sul confine settentrionale del distretto amministrativo di Giaffa, e la stessa nota segnala la pericolosità della fondazione di questa colonia per le sorti della Palestina e degli abitanti autoctoni del paese, cioè i palestinesi. Poi la narrazione si sofferma sugli eventi cruciali per l’assetto geo-politico regionale, avvenuti nell’ambito della I Guerra Mondiale. Una scheda informativa ricorda l’accordo Sykes-Picot (1915-1916), negoziato e firmato segretamente da Francia e Inghilterra, e interventi militari che dimostrano le intenzioni delle maggiori potenze coloniali europee di alterare per sempre il volto della Palestina, del Levante e dell’intero Medio Oriente. Una teca della mostra contiene, invece, un opuscolo intitolato The Balfour Declaration – an Analysis; si tratta di un inserto speciale pubblicato a Giaffa dal giornale Falasṭīn (Palestina) proprio nel 1917. La ben nota lettera firmata il 2 novembre di quell’anno appunto dal ministro degli Esteri inglese, certifica la volontà dell’Inghilterra di sostenere il sionismo internazionale. Con lo smantellamento dell’Impero Ottomano, a seguito della I Guerra Mondiale, e l’inizio del mandato britannico sulla Palestina nel 1920, emerge concretamente il significato della Dichiarazione Balfour – l’accelerazione della colonizzazione sionista -, la cui prevedibile conseguenza è l’accendersi di un conflitto regionale tuttora in corso e in evoluzione.
D’altra parte, lo scopo principale di A People by the Sea è di raccontare una realtà sociale, la vita della gente di un paese. Durante il periodo mandatario, in risposta alla minaccia sionista, la società palestinese esprime la propria vitalità, proseguendo sulla via verso la modernizzazione. Ormai ci si può spostare da una città all’altra del paese sia in treno sia in pullman, come indicano i biglietti esposti nella mostra. Su un pannello, invece, sono presentate le pagine di più giornali che suggeriscono la possibilità di andare a teatro oppure al cinema a vedere, per esempio, un musical egiziano – all’epoca l’Egitto è la Hollywood sul Nilo a livello panarabo – o un cartone animato della Walt Disney. In questo periodo nasce anche la passione per lo sport. Nel 1931, viene fondata una federazione sportiva nazionale per unire circoli già esistenti in varie città della Palestina, tra cui Gerusalemme, Giaffa e Haifa, e frequentati da giovani che sperano di vincere una coppa come quelle esposte in A People by the Sea.
Un’altra teca della mostra contiene, invece, due scatole di fiammiferi, con il marchio di una piccola impresa di Acri, e un pacchetto di sigarette prodotto a Giaffa, dove ci sono aziende appunto del tabacco, nonché del sapone, del cuoio, del vetro, di carpenteria, tessili e alimentari, oltre a quelle della filiera delle arance. Su un pannello inoltre sono esposti documenti di tipo amministrativo aziendale, tra cui una lettera su carta intestata e quattro buste affrancate e con timbro postale.
Nel 1933, viene inaugurato il porto di Haifa, costruito dall’Inghilterra. Lo scopo di Londra è di avere la possibilità di accogliere grandi navi commerciali e petroliere e di accordare concessioni a società di capitali straniere e a capitalisti sionisti internazionali. Lo scalo nasce e si sviluppa grazie a investimenti esteri legati alle industrie pesanti, petrolifere e del trasporto ferroviario.
Foto di Patrizia Zanelli, diritti riservati
Haifa, inoltre, è sin dagli anni ‘20 la roccaforte del movimento operaio. Certo, ci sono problemi sindacali e sperequazioni socioeconomiche anche in Palestina, dove non mancano neppure casi di corruzione. Ne parlano diversi articoli giornalistici esposti in A People by the Sea, ma, nel paese, prevale la consapevolezza anticolonialista che fa da collante del tessuto sociale. Su un pannello si vede, per esempio, un volantino che rientra in una campagna per la promozione e difesa della produzione locale: gli imprenditori e investitori palestinesi devono affrontare, oltre alla concorrenza straniera privilegiata dall’Inghilterra, gli ostacoli posti dai militari inglesi e/o da gruppi di coloni.
Foto di Patrizia Zanelli, diritti riservati
La minaccia sionista aumenta di giorno in giorno, materializzandosi nella monopolizzazione d’ogni aspetto della vita sociale in Palestina nell’ambito di un progetto colonizzatore esclusivista. Quindi, nascono partiti politici e associazioni palestinesi di autodifesa nazionale.
E, naturalmente, come sempre e ovunque nella storia dell’umanità, dalla tragedia nasce la commedia. Nella Palestina mandataria fiorisce infatti il giornalismo satirico palestinese. In A People by the Sea, si vede una vignetta dedicata proprio alla Dichiarazione Balfour e pubblicata su Falasṭīn il 17 giugno del 1936, mentre gli articoli annessi parlano – con la cauta ironia necessaria per evitare la censura – delle proteste popolari appena esplose nel paese appunto contro il mandato britannico e la colonizzazione sionista.
Foto di Patrizia Zanelli, diritti riservati
Donne e uomini palestinesi d’ogni estrazione religiosa e sociale partecipano alla Grande Rivolta che durerà nelle città e nelle campagne della Palestina per tre anni. Nel 1939, infatti i militari inglesi e miliziani sionisti intensificano la repressione della resistenza palestinese, perché l’Inghilterra vuole impiegare tutti i propri sforzi nella II Guerra Mondiale in cui sta entrando.
In Palestina, la crisi economica provocata dal conflitto internazionale colpisce soprattutto i proprietari degli aranceti e, quindi, i lavoratori della filiera delle arance. A People by the Sea include infatti anche una sezione dedicata proprio al mondo del lavoro. Una teca contiene una tessera sindacale, rilasciata a Haifa il 15 marzo 1947 dal Sindacato Arabo Palestinese dei Lavoratori. È intestata ad Abd al-Salam Abd al-Halim Hanieh che faceva il caposquadra a Giaffa. Una scheda informativa ricorda il duplice ruolo svolto dal Sindacato stesso negli anni ’30: l’organizzazione di scioperi per rivendicare migliori condizioni lavorative per i lavoratori del reparto agrumario e ferroviario; e la mobilitazione del movimento operaio nella lotta contro la colonizzazione sionista, e ciò a cominciare dalla Grande Rivolta nell’ambito delle attività rivoluzionarie coordinate e sostenute dai comitati nazionali.
La mostra riesce effettivamente a dare la possibilità di percepire la realtà pre-1948 palestinese; e lo fa senza menzionare personalità pubbliche, ma parlando della vita della gente “comune”. Si nota un’attenzione, una cura a ricordare laddove possibile i nomi delle persone per evidenziare l’importanza di ogni individuo. In Palestina, la società palestinese era organizzata a vari livelli, era politicizzata e impegnata a costruirsi un futuro e a difendersi da un pericolo crescente.
L’ultima parte del percorso di A People by the Sea è dedicata alla Nakba. Un pannello informativo ricorda gli atti compiuti da gruppi paramilitari sionisti nel decennio precedente, cioè sin dal 1937: crimini contro la persona, una campagna di attacchi dinamitardi e oltre 7 massacri, il cui bilancio è di 250 palestinesi uccisi e migliaia di altri feriti. Questo è il preludio della Nakba che inizia all’indomani dell’annuncio dell’approvazione della risoluzione 181 dell’Onu sulla Spartizione della Palestina, approvata il 29 novembre 1947 – e mai attuata. Nel marzo 1948, i dirigenti paramilitari sionisti, basati a Tel Aviv, decidono di lanciare la campagna Piano Dalet, volta appunto alla pulizia etnica nei confronti dei palestinesi nella porzione del territorio assegnata al futuro Stato ebraico.
Tra i dodici artisti che partecipano alla mostra c’è anche Abed Abdi (n. 1942) che il 22 aprile 1948 aveva appunto appena sei anni ma, nelle sue memorie, ricorda perfettamente i fatti vissuti quel giorno a Haifa, la fuga verso il porto per salvarsi dagli attacchi lanciati da miliziani sionisti e la posa da “gentleman” dei militari inglesi che invitavano i palestinesi a lasciare la città, perché – all’insaputa dei palestinesi stessi – non ci tornassero mai più. Si tratta della più nota delle tante espulsioni di massa avvenute nell’ambito della Nakba. In A People by the Sea la testimonianza di Abed Abdi è infatti presentata su una scheda accanto alla fotografia (scattata a Haifa dopo il 1948) di un giovane soldato inglese, seduto su un muro a osservare dall’alto un gruppo di palestinesi indotti appunto a salire in barca e a lasciare la città, convinti che ci sarebbero presto tornati, un diritto al ritorno sancito dalla risoluzione 194 dell’Onu, approvata l’11 dicembre 1948 – e mai attuata.
Un pannello informativo della mostra ricorda che l’operazione di pulizia etnica si intensifica a partire dal 16 maggio 1948 – cioè all’indomani della scadenza del mandato britannico sulla Palestina – e continua per quasi due decenni. La fase più intensa della Nakba dura fino al 1950 ed è caratterizzata anche da attacchi in diversi centri urbani; il mercato dei contadini a Haifa e un quartiere residenziale a Giaffa vengono demoliti. In A People by the Sea, la Nakba è raccontata soprattutto tramite una serie di video in cui si vedono o demolizioni di case e interi villaggi (ne furono distrutti 418 di cui 70 lungo la fascia costiera), o le testimonianze dirette di diversi sopravvissuti ai massacri. Su un pannello ci sono anche alcune lettere scritte da pescatori espulsi.
Nella mostra è inoltre esposta l’opera pittorica, The Dove, creata nel 1993 da Nasser Soumi (n. 1948), ispirandosi alla storia di un marinaio di Giaffa, divenuto profugo e morto di crepacuore a Tiro, in Libano, negli anni ’50, dopo che i militari israeliani gli avevano impedito di realizzare il desiderio di rivedere la sua città, chiamata dai marinai “La Colomba”, perché così sembrava da lontano a largo della costa durante il viaggio di ritorno per raggiungerla. Mentre cercava di arrivarci in barca, quei soldati lo avevano arrestato, lui aveva spiegato loro tutto ciò. E loro, per tutta risposta, lo avevano rinchiuso a bordo della sua stessa barca, per non dargli la possibilità di scorgere neppure da lontano la sua città, e tenuto lì senza provviste per un paio di giorni, prima di rispedirlo indietro. Giaffa era famosa per l’estrazione dell’indaco, colore scelto dall’artista per riprodurre sulla tela l’immagine del mare, sfondo su cui ha applicato conchigline gialle e pezzetti di buccia d’arancia essiccata, componendo di fatto un collage con al centro una piccola scultura che simboleggia Baal, dio cananeo della fertilità.
Foto di Patrizia Zanelli, diritti riservati
A People by the Sea racconta una realtà storicamente documentata e quindi parla da sé. Il problema è che viene continuamente oscurata da un’incessante campagna dilagante di disinformazione, tutta eurocentrica; stesso eurocentrismo che caratterizza le narrazioni più diffuse riguardanti il colonialismo europeo e il conflitto mediorientale in genere. Questa iniziativa del Museo Palestinese infatti chiama direttamente in causa l’Europa e denuncia soprattutto il modus operandi del regime mandatario britannico in Palestina. Il significato vero e completo della Nakba – che continua tuttora – va conosciuto e riconosciuto, perché il non riconoscimento è una licenza a uccidere concessa all’occupazione militare israeliana.
A People by the Sea veicola un messaggio politico molto chiaro. La mostra, accompagnata da seminari, conferenze e altri momenti di incontro, serve a riesaminare la Nakba alla luce della narrazione storica presentata. I due secoli di storia della Palestina, che vengono narrati, corrispondono all’arco temporale 1748-1948: la prima data indica appunto la nascita dell’era di autogoverno di Daher al-Omar, seguita da un continuum di altre esperienze in cui la società palestinese, pur non avendo un proprio Stato indipendente, ha sempre messo in campo la propria vitalità e capacità di gestirsi; quindi, quel passato è la testimonianza di una ferma volontà di autodeterminazione. Questo è il sunto di quanto si legge nella pagina web dedicata alla mostra, un progetto culturale che, però, sembra finalizzato anche ad affrontare un’emergenza parallela, anzi quella più urgente sotto ogni aspetto. La gioventù palestinese ha bisogno di essere sostenuta psicologicamente tramite un messaggio di speranza, proprio perché non cada nella disperazione. In Palestina, i giovani e specialmente i minori sono le vittime principali delle azioni oppressive e omicide commesse dai militari israeliani e da coloni sionisti. Questa violazione quotidiana della Convenzione IV di Ginevra (12/08/1949) è la continuazione della Nakba che va fermata subito. L’Europa dovrebbe finalmente assumersene tutte le responsabilità e agire per mettere fine a un conflitto che ha causato, che poteva e doveva essere evitato.
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*Patrizia Zanelli insegna Lingua e Letteratura Araba all’Università Ca’ Foscari di Venezia. È socia dell’EURAMAL (European Association for Modern Arabic Literature). Oltre a Warda ha tradotto diverse altre opere letterarie, tra cui la raccolta poetica Tūnis al-ān wa hunā – Diario della Rivoluzione (Lushir, 2011) del poeta tunisino Mohammed Sgaier Awlad Ahmad e il romanzo Memorie di una gallina (Istituto per l’Oriente “C.A. Nallino”, 2021) dello scrittore palestinese Isḥāq Mūsà al-Ḥusaynī.
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MESSICO. La strage di studenti di Ayotzinapa fu un “crimine di stato”
di Marco Santopadre*
Pagine Esteri, 31 agosto 2022 – Che alcuni politici locali, agenti di polizia e militari messicani avessero avuto un qualche ruolo nella strage di Ayotzinapa è sempre stato più che un sospetto. Ma le accuse formulate dalla Commissione d’Inchiesta governativa di Città del Messico contro alcuni comandanti delle Forze Armate rendono assai più nitide le circostanze in cui si produsse il massacro del 26/27 settembre 2014.
Quel giorno, un centinaio di studenti della Escuela Normal Rural “Raúl Isidro Burgos” di Ayotzinapa, in viaggio a bordo di tre autobus che avevano requisito a Iguala (nello stato del Guerrero) per recarsi a una manifestazione nella capitale federale per commemorare il massacro di Tlatelolco del 2 ottobre 1968, furono intercettati e attaccati dagli agenti della polizia locale e dai narcos su ordine del sindaco José Luis Abarca (un indipendente del Partito Rivoluzionario Democratico) e di sua moglie. Questi ultimi in seguito furono arrestati perché considerati i mandanti della carneficina insieme ad un boss della criminalità locale.
La polizia sparò per errore contro un autobus che trasportava una squadra di calcio locale, uccidendo il suo autista e uno dei giocatori a bordo. Anche una donna che viaggiava in un taxi è stata raggiunta e uccisa da un proiettile.
Insabbiamenti e depistaggiSecondo le ricostruzioni ufficiali fornite a seguito dell’inchiesta condotta dal Procuratore Generale Jesus Murillo Karam, sei studenti morirono subito, 25 riportarono gravi ferite ma sopravvissero ed altri 43 furono rapiti. Alcuni dei ragazzi furono torturati selvaggiamente. I rapiti, sempre secondo la versione ufficiale, furono poi consegnati dagli agenti ai membri di una banda criminale locale, i Guerreros Unidos, e assassinati. I corpi degli uccisi sarebbero stati bruciati per renderne difficile l’identificazione e i resti sarebbero stati gettati nella discarica di Cocula e nel fiume San Juan. Per questo i “43 di Ayotzinapa” sono rimasti a lungo – e vengono in gran parte tuttora – dei desaparecidos.
Prima per reclamare la liberazione degli studenti “dispersi” e poi per chiedere “verità e giustizia” sul massacro, nel paese si sono susseguite proteste e manifestazioni, mentre decine di agenti di polizia sono stati arrestati.
Ma già dal 2015 le organizzazioni sociali e studentesche del Guerrero, insieme ai familiari delle vittime, hanno puntato il dito contro alcuni distaccamenti dell’Esercito e della Marina, denunciando il loro ruolo nell’eccidio.
Nei giorni scorsi, finalmente, ad avvalorare quelli che fino ad ora erano rimasti solo dei sospetti è stata una speciale commissione istituita dall’attuale governo per far luce su quanto accadde nel 2014.
Il viceministro Alejandro Encinas
Il ruolo dell’esercitoSecondo la nuova inchiesta realizzata dalla “Commissione per la verità e la giustizia”, creata nel 2018 per volontà del presidente messicano Lopez Obrador, l’eccidio fu un vero e proprio “crimine di Stato”, frutto del coordinamento tra l’amministrazione comunale di Iguala e altre istituzioni locali e federali, la polizia locale, le forze armate e i narcos dei Guerreros Unidos, con l’obiettivo di infliggere una dura ed esemplare punizione agli studenti di una delle realtà politicamente più combattive dello stato. Tra gli studenti le forze armate avrebbero infiltrato alcune spie e comunque le comunicazioni tra i leader della protesta sarebbero state monitorate attraverso degli spyware.
Secondo Alejandro Encinas, viceministro messicano ai Diritti Umani, anche l’allora presidente della Repubblica Enrique Peña Nieto e il suo entourage sarebbero stati informati della reale dinamica dei fatti, impegnandosi a nascondere parte della verità.
Nello specifico, sei dei 43 studenti sequestrati furono separati dai loro compagni e detenuti ad Iguala per quattro giorni, per poi essere consegnati agli uomini del colonnello José Rodríguez Pérez, che allora era comandante del 27imo battaglione di fanteria. Fu il colonnello, che nel frattempo è diventato generale, a ordinarne l’uccisione. Secondo la Commissione, nella strage sarebbero coinvolti anche il generale Alejandro Saavedra Hernández, che all’epoca era a capo della 35ima zona militare con sede nella capitale del Guerrero, Chilpancingo. Nel mirino della nuova inchiesta e prima ancora dei reportage della stampa messicana indipendente sono finiti in particolare i legami tra l’ex sindaco di Iguala Abarca e l’esercito: fu proprio grazie ai favori delle forze armate che l’esponente politico avrebbe potuto iniziare la sua ascesa dopo la realizzazione di un centro commerciale – denominato “Plaza Tamarindos” – su un terreno donato dai militari.
Il generale José Rodríguez Pérez
In manette l’ex procuratore generaleSulla base di quanto stabilito dalla Commissione, la magistratura ha emesso 64 mandati di arresto a carico dei responsabili dell’esercito implicati e di altri agenti di polizia; in manette, la scorsa settimana, è finito addirittura Murillo Karam, il procuratore generale al quale furono affidate le prime indagini e che si dimise due mesi dopo l’inizio dell’inchiesta, ritenuto complice dei depistaggi orchestrati per garantire l’impunità dei massimi responsabili della strage. Anche Tomás Zerón, un altro degli investigatori, è accusato di collegamenti con vari gruppi criminali e da tempo si è rifugiato in Israele.
L’inchiesta dell’epoca, rivelano le nuove indagini, mirarono a occultare il fatto che dentro i corpi di polizia delle città di Iguala, Huitzuco e Cocula esisteva un gruppo d’élite denominato “Los Bélicos”, di fatto una banda di sicari al servizio dei narcos e delle autorità politiche locali.
Il fatto che il governo di Andrés Manuel López Obrador abbia deciso di accusare esplicitamente i militari deve essere considerato un elemento rilevante, perché il presidente ha scelto le Forze Armate come uno dei pilastri della “Quarta trasformazione”, il suo progetto politico. Solo poche settimane fa Obrador ha assorbito la Guardia Nacional (così si chiama l’ex Polizia Federale dopo la rifondazione) nell’Esercito, istituzione che gestisce settori sempre più consistenti dell’economia e delle infrastrutture del paese. Ora occorrerà capire quanto a fondo vorrà andare il governo nell’accertamento delle responsabilità. Finora, infatti, sono stati rinvenute soltanto le tracce di tre degli studenti desaparecidos e il rapporto non chiarisce dove possano essere nascosti davvero i resti dei ragazzi assassinati.
Un video ritrovato dopo l’apertura degli archivi della Marina per ordine del governo messicano mostra infatti Murillo Karam e Zerón mentre di fatto fabbricano una scena del crimine presso la discarica di Cocula, accendendo un fuoco e spargendo delle buste di plastica (quelli in cui sarebbero stati trasportati i resti degli studenti).
“Verità e giustizia”I familiari delle vittime dell’eccidio, così come Amnesty International ed altre organizzazioni locali per i diritti umani, hanno apprezzato le nuove rivelazioni ma chiedono ora che il governo federale si impegni davvero a cercare e fornire prove certe sul destino degli studenti rapiti e uccisi e a risarcire i parenti e i sopravvissuti. «Continueremo a reclamare la restituzione dei 43. Non possiamo rinunciare alla lotta finchè non avremo una prova certa che riveli cosa è accaduto loro e dove si trovano. Sarebbe doloroso per le nostre famiglie conoscere il loro destino soprattutto se fossero morti, ma se ci forniranno una prova oggettiva, scientifica e certa ce ne andremo a casa a piangere e a vivere il nostro lutto» ha detto un rappresentante dei familiari nel corso dell’ultima manifestazione organizzata il 26 agosto nella capitale messicana dai parenti e dagli scampati dell’eccidio del 2014, alla quale si sono uniti studenti, professori e varie organizzazioni politiche e sociali.
In un intervento realizzato lunedì mattina, il presidente Obrador ha garantito che non ci sarà impunità per i responsabili dei crimini contro gli studenti di Ayotzinapa e per coloro che nascosero la verità. – Pagine Esteri
* Marco Santopadre, giornalista, già direttore di Radio Città Aperta di Roma, è un analista dell’area del Mediterraneo, del Medio oriente e del Nord Africa. Collabora con il Manifesto, Catarsi e Berria. Scrive, tra le altre cose, di Spagna e movimenti di liberazione nazionale.
LINK E APPROFONDIMENTI
comisionayotzinapa.segob.gob.m…
jornada.com.mx/notas/2022/08/2…
jornada.com.mx/2022/08/23/opin…
jornada.com.mx/2022/08/30/poli…
jornada.com.mx/notas/2022/08/2…
france24.com/es/am%C3%A9rica-l…
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Moqtada al Sadr annuncia l’addio alla politica. L’Iraq è sull’orlo della guerra civile
[color="#ff0000"]LIVE 30 AGOSTO. Al-Sadr chiede ai suoi sostenitori di ritirarsi dalla Green Zone di Baghdad[/color]
AGGIORNAMENTO ORE 19.30
E’ di almeno 12 morti e 270 feriti il bilancio parziale degli scontri a Baghdad e nel resto del paese. Intanto le autorità militari hanno annunciato l’estensione del coprifuoco a tutto lraq, dopo averlo proclamato a Baghdada partire dalle 15.30 locali (le 14.30 in Italia).
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della redazione
Pagine Esteri, 29 agosto 2022 – In Iraq si stanno avverando le peggiori previsioni. Migliaia di sostenitori di Al Sairun, più noti come il Movimento sadrista, sono entrati oggi nella “Zona verde” di Baghdad, l’area in cui sono situate le sedi delle istituzioni e le ambasciate straniere, dopo che il loro leader, l’influente e potente religioso sciita Moqtada al Sadr, aveva annunciato il suo “definitivo” ritiro dalla politica, in aperta e violenta polemica con le istituzioni dello Stato e le altre formazioni politiche sciite filo-iraniane (il Quadro di coordinamento) che non hanno accettato la sua pressante richiesta di andare al voto anticipato per rimuovere lo stallo politico che dura dalle elezioni dello scorso ottobre.
Ora si teme che il paese possa precipitare nella guerra civile, con uno scontro aperto tra formazioni sciite rivali, nazionaliste (Al Sairun) e filo-iraniane.
Muqtada al Sadr
I media iracheni riferiscono che le forze di sicurezza sono impegnate a mantenere il controllo dei punti di accesso alla “Zona verde”, impiegando anche idranti per allontanare i manifestanti. Secondo i video mandati in onda dalle tv e diffusi sui social, i militanti sadristi sono riusciti ad abbattere parte dei blocchi di cemento sul perimetro del parlamento iracheno, che già avevano occupato a fine luglio. La tensione è molto alta nella capitale e si teme che ora scendano in campo i sostenitori degli altri gruppi sciiti avversari di Al Sadr, che da tempo denunciano tentativi di colpo di stato.
Moqtada al Sadr, divenuto nazionalista negli ultimi anni e fautore di una presa di distanza dall’influenza iraniana e da quella americana sull’Iraq, oltre ad annunciare il suo ritiro dalla politica – una mossa tattica e non davvero definitiva, fatta per disorientare i suoi rivali e lanciare avvertimenti al premier uscente Mustafa Kadhimi, spiegano gli analisti – ha anche ordinato la chiusura di tutte le istituzioni del proprio movimento ad eccezione dei santuari religiosi ad esso legato. “Molte persone credono che la loro leadership sia stata conferita tramite un ordine, ma invece no, è innanzitutto per grazia del mio Signore”, ha affermato Al Sadr volendo sottolineare il suo ruolo di leader religioso e non solo politico. Allo stesso tempo ha ribadito la volontà di riavvicinare alla popolazione irachena le forze politiche sciite. “Tutti sono liberi da me”, ha proclamato Al Sadr chiedendo ai suoi sostenitori di pregare per lui, nel caso muoia o venga ucciso. Poco prima Nassar al Rubaie, segretario generale del blocco sadrista, aveva invano chiesto al presidente della repubblica, Barham Salih, e al presidente della camera dei rappresentanti, Mohamed Halbousi, di deliberare lo scioglimento del Parlamento e di fissare una data per lo svolgimento di elezioni anticipate.
Al Sadr alle elezioni di ottobre 2021 aveva ottenuto 74 seggi su 329, rendendo il suo partito il gruppo parlamentare più numeroso, ma in dieci mesi non era riuscito a mettere insieme una maggioranza necessaria a formare un governo. Un fallimento dovuto al rifiuto dello stesso Al Sadr di allearsi con i partiti sciiti filo-iraniani, in particolare con l’ex premier Nouri al Maliki. Il Quadro di coordinamento sciita si oppone a nuove votazioni e chiede di formare un nuovo governo, anche senza Al Sairun. Contro questa ipotesi a fine luglio i seguaci di Al Sadr presero d’assalto il parlamento e da allora mantengono un presidio al di fuori dell’edificio dell’Assemblea legislativa nella capitale irachena. I militanti del Quadro di coordinamento hanno risposto con un contro presidio sulle recinzioni della “Zona verde” di Baghdad. Pagine Esteri
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Dissennati
Una tregua è necessaria, ma dal raccontare bubbole agli elettori. Simpatica l’idea del “pieno mandato” al governo Draghi, affinché ponga rimedio all’impennata del prezzo del gas. Una specie di collettivo Gastone, con il guanto a penzolone e senza l’orrore di sé stesso: prima si fa cadere il governo, poi si corre a promettere tutto a tutti, infine gli si chiede di metterci una pezza. Sotto tanta generosa disponibilità, condita con tregua delle fasulle ostilità, c’è un non detto: da una parte un po’ tutti credono che sia necessario uno “scostamento di bilancio”, perché da incapaci si è solo capaci di spendere (soldi altrui), ma siccome quella scelta aprirebbe le porte dell’inferno, con le doppiette della speculazione già puntate sul debito italiano, allora ci si finge addolorati e si chiede al governo di fare qualche cosa. Così, dopo il pieno mandato, se ne potrà contestare la piena responsabilità. Da perfetti irresponsabili.
Si è trasformata la campagna elettorale in una fiera di paese, con tanto di pomate miracolose e lozioni per la ricrescita dei capelli. Omesse le banalità e le cose che manco le infanti letterine di Natale, per tre quarti, nell’insieme, si tratta di roba incompatibile con il bilancio: chi offre pensioni più ricche, chi anticipate, chi stipendi aggiuntivi, chi sgravi fiscali, per non dire della filiera bonus, considerata inesauribile. È un tale coacervo di dissennatezze che la sola cosa incredibile è che qualcuno ci creda. Il tutto senza considerare la necessità di compensare gli aumenti delle bollette energetiche, altrimenti non solo andrebbero cancellate le elargizioni, ma indicate le restrizioni della spesa. Che farebbero bene alla salute collettiva, perché una spesa esagerata alimenta un sistema disfunzionale. Metterlo a dieta è un bene.
E per il gas, che si fa? Escludiamo lo smutandarsi vigliacco innanzi alla Russia, che taluno crede sia una soluzione, benché disonorevole, e invece sarebbe una pietra tombale, perché ci cancellerebbe dai mercati dove esportiamo e si azzererebbe qualsiasi difesa finanziaria. Non è praticabile neanche lo scostamento di bilancio, l’aumento del debito, per le ragioni che qui abbiamo già raccontato e perché non sarebbe affatto un rimedio, ma solo un rinvio (altra tipica attitudine dei dissennati).
Una compensazione generale sarebbe troppo costosa o, una volta suddivisa, troppo limitata. Fra il 2011 e il 2021 il risparmio degli italiani è aumentato del 50%. Segno di paura, ma anche di ricchezza. Fra contanti e depositi avevamo in tasca 1.119 miliardi e ce ne siamo ritrovati 1.629. In azioni erano investiti 690 miliardi e se ne sommano poi 1.251. Nel totale fanno 5.256 miliardi di ricchezza finanziaria. Poi ci sono i patrimoni immobiliari. Non è il quadro di un Paese alla fame e non ha quasi nessuna parentela con la campagna elettorale, ma è la realtà. Anche se metto in conto gli insulti per averla ricordata. Tassiamoli, gli insulti, che si raccolgono palanche. In questa situazione non è saggio aiutare tutti, ma solo le imprese energivore, che rischiano di andare fuori mercato, e le famiglie meno abbienti, sulla base dei consumi storici. Il costo dell’energia morde tutti, ma non tutti allo stesso modo. Qualcuno di noi si terrà il morso.
Intanto sganciamo il prezzo dell’energia elettrica dal costo del gas, così non si produrranno extrabollette ed extraprofitti che sono stati già tassati, ma vanno ancora riscossi. Si corra nella diversificazione, perché da quello dipende l’opportunità di fare dell’Italia un hub mediterraneo del gas. Al 2024 saluteremo definitivamente i russi, già oggi dimezzati, e ci concentreremo sulle tecnologie per i 25 anni successivi, propizianti la decarbonizzazione.
La necessità di raccontare bubbole per raccattare voti riguarda partiti e candidati senza idee ed elettori senza memoria. Ma se pensano di farsi togliere le castagne dal fuoco da Draghi, acciocché si faccia garante dello scostamento di bilancio, difettano anche in senso dell’umorismo.
La Ragione
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Twitter introduce le cerchie, per consentire agli utenti di twittare solo a ristrette cerchie di contatti.
Ah, #Friendica già lo fa... 😁
blog.twitter.com/en_us/topics/…
Introducing Twitter Circle, a new way to Tweet to a smaller crowd
With Twitter Circle, people now have the flexibility to choose who can see and engage with their content on a Tweet-by-Tweet basis.blog.twitter.com
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Il capitale, la politica, la crisi
«Il capitale ha già “scelto” l’unica soluzione possibile per venirne fuori.
La guerra, per accaparrarsi materie prime e mercati senza i quali non ci stanno profitti.
E senza profitti il capitale muore.
La guerra, per liberarsi delle eccedenze di merci invendibili e di merce umana che non riesce più a mantenere.»
La piazza virtuale - Come costruire in rete spazi di incontro e discussione realmente pubblici? L'articolo di @violastefanello su @iltascabile
LA PIAZZA VIRTUALE - COME COSTRUIRE IN RETE SPAZI DI INCONTRO E DISCUSSIONE REALMENTE PUBBLICI?
A fine aprile, parlando dei motivi che lo stavano spingendo a comprare Twitter, Elon Musk in un TED Talk diceva che la piattaforma “è diventata di fatto la piazza cittadina”. Nel marzo del 2019, Mark Zuckerberg aveva usato la stessa immagine quando affermava che “negli ultimi 15 anni, Facebook e Instagram hanno aiutato le persone a connettersi con amici, comunità e interessi nell’equivalente digitale di una piazza cittadina”.
Continua: iltascabile.com/societa/piazza…
La piazza virtuale - Il Tascabile
Come costruire in rete spazi di incontro e discussione realmente pubblici?Il Tascabile
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E se per un giorno parlassimo solo di quel che serve alle imprese?
Modesta proposta de L’Economia per migliorare, o tentare di farlo, la qualità del dibattito sulle scelte economiche in campagna elettorale. Una giornata di tregua sul versante delle promesse distributive. Ovvero 24 ore nelle quali non ci si occupi delle proposte (ormai un florilegio) che incidono — senza peraltro in molti casi l’indicazione delle coperture — sul lato della spesa pubblica. Ma esclusivamente di tutto ciò che riguarda le scelte e gli investimenti necessari affinché si possa produrre di più e meglio.
Anziché temere il riproporsi di un «giorno della marmotta» — vecchie storie rivissute ossessivamente — una sorta di «giorno della formica», chiamiamolo così, nel quale si parli solo di impresa, competenze, studio, ricerca, innovazione, competitività. La parte più faticosa della costruzione di una società futura. La raccolta del consenso su queste materie non è immediata.
I vantaggi sono misurabili solo nel medio o lungo periodo. La continuità dell’esecuzione è fondamentale. Non si può cambiare indirizzo o gestione ogni anno. La capacità distributiva di un Paese non è illimitata. Farlo credere è semplicemente criminale.
Prima di distribuire bisogna produrre. Una verità misconosciuta. Non esistono il benessere di cittadinanza e il diritto inalienabile a ottenere sempre, e in ogni caso, un aiuto pubblico attraverso uno Stato generoso e proteiforme.
La trappola
A meno che non si pensi che l’indebitamento si sia trasformato in una sorta di virtù contemporanea. La trappola più insidiosa, disseminata lungo il cammino del Paese, non è però solo la sostenibilità dei suoi conti pubblici (argomento noioso, espunto dal dibattito elettorale) ma soprattutto — aspetto più culturale che economico — il rischio della perdita collettiva dell’idea di progresso.
Questo è il vero, grande pericolo che corre il Paese. La ricchezza, per essere più equamente distribuita, va prima creata. Anche e soprattutto con fatica e dedizione. Il modesto tasso di imprenditorialità giovanile è sintomo di una società che avversa il rischio, che quasi si arrende al declino.
L’esempio più calzante è quello dei tanti, e per fortuna floridi, distretti produttivi italiani. Le comunità locali sono del tutto consapevoli dell’importanza di avere imprese presenti nel territorio. E sanno che, se non vi fossero, se non investissero e innovassero, il loro benessere sarebbe fortemente compromesso e così il futuro dei loro figli.
La crescita dimensionale delle aziende, a livello locale, è motivo di orgoglio. Più il legame è forte, minore è la convenienza a delocalizzare. Questa consapevolezza scolora di colpo se la discussione avviene su scala nazionale.
L’impresa non è più al centro. Non è più il motore dello sviluppo. Se è piccola azienda suscita simpatie diffuse, ma se è grande e internazionalizzata assai meno. Occupa una posizione ancillare rispetto a un insieme di interessi costituiti che pesa fortemente, e a volte unicamente, sul lato distributivo: categorie, corporazioni. Sovrastrutture spesso piegate alla logica del vantaggio immediato che è poi reale misura del potere dei loro gruppi dirigenti.
Ciò che è pacifico sul piano dei distretti produttivi (grazie a concorrenza e innovazione esportiamo e cresciamo), lo è meno nel confronto nazionale dove prevalgono più facilmente spinte autarchiche e protezionistiche. Le stesse che, se fossero agitate contro le imprese del territorio, avrebbero effetti negativi devastanti.
In sintesi: se la logica delle concessioni balneari o di quelle dei taxi fosse stata adottata in tutte le attività produttive, noi saremmo ancora in un’era preindustriale.
Prove di nazionalizzazione
«Protezionismo e isolazionismo non sono nell’interesse nazionale» ha detto Mario Draghi nel suo discorso all’ultimo Meeting di Rimini. Perseguire, a qualsiasi costo — altro esempio — l’idea della nazionalità della compagnia di bandiera è costato, soltanto dal 2017, al momento dell’amministrazione straordinaria cui è seguito il lancio di Ita Airways, 2 miliardi ai contribuenti italiani che quando viaggiano, scelgono — come i turisti stranieri — in massima parte le low cost.
Non vi è alcun ritorno economico — se non quello modesto di un po’ di consenso come accadde durante la campagna elettorale del 2008 — nel mantenere in piedi un vettore che perde soldi. La certezza è solo quella di una lenta agonia che brucerà altri denari pubblici e posti di lavoro.
Un altro esempio: l’ipotesi di un’Opa (Offerta pubblica d’acquisto) della Cdp sulla Tim — anche nell’ottica di una rete unica — accolta con soddisfazione dai sindacati, sarebbe un inutile favore agli azionisti privati, italiani e stranieri, senza essere la soluzione, come molti sarebbero indotti a ritenere ai problemi dell’incumbent delle telecomunicazioni. Come se il genere della proprietà fosse la panacea di tutti i mali che pur derivano da una privatizzazione sbagliata.
Un conto è l’intervento — come la decisione francese di nazionalizzare del tutto Edf — quando una situazione del mercato dell’energia, alterata dalla guerra, rende insostenibile il conto economico di un’azienda strategica. Un altro, del tutto diverso, è nazionalizzare nell’illusione che così l’impresa si salvi e rifiorisca come per un sortilegio. Con un non secondario effetto distorsivo sugli investimenti in Italia.
A Vivendi, il socio francese di Tim, non interessa che la rete unica sia pubblicizzata, l’importante è la sua valutazione. Ovviamente molto superiore a quella di mercato. Se lo Stato è il compratore di ultima istanza — mosso cioè da valutazioni politiche e non economiche — il rischio per l’investitore si riduce a ben poco.
I capitali esteri si attraggono, così, per ragioni sbagliate. Il paradosso finale è che i sostenitori della proprietà nazionale o pubblica si trasformano d’incanto in generosi alleati dei soci privati e, soprattutto, esteri di cui denunciano l’ingordigia.
Riacquistare, attraverso la Cdp, la quota di Atlantia (9 miliardi) in Autostrade è stato tutt’altro che un gesto punitivo nei confronti dell’azionista Benetton dopo la tragedia nel 2018 del crollo del Ponte Morandi che causò 43 morti.
Sul versante del lavoro e della formazione, le proposte sono molteplici. E non staremo ad esaminarle nel dettaglio. Sfugge però la relazione perversa tra popolazione attiva e non. Nonostante il tasso di occupazione abbia ritoccato il 60 per cento, soglia che non si varcava più dagli anni Settanta, l’Italia è agli ultimi posti in Europa nel rapporto tra occupati e pensionati. Insomma, lavoriamo in meno degli altri.
L’amara verità
Questa è l’amara verità. Nel secondo Dopoguerra, il rapporto tra attivi e non era di cinque a uno. Nel 2050 sarà di 4 a 3. Promettere pensionamenti anticipati non migliora la situazione né crea una «staffetta generazionale». Quota 100 insegna.
La scarsa attenzione al tema della formazione continua aggrava ulteriormente le prospettive dell’occupazione. Secondo Boston Consulting Group, il 50 per cento delle attuali posizioni rischia di essere, nel giro di pochi anni, obsoleto per perdita di competenze. Le sole aziende manifatturiere non riescono a coprire il 30 per cento dei profili professionali di cui hanno necessità.
L’emergenza vera è nell’essere in Europa agli ultimi posti come numero di laureati e per la spaventosa carenza di tecnici specializzati. A questo punto parlare solo di salario minimo e di settimana lavorativa di 36 ore sembra un diversivo. Così come appare incomprensibile all’estero dividersi sull’anticipo o sull’estensione dell’obbligo scolastico. Altrove pacifico.
E veniamo all’ultimo, delicatissimo tema che riguarda l’immigrazione da cui dipende fortemente la creazione di ricchezza futura. Non è un costo, è un investimento. Per combattere il declino demografico l’Italia avrebbe bisogno, come ha detto sempre a Rimini, il presidente dell’Istat, Giancarlo Blangiardo, di un saldo netto di 360 mila immigrati l’anno. Un flusso chiaramente insostenibile.
Ma il tasso di natalità — Germania e Svezia sono casi positivi -— si innalza solo coordinando un’immigrazione più ordinata e di qualità a misure sociali e servizi avanzati a favore della famiglia. Costruire tanti begli asili nido (esemplare il caso della Val d’Aosta) con una popolazione mediamente anziana serve a poco.
Dirsi a favore dell’immigrazione non porta voti. Minacciare blocchi navali (peraltro impossibili sul piano del diritto internazionale) probabilmente sì. Ma un Paese che invecchia e si svuota, magari dei propri giovani più preparati, e non è attrattivo per immigrati che vogliono lavorare e produrre, non avrà un futuro con tante risorse da distribuire.
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Fr. #06 / v o y e u r
Voyeurismo fiscale, il nuovo kink statale
Ieri la BBC ha pubblicato una notizia in cui si parlava del nuovo kink dei burocrati francesi: spiare le persone che si fanno il bagno in piscina, grazie ai satelliti e all’intelligenza artificiale.
Un nuovo software sviluppato da un’azienda chiamata Capgemini ha permesso all’agenzia fiscale francese di scovare ben 20.000 piscine “nascoste” allo Stato, grazie all’analisi delle immagini satellitari.
Alla scoperta pare sia seguita una volontaria donazione alle casse dello Stato da parte dei proprietari pentiti di tale oltraggio, per circa 10 milioni di euro. Non tantissimo, se guardiamo alle cifre a cui sono abituati i burocrati statali, ma in tempi di crisi non si butta via nulla, no?
Il software è talmente bello che potrà essere usato per scoprire molte altre cose spiando i cittadini francesi. Ad esempio, se hanno gazebi, verande o estensioni non dichiarate. Insomma lo spionaggio satellitare promette un grande salto evoluzionistico per le tasse sul patrimonio.
L’attività non è certo ignota alla nostra agenzia fiscale, che da tempo adopera le immagini satellitari per scovare evasori fiscali, anche se - per ora - senza intelligenza artificiale ad agevolare il compito.
Sono certo che questo nuovo voyeurismo di stato sarà ben accolto da tutti i contribuenti che non hanno nulla da nascondere e che, in effetti, potrebbero aver sviluppato un certo esibizionismo nei confronti di uno stato che vuole guardarli sempre di più e sempre meglio. Una relazione perfetta, insomma.
Nel 1890 i due giuristi Warren e Brandeis ipotizzarono per la prima volta il “right to privacy” per trovare una protezione giuridica alle sempre più frequenti ingerenze dei giornalisti che avevano ormai a disposizione fotocamere “portatili” e potevano infilarsi nelle case e nei giardini di chiunque, a distanza.
Cosa direbbero oggi se sapessero che accettiamo passivamente di essere spiati dal nostro stesso governo nelle nostre case? Per cosa poi, per racimolare qualche spicciolo e continuare a pagare i burocrati incaricati di spiarci, in un circolo vizioso che non finisce mai?
Contenti voi, miei cari contribuenti esibizionisti.
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Sono finiti i chip per le tessere sanitarie
Dalla crisi della filiera produttiva ogni tanto qualche buona notizia! Pare che l’estrema scarsità di chip abbia costretto il governo italiano ad autorizzare la diffusione delle nuove tessere sanitarie senza microchip.
Questa è un’ottima notizia, poiché significa che le nuove tessere sanitarie non potranno essere usate come strumento per l’identificazione digitale della persona, ma potranno semplicemente essere usate per ciò per cui erano nate: come codice fiscale e tessera sanitaria.
Inutile dire che ogni inefficienza dell’apparato statale equivale a una maggiore libertà delle persone e minore sorveglianza e controllo delle nostre vite. Dobbiamo quindi accogliere con piacere notizie di questo tipo, che speriamo possano moltiplicarsi nei tempi a venire.
Meme del giorno
Citazione del giorno
“If the power of government rests on the widespread acceptance of false indeed absurd and foolish ideas, then the only genuine protection is the systematic attack of these ideas and the propagation and proliferation of true ones.”
― Hans-Hermann Hoppe
BEN(E)DETTO 30 agosto 2022
#Credo #Scegli #Pronti: le prime tre forze politiche lanciano questi tre slogan. Questa campagna elettorale andrà così. Evidentemente gli esperti di comunicazione hanno scelto. Allora ne propongo uno anche io: #Basta.
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È disponibile il nuovo numero della newsletter del Ministero dell’Istruzione.
🔸 Dal #PNRR oltre 3,1 miliardi per asili nido e scuole dell’infanzia
🔸 #PNRRIstruzione, al via il “Piano Scuola 4.0”: 2,1 miliardi per 100.
Tommaso Subini – La via italiana alla pornografia
"Non ho paura e non pago il pizzo."
L’imprenditore Libero Grassi, attraverso una lettera inviata al Giornale di #Sicilia alzava la testa contro la mafia, ribellandosi apertamente alla violenza di Cosa nostra.
Denunciare il racket, un coraggio che Grassi pagherà con la propria vita qualche mese dopo, il 29 agosto del 1991 a #Palermo.
Il suo coraggio contribuì a dotare l’Italia di uno strumento a favore degli imprenditori coraggiosi, il varo del decreto che porta alla legge anti-racket 172.
Per un pugno di dollari
Articolo riservato agli abbonati
Oggi parliamo di un tema che potrebbe sembrare avulso da quello di cui parlo di solito, ma che in verità è strettamente legato con il concetto di privacy e libertà: la moneta. Tutti la usiamo fin da piccoli, talmente tanto e spesso che ne dimentichiamo il suo significato. Eppure la moneta è la tecnologia che più di ogni altra plasma la nostra società.
Non conoscere almeno le basi di questa tecnologia è molto rischioso: da anni viene usata contro di noi e siamo oggi sull’orlo di un enorme sconvolgimento globale alla cui base c’è proprio il concetto di moneta.
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Dalle conchiglie alla carta
I primi esempi di conchiglie e oggetti usati come moneta risalgono a più di 75.000 anni fa, in Sud Africa.
Fonte: nakamotoinstitute.org/shelling-out/
Da quel che sappiamo, praticamente tutte le culture umane, fin dalla preistoria, ebbero l’abitudine e l’interesse di collezionare oggetti artistici composti da conchiglie, denti e ossa di vario tipo, che poi venivano usati come gioielli, collane o cimeli da trasferire alle future generazioni.
Quel che unisce
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Frammenti #05 - 25 agosto 2022
Colao io non compro niente, lasciami in pace
Due giorni fa ho letto un tweet che riportava un’affermazione di Vittorio Colao: "La digitalizzazione in maniera trasparente ti dice so chi sei, so a cosa hai diritto e anticipo il tuo bisogno."
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Nello specifico, si riferisce al suo progetto di identità digitale. Vorrebbe creare una sorta di “Schengen del digitale”; un sistema nazionale digitale attraverso il quale le pubbliche amministrazioni acquisiscono in modo automatizzato e pervasivo i dati di cui hanno bisogno per conoscere i “bisogni” dei cittadini (welfare) e anticiparli. In pratica, secondo lui sarebbe un mezzo per rendere più efficiente il welfare di stato, automatizzando l’erogazione di bonus, incentivi, detrazioni, assegni e quant’altro senza che il cittadino debba richiederli.
E se il mio bisogno fosse invece quello di essere lasciato in pace?
Personalmente non sento il bisogno di essere oggetto di analisi da parte di uno Stato onnipotente e onnisciente, che sa chi sono, cosa faccio, quanto guadagno, quali sono le mie relazioni private e familiari, dove tengo i miei soldi e cosa ci faccio, quali sono le mie idee politiche e così via.
Non sento neanche il bisogno di uno stato che si arroga il diritto di decidere unilaterlamente di cosa “ho diritto” e quali siano i miei “bisogni”. Trovo molto pericoloso pensare che lo Stato sia titolare di un potere del genere, quello di anticipare i bisogni delle persone.
Cosa ne è della libertà di autodeterminazione e della libertà di pensiero, che si concretizzano anche nella capacità di dissenso riguardo determinate scelte politiche? Se io sono contrario al welfare di stato non voglio essere inerme nei confronti di un sistema che invece mi eroga bonus, incentivi e quant’altro contro la mia stessa volontà. Attenzione a fare “il bene” degli altri con la forza…
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Cryptoanarchia e comunità virtuali
Ogni tanto qualcuno mi chiede: Matte ma secondo te come si può uscire da questo sistema di stati-nazione sempre più estesi e onnipotenti?
Ebbene io credo che il sistema sia già stato superato, ma che serviranno ancora diversi anni per rendersene conto davvero.
I più lungimiranti ne parlavano già quasi 30 anni fa. Ad esempio, il libro “The Sovereign Individual” parla espressamente del superamento del concetto di stato nazione, verso un mondo di individui sovrani collegati tra loro. Ne ha parlato recentemente Federico Rivi nella sua newsletter, che consiglio di seguire.
Un altro contributo sul tema fu quello di Timothy May, Cypherpunk e autore del Crypto Anarchist Manifesto, che nel 1994 scriveva un breve saggio chiamato “Criptoanarchia e comunità virtuali”, in cui parlava di Internet come di un luogo dove regnava l’anarchia; non intesa come assenza di regole, ma nel senso di assenza di governo, che poi è il vero significato politico di anarchia.
Secondo lui la crittografia sarebbe diventato lo strumento con cui sostenere i “muri” delle comunità virtuali fondate su sistemi anonimi o pseudoanonimi.
Il futuro che immaginava May nel 1994 era un mondo di individui divisi in due categorie: coloro che avrebbero saputo cogliere le opportunità delle nuove tecnologie, e coloro che invece sarebbero rimasti schiavi del sistema1. Gli strumenti di crittografia, Internet, e oggi anche Bitcoin danno alle persone il potere di separarsi dallo Stato e di decidere autonomamente cosa fare della propria vita. I tempi oggi sono maturi, ma quanti sapranno cogliere l’occasione?
Consiglio la lettura del saggio, che trovate qui (in inglese).
Meme del giorno
Citazione del giorno
“Libertarianism holds that the only proper role of violence is to defend person and property against violence, that any use of violence that goes beyond such just defense is itself aggressive, unjust, and criminal”
― Murray N. Rothbard
“Something that is inevitable is the increased role of individuals, leading to a new kind of elitism. Those who are comfortable with the tools described here can avoid the restrictions and taxes that others cannot. If local laws can be bypassed technologically, the implications are pretty clear.
The implications for personal liberty are of course profound. No longer can nation-states tell their citizen-units what they can have access to, not if these citizens can access the cyberspace world through anonymous systems.”
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"Le politiche ultraliberiste degli ultimi anni e a vantaggio di pochi, hanno gettato le basi per il presente di oggi. 30 anni passati a smontare tutte le solide basi strutturali dello Stato sociale che, pur con decine di contraddizioni, poneva l’interesse nazionale e la tutela dei cittadini al primo posto, facendo sue le istanze strategiche a tutela della popolazione. La sanità, così come l’apparato energetico e non solo, sono servizi di prima tutela, devono essere pubblici."
Analisi del Max Planck Institute sui suoi elettori: il PD è il partito della destra neo-liberale
«Il Fatto quotidiano di ieri pubblica un'analisi del Max Planck Institute sul voto Dem che conferma cose che sappiamo già da un pezzo: gli elettori di questo partito sono in larga maggioranza benestanti, abitano nelle grandi città e nutrono opinioni "di centro" (leggi neoliberal-liberiste) in economia e "di sinistra" (leggi politically correct) in tema di diritti individuali e civili ( di quelli sociali non gliene importa un baffo).»
Digital Service Package: come regolare le piattaforme digitali?
Luna Bianchi, Leila B. Mohamed, Luca Nannini, Eleonora Bonel) Il 5 luglio 2022, al termine della sessione plenaria del Parlamento Europeo, è stato approvato il Digital Services Package, il primo set normativo composto dal Digital Service Act (DSA) e dal Digital Markets Act (DMA), volto a regolare rispettivamente i servizi e il mercato digitali al fine di creare uno spazio online più sicuro e...
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Torno con le mie mirabolanti domande di #mastoaiuto sul tema #informatica e #WebDesign. L'argomento di oggi è il tema scuro nei siti e nell'interfaccia del computer/cellulare. O come lo chiamano in modo tutto figo #DarkMode.
Io mi sento più rilassato quando lavoro con il tema scuro su progetti grafici o scrittura. Mi aiuta a concentrarmi meglio su quello che sto facendo. Ma quando si tratta di #accessibilità mi viene un dubbio enorme: se faccio un sito con tema scuro, accontento tutti i lettori?
Io ho sempre fatto attenzione a non usare mai lo sfondo totalmente nero #000 con testi totalmente bianchi #fff perché anche solo pensarlo mi si bruciano le retine. Ho sempre fatto una mediazione di grigi o comunque colori complementari che abbiano lo stesso un elevato contrasto, ma più morbido. Ho già chiesto ad alcune persone con difficoltà di lettura come si trovassero con i miei siti e hanno risposto che riescono a leggere senza affaticarsi. Ma l'esperienza di persone che si conta sulle dita di una mano non fa statistica.
Ora, questo approccio che a me piace è sempre stato venduto anche come ecologico perché inciderebbe meno sull'energia impiegata dal monitor, con gran gioia della bolletta, della batteria e dell'ambiente stesso. Ma è davvero così?
Leggo articoli online che si contraddicono, perciò mi piacerebbe sentire il parere da gente vera come voi. In realtà un tema chiaro incide poco o nulla sulle performance e quindi è meglio stare più leggeri per non mettere in difficolta i lettori online, oppure c'è un vero e tangibile risparmio energetico e quindi è buono l'impegno nel fare temi scuri ma il più possibile accessibili?
Andrea reshared this.
Partiamo dalla cosa più semplice:
A quanto so, non ci sono problemi di accessibilità riguardo i temi scuri.
Le persone che proprio non li sopportano possono usare le opzioni del browser per forzare il tema chiaro (almeno, quelli che lo hanno ossia i desktop - assicurati che sul tuo sito funzioni la modalità lettura di quelli mobile).
Io so che bisogna assicurarsi che il contrasto sia chiaro e accessibile: in questo senso: bianco su nero o nero su bianco sono uguali.
Qui trovi linee guida di accessibilità web in generale: developer.mozilla.org/en-US/do…
Quanto a risparmio energetico, gli sfondi scuri possono essere peggio:
Testo chiaro su sfondo scuro è più difficile da leggere, perché, nonostante il contrasto (quello effettivo) sia uguale, c'è meno luce che finisce nei tuoi occhi (indipendentemente dal tipo di superficie contenente il testo, che sia un display o un pezzo di carta), e si fa più fatica a distinguere le lettere. Chiamiamo la quantità di luce che finisce negli occhi "contrasto percepito".
Non solo questo:
Considerando che maggiore è il contrasto sia effettivo che percepito e meglio si legge, e il contrasto è maggiore quando la differenza tra zone chiare e scure è più accentuata...
A parità di illuminazione ambientale, e parlando di schermi che producono la propria luce che finisce negli occhi di chi legge, in ogni caso per leggere meglio (fino a un certo punto, ad esempio sei in una stanza buia, luminosità al massimo è insopportabile) si dovrebbe sempre alzare l'illuminazione dello schermo per avere buon contrasto percepito, ma:
- Su schermi OLED, dove i pixel neri sono spenti, il contrasto effettivo tra zone nere e bianche è sempre più alto di un LCD; alzare la luminosità aumenta tanto il consumo energetico su sfondo chiaro, ma su sfondo scuro il consumo è trascurabile
- Su schermi LCD, dove i pixel neri in realtà sono semplicemente "chiusi", e fanno passare meno della retroilluminazione (meno, ma non niente, e puoi vedere chiaramente che una schermata 100% nera su un LCD in realtà si vede grigina luminescente!); alzare la luminosità comporta sempre lo stesso consumo energetico, MA, il contrasto effettivo su un LCD è sempre più basso di un OLED perché i pixel neri fanno trapelare luce, e considerando che in ogni caso per vedere meglio bisogna avere sia buon contrasto percepito che effettivo... su un LCD finirai con l'alzare la luminosità su sfondo scuro per migliorare entrambi i contrasti, quindi addirittura a consumare più energia di quanta ne consumeresti per leggere un testo nero su bianco con lo stesso livello di comfort!
Spero di averti fatto capire - sto qua degli sfondi chiari o scuri su schermi diversi meriterebbe un articolo di blog...
E ora che ti ho detto tutto questo, però:
A meno che il sito non debba avere i colori che ha per una scelta artistica (ma in quel caso, di nuovo, assicurati almeno che l'HTML del tuo sito sia buono e quindi analizzabile dalle modalità di lettura dei browser, chi non sopporta il tuo tema potrà leggere con quella), se la tua scelta è puramente pratica.. allora non decidere tu, usa CSS per far decidere al browser (e al sistema operativo) di chi visita la tua pagina: usa le media query per dichiarare un tema chiaro, e un tema scuro. Fine.
Vedi developer.mozilla.org/en-US/do…
Un esempio:
/* Tema chiaro, predefinito */
body {
background-color: #FFFFFF;
color: #000000;
}
/* Tema scuro, secondario - Usato solo dai browser supportati (tutti quelli aggiornati, da anni) e che hanno preferenza di tema scuro */
@media (prefers-color-scheme: dark) {
body {
background-color: #000000;
color: #FFFFFF;
}
}
Si può volendo anche invertire il tutto, mettendo come predefiniti (specificati senza media query) i colori scuri, e specificando con @media (prefers-color-scheme: light) i colori chiari per chi preferisce quelli.
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"Se vuoi fare qualcosa di terribile con la tecnologia, non puoi semplicemente lanciarlo su persone con denaro e capitale sociale. Si lamenteranno e la tua idea andrà in fumo. Le implementazioni tecnologiche di merda di successo iniziano con le persone di cui puoi abusare impunemente (prigionieri, bambini, migranti, ecc.) Per poi risalire il gradiente dei privilegi. La chiamo la curva di adozione della tecnologia di merda."
Un protocollo social più decentralizzato di ActivityPub
ActivityPub è un buon protocollo, ma secondo me non perfetto. Resta troppo incentrato sull'avere un server dedicato principale grosso. Ciò si vede nelle sue implementazioni server, con software come Mastodon, Pleroma, e chi più ne ha più ne metta: software relativamente pesanti e difficili da ospitare, cosa che va a peggiorare l'accentramento perché meno gente avrà possibilità di ospitarli e quindi andrà su istanze già presenti.
Non so se esiste già, nel caso fatemelo conoscere, altrimenti probabilmente potrei idearlo io, un protocollo più semplice e molto più decentralizzato, basato su server più stupidi e client più intelligenti.
Rimuovere completamente i server causerebbe una peggiore esperienza utente: ogni client dovrebbe rimanere acceso nel momento in cui gli amici si collegano per scaricare nuovi messaggi, inoltre alcuni provider bloccano le connessioni in entrata. Sarebbe ideale, ma è irrealistico.
Per questo, si sceglie di tenere il minimo indispensabile come server: uno HTTP che serve file statici. Un tale server può essere ospitato ovunque, persino sul router di casa, ma in ogni caso i provider che ne danno di gratuiti online sono tantissimi.
Qui viene il bello: ogni utente ha un server e un dominio o indirizzo IP statico, si identifica con un URL (che può essere la root, oppure una cartella, nel caso si voglia avere altra roba Web sullo stesso dominio).
Il client del social (la app) chiede come login i dati di accesso FTP, SSH, Git, o chissà quali altri sistemi di caricamento di file via Internet, e tutti i contenuti di ogni utente (i messaggi, i file, i like messi, ...) vengono caricati sul server HTTP.
Quando un client vuole aggiornare il feed degli utenti seguiti, scarica un file d'indice (come un feed RSS) da ciascun server, e scarica eventuali nuovi elementi lì segnati.
L'unico potenziale problema qui può sorgere in caso si seguano centinaia e centinaia di utenti, perché la app dovrà scaricare ciascun file ad ogni aggiornamento. Ovviamente, usando un formato di dati efficiente e compresso il problema si riduce, così come si riduce spezzettando l'indice in segmenti, oppure si potrebbero integrare nel protocollo delle liste di aggregazione opzionali (che richiederebbero un server fatto apposta), a cui ciascun utente può passare il proprio elenco di utenti seguiti, e la sua app chiederà le differenze di tutti al server di aggregazione anziché alle centinaia di serve degli utenti.
Per i messaggi privati, si può semplicemente implementare un sistema di cifratura, così che le app possano semplicemente caricare i contenuti privati assieme a quelli pubblici sul server HTTP, e anche se terzi potrebbero scaricarli andando a frugare tra i file dei server altrui, non potranno leggerli.
Che ne pensate?
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@Luca Nucifora eh e come? stai praticamente quasi creando un protocollo da capo così :'/. ActivityPub è troppo incentrato sui server attivi, il massimo che si può fare è ideare qualche integrazione AP in un protocollo come ho pensato il mio. Fosse anche prevedere un sottoprotocollo per i bridge. Anzi, togliamo il forse, è qualcosa da fare.
Comunque, ho anche continuato a cercare, ma nessun protocollo già esistente funziona in modo abbastanza vicino a cosa vorrei io.
Io magari inizio a scrivere qualcosa (documenti, non codice) a riguardo, almeno per descrivere l'idea a linee meno grosse di cosa il mio post di Friendica dice. Magari trovo gente a cui l'idea interessa particolarmente..
È la fine dei social network? Una riflessione di Johannes Ernst su #Facebook, #TikTok e il design delle piattaforme
Scott Rosenberg , in un pezzo dal titolo “Tramonto del social network” , scrive ad Axios:
Segna la scorsa settimana come la fine dell'era dei social network, iniziata con l'ascesa di Friendster nel 2003, ha plasmato due decenni di crescita di Internet e ora si chiude con il lancio di Facebook di un'ampia riprogettazione simile a TikTok.
Una dichiarazione travolgente. Ma penso che abbia ragione:
Facebook è fondamentalmente una macchina pubblicitaria. Come altri prodotti Meta. Non ci sono davvero "tecnologie che avvicinano il mondo", come dice la home page di Meta . Almeno non principalmente.
Questa macchina pubblicitaria ha avuto un successo sorprendente, portando a un fatturato trimestrale recente di oltre $ 50 per utente in Nord America ( fonte ). E Meta di certo ha spinto così tanto, altrimenti non sarebbe stata nelle cronache per aver oltrepassato il consenso dei suoi utenti anno dopo anno, scandalo dopo scandalo.
Ma ora una macchina pubblicitaria migliore è in città: TikTok. Questa nuova macchina pubblicitaria non è alimentata da amici e familiari, ma da un algoritmo di dipendenza. Questo algoritmo di dipendenza calcola i tuoi punti di minor resistenza e ti riversa una pubblicità dopo l'altra in gola. E non appena ne hai ingoiato un altro, scorri un po' di più e, così facendo, chiedi più pubblicità, a causa della dipendenza. Questa macchina pubblicitaria basata sulla dipendenza è probabilmente vicina al massimo teorico di quante pubblicità si possono versare in gola a qualcuno. Un'opera d'arte straordinaria, come ingegnere devo ammirarla. (Naturalmente quell'ammirazione si trasforma rapidamente in qualche altra emozione del tipo disgustoso, se hai qualche tipo di morale.)
Quindi Facebook si adatta e passa a un'altra macchina pubblicitaria basata sulla dipendenza. Il che non sorprende nessuno, penso.
E poiché non si è mai trattato di "riavvicinare il mondo", abbandonano quella missione come se non gli importasse mai. (Questo perché non l'hanno fatto. Almeno MarkZ non l'ha fatto, ed è l'unico, irresponsabile signore supremo dell'impero Meta. Una struttura azionaria a due classi te lo dà.)
Con il gigante che rivolge la sua attenzione altrove, dove finisce il social networking? Perché i bisogni e i desideri di “avvicinare il mondo” e di mettersi al passo con amici e familiari sono ancora lì.
Penso che lasci il social networking, o ciò che lo sostituirà, in un posto molto migliore. Che ne dici di questa volta che costruiamo prodotti il cui obiettivo principale è in realtà la missione dichiarata? Condividi con gli amici, la famiglia e il mondo, per unirlo (non dividerlo)! Invece di qualcosa di non correlato, come fare un sacco di entrate pubblicitarie! Che concetto!
Immagina cosa potrebbero essere i social network!! I giorni migliori del social networking sono ancora avanti. Ora che i pretendenti se ne vanno, possiamo effettivamente iniziare a risolvere il problema. I social network sono morti. Viva ciò che emergerà dalle ceneri. Potrebbe non essere chiamato social networking, ma lo sarà, solo meglio.
Qui il post originale in inglese: reb00ted.org/tech/20220727-end…
Questo lavoro è concesso in licenza in base a una licenza internazionale Creative Commons Attribution-NonCommercial 4.0 • Altri usi? Chiedere! Utilizza i cookie solo per analisi self-hosted.
Di Johannes Ernst. Imprenditore. Pirata. Pastore di gatti. Detentore di opinioni spesso insolite, in genere prima che giunga il loro momento, ma forse non in questo caso.
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Il Tribunale dell'Inquisizione e le Carceri segrete di Palazzo Steri-Chiaramonte a Palermo
Mi è sempre piaciuto camminare per le vie del centro storico della mia Palermo, una città avvolta da tanti misteri, segreti, leggende, ma anche ricca di fatti e storie vere, affascinanti ed intriganti, una città da scoprire o riscoprire ogni volta che mi addentro nei suoi vicoli, una Palermo a volte sconosciuta anche a me che vi sono nato.
Amo le sue tradizioni, le usanze, le credenze popolari, che si tramandano tra le varie generazioni e che restano sempre vive attraverso i ricordi di chi a sua volta è rimasto inevitabilmente affascinato delle storie raccontate da coloro che le hanno vissute in prima persona.
Cammino e mi soffermo ad ammirare le imponenti e meravigliose opere d’arte e penso a un tempo antico, a quanta vita è passata, alle maestranze che hanno realizzato queste maestose strutture, mettendo in campo tutte le tecniche costruttive di quei tempi, anche rudimentali, eseguite da veri maestri d’arte dalle doti ineguagliabili.
Opere che rappresentano per questa città gli evidenti segni del passaggio delle varie dominazioni che si sono susseguite nel tempo.
E c’è un palazzo, nella grande Piazza Marina, è il palazzo Steri-Chiaramonte che, per le storie drammatiche che l’hanno interessato, viene visto dai palermitani, e non solo, come austero e tenebroso. Ma è un palazzo come tanti altri, segnato purtroppo da avvenimenti tragici, che questa volta non appartengono a leggende metropolitane, ma a fatti realmente accaduti durante la dominazione spagnola.
Il palazzo fu costruito all’inizio del 1300 su un edificio arabo, fu la grande dimora di Manfredi di Chiaramonte, esponente di spicco della potente famiglia dei Chiaramonte, conte dell’immenso Feudo di Modica, detto “Regnum in Regno”.
Il potere della famiglia diede presto fastidio agli spagnoli e nel 1392 il re Martino il Giovane, decise di fermare le ambizioni politiche di Andrea di Chiaramonte, discendente ed erede di Manfredi, decapitandolo davanti al suo palazzo e sequestrandogli ogni bene.
Nel 1487 Ferdinando II il Cattolico, Re di Spagna, inviò a Palermo i suoi inquisitori, delegati ad istituire il primo Tribunale dell’Inquisizione in Sicilia.
Il “Santo Uffizio”, così chiamato, inizialmente si stabilì a Palazzo dei Normanni, dove rimase fino al 1551, tuttavia le carceri a disposizione non erano sufficienti e pertanto per questo motivo fu commissionato all’architetto Diego Sànchez la realizzazione di uno spazio carcerario più ampio.
Per la costruzione di tale struttura, venne scelto uno spazio alle spalle di Palazzo Chiaramonte Steri, che dai primi anni del 1600 divenne la nuova sede dell’Inquisizione Spagnola.
È il carcere segreto dell’Inquisizione, il luogo dove per due secoli, dai primi del Seicento al 1782, gli uomini inviati in Sicilia da Torquemada interrogarono e torturarono innocenti in nome di Dio.
Per gli uomini del Sant’Uffizio i carcerati erano eretici, bestemmiatori, streghe, fattucchiere, amici del demonio. In realtà molti erano artisti, intellettuali scomodi, nemici dell’ortodossia politica e religiosa, oppure poveracci finiti negli ingranaggi di una gigantesca macchina di malagiustizia.
Piazza Marina divenne il luogo preferito dove eseguire i roghi e le esecuzioni dei condannati a morte.
Il 16 Marzo 1782 il tribunale del Sant’Uffizio venne ufficialmente abolito ed il viceré Caracciolo, profondamente contrario alle pratiche inquisitorie, non tardò ad ordinare la scarcerazione immediata dei prigionieri, nonchè purtroppo anche il rogo di tutti gli atti del tribunale, al fine di cancellare qualsiasi traccia dei soprusi, delle violenze, degli orrori delle segrete avvenute a Palazzo Steri.
Durante alcuni lavori di recupero e di restauro del palazzo, Giuseppe Pitrè, famosissimo etnografo palermitano, tra il 1906 e il 1907, dopo aver scavato per oltre sei mesi negli intonaci che avevano coperto tutte le possibili tracce, scoprì i Graffiti dello Steri, disegni e scritte lasciati dai prigionieri.
Un breve video che ho realizzato, molto suggestivo, ricostruisce, proprio attraverso la visione di quelle scritte e dei graffiti, la sofferenza di quei penitenziati ingiustamente detenuti la cui sola speranza di uscirne vivi, ritrovando la propria libertà, era solo la fede in Dio.
Ecco come @kenforflorida è diventato l'unico buon politico di #TikTok. L'articolo di @violastefanello è sul @DailyDot
ECCO COME KEN RUSSELL È DIVENTATO L'UNICO BUON POLITICO DI TIKTOK
Uno dei TikTok più importanti pubblicati da Ken Russell, pubblicato a giugno, inizia come molti altri sull'app di condivisione video: con una donna accovacciata sul pavimento per cambiarsi con un vestito succinto su una canzone di Megan Thee Stallion.
Le migliaia di utenti che sono rimasti in giro per guardare la fine del video, tuttavia, sono state colpite da una svolta inaspettata degli eventi: invece di cambiare l'abito di un creatore di contenuti, hanno visto il democratico della Florida Ken Russell cadere sul pavimento al ritmo della canzone prima di guardare vicino alla telecamera e chiedendo: “Ehi, sei registrato per votare? Ci sono le primarie il 23 agosto e le elezioni generali l'8 novembre!
Di Viola #Stefanello su #DailyDot
dailydot.com/debug/ken-russell…
How Ken Russell became TikTok’s only good politician
Ken Russell routinely goes viral on TikTok. But will his efforts give him enough of a bump to win a Florida primary race?Viola Stefanello (The Daily Dot)
L’infaticabile Emmanuel ZIMMERT ha appena aggiunto due nuove app online ai servizi liberi di La Digitale: si tratta di Digicut e Digitranscode.
Il primo permette di tagliare un estratto da un file audio o video utilizzando il solo browser,
il secondo permette di convertire file audio e video in diversi formati, sempre dal browser.
L’interfaccia è solo in francese, ma i comandi sono talmente semplici che sono comprensibili anche in questa lingua, si parte sempre dalla scelta di un file sul nostro computer (Sélectionner un fichier).
Per festeggiare questa doppia uscita agostana ecco una traduzione a/al caldo delle due brevi guide all’uso. I due documenti sono distribuiti con licenza Creative Commons BY-NC-SA.
I testi originali si trovano qui:
ladigitale.dev/blog/digicut-po…
ladigitale.dev/blog/digitransc… e
È sempre bene ricordare che gli strumenti di La Digitale sono messi a disposizione gratuitamente e sono finanziati in modo partecipativo, è possibile sostenere il progetto utilizzando questa pagina: opencollective.com/ladigitale
Digicut, per tagliare un estratto da un file audio o video
di EZ
5 agosto 2022 - 3 minuti
Digicut è un'applicazione online che permette di tagliare un estratto da un file audio (.mp3, .wav, .m4a, .ogg, .flac, .aac, .wma) o da un video (.wmv, .avi , . webm, .mkv, .ogm, .mp4, .m4v, .mov, .flv) in diversi formati.
I file vengono elaborati localmente nel browser e non vengono caricati sul server La Digitale.
L'operazione è molto semplice: basta navigare all'interno del file e cliccare sui pulsanti Définir début (Imposta inizio) e Définir fin (Imposta fine) negli orari definiti per indicare i punti di inizio e fine dell'estratto.
Per i video sono disponibili due impostazioni aggiuntive:
• la possibilità di effettuare catture in formato jpeg (pulsante con l'icona della fotocamera a destra del pulsante Estrai);
• la possibilità di salvare l'estratto con la massima precisione: l'elaborazione è molto più lenta, ma risolve i problemi di schermata nera all'inizio o alla fine dell'estratto.
Digitranscode, per convertire file audio e video
di EZ
5 agosto 2022 - 3 minuti
Digitranscode è un'applicazione online che converte file audio (.mp3, .wav, .m4a, .ogg, .flac, .aac, .wma) e video (.wmv, .avi, .webm, .mkv, .ogm, .mp4, .m4v, .mov, .flv) in diversi formati.
I file vengono elaborati localmente nel browser e non vengono caricati sul server di La Digitale.
Lo strumento offre anche impostazioni per ottimizzare le dimensioni dei file.
Per l'audio:
• qualità (velocità di trasmissione dati in Kb al secondo): 96 / 128 /192 / 256
• la frequenza di campionamento (in Hz): 22050 / 44100 / 48000
• il numero di canali: mono (1 canale) / stereo (2 canali)
• il formato di uscita: mp3, ogg, aac, m4a
Ad esempio, per ottimizzare un file audio con voce per la pubblicazione online: 96 o 128 kb/s / 44100 Hz / mono / ogg o mp3.
Per il video:
• qualità (bit rate video in Kb al secondo): qualità originale / da 1000 a 3000
• risoluzione (in pixel): risoluzione originale / 640x480 (SD) / 1280x720 (HD) / 1920x1080 (Full HD)
• il formato di uscita: mp4, webm, mkv, mov
Lo strumento consente anche di estrarre da un video la traccia audio in formato mp3 o di rimuovere la traccia audio dal file transcodificato.
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Instagram sa che non ti piacciono i suoi cambiamenti. Ma non gliene frega niente. L'articolo di Taylor Lorenz su Washington Post
INSTAGRAM È IN PIENA CRISI DI IDENTITÀ
Una rapida successione di nuove funzionalità e test ha lasciato anche gli utenti più fedeli dell'app, tra cui Kim Kardashian, a chiedersi a cosa serva Instagram...
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Pëtr Arkad'evič Stolypin
Unknown parent • •giuglionasi likes this.
Pëtr Arkad'evič Stolypin
Unknown parent • •@giuglionasi Ma davvero credi che con una politica nella quale la parola liberale è diventata un pretesto per dire tutto e il contrario di tutto, noi della fondazione Einaudi potremmo prendere posizione in favore di qualcuno? C'è stato l'invito a riunirsi e non unica forza liberale, ma ovviamente a nessuno è interessato raccogliere quell'invito. Renzi e Calenda si sono messi insieme solo perché altrimenti non avrebbero mai raggiunto la soglia di sbarramento.
Il contributo più lucido che si può leggere oggi è quello di Davide Giacalone, che condivido totalmente
fondazioneluigieinaudi.it/stat…