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4 periodi della vita in cui occorre una nuova auto


Ci sono alcuni periodi della vita in cui ci si trova ad affrontare una serie di cambiamenti importanti e la vecchia auto non si rivela più adatta alle proprie esigenze. È proprio in questi momenti che occorre prendere in mano la situazione e cambiare vettura, in modo da evitare problemi e semplificarsi la vita. Non […]

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Profughi palestinesi in Libano, 74 anni di diritti negati


Nel paese dei cedri ai palestinesi è vietato svolgere qualsiasi attività fuori dai loro 12 campi e non hanno alcun tipo di assistenza oltre a quella dell'Unrwa. Mentre Israele nega loro il diritto al ritorno nella terra d'origine. L'articolo Profughi pal

di Michele Giorgio* –

(le foto scattate nei campi di Sabra, Shatila, Beddawi, Nahr al Bared sono di Michele Giorgio)

Pagine Esteri, 26 settembre 2022 – Ali Hamdan osserva la figlia Nabila che muove veloce il plettro tra le corde dell’oud. Le note sono quelle di un motivo della tradizione palestinese, della zona di Giaffa da dove il suo bisnonno giunse a Beirut da profugo, assieme ad altre migliaia di civili, nel 1948. Nabila studia da poco lo strumento ma già mostra del talento e Ali non nasconde l’orgoglio di padre. E così la madre, Reem, con il viso segnato dalla stanchezza e dalla povertà. Vivere nel campo profughi di Shatila fa invecchiare prima. Ci si sveglia ogni mattina pensando a come procurarsi qualche dollaro per sopravvivere, un’impresa ancora più ardua da qualche anno viste le condizioni economiche disastrose in cui è precipitato il Libano. «Ho imparato queste poche cose, non so suonare altro», ammette Nabila arrossendo. L’applauso dei genitori e degli ospiti stranieri la rincuora. La ragazza dà uno sguardo alla nonna che giace nel letto accanto a lei, silenziosa e con gli occhi chiusi. È malata, non riesce più a camminare.

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«Dovrei farla ricoverare ma l’ospedale costa troppo. Non abbiamo l’assistenza sanitaria in Libano. L’Unrwa (l’agenzia dell’Onu che assiste i profughi, ndr) può coprire solo una piccola parte delle spese e a noi palestinesi non è permesso lavorare fuori dal campo», ci dice Ali. Fino a un paio d’anni fa Ali faceva il pasticciere. «Riuscivamo a tirare avanti senza tanti affanni, poi il proprietario ha dato il negozio a un profugo siriano e ho perduto il lavoro» racconta. «Parecchi dei palestinesi che hanno proprietà a Shatila» aggiunge «hanno scelto di affittare la loro bottega, è una entrata mensile sicura perché i siriani ricevono i sussidi dell’Onu e sono giunti qui con i loro risparmi. Per la stessa ragione, tanti palestinesi hanno affittato le loro case».

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È una contesa tra profughi di guerre del passato e più recenti, da cui quelli palestinesi comunque escono in parte perdenti. Da un lato incassano piccole rendite che permettono di sopravvivere, dall’altro ingoiano amaro perché dopo decenni trascorsi in Libano restano fuori dal mercato ufficiale del lavoro e devono fare i conti con la perenne ostilità di una larga parte della popolazione libanese e delle forze politiche locali. Non che i siriani siano trattati con rispetto ma almeno possono muoversi con maggiore libertà e trovare occupazioni a nero in vari settori. E, comunque, agli occhi dei libanesi un giorno torneranno nel loro paese. I palestinesi invece, con Israele che nega loro il diritto al ritorno, sono guardati con grande diffidenza. Restano ospiti sgraditi da tenere segregati nei loro 12 campi ufficiali che non possono espandersi.

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«Sono ormai quattro le generazioni di palestinesi in questo paese, per loro però non è cambiato nulla in questi decenni» ci conferma Sari Hanafi, docente di sociologia e attivista dei diritti dei palestinesi in Libano, che incontriamo all’Università americana di Beirut. «Le discriminazioni – dice Hanafi – sono evidenti e, purtroppo, ritenute legittime da tanti libanesi. Pesa anche il passato, la sanguinosa guerra civile libanese che ha visto i palestinesi far parte di uno degli schieramenti contrapposti, quello delle forze progressiste musulmane e druse. I libanesi a parole dicono di aver elaborato, digerita e dimenticata per sempre la guerra civile ma la realtà è ben diversa. E i palestinesi pagano ancora il loro conto».

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Durante le campagne elettorali – inclusa quella per le legislative dello scorso marzo – il tema dei profughi, palestinesi e siriani, da rimandare a casa è sempre prioritario. Non pochi candidati agitano lo spettro della «naturalizzazione» dei profughi palestinesi che, se realizzata, porterebbe la comunità musulmana sunnita a crescere di centinaia di migliaia di individui, alterando gli equilibri settari che paralizzano il Libano. Numeri che tuttavia non hanno riscontro nella realtà. Nel 2017, un censimento del governo libanese contava 174.000 palestinesi in Libano, ben sotto gli oltre 400mila profughi registrati dall’Unrwa. Nei 74 anni trascorsi dalla Nakba e dall’espulsione dalla loro terra, tanti palestinesi hanno abbandonato il Libano cercando di rifarsi una vita altrove. In particolare dopo il 1982 quando l’Olp di Yasser Arafat fu costretta ad uscire dal paese invaso dall’esercito israeliano e anche a causa del massacro di migliaia di profughi a Sabra e Shatila compiuto dai Falangisti. «In questi ultimi anni – spiega Sari Hanafi – alcuni ministri libanesi hanno provato ad eliminare le restrizioni che impediscono ai palestinesi di svolgere decine di lavori e varie professioni ma sono tutti naufragati». Nel 2019 il ministro del lavoro Camille Abousleiman ha ribadito che i palestinesi sono stranieri in Libano nonostante la loro presenza di lunga data.

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Un palestinese in Libano non può acquistare proprietà e pur laureandosi in una università libanese può svolgere la sua professione solo all’interno del campo in cui risiede. Ogni anno le autorità di Beirut concedono o rinnovano decine di migliaia di permessi di lavoro a persone provenienti dall’Africa, dall’Asia e da altri paesi arabi. Solo poche centinaia sono offerte ai palestinesi. Il tasso di disoccupazione ufficiale nei campi è del 18% ma tra i giovani di età compresa tra 20 e 29 anni è del 28,5%. E comunque i lavori sono sempre a basso reddito. I più coraggiosi lavorano a nero fuori dal campo, sfidando i controlli delle autorità, facendo le pulizie nei palazzi dei libanesi ricchi o i muratori nei cantieri.

«I profughi palestinesi» commenta Kassem Aina, direttore dell’associazione Beit Atfal al Sumud «non smetteranno mai di chiedere di tornare nella terra di Palestina, perché solo in un loro Stato indipendente potranno vivere una vita libera e dignitosa». Pagine Esteri

*Questo reportage è stato pubblicato il 25 settembre 2022 dal quotidiano Il Manifesto

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Mosca: sconcerto per la liberazione dei capi del Reggimento Azov


A sorpresa il Cremlino ha accettato di liberare 215 prigionieri, tra cui i capi del Reggimento Azov e dieci mercenari stranieri, alcuni dei quali condannati a morte. In cambio, ha ottenuto la liberazione di 55 militari russi e di un oligarca ucraino amico

di Marco Santopadre*

Pagine Esteri, 27 settembre 2022 – Proprio mentre Vladimir Putin decretava la mobilitazione generale parziale nel tentativo di rafforzare il dispositivo bellico finora dispiegato in Ucraina, tra Mosca e Kiev andava in scena il più massiccio scambio di prigionieri finora realizzato.
Lo scambio ha colto di sorpresa tutti, a partire dalle opinioni pubbliche russa e ucraina, e ha provocato malumori e polemiche a Mosca e nelle repubbliche del Donbass.

215 contro 56

Il Cremlino è riuscito a irritare sia le correnti antifasciste e di sinistra, che evidentemente avevano creduto che il proposito di “denazificare” il paese invaso giustificasse la cosiddetta “operazione militare speciale”, sia quelle di destra e ultranazionaliste, per non parlare dei settori della società russa che tolleravano la guerra pensando però che sarebbero bastati i militari di professione a combatterla.

A provocare l’ira di molti russi è stata la decisione di liberare una gran quantità di combattenti del famigerato Reggimento Azov, la milizia di estrema destra che dal 2014 massacra la popolazione del Donbass in nome di un’Ucraina derussificata e ideologicamente omogenea.
In cambio della liberazione di 108 tra dirigenti e miliziani del Reggimento Azov, arresisi il 20 maggio al termine di un lunghissimo e sanguinoso assedio all’acciaieria Azovstal di Mariupol all’interno della quale si erano asserragliati, e di altri 107 tra soldati di altri reparti, guardie di frontiera, poliziotti, marinai, doganieri, medici e civili, il Cremlino ha ottenuto la “restituzione” del miliardario Viktor Medvedchuk e di 55 tra soldati e ufficiali.

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Parata del Reggimento Azov

L’oligarca amico di Putin

L’evidente sproporzione nello scambio – 215 contro 56 – dà l’idea del peso che Putin attribuisce al miliardario ed ex leader del partito “Piattaforma di Opposizione – Per la vita”, la principale formazione di minoranza nel parlamento ucraino la cui attività è stata sospesa d’autorità dal governo di Kiev perché considerato la longa manus di Mosca. Messo agli arresti domiciliari nel 2021 per tradimento e poi accusato di aver pianificato un colpo di stato per instaurare un governo filorusso a Kiev, nell’aprile scorso l’oligarca aveva tentato di fuggire in Bulgaria travestito da soldato ma era stato nuovamente arrestato.
Medvedchuk è molto vicino a Vladimir Putin: Daryna, la figlia avuta con Oksana Marchenko – celebre conduttrice della tv ucraina sposata nel 2003 – è stata battezzata a San Pietroburgo potendo contare su due padrini del calibro del presidente russo e di Svetlana Medvedeva, moglie dell’attuale primo ministro russo Dmitrji Medvedev.
Possibile, ci si chiede, che la liberazione di Medvedchuk – che tra l’altro non è neanche cittadino russo – giustifichi un colpo così grave alla retorica della “denazificazione dell’Ucraina”, che almeno nei primi mesi del conflitto ha costituito il principale obiettivo dichiarato del Cremlino, insieme alla messa in sicurezza delle comunità russofone del Donbass martoriate da 8 anni di attacchi e bombardamenti da parte di Kiev e in particolare dei battaglioni punitivi – l’Azov, l’Ajdar, il Donbass – frutto della militarizzazione delle varie organizzazioni dell’estrema destra ucraina?
Durante tutti i conflitti avvengono degli scambi di prigionieri, e quello in corso in Ucraina non fa ovviamente eccezione.
Denis Pushilin, il leader della Repubblica Popolare di Donetsk che presto verrà annessa alla Federazione Russa dopo un referendum quanto meno discutibile (in barba al diritto all’autodeterminazione dei popoli che le varie potenze, al di qua e al di là dell’ex cortina di ferro, continuano a strumentalizzare per sostenere i propri interessi) difende l’operato del Cremlino. «Con i miei occhi ho visto come durante il processo di Minsk più di 1.000 dei nostri ragazzi sono stati liberati con l’aiuto di Viktor Medvedchuk che non sarebbero sopravvissuti altrimenti» ha spiegato Pushilin, sottolineando il fecondo ruolo di negoziatore dell’oligarca, in un video pubblicato dall’agenzia di stampa RIA Novosti.
Ma quelli concessi – e in così gran numero – a Kiev non sono prigionieri qualsiasi, sono gli odiatissimi componenti del Reggimento Azov, per scovare i quali i soldati delle milizie del Donbass e dell’esercito russo facevano spogliare gli uomini in fuga da Mariupol alla ricerca di tatuaggi raffiguranti svastiche, rune e altri simboli neonazisti.
Già a fine giugno i russi avevano, in un precedente scambio di prigionieri, liberato 95 combattenti dell’Azovstal, compresi 43 membri dell’Azov.

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Il magnate Viktor Mevdevchuk

Kiev canta vittoriaMa stavolta, tra quelli che hanno recuperato la libertà ci sono il capo del distaccamento della Azov a Mariupol, Denys Prokopenko, il suo vice Svyatoslav Palamar, il comandante ad interim della 36ima brigata dei Marines Serhiy Vlynskyi, il comandante della 12esima brigata della Guardia nazionale, Denys Shleha e infine il comandante della compagnia che dirigeva la difesa delle acciaierie, Oleh Khomenko.
I cinque dovranno astenersi dal partecipare al conflitto e saranno obbligati a risiedere in Turchia “fino alla fine della guerra”, recita l’accordo mediato da Recep Tayyip Erdogan, ma la vittoria simbolica ottenuta dal presidente ucraino Zelenskyi è consistente e si somma ai risultati della controffensiva di Kiev che ha strappato a Mosca migliaia di chilometri di territori occupati.
L’ex comandante del Reggimento Azov e leader del partito di estrema destra “Corpo Nazionale”, che di fatto è un’emanazione dell’unità militare, Andrey Biletsky, sui social ha rivendicato la vittoria: «Ho appena parlato al telefono con Radish, Kalina, tutti hanno uno spirito combattivo e sono persino desiderosi di combattere. Un’altra conferma che Azov è di acciaio. Adesso i ragazzi sono già liberi, ma in un Paese terzo. Rimarranno lì per un po’, ma la cosa principale è già accaduta: sono liberi e vivi».

In libertà anche dieci mercenari stranieri

Come se non bastasse, lo scambio ha portato anche alla liberazione di dieci combattenti stranieri inquadrati nelle forze ucraine: cinque britannici, due statunitensi, un marocchino, un croato e uno svedese. Grazie alla mediazione del principe saudita Mohammed bin Salman, i mercenari sono stati trasferiti a Riad e da qui rimpatriati nei paesi d’origine.
Fra i cinque britannici rilasciati anche Aiden Aslin, catturato a Mariupol ad aprile, e Shaun Pinner; entrambi, insieme al marocchino Brahim Saadoun, erano stati già condannati a morte a giugno da un tribunale della Repubblica Popolare di Donetsk. Ancora all’inizio della settimana scorsa Denis Pushilin aveva avvisato che la fucilazione dei condannati alla pena capitale, per l’applicazione della quale si era personalmente speso, sarebbe stata imminente ma segreta. Segno che Pushilin era probabilmente all’oscuro della trattativa e dell’imminente liberazione dei mercenari che pure erano sotto la sua custodia; le decisioni importanti, non è un mistero, si prendono a Mosca.

Le critiche al Cremlino

E così, mentre in Ucraina si festeggia, sui canali telegram russi e persino su alcuni media ufficiali le critiche e le accuse nei confronti del Cremlino emergono apertamente da parte di chi ha visto improvvisamente sfumare la Norimberga promessa da Putin a carico dell’estrema destra ucraina, che le autorità di Mosca hanno inserito nell’elenco delle organizzazioni terroristiche e che accusano di aver organizzato l’attentato costato la vita alla figlia di Alexander Dugin, ideologo dello sciovinismo grande-russo.
Tra i più duri il leader ceceno Ramzan Kadyrov – i suoi miliziani hanno dato un contributo fondamentale alla presa di Mariupol e all’assedio dell’Azovstal – secondo il quale «i criminali terroristi non dovrebbero essere scambiati con i soldati». D’ora in poi, ha avvisato Kadyrov dopo aver espresso il suo malumore per non essere stato consultato sullo scambio, le sue milizie «trarranno le proprio conclusioni e non faranno prigionieri i fascisti».
Igor Girkin “Strelkov”, una delle voci più influenti dell’ultranazionalismo russo e tra i primi leader delle repubbliche autoproclamate del Donbass (prima di essere messo da parte da Mosca) ha parlato di «fallimento totale», di una iniziativa «più grave di un crimine, peggiore di un errore, una grande stupidaggine».
Margarita Simonovna Simonyan, direttrice del canale russo d’informazione RT, si è lamentata della mancanza di cerimonie per il ritorno in patria dei prigionieri russi: «Perché i comandanti dell’Azov sono stati liberati? Spero che ne sia valsa la pena» ha scritto sul suo canale Telegram.
«Peggiore della liberazione di nazisti e mercenari può essere solo la nomina di Medvedchuk a qualche incarico nelle Repubbliche di Donetsk e Lugansk o nei territori liberati» ha invece commentato Alexander Diukov, storico e membro della Commissione Presidenziale russa sulle relazioni interetniche.

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Il leader ceceno Kadyrov

Il ruolo di Abramovich, di Erdogan e di bin Salman

Ha generato inquietudine, in Russia, anche il ruolo di un altro oligarca, questa volta russo, Roman Abramovich, che si è personalmente speso per la liberazione dei dieci foreign fighters, e in particolare di quelli britannici. Secondo alcune indiscrezioni circolate nei giorni successivi allo scambio, Abramovich era addirittura sull’aereo che li ha trasportati in Arabia Saudita.

Sul fronte internazionale, poi, emerge la competizione tra Erdogan e bin Salman nel ruolo di pontieri tra Russia e Ucraina. Il leader turco ha saputo, dopo mesi di stallo nelle trattative tra Kiev e Mosca, ottenere un nuovo successo personale dopo aver negoziato a luglio lo sblocco delle navi cariche di grano ancorate nei porti dell’Ucraina meridionale. La vicenda dello scambio ha però visto anche l’emergere dell’Arabia Saudita come mediatore credibile tra i due contendenti. – Pagine Esteri

2812836* Marco Santopadre, giornalista, già direttore di Radio Città Aperta di Roma, è un analista dell’area del Mediterraneo, del Medio oriente e del Nord Africa. Collabora con il Manifesto, Catarsi e Berria. Scrive, tra le altre cose, di Spagna e movimenti di liberazione nazionale.

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IRAN. Mahsa Amini, 60 dimostranti uccisi dalla polizia ma la protesta non si placa


Repressione violenta delle manifestazioni nel Paese. Tra i dimostranti uccisi anche Hadith Najafi, la ragazza simbolo dei cortei. Centinaia gli arrestati, tra i quali giornalisti e attivisti per i diritti umani. L'articolo IRAN. Mahsa Amini, 60 dimostran

di Valeria Cagnazzo, con aggiornamenti delle agenzie di stampa

Pagine Esteri, 26 settembre 2022 – Non si sono fermate le proteste in Iran dopo la morte di Mahsa Amini mentre era in stato di fermo, il 16 settembre scorso. Migliaia di iraniani da giorni scendono per le strade contro colui che definiscono il “dittatore”, ossia la Guida Suprema l’ayatollah Khamenei, e il presidente Ebrahim Raisi, considerati i veri responsabili del decesso della ventiduenne, che era stata arrestata dalla “polizia morale” (la polizia incaricata di far rispettare i doveri della religione) del Paese. Sono state occupate le università di Tehran, Karaj, Yazd e Tabriz e le donne hanno continuato a tagliarsi i capelli e a bruciare i propri veli in pubblico.La repressione del governo iraniano prosegue intanto violenta. Secondo gli attivisti, sarebbero almeno 60 gli uccisi dalla polizia durante le manifestazioni. Uccisa anche Hadith Najafi, la ragazza simbolo dei cortei. Secondo la giornalista Masih Alinejad, la giovane attivgiaa ed è stata uccisa da sei proiettili nella città di Karaj. Tra i morti ci sono anche alcuni agenti di polizia e della milizia pro-governativa Basij.

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Mahsa Amini

Centinaia gli iraniani arrestati durante le proteste. 17 i giornalisti finiti in manette. Nella notte tra il 22 e il 23 settembre, sarebbe stato prelevato dalla sua casa Majid Tavakoli, attivista per i diritti umani che aveva partecipato alle proteste per la morte di Amini. La stessa sorte sembra essere spettata a un altro attivista, Hossein Ronaghi, freelance per il Washington Post: dopo aver registrato un’intervista sarebbe stato raggiunto da agenti della sicurezza.

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A sostegno del presidente Raisi, che a proposito delle notti di proteste che stanno infiammando l’Iran giovedì scorso aveva dichiarato che nessun “atto di caos” sarebbe stato “tollerato” nel Paese. Venerdì e nei giorni successivi hanno sfilato decine di migliaia di donne e sostenitori del presidente. Nei loro slogan si chiede che i manifestanti scesi in strada per Mahsa Amini siano “giustiziati”: secondo i manifestanti pro-Raisi, nelle folle ci sarebbero agenti segreti americani infiltrati nel Paese con l’obiettivo di destabilizzarlo.

Intanto, nonostante le restrizioni che vengono applicate in queste ore alla navigazione su internet nel Paese, le immagini mostrano un Paese infiammato dalla rabbia delle donne, che malgrado gli arresti urlano da sette giorni “Morte al dittatore” e “Morte alla repubblica iraniana”.

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TIGRAY. Un’epurazione etnica attraverso gli stupri di massa e la fame


All'inizio di settembre, la Rete di associazioni di donne di ogni etnia etiope (Newa) e del Corno d'Africa (Siha) hanno promosso un'iniziativa volta alla pace e alla solidarietà con le donne tigrine, denunciando che ''i corpi femminili non sono un campo d

Di Alessandra Mincone

(la foto è di Tobin Jones/Amison)

Pagine Esteri, 29 settembre 2022 – Esplodono bombe nel cuore dell’Africa, colpiscono i piccoli parchi dove i bambini provano a giocare. Ed è la popolazione del Tigray, nella regione settentrionale dell’Etiopia, che dopo aver riempito le urna alle elezioni politiche del 2020, poi dichiarate illegittime dal governo centrale, paga il prezzo di una guerra tra le Forze di Difesa tigrine del Fronte popolare di liberazione del Tigray, interessate a riconquistare l’indipendenza regionale, e gli eserciti etiopi ed eritrei, che da oltre due anni tentano di sottomettere i residenti dell’area per interessi egemonici e perpetrando una nuova epurazione etnica nel continente nero.

I bombardamenti sulla regione questa volta sono arrivati in contemporanea al capodanno etiope dopo una breve tregua dalle ostilità. La sanguinosa operazione scatenata dal Primo Ministro Abiy Ahmed Ali, insignito del premio nobel per la pace nel 2019 per aver siglato gli accordi di sviluppo e cooperazione dei paesi nel Corno d’Africa, ha portato alla morte, secondo alcune fonti, più di 500.000 tigrini e costretto il 90% della popolazione a dipendere dagli aiuti umanitari. La commissione degli esperti di diritti umani delle Nazioni Unite, in questi giorni ha reso noto che ci sono le evidenze di crimini di guerra e contro l’umanità commessi sul territorio tigrino, tra cui gli stupri di massa utilizzati come arma di guerra per sterilizzare le donne e limitare la riproduzione dell’etnia; e la riduzione strategica di generi alimentari e risorse, con il blocco e la privazione degli aiuti umanitari necessari al sostentamento e alla sopravvivenza dei civili, inclusi acqua, assistenza sanitaria e carburante.

All’inizio di settembre, la Rete di associazioni di donne di ogni etnia etiope (Newa) e del Corno d’Africa (Siha) avevano promosso un’importante iniziativa volta alla pace e alla solidarietà con le donne tigrine, denunciando che ‘‘i corpi femminili non sono un campo di battaglia.”

E invece è proprio sul corpo delle donne e delle bambine tigrè che i soldati dell’Etiopia si sono inferociti. Uno dei primi report che faceva luce sulle violenze subite dalle donne fu pubblicato nell’agosto del 2021 da Amnesty International, dal titolo evocativo circa il trattamento disumanizzante e retorico, ”Non so se realizzavano che ero una persona”. Furono intervistate 63 vittime di abusi sessuali, ognuna di loro stuprata, picchiata e torturata ripetutamente, per la maggior parte dei casi in presenza dei figli o dei fratelli minori, o addirittura violentata nelle fasi più delicate della gravidanza, fino a partorire bambini morti. E l’esercito etiope non è stato il solo ad approfittarsi di giovani donne da terrorizzare, per insediarsi nelle abitazioni delle famiglie tigrine e colpire i civili del posto. Alcune ragazze, riferivano di aver riconosciuto molti uomini che invadevano le abitazioni con le divise dell’esercito eritreo. In una lettera destinata all’Italia, pubblicata dall’associazione italo-etiope impegnata nella lotta contro i matrimoni precoci, i militari eritrei vengono accusati di ”uccidere tutti gli uomini dai 7 ai 60 anni e di violentare le donne con pezzi di vetro”. Le fonti che potrebbero fornire una indicazione sul numero di vittime di violenze sessuali provengono dalle Nazioni Unite e risalgono al 2021. Sebbene almeno 26.000 donne in età riproduttiva necessitassero di assistenza clinica dopo aver subito stupri, a causa della carenza del personale qualificato e di forniture mediche, solo una quarantina di donne sarebbero state effettivamente assistite nelle 72 ore successive al momento delle violenze, con farmaci contraccettivi e riabilitazioni post traumatiche. Mentre le osservazioni statistiche interne alla regione del Tigray, stimavano che all’inizio dell’anno, almeno centomila donne avevano subito una o più aggressioni o violenze sessuali.

Ad oggi la maggior parte dei presidi ospedalieri nella regione risultano esser stati gravemente colpiti dagli attacchi dei droni forniti da Israele, ostacolando il lavoro degli operatori sanitari e dei medici volontari – come affermato anche da Tedros Adhanom Ghebreyesus, del partito del FPLT e capo generale dell’Organizzazione mondiale della Sanità. Un altro aspetto della guerra che ricade sui civili e generalmente sui minori, è l’incapacità della regione di garantirsi un’autosufficienza alimentare dopo i saccheggi di bovini e la distruzione dei campi di grano causata anche dalla siccità.

I bambini deceduti per incertezza alimentare non fanno notizia, ma sono in costane aumento. La World Food Programme denuncia che il Tigray è la regione etiope maggiormente colpita dalla carestia, con almeno 4,8 milioni di persone che vivono nell’incertezza alimentare. E secondo la classificazione delle fasi di sicurezza alimentare di quest’anno, la maggior parte di queste persone risultano essere minori o donne incinte, che rischiano di passare da una situazione alimentare ”grave” a una situazione ”critica”.

Nel frattempo, la criticità piu’ visibile agli occhi dell’Unione Africana sembra essere che il Tigray rappresenta un terreno inverosimilmente piu’ che fertile per la proliferazione di nuove alleanze politiche, ma anche di nuove escalation di guerra dove gli attori in scena hanno dei precisi campi d’interesse. Come quelli del dittatore eritreo, Isaias Afewerki, che punta a ottenere il controllo dei quattro campi profughi in Tigray dove vi sarebbero rifugiati centinaia di migliaia di eritrei scappati dall’obbligo di leva militare. Già sin dall’inizio del conflitto, numerose organizzazioni internazionali avevano confermato la presenza delle forze militari eritree in supporto all’esercito di Addis Abeba, ma la prima operazione dell’eritrea fu quella di dare fuoco ai campi di Hitsats e Shimelba costringendo a un rimpatrio forzato oltre ventimila profughi sfuggiti alla dittatura. Anche negli ultimi mesi non sono mancate le provocazioni eritree ai confini della regione Tigray, e dopo il richiamo alle armi di tutti i riservisti fino ai 55 anni è iniziata una nuova battaglia militare che vede i civili del Tigray attaccati su più fronti, affinchè venga scongiurata una vittoria per l’indipendenza del Fronte popolare di liberazione del Tigray.

Fra i tigrini invece gli sfollati superano i due milioni, e anche lontano dall’Etiopia non sono completamente al sicuro, basti pensare gli oltre trentamila civili arrestati dopo esser stati rimpatriati dall’Arabia Saudita, in una sistemica azione di persecuzione su base etnica; o all’ esodo che ha visto accrescere insediamenti profughi nella vicina Repubblica del Sudan, dove i rifugiati vivono in condizioni igienico-sanitarie precarie. D’altro canto, il capo del Governo sudanese non ha mancato di approfittare del dispiegamento militare dell’Etiopia verso nord per lanciare un’ operazione militare di controllo del territorio di al-Fashqa, ossia un’area fertile storicamente abitata e coltivata da entrambe le popolazioni africane, e dove un domani potrebbero scontrarsi per l’accaparramento delle risorse.

Eppure, la posta in gioco per stabilire la centralizzazione del potere nel Corno d’Africa riguarda soprattutto Abdel Fattah al-Sisi. Accusato dalla controparte di finanziare gli spostamenti delle forniture militari dei tigrini, in realtà sembra che al dittatore egiziano interessi prevalentemente contrastare la leadership del primo ministro etiope, che con l’inaugurazione ad agosto del terzo riempimento della GERD (il progetto per la Diga del Gran Rinascimento Etiope) rischia di destabilizzare le forniture idriche dell’Egitto, uno dei paesi nordafricani ad oggi più in crisi a causa dei costi per l’importazione di grano dall’Ucraina e dalla Russia.

Chissà che nel cuore dell’Africa i bombardamenti a sfondo etnico e razziale non abbiano anch’essi le potenzialità delle invasioni militari in occidente, di estendersi e trasformarsi in scontri tra potenze su larga scala. D’altronde gli stupri e la fame non potrebbero epurare interi popoli proprio come farebbe una bomba nucleare? Pagine Esteri

FONTI E LINKS:

africarivista.it/etiopia-guerr…

rivistanatura.com/torna-la-gue…
https://www.tvsvizzera.it/tvs/etiopia–completato-il-terzo-riempimento-della-grande-diga/47822972

amnesty.org/en/documents/afr25…

hrw.org/sites/default/files/me…

ohchr.org/en/hr-bodies/hrc/ich…

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Le mani nel fango


Ben oltre il meteo La meteorologia è una pratica che presenta non poche difficoltà. Una è la smentita. Può accadere che “le previsioni del tempo”, come diceva il mitico colonnello Bernacca, siano smentite dalla pioggia o dal sole o dal vento o dalla nebbi

Ben oltre il meteo


La meteorologia è una pratica che presenta non poche difficoltà. Una è la smentita. Può accadere che “le previsioni del tempo”, come diceva il mitico colonnello Bernacca, siano smentite dalla pioggia o dal sole o dal vento o dalla nebbia.

La ‘materia’ è per sua natura mutevole e tende – per dirlo ancora con la mitologia televisiva – al “Sereno variabile”. Insomma, le previsioni sono fatte anche per essere smentite. Non è un’ipotesi remota. È la normalità della stessa pratica meteorologica. Se questa particolarità delle “previsioni meteo” fosse tenuta in debito conto si farebbe un uso migliore della meteorologia.

Purtroppo, oggi, la previsione meteo è stata elevata a metodo di governo del territorio. Un grave errore. Infatti, conoscendo il dramma italiano del sistema idrogeologico della quasi totalità del territorio nazionale, si cerca di sopperire all’assenza di governo della terra e delle acque con il ricorso all’allerta meteo.

La toppa peggiore del buco. Perché arriverà sempre un momento in cui la Protezione civile dirà – come accaduto nell’ultimo dramma nazionale nelle Marche – che si è trattato di «un fenomeno meteo impossibile da prevedere nella sua intensità». Viviamo un tempo in cui si tende a credere con troppa facilità che la tecnologia possa sostituire il bisogno umano, terreno e terrestre, di governare.

Siamo sempre alla ricerca di un sistema di sicurezza assoluto per poi scoprire che viviamo per natura nell’incertezza. Lo scrittore Mark Twain – quello de “Le avventure di Tom Sawyer”– diceva: «Non è quello che non sai a metterti in pericolo. È quello che dai per certo e invece non lo è».

Credere o far credere che si abbia a disposizione un sistema infallibile mentre non solo l’uomo ma la stessa scienza è scientifica proprio perché fallibile, significa incamminarsi sulla via che conduce ai disastri. Non è la fatalità che condanna l’Italia ad avere sistematicamente in autunno le mani nel fango: è l’incoscienza di pensare di poter fare a meno del governo del territorio.

Le civiltà nascono e muoiono a ridosso dei fiumi. Anche i Comuni italiani – sono più di ottomila – nascono e muoiono a ridosso dei fiumi. Credere di abitare, costruire e lavorare in un paese attraversato da un fiume – in alcuni casi da due fiumi – e non curarsi quotidianamente delle acque vuol dire prepararsi a mettere le mani nel fango per liberare la strada, la casa, l’opificio e – il cielo mi perdoni – cercare i propri cari.

Le tragedie autunnali portano i nomi dei fiumi. Oggi il Misa, ieri il Calore, l’altro ieri il Sarno (e si può continuare per molto di alluvione in alluvione). Non solo se ci rivolgiamo a un ingegnere ma anche se parliamo con un contadino –sempre che si sia capaci di trovare un buon ingegnere e rintracciare un contadino – ci sentiremo dire che un fiume straripa se gli argini sono trascurati dall’uomo.

Ma non solo. Anche la nostra letteratura ce lo dice. Machiavelli, “Il Principe”, capitolo XXV: «…a uno di quei fiumi rovinosi che, quando si adirano, allagano e’ piani, ruinano li arbori e li edifizi, lievano da questa parte terreno, pongono da quella altra: ciascuno fugge loro dinanzi, ognuno cede all’impeto loro senza potervi in alcuna parte ostare».

E cosa si può fare dinanzi a questa furia della natura? Affidarsi al meteo? Prendersela poi con la sfortuna? Non resta altro da fare che gli uomini «quando sono tempi queti» costruiscano «ripari e argini»: in modo tale che quando arriverà la tempesta, che sempre arriva, il fiume o andrà «per un canale o l’impeto loro non sarebbe né sì dannoso né si licenzioso» (violento).

O impariamo o avremo sempre le mani nel fango.

La Ragione

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Musica: al Castello Ursino di Catania dal 30 settembre al 9 ottobre torna Classica & Dintorni


Ricerca e tradizione, musica per film e sonorità orientali.Il M° Ketty Teriaca: “Prima esecuzione in Sicilia del Diario del tempo che verrà di Marco Betta, trascrizioni per quartetto Italianvibes delle colonne sonore di tre film di Roberto Andò” CATANIA,

Ricerca e tradizione, musica per film e sonorità orientali.
Il M° Ketty Teriaca: “Prima esecuzione in Sicilia del Diario del tempo che verrà di Marco Betta, trascrizioni per quartetto Italianvibes delle colonne sonore di tre film di Roberto Andò

CATANIA, 28 settembre 2022 – Dalle musiche per il cinema e il teatro – che con contributi di grandi compositori contemporanei hanno scritto un nuovo capitolo nella letteratura musicale del Novecento – alle geografie sonore di lontani paesi orientali; dai canti della tradizione lettone, alle partiture dei classici europei. Tra ricerca e tradizione, anche quest’anno, alle soglie dell’autunno e del ritrovato piacere dell’ascolto della musica negli spazi al chiuso, il Castello Ursino di Catania risuona della magica atmosfera di Classica & Dintorni [30 settembre – 9 ottobre 2022].

E per questa 19°edizione la direttrice artistica Ketty Teriaca – pianista e docente del Conservatorio Scarlatti di Palermo – confeziona una rassegna raffinata e nel segno della contaminazione fra i generi scandita in due weekend lunghi, dal venerdì alla domenica. Tutti i concerti saranno ospitati al Castello Ursino e inizieranno alle 21. Inserita nel cartellone del Catania Summer Fest, Classica & Dintorni 2022 sarà ad ingresso gratuito fino a esaurimento posti e sarà sufficiente prenotarsi via whatsapp al numero 331 4861931.

Si comincia venerdì 30 settembre con la grazia assoluta dei quartetti di Mozart e una formazione “indigena”, ovvero nata e cresciuta a Catania e già accreditata nei circuiti nazionali e internazionali. Si chiama Katanè e per il concerto inaugurale di Classica & Dintorni vedrà la presenza del flautista Domenico Testaì insieme con i giovani componenti Ricardo Urbina e Dario Militano al violino, Clelia Lavenia alla viola e Giulio Nicolosi al violoncello.

Sabato 1 ottobre è in programma una autentica chicca: “Quaderni. Diario del tempo che verrà”, un regalo del M° Marco Betta – compositore, sovrintendente e direttore artistico del Teatro Massimo di Palermo – per l’Italianvibes Ensemble. Si tratta delle trascrizioni per quartetto – vere e proprie miniature sonore – di brani composti per il cinema e il teatro che Betta ha voluto rielaborare per la formazione dell’Italianvibes composto da Giovanni Mareggini (flauto), Luca Ranieri (viola), Maria Cecilia Berioli (violoncello) e dalla stessa Ketty Teriaca al pianoforte. “Siamo lusingati – spiega Teriaca – di questo regalo pensato per la nostra formazione, brani che eseguiamo in Sicilia per la prima volta dopo una parziale anteprima in Umbria e in Friuli l’estate scorsa. Si tratta di musiche composte da Betta per tre film diretti dal regista Roberto Andò: “Viaggio segreto”, “Viva la libertà” e “Il Manoscritto del Principe”. Mentre la seconda parte del concerto è dedicata alla figura dell’imprenditore palermitano Ferruccio Barbera con brani che scandiscono la sua vita, interrotta prematuramente a 53 anni. E poi due pezzi da pièces teatrali, una di Andrea Camilleri e l’altra di Ruggero Cappuccio nel solco della ricerca e della divulgazione di autori del passato meno conosciuti e di compositori contemporanei di grande valore”.

Domenica 2 ottobre viaggio sonoro verso le rotte dell’Afganistan e dell’India con il duo di Davide Livornese al rabab e Riccardo Gerbino al tabla, strumenti tradizionali dei due paesi ai quali i due musicisti hanno dedicato studi in campo internazionale componendo musiche inedite ispirate alle tradizioni locali. Le composizioni sono immaginari sonori che rievocano antiche danze e andature ipnotiche lungo paesaggi melodici armoniosi e improvvisati.

Nel secondo weekend, al Castello Ursino venerdì 7 ottobre si esibirà il Trio Quiròs con Francesca Adamo Sollima (soprano), Mauro Schembri (mandolinio) e Fernando Mangifesta (fisarmonica). In programma musiche di Hahn, Weill, Piazzolla, Ramirez, Angulo, Gershwin e Bernstein.

Sabato 8 sono attese le Saucejas, formazione di origine lettone tutta al femminile che proporrà canti e arrangiamenti della tradizione.

Infine, domenica 9 ottobre, chiusura con musiche di Vivaldi, Bach, Rameau e Telemann con Ensemble Harmonia Urbis: Giusi Ledda (traversiere), Iben Bagvad Kejser (violino), Andrea Fossà (violoncello), Ugo Di Giovanni (liuto), Marco Silvi (clavicembalo e direzione).

L’edizione 2022 è organizzata dall’associazione culturale Darshan e dall’associazione di promozione sociale AreaSud con il contributo di Ministero della Cultura, Regione Siciliana – Assessorato Turismo, Sport e Spettacolo, Città di Catania – Assessorato alla Cultura, Catania Summer Fest. Info Associazione Darshan

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Orizzonte 2030: cittadini o codici a barre?


Il ruolo del cittadino all'interno dello stato sta cambiando velocemente, in peggio. Una trascrizione e commento al mio intervento di lunedì 26 settembre alla Privacy Week 2022.

Lunedì 26 settembre 2022 ho fatto un intervento durante l’apertura della Privacy Week, dal titolo “Orizzonte 2030: cittadini o codici a barre”.

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Lo speech, di circa 20 minuti, è già disponibile on-demand sul sito della Privacy Week, per chi volesse riguardare il video. Vorrei però riportare qui ciò di cui ho parlato, anche per estendere alcuni concetti.

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Perché cittadini codici a barre? Il codice a barre è un elemento grafico costruito per essere scansionato da un sensore, che poi restituisce una serie di informazioni. Con i codici a barre possiamo conoscere in tempo reale cosa sono i prodotti che troviamo nei negozi e nei magazzini, da dove vengono, chi li produce, quanto costano e tanto altro. Da qualche anno abbiamo anche imparato a usare codici a barre per identificare e ottenere informazioni non solo sulla merce, ma anche sulle persone. Ad esempio col green pass, che è stato usato per capire chi aveva diritto di lavorare, viaggiare, visitare i parenti in ospedale, o anche partecipare a eventi come questo.

Quindi, il codice a barre per me è un simbolo che racchiude l’ideologia di chi vorrebbe trasformare lo stato in un sensore capace di scansionare in tempo reale i cittadini, attraverso la diffusione sempre più capillare di pratiche di sorveglianza e di controllo di massa.

La sorveglianza fisica


La sorveglianza fisica è la più facile ed evidente, ormai siamo tutti abituati. Le nostre strade sono piene di telecamere, in una quantità che aumenta esponenzialmente ogni anno che passa.

Alcune città ora si stanno riempiendo anche di sensori e vere e proprie stanze di controllo, come la Smart Control Room di Venezia, per monitorare in tempo reale le persone presenti sul territorio, i loro spostamenti e - se serve - anche identificarle in tempi brevissimi.

238305Smart Control Room

Alcuni comuni italiani, come Como, hanno anche già sperimentato con la videosorveglianza biometrica (riconoscimento facciale). La particolarità di questi sistemi è che possono “riconoscere” il nostro viso e identificare le persone in tempo reale confrontando le immagini acquisite con dati presenti in database a disposizione dei comuni e delle forze dell’ordine. I sistemi di riconoscimento facciale sono naturalmente soggetti a errori, anche dovuti a variabili ambientali. Ad esempio, una delibera del comune di Udine (altra città che vorrebbe installare riconoscimento facciale) afferma chiaramente che i cittadini dovrebbero essere collaborativi e non nascondere il loro viso con cappelli, occhiali da sole o sciarpe.

Ma la sorveglianza fisica è quella delle stazioni, degli aeroporti e delle frontiere, che ormai si sono trasformati in hub per la raccolta di dati e sorveglianza di massa di qualsiasi passeggero e immigrato. Basta pensare che attraverso il codice PNR le autorità aeroportuali conoscono in tempo reale chi siamo, dove andiamo e - con algoritmi creati appositamente - quale possa essere il nostro rischio terrorismo.

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La sorveglianza digitale


La sorveglianza digitale è quella cosa che ci ha fatto scoprire Edward Snowden nel 2013. Grazie alla divulgazione di migliaia di documenti top secret della NSA abbiamo conosciuto i programmi PRISM e TEMPORA, con i quali l’alleanza di intelligence 5 Eyes fu in grado di spiare a livello globale centinaia di milioni di persone, compresi cittadini europei (con l’aiuto del GCHQ, agenzia di intelligence inglese).

Dal 2013 a oggi le cose non sono migliorate, anzi! È notizia di questi giorni che una piattaforma chiamata Augury sia stata acquistata dall’apparato militare statunitense. Secondo alcuni articoli, la piattaforma sarebbe in grado di monitorare fino al 93% di tutti i dati e metadati che transitano su internet a livello globale, anche dietro protocollo https. Un esperto di cybersecurity ha commentato la notizia così: «è tutto, non c’è altro da catturare se non l’odore dell’elettricità».

Ma la sorveglianza digitale non è solo cosa di militari e intelligence. Come sapete bene, voi che mi leggete da quasi due anni ormai, Da tempo i nostri governi cercano di promuovere strumenti legali per la sorveglianza di massa delle comunicazioni.

Uno di questi è il regolamento Chatcontrol in UE, che con la scusa della lotta alla pedofilia promette di instaurare un regime di sorveglianza capillare e sistematica di ogni comunicazione, chat, email e social. Nessuno sarà escluso e tutti i contenuti delle nostre comunicazioni (testo e immagini) saranno monitorati e valutati dai fornitori di servizi. In pratica, l’UE ha deciso che siamo 450 milioni di potenziali pedofili. Bambini compresi, ovviamente - mica sono esclusi da questa sorveglianza.

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Oggi dobbiamo partire dal presupposto che ogni cosa che diciamo e facciamo online viene monitorata e valutata da migliaia di persone e algoritmi di vario tipo e potrebbe essere usata contro di noi.

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Sorveglianza finanziaria


La sorveglianza finanziaria è un tipo particolare di sorveglianza digitale. Esistono diversi tipi di sorveglianza: antiriciclaggio, antiterrorismo, contro l’evasione fiscale. Cambia la forma, ma non la sostenza.

Dietro lo schermo della criminalità e del terrorismo gli stati possono giustificare qualsiasi tipo di ingerenza nei nostri comportamenti economici. Non c’è alcun limite. Ogni volta che paghiamo qualcosa con carta o bonifico le nostre transazioni sono esaminate e valutate da migliaia di algoritmi e persone che hanno un unico scopo: decidere in modo più o meno automatizzato se siamo potenziali criminali oppure no.

La questione è particolarmente preoccupante se pensiamo che alcune nuove normative antiriciclaggio per il settore “crypto” prevedono espressamente di valutare come fattori di rischio le transazioni che arrivano da strumenti per la protezione della privacy, come sistemi di coinjoin o wallet privati (e quindi non-KYC).

Sia nella sorveglianza fisica che quella digitale e finanziaria, la privacy viene sempre più vista come un elemento di fastidio e un fattore di rischio, a vario titolo.

La sorveglianza finanziaria però è particolarmente insidiosa perché ha una stretta correlazione con la censura politica. Pensate che proprio lunedì, dopo il mio intervento, una ragazza mi ha fermato per parlarmi della sua organizzazione noprofit, a cui Stripe ha bloccato i conti per motivi ignoti (probabilmente perché per motivi umanitari hanno a che fare con la Siria). Migliaia di associazioni e persone ogni anno vengono censurate senza alcuna motivazione esplicita. Bloccare un conto corrente significa mettere a rischio la loro sopravvivenza.

Le cose si fanno ancora più cupe se guardiamo al futuro della moneta, cioè alle CBDC. Ne ho parlato molto qui su Privacy Chronicles1, quindi mi limiterò a dire che con l’euro digitale non solo ogni transazione sarà monitorata e analizzata più di adesso, ma sarà anche possibile programmare il modo in cui possiamo usare e spendere i nostri soldi.

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La censura non sarà quindi un elemento esterno, un’ingerenza politica come ora, ma una vera e propria funzionalità della nuova moneta digitale di stato.

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Sorveglianza ambientale


La sorveglianza ambientale è l’ultima frontiera della sorveglianza e dell’ideologia del sacrificio per il bene comune. Ci sono diversi spazi di sorveglianza, da quella sugli spostamenti (come proposto da Fridays for Future e comune di Milano) fino alla sorveglianza pervasiva sulle nostre azioni e transazioni per valutare il nostro impatto ambientale, come se fossimo merce.

Ne ho parlato recentemente, quindi vi rimando all’ultimo articolo sul tema per saperne di più:

Cittadini codici a barre


Il paradigma che caratterizza il rapporto tra stato e cittadini si è completamente ribaltato.

Una democrazia in salute dovrebbe prevedere la totale trasparenza dello stato e dei suoi processi interni, così da essere controllabile dai cittadini. Invece, oggi si chiede trasparenza ai cittadini come condizione di cittadinanza: siamo chiamati a trasformarci in codici a barre con le gambe; essere immediatamente e sistematicamente scansionabili e controllabili da uno stato sempre più lontano e sempre più zeppo di processi decisionali automatizzati oscuri (anche attraverso i suoi organi esterni, come il sistema bancario).

Ayn Rand diceva che ci sono due idee alla base di ogni totalitarismo: la rinnegazione della ragione a favore della fede e la rinnegazione dell’interesse personale a favore del sacrificio personale.

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Lo statalismo e la sorveglianza di massa per me sono una forma di fede verso uno stato tecnocratico e totalitario, che con sorveglianza, identità digitale e social scoring è pronto a rivendicare i nostri dati e le nostre esperienze, per controllare e manipolare i nostri comportamenti.

Questo Dio-stato tecnocratico ci chiede, con ogni pretesto possibile, di sacrificare volontariamente i nostri valori più importanti, vita, proprietà, libertà, privacy… per ottenere in cambio una parvenza di sicurezza e una catena al collo sempre più stretta e corta.

I pochi, fuori da questo perverso sistema sacrificale, che pretendono il rispetto della loro libertà e privacy sono mal visti dai concittadini virtuosi senza nulla da nascondere - pronti a condannarli ed escluderli dalla società a fronte del peccato più grande di tutti: rifiutarsi di sacrificare la propria vita per servire la “collettività”.

Ecco, io credo che sia arrivato il momento di valutare una nuova visione di esistenza umana, fondata su una moralità individualista che abbia al centro libertà e ricerca della felicità, al riparo da ingerenze arbitrarie.

Una moralità fondata sull’interesse personale e sulla ragione, non sul sacrificio personale. Dobbiamo riconoscere e affermare che nulla giustifica il sacrificio di privacy e libertà; neanche il terrorismo, la guerra o i crimini più efferati. Dobbiamo contestare l’idea della sorveglianza di massa come strumento per ottenere sicurezza. La sorveglianza indiscriminata non risolve alcun problema e non è uno strumento di prevenzione del crimine. E anche se lo fosse, non sarebbe comunque giustificabile.

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La Privacy Week è un evento ambizioso che ho voluto anche per portare questi temi al grande pubblico. Siamo solo alla seconda edizione ma anche grazie a tutti voi posso dire che è la strada giusta.

La settimana continua fino a venerdì sera, da Milano per chi vorrà passare a seguire gli eventi dal vivo e fare due chiacchiere; altrimenti in streaming su www.privacyweek.it.

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Grazie Panetta, non compro niente, CBDC, Bitcoin, privacy e libertà (intervista con Gianluca Grossi), Moneta digitale di Stato, poteri illimitati e sorveglianza finanziaria



Sinistrati


Batosta meritata La vittoria della destra non è solo la sconfitta della sinistra, ma il suo vuoto, il suo avere perso tempo a indicare i guasti, passati e presenti, degli avversari, senza buttare sulla bilancia il peso di proposte e idee per il presente e

Batosta meritata


La vittoria della destra non è solo la sconfitta della sinistra, ma il suo vuoto, il suo avere perso tempo a indicare i guasti, passati e presenti, degli avversari, senza buttare sulla bilancia il peso di proposte e idee per il presente ed il futuro. Si sono votati alla sconfitta con tale voluttà da avere cominciato a regolare i conti prima ancora del voto.

Tutto, pur di non farli con la propria identità. Talché oggi la sinistra è percorsa da istinti sinistri ed è popolata da sinistrati. Siccome la democrazia funziona se sono spendibili e vive sia la maggioranza che l’opposizione, e siccome è nella sconfitta che ci si rimodella, quello di sinistra è un fronte che deve interessare tutti.

I due sconfitti sono Letta e Salvini. Il primo perché isolato, il secondo perché ridimensionato. I due, però, hanno in comune un dato politico rilevante e trascurato, che metto all’origine della rovina: sono stati decisivi per l’approvazione della riforma costituzionale che ha tagliato il numero dei parlamentari. Salvini perché era al governo con i 5 Stelle e consentì la maggioranza.

Letta perché fece la stessa cosa, dopo che il Pd aveva votato contro, una volta trovatosi al governo con Conte. Andavano a rimorchio del populismo. Se a sinistra avessero avuto memoria di Pietro Nenni si sarebbero ricordati che <<c’è sempre uno più puro che ti epura>>. In questo caso: c’è sempre uno più demagogo che ti frega. Difatti.

Il Pd provò a coprirsi, ponendo come condizione la riforma del sistema elettorale. Ma, a parte che quel sistema lo ha voluto il Pd, era una condizione posta al vento e nessuno se ne è curato.

Se si guardano i risultati del proporzionale ci si accorge che la destra non ha la maggioranza, anche perché non ha aumentato i voti. Stravince, invece, grazie a quella legge elettorale e a quella riforma costituzionale. Il Pd s’è confezionato la sconfitta con le proprie mani.

Ora sembra rintronato. Non si può dire, come pare sia riuscito a fare Letta: il prossimo segretario sia una donna. Credono sul serio sia quello il problema? È la linea politica. Dopo la sconfitta la sinistra può fare all’inglese: si radicalizza, così garantendosi l’entusiasmo degli adepti è la sicurezza di non vincere mai più.

Oppure riconosce che non esiste più il mondo in cui si tenevano assieme Giorgio Amendola e Pietro Ingrao (come non esiste più quello che teneva assieme Amintore Fanfani e Giulio Andreotti) e si decide a non avere paura dell’avversario a sinistra, ma dell’inesistenza al centro. Perché anche domenica scorsa ha vinto lo schieramento che aveva un puntello al centro, senza il quale non avrebbe vinto.

Se la sinistra è considerata la casa dei ricchi e dei centri cittadini lussuosi, a parte che la destra ha vinto anche in quelli, non è perché s’è dimostrata riformista e non rivoluzionaria, ma perché appare conservatrice e rispettosa dei privilegi. L’ideologia vuole l’assalto al ricco, il pragmatismo vuole quello all’evasore fiscale. Ricchi immobili accatastati a cavolo compresi.

Ma su quello sbracarono, non hanno saputo inchiodare la destra, non sono stati capaci di raccontare quanto nuoce ai meno protetti. Lasciare alla destra il tema delle separazione delle carriere, fra procuratori e giudici, è il segno di una frana culturale. E morale.

Non serve inseguire i voti persi nel mondo del lavoro, serve affermare che i salari devono crescere al crescere della produttività, sgravandoli di privilegi regalati ad altri. La difesa corporativa degli insegnanti che non insegnano è conservazione della scuola che non funziona, mentre la meritocrazia è promessa di riscatto per chi parte in svantaggio.

Tagliare la spesa corrente improduttiva è promessa di sicurezza per i risparmi, alimentarla con nuove tasse (come follemente proposto) è taglieggiamento. La sinistra ha perso perché s’è persa, come l’Asino di Buridano, e meritava di perdere.

Che non significa la destra meritasse di vincere, ma se si vuole uscire dalla morta gora occorre meritarsi qualche cosa di meglio. A dritta e a manca.

La Ragione

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#NotiziePerLaScuola

Esami di Stato, indicazioni per gli Istituti professionali sulla redazione e lo svolgimento delle seconde prove del secondo ciclo delle scuole di nuovo ordinamento.

I dettagli ▶️ miur.gov.



Al via a Tivoli, alla presenza del Ministro Patrizio Bianchi, il Consiglio Nazionale dei Presidenti delle Consulte provinciali studentesche (CNPC).


Sostanza


Fine della propaganda, si passa alla sostanza. La vittoria va a Fratelli d’Italia, ma veniamo da vittorie anche più marcate (Pd renziano nel 2014, 5 Stelle nel 2018 e Lega nel 2019) dissoltesi nel nulla. Prima delle prossime scadenze elettorali, fossero a

Fine della propaganda, si passa alla sostanza. La vittoria va a Fratelli d’Italia, ma veniamo da vittorie anche più marcate (Pd renziano nel 2014, 5 Stelle nel 2018 e Lega nel 2019) dissoltesi nel nulla. Prima delle prossime scadenze elettorali, fossero anche municipali, si gioca la partita del passare dal prendere i voti al saper governare.

Siccome il governo sarà guidato da Giorgia Meloni, è lì che si deve concentrare l’attenzione. Ma la sostanza vale anche per l’opposizione. Le democrazie non corrono rischi se vince la destra o la sinistra, ma se perde la politica.

Prima sostanza, l’Unione europea. Qui l’effetto è paradossale, perché inseguendo un maggiore peso nazionale si realizza un perdita di peso politico. Dalle questioni economiche alla revisione dei trattati, dalla reazione all’invasione dell’Ucraina al mercato del gas, l’azione di Draghi, forte dell’esperienza in Bce, ha insidiato il ruolo del tandem franco-tedesco. Complice la debolezza tedesca. Se non si abbandona subito la prosopopea propagandistica e ci si marginalizza il problema non è cosa diranno di noi, ma che smetteremo di dire ad altri come indirizzare l’Ue.

Seconda sostanza, la politica estera. Meloni ha una marcata (e benemerita) posizione atlantista, ma talora pare volere fare il verso a quella del Regno Unito, nel rapporto diretto con gli Usa. Ma l’Italia non ha quella storia e il nostro peso è mediato dal rapporto Ue-Usa. O non c’è. Senza questa nettezza si torna alle derive mediterranee e si resta sguarniti nel caos ad Est e a Sud.

Da questo punto di vista Meloni è indebolita dagli alleati, perché uno è filorusso e anti europeo, mentre l’altro si dipinge come garante d’europeismo, ma sull’Ucraina è riuscito a dire delle oscenità. Molto dipenderà dal terreno economico.

Terza sostanza, i conti, appunto. Nel corso della campagna elettorale Meloni ha (meritoriamente) tenuto il punto sullo scostamento di bilancio, ovvero sul maggiore debito. Crosetto ha già chiesto a Draghi la collaborazione sulla legge di bilancio, cosa di ottima correttezza istituzionale, opposta alla volgarità dei vincitori che s’industriano a smontare quanto fatto dai predecessori.

Certo, a chiedere collaborazione sono gli oppositori di ieri, il che racconta molto di quel che è stato. Ma il tema non è solo la legge di bilancio, che deve essere pronta in un mese, bensì la condotta successiva. Qui si deve subito abbandonare la propaganda per gonzi, che finge il problema siano i “parametri” europei.

Quelli sono solo il riflesso della realtà, nonché la base su cui poggiano le difese di cui godiamo. Sarà sufficiente osservare quel che è capitato al Regno Unito, che ha un debito ben inferiore al nostro, dopo avere annunciato il taglio delle tasse a debito (si lasci stare Thatcher, che c’entra nulla): tassi in salita e sterlina che non hanno svalutato loro, ma direttamente il mercato. Svalutazione che li rende più poveri, non più esportatori. Nel 2023 i titoli del debito italiano da emettere o rinnovare si aggirano sui 200 miliardi di euro. C’è poco da fare gli spiritosi.

Nelle democrazie gli elettori sono sovrani. Nel decidere da chi essere rappresentati, ma non sono mica sovrani sul resto del mondo. Quello è un delirio. La realtà deve essere affrontata per quello che è, non per quel che si desidera. La qualità di una classe politica (anche d’opposizione) si misura dalla capacità di trasformare i consensi in forza realistica e operativa.

Se per raccoglierli si è detto qualche sproposito, perseverare non è coerenza, ma incoscienza. Se si usano i consensi per poterne avere altri, si perdono. Come è successo nei tre casi all’inizio ricordati. L’interesse comune di un Paese è che chi governa ci riesca, che sappia essere all’altezza. Supporre il contrario, sperare di rivincere per incapacità e fallimento altrui, è la morte della politica. Che nuoce gravemente alla salute delle democrazie. Illude che basti una mano di vernice, del proprio colore. Un’illusione che cade con l’intonaco.

La Ragione

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🔍 #PNRRIstruzione, quanto ne sai?

Nell’appuntamento di oggi con la nostra rubrica approfondiremo un altro degli investimenti del #PNRR, quello dedicato alla costruzione di 213 nuove scuole.



🏆 Si è conclusa con 23 medaglie di bronzo, 16 d’argento e 8 d’oro la XXII edizione delle Olimpiadi italiane di Informatica!

🌐 Questa edizione ha coinvolto 497 istituti scolastici e quasi 10.



Online il focus sui principali dati relativi alle alunne e agli alunni con disabilità.

Qui tutti i dettagli ▶️ miur.gov.it/web/guest/-/gli-al…



LibSpace con Giuseppe Benedetto – Analisi dei risultati elettorali


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Hello @Philipp Holzer , I am administrator of this instance and I am also moderator of an Italian mastodon instance.

I need to contact you urgently to report a user who is using your platform to scam other people!

Thank you and good day



6 Months of "agreement in principle", EU-US agreement in fact still missing


6 mesi di "accordo di principio", l'accordo UE-USA di fatto ancora non c'è 6 mesi fa, la Presidente della Commissione europea von der Leyen e il Presidente degli Stati Uniti Biden hanno annunciato un accordo "di principio" sui trasferimenti di dati tra l'UE e gli Stati Uniti. Ad oggi, non c'è ancora un accordo. (c) Christophe Licoppe, edited


noyb.eu/en/6-months-agreement-…




Agenda climatica? Sorveglianza e controllo, una distopia eco(in)sostenibile


Da Milano, ai Fridays for Future, fino ad arrivare al World Economic Forum. Così stanno costruendo le basi per un futuro ecosostenibile, ma inumano.

Tratto dalla newsletter di Matteo Navacci: Prima di cominciare con l’articolo di oggi vi ricordo che il 26 settembre inizia la Privacy Week 2022. Io avrò un intervento proprio il 26 alle ore 14:30. Se volete assistere dal vivo (a Milano) o da remoto in streaming, registratevi sul sito! Consiglio anche tutti gli altri giorni, ci sono centinaia di speaker per oltre 70 eventi, c’è qualcosa per tutti davvero!

Immagine/fotowww.privacyweek.it

Vi ricordo anche che ora Privacy Chronicles ha un suo 🎙️ canale Telegram: t.me/privacychronicles, vi aspetto!


L’agenda comun…ehm - climatica - è ormai a pieno regime, e purtroppo si porta dietro un tale carico di sorveglianza di massa e controllo sociale che anche i meno sensibili tra voi dovrebbero, forse, iniziare a preoccuparsi. I segnali, convergenti tra loro, sono ovunque - anche se sparpagliati e apparentemente separati l’uno dall’altro.

Come abbiamo imparato in questo tempo insieme, tutti i tasselli del puzzle però si incastrano perfettamente, anche se ora sembrano distanti tra loro. Eppure sarà solo questione di tempo prima che la figura sarà completa.

Oggi vorrei parlarvi di alcuni di questi tasselli di questo nuovo puzzle. Alcuni ci riguardano molto da vicino, altri invece arrivano da più lontano, ma con implicazioni dirette per tutti noi.

Mi riferisco a:

  • Move-In, la nuova sorveglianza di massa made in Milano, pensata appositamente per i poveri
  • La distopia finanziaria e totalitaria delle idee nell’agenda climatica di Fridays for Future Italia
  • L’agenda climatica del World Economic Forum, tra sorveglianza di massa e social scoring

Move-In, la sorveglianza di massa made in Milano


Cominciamo col primo. Dal 1° ottobre a Milano sarà vietato l’accesso in Area B ad autovetture a benzina Euro 1 e gasolio da Euro 0 a Euro 4 dalle ore 7:30 alle ore 19:30, ad eccezione di sabato, domenica e festivi.

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Basta! Contro la barbarie dell’alternanza scuola-lavoro


"L’alternanza scuola lavoro incarna l’idea che la scuola debba preparare al lavoro e non più alla vita, distruggendo così l’idea educativa di scuola. Visti gli esiti tragici, ad introiettare precocemente da parte degli scolari che si può anche morire di lavoro. Ma forse è proprio quello che si vuole ottenere: preparare al peggio i giovani."


L’obsolescenza degli smartphone e la raccolta massiccia di dati mettono in pericolo il futuro del digitale

Vorrei segnalare un altro articolo molto interessante pubblicato da Basta!, media francese indipendente e autofinanziato (se potete, sostenetelo da qui: basta.media/don):
“L’obsolescenza degli smartphone e la raccolta massiccia di dati mettono in pericolo il futuro del digitale” di Emma Bougerol:
basta.media/l-obsolescence-des…

Questo è il sommario che apre l’articolo:
“Dai minerali indispensabili per gli smartphone all'energia consumata dai data center, la tecnologia digitale ha un pesante impatto ecologico. Anche in questo caso la sobrietà è essenziale, ma non passa necessariamente dalla riduzione dell'uso di Internet”.

Qui sotto trovate una sintesi dei temi trattati, l’articolo è distribuito con una licenza Creative Commons BY-NC-ND 4.0 che non ne permette la traduzione.

L’articolo mette in evidenza alcuni dati dell’impatto della tecnologia digitale sull’ambiente: questa rappresenta in Francia il 10% del consumo di elettricità e il 2,5% dell'impronta di carbonio che sintetizzata in un’immagine piuttosto efficace è l’equivalente delle emissioni di CO2 di 12 milioni di automobili, che percorrano ciascuna 12.000 km all'anno.

L’articolo sottolinea poi come la valutazione dell’impatto ambientale debba tener conto di molteplici fattori: il consumo di tutti i dispositivi usati dagli utenti, ma anche i consumi della rete che trasporta questa enorme quantità di dati e interazioni e quello dei data center che li archiviano.

Il testo prosegue ricordando come la produzione dei terminali degli utenti, televisori, computer, smartphone costituisca la parte maggiore e più dannosa dell’impatto ambientale del digitale (esaurimento delle risorse, emissioni, consumo di energia, produzione di rifiuti).
Buona parte di questi danni ambientali colpiscono soprattutto i paesi in via di sviluppo in cui si estraggono i metalli preziosi e quelli in cui vengono scaricati i nostri rifiuti elettronici.
A questo aspetto si aggiunge l’esaurimento di alcuni minerali necessari per la costruzione dei dispositivi, ad esempio litio e cobalto per le batterie o il tantalio per i circuiti degli smartphone.
Anche in questo caso non è possibile pensare che la quantità di dispositivi prodotti possa essere infinita.


Un altro grave problema affrontato è quello dell’obsolescenza dei dispositivi: in Francia la vita media di uno smartphone è stimata tra i due e i tre anni, è chiaro che per ridurre l’impatto ambientale sarebbe necessario aumentare e non di poco la durata dell’utilizzo dei dispositivi, secondo un esperto dell’associazione GreenIT.fr si dovrebbe arrivare ad 8 anni per gli smartphone, 10-15 anni per i computer e 20 per i televisori.


La conclusione dell’articolo si apre con un titolo un po’ forte, "Eliminiamo il digitale ogni volta che è possibile” che però viene meglio articolato nelle righe successive: non si tratta di fermare del tutto lo sviluppo della tecnologia digitale, ma si tratta di optare per scelte “low tech” che pratichino anche alternative analogiche là dove disponibili. Questo processo non può essere un percorso individuale è fondamentale un intervento politico dello stato che deve regolamentare in qualche modo la vendita e la distribuzione dei prodotti digitali.

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Oscar, La Stranezza del palermitano Andò tra i 12 film italiani in gara per la candidatura


C'è anche il film "La Stranezza" del regista palermitano Roberto Andò, con protagonisti Toni Servillo e il duo pure palermitano formato da Salvo Ficarra e Valentino Picone nell'elenco delle 12 pellicole che concorreranno alla designazione del titolo candidato a rappresentare l'Italia nella selezione per la categoria International Feature Film Award dell'edizione numero 95 dell'Academy Awards, il prestigioso Premio Oscar.

gds.it/foto/cinema/2022/09/21/…



MATTEO COLOMBO (ASSO DPO) ‘SANITÀ DIGITALE, PER LA BANCA DATI SI ASCOLTI IL GARANTE PRIVACY’

Matteo Colombo, Ad di Labor Project e presidente di Asso DPO, analizza i motivi della doppia bocciatura da parte del Garante Privacy dei decreti sulla banca dati Ecosistema Dati Sanitari (EDS) e quello sul Fascicolo sanitario elettronico (Fse).

Il Garante Privacy ha recentemente bocciato i decreti sulla banca dati Ecosistema Dati Sanitari (EDS) e quello sul Fascicolo sanitario elettronico (Fse). Abbiamo chiesto un parere al riguardo a Matteo Colombo, Ad Labor Project e presidente di Asso DPO.

privacyitalia.eu/matteo-colomb…

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Un biglietto per il Metaverso


A Palermo, a Palazzo Reale il futuro è già arrivato, dal 21 settembre, μετα Experience, uno spazio permanente tra arte e dimensioni parallele. Immersi nella dimensione dell'Infinity Room i visitatori potranno assistere alla smaterializzazione e materializzazione dei capolavori d'arte originali e scoprire come avviene la creazione dell'identità dell'opera provando il processo sulla propria pelle.

palermo.gds.it/video/cultura/2…



Palermo, da luogo di mafia a simbolo di riscatto: nel quartiere Cruillas una piccola oasi verde anche per le api


Il progetto Terra Franca nasce nel 2019, promosso dall'associazione Hryo, in un terreno confiscato a Cosa nostra. Obiettivo è restituire alla comunità un luogo naturale in un contesto cittadino che diventi vessillo di inclusione sociale e legalità.

Al suo interno, tra le altre cose, un apiario olistico e una serra della biodiversità.

Fonte notizia: Palermotoday



La leggenda del fantasma della Suora del Teatro Massimo di Palermo


Tra le tante leggende palermitane, non mancano le storie legate a fatti misteriosi, intriganti e suggestivi, come quella del 𝗳𝗮𝗻𝘁𝗮𝘀𝗺𝗮 della Suora del Teatro Massimo di Palermo. Pima della costruzione del Teatro furono demolite alcune strutture preesistenti tra cui la Chiesa di San Francesco delle Stimate, compreso il monastero ed il cimitero annessi, consistenti nella Chiesa di San Giuliano e la Chiesa di Sant’Agata che all’interno dei monasteri custodivano anche le tombe di suore, preti e di altri defunti. Secondo la leggenda palermitana, durante il corso dei lavori di demolizione, pare sia stata profanata la tomba di una suora e da allora la credenza popolare vuole che il suo 𝗳𝗮𝗻𝘁𝗮𝘀𝗺𝗮 infesti il Teatro.


Palazzo Drago Airoldi di Santa Colomba sorge su preesistenze arabe e romane, si trova a Palermo nel tratto superiore del Cassaro, compreso tra i Quattro Canti e il Palazzo Reale, il luogo più prestigioso dell'intero asse viario, corrispondente all'antica Neapolis, dove sorgono molti dei più importanti palazzi nobiliari palermitani.
Video



Eppur si muove! Qualche alternativa al dominio dei GAFAM nel mondo della scuola.

Su Basta!, un media indipendente francese, un articolo molto interessante che fa il punto sulle alternative ai #GAFAM che stanno crescendo in alcuni paesi europei (Francia, Germania e Spagna):
https://basta.media/profs-parents-d-eleves-et-activistes-se-bougent-pour-liberer-l-ecole-des-Gafam

Insegnanti, genitori e attivisti si muovono per liberare la #scuola dalla morsa di Google e Microsoft

Particolarmente interessanti le affermazioni di Simona Levi, fondatrice di Xnet un'associazione catalana che si batte per la difesa delle libertà digitali e che ha realizzato DD (Digitalizzazione Democratica) una suite di strumenti digitali per l’istruzione: xnet-x.net/en/digital-democrat…

Per l'attivista Simona Levi, oggi è necessario fare pressione soprattutto sugli stati e sull’Unione Europea. “Se le grandi multinazionali della tecnologia sono state in grado di avere così tanto spazio nell'istruzione, è perché le istituzioni non si sono prese le proprie responsabilità."

“L'Unione Europea e i governi devono impegnarsi per una piattaforma europea libera per la digitalizzazione dell'istruzione. Per noi è immorale che la digitalizzazione dell'istruzione e dell'amministrazione in generale avvenga con mezzi che non garantiscono la sovranità dei dati dei cittadini. »

L’articolo ricorda anche Apps éducation, la piattaforma realizzata dal ministero dell’istruzione francese (l’Éducation Nationale) che mette a disposizione degli insegnanti una piattaforma di strumenti digitali liberi tra cui PeerTube, Nextcloud e BigBlueButton.
E naturalmente viene menzionato anche il ruolo che all’interno del ministero dell’istruzione ha assunto Alexis Kauffmann, fondatore di Framasoft, nella promozione del software libero.


Quando l'Éducation nationale assume il fondatore di Framasoft

@Scuola - Gruppo Fediverso
@Scuola



Ho deciso di scrivere qua, su questa piattaforma "intermedia" le mie considerazioni sulla discussione che si è scatenata a seguito di questo mio tweet:
twitter.com/chiaraepoi/status/…
Dopo 192 commenti, alcuni dei quali molto acidi e la solita schiera di fenomeni che sanno tutto loro ho deciso di chiudere i commenti perché mi sono stufata.
Cosa ho imparato da questa esperienza?
1) che la maggior parte delle persone sui social ha una scala di priorità che come minimo non coincide con la mia. Secondo me l'uso dei femminili nei nomi delle professioni, per quanto possa essere considerato importante, non può avere lo stesso peso delle discriminazioni (salariali e non) che le donne subiscono sul posto di lavoro.
2) che Twitter è pieno di fenomeni che credono di sapere tutto su tutto e non hanno l'umiltà di ammettere che al mondo ci sia qualcuno che ne sa più di loro (ma questo avrei dovuto saperlo prima)
3) che Twitter è pieno di gente che spara sentenze sulla gente che non conosce (e anche questo avrei dovuto saperlo)
4) che c'è un sacco di gente che non ha la minima idea dei problemi di discriminazione delle donne sul posto di lavoro (e non parlo solo di salario)
5) (e poi ho finito) che non so scrivere i curriculum, parlo di cose che non so solo perché esprimo quella che è chiaramente solo una mia opinione e che tutti lavorano in posti fantastici dove la parità tra i generi è una cosa acquisita e invece io in un posto di merda (e io che pensavo che la mia azienda fosse un po' meglio delle altre, pensate un po')
Chiudo qua questa cosa, pensando sempre di più che per vivere felici su Twitter bisogna scrivere solo frasi d'amore, mandare foto di gattini e al massimo far vedere ogni tanto le tette o il culo. Già se condividi il link a una canzone che ti piace parte la schiera dei puntacazzisti che hanno da ridire su quello che hai messo, figuriamoci.
Torno nel mio antro in silenzio, nei miei pensieri (perché io penso, anche se qualcuno non lo crede) e nelle cose che mi danno sicurezza e tranquilltà, anche perché credo di non essere più in grado di reggere uno shitstorm di questa portata.
in reply to Chiara R

io credo che dal momento in cui si accetta di esporsi con un pensiero su una qualsiasi piattaforma bisogna anche saper, purtroppo, sviluppare un certo distacco verso le considerazioni reiette. La troppoa libertà di parola che ci è stata data e che ci è sfuggita di mano ha portato a fenomeni come questi. Non vuol essere una giustificazione questo pensiero, solo una considerazione personale. Io tendo ad osservare e a percepire questi eventi con distacco dopotutto


Fr.#09 / b a n k r u n


Nel frammento di oggi: la corruzione del sistema bancario e le sue vittime / Lo stato socio occulto dei rapporti umani / Vieni alla Privacy Week 2022? / Meme e citazione del giorno.

La corruzione del sistema bancario e le sue vittime


Il sistema bancario, che ormai ha perso ogni utilità reale, se non quella di cane da guardia e arma dello stato, miete sempre più vittime.

Una di queste vittime è una giovane amica di nazionalità russa, che in effetti ama l’Italia più di me. Purtroppo il suo passaporto contiene un dato, la sua nazionalità russa, che viene mal digerito dai sistemi informativi dei sistemi bancari italiani (ma probabilmente vale lo stesso per molti paesi dell’Europa dei diritti). Per questo, diverse banche, in ultimo Unicredit, si rifiutano di aprirle un conto corrente.

Un’altra vittima del sistema bancario, di cui leggo su twitter, scrive ieri:

Oggi in banca mi hanno detto che chiuderanno la cassa a fine settembre.Rimarrà aperta solo in sede centrale a Firenze, se voglio prelevare solo da bancomat con le mie carte. Immagino già quando si spengeranno i bancomat per mancanza di energia. Controlli i miei soldi controlli tutto.

Ebbene sì, amico di twitter, chi controlla i tuoi soldi (che non sono tuoi, e neanche esistono, ma questa è un’altra storia) controlla tutto: la tua vita, le tue relazioni, la tua capacità di pensiero e di azione. Perdere la capacità di usare il contante equivale a perdere quel pizzico di capacità di controllo sulla moneta che ci rimane.

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E ancora, sempre ieri apprendo di una donna libanese costretta ad entrare in banca con una pistola, nel disperato tentativo di ricevere i “suoi” soldi in un paese in cui l’inflazione è ormai iper-inflazione e dove la moneta ha perso più del 95% del suo valore dal 2019 a oggi.

Che fare allora, quando dati come la nazionalità o l’etnia vengono usati contro di te dall’intero sistema bancario? Che fare quando il sistema bancario rimuove progressivamente ogni mezzo per detenere un minimo di controllo e possesso fisico sui tuoi soldi? Che fare quando, a causa delle politiche delle banche centrali e dei governi criminali, il potere d’acquisto della tua moneta viene annientato1 nel giro di qualche decade o pochi anni, costringendo la società intera a modificare completamente le sue preferenze temporali e modo di vivere?

Purtroppo non esiste e non potrà mai esistere una soluzione politica. La salvezza non è nella collettività o nello stato, solo la dannazione. È lo stato, di ogni tempo e ogni luogo, che continuamente usa il suo monopolio sulla moneta come arma contro i suoi nemici e cittadini (stessa cosa). È lo stato che svaluta appositamente la moneta, attraverso l’inflazione, per erodere il patrimonio dei cittadini e diminuire il carico del debito sulle sue spalle.

La soluzione non può che essere individuale; non arriverà nessuno a salvarvi. Uscire dal sistema bancario, slegarsi dalle catene monetarie di stato e usare Bitcoin, come moneta libera, privata, incensurabile, trasparente e accessibile a chiunque in ogni momento. Al protocollo Bitcoin non interessa la tua nazionalità. Il protocollo Bitcoin non detiene in ostaggio i tuoi soldi, sei tu la tua banca.

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Lo stato socio occulto dei rapporti umani


In questi giorni è uscito un nuovo libro di Daniele Capezzone, “Bomba a orologeria: L'autunno rovente della politica italiana” in cui cita alcuni estratti di due miei articoli usciti su Atlantico Quotidiano.

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Il contesto è quello di cui parla Privacy Chronicles: l’immoralità dell’ideologia collettivista e statalista, che porta allo sviluppo e accettazione di politiche liberticide, contro la privacy, proprietà e contro la libertà di autodeterminazione degli individui.

Qui i due articoli da cui sono stati presi gli estratti:

E qui invece un articolo a cui sono particolarmente affezionato, in cui cerco di spiegare l’ideologia collettivista e il ruolo degli intellettuali nel creare masse di zombie disposte ad accettare qualsiasi cosa.

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Vieni alla Privacy Week 2022?


Parlando ora di cose belle, fra esattamente 11 giorni inizia la Privacy Week 2022. Un evento organizzato da me e molte altre persone.

Cinque giorni (26-30 settembre) in cui si parlerà di privacy, sicurezza dei dati, Bitcoin, intelligenza artificiale e tanto altro con più di 100 speaker e dozzine di tavole rotonde, interviste, dibattiti e approfondimenti.

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L’evento si terrà a Milano in Cariplo Factory presso BASE Via Bergognone, 34.

Il 26 settembre alle 14:30, subito dopo l’apertura, parlerò anch’io. Se sei di Milano, perché non passi a trovarci? Cerca sul sito www.privacyweek.it gli eventi o le giornate che ti piacciono di più e registrati, ti aspettiamo!

Meme del giorno


238313Attenzione: non è un meme… è stato hackerato il profilo del Ministero e hanno iniziato a spammare news sul merge verso Proof of Shitcoinery di quello scam chiamato Ethereum.

Citazione del giorno


I don't believe we shall ever have a good money again before we take the thing out of the hands of government, that is, we can't take them violently out of the hands of government, all we can do is by some sly roundabout way introduce something that they can't stop.

- Friedrich A. Hayek (on Bitcoin)


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Leggi gli altri Frammenti

1

L’euro ha perso più del 50% del suo valore dal 2001 a oggi. Il dollaro più del 68%. La sterlina inglese ha perso più del 99% del suo valore durante tutto il regno della Regina Elisabetta.



Torna feroce l’austerità europea contro i lavoratori e i poveri


"Ma soprattutto la decisione della BCE annuncia il ritorno ai patti di stabilità che distruggono la civiltà. Il commissario Gentiloni infatti ha già annunciato che gradualmente si tornerà ad essi e che in ogni caso paesi come l’Italia dovranno cominciare a mettersi a posto coi conti. Cioè a tagliare ancora servizi pubblici e sociali. Mentre si aumentano le spese militari. Come sta già facendo Draghi, che di questa politica di austerità europea e guerra americana è il primo rappresentante in Italia."

contropiano.org/news/politica-…



Internet e social: la dose giusta per gli adolescenti. Il post di Carlo Venturini sull'Almanacco della Scienza


INTERNET E SOCIAL: LA DOSE GIUSTA PER GLI ADOLESCENTI. IL POST DI CARLO VENTURINI SULL'ALMANACCO DELLA SCIENZA

Sabrina Molinaro dell’Istituto di fisiologia clinica e Giorgia Bassi dell’Istituto di informatica e telematica del Cnr spiegano perché è importante che gli adolescenti riducano il tempo trascorso in Rete, utilizzando Internet e i social network. E fondamentale è anche il ruolo dei genitori, che vanno coinvolti nell’educazione digitale

almanacco.cnr.it/articolo/5149…

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La matematica non serve a niente. Tranne che per...


Ho incontrato su TW il poster che trovate qui sotto, creato dal laboratorio di matematica Raphael Salem dell’università di Rouen, per scaricarlo in formato .pdf: https://sorciersdesalem.math.cnrs.fr/Posters/PosterLesMathsCaSertARien.pdf

Fa parte di una bella raccolta di poster di argomento matematico che trovate qui:

https://sorciersdesalem.math.cnrs.fr/Posters/posters.html

È pubblicato su una pagina che si intitola “Les Sorciers de Salem” con un gioco di parole che allude alle streghe (sorcières) di Salem.

Nel sito c’è anche una pagina con una versione interattiva del poster che rimanda all’approfondimento di alcuni degli usi della matematica (in francese):

sorciersdesalem.math.cnrs.fr/S…

Qui sotto la traduzione del testo contenuto nel poster.

La matematica non serve a niente.
Tranne che per..

Comprendere il corso delle stelle
Fare previsioni del tempo
Misurare il mondo
Suddividere in modo equo
Proteggere i nostri segreti
Trovare il percorso più breve
Ascoltare la musica
Costruire ponti
Decifrare i big data
Evitare gli ingorghi
Diagnosticare e curare in modo più efficace
Organizzare una rete di comunicazioni
Navigare in Internet
Sviluppare l'intelligenza artificiale (e la nostra)
Fotografare le farfalle
Decodificare il DNA
Anticipare gli effetti del caso
Rilevare e correggere gli errori
Modellizzare lo scioglimento dei ghiacciai
Immaginare altri universi
Meravigliarsi per la bellezza dei frattali
Migliorare le prestazioni sportive
Far volare gli aerei
Valutare le nostre possibilità di vincere alla lotteria
Adattare una ricetta al numero di ospiti
Ottimizzare... Analizzare... Decidere... Stimare... Creare... Giocare... Esplorare… Simulare... Calcolare… Vedere... Disegnare... Argomentare...Difendere... Programmare... Esprimere....



PROVA AD ASCOLTARE LA MUSICA CON UN DIVERSO APPROCCIO: DIVENTA UN NOSTRO COLLABORATORE


PROVA AD ASCOLTARE LA MUSICA CON UN DIVERSO APPROCCIO: DIVENTA UN NOSTRO COLLABORATORE

Crescere, in tutti i sensi, è di per sé un fatto positivo ma qualche problema in fondo lo crea sempre.

Così come per le mamme, che devono che devono costantemente rinnovare il guardaroba dei figli per adeguare l’abbigliamento al loro sviluppo fisico, anche per In Your Eyes la costante crescita di contatti riscontrata negli ultimi anni comporta il dover affrontare un “piacevole” problema: quello di far fronte alle numerose richieste di recensione che ci pervengono ogni giorno.

Come sapete, noi non ci poniamo limiti di genere per cui, se su alcuni siamo abbastanza coperti, su altri facciamo oggettivamente fatica a prendere in carico tutto il materiale.

Soprattutto per quanto riguarda l’elettronica, il rapporto tra il numero di dischi da recensire e quelli effettivamente soddisfatti è decisamente sfavorevole: è proprio qui che avremmo bisogno di nuova linfa, sotto forma di qualcuno che, alla propria passione per la musica, voglia abbinare quella di rendere partecipi gli altri delle proprie sensazioni , ma è inutile dirvi che, anche se foste appassionati ed esperti di altri generi, saremmo comunque ben felici di accogliervi nella nostra famiglia.

Ovviamente non ci servono persone che vogliano intraprendere questa attività in maniera eccessivamente saltuaria e discontinua: il nostro target individuale si attesta attorno ad un minimo di 4-5 recensioni mese, comunque non molte se pensiamo che si tratterebbe di scriverne almeno una ogni settimana, senza contare che un appassionato (con la A maiuscola) almeno un’oretta al giorno per ascoltare musica la trova sempre e comunque.

Se pensate d’essere in grado di garantire ragionevolmente quanto richiesto, fatevi avanti, anche se non avete mai fatto alcuna esperienza del genere in passato; nel ricordarvi che tutti coloro che operano nella nostra webzine non ci guadagnano un centesimo e che la vera ricompensa è quella di intraprendere un hobby che consente di interagire direttamente con musicisti, etichette discografiche ed agenzie di promozione, vi invitiamo a scrivere all’ indirizzo

info@iyezine.com

Successivamente verrete contattati da chi si occupa della pianificazione e della pubblicazione dei contenuti, per entrare maggiormente nei dettagli della collaborazione.

Fatevi un regalo, provate a trasformare la vostra passione per la musica in qualcosa di ancora più stimolante …

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Lacrime di sangue (L’étrange couleur des larmes de ton corps) di Bruno Forzani e Hélène Cattet [2013]


Della coppia artistica Forzani-Cattet ero fermo al solo “Amer”, debutto sulla lunga distanza datato 2009, visto, tra l’altro, in un momento piuttosto confuso della mia vita, e quindi apprezzato meno del suo effettivo valore. Nei giorni scorsi, soffocato dalla canicola estiva, ho pensato che potessero essere maturi i tempi per una seconda possibilità, e mi sono scaricato “Lacrime di sangue”, il loro secondo lungometraggio.

!cinema_serietv

iyezine.com/lacrime-di-sangue-…

#cinema

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Instagram - La fiera della vanità

Grazie a un tweet di @Alexis Kauffmann, ho trovato su Arte questo documentario: “Instagram - La foire aux vanités” sulla nascita, l’evoluzione, l’enorme diffusione di Instagram, i meccanismi che ne regolano il funzionamento e l’impatto negativo che ha sui suoi utenti. Considerando anche il fatto del grandissimo numero di giovani che utilizzano questo social network (quasi tutti i miei studenti, ad esempio), il documentario offre, secondo me, diversi spunti di analisi di grande interesse.

C’è anche una versione in lingua originale con sottotitoli in italiano, la si trova qui: https://www.arte.tv/it/videos/095729-000-A/instagram-la-fiera-virtuale-delle-vanita/
Il documentario è disponibile in rete fino al 28.10. 2022.

Qui sotto, trovate la traduzione dell’introduzione alla versione francese, più completa e più chiara rispetto a quella italiana, nella versione in tedesco il titolo è ancora più esplicito: “Instagram – Il social network tossico”.

Lanciato poco più di dieci anni fa, il social network Instagram ha conquistato il mondo. Questa approfondita indagine analizza i meccanismi della sua ascesa e ne evidenzia gli effetti deleteri.
Due miliardi di utenti attivi al mese, 100 milioni di video e foto condivisi ogni giorno: lanciato nell'autunno del 2010, nel cuore della Silicon Valley, da Kevin Systrom e Mike Krieger, due studenti dell'Università di Stanford, il social network Instagram ha conosciuto un'ascesa fulminante. Sfruttando lo sviluppo della fotografia mobile, l'applicazione, inizialmente pensata per modificare (grazie ai suoi famosi filtri) e condividere le foto, ha rapidamente attratto le celebrità e attirato l'attenzione dei giganti digitali.
Nel 2012 Mark Zuckerberg, a capo di Facebook, ne ha intuito il potenziale commerciale e l'ha acquistata per l'incredibile cifra di un miliardo di dollari. Due anni dopo, lsul sito è comparsa a pubblicità, portando a un'esplosione dell'influencer marketing. Da quel momento in poi i marchi si sono rivolti alle personalità più seguite per promuovere i loro prodotti. Le star con milioni di abbonati, come Cristiano Ronaldo o Kim Kardashian, guadagnano cifre astronomiche, mentre in fondo alla gerarchia, soggetti a una concorrenza spietata, i "nano-influencer" si accontentano di contratti pagati in natura o di benefit promozionali.
Trasformata in un gigantesco centro commerciale, la rete dà in pasto ai suoi utenti visioni modificate della realtà, con corpi giovani e svestiti, luoghi turistici che vengono immediatamente fpresi d’assalto e immagini di cibo esteticamente gradevoli, etichettate come "food porn". Conseguenze: la chirurgia estetica tra i giovani è in aumento, facendo arricchire professionisti senza scrupoli, mentre l'ansia e la depressione aumentano in modo preoccupante tra gli adolescenti, che sono particolarmente permeabili a questi ideali standardizzati.

La tirannia
Messa sotto accusa per i suoi eccessi, Instagram ha tuttavia trovato una seconda possibilità durante la pandemia, diventando un luogo per l'espressione artistica, l'intimità e le lotte delle minoranze. Partendo dalla sua nascita fino alla sua recente evoluzione, l’autore, Olivier Lemaire (Le musée et le milliardaire anticonformiste, Let’s Dance) si avvale di una serie di testimonianze (l'influencer Maya Borsali, il "Dr. Miami", chirurgo star dei social network, il sociologo Dominique Boullier e Sarah Frier, autrice di No Filter: The Inside Story of Instagram, oltre alle famiglie di adolescenti vittime di questa tirannia delle immagini) per decifrare l'influenza di una rete che plasma le nostre vite, sconvolge la nostra economia e ridisegna il nostro rapporto con la realtà, spesso in peggio.
Diretto da: Olivier Lemaire
Paese: Francia
Anno: 2022

@informapirata :privacypride: @Le Alternative @maupao @Scuola - Gruppo Fediverso

in reply to MAD7

@MAD È già in grassetto all'inizio del post: arte.tv/it/videos/095729-000-A…
@MAD7

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La crisi del sistema politico: parlamentarismo, ordoliberismo, tecnocrazia | La Fionda

"La crisi del sistema politico non investe solo il parlamentarismo o la tenuta delle istituzioni; sono piuttosto i rappresentati, le classi sociali meno abbienti i soggetti maggiormente colpiti dall’ordoliberismo e da una democrazia plasmata sui principi tecnocratici."

lafionda.org/2022/09/04/la-cri…



Confessioni di una maschera “Il crepuscolo degli Dei”


Pensare che qualcuno ancora non è riuscito a capire la differenza che c’è tra i social network e la realtà, è un qualcosa che mi annichilisce, sotto tutti i punti di vista. Non è ancora stato creato un antidepressivo in grado di aiutarmi a rialzarmi dalla catatonia che mi assale ogni volta che realizzo quanto sia radicata l’idea che i due contesti siano sullo stesso piano.

In queste giornate estive l’idea che si possa anche solo pensare di fare politica attraverso la rete, e in particolare, anzi, in maniera quasi esclusiva, grazie ai social network, mi fa capire una volta di più come mai la situazione sociale italiana sia inevitabilmente indirizzata verso un tracollo che, per certi versi, mi spingo a considerare, pur se a malincuore, meritato. Toccando il fondo, come forse mai in passato, riusciremo finalmente a capire che c’è un mondo oltre lo schermo dei nostri cellulari, e che questo mondo è infinitesimamente distante da quello dorato dei social network? Ho ancora forti dubbi in merito, ma una piccola speranza la conservo.

iyezine.com/confessioni-di-una…


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