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Dal Pianeta Terra allarme per l’Amazzonia futura savana


“Ambiente e sviluppo sostenibile sono due parole che col tempo stanno perdendo di significato, se ne fa uso in maniera vaga: la questione fondamentale è l’alfabetizzazione, cioè rendere evidente a tutti il problema che stiamo vivendo, fornendo le chiavi e gli strumenti per comprendere beneche si tratta del più grave problema che l’umanità abbia avuto […]

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Il Presidente Giuseppe Benedetto ospite a “Start” su Sky TG 24 l’11 ottobre 2022


L’11 ottobre 2022, a partire dalle ore 10.30, il nostro Presidente Giuseppe Benedetto è stato ospite di Roberto Inciocchi a “Start” su Sky TG 24. L'articolo Il Presidente Giuseppe Benedetto ospite a “Start” su Sky TG 24 l’11 ottobre 2022 proviene da Fond

L’11 ottobre 2022, a partire dalle ore 10.30, il nostro Presidente Giuseppe Benedetto è stato ospite di Roberto Inciocchi a “Start” su Sky TG 24.

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REPORTAGE. Tra uliveti e “terra di nessuno”: i lavoratori migranti nella Sicilia occidentale


Come i media stranieri riferiscono la condizione disumana in cui in molti casi sono tenuti i migranti africani in Sicilia. Il racconto illuminante di Emma Wallis in questo reportage pubblicato da Infomigrants. L'articolo REPORTAGE. Tra uliveti e “terra d

di Emma Wallis, articolo pubblicato il 7 ottobre 2022 da Infomigrants* (infomigrants.net/en/)

(foto screenshot da TG RAI regionale)

(traduzione dall’inglese a cura di Pagine Esteri)

Pagine Esteri, 11 ottobre 2022 – Negli ultimi dieci anni il campo migranti di Campobello di Mazara, nella Sicilia occidentale, è diventato una “terra di nessuno insalubre”. Le autorità regionali dicono che è così pericoloso che anche la polizia non va lì. InfoMigrants ha dato un’occhiata all’interno.

Per arrivarci è necessario guidare ad ovest dal capoluogo Palermo, verso le città di Trapani e Mazara del Vallo. Fuori dalle strade principali, lungo viuzze ventose e piene di buche, attraverso città povere, dall’aspetto quasi abbandonato, costituite da tetti piatti, abitazioni a un piano, tende sbrindellate che soffiano nella brezza serale, ci sono i resti di un cementificio abbandonato.

Da un lato della strada ci sono uliveti e dall’altro cumuli di rifiuti, accatastati più in alto di un’auto. Bottiglie di plastica per lo più, pacchetti vuoti, barattoli di latta arrugginiti e mosche. Mentre ci avviciniamo all’ingresso di questo insediamento, alcuni giovani dell’Africa subsahariana osservano la strada. La loro pelle sembra gessosa e callosa, le spalle accasciate, i vestiti impolverati ea volte strappati.

È qui nella Sicilia occidentale che un campo informale si riempie ogni anno di centinaia, a volte più di 1.000 lavoratori migranti, per lo più dall’Africa subsahariana, che vengono a raccogliere. Per molti in Sicilia, questo luogo è diventato una “terra di nessuno”.

“Anche la polizia non ci va”

Il capo dell’Ufficio regionale siciliano per l’immigrazione, Michela Bongiorno e la sua squadra, affermano che può essere pericoloso entrarvi. “Non si entra da soli”, avvertono, “anche la polizia non entra”. Fanno in modo da farci incontrare i mediatori culturali e traduttori locali Jonny Affun, Albert Kalenda Kabongo e Simona Scovazzo vicino al campo per aiutarci ad accedere. Bongiorno descrive le condizioni lì come “disumane” e riferisce che all’interno si svolgono spaccio di droga e attività mafiose.

“Non c’è luce né acqua. Immagina le grandi difficoltà che stanno affrontando [i migranti]. È molto difficile, è un’area abbandonata dove nessuno ha il controllo”, spiega Jonny, un traduttore nigeriano, arrivato lui stesso come migrante dal Mediterraneo circa 16 anni fa.

E’ fine settembre, la raccolta delle olive si avvia ai primi di ottobre. I residenti del campo hanno iniziato ad arrivare. In fondo a un vicolo, dietro i mucchi di spazzatura sul davanti, si apre una specie di viottolo, fiancheggiato da poltrone abbandonate e vecchi sedili per auto. Alcuni uomini siedono tra loro mentre i cani randagi vagano intorno. Un uomo sta cucinando su un fuoco aperto, una grande pentola di metallo in equilibrio sopra le fiamme. La cenere vola nella brezza e il fumo oscura le dimore sbrindellate fatte di pezzi di legno abbandonati, lamiera ondulata e vecchi muri fatiscenti.

Leader autoproclamati

Al comando sembrano essere due senegalesi in piedi vicino al fuoco. Non vogliono essere registrati o filmati e non ci lasciano parlare con nessun altro prima che abbiano deciso se possiamo restare. L’ostilità è palpabile. L’anno scorso, alla fine di settembre, un incendio ha squarciato una parte del campo, provocando la morte di un giovane lavoratore migrante di nome Omar Baldeh. Il suo corpo è stato trovato bruciato dove aveva dormito.

L’emittente statale italiana Rai è entrata nel campo quasi un anno dopo e ha chiesto a uno dei due sedicenti leader del campo cosa fosse cambiato da allora. “Niente. Semmai è peggiorato”, fu la sua risposta. “Siamo ancora noi qui, gente del Gambia, del Mali, del Senegal e dei tunisini. Vedi degli italiani che raccolgono le olive da queste parti?”

Olive raccolte a mano

Ogni anno circa 1.000-1.300 persone vengono nella regione per lavorare tra settembre e dicembre, raccogliendo le olive a mano per la raccolta. La maggior parte di loro proviene dal Mali, dal Senegal, dal Gambia, dal Burkina Faso, dalla Tunisia, dal Marocco, dal Pakistan e alcuni ora dal Bangladesh, spiega Simona Scovazzo, mediatrice culturale che sembra conoscere molti nel campo.

“Questa è una zona compresa tra due comuni, Castelveltrano e Campobello di Mazara, dove c’è una concentrazione di olivicoltura. Qui produciamo un’oliva speciale che può essere usata per l’olio extravergine di oliva e anche da mangiare come spuntino”. Ma Scovazzo, che da una decina di anni opera sul territorio, ammette dopo la giornata di lavoro gli uomini sono costretti a vivere in condizioni che sono un mondo a parte da questa industria gastronomica.

“All’interno del campo non ci sono servizi. Non c’è acqua corrente, elettricità, servizi igienici, quindi i ragazzi qui fanno del loro meglio”, dice. “Ad esempio, faranno bollire l’acqua e poi la distribuiranno attraverso il campo. Hanno costruito piccoli spazi doccia per questo e ci sono aree “toilette”. Di notte, accendono fuochi in modo che si possa vedere, poiché non ci sono luci all’interno il campo.”

Funzionano anche i generatori a benzina, che forniscono l’elettricità a un televisore per l’intrattenimento, dice uno dei capi del campo a InfoMigrants. Ma è stato un generatore a causare l’incendio anche nel 2021, spiega Jonny.

Nessun posto dove andare

Non tutti coloro che vivono nelle cementerie abbandonate hanno contratti di lavoro. Simona Scovazzo spiega che le persone finiscono qui per motivi diversi. “Alcuni di loro semplicemente non riescono a trovare un posto in affitto, quindi vengono qui. E non vengono forniti abbastanza posti ufficiali. Altri forse hanno avuto un permesso di soggiorno ma potrebbe essere scaduto e ora, senza un indirizzo, non sono in grado di rinnovarlo”.

Altri, aggiunge, si accampano per tutta la durata del raccolto in piccole tende vicino ai campi, ricoperte di plastica per proteggersi dalle frequenti piogge durante questa stagione. Anche se alcuni affermano di essere in possesso di documenti, dice Jonny Affun, la maggior parte degli uomini del campo sono costretti a rimanere lì perché non hanno uno status legale. “Cercano di sopravvivere lì (dentro la fabbrica di cemento abbandonata) perché la maggior parte di loro sopravvive senza documenti”, aggiunge. “Alcuni anni fa lì vivevano meno migranti, ma dopo le leggi Salvini (leggi sulla migrazione e sulla sicurezza approvate nel 2018 che hanno revocato alcune protezioni e reso più difficile in alcuni casi l’ottenimento dei permessi di soggiorno e di lavoro) molti di loro hanno perso i documenti e quindi non hanno altro posto dove andare”.

Nel frattempo, la situazione all’interno del campo peggiora di giorno in giorno, spiega Affun. “Si vede la quantità di rifiuti all’ingresso. Questo perché negli ultimi due anni non è passato nessuno a sgomberare. Quei ragazzi sono sempre arrabbiati, non vogliono parlare, sono stanchi, non hanno documenti, nessun posto dove andare, nessun posto dove lavorare. Anche alcuni di loro con i documenti lì dentro, non riescono a trovare un posto da affittare. Quando chiamano e chiedono se possono affittare una casa, i cittadini chiedono: “di dove sei?”. Quando rispondono “dall’Africa”, gli viene detto “non c’è una casa da affittare”. Quindi sono costretti a vivere in quello spazio”.

Affun pensa che le autorità debbano parlare di più con i lavoratori migranti per vedere cosa vogliono. “Molte di quelle persone che lavorano, non conoscono i loro diritti e un contratto di lavoro. È davvero importante dare informazioni e insegnare a queste persone i loro diritti fondamentali”.

Nuovi progetti

La regione siciliana sta cercando di fare qualcosa. La responsabile dell’ufficio per la migrazione, Michela Bongiorno, è stata impegnata con i comuni della Sicilia occidentale per prendere possesso dei terreni confiscati alla mafia e rilanciare i borghi marinari abbandonati dai residenti andati in città in cerca di lavoro.

Alcuni lavoratori migranti sono già ospitati in un centro di accoglienza SPRAR pulito a cinque minuti di auto da Campobello, e accanto ad esso sono state costruite anche 300 nuove cabine in collaborazione con l’Agenzia delle Nazioni Unite per i rifugiati UNHCR per ospitarne altri.

«Il problema dell’alloggio è davvero serio», dice Bongiorno. “I lavoratori stagionali che vengono per alcuni mesi dovrebbero poter vivere in condizioni igieniche, ma io sono contraria all’idea che questi campi esistano tutto l’anno. Se le persone vivono nella nostra regione per tutto l’anno, dovrebbero essere adeguatamente integrate. Ecco perché stiamo avviando nuovi progetti per farlo”.

Diritti per i lavoratori

Una nuova campagna, “Diritti negli Occhi”, mira a fornire un sistema di alloggi, trasporti e infrastrutture sponsorizzato dallo Stato affinché i lavoratori stagionali possano arrivare nei campi, vivere in luoghi igienici ed evitare lo sfruttamento. In precedenza, questi progetti erano offerti solo a chi aveva un permesso di soggiorno, ma si spera di offrire alloggi sanitari sicuri a tutti coloro che lavorano nella zona, al fine di spezzare la morsa dei contratti di lavoro abusivi e dello sfruttamento che alcuni agricoltori richiedono ai loro lavoratori e che alimenta questo ciclo di povertà e abusi.

Secondo TP24, un giornale online per la provincia di Trapani e la Sicilia occidentale, due progetti finiranno per migliorare la situazione, con un costo stimato di quasi 2,6 milioni di euro. Mirerebbero a costruire ostelli per i lavoratori stagionali e ad assicurare che tutti abbiano contratti di lavoro adeguati, anche se il tempo necessario per installarli “potrebbe essere lungo”.

Nel frattempo, dice Jonny Affun, la situazione per i lavoratori è desolante. “Alcune di queste persone lavorano dieci ore al giorno e percepiscono a malapena 30 euro di compenso. Quando finiscono la giornata sono davvero stanche, è quello che è successo al fratello guineano morto nell’incendio l’anno scorso. Era così stanco, si è addormentato e nel frattempo l’intero campo è andato a fuoco. Un altro incendio è accaduto anche quest’anno. Il governo è arrivato, parlano, parlano, ma non è stato fatto nulla. Finora non c’è una soluzione. È molto deprimente. Gli stessi incidenti accaduti allora potrebbero ripetersi di nuovo”. Pagine Esteri

Link dell’articolo in lingua inglese

*http://www.infomigrants.net/en/post/43809/between-olive-groves-and-no-mans-land-migrant-workers-in-western-sicily

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PETROLIO. Biden “deluso” dagli alleati sauditi, Riyadh resta amica di Putin


Negli Usa si sono convinti che l’Opec+, che ha tagliato la produzione di petrolio di due milioni di barili, e l'Arabia saudita si stiano progressivamente allineando alla Russia. Riyadh nega ma ripete che guarderà prima di tutto ai suoi interessi. L'artic

di Michele Giorgio –

Pagine Esteri, 11 ottobre 2022 – «Il petrolio non è un’arma e l’Arabia saudita non intende politicizzare questa risorsa». Prova ad allentare la tensione con Washington il ministro di Stato saudita per gli affari esteri, Adel al Jubeir, dopo il taglio annunciato dall’Opec+ della produzione globale di petrolio di due milioni di barili al giorno. Intervistato dalla Fox news, Al Jubeir ha fatto il possibile per smentire che il taglio sia avvenuto di concerto con la Russia, uno dei paesi associati all’Opec+. «Il petrolio, ai nostri occhi, è un bene importante per l’economia globale, in cui abbiamo un grande interesse», ha affermato il ministro saudita prima di ricordare i legami storici tra Washington e Riyadh. Ma le sue parole non bastano a stemperare la «delusione» profonda espressa qualche ora prima da Joe Biden che si sente tradito dal principale partner arabo. Il presidente americano ha reagito ordinando al Dipartimento dell’Energia di mettere sul mercato a novembre 10 milioni di barili dalla Strategic Petroleum Reserve (SPR), la più grande riserva mondiale di greggio, istituita nel 1975. Un passo che preoccupa alcuni esperti. La riserva di emergenza è già ai livelli più bassi dal 1984. Politico la scorsa settimana scriveva che Repubblicani e Democratici valutano diverse azioni, anche punitive, contro l’Opec+ ma appaiono tutte poco credibili.

Dopo il viaggio a Gedda di tre mesi fa che, tra le altre cose, aveva sancito la riconciliazione con il principe ereditario saudita Mohammed bin Salman – accusato di aver ordinato l’omicidio del giornalista Jamal Khashoggi-, Biden si attendeva da Riyadh una collaborazione più stretta, a cominciare dall’isolamento della Russia. E subito dopo il mantenimento di livelli elevati di produzione del greggio per contenere il costo del barile e dare una mano alle economie occidentali minacciate da un quadro energetico sempre più preoccupante per le conseguenze delle sanzioni contro il Cremlino. E invece i sauditi, di concerto proprio con la «nemica» Mosca, mentre gli Usa fanno di tutto per colpire Vladimir Putin, sono stati decisivi per il taglio della produzione. «Stiamo valutando una serie di alternative, ma non è ancora stata presa una decisione finale», ha affermato Biden, aggiungendo di non rimpiangere il suo viaggio in Arabia Saudita. «La mia visita non ha riguardato solo il petrolio, anzi era incentrata sulla stabilizzazione del Medio Oriente e di Israele», ha precisato per sottrarsi alle critiche che lo sommergono in queste ore.

Funzionari dell’Amministrazione Usa confermano che la Casa Bianca aveva fatto il possibile per impedire il taglio della produzione dell’Opec ed evitare che il prezzo della benzina negli Usa aumenti mentre si avvicinano le elezioni di medio termine e il Partito Democratico lotta per mantenere il controllo del Congresso. Biden il mese scorso aveva spedito in Arabia saudita Amos Hochstein, l’inviato speciale per l’energia, e il funzionario della sicurezza nazionale Brett McGurk per discutere di questioni energetiche e della decisione dell’Opec+. Non è servito ad impedire il taglio alla produzione del greggio. Stando alle indiscrezioni gli inviati statunitensi avrebbero cercato di mettere i sauditi di fronte a un aut aut: «noi o la Russia». La risposta del ministro dell’energia di Riyadh, il principe Abdulaziz bin Salman, è stata eloquente. «Ci preoccupiamo prima di tutto degli interessi del regno dell’Arabia saudita, quindi degli interessi dei paesi membri dell’Opec e dell’alleanza OPEC +». In poche parole: noi con Putin non rompiamo, continuiamo a collaborare e pensiamo solo a come evitare che l’economia saudita vada in recessione.

Intervistato dalla Reuters Ben Cahill, ricercatore presso il Center for Strategic and International Studies, ha affermato che i sauditi sperano che i tagli alla produzione garantiscano entrate sufficienti. «Il rischio macroeconomico sta peggiorando. I sauditi sapevano che il taglio avrebbe irritato Washington ma stanno gestendo il mercato», ha spiegato. A Riyadh puntano l’indice contro l’insufficiente capacità di raffinazione negli Usa e non condividono l’iniziativa americana per un tetto massimo del prezzo del petrolio russo che ritengono un meccanismo di controllo non di mercato che potrebbe essere utilizzato da un cartello di consumatori contro i produttori.

Negli Usa si sono convinti che l’Opec+ si stia progressivamente allineando con la Russia e al Congresso i Democratici hanno chiesto il ritiro delle truppe statunitensi dall’Arabia saudita. «Pensavo che lo scopo principale della vendita di armi agli Stati del Golfo, nonostante le loro violazioni dei diritti umani, l’assurda guerra nello Yemen, il lavoro contro gli interessi degli Stati uniti in Libia, Sudan, fosse che il Golfo avrebbe scelto l’America e non la Russia/Cina durante una crisi internazionale» ha scritto su Twitter il senatore Chris Murphy, un Democratico. Parole che rappresentano un attacco frontale alla decisione presa da Biden nei mesi scorsi di rilanciare le relazioni con Riyadh. Pagine Esteri

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BEN(E)DETTO 11 ottobre 2022


Coloro che, legittimamente, in Italia vogliono chiamarsi conservatori, ci spieghino se intendono ispirarsi alla Le Pen o alla Thatcher. Cambia tutto. Ma proprio tutto. La Ragione L'articolo BEN(E)DETTO 11 ottobre 2022 proviene da Fondazione Luigi Einaudi

Coloro che, legittimamente, in Italia vogliono chiamarsi conservatori, ci spieghino se intendono ispirarsi alla Le Pen o alla Thatcher. Cambia tutto. Ma proprio tutto.

La Ragione

L'articolo BEN(E)DETTO 11 ottobre 2022 proviene da Fondazione Luigi Einaudi.

in reply to informapirata ⁂

il primo motivo è valido, il secondo no, perché sul piano economico fu una carnefice dei lavoratori e dei cittadini a basso reddito
in reply to Sentenza

ma su questo sono d'accordo: l'antinomia tra Thatcher e Le Pen è sbagliata, perché sono due visioni diversissime ovviamente ma contigue

@petrstolypin




PETROLIO. Biden “deluso” dagli alleati sauditi, Riyadh resta amica di Putin


Negli Usa si sono convinti che l’Opec+, che ha tagliato la produzione di petrolio di due milioni di barili, e l'Arabia saudita si stiano progressivamente allineando alla Russia. Riyadh nega ma ripete che guarderà prima di tutto ai suoi interessi. L'artic

di Michele Giorgio –

Pagine Esteri, 11 ottobre 2022 – «Il petrolio non è un’arma e l’Arabia saudita non intende politicizzare questa risorsa». Prova ad allentare la tensione con Washington il ministro di Stato saudita per gli affari esteri, Adel al Jubeir, dopo il taglio annunciato dall’Opec+ della produzione globale di petrolio di due milioni di barili al giorno. Intervistato dalla Fox news, Al Jubeir ha fatto il possibile per smentire che il taglio sia avvenuto di concerto con la Russia, uno dei paesi associati all’Opec+. «Il petrolio, ai nostri occhi, è un bene importante per l’economia globale, in cui abbiamo un grande interesse», ha affermato il ministro saudita prima di ricordare i legami storici tra Washington e Riyadh. Ma le sue parole non bastano a stemperare la «delusione» profonda espressa qualche ora prima da Joe Biden che si sente tradito dal principale partner arabo. Il presidente americano ha reagito ordinando al Dipartimento dell’Energia di mettere sul mercato a novembre 10 milioni di barili dalla Strategic Petroleum Reserve (SPR), la più grande riserva mondiale di greggio, istituita nel 1975. Un passo che preoccupa alcuni esperti. La riserva di emergenza è già ai livelli più bassi dal 1984. Politico la scorsa settimana scriveva che Repubblicani e Democratici valutano diverse azioni, anche punitive, contro l’Opec+ ma appaiono tutte poco credibili.

Dopo il viaggio a Gedda di tre mesi fa che, tra le altre cose, aveva sancito la riconciliazione con il principe ereditario saudita Mohammed bin Salman – accusato di aver ordinato l’omicidio del giornalista Jamal Khashoggi-, Biden si attendeva da Riyadh una collaborazione più stretta, a cominciare dall’isolamento della Russia. E subito dopo il mantenimento di livelli elevati di produzione del greggio per contenere il costo del barile e dare una mano alle economie occidentali minacciate da un quadro energetico sempre più preoccupante per le conseguenze delle sanzioni contro il Cremlino. E invece i sauditi, di concerto proprio con la «nemica» Mosca, mentre gli Usa fanno di tutto per colpire Vladimir Putin, sono stati decisivi per il taglio della produzione. «Stiamo valutando una serie di alternative, ma non è ancora stata presa una decisione finale», ha affermato Biden, aggiungendo di non rimpiangere il suo viaggio in Arabia Saudita. «La mia visita non ha riguardato solo il petrolio, anzi era incentrata sulla stabilizzazione del Medio Oriente e di Israele», ha precisato per sottrarsi alle critiche che lo sommergono in queste ore.

Funzionari dell’Amministrazione Usa confermano che la Casa Bianca aveva fatto il possibile per impedire il taglio della produzione dell’Opec ed evitare che il prezzo della benzina negli Usa aumenti mentre si avvicinano le elezioni di medio termine e il Partito Democratico lotta per mantenere il controllo del Congresso. Biden il mese scorso aveva spedito in Arabia saudita Amos Hochstein, l’inviato speciale per l’energia, e il funzionario della sicurezza nazionale Brett McGurk per discutere di questioni energetiche e della decisione dell’Opec+. Non è servito ad impedire il taglio alla produzione del greggio. Stando alle indiscrezioni gli inviati statunitensi avrebbero cercato di mettere i sauditi di fronte a un aut aut: «noi o la Russia». La risposta del ministro dell’energia di Riyadh, il principe Abdulaziz bin Salman, è stata eloquente. «Ci preoccupiamo prima di tutto degli interessi del regno dell’Arabia saudita, quindi degli interessi dei paesi membri dell’Opec e dell’alleanza OPEC +». In poche parole: noi con Putin non rompiamo, continuiamo a collaborare e pensiamo solo a come evitare che l’economia saudita vada in recessione.

Intervistato dalla Reuters Ben Cahill, ricercatore presso il Center for Strategic and International Studies, ha affermato che i sauditi sperano che i tagli alla produzione garantiscano entrate sufficienti. «Il rischio macroeconomico sta peggiorando. I sauditi sapevano che il taglio avrebbe irritato Washington ma stanno gestendo il mercato», ha spiegato. A Riyadh puntano l’indice contro l’insufficiente capacità di raffinazione negli Usa e non condividono l’iniziativa americana per un tetto massimo del prezzo del petrolio russo che ritengono un meccanismo di controllo non di mercato che potrebbe essere utilizzato da un cartello di consumatori contro i produttori.

Negli Usa si sono convinti che l’Opec+ si stia progressivamente allineando con la Russia e al Congresso i Democratici hanno chiesto il ritiro delle truppe statunitensi dall’Arabia saudita. «Pensavo che lo scopo principale della vendita di armi agli Stati del Golfo, nonostante le loro violazioni dei diritti umani, l’assurda guerra nello Yemen, il lavoro contro gli interessi degli Stati uniti in Libia, Sudan, fosse che il Golfo avrebbe scelto l’America e non la Russia/Cina durante una crisi internazionale» ha scritto su Twitter il senatore Chris Murphy, un Democratico. Parole che rappresentano un attacco frontale alla decisione presa da Biden nei mesi scorsi di rilanciare le relazioni con Riyadh. Pagine Esteri

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USA. Milioni di americani rischiano la fame. I buoni pasto di Biden non bastano


L'aumento dei prezzi dei generi alimentari sta erodendo la portata dei buoni pasto che quest’anno hanno un valore medio di 231 dollari a persona al mese. Più americani sono stati costretti a ricorrere alle dispense alimentari che a loro volta hanno ricevu

della redazione con dati e notizie diffusi in rete dalla Reuters

Pagine Esteri, 6 ottobre 2022Grace Melt ha fatto la sua prima visita alla dispensa alimentare di Nourishing Hope di Chicago ad agosto. Durante la pandemia di COVID-19 aveva utilizzato buoni pasto emessi dal governo federale per acquistare generi alimentari mentre era disoccupata per un infortunio al ginocchio. Ma quest’estate, i buoni pasto non sono riusciti a tenere il passo dell’aumento dei prezzi del negozio di alimentari e per la prima volta è dovuta andare alla ricerca di una fornitura gratuita di cibo. “Non è sicuramente abbastanza. Non bastano mai fino alla fine del mese”, ha detto Melt a proposito dei buoni pasto. “E ora che sono aumentati i prezzi non puoi far altro che venire qui, in un centro dove donano cibo”.

L’aumento della fame (negli Usa) è un problema serio per l’immagine e le ambizioni del presidente degli Stati Uniti Joe Biden che si prepara a ospitare la prima conferenza della Casa Bianca su fame, nutrizione e salute in oltre 50 anni e si dice impegnato a eliminare la fame negli Stati Uniti entro il 2030. A causa dell’inflazione (alta) gli elettori potrebbero punire il Partito Democratico nelle elezioni di medio termine. L’andamento dell’economia infatti è la priorità per gli elettori Usa, secondo un sondaggio Reuters/Ipsos. L’amministrazione Biden ha aumentato i finanziamenti per i buoni pasto quasi un anno fa ma allo stesso tempo ha acquistato la metà del cibo rispetto all’amministrazione Trump nel 2020 per banche alimentari, scuole e riserve indigene, secondo i dati ottenuti dall’agenzia statunitense USDA.

L’aumento dei prezzi dei generi alimentari sta erodendo il valore reale dei buoni pasto su cui sembra puntare l’attuale amministrazione per combattere la fame tra gli statunitensi. Quest’anno i buoni hanno un valore medio di 231 dollari a persona al mese. Troppo poco di fronte all’inflazione galoppante. Ciò ha costretto più americani a rivolgersi alle banche alimentari che a loro volta hanno ricevuto meno cibo dal governo.

L’indice dei prezzi al consumo per il cibo è salito al 13,5% ad agosto, l’aumento più sostenuto in 12 mesi dal 1979, secondo il Bureau of Labor Statistics. I prezzi dei generi alimentari sono cresciuti a livelli record dall’invasione russa del principale produttore di cereali, l’Ucraina. E co0sì anche i livelli di fame quest’estate sono saliti a punti mai raggiunti, neppure durante la pandemia nel 2020 quando i lockdown hanno gettato nel caos le catene di approvvigionamento.

“Questo problema era migliorato nel 2021, poi è nuovamente e rapidamente peggiorato” spiega Vince Hall, Chief Government Relations Officer di Feeding America, la più grande rete di banche alimentari della nazione. “La maggior parte delle nostre banche del cibo vede allungarsi le file di persone ogni settimana che passa”. Per alcuni occorre spendere di più in buoni pasto o distribuire contanti perché offrono alle persone più scelta rispetto alle dispense alimentari e vanno anche a vantaggio delle imprese locali.

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L’insufficienza alimentare per le famiglie con bambini è salita al 16,21% lo scorso luglio quando quasi 1 famiglia su 6 ha dichiarato di non avere, talvolta o molto spesso, da mangiare a sufficienza, secondo i dati della Household Pulse Survey dell’US Census Bureau. Si tratta della percentuale più alta da dicembre 2020. La fame tra i bambini era scesa al 9,49% nell’agosto 2021 in parte a causa dei pagamenti del credito d’imposta per i bambini, secondo l’US Census Bureau.

La fame si era attenuata nel 2021 dopo che le amministrazioni Trump e Biden hanno distribuito sussidi per la pandemia alle famiglie per l’acquisto di generi alimentari, consegnato miliardi di scatole di cibo di emergenza e inviato pagamenti mensili del credito d’imposta per i bambini. Nell’anno 2020, il Dipartimento dell’Agricoltura degli Stati Uniti ha speso 8,38 miliardi di dollari per 4,29 miliardi di libbre di cibo destinato a dispense alimentari, scuole e riserve indigene. Ma la spesa alimentare è diminuita costantemente, di quasi il 42% dal 2020 al 2022, fino ai 3,49 miliardi di dollari, il livello più basso dal 2018. L’agenzia ha acquistato solo 2,43 miliardi di libbre di cibo nell’ultimo anno, secondo i dati acquisiti da Reuters.

L’USDA ha cercato di compensare il calo degli acquisti di cibo con ulteriori sussidi per l’assistenza nutrizionale supplementare. Ma l’aiuto aggiuntivo è stato limitato dai costi più elevati…L’USDA ha recentemente annunciato che acquisterà altri 943 milioni di dollari in generi alimentari entro il 2024, utilizzando i fondi della Commodity Credit Corporation, normalmente stanziati per prestiti e pagamenti agli agricoltori statunitensi colpiti da disastri o dai bassi prezzi delle materie prime. Il dipartimento dell’agricoltura da parte sua ha riferito di un taglio drastico ai finanziamenti per la pandemia autorizzato dal Congresso che ha limitato il potere di spesa dell’agenzia per gli alimenti e le scuole.

Feeding America lamenta il taglio di 430 miliardi di dollari per alcune misure aggiuntive di assistenza alimentare dalla legge sulla riduzione dell’inflazione firmata ad agosto, inclusi gli investimenti nell’alimentazione infantile e un programma EBT da impiegare quando i pasti scolastici non sono disponibili. “Nelle versioni precedenti di questo disegno di legge c’erano priorità straordinariamente importanti per combattere la fame, che però non ci sono nell’ultima versione”, ha protestato.

RACCOLTI INSUFFICIENTI

Quest’anno, l’USDA acquisterà poco più della metà del cibo comprato al culmine della pandemia, mentre le donazioni dei negozi di alimentari e dei distributori sono diminuite e le aziende fermano le catene di approvvigionamento e riducono al minimo gli sprechi. Il Greater Chicago Food Depository, uno dei maggiori distributori di cibo alle dispense alimentari locali, prevede di ottenere quest’anno poco più di un terzo del cibo ricevuto dall’USDA durante l’anno fiscale 2021 (da luglio 2020 a giugno 2021).

E mentre le scorte di cibo si riducono, l’inflazione sta spingendo per la prima volta più americani verso le banche alimentari. Nell’area di Chicago hanno visto un aumento del 18% dei visitatori a luglio, rispetto a un anno prima. Eppure i buoni pasto costituivano meno del 2% della spesa del governo degli Stati Uniti nel 2022, secondo i dati del Tesoro. Nell’agosto 2022, l’agenzia ha annunciato un adeguamento del costo della vita a partire dal 1 ottobre, aumentando le assegnazioni mensili massime per una famiglia di quattro persone da 835 a 939 dollari al mese.

Ma molti di coloro che visitano le dispense alimentari lavorano ancora o beneficiano della previdenza sociale, cosa che li squalifica dai buoni pasto, come Michael Sukowski, un impiegato dell’amministrazione universitaria in pensione a cui stati tagliati i sussidi a causa di una pensione mensile che riceve dallo stato. “Con la previdenza sociale e una piccola pensione di 153 dollari al mese non vado lontano”, ha spiegato “la metà va per l’affitto. Poi ci sono le utenze.”

La dispensa alimentare di Nourishing Hope, che quest’anno ha visto un aumento del 40% dei visitatori, e altre banche alimentari ora acquistano più cibo a costi più elevati. Ciò ha portato a forniture modeste di alimenti di base come pane, carne e formaggio. “Il raccolto è stato esiguo, per così dire. Ma sono grata di aver avuto della roba”, ha detto Grace Melt mentre metteva i suoi prodotti alimentari in un carretto, preparandosi per un viaggio in autobus verso casa. “Talvolta devi venire in un posto come questo. A volte non ottieni niente”, ha spiegato. Pagine Esteri

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Dire #MIStaiACuore significa anche imparare come agire nei momenti di necessità.

Flavia Civitelli, studentessa del Liceo artistico “E.



Il 13 e 14 ottobre, a Lipari, 300 studentesse e studenti parteciperanno agli “Incontri del Mare”: due giornate di attività e di approfondimento dedicate alle scuole e allo studio del mare, nell’ambito del Piano ministeriale RiGenerazione Scuola.


#NotiziePerLaScuola

È disponibile il nuovo numero della newsletter del Ministero dell’Istruzione.

🔸 #PNRR, nuove scuole: concluso il primo grado del concorso di progettazione

🔸 ITS e Cyber Security, al via la Rete di coordinamento per lo sv…



Legami


Le decisioni arriveranno il 20-21 ottobre, data del Consiglio europeo. Ma la decisione più importante è già stata presa da mesi, fissando una unità politica europea che solo Orban prova a mettere in dubbio. Senza neanche lontanamente riuscirci. L’unità su

Le decisioni arriveranno il 20-21 ottobre, data del Consiglio europeo. Ma la decisione più importante è già stata presa da mesi, fissando una unità politica europea che solo Orban prova a mettere in dubbio. Senza neanche lontanamente riuscirci.

L’unità sulla risposta alla criminale invasione russa è già un fatto, fissata nelle sanzioni, negli aiuti (anche militari) agli ucraini e nella decisione tedesca di considerare North Stream 2 morto prima di nascere. Ieri è stata ribadita e rafforzata. Ci si capisce nulla, se non si parte da questo presupposto. Da qui al 20 il problema non è trovare l’unità, ma il consolidarla con altri passi. Come diversi ne sono stati fatti, dal 24 febbraio, e se ne faranno. Ciascun passo, ciascuna riconferma dell’unità, crea legàmi.

L’Unione europea è un poderoso acquirente di gas. Fin qui, essendo economicamente conveniente (ricordiamolo, altrimenti si sembra scemi) si è preferito che ciascun Paese si regoli per conto proprio nell’acquistare, salvo sottostare a regole comuni che favoriscono il consumatore, nel vendere e distribuire.

Difatti il prezzo del gas scendeva. La pioggia di telefonate che ricevevamo, con offerte sempre più vantaggiose, non era dovuta alla generosità, ma alla sana cupidigia, di cui il consumatore si giovava. La situazione è cambiata ed è ora conveniente cambiare musica.

Delle cose sono state già fatte, anche se l’informazione caciarona non agevola nel diffonderle: si è già fissata una soglia al di sopra della quale si tagliano i profitti delle società energetiche; si è stabilito un prelievo di solidarietà; si marcia verso l’acquirente unico (come per i vaccini). Ciascuna di queste cose comporta legàmi.

Difatti taluni (l’Olanda) li considera eccessivi. Saranno più stretti con il tetto al prezzo del gas, foss’anche come banda d’oscillazione. Saranno strettissimi con un eventuale fondo comune. Chi lamenta ritardi, chi frigna per la poca Europa, si ricordi che quei legàmi generano i vincoli contro cui ieri faceva dissennate campagne.

I sovranisti italocentrici (come i francocentrici, germanocentrici e via centrando) e i falsi europeisti perdenti hanno in comune la convinzione che quei legàmi siano una camicia di forza e le istituzioni europee una specie di istitutrice severa (meglio se tedesca, nella loro turpe fantasia). Balle. Non ci sono dictat, moniti, gelo. C’è il vincolo della realtà: un fondo comune ha delle regole, che puoi non accettare, ma che poi devi rispettare.

I veri difensori dell’interesse nazionale sono quanti capiscono che l’Ue siamo noi e non esiste un “noi” estraneo all’Ue. I pericolosi danneggiatori dell’interesse nazionale sono quanti non hanno il coraggio di spiegare cosa è necessario fare, quindi preferiscono dire: “lo chiede l’Europa”.

Spostano l’accento e al posto dei legàmi condivisi preferiscono chiedere: lègami, che altrimenti scivolo. Sostituiscono i legacci alla convenienza, sol perché raccontarono che si sarebbero battuti contro quello che favorisce il nostro mondo produttivo e la crescita economica. Si fanno legare per non dovere onorare le castronerie piagnucolose e vittimiste con cui lisciarono il pelo ai nazionalismi e all’assistenzialismo amante e produttore di povertà.

Per questo, a destra e sinistra, si sente sempre il bisogno di dire: l’Europa è divisa. E si osa ripeterlo mentre viviamo la più clamorosa dimostrazione di unità politica, di fronte a una guerra. Mai successo prima. Certo che se ne soffre e certo che il dolore non è uniforme, neanche all’interno di un solo Paese, quindi i bisogni sono diversi. Questo è il lavoro necessario, da Praga al 20.

Quel castello è noto per la “defenestrazione”. 1618, una questione religiosa (e non solo): presero i rappresentanti dell’imperatore e li frullarono dalla finestra. Ancora oggi c’è una storiella popolare: non morirono, perché sotto c’era una montagna di sterco. L’Unità europea, in quel castello, defenestri chi riporta la guerra nella nostra Europa e il Mondo alle porte dell’inferno.

La Ragione

L'articolo Legami proviene da Fondazione Luigi Einaudi.



#NotiziePerLaScuola

ITS Academy, registrato alla Corte dei Conti il riparto dei fondi stanziati agli Istituti Tecnologici Superiori per l’anno scolastico 2022/2023.

Info ▶️ miur.gov.



Undicesimo comandamento: tu non violerai i confini altrui


Articolo ad uso di chi ama comprendere i problemi della pace e della guerra. Partendo dai fondamentali del diritto internazionale costituito dopo il 1945. L'articolo Undicesimo comandamento: tu non violerai i confini altrui proviene da ilcaffeonline. ht

Articolo ad uso di chi ama comprendere i problemi della pace e della guerra, senza i quali invocare la pace è come chiedere ad Alex DeLarge di rispettare gli scrittori e le loro mogli.

Per capire esattamente quale sia uno dei tanti problemi della guerra scatenata dalla Russia all’Ucraina, oltre ai devastanti costi umani per ucraini, russi e cittadini di paesi terzi, dobbiamo tornare ai fondamentali del diritto internazionale costituito dopo il 1945.

Con l’istituzione delle Nazioni Unite le potenze vincitrici della seconda guerra mondiale, compresa l’Unione Sovietica, predecessore della Russia, stabilirono due suoi principi fondamentali: il rifiuto della guerra di aggressione, neanche nella forma dell’attacco preventivo difensivo, e l’illegalità dell’uso della forza per modificare i confini internazionali.

L’articolo 2, comma 4 della Carta delle Nazioni Unite dice: “I Membri devono astenersi nelle loro relazioni internazionali dalla minaccia o dall’uso della forza, sia contro l’integrità territoriale o l’indipendenza politica di qualsiasi Stato, sia in qualunque altra maniera incompatibile con i fini delle Nazioni Unite.

Il divieto si estende anche alla minaccia della violenza per conseguire scopi incompatibili con le Nazioni Unite che, ricordiamo, sono la pace, la sicurezza di ogni membro e un sistema internazionale fondato sul diritto e la giustizia.

Unica deroga a questo divieto assoluto è il diritto di autotutela, individuale o collettivo, riconosciuto ad ogni membro dell’ONU dall’articolo 51: “Nessuna disposizione del presente Statuto pregiudica il diritto naturale di autotutela individuale o collettiva, nel caso che abbia luogo un attacco armato contro un Membro delle Nazioni Unite, fintantoché il Consiglio di Sicurezza non abbia preso le misure necessarie per mantenere la pace e la sicurezza internazionale.

Questi principi sono stati assorbiti anche dalla nostra Carta Costituzionale che all’articolo 11 afferma: “L’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali; consente, in condizioni di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni; promuove e favorisce le organizzazioni internazionali rivolte a tale scopo.

Si trattava di una prospettiva rivoluzionaria, impensabile fino a quel momento, che andava contro millenni di violenza legittima da parte di uno Stato contro un altro. Dal 1945 si cambia: annettere uno Stato, mutilarlo, spartirlo, non è più legalmente consentito.

E il bello è che il sistema ha funzionato.

Sento già proteste di incredulità. E le guerre che hanno devastato il mondo? Le invasioni dell’Afghanistan e dell’Iraq, le minacce della Cina a Taiwan, gli scontri tra India e Pakistan? È innegabile che la violenza abbia continuato a infestare il mondo, eppure, il numero delle guerre, la loro intensità e il numero delle vittime sono costantemente diminuiti. L’ultima guerra tra grandi potenze è stata quella di Corea, in cui si fronteggiarono direttamente soldati degli Stati Uniti e della Cina Popolare.

Gran parte dei conflitti armati dal 1945 ad oggi sono state guerre civili, mentre quelle fra stati hanno avuto scopi limitati, senza pretesa di distruggere l’avversario o di modificarne i confini internazionalmente riconosciuti. I confini dell’America Latina sono immutati da un secolo. Quelli dell’Africa non sono stati modificati se non per la secessione di Sud Sudan ed Eritrea. Anche in Asia i confini sono quasi immutati, con la drammatica eccezione dell’ancora fluida situazione tra l’India e i paesi limitrofi, Cina e Pakistan. L’unica drammatica eccezione sono le guerre arabo-israeliane che si ponevano l’obiettivo di cancellare lo Stato israeliano. È vero inoltre che molti dei conflitti sono scaturiti dalla pretesa di alcuni Stati di imporre un regime politico ad un altro, come frequentemente accaduto in America Latina da parte degli Stati Uniti, in contravvenzione con i principi dello Statuto dell’ONU.

Tuttavia, nel 2008 qualcosa è cambiato.

La guerra lampo del gigante russo contro la Georgia si è conclusa con la mutilazione del territorio dell’Abkhazia, a cui è seguita nel 2014 l’occupazione illegale della Crimea, con referendum privi di ogni minima legittimità e trasparenza. Per la prima volta dal 1945 uno Stato si arrogava il diritto di impossessarsi con la forza di un territorio altrui, senza neppure tentare la strada dell’accordo, qualcosa che neppure l’URSS aveva osato fare, pur non avendo mai esitato ad usare le maniere forti con vicini e vassalli.

L’attacco del 24 febbraio della Russia contro l’Ucraina e l’annessione illegale alla Russia di quattro province ucraine, avvenuta il 30 settembre. rappresentano gravissime violazioni del diritto internazionale sotto tre punti: uso della forza per risolvere una controversia internazionale; tentativo di eliminare l’indipendenza politica di un altro Stato sovrano; modifica unilaterale dei confini internazionalmente riconosciuti.

Ciò che è cambiato è il fatto che la Russia tenti nuovamente di legittimare l’uso della forza nelle relazioni internazionali. Di nuovo, nessuno nega gli arbitrii e le violenze commesse da tutte le grandi potenze, dietro pretesti spesso risibili e comunque illegali dal punto di vista del diritto internazionale. Ma nessuno prima di Putin si era spinto finora a cancellare con un tratto di cingolati i principii cardini della sicurezza collettiva.

La paura è la prima fonte di instabilità. Paura delle piccole potenze verso le grandi. Paura che genera la ricerca di protettori e scatena il riarmo. Non abbiamo bisogno di tutto questo. Ove i principi di rispetto della sovranità, dell’integrità territoriale e della non interferenza negli affari interni venissero cancellati, si aprirebbe un periodo di forte instabilità, in cui anche l’Europa finirebbe per essere investita. Non dimentichiamo, infatti, che alcuni confini internazionali, pensiamo al Kosovo, non sono ancora pienamente riconosciuti.

Quindi, di nuovo, fermare la Russia non è solo nell’interesse delle democrazie occidentali, ma di tutto il mondo, per evitare di ritornare all’infinita serie di lutti da cui nessuno esce mai vincitore.

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#NotiziePerLaScuola

Interventi e finanziamenti nel campo delle minoranze linguistiche: le Istituzioni scolastiche situate in ambiti territoriali in cui si applicano le disposizioni di tutela potranno candidarsi entro il 31 ottobre 2022.



Segnalato da Fabio Naif
twitter.com/fpietrosanti/statu…

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#EFF ha saputo che un broker di dati ha venduto dati grezzi sulla posizione di singole persone alle forze dell'ordine federali, statali e locali.
Questi dati personali non vengono raccolti da ripetitori di telefoni cellulari o giganti della tecnologia come Google: sono ottenuti dal broker tramite migliaia di app diverse su app store Android e iOS come parte del più ampio mercato dei dati sulla posizione.
La società, Fog Data Science, ha affermato nei materiali di marketing di avere "miliardi" di punti dati su "oltre 250 milioni" di dispositivi e che i suoi dati possono essere utilizzati per conoscere dove lavorano, vivono e si associano.
#Fog vende l'accesso a questi dati tramite un'applicazione web, chiamata Fog Reveal, che consente ai clienti di puntare e fare clic per accedere a cronologie dettagliate

eff.org/deeplinks/2022/08/insi…

#EFF #fog


New US Executive Order unlikely to satisfy EU law


È improbabile che il nuovo ordine esecutivo degli Stati Uniti soddisfi il diritto dell'UE Oggi il governo degli Stati Uniti ha pubblicato un ordine esecutivo che limiterebbe la sorveglianza degli Stati Uniti. Questa è una prima dichiarazione di noyb. Duct Taped Executive Order?


noyb.eu/en/new-us-executive-or…



Letta che insegue Veltroni: la funzione turistica del PD.


"Il PD si interessa alle classi popolari e alle realtà impoverite con lo stesso atteggiamento sussiegoso dei turisti agiati, provenienti da qualche ricca città europea o americana, che si recano in un paese del terzo mondo e guardano con compassione la condizione dei suoi abitanti che, poveri loro!, non godono delle libertà e del benessere occidentale.

Veltroni e Letta esprimono del resto la visione del mondo di gente che vive nei centri storici e che finge di non sapere che spesso la povertà, l’ingiustizia e il degrado sono presenti nelle periferie delle loro stesse città. In qualità di dirigenti politici non possono guardare a queste condizioni di disagio perché la loro fortuna si fonda esattamente su questa ipocrisia.

Letta, Veltroni, Renzi e tanti altri che hanno fatto la storia del PD non avrebbero avuto alcun successo politico se non avessero promosso quelle politiche che hanno generato la questione sociale oggi presente in Italia.

La loro salita al potere è dipesa dal sostegno di forze economiche e finanziarie che hanno chiesto in cambio leggi in favore della precarietà nel lavoro, privatizzazione dei servizi, disfacimento della scuola pubblica, sostegno all’impresa e tanti altri provvedimenti che hanno prodotto le attuali ingiustizie."

kulturjam.it/politica-e-attual…



Verso carestia energetica e fame ma la chiameremo "Frugalità responsabile".


«Continuando con la logica della guerra e delle sanzioni la strada tracciata porterà inevitabilmente alla carestia energetica e alla fame, che non verrà chiamata cosi ma “frugalità responsabile”, per un mondo green e sostenibile.»


Inflazione e resistenza. La questione degli alloggi a New York.


"Il risultato è che gli strati della classe media non possono permettersi di acquistare una casa, mentre le classi lavoratrici, ancora per lo più immigrate, spendono più della metà del loro reddito in affitto."


"Come la Terra, Urano e Nettuno sono mondi blu. Nettuno, sul cui globo color del mare corrono nubi bianche, a un occhio distratto sembrerebbe perfino uno specchio del nostro pianeta. L’azzurro di questi pianeti però non è quello di un oceano, ma è la tinta delle tracce di metano all’interno di un’atmosfera gelida di idrogeno ed elio. A quasi 3 e 4,5 miliardi di km dal Sole, rispettivamente, le atmosfere di Urano e Nettuno oscillano tra i 220 e 230 gradi sotto zero: i pianeti più freddi del Sistema Solare."

https://ift.tt/neV0Jvf



Fr.#10 / k e y w o r d s


Nel frammento di oggi: Keywords warrants e geofencing / Partnership tra UN e Google per la censura / Selezione dei migliori interventi della Privacy Week 2022 / Meme e citazione del giorno.

Parole chiave


La scorsa settimana, durante una causa relativa a un’indagine su un caso di violenza sessuale, sono stati diffusi in udienza alcuni documenti che accidentalmente hanno mostrato un nuovo tipo di mandato delle forze dell’ordine: il “keywords warrant”, o “reverse search warrant”.

Il keyword warrant consiste in questo: nell’ambito di un’indagine le forze dell’ordine possono chiedere a Google (o altri motori di ricerca) di fornire dati identificativi di tutti gli utenti che nei giorni precedenti al reato hanno cercato sul motore di ricerca parole chiave come il nome della vittima, il suo indirizzo, il nome dei familiari, e altre parole che possano indicare un qualche tipo di connessione.

Insieme ai dati relativi alle query il motore di ricerca può fornire anche ulteriori informazioni, come gli indirizzi IP delle persone, i loro account Google e perfino i CookieID - quel codice univoco che identifica un utente nel network di advertising di Google.

Ad oggi risultano pubblici solo altri due casi di utilizzo di questo tipo di mandato, uno nel 2020 e un altro nel 2017, rispettivamente per indagini su un incendio doloso e una truffa.

La particolarità del keyword warrant è che ribalta i normali principi di funzionamento della giustizia. Se le forze dell’ordine volessero ottenere dati relativi a una specifica persona sospettata di aver commesso un reato, dovrebbero prima ottenere l’autorizzazione dell’autorità giudiziaria. Viceversa, con questo tipo di mandato possono ottenere i dati di chiunque abbia fatto un certo tipo di ricerca in un determinato momento - aggirando così le tutele giuridiche delle persone coinvolte.

Oltretutto, il keyword warrant si presta bene per diventare uno strumento di sorveglianza e censura politica di massa, che sotto il cappello della lotta al terrorismo (ampissimo, specie negli Stati Uniti) e agli “estremismi” può trovare terreno molto fertile in questo periodo.

Ricorda: tutto ciò che scrivi sarà usato contro di te.

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Un’attività simile al keyword warrant è il geofence warrant. Il geofence warrant segue la stessa logica del keywords warrant, ma ha a che fare con i dati di localizzazione invece che con le parole chiave ricercate. Le autorità possono chiedere a Google di consegnare dati identificativi e di localizzazione di chiunque abbia transitato in una specifica zona in un determinato periodo di tempo, attraverso i dati raccolti con Google Maps.

Al contrario del keyword warrant questa è un’attività molto usata dalle autorità statunitensi. Secondo un recente rapporto di Google il geofence warrant rappresenta circa 1/4 di tutte le richieste ricevute ogni anno dal gigante della Big tech.

I risultati in entrambi i casi sono gli stessi: una grande operazione di pesca a strascico che rischia di intrappolare nella rete delle indagini persone innocenti che si trovavano nel posto sbagliato al momento sbagliato; o che hanno cercato la parola sbagliata la momento sbagliato.

Censura delle ricerche e scienza…


Sempre sulla falsa riga del tema delle ricerche sui motori di ricerca, ieri il noto sito ZeroHedge ha pubblicato una notizia in cui si riportano alcune dichiarazioni di Melissa Fleming, UN’s Under-Secretary-General for Global Communications fatte durante un’intervista, proprio sul tema delle ricerche sui motori come Google.

Trascrivo qui l’intervista:

“We partnered with Google […] for example if you Google “climate change”, at the top fo your search you’ll get all kinds of UN resources. When we started this partnership we were shocked to see that we were getting incredibly distorted information right at the top…so we’re becoming much more proactive…We own the science, and we think that the world should know it, and the platforms themselves also do.”

Le piattaforme sono da tempo chiamate a confermare la narrativa prevalente in materia di tanti temi scientifici (e non), censurando i risultati che in qualche modo deviano dall’opinione prevalente. Il nostro mondo e la nostra percezione non si fonda più su ciò che è oggettivo, ma su ciò che è politicamente conveniente. Abbiamo sostituito la realtà con l’opinione, in balia di un pugno di persone che possono modificare la nostra percezione del mondo in tempo reale.

Un breve recap della Privacy Week 2022


La Privacy Week è giunta alla conclusione, dopo cinque giorni intensi, con centinaia di speaker e dozzine di interventi fantastici e occasioni di networking.

2909250www.privacyweek.it

Molti di voi hanno scoperto la Privacy Week quest’anno, grazie al salto di qualità comunicativa e organizzativa che siamo riusciti a fare dopo il primo esperimento dello scorso anno. Spero che il prossimo anno si riesca a migliorare ancora questo evento che vorrebbe davvero diventare il punto di riferimento per parlare di privacy, cybersecurity e nuove tecnologie.

Chi non ha potuto partecipare a Milano o seguire lo streaming in diretta non deve preoccuparsi! Tutti gli eventi sono disponibili on-demand sul sito.

Visto però che sono così tanti, ho pensato di fare una selezione di quelli che mi sono piaciuti di più (ma sono davvero tutti interessanti, sfogliate il catalogo):

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Meme del giorno


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Citazione del giorno


The right to agree with others is not a problem in any society; it is the right to disagree that is crucial

- Ayn Rand


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Condizione delle donne e femminismo borghese


«Il “femminismo del potere” si traduce insomma nella richiesta di “parità di genere” nei ruoli apicali del potere stesso, non nel cambiamento della condizione sociale della stragrande maggioranza delle donne. E di certo, dunque, non si pone il problema dell’emancipazione concreta di tutte le donne, ma solo della “rappresentazione spettacolarizzata” di alcune di loro che ottengono il “pass” per entrare nelle stanze dei bottoni.»


Hello @Philipp Holzer , I am administrator of this instance and I am also moderator of an Italian mastodon instance.

I need to contact you urgently to report a user who is using your platform to scam other people!

Thank you and good day




L’obsolescenza degli smartphone e la raccolta massiccia di dati mettono in pericolo il futuro del digitale

Vorrei segnalare un altro articolo molto interessante pubblicato da Basta!, media francese indipendente e autofinanziato (se potete, sostenetelo da qui: basta.media/don):
“L’obsolescenza degli smartphone e la raccolta massiccia di dati mettono in pericolo il futuro del digitale” di Emma Bougerol:
basta.media/l-obsolescence-des…

Questo è il sommario che apre l’articolo:
“Dai minerali indispensabili per gli smartphone all'energia consumata dai data center, la tecnologia digitale ha un pesante impatto ecologico. Anche in questo caso la sobrietà è essenziale, ma non passa necessariamente dalla riduzione dell'uso di Internet”.

Qui sotto trovate una sintesi dei temi trattati, l’articolo è distribuito con una licenza Creative Commons BY-NC-ND 4.0 che non ne permette la traduzione.

L’articolo mette in evidenza alcuni dati dell’impatto della tecnologia digitale sull’ambiente: questa rappresenta in Francia il 10% del consumo di elettricità e il 2,5% dell'impronta di carbonio che sintetizzata in un’immagine piuttosto efficace è l’equivalente delle emissioni di CO2 di 12 milioni di automobili, che percorrano ciascuna 12.000 km all'anno.

L’articolo sottolinea poi come la valutazione dell’impatto ambientale debba tener conto di molteplici fattori: il consumo di tutti i dispositivi usati dagli utenti, ma anche i consumi della rete che trasporta questa enorme quantità di dati e interazioni e quello dei data center che li archiviano.

Il testo prosegue ricordando come la produzione dei terminali degli utenti, televisori, computer, smartphone costituisca la parte maggiore e più dannosa dell’impatto ambientale del digitale (esaurimento delle risorse, emissioni, consumo di energia, produzione di rifiuti).
Buona parte di questi danni ambientali colpiscono soprattutto i paesi in via di sviluppo in cui si estraggono i metalli preziosi e quelli in cui vengono scaricati i nostri rifiuti elettronici.
A questo aspetto si aggiunge l’esaurimento di alcuni minerali necessari per la costruzione dei dispositivi, ad esempio litio e cobalto per le batterie o il tantalio per i circuiti degli smartphone.
Anche in questo caso non è possibile pensare che la quantità di dispositivi prodotti possa essere infinita.


Un altro grave problema affrontato è quello dell’obsolescenza dei dispositivi: in Francia la vita media di uno smartphone è stimata tra i due e i tre anni, è chiaro che per ridurre l’impatto ambientale sarebbe necessario aumentare e non di poco la durata dell’utilizzo dei dispositivi, secondo un esperto dell’associazione GreenIT.fr si dovrebbe arrivare ad 8 anni per gli smartphone, 10-15 anni per i computer e 20 per i televisori.


La conclusione dell’articolo si apre con un titolo un po’ forte, "Eliminiamo il digitale ogni volta che è possibile” che però viene meglio articolato nelle righe successive: non si tratta di fermare del tutto lo sviluppo della tecnologia digitale, ma si tratta di optare per scelte “low tech” che pratichino anche alternative analogiche là dove disponibili. Questo processo non può essere un percorso individuale è fondamentale un intervento politico dello stato che deve regolamentare in qualche modo la vendita e la distribuzione dei prodotti digitali.

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Oscar, La Stranezza del palermitano Andò tra i 12 film italiani in gara per la candidatura


C'è anche il film "La Stranezza" del regista palermitano Roberto Andò, con protagonisti Toni Servillo e il duo pure palermitano formato da Salvo Ficarra e Valentino Picone nell'elenco delle 12 pellicole che concorreranno alla designazione del titolo candidato a rappresentare l'Italia nella selezione per la categoria International Feature Film Award dell'edizione numero 95 dell'Academy Awards, il prestigioso Premio Oscar.

gds.it/foto/cinema/2022/09/21/…



Un biglietto per il Metaverso


A Palermo, a Palazzo Reale il futuro è già arrivato, dal 21 settembre, μετα Experience, uno spazio permanente tra arte e dimensioni parallele. Immersi nella dimensione dell'Infinity Room i visitatori potranno assistere alla smaterializzazione e materializzazione dei capolavori d'arte originali e scoprire come avviene la creazione dell'identità dell'opera provando il processo sulla propria pelle.

palermo.gds.it/video/cultura/2…



Palermo, da luogo di mafia a simbolo di riscatto: nel quartiere Cruillas una piccola oasi verde anche per le api


Il progetto Terra Franca nasce nel 2019, promosso dall'associazione Hryo, in un terreno confiscato a Cosa nostra. Obiettivo è restituire alla comunità un luogo naturale in un contesto cittadino che diventi vessillo di inclusione sociale e legalità.

Al suo interno, tra le altre cose, un apiario olistico e una serra della biodiversità.

Fonte notizia: Palermotoday



La leggenda del fantasma della Suora del Teatro Massimo di Palermo


Tra le tante leggende palermitane, non mancano le storie legate a fatti misteriosi, intriganti e suggestivi, come quella del 𝗳𝗮𝗻𝘁𝗮𝘀𝗺𝗮 della Suora del Teatro Massimo di Palermo. Pima della costruzione del Teatro furono demolite alcune strutture preesistenti tra cui la Chiesa di San Francesco delle Stimate, compreso il monastero ed il cimitero annessi, consistenti nella Chiesa di San Giuliano e la Chiesa di Sant’Agata che all’interno dei monasteri custodivano anche le tombe di suore, preti e di altri defunti. Secondo la leggenda palermitana, durante il corso dei lavori di demolizione, pare sia stata profanata la tomba di una suora e da allora la credenza popolare vuole che il suo 𝗳𝗮𝗻𝘁𝗮𝘀𝗺𝗮 infesti il Teatro.



Eppur si muove! Qualche alternativa al dominio dei GAFAM nel mondo della scuola.

Su Basta!, un media indipendente francese, un articolo molto interessante che fa il punto sulle alternative ai #GAFAM che stanno crescendo in alcuni paesi europei (Francia, Germania e Spagna):
https://basta.media/profs-parents-d-eleves-et-activistes-se-bougent-pour-liberer-l-ecole-des-Gafam

Insegnanti, genitori e attivisti si muovono per liberare la #scuola dalla morsa di Google e Microsoft

Particolarmente interessanti le affermazioni di Simona Levi, fondatrice di Xnet un'associazione catalana che si batte per la difesa delle libertà digitali e che ha realizzato DD (Digitalizzazione Democratica) una suite di strumenti digitali per l’istruzione: xnet-x.net/en/digital-democrat…

Per l'attivista Simona Levi, oggi è necessario fare pressione soprattutto sugli stati e sull’Unione Europea. “Se le grandi multinazionali della tecnologia sono state in grado di avere così tanto spazio nell'istruzione, è perché le istituzioni non si sono prese le proprie responsabilità."

“L'Unione Europea e i governi devono impegnarsi per una piattaforma europea libera per la digitalizzazione dell'istruzione. Per noi è immorale che la digitalizzazione dell'istruzione e dell'amministrazione in generale avvenga con mezzi che non garantiscono la sovranità dei dati dei cittadini. »

L’articolo ricorda anche Apps éducation, la piattaforma realizzata dal ministero dell’istruzione francese (l’Éducation Nationale) che mette a disposizione degli insegnanti una piattaforma di strumenti digitali liberi tra cui PeerTube, Nextcloud e BigBlueButton.
E naturalmente viene menzionato anche il ruolo che all’interno del ministero dell’istruzione ha assunto Alexis Kauffmann, fondatore di Framasoft, nella promozione del software libero.


Quando l'Éducation nationale assume il fondatore di Framasoft

@Scuola - Gruppo Fediverso
@Scuola



Ho deciso di scrivere qua, su questa piattaforma "intermedia" le mie considerazioni sulla discussione che si è scatenata a seguito di questo mio tweet:
twitter.com/chiaraepoi/status/…
Dopo 192 commenti, alcuni dei quali molto acidi e la solita schiera di fenomeni che sanno tutto loro ho deciso di chiudere i commenti perché mi sono stufata.
Cosa ho imparato da questa esperienza?
1) che la maggior parte delle persone sui social ha una scala di priorità che come minimo non coincide con la mia. Secondo me l'uso dei femminili nei nomi delle professioni, per quanto possa essere considerato importante, non può avere lo stesso peso delle discriminazioni (salariali e non) che le donne subiscono sul posto di lavoro.
2) che Twitter è pieno di fenomeni che credono di sapere tutto su tutto e non hanno l'umiltà di ammettere che al mondo ci sia qualcuno che ne sa più di loro (ma questo avrei dovuto saperlo prima)
3) che Twitter è pieno di gente che spara sentenze sulla gente che non conosce (e anche questo avrei dovuto saperlo)
4) che c'è un sacco di gente che non ha la minima idea dei problemi di discriminazione delle donne sul posto di lavoro (e non parlo solo di salario)
5) (e poi ho finito) che non so scrivere i curriculum, parlo di cose che non so solo perché esprimo quella che è chiaramente solo una mia opinione e che tutti lavorano in posti fantastici dove la parità tra i generi è una cosa acquisita e invece io in un posto di merda (e io che pensavo che la mia azienda fosse un po' meglio delle altre, pensate un po')
Chiudo qua questa cosa, pensando sempre di più che per vivere felici su Twitter bisogna scrivere solo frasi d'amore, mandare foto di gattini e al massimo far vedere ogni tanto le tette o il culo. Già se condividi il link a una canzone che ti piace parte la schiera dei puntacazzisti che hanno da ridire su quello che hai messo, figuriamoci.
Torno nel mio antro in silenzio, nei miei pensieri (perché io penso, anche se qualcuno non lo crede) e nelle cose che mi danno sicurezza e tranquilltà, anche perché credo di non essere più in grado di reggere uno shitstorm di questa portata.
in reply to Chiara R

io credo che dal momento in cui si accetta di esporsi con un pensiero su una qualsiasi piattaforma bisogna anche saper, purtroppo, sviluppare un certo distacco verso le considerazioni reiette. La troppoa libertà di parola che ci è stata data e che ci è sfuggita di mano ha portato a fenomeni come questi. Non vuol essere una giustificazione questo pensiero, solo una considerazione personale. Io tendo ad osservare e a percepire questi eventi con distacco dopotutto


Internet e social: la dose giusta per gli adolescenti. Il post di Carlo Venturini sull'Almanacco della Scienza


INTERNET E SOCIAL: LA DOSE GIUSTA PER GLI ADOLESCENTI. IL POST DI CARLO VENTURINI SULL'ALMANACCO DELLA SCIENZA

Sabrina Molinaro dell’Istituto di fisiologia clinica e Giorgia Bassi dell’Istituto di informatica e telematica del Cnr spiegano perché è importante che gli adolescenti riducano il tempo trascorso in Rete, utilizzando Internet e i social network. E fondamentale è anche il ruolo dei genitori, che vanno coinvolti nell’educazione digitale

almanacco.cnr.it/articolo/5149…

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La matematica non serve a niente. Tranne che per...


Ho incontrato su TW il poster che trovate qui sotto, creato dal laboratorio di matematica Raphael Salem dell’università di Rouen, per scaricarlo in formato .pdf: https://sorciersdesalem.math.cnrs.fr/Posters/PosterLesMathsCaSertARien.pdf

Fa parte di una bella raccolta di poster di argomento matematico che trovate qui:

https://sorciersdesalem.math.cnrs.fr/Posters/posters.html

È pubblicato su una pagina che si intitola “Les Sorciers de Salem” con un gioco di parole che allude alle streghe (sorcières) di Salem.

Nel sito c’è anche una pagina con una versione interattiva del poster che rimanda all’approfondimento di alcuni degli usi della matematica (in francese):

sorciersdesalem.math.cnrs.fr/S…

Qui sotto la traduzione del testo contenuto nel poster.

La matematica non serve a niente.
Tranne che per..

Comprendere il corso delle stelle
Fare previsioni del tempo
Misurare il mondo
Suddividere in modo equo
Proteggere i nostri segreti
Trovare il percorso più breve
Ascoltare la musica
Costruire ponti
Decifrare i big data
Evitare gli ingorghi
Diagnosticare e curare in modo più efficace
Organizzare una rete di comunicazioni
Navigare in Internet
Sviluppare l'intelligenza artificiale (e la nostra)
Fotografare le farfalle
Decodificare il DNA
Anticipare gli effetti del caso
Rilevare e correggere gli errori
Modellizzare lo scioglimento dei ghiacciai
Immaginare altri universi
Meravigliarsi per la bellezza dei frattali
Migliorare le prestazioni sportive
Far volare gli aerei
Valutare le nostre possibilità di vincere alla lotteria
Adattare una ricetta al numero di ospiti
Ottimizzare... Analizzare... Decidere... Stimare... Creare... Giocare... Esplorare… Simulare... Calcolare… Vedere... Disegnare... Argomentare...Difendere... Programmare... Esprimere....



PROVA AD ASCOLTARE LA MUSICA CON UN DIVERSO APPROCCIO: DIVENTA UN NOSTRO COLLABORATORE


PROVA AD ASCOLTARE LA MUSICA CON UN DIVERSO APPROCCIO: DIVENTA UN NOSTRO COLLABORATORE

Crescere, in tutti i sensi, è di per sé un fatto positivo ma qualche problema in fondo lo crea sempre.

Così come per le mamme, che devono che devono costantemente rinnovare il guardaroba dei figli per adeguare l’abbigliamento al loro sviluppo fisico, anche per In Your Eyes la costante crescita di contatti riscontrata negli ultimi anni comporta il dover affrontare un “piacevole” problema: quello di far fronte alle numerose richieste di recensione che ci pervengono ogni giorno.

Come sapete, noi non ci poniamo limiti di genere per cui, se su alcuni siamo abbastanza coperti, su altri facciamo oggettivamente fatica a prendere in carico tutto il materiale.

Soprattutto per quanto riguarda l’elettronica, il rapporto tra il numero di dischi da recensire e quelli effettivamente soddisfatti è decisamente sfavorevole: è proprio qui che avremmo bisogno di nuova linfa, sotto forma di qualcuno che, alla propria passione per la musica, voglia abbinare quella di rendere partecipi gli altri delle proprie sensazioni , ma è inutile dirvi che, anche se foste appassionati ed esperti di altri generi, saremmo comunque ben felici di accogliervi nella nostra famiglia.

Ovviamente non ci servono persone che vogliano intraprendere questa attività in maniera eccessivamente saltuaria e discontinua: il nostro target individuale si attesta attorno ad un minimo di 4-5 recensioni mese, comunque non molte se pensiamo che si tratterebbe di scriverne almeno una ogni settimana, senza contare che un appassionato (con la A maiuscola) almeno un’oretta al giorno per ascoltare musica la trova sempre e comunque.

Se pensate d’essere in grado di garantire ragionevolmente quanto richiesto, fatevi avanti, anche se non avete mai fatto alcuna esperienza del genere in passato; nel ricordarvi che tutti coloro che operano nella nostra webzine non ci guadagnano un centesimo e che la vera ricompensa è quella di intraprendere un hobby che consente di interagire direttamente con musicisti, etichette discografiche ed agenzie di promozione, vi invitiamo a scrivere all’ indirizzo

info@iyezine.com

Successivamente verrete contattati da chi si occupa della pianificazione e della pubblicazione dei contenuti, per entrare maggiormente nei dettagli della collaborazione.

Fatevi un regalo, provate a trasformare la vostra passione per la musica in qualcosa di ancora più stimolante …

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