La politica estera del Regno Unito ha bisogno di una strategia, non di slogan
L’ex ministro degli Esteri conservatore Douglas Hurd affermò negli anni ’90 che il Regno Unito era stato in grado di “superare il proprio peso” nel dopoguerra, nonostante non fosse più una grande potenza. Questa affermazione potrebbe essere stata vera anche per gran parte dei decenni successivi, ma è sotto crescente controllo negli anni ’20. Questo […]
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Rinnovo biennale per Irini. Ecco la sfida dell’Ue in Libia
Il Consiglio dell’Unione europea ha deciso di prorogare ulteriormente il mandato della missione militare navale europea nel Mediterraneo centrale, Eunavfor Med Irini, fino al 31 marzo 2025. Non è la prima volta che tale mandato viene prolungato. Già nel marzo 2021 il Consiglio aveva preso la decisione di rinnovare la durata dell’incarico di altri due anni. In prossimità della nuova scadenza, la decisione del rinnovo biennale è seguita alla revisione strategica dell’operazione effettuata dal Comitato politico e di sicurezza, che ha portato anche alla delibera del Consiglio circa la necessità di facilitare ulteriormente lo smaltimento delle armi e del materiale sequestrato dall’operazione. Non solo, la proroga del mandato è stata accompagnata dalla decisione circa l’importo di riferimento per i costi comuni dell’operazione, che vengono stimati intorno a circa 16,9 milioni di euro per il periodo compreso tra inizio aprile 2023 e fine marzo 2025.
I compiti principali
La missione Eunavfor Med Irini, il cui nome deriva dal greco “pace”, è stata lanciata il 31 marzo 2020 e rappresenta ad oggi il massimo sforzo militare espresso dall’Unione europea per la stabilizzazione e la pacificazione della Libia. E rientra nella politica di sicurezza e difesa comune dell’Ue (Psdc). Il contributo della missione punta innanzitutto a far rispettare l’embargo delle Nazioni Unite sulle armi in Libia attraverso l’uso di mezzi militari, definito soprattutto nella risoluzione 2292 del 2016 del Consiglio di sicurezza. A tal fine, la missione ha il compito di effettuare ispezioni di navi in alto mare, al largo delle coste libiche, qualora queste siano sospettate di trasportare armi o materiale correlato da e verso la Libia. Inoltre, tra i compiti della missione rientra anche il monitoraggio delle violazioni perpetrate per via aerea e terrestre e la loro condivisione con le Nazioni Unite. Così, per garantire la riuscita di Irini, si sono mobilitati per la missione assetti aerei, satellitari e marittimi, con una buona dose dunque di capacità Isr, acronimo per Intelligence, sorveglianza e riconoscimento. Il rispetto dell’embargo è infatti considerato dagli osservatori, in primis dalla missione onusiana Unsmil, l’elemento centrale per giungere a una pacificazione.
Ulteriori mansioni
Tra i compiti secondari di Irini, rientrano invece le attività di monitoraggio e raccolta delle informazioni sulle esportazioni illecite dalla Libia di petrolio, greggio e prodotti petroliferi raffinati. In tale quadro, la missione contribuisce inoltre a contrastare le reti di contrabbando e traffico di esseri umani attraverso la raccolta di informazioni e il pattugliamento aereo. Infine, sono rilevanti anche le risorse stanziate nell’ambito della missione Irini per favorire il rafforzamento delle capacità e della formazione della Guardia Costiera e della Marina libiche. Così la missione navale punta a fornire un contributo tangibile all’interruzione del modello di business delle reti di traffico.
La guida italiana
A capo della missione troviamo oggi il contrammiraglio Stefano Turchetto, in qualità di comandante dell’operazione dell’Ue. Il contrammiraglio ha preso il posto del collega Fabio Agostini, precedentemente al comando dell’operazione Irini, nell’ottobre 2021. Una decisione logica, viste le strutture già presenti nella base romane (la sede di Centocelle), nonché l’esperienza acquisita dal personale multinazionale, ma non per questo facile, vista l’agguerrita concorrenza francese e spagnola manifestatasi all’inizio della missione.
(Foto: Operation Eunavfor Med Irini)
Il Massacro di Batoh (1652): I Cosacchi Uccidono 5.000 Prigionieri Polacchi
Il massacro di Batoh, avvenuto il 3-4 giugno 1652 vicino a Ladyzhyn, in Ucraina, rappresenta uno dei peggiori atti di violenza perpetrati durante la Rivolta di Khmelnytsky del 1648-1657. La Battaglia di Berestechko e laContinue reading
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Il mandato d’arresto per crimini di guerra di Putin aggraverà l’isolamento della Russia
Il 17 marzo, la Corte penale internazionale (ICC) dell’Aia ha incriminato il Presidente russo Vladimir Putin e ha emesso un mandato di cattura. È probabile che questa accusa abbia conseguenze di vasta portata per Putin personalmente e per la Russia. Il mandato afferma che Putin “è presumibilmente responsabile del crimine di guerra di deportazione illegale […]
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La trappola incombente di Biden in Ucraina
Sono in atto tre grandi fattori che daranno forma alle prospettive della guerra in Ucraina. Ognuno di questi influenza gli altri in modi potenzialmente rinforzanti. Insieme, potrebbero presto creare una dinamica che potrebbe limitare notevolmente la capacità dell’amministrazione Biden di guidare gli eventi verso i risultati desiderati. Il primo è il corso degli sviluppi sul […]
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L’America continua il dominio dello spazio con le sue imprese private
Può darsi che non stia andando proprio bene alle ultime missioni spaziali di Elon Musk. Può succedere. A fine mese scorso, una batteria di 21 satelliti per le connessioni telefoniche dirette lanciata con un Falcon 9 potrebbe avere avuto qualche problema. Non certo allo stadio recuperabile B1076 al suo terzo volo, tornato sulla piattaforma semovente […]
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Dopo i Rafale, gli F-35. La decisione greca e quel viaggio in Italia
La visita italiana del capo della forze armate greche, generale Kostantinos Floros, ricevuto dal Capo di Stato Maggiore della Difesa Ammiraglio Giuseppe Cavo Dragone porta in dote una serie di riflessioni tecniche tarate sul Mediterraneo, che potrebbero avere anche un altro filo comune: gli F-35. A breve si terrà la riunione finale al ministero della Difesa greco dove si deciderà se Atene proporrà a Lockheed Martin di calcolare nella sua risposta l’inclusione di programmi di sicurezza, approvvigionamento e informazioni (SSI – Security, Supply, Information) e infrastrutture con la partecipazione dell’industria della difesa greca. È questa l’anticamera per ricevere gli F-35 entro il 2028. E l’Italia (con Cameri) rientrerebbe nel cerchio che si dovesse chiudere tra Washington e Atene.
F-35
Al centro dell’incontro ci sono state una serie di riflessioni sia sull’interesse congiunto della sicurezza in quegli spazi geostrategici condivisi, sia le rispettive posizioni sui dossier militari maggiormente significativi in proiezione Ue e Nato. La visita è proseguita presso il Comando Operativo di Vertice Interforze (Covi) ove, accolto dal Generale di Corpo d’Armata Francesco Paolo Figliuolo, e presso il quartier generale dell’ Eunavfor Med – Irini, operazione a guida Europea alla quale partecipano 23 Stati Membri dell’Ue e nell’ambito della quale la Grecia svolge un ruolo particolarmente attivo.
Sulla quasi certezza relativamente all’arrivo di venti F-35 in Grecia il governo ellenico pare non nutrire più dubbi, come osservato dal ministro della Difesa, Nikos Panagiotopoulos, secondo cui almeno una flotta di F-35 opererà nell’area balcanica ma il Paese che li acquisirà non sarà la Turchia. Il ministro, pochi giorni fa, ha dichiarato che il primo caccia del primo lotto di F-35 per la Grecia arriverà nel 2028. Lo scorso 8 febbraio il presidente della commissione per le relazioni estere del Senato degli Stati Uniti, Bob Menendez, aveva approvato la vendita degli aerei alla Grecia, aprendo le porte al conseguente iter burocratico, compresa la ratifica del trattato di difesa.
La Grecia ha già acquistato dalla Francia 18 caccia Rafale per sostituire progressivamente i vecchi Mirage, al contempo sta terminando l’aggiornamento in modalità Viper dei suoi F-16.
Anfibi
Nel frattempo dal Dipartimento di Stato arriva il via libera alla possibile vendita alla Grecia di veicoli d’assalto anfibi (Aav), attraverso il programma Foreign Military Sales (Fms): è un contratto del valore di 268 milioni di dollari. Il Dipartimento di Stato ha definito la Grecia un alleato critico della Nato che svolge un ruolo importante per la stabilità politica e il progresso economico in Europa. Nello specifico si tratta di sessantatré veicoli anfibi d’assalto per il personale (AAVP-7A1), nove veicoli anfibi per il comando d’assalto (AAVC-7A1), quattro veicoli anfibi per il recupero d’assalto (AAVR-7A1) e sessantatré mitragliatrici. Sono inclusi anche i lanciagranate MK-19, i sistemi di osservazione termica M36E T1 (Tss), il supporto per la fornitura (ricambi), le attrezzature di supporto (inclusi kit speciali/strumenti/kit migliorati (Eaak), manuali tecnici, dati tecnici, (Cets), strumenti integrati Accounting Support Management Services (Ils), Riparazione di componenti obsoleti, Servizi di calibrazione, Follow Up Support (Fos).
La nuova fornitura americana permetterà alla Grecia di far fronte alle nuove minacce attuali e future, fornendo un’effettiva capacità di proteggere gli interessi e le infrastrutture marittime a sostegno della sua posizione strategica sul fianco meridionale della Nato.
Triplice
A suggellare questa nuova veste ellenica si registra anche il rafforzamento della partnership militare tra Grecia, Israele e Cipro che puntano a rafforzare la cooperazione e i legami tra le loro forze armate, poiché è convinzione dei tre Paesi che le nuove sfide si affronteranno solo con un’azione multilaterale tra Paesi che condividono il diritto internazionale. In particolare Tel Aviv e Nicosia hanno siglato un programma bilaterale di cooperazione per la difesa tra la guardia nazionale e le forze armate israeliane (Idf) a Tel Aviv, nonché un corrispondente programma tripartito con le forze di difesa greche per il 2023. I tre Paesi si definiscono come fattori di stabilità e sicurezza nel Mediterraneo orientale e oltre.
Il riferimento è principalmente al tema della sicurezza energetica, delle infrastrutture esistenti (Tap), di quelle future (EastMed) e dei giacimenti nel Mediterraneo orientale in cui operano primari players mondiali, come Exxon ed Eni.
FuoriLegge
Non c’è nessuno che sostenga la giustizia italiana funzioni bene. Ci si può ben spingere a parlare di bancarotta. Ma le cose possono andare peggio, fino a giungere alla bancarotta culturale che si coglie nelle parole di chi crede che se non funziona la giustizia giudicante si possa rimediare applicando le pene senza giudizio. Sembra severità, ma è solo severamente fuori dalla civiltà del diritto.
Dice il procuratore aggiunto di Napoli che quanti vengono arrestati, ad esempio dopo le violenze dei giorni scorsi, sta in carcere pochi giorni e non teme la pena, perché il processo ha tempi lunghi, sicché servono misure cautelari più severe. No, servono giudizi più celeri. Aggiunge: <<Il principio della presunzione di innocenza, che capisco e rispetto, presuppone tempi rapidi per il processo. Paesi con ricorso limitato al carcere preventivo arrivano a sentenza in 6 mesi, non in 5 anni>>. Fa piacere che capisca e rispetti un principio iscritto nella Costituzione e in un paio di fondamentali trattati internazionali, è incoraggiante, ma gli sfugge un dettaglio: senza quel principio non c’è giustizia possibile, senza quello i tribunali possono pure chiudere e si passa ai guardiani della morale, esecutori invasati, per ideologia o misticismo, del dispotismo. Senza si è fuori legge.
Il punto, comunque, è far funzionare la giustizia in tempi ragionevoli. Per ottenere questo risultato, possibile da agguantare anche perché considerato normale fra i Paesi civilizzati, non è che si debbano fare leggi settoriali o stringere qualche bullone, ma agire sul modo stesso in cui la macchina penale è concepita:
1. a processo deve arrivare la minoranza dei casi, non la pressoché totalità, in che significa rendere convenienti riti e pene alternative;
2. la procura non deve essere obbligata a procedere anche quando sa che sarà una perdita di tempo, quindi via l’obbligatorietà dell’azione penale;
3. le carriere, di accusatori e giudici, devono essere separate non per un puntiglio culturale, ma perché è il solo modo per valutare l’efficienza di ciascuno, senza che la cosa vada a finire sul tavolo di un Csm che eleggono uniti, dividendosi in correnti, cordate e camarille.
Il che ci porta nel campo della politica. Se si prendono le cose scritte da Carlo Nordio, nel corso di molti anni, si trova tanto di quel che serve. Molto bene. Se si prendono le scelte, in materia penale, fin qui fatte dal governo di cui Nordio fa parte si trova l’esatto contrario. Molto male. Naturale che non sarebbe stato neanche immaginabile trovare lo scrittore in tutti gli atti, lo è meno che si debba fare affidamento alla speranza nel cercarcelo. Ma questa è la logica della politica, dove Nordio arriva forte di un invidiabile bagaglio culturale, ma privo di forza propria. Siamo solo all’inizio, entro maggio è promesso l’arrivo, in Consiglio dei ministri, di un pacchetto di riforme. Attenderemo che venga fuori la legge. Ma è onesto avvisare subito: una cosa sono i testi licenziati dai ministri, altra il risultato dei lavori parlamentari. Vero che la politica è l’arte del compromesso, ma conta il risultato, altrimenti ci si è solo compromessi.
Basta avere chiaro che tutto dipende da un solo punto: la separazione delle carriere. Ci si può incaponire sulla disciplina delle intercettazioni telefoniche e ambientali, ad esempio, ma il momento della verità consiste nel far dipendere il successo (e la carriera) di un procuratore non dalla conferenza stampa a fine indagini, ma dal verdetto. Scritto da non colleghi. Idem per la ricorribilità delle assoluzioni: Nordio ha ragione, è illogico volere riprocessare un assolto, ma l’assurdo si estingue quando le procure smetteranno di ricorrere in automatico, non rispondendone, e cominceranno ad essere responsabili dei risultati. Senza il cardine della separazione le ruote delle riforme correranno senza meta in direzioni diverse.
Meno processi, più responsabilità di ciascuno, tempi ridotti, certezza della pena. L’alternativa è la certezza del penoso.
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PODCAST. L’Iraq 20 anni dopo l’invasione Usa : “Devastato da corruzione e povertà”
di Michele Giorgio
Pagine Esteri, 20 marzo 2023 – Venti anni fa gli Stati uniti, con l’aiuto della Gran Bretagna, lanciarono l’attacco contro l’Iraq che provocò la caduta di Saddam Hussein e diede inizio a una lunga e sanguinosa occupazione militare che causò centinaia di migliaia di morti e feriti e distruzioni immense. Nel 2023 le condizioni di vita nel paese arabo sono molto difficili. Gran parte della popolazione è povera nonostante l’Iraq sia tra i maggiori esportatori di petrolio. Mancano i servizi pubblici. La corruzione dilaga e regna l’instabilità politica. I giovani non hanno fiducia nello Stato. Ne abbiamo parlato con la giornalista Paola Nurnberg* in questi giorni a Baghdad.
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*Paola Nurnberg è una giornalista della radio/tv Svizzera. E’ stata inviata in molti paesi del mondo e scenari di guerra.
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Stranieri, o meglio detenuti
Il Giappone è in continuo calo demografico e ha bisogno di attrarre cittadini stranieri. Ma le regole per gli irregolari (compresi coloro a cui è scaduto il visto) sono durissime. E nei centri di detenzione dedicati non sono rare le tragedie. Tratto dal nuovo ebook di China Files: "Demografia asiatica"
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In Cina e Asia – Prima della visita, Xi riafferma la partnership con la Russia
Huawei ha sostituito migliaia di componenti vietate dagli Usa
Scoperto DNA animale a Wuhan. L'Oms chiede spiegazioni
Il disaccoppiamento dalla Cina mette a rischio i brevetti congiunti
La Cina introduce linee guida contro le molestie sul lavoro
Tik Tok: possibile spionaggio di giornalisti, gli Usa indagano
Corea del Nord: nuovi lanci di missili balistici e "800 mila nuove reclute nell'esercito"
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L’Iraq vent’anni dopo
di Joost Hiltermann – International Crisis Group –
Traduzione di Valeria Cagnazzo
Pagine Esteri, 19 marzo 2023 – Alimentata da un gruppo di ideologi noti come i “neoconservatori”, l’invasione statunitense dell’Iraq del 2003 fu la prima mossa dell’amministrazione Bush per riprogettare il Medio Oriente. Benché fosse giustificata come la risposta al supposto coinvolgimento del leader iracheno Saddam Hussein nell’attacco agli Stati Uniti dell’11 settembre e alla sua presunta capacità di produrre armi biologiche o altre armi di distruzione di massa, le sue finalità poi documentate erano più ampie. Gli “architetti della guerra” desideravano farne una regione più amichevole nei confronti degli interessi statunitensi, isolare l’Iran, e, facendo fuori uno dei membri del fronte arabo “del rifiuto”, rifilare una “Pax israeliana” ai Palestinesi – che avevano cercato un’altra volta, con una seconda Intifada iniziata nel 2000, di ribellarsi alla legge militare israeliana. C’erano anche altri motivi in gioco: dimostrare il potere statunitense dopo l’attacco dell’11 settembre esercitando la sua forza bruta e, secondo alcuni neoconservatori, provare che una missione di “democraticizzazione” poteva contrastare il fascino dei movimenti islamisti nella regione.
Se l’impresa iniziò con tracotanza e ambizione, finì tra le lacrime. Gli obiettivi irreali dei suoi fautori combinati con la legge delle conseguenze indesiderate finirono per mettere in luce la loro ignoranza e la loro arroganza. Piuttosto che far germogliare la democrazia in Medio Oriente, l’invasione provocò un vuoto di sicurezza nel cuore della regione. Scatenò un Iran intenzionato a vendicarsi del sostegno di Washington allo Shah e alla “guerra imposta” dal regime di Hussein, lanciata nel 1980 per spegnere la Rivoluzione Islamica. Infiammò l’ascesa del dibattito settario, che contribuì a trasformare la polarizzazione politica irachena in tre anni di brutale guerra civile. Ridusse in brandelli il mito della potenza militare degli Stati Uniti e la sua reputazione, dopo la Guerra Fredda, di unica superpotenza, la sola capace di imporre la sua volontà ben oltre le proprie coste. Generò una nuova ondata di gruppi jihadisti, culminata nella nascita dello Stato Islamico di Iraq e Siria, l’Isis, che non solo sfruttò il caos che si era creato sulla scia dell’invasione americana ma successivamente lo rese ancora più drammatico. L’offensiva dell’Isis nel 2014 ha riportato le truppe statunitensi in Iraq anni dopo che Washington aveva cercato di lavarsi le mani dei disordini che aveva creato nella regione. Ultimo ma sicuramente non meno importante, l’invasione del 2003 si concluse con la beffa delle due motivazioni che Bush aveva addotto per giustificarla pubblicamente: gli investigatori non trovarono né le armi di distruzione di massa in Iraq né le prove di una connessione tra il regime di Saddam Hussein e gli attacchi dell’11 settembre.
Anatomia di un fallimento
L’Iraq sotto il regime dell’apparato brutale del partito baathista di Saddam Hussein e le sue agenzie di sicurezza non era un posto piacevole, eppure la gioia che la sua caduta provocò in molti Iracheni – curdi e sciiti in particolare – svanì ben presto. L’ambivalenza della situazione diventò palese molto presto dopo la “liberazione” del 2003, quando durante una visita a Baghdad mi venne chiesto da alcuni speranzosi abitanti, che avevano bene accolto l’arrivo delle truppe statunitensi, perché i soldati non avessero ripristinato l’ordine pubblico, lasciando, invece, che le bande saccheggiassero i palazzi governativi e rubassero beni inestimabili dai musei e dalla libreria nazionale. Questi Iracheni trovavano incomprensibile che l’esercito degli Stati Uniti potesse permettere un tale caos; lo interpretavano come un segnale di cattive intenzioni – un tentativo di estendere i domini dell’impero mediante la distruzione. Il parere del Segretario americano alla Difesa Donald Rumsfeld che “la libertà porta disordine” non li tranquillizzava. Erano piuttosto infuriati dai frequenti riferimenti dei media occidentali alla “caduta di Baghdad”, che inevitabilmente portava alla memoria il sacco della città nel 1258 da parte dei Mongoli, quando questa era il centro dell’impero degli Abbassidi e del fermento culturale dell’epoca, una cosa ben diversa rispetto alla “caduta del regime”. I loro sentimenti anti-invasione di stampo nazionalista arabo erano molto diffusi in Medio Oriente, dove il regime deposto aveva goduto di un supporto popolare significativo per la sua resistenza all’agenda statunitense. (Molti erano inconsapevoli o chiudevano gli occhi davanti a quanto avveniva nelle prigioni di Saddam Hussein).
Vent’anni dopo, è chiaro come l’invasione fu un fallimento terribile sotto molti punti di vista, non solo per la mancanza di pianificazione dell’impresa ma anche per la serie di conseguenti disastri che la segnarono. Gli Stati Uniti, quasi dal “partenza-via”, persero i cuori e le menti di molte delle persone che erano venuti a liberare. Queste ultime finirono per appoggiare, con vari gradi di entusiasmo, le azioni di una piccola minoranza che gravitava intorno a forme di resistenza molto più violenta verso quella che, giustamente, definivano una “occupazione” – uno status confermato dalla Croce Rossa Internazionale, garante delle Convenzioni di Ginevra del 1949, e dagli stessi Stati Uniti. Qualsiasi protezione internazionale la presenza americana potesse offrire ai civili iracheni, essa determinò anche un livello di dominazione straniera che finì per andare male alla maggior parte di loro.
Nel giro di poche settimane, molti errori furono commessi. Iniziarono con l’instaurazione di un proconsole americano, L. Paul “Jerry” Bremer, dotato di ampi poteri e limitata conoscenza del Paese. Poi venne lo smantellamento dell’esercito da parte sua, anche se di tutta la miriade di apparati di sicurezza iracheni, l’esercito era quello che aveva mostrato meno di tutti lealtà al vecchio regime e aveva un corpo di ufficiali che avrebbe potuto essere riformato per offrire sicurezza a tutto il Paese.
Un altro sbaglio madornale fu la purga degli ex membri del partito baathista dallo Stato, una mossa spinta dal desiderio di vendetta dei partiti sciiti, che cercavano di ottenere il potere. Per come la portarono avanti gli Stati Uniti, la de-baathificazione fu indiscriminata, con la rimozione di tutti gli ufficiali degli alti livelli del partito; ma finì per essere selettiva, visto che i partiti islamisti successivamente perdonarono molti dei baathisti sciiti (tranne alcuni che erano stati gli scagnozzi del regime) e diedero loro alcune posizioni di potere nel nuovo ordine, ma non i baathisti sunniti.
A coronare il tutto, la creazione di una struttura di governo sul modello del sistema della muhasasa libanese, con la rappresentazione politica delle comunità etnico-confessionali sulla base della loro presunta proporzione demografica. Una tale risoluzione potrebbe incoraggiare una politica guidata dal consenso popolare, ma contrasta una governance effettiva: chiunque ha una poltrona, ma nessuno può prendere decisioni. Questo genera ogni forma di corruzione, poiché i politici elargiscono protezione ai loro elettori, e le loro controparti non possono opporsi, per paura che crolli tutto il sistema. Insieme al fallimento nel fermare il saccheggio del Paese, queste azioni furono i peccati originali dell’occupazione.
Un racconto di due temi
I due temi principali degli ultimi due decenni, comunque, sono stati: primo, come gli Stati Uniti, di concerto con gli esuli di ritorno, definirono sempre l’Iraq come comprendente tre comunità principali – i curdi, gli arabi sciiti e gli arabi sunniti – e relegarono quest’ultimo gruppo, in un unico conglomerato indifferenziato, ad essere quello degli sconfitti ufficiali. L’Iraq divenne un caso emblematico di come l’esclusione – in questo caso dei sunniti privati di potere sotto quello che emerse come il dominio sciita islamista – generi rancore, che accumulandosi può provocare violenza.
Con i Sunniti allontanati dal potere, nel disordine prosperò una ribellione guidata dal movimento di Al-Qaeda in Iraq (AQI), che gli Stati Uniti non furono in grado di contenere e, probabilmente, poco interessati a fermare. Non volendo restare impantanata in quella regione un giorno di più, Washington aveva portato buona parte delle sue truppe fuori dal Paese entro la fine del 2011, per tornarci appena tre anni più tardi quando l’Isis (che derivava dall’AQI), conquistò territori in Siria e in Iraq. Oggi, l’Isis può essere stato soppresso con mezzi militari, ma si continua a covare rancore, alimentato da una governance negligente, scarsa rappresentazione politica e scarsa protezione. Gli abitanti di Falluja, Ramadi, di quello che resta di Mosul e una miriade di altre piccole città a ovest e nord-ovest sono stati, in effetti, incolpati di tutte le depredazioni del vecchio regime. I membri rimanenti dell’Isis, intanto, nascondendosi in terreni accidentati, portano avanti operazioni locali aspettando il giorno in cui il potere di Baghdad si risveglierà di nuovo.
Il secondo leitmotif è come l’occupazione statunitense abbia permesso all’Iran di diffondere la sua influenza in Iraq – attraverso leader politici simpatizzanti e milizie per procura – fino ai confini con l’Arabia Saudita, la Giordania e la Siria, suggerendo una vittoria tardiva dell’Iran nella Guerra del 1980-88. Il destino dell’Iran in quel conflitto gli offre oggi il pretesto per usare l’Iraq come profondità strategica davanti a un mondo arabo ostile, e gli regala anche l’occasione di un regolamento di conti. Teheran aveva avvertito che i limiti al suo potere sulla regione erano già stati allentati dopo che l’invasione statunitense dell’ottobre 2001 in Afghanistan aveva allontanato I talebani, un altro dei suoi rivali.
L’ascesa dell’Iran in Iraq e in maniera più estesa in tutto il Medio Oriente è spesso attribuita a un’aspirazione all’egemonia regionale. Potrebbe effettivamente nutrire simili ambizioni. E si potrebbe a ragione replicare che l’Iran ha provato una spiccata capacità di sfruttare le condizioni favorevoli che gli si sono presentate. Ha aiutato Hezbollah a insediarsi in Libano in risposta all’invasione israeliana del Paese nel 1982, cosa che non danneggiò soltanto i rifugiati palestinesi ma anche la popolazione in maggioranza sciita. Ha esteso la sua influenza in Iraq grazie all’invasione statunitense. E’ venuto in soccorso dell’alleato siriano Bashar al-Assad quando il suo regime ha vacillato davanti alle proteste popolari e all’insurrezione armata nel 2011. Infine, ha dato man forte ai ribelli houthi in Yemen in seguito al fallimentare ma duraturo intervento militare dei sauditi nel 2015. In Iraq, Libano e Yemen, l’Iran ha beneficiato anche della presenza di gruppi islamisti sciiti desiderosi di approdare al potere nazionale grazie al suo aiuto.
Per contenere l’Iran sarà necessario farlo confrontare con una serie di condizioni locali “sfavorevoli”. La ricostruzione degli stati arabi basata sulla legittimazione popolare, incluso l’Iraq, potrebbe essere il cambiamento più significativo in questo senso. Nel 2011, otto anni dopo l’invasione dell’Iraq, Tunisini, Egiziani, Libanesi, Siriani, Yemeniti, Bahreiniti e altri hanno mostrato come può essere la restaurazione dell’ordine politico regionale quando viene realizzata dal basso. I regimi minacciati, tuttavia, hanno represso con la forza i manifestanti nelle piazze, mentre i poteri regionali come l’Iran, i Paesi del Golfo Arabo e la Turchia hanno stravolto i loro sforzi, specialmente in Siria. Questi cambiamenti hanno reso gli esiti di quella stagione di speranza nella regione tanto tragici quanto quelli vissuti dagli Iracheni dopo il 2003, se non di più. Eppure, dei modi per raggiungere una governance più promettente che non preveda un intervento esterno né un’insurrezione interna si possono immaginare, e l’Iraq, che ha mantenuto una certa coerenza nazionale a vent’anni dall’invasione, può essere capace di proporre delle idee realizzabili, perché almeno ha goduto di qualche sviluppo positivo anche come risultato dell’invasione degli Stati Uniti.
Ancora qui
Al contrario delle previsioni di alcuni osservatori (e, in qualche caso, anche dei loro desideri), l’invasione non ha comportato la fine dell’Iraq. I confini si sono dimostrati stabili e il nazionalismo iracheno si è ripreso nonostante un’iniziale esplosione di sentimenti anti-nazionali. (I curdi sono riusciti a ottenere una maggiore autonomia, ma non la completa indipendenza alla quale ambiscono da tempo.) La società irachena è arrivata a godere di una modica libertà. Il Paese ha un sistema multipartitico per la prima volta nella sua storia, elezioni parlamentari ripetute e relativamente trasparenti, e una stampa libera (ma facilmente soggetta a intimidazioni). Nell’attuale sistema politico iracheno, nessun leader autoritario può agire senza restrizioni. Ma proprio la debolezza del centro, guidato da una classe politica corrotta incapace di dare anche solo una parvenza di buon governo, se da una parte ha reso possibili queste importanti caratteristiche ha anche permesso l’ascesa di milizie predatorie e di intrusioni ripetute dei vicini Iran e Turchia.
In che modo questi risultati equivalgano a un vantaggio per gli Stati Uniti, nonostante la grande spesa in termini di sangue e denaro, nessuno sa dirlo, con le uniche eccezioni ben immaginabili dell’industria delle armi e di altri interessi corporativi. C’è chi sosteneva già prima della guerra che la spedizione proposta dall’amministrazione Bush fosse mal concepita, basata sulla cattive informazioni fornite da un piccolo gruppo di esuli iracheni, con le loro agende molto ristrette. In quanto tale, non avrebbe mai potuto avere successo, anche se la forza occupante fosse stata meno disastrosamente incompetente di quanto si sia nei fatti rivelata.
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Guerra in Ucraina: l’incriminazione di Putin è solo propaganda?
La gran parte della stampa italiana, e non solo, si occupa con estrema ampiezza della cosiddetta «incriminazione» di Putin. Si tratta indubbiamente di una notizia abbastanza clamorosa e unica nel suo genere anche se, a ben vedere, non poi così inattesa e nemmeno così imprevedibile. Per capirci, la Corte penale internazionale dell’Aja è stata istituita […]
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Schlein e Landini sfidano Meloni
Incassa il 94,2 per cento dei voti, Maurizio Landini. Con questa votazione quasi bulgara il 19° congresso nazionale della CGIL conferma per altri quattro anni Landini alla guida del sindacato tradizionalmente schierato a sinistra. Ed è subito un segnale chiaro, inequivocabile quello che arriva da Rimini. Prevedibile, anche. All’attuale inquilino di palazzo Chigi Landini […]
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Non solo #Mastodon, ma anche #PeerTube #PixelFed #Friendica e #Funkwhale: i social media decentralizzati aumentano mentre Twitter si scioglie. @Matt_on_tech intervista @tchambers
Mastodon è solo l'inizio: il Fediverso sta arrivando con PeerTube, PixelFed, Friendica e Funkwhale
la maggior parte delle aziende che cercano di supportare i social media decentralizzati stanno aggiungendo il supporto per #ActivityPub o, in alcuni casi, costruendo nuove piattaforme per un futuro decentralizzato. Si dice che Meta stia lavorando sul proprio social network decentralizzato, nome in codice P92 , che si dice includa il supporto ActivityPub. WordPress , Flipboard e Mozilla hanno tutte funzionalità annunciate che si integrano con il Fediverso.
Qui è disponibile l'intervista di @Matthew S. Smith a @Tim Chambers
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Parigi: il prefetto ha commissariato il Sindaco per ottenere i dati anagrafici dei netturbini di Parigi e chiederne la precettazione. Di @DavidLibeau
Oltre alle condizioni di urgenza e violazione del buon ordine o della salute, è chiaramente specificato che è necessario un ordinanza per precettare qualsiasi bene o servizio. Nel caso dei netturbini di Parigi, sono i loro dati personali che sono stati trasmessi alla prefettura. Il problema è che sembra difficile qualificare l'elenco degli agenti di servizio come un bene. In ogni caso, questo solleva delle domande.Recentemente la CNIL ha richiamato le regole per la cessione dei fascicoli quando Camaieu è stata messa in vendita. La CNIL ha precisato ad esempio che ciò era possibile ma che informare le persone era importante.
Nel caso dei netturbini la situazione è tanto più complessa in quanto non vi è stato ordine di precettazione se non dopo la trasmissione dell'elenco dei 4000 agenti della città di Parigi. Le disposizioni del Codice generale degli enti locali sulla requisizione non sono state aggiornate dal GDPR e sembrano piuttosto obsolete.
Se fossimo nel contesto di una requisizione, la base della legalità del sindaco di Parigi sarebbe stata probabilmente l'obbligo legale. Tuttavia, un considerando del GDPR sulle richieste delle pubbliche autorità mette in dubbio la legittimità dell'operazione poiché il considerando 31 in questione indica che richieste di questo tipo «non dovrebbero riguardare la totalità di un fascicolo» .
Se la trasmissione dei dati fosse rientrata nell'ambito di applicazione di questo considerando, ciò significherebbe potenzialmente che la richiesta di tutti i nomi e gli indirizzi degli incaricati del servizio di pulizia avrebbe potuto porre un problema in quanto si sarebbe potuto ritenere che riguardasse l'intero fascicolo . Ciò sarebbe rimasto a discrezione della CNIL in quanto autorità di controllo.
Qui è disponibile l'intero post, in francese, di @David Libeau
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In Your Eyes zine ricerca collaboratori
Crescere, in tutti i sensi, è di per sé un fatto positivo ma qualche problema in fondo lo crea sempre.
Così come per le mamme, che devono che devono costantemente rinnovare il guardaroba dei figli per adeguare l’abbigliamento al loro sviluppo fisico, anche per In Your Eyes la costante crescita di contatti riscontrata negli ultimi anni comporta il dover affrontare un “piacevole” problema: quello di far fronte alle numerose richieste di recensione che ci pervengono ogni giorno.
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🧨 Interview with Ed Hanssen
Ed Hanssen. I started my projectmailartbooks by sending selfmade blanc little booklets made of wrappingpaper to artists I knew and that expanded very rapidly into a huge mailartproject.
Ed Hanssen interview 2023
Ed Hanssen: I started my projectmailartbooks by sending selfmade blanc little booklets made of wrappingpaper to artists I knew and that expanded very rapidly into a huge mailartproject.silvano pertone (In Your Eyes ezine)
Ministero dell'Istruzione
Oggi, #18marzo, si celebra la Giornata nazionale in memoria delle vittime del #coronavirus, istituita formalmente il 17 marzo 2021.Telegram
Mastodon.social: un errore di configurazione ha portato alla perdita di dati
La causa di una fuga di dati su Mastodon non è stata un'intrusione esterna, ma una configurazione insufficiente del server Mastodon per l'archiviazione dei dati dell'utente. Ciò ha reso teoricamente possibile per ogni utente del servizio visualizzare i dati caricati su files.mastodon.social. Mastodon ha scoperto il bug il 24 febbraio e lo ha risolto entro 30 minuti. Tuttavia, la falla esisteva dall'inizio di febbraio perché l'infrastruttura era stata aggiornata in quel momento, scrive il provider in una e-mail.
L'articolo di Heise continua qui
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Considerato che anche certe aziende multimilionarie hanno avuto bug da bambini delle elementari, nessuno griderà allo scandalo
it.phhsnews.com/huge-macos-bug…
Bug macOS enorme consente l'accesso al root senza password. Ecco la correzione - it.phhsnews.com
Una vulnerabilità scoperta di recente in macOS High Sierra consente a chiunque abbia accesso al laptop di creare rapidamente un account di root senza immettere una password, ignorando i protocolli di sicurezza impostati.it.phhsnews.com
Poliverso - notizie dal Fediverso ⁂ likes this.
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Taiwan Files – Una seconda visita di Tsai negli Usa?
Il doppio scalo di Tsai Ing-wen negli Usa e le voci su una possibile seconda visita. Le possibili reazioni di Xi. La postura di Pechino tra "due sessioni", nomine e aperture. Qualche ombra sull'esercito taiwanese. Semiconduttori e chip war. La rassegna di Lorenzo Lamperti con notizie e analisi da Taipei (e dintorni)
L'articolo Taiwan Files – Una seconda visita di Tsai negli Usa? proviene da China Files.
Xi Jinping a Mosca: mediatore o amico senza limiti? Forse padrone
Il leader cinese a Mosca da lunedì 20 a mercoledì 22 marzo. Dietro la manovra diplomatica ci sono anche interessi strategici. Ma il mandato d'arresto per Putin offusca i piani di Pechino, almeno in occidente
L'articolo Xi Jinping a Mosca: mediatore o amico senza limiti? Forse padrone proviene da China Files.
L’immagine del disastro del lavoro | Contropiano
"Giorgia Meloni fa il suo mestiere, Landini ed i suoi da anni non fanno il loro. Fanno i furbetti, spiegano che la visita di Meloni è un riconoscimento della loro forza, aiutati in questo dalla stampa di regime che ne amplifica gli inesistenti ruggiti, ma la sostanza di tutto è solo subalternità."
Effetto Panopticon e autosorveglianza
In un mondo in cui la sorveglianza di massa è sempre più pervasiva, sistematica e normale spesso dimentichiamo l’impatto psicologico che questo monitoraggio costante, sia online che offline, ha su tutti noi. Ancor più spesso, sottovalutiamo le conseguenze che questa ha nella definizione dei rapporti di potere tra individuo e Stato.
Una buona metafora dello stato attuale della sorveglianza a cui siamo sottoposti è il Panopticon, ideato dal filosofo Jeremy Bentham nel 18° secolo. Il Panopticon di Bentham era un design circolare di una prigione, che consentiva a una sola guardia situata in una torre centrale di osservare tutti i detenuti senza che loro sapessero se erano osservati o meno in uno specifico momento.
L’idea era che questo meccanismo, che dava la sensazione di sorveglianza costante, potesse portare i detenuti a comportarsi "bene” senza alcun input.
Questo concetto si collega direttamente anche all’idea di nudging. Entrambi sono strettamente correlati allo stato della sorveglianza governativa a cui siamo sottoposti. Con l’articolo di oggi quindi esploriamo queste connessioni e le loro implicazioni.
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L’effetto Panopticon
Con effetto Panopticon si può intendere il modo in cui la percezione di essere continuamente osservati riesca a creare un senso di insicurezza costante nell’osservato e portarlo quindi a influenzare il suo comportamento in modo inconscio. Ciò che succede nella pratica è che al crescere della sensazione di sorveglianza, la persona osservata tenderà a conformarsi alle aspettative del contesto in cui si trova.
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Questo è ancor più vero quando il contesto è quello di una società governata da leggi complesse, difficili da comprendere e perfino da conoscere. In questo contesto le persone, non sapendo ciò che è lecito fare o non fare, tenderanno a standardizzare sempre più i loro comportamenti sulla base delle aspettative. Spesso, queste aspettative sono anche artificialmente portate avanti da specifiche agende dei mass-media.
Hana, Armita e le altre nella prigione degli stupri
Il valico di Haje Omeran taglia in due la regione a maggioranza curda che si trova a cavallo tra l’ovest dell’Iran e il nord dell’Iraq.
Molti curdi hanno parenti su entrambi i lati del confine e normalmente lo attraversano andando avanti e indietro con relativa facilità.
La repressione in atto nel paese sui manifestanti ha rallentato la marea di attraversamenti al valico tra l’Iran e le montagne del nord dell’Iraq. La paura di un arresto indiscriminato ha reso molti riluttanti a rischiare il viaggio. Lungo il confine tra Iran e Iraq vi sono centri di polizia usati come punti di filtraggio, dove gli arrestati vengono prima interrogati, torturati e poi dislocati nei penitenziari.
Hana è una donna curda-iraniana sulla ventina che aveva intrapreso un pericoloso viaggio lungo i sentieri di montagna per fuggire dall’Iran.
Sua madre aveva ricevuto una telefonata da un funzionario di alto livello della prigione di Mahabad, nel nordovest del paese, che la esortava a non far uscire più di casa le sue figlie “per alcun motivo”.
Ma Hana, imperterrita, si è unita alle proteste con molte altre donne. Ha ballato e ha cantato nelle strade agitando il velo come una bandiera e poi ha dato fuoco ad esso, come è nel rituale di queste manifestazioni.
Ciò ha comportato il suo arresto, la polizia iraniana l’aveva ripresa in un video. La ragazza è stata trattenuta in un centro di detenzione presso una stazione di polizia nella città nordoccidentale di Urmia, capoluogo dell’Azerbaigian occidentale, nel nordovest dell’Iran.
Nel centro di detenzione di Haje Omeran sono rinchiuse circa 30-40 donne e i restanti detenuti sono ragazzi tra i 13 e i 14 anni. “Tutti torturati e violentati”, come ha rivelato Hana.
Il penitenziario di Haje Omeran è un luogo segreto tra le montagne al confine tra Iran e Iraq dove la polizia ha abusato sessualmente di alcuni manifestanti.
La descrizione di testimoni oculari ha permesso la geolocalizzazione della prigione segreta e la CNN l’ha individuata e ne ha ricostruito anche gli interni con l’aiuto di ex prigionieri. Il penitenziario ha al centro un salone con stanze destinate agli interrogatori.
Secondo diverse testimonianze i poliziotti selezionavano le donne considerate belle e in grado di soddisfare i loro appetiti. Un ufficiale sceglieva una di loro e, dalla cella in cui era ristretta, la portava con sé in una stanzetta privata e lì veniva aggredita sessualmente.
Le forze di sicurezza usano lo stupro come arma per reprimere le proteste.
Sono numerose le testimonianze di donne violentate dagli agenti penitenziari riportate in un rapporto pubblicato dalla CNN nel novembre 2022. Secondo questo report, le ragazze stuprate venivano poi trasferite in altre città. Spesso le giovani adolescenti hanno paura di parlare delle violenze subite.
Il caso di Armita Abbasi, una giovane di 21 anni, nata nel 2001 nella città iraniana di Rasht sul Mar Caspio, è davvero terribile.
Quando il 10 ottobre 2022 Armita fu arrestata nella città di Karaj dove abitava, a ovest di Tehran, quasi un mese dopo l’inizio delle manifestazioni, aveva tutti i tratti distintivi di una ragazza della cosiddetta “Generazione Z”. Aveva una pettinatura di biondo platino con lampi multicolori e un piercing al sopracciglio. Indossava lenti a contatto colorate e filmava i gatti del suo soggiorno postando i video su TikTok.
Nelle foto da lei pubblicate sui social indossava spesso una collana con la stella di David, simbolo culturale e religioso ebraico, che ha attirato su di lei l’attenzione della comunità ebraica internazionale, nonostante lei non fosse ebrea.
La rivoluzione le ha cambiato la vita, le forze di sicurezza iraniane l’hanno sottoposta alle peggiori brutalità. Dall’inizio delle rivolte, i post sui social media a nome di Armita sono stati presi di mira dal regime. Non è chiaro se abbia realmente partecipato alle proteste, tuttavia, a differenza della maggior parte dei dissidenti all’interno del paese, non ha reso anonime le sue critiche al regime.
In una dichiarazione del 29 ottobre, il governo l’aveva accusata di essere una “leader fomentatrice dei disordini” per la sua intensa attività sui social. La polizia le aveva fabbricato gravi accuse, tra le quali il possesso di “10 bottiglie molotov” che sarebbero state trovate nel suo appartamento. Una accusa, questa, pretestuosa, sufficiente per infliggerle una pena pesante.
Una serie di account trapelati su Instagram avevano causato scalpore nei giorni successivi al suo arresto e hanno trasformato Armita – come Mahsa Amini e Nika Shahkarami prima di lei – in un simbolo del movimento di protesta.
Sono state rese pubbliche in perfetto anonimato conversazioni tra medici su un servizio di messaggistica privato di Instagram nel corso delle quali si accusava la polizia iraniana di aver torturato e abusato sessualmente e ripetutamente di Armita. Il 18 ottobre la ragazza fu trasportata d’urgenza all’ospedale Imam Ali di Karaj, accompagnata da agenti in borghese.
I medici raccontano che Armita aveva la testa rasata e tremava come una foglia e che erano stati costretti a preparare referti falsi in cui si affermava che la ragazza era ammalata di cancro e che le aggressioni erano avvenute prima del suo arresto.
Ma alcuni medici hanno riferito di essersi trovati di fronte all’orrore di una giovane che aveva subito un brutale stupro che le aveva provocato una grave emorragia rettale.
Le forze di sicurezza di Tehran l’avevano addirittura rapita dall’ospedale e ricondotta nel carcere di Kachui a Karaj per timore che potesse raccontare alla stampa le violenze subite. Solo grazie al coraggio di alcuni medici il suo caso ha comunque ricevuto l’attenzione dei media internazionali.
La famiglia di Abbasi ha raccontato che dal momento dell’arresto e fino al ricovero in ospedale non era riuscita ad avere notizia della loro figlia. Dopo otto giorni di ricerche era stato comunicato loro che la ragazza era ricoverata nell’ospedale di Karaj. I suoi genitori si erano subito precipitati a farle visita, ma non erano riusciti ad incontrarla perché era già stata trasferita dalle forze di sicurezza in un luogo sconosciuto.
Il capo della Procura della provincia di Alborz ha smentito che vi fosse stata una aggressione sessuale nei confronti di Armita come era dichiarato nella denuncia sporta dai familiari. I genitori della ragazza hanno riferito di aver ricevuto una telefonata dalle forze di sicurezza che avevano loro comunicato che se avessero mai voluto rivedere la ragazza, avrebbero dovuto partecipare a un’intervista televisiva nella quale avrebbero dovuto affermare che Armita era stata ricoverata per gravi problemi intestinali di cui soffriva e che le avrebbero provocato una emorragia. Ma i genitori si sono rifiutati di affermare il falso.
La ragazza anche in carcere ha mostrato grande coraggio mettendo in atto uno sciopero della fame assieme ad altre quindici donne detenute per protestare contro le condizioni di detenzione disumane e degradanti, per la tortura inferta ai prigionieri e per la negazione delle cure mediche necessarie. Assieme ad Armita Abbasi hanno scioperato altre due manifestanti di circa ventinove anni, Hamida Zarai e Nilufar Shakri, e la trentaduenne pittrice Elham Modaresi.
Modaresi era stata rapita a Karaj dai pasdaran, ed è stata arrestata perché lottava contro l’apartheid di genere. La giovane artista soffre di una rara malattia del fegato e ha urgente bisogno di cure mediche. È stata sottoposta per otto settimane a torture, sevizie e stupri perché si era rifiutata di firmare false confessioni, ora la sua vita è in pericolo.
Dopo circa tre settimane di sciopero della fame e dopo cento giorni di detenzione, il 7 febbraio 2023 Armita Abassi è stata scarcerata ed ha potuto riabbracciare i suoi cari. Suo padre è andato a prenderla fuori dal carcere, lei è apparsa ancora piena del suo spirito vivace e ribelle.
Per leggere le altre storie clicca qui
L'articolo Hana, Armita e le altre nella prigione degli stupri proviene da Fondazione Luigi Einaudi.
Linus Torvalds e il #Fediverso
Linus Torvalds non è interessato alle guerre di religione nel fediverso.
Linus Torvalds sa che c'è un tempo per amministrare e un tempo per utilizzare.
Linus Torvalds sa che il Fediverse è libero perché è fatto da fedi diverse.
Per questo ci piace il Fediverse. E anche Linus 😅
Il post di @Linus Torvalds
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Borsa: canapa, Canada perde, USA tiene
Come era facile prevedere, la crisi borsistca denotata dall’andamento quasi fallimentare di alcune banche USA si fa notare anche sull’andamento dei principali titoli azionari del settore Canapa e Cannabis, soprattutto nel caso della piazza borsistica canadese, la Borsa Canapa USA sembra -in un qualche modo- tenere, anche se si tratta di valori positivi di basso […]
L'articolo Borsa: canapa, Canada perde, USA tiene proviene da L'Indro.
Fascisti da Marte in un’ Italia ‘simil-repubblichina’
Tutto quello che ho per difendermi è l’alfabeto; è quanto mi hanno dato al posto di un fucile (Philip Roth) Anni fa il geniale comico Corrado Guzzanti parodieggiava in tv sui fascisti approdati (o forse opportunamente mandati lì lontani dal civile sentire) su Marte quando il Paese era un poco più libero e meno involgarito da accozzaglie […]
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Cossackia: un potenziale baluardo contro l’imperialismo russo
La Cossackia, la terra a est dell’Ucraina e a nord del Caucaso settentrionale nella Federazione Russa, è la casa tradizionale delle tre più grandi comunità cosacche: i gruppi di Don, Kuban e Terek. In quanto tale, ha il potenziale per diventare un potente baluardo contro l’imperialismo russo, un difensore dell’Ucraina e un alleato dell’Occidente, sostengono […]
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Ucraina – Russia: le azioni della Cina possono fare la differenza
Alcuni giorni prima del primo anniversario dell’invasione russa dell’Ucraina, il 24 febbraio 2023, i funzionari statunitensi hanno affermato che la Cina stava valutando la possibilità di fornire alla Russia armi letali per sostenere la sua campagna militare. La Cina ha negato le accuse e nell’anniversario dell’invasione ha invece presentato il suo piano di pace in 12 punti […]
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Guerra in Ucraina: i ‘semi sotto la neve’
“La storia” – diceva Antonio Gramsci – “insegna, ma purtroppo non ha scolari”, figurarsi la cronaca come quella che con grande difficoltà si tenta giorno per giorno di costruire attorno al conflitto russo-ucraino. Eppure, ad un anno dall’inizio di questa guerra insensata, già emergono elementi che ci inducono a pensare a questa non come a […]
L'articolo Guerra in Ucraina: i ‘semi sotto la neve’ proviene da L'Indro.
Quel che manca alla riforma fiscale
Con il Consiglio dei ministri di ieri è partito il cantiere della riforma fiscale, che durerà l’intera legislatura visto che ci si propone un confronto in Parlamento sulla legge delega per approvarla entro inizio autunno, poi due anni per le misure attuative e altri due anni per la loro integrazione e modifica. Le osservazioni qui contenute sono relative ad aspetti di fondo comuni ai diversi testi che si sono succeduti. Su diversi punti la delega assume idee tratte dal testo su cui lavorarono i partiti in Parlamento nella scorsa legislatura. Ma al testo mancano troppi dettagli essenziali, per misurarne e giudicarne davvero gli effetti. Il richiamo iniziale ai princìpi generali della Costituzione, norme Ue e cantieri fiscali Ocse è opportuno, speriamo davvero si riesca a costituzionalizzare come indicatolo Statuto del contribuente, sempre calpestato dallo stato.
Apprezzabile la parte su semplificazione degli adempimenti per il contribuente, e volontà di rafforzare gli interpelli preventivi all’amministrazione tributaria sui mille problemi interpretativi delle norme vigenti: ma è da respingere l’idea di far pagare al contribuente gli interpelli per finanziare Ag Entrate, lo stato non è il Caf dei sindacati. Su Iva e imposte indirette, il progetto di allineamento alle disposizioni Ue è giusto. Bisognerà capire che cosa significhi in termini di scelte su cosa esentare dall’imposta, e su cosa agevolare nel settore dei beni comuni. Non si comprende ancora quali siano le linee d’intervento in materia di rimborsi, croce senza delizia dei soggetti a Iva in questi anni la trasmissione telematica dei dati Iva è stato un vantaggio per lo stato e per la lotta all’evasione, molto meno per i contribuenti adempienti.
L’articolo dedicato alla riforma delle accise enuclea finalità energetiche apprezzabili, come il sostegno alle rinnovabili. Ma manca una riflessione organica sulla necessità di un’unica visione per accise, detrazioni e deduzioni e sussidi di ogni tipo ai soggetti in campo energetico, che configuri una sorte di unico codice fiscale per il settore green-ambientale. Per l’Irpef, l’idea iniziale era di diminuire le aliquote da 4 a 3, accorpando secondo e terzo tra gli attuali scaglioni, dei redditi tra 15 mila e 50 mila euro. In assenza però di dettagli sulla revisione annunciata delle detrazioni/deduzioni Irpef, non è possibile in alcun modo effettuare calcoli di convenienza fiscale. Né sulle aliquote reali che ne deriverebbero davvero (in termini di progressività), né tanto meno sugli effetti conseguenti al bilancio e deficit pubblico.
La bandierina di un’Irpef “tra 5 anni flat tax per tutti” resta uno slogan ideologico valutabile solo nei mesi a venire. E’ tuttavia sin da oggi positivo mirare all’unificazione di trattamento fiscale dei redditi di capitale e dei redditi diversi di natura finanziaria, soggetti oggi a incomprensibili diversi regimi, nonché di rivedere l’attuale tassazione dei fondi pensione.
L'articolo Quel che manca alla riforma fiscale proviene da Fondazione Luigi Einaudi.
Arabia Saudita – Iran: lo smacco cinese agli USA
L’annuncio del ristabilimento delle relazioni diplomatiche fra Iran e Arabia Saudita, interrotte dal 2016, rappresenta un’evoluzione importante sulla scena mediorientale. Dopo la rivoluzione del 1979, i rapporti fra Teheran e Riyadh (mai davvero facili nemmeno negli anni della monarchia Pahlavi) hanno sperimentato un netto peggioramento, caratterizzato da diverse fasi di tensione acuta. La conseguenza è stata […]
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Sabino Cassese – Amministrare la Nazione
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L'articolo Sabino Cassese – Amministrare la Nazione proviene da Fondazione Luigi Einaudi.
Crac Silicon Valley Bank: la paura fa novanta?
Il contagio finanziario dopo il crollo della Silicon Valley Bank si sta allargando? Il colosso Credit Suisse, seconda banca svizzera, sta diventando un untore che facilita la pandemia finanziaria? Rischiamo la sindemia finanziaria secondo il protocollo già visto con il Covid? Il virus si propaga? ed i controlli? Autorevoli studiosi affermano che tutto dovrebbe essere […]
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SinTassi
Non c’era nulla da prevedere, perché era scontato che la Banca centrale europea alzasse ulteriormente il tasso d’interesse. Ieri l’Istat ha verificato un rallentamento dell’inflazione a febbraio (+9,1%), ma anche un’accelerazione nel carrello della spesa (+12,7%). Va raffreddata. Il mezzo punto era in programma e il 3,5% dell’attuale tasso era previsto.
Poi c’è l’inflazione delle chiacchiere. Vale per i tanti che accusano la Bce di indurre la recessione e fanno pressioni supponendo che l’era dei tassi a zero potesse essere infinita quanto il cammino della speranza. E vale anche per i banchieri centrali che annunciano prima che decideranno sulla base dei dati e poi non aspettano i dati e tracciano aumenti ripetuti, come fosse il cammino della penitenza. Oltre ai tassi d’interesse c’è anche una sintassi del discorso economico: per comunicare con profitto occorre che ci si attenga a un codice, a un linguaggio condiviso. Altrimenti s’assemblano parole senza comporre un significato.
Del linguaggio fanno parte anche i mezzi di comunicazione. Se si vuole evitare che diffondano informazioni nocive, si deve evitare di fornire spiragli interpretativi o consentire che opinioni diverse si prestino a divenire fazioni in lotta. Modello “falchi e colombe”, utile solo ad attirare allocchi. Siccome molta dell’efficacia delle misure monetarie ha a che vedere con le aspettative, l’informazione conta. E la cattiva informazione costa. Non è possibile che un giorno si paventi un nuovo crollo del sistema bancario e si registri un effettivo ribasso in Borsa; il giorno dopo si trascuri d’informare che le Borse sono salite, mentre la banca innesco della crisi globale è già messa in sicurezza dal governo Usa; il giorno appresso riprenda la danza delle banche che saltano, ripartendo dalla Svizzera, con nuovi ribassi borsistici. E così via. Il risultato è che l’informazione comunica il crescere del pericolo e la perdita di ricchezza. Che la realtà sia diversa, a quel punto, conta pure poco.
In Ue abbiamo regole e controlli bancari che non debellano il male nel mondo, ma sono in grado di evitare che si producano casi come quelli statunitense e svizzero. Tale consapevolezza non solo non arriva al pubblico, ma si confondono continuamente le idee, equivocando il ruolo delle banche. Un preventivo contenimento del panico (che di suo è distruttivo) potrebbe consistere nel fare in modo che:
a. tutti i depositi, ovvero i soldi miei che metto sul conto in banca, come anche i soldi della società che amministro e che attendono d’essere utilizzati, siano esenti da qualsiasi rischio: pago la banca perché li custodisca, non vedo perché dovrei pagarla io se sbaglia la banca;
b. oggi la garanzia è fino a 100mila euro, ma un contribuente onesto e ad alto reddito potrebbe ben tenere una liquidità superiore in vista delle tasse, ci manca pure che sia una colpa, quindi la garanzia sarebbe bene salisse;
c. tutti gli investimenti, che siano in azioni od obbligazioni, comportano un rischio: quel rischio è a carico del privato, così come i guadagni sono a suo pro;
d. se comperi le azioni di una banca e quella fallisce perdi i tuoi soldi, come è bene che perdano i loro quanti l’hanno diretta;
e. i soldi del contribuente non entrano in gioco, semmai si fanno funzionare regole e controlli;
f. quelli che si lamentano delle regole stringenti e poi si lamentano dei fallimenti devono essere indicati per svalvolati.
Economie e banche sono interconnesse, per questo i rischi ci sono anche senza colpe specifiche di chi li corre e per questo è importante che la comunicazione sia chiara e rassicurante. Il che porta alla politica: se propongo l’acquisto di un estintore, che non si sa mai, e mi sento rispondere che sto favorendo o addirittura volendo gli incendi, avverto i pompieri ma anche la neurodeliri. I meccanismi di sicurezza bancaria europea devono essere completati e uno di questi è il Meccanismo europeo di stabilità. L’incendio non lo vuole nessuno, ma il rogo lo chiama chi è contro gli estintori.
L'articolo SinTassi proviene da Fondazione Luigi Einaudi.
Arabia Saudita – Iran: cambiamenti di paradigma dopo l’accordo?
La mediazione cinese tra Arabia Saudita e Iran segnala potenzialmente cambiamenti di paradigma nella diplomazia e nelle alleanze mediorientali. La mediazione suggerisce un approccio più produttivo di quello degli Stati Uniti cercando di gestire piuttosto che risolvere i conflitti sulla base dei principi enunciati dalla Cina nel 2021. Il successo della mediazione tra i principali […]
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skariko
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Poliverso - notizie dal Fediverso ⁂
in reply to skariko • •skariko@feddit.it purtroppo @tchambers@indieweb.social l'ha tralasciato. Non so se perché non lo conosce, perché non lo ritiene meritevole di una menzione o semplicemente perché non gli piace. Ma sta di fatto che ora, stando dentro a questa conversazione, anche lui è finito su Lemmy 😂
@fediverso@feddit.it
feddit.it/comment/53924
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