BRASILE. Il ritorno di Bolsonaro: 20 indagini in corso ma resta il leader dell’opposizione
di Glória Paiva –
Pagine Esteri, 31 marzo 2023 – Jair Bolsonaro è tornato in Brasile ieri (30/03) dopo aver trascorso tre mesi negli Stati Uniti. L’ex presidente ha lasciato il suo paese d’origine il 30 dicembre, due giorni prima della fine del suo mandato, rifiutandosi a seguire la tradizione di consegnare la fascia presidenziale al suo successore, Luis Inácio Lula da Silva, la cui vittoria Bolsonaro non ha mai riconosciuto pubblicamente. Ora dovrà affrontare almeno 20 indagini in corso contro di lui ed è già stato citato a testimoniare in uno dei casi. Allo stesso tempo, viene accolto nel suo partito come il principale nome dell’opposizione al governo attuale e un importante sostegno per la destra e l’estrema destra nelle elezioni comunali del 2024.
Bolsonaro ha più volte rimandato il suo ritorno in Brasile, in un soggiorno prolungato che alcuni esponenti dell’opposizione, internauti e giornalisti hanno considerato una sorta di fuga. Come riportato da CNN Brasil, i piani dell’ex presidente, al suo arrivo, prevedevano un corteo per le srtade di Brasília e un discorso ai suoi sostenitori già in aeroporto, ma il forte schema di sicurezza messo in atto dalla Polizia Federale non lo hanno permesso. Né sono stati consentiti manifestazioni e accampamenti come quelli visti tra dicembre e gennaio di quest’anno. La piazza Três Poderes – scenario di violente manifestazioni golpiste l’8 gennaio – ha avuto la sicurezza rafforzata.
L’accoglienza dell’esponente dell’estrema destra è stata tutt’altro che i gruppi bolsonaristi su Telegram e Whatsapp avevano promesso: che “la terra avrebbe tremato” al suo ritorno. Al contrario, poco più di 100 persone lo stavano aspettando nell’area arrivi dell’aeroporto di Brasilia, dove il suo volo commerciale è arrivato prima delle 7 del mattino. Tuttavia, l’ex presidente ha utilizzato un’altra uscita e si è recato nella sede del Partito Liberale (PL), dove ha incontrato l’ex first lady, Michelle Bolsonaro, il presidente del PL, Valdemar Costa Neto, diversi membri del suo governo e sostenitori.
Ora, Costa Neto intenderebbe utilizzare l’immagine dell’ex presidente e di sua moglie Michelle durante le elezioni comunali del 2024, in particolare per aprire spazio nelle grandi città come Rio de Janeiro e São Paulo e nella regione nord-est, dove il forte elettorato di Lula tende ad essere decisivo nelle elezioni presidenziali. Alcuni esperti sottolineano inoltre che la coppia potrebbe sostenere il PL nel diffondere ulteriormente il bolsonarismo tra il pubblico evangelico e le donne. Durante il ricevimento presso la sede del partito, Bolsonaro ha affermato il suo obiettivo di fare sì che il PL e i suoi alleati conquistino, insieme, il 60% delle amministrazioni comunali in tutto il paese nel 2024.
In un video ottenuto dalla CNN Brasil, Costa Neto definisce Bolsonaro il “leader di un movimento che è qui per restare” – non a caso Bolsonaro ha affittato una casa a Brasilia e ha già una squadra di guardie di sicurezza, autisti e auto ufficiali, normalmente destinate per gli ex presidenti. Tra pochi giorni Bolsonaro assumerà anche la carica di presidente onorario del partito, con uno stipendio di 40mila reais (circa 7mila euro).
Nonostante lo abbia negato negli ultimi giorni, il ritorno di Bolsonaro in Brasile rappresenta, per la destra e l’estrema destra, la più grande opposizione nel cammino del governo Lula, che deve affrontare sfide importanti in ambito sociale ed economico. L’attuale presidente, per mettere in opera le sue promesse elettorali, ha bisogno del sostegno di un parlamento che finora si è dimostrato ostile e turbolento, con tendenze conservatrici e sedute segnate da offese, dissapori e fake news. Attualmente, il presidente della Camera dei Deputati Arthur Lira è in contenzioso con il Senato e il governo per approvare misure economiche, fiscali e sociali che interessano il Planalto. Un altro scontro politico difficile per Lula in questo momento è con la Banca Centrale, che il presidente critica costantemente a causa degli alti tassi di interesse, fattore che incide direttamente sulla crescita del paese.
Resa dei conti con la Giustizia
Mentre si trovava a Orlando, Bolsonaro passava il tempo a criticare il governo Lula e a difendersi dalle accuse a lui rivolte, in particolare il suo ruolo nella crisi umanitaria che ha decimato parte della popolazione indigena Yanomami e la crisi dei gioielli ricevuti da Bolsonaro – e non dichiarati – durante la sua visita in Arabia Saudita mentre era il capo dello Stato.
Il 5 aprile Bolsonaro dovrà testimoniare sul caso e spiegare alla polizia federale perché ha cercato di tenere per se armi, collane, orologi e altri oggetti ricoperti di diamanti, per un valore di 17 milioni di reais (3 milioni di euro), ricevuti in dono dal regno dell’Arabia Saudita nel 2021. Secondo una determinazione del 2016, i regali ricevuti dai capi dello Stato brasiliano in viaggio devono essere incorporati nel patrimonio pubblico, a meno che non si tratti di oggetti di carattere personale.
Gli articoli di lusso sono stati sequestrati dal Fisco dopo che un consigliere di Bolsonaro, il colonnello Mauro Cid, ha tentato di entrare in Brasile senza dichiararne l’ingresso. Per mesi il governo Bolsonaro ha cercato di recuperare i gioielli, muovendosi attraverso tre ministeri, militari di alto rango e facendo pressioni anche sul capo dell’agenzia delle entrate, ma senza successo.
Bolsonaro è anche oggetto di sei inchieste presso il Supremo Tribunale Federale in casi come la sua condotta negazionista e la diffusione di notizie false durante la pandemia di Covid-19, l’esistenza di milizie digitali antidemocratiche e il ruolo dell’ex presidente nell’organizzazione degli atti golpisti a Brasilia l’8 gennaio.
Nell’ambito della Giustizia Elettorale, Bolsonaro è oggetto di indagine in 16 procedimenti, il più emblematico e recente dei quali è stato l’incontro tenutosi con gli ambasciatori brasiliani, nel luglio 2022, durante il quale Bolsonaro ha ripetuto disinformazione sul sistema elettorale del paese e ha diffuso dubbi sulla sicurezza del sistema di voto elettronico. Altre richieste di indagine in analisi includono anche l’omissione dello Stato nel caso degli Yanomami e l’uso della struttura presidenziale per articolare campagne di disinformazione. Queste e altre procedure potrebbero, come minimo, rendere Bolsonaro inammissibile alla presidenza nel 2026.BRASILE. Il ritorno di Bolsonaro: 20 indagini in corso ma resta il leader dell’opposizione.BRASILE. Il ritorno di Bolsonaro: 20 indagini in corso ma resta il leader dell’opposizione.
Le indagini devono ancora andare in primo grado e un’eventuale condanna definitiva di Bolsonaro per i suoi crimini richiederebbe anni. Finora, i giuristi stimano che Bolsonaro sia riuscito a proteggersi da accuse formali facendo nominare nel 2019 un suo alleato come procuratore generale della repubblica, Ricardo Aras. L’anno scorso, Aras ha archiviato più di 100 richieste di indagine contro il presidente. Nel 2021, l’ONG Transparência Internacional ha denunciato “l’allineamento sistematico della Procura Generale della Repubblica con il governo Bolsonaro” come uno dei fattori di rischio per la democrazia brasiliana. Il mandato di Aras dura fino a settembre di quest’anno.
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Sarebbe fallimento collettivo
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Bussolin e Bonriposi (Lega): "Moschea, sfratto 27 aprile sia attuato senza rinvii. Il Comune nel frattempo chiarisca sue intenzioni"
Un comunicato stampa sul sito del Comune di #Firenze informa le gazzette che la #Lega di Firenze è contenta del fatto che qualcuno possa sfrattare qualcun altro: finalmente si rispetta la legge, dicono i due signori qui sopra, che si chiamano entrambi Federico e hanno entrambi l'aria di persone ben nutrite.
Ora, la loro legge impone che la stessa cosa venga fatta con diverse Famiglie.
La maiuscola è a titolo di scherno, dal momento che l'agenda politica dell'esecutivo in carica nello stato che occupa la penisola italiana è per intero degna di essere schernita.
Comunque, nei confronti delle Famiglie i due Federico paiono assai più comprensivi.
Poi dicono:
"Come Lega annunciamo per Sabato 15 aprile un #Gazebo in piazza dei #Ciompi per un'intera "giornata di ascolto e informazione" sul Caso #Moschea. Intendiamo aggiornare i cittadini sia sullo sfratto imminente (e vicende legali annesse) oltre che sulla nuova possibile location negli ex locali #Banca Toscana. Parleremo noi ai residenti. Visto che la Giunta #Nardella si nasconde".
Il borgomastro ha appena organizzato un incontro [per martedi 4 aprile 2023] sull'emergenza abitativa a Firenze, perché la povertà e la morosità incolpevole sono in procinto di assicurare moltissime soddisfazioni agli estimatori della legge; accusarlo di nascondersi non ha molta logica. L'auspicio è che i residenti accolgano numerosi la tendina della Lega e che dimostrino ai protagonisti dell'iniziativa di non avere nessun bisogno di essere ascoltati e informati da individui di questa risma.
Sperabilmente senza passare a vie di fatto.
PODCAST. FRANCIA, contro la riforma delle pensioni un movimento radicale e trasversale
di Marco Santopadre
Pagine Esteri, 31 marzo 2023 – Contro la riforma delle pensioni decisa dal governo Macron-Borne che sposta in avanti di due anni l’età pensionabile, martedì scorso in Francia sono di nuovo scese in piazza circa due milioni di persone nel corso della decima giornata di sciopero e di mobilitazioneindetta finora dai sindacati.
A pesare è il contenuto della misura che penalizza soprattutto le fasce più deboli del mondo del lavoro. Ha suscitato rabbia la decisione, da parte dell’esecutivo, di approvare il pacchetto legislativo ricorrendo all’articolo 49.3 della Costituzione, che consente il varo di provvedimenti senza il voto dell’Assemblea Nazionale, dove la maggioranza avrebbe faticato non poco a trovare i numeri.
Nuove iniziative di protesta sono state già proclamate per la prossima settimana. Si moltiplicano intanto gli episodi di violenza da parte delle forze dell’ordine nei confronti dei manifestanti ma anche dei giornalisti che documentano le mobilitazioni.
Ne abbiamo parlato con Marco Cesario, giornalista italiano che vive e lavora a Parigi.
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Giornalista professionista e autore di numerosi tra saggi e romanzi, da Parigi Marco Cesario scrive per numerose testate, tra le quali Micromega, Linkiesta, Pagina99 e The Post Internazionale.
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In Cina e Asia – Von der Leyen: "Rapporto con la Cina tra i più intricati e importanti al mondo”
Ue, von der Leyen: "Rapporto con la Cina tra i più intricati e importanti al mondo"
Chip war, iniziano a diminuire le apparecchiature destinate alla Cina
Cina potenza mediatrice? Secondo Kuleba Pechino non ha ancora deciso
Alibaba, Zhang spiega i dettagli della scissione del gruppo
Bonus monetari per le agenzie che attireranno turisti a Hangzhou
Pena di morte in Corea del Nord per droga, attività religiose e condivisone di video
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Il caso dell’intervento umanitario internazionale in Ucraina
Mentre l’Ucraina ha superato le aspettative iniziali di molti esperti di guerra e sembra destinata a rimanere in prima linea contro le forze russe che hanno invaso il paese, con questo ottimismo in gran parte attribuibile al continuo sostegno che sta ricevendo dall’Occidente e a causa dell’elevato morale mostrato dalle truppe ucraine, i prossimi mesi […]
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Allarme
Adesso l’allarme è forte e non servirà a nulla affrontarlo con lo scaricabarile. L’appuntamento con i fondi europei Next Generation EU e con il piano italiano Pnrr è decisivo per il futuro e ha implicazioni delicatissime, relative anche alla sicurezza nazionale. Fallirlo è un’ipotesi neanche contemplabile. Esibirsi quotidianamente nel dare per scontati ritardi e impossibilità è da incoscienti. Supporre di potere raccontare che la colpa è del governo precedente non è solo inutile, è anche autolesionista: due dei tre partiti che compongono l’attuale governo ne facevano parte; chi governa oggi conosceva la situazione; i controlli confermarono che non c’erano ritardi; mentre ora, purtroppo, sono anche relativi alle riforme, quindi privi di qualsiasi giustificazione. E neanche serve farne oggetto di polemiche contro il governo Meloni. Un fallimento sarebbe di tutti.
Sarebbe un disastro per diverse ragioni, dalle quali ometto l’ovvia perdita dei quattrini.
1. Risulterebbe evidente che quando l’Italia chiede di potere fare più deficit non lo indirizza agli investimenti, di cui non è capace, ma alla spesa corrente, alla dilapidazione, sicché sarebbe facile e doveroso rispondere seccamente: No.
2. Ogni richiesta di ulteriore debito comune, con destinazioni nobilissime, verrebbe ridicolizzata dall’avere sprecato l’opportunità del debito comune esistente.
3. Ogni lamentela relativa all’essere stati “lasciati da soli” susciterebbe impietosita ilarità, visto che il Paese cui i contribuenti europei volevano regalare più soldi e prestarne a tassi agevolati ha declinato l’offerta e stabilito di non saperli usare.
4. Alla prossima speculazione sui debiti sovrani, essendo il nostro il più grosso, saremo da soli e abbracciati a quello, perché saremmo stati noi a volerlo tenere alto deprimendo la crescita del prodotto interno e respingendo gli investimenti.
È talmente evidente la dimensione della tragedia da avere portato ad una inversione delle parti: governanti italiani che ripetono di non potercela fare e controllori europei che smorzano e incoraggiano. I primi cercano scuse, i secondi capiscono la gravità delle conseguenze. Se non si riesce, come si dice con linguaggio da zappatori, “a mettere a terra” quegli investimenti finirà campata per aria ogni altra pretesa.
Quindi: testa bassa e pedalare. La si faccia finita con le parole a vanvera. Si negozi quel che serve, sempre che lo abbiano capito. E, per la miseria, il codice appalti che parte da luglio è già tardi, ma la legge concorrenza che si rinvia per gli ambulanti e le svendite, non avendo il coraggio di occuparsi dei balneari, è un segno evidente di rincretinimento da demagogia elettorale: un interesse miserrimo che ferma un gigantesco interesse generale. È impressionante che non si capisca quanto la concorrenza serva non alla gioia delle gare, ma a favorire investimenti e crescita. Che se si proteggono le sacche delle piccole rendite si penalizzano le grandi innovazioni. Che se corteggi quattro corporativi portatori di voti gli italiani che possono vanno in vacanza e a lavorare all’estero. Anti nazionale è proprio questa politica cieca al futuro e tronfia di parole dal significato sconosciuto. È impressionante non si capisca che un sistema appalti funziona se funziona la giustizia, non se si mettono un centinaio di guardiani della morale. Che costano, rallentano e producono immoralità. Il ponte di Genova è stato realizzato usando le regole europee. Almeno copiate.
E se l’opposizione spera di cavarsela assistendo al fallimento governativo si sbaglia. Dall’opposizione si fanno proposte, si reclama giustizia funzionante, separazione delle carriere, si tallona il governo perché renda fatti le parole del suo ministro della giustizia, si chiede più mercato aperto e più formazione, non ci si mette a difendere le arretratezze che troncano le gambe al governo, non si difendono le corporazioni che dal governo non possono più coprire. Perché in quel modo si è uguali. E ugualmente fallimentari.
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+++ La fuga di notizie sui "file Vulkan" rivela le tattiche di guerra informatica globale e interna di Putin. L'esclusiva del Guardian +++
@Giornalismo e disordine informativo
- Documenti trapelati dall'informatore arrabbiato per la guerra in Ucraina
- Società di consulenza privata di Mosca che sostiene la guerra informatica russa
- Gli strumenti supportano le operazioni di hacking e gli attacchi all'infrastruttura
- Documenti collegati al famigerato gruppo di hacker russi Sandworm
- Il programma russo mira a controllare Internet e diffondere disinformazione
di Luke Harding , Stiliyana Simeonova, Manisha Ganguly e Dan Sabbagh sul Guardian
Link all'articolo del Guardian
‘Vulkan files’ leak reveals Putin’s global and domestic cyberwarfare tactics
Vulkan engineers have worked for Russian military and intelligence agencies to support hacking operations, prepare for attacks on infrastructure and spread disinformationLuke Harding (The Guardian)
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La concretezza che manca al Pnrr
Il rinvio di un mese per il versamento della terza rata da 19 miliardi di euro non farà la differenza, nella storia del Piano di ripresa e resilienza dell’Italia. Se non altro, perché comunque quei fondi non sarebbero stati spesi nei prossimi trenta giorni. Probabilmente neppure nei prossimi sessanta o novanta. Dunque per il momento i 19 miliardi possono restare tranquillamente a Bruxelles per arrivare magari tra qualche settimana. Ci sono già altri 67 miliardi di fondi del Recovery che, in gran parte, attendono ancora sui conti del Tesoro in Italia. La Corte dei conti ha appena certificato che l’assorbimento delle risorse procede a rilento, appena il 12 per cento del totale fra il 2020 e il 2022.
Tuttavia, se siamo onesti, non è questo oggi il principale problema del Pnrr.
Era chiaro dall’inizio che gran parte della spesa sarebbe arrivata a partire da quest’anno, perché prima andavano pensati e sviluppati i progetti, bandite le gare d’appalto, aperti i cantieri. Almeno altri tre problemi oggi sono più urgenti, se l’Italia vuole sperare che il suo più grande programma d’investimenti dal dopoguerra non vada essenzialmente sprecato. Il primo riguarda il merito di alcuni dei piani originari, quelli che il governo di Mario Draghi mandò a Bruxelles nella primavera del 2021. Anche se ora lo si dimentica, quel progetto non nacque in condizioni normali. Dal giorno del giuramento, Draghi e i suoi ebbero non più di un mese per rivedere e riscrivere tutto prima di spedire il loro documento a Bruxelles. Inevitabile dunque che alcune delle incoerenze di oggi riflettano la fretta di allora. Gli stadi di Firenze e Venezia non hanno niente a che fare con la logica del Recovery ed è comprensibile che l’attuale governo si chieda perché la Commissione non abbia mai sollevato il problema prima, mentre lo fa ora.
La sperimentazione del trasporto su gomma all’idrogeno non sembra praticabile. I trattori o treni all’idrogeno, non ne parliamo. Anche i campi eolici off-shore nel Mediterraneo sono idee audaci, non progetti realizzabili a costi competitivi. Dunque il ministro degli Affari europei Raffaele Fitto ha ragione, quando dice che vuole tagliare alcuni piani e sostituirli con altri. Il punto è attuare questo disegno in pratica e questo è il secondo problema: a quanto pare, la Commissione europea non avverte (ancora) molta concretezza da parte italiana nell’indicare nuove direzioni di marcia e nel farle vivere nella realtà. Il governo ha ancora un mese per riscrivere alcune parti del Pnrr, dunque è presto per i processi alle intenzioni. Come fa la Casa Bianca con l’Inflation Reduction Act, l’innovazione digitale e la transizione energetica potrebbero essere affidata in buona parte delle imprese sul mercato tramite ampi crediti d’imposta sugli investimenti, finanziati dai fondi del Pnrr.
Ma qui si innesta la terza questione su cui si gioca il futuro del Piano: come funziona e chi fa funzionare il cervello di questa macchina da (almeno) 191 miliardi di euro? La risposta ufficiale è che un recente decreto ha definitivamente spostato la struttura centrale del Pnrr dal ministero dell’Economia a Palazzo Chigi e presto dovrebbe disporre di 70 funzionari (fra cui quattro dirigenti generali). Manca solo la conversione del decreto e si potrà procedere alle assunzioni. Nella pratica però questa struttura centrale per ora fatica ad assolvere alle funzioni necessarie. Non sempre si trovano funzionari competenti e sì, anche capaci di parlare inglese, che conducano i negoziati a Bruxelles.
Nella Commissione Ue qualcuno si è stupito di vedere Fitto, che come ministro opera a livello politico, trattare direttamente con un’alta funzionaria della struttura europea quale Céline Gauer (la direttrice generale per il Recovery). Quell’incontro dà il senso della solitudine del ministro. A parti invertite, è come se un commissario Ue venisse a Roma per parlare personalmente con uno sconosciuto direttore generale di un ministero. In Italia ci chiederemmo se quel commissario non ha una struttura tecnica che lavori per lui. La solitudine di Fitto spiega anche perché attorno al Recovery regni quella che l’associazione Openpolis — scrive Marco Galluzzo sul Corriere ieri —definisce una «mancanza assoluta di trasparenza». Forse non è il governo a nascondere la realtà ai cittadini. Più probabile che siano alcuni rami dell’amministrazione a evitare accuratamente di condividere i dettagli del loro settore con Palazzo Chigi. Per esempio, il ministero dell’Istruzione sta spiegando quanti Comuni lanciano i bandi per gli asili nido del Pnrr e per quanti posti? Nessuno sembra saperne molto.
Anche per questo servirebbe una struttura tecnica efficace al centro del sistema, per tenere al passo gli uffici decentrati come faceva il sottosegretario Roberto Garofoli sotto Draghi. La partita non è persa, resta tutta da giocare. Lo è soprattutto se si evitano dualismi e gelosie fra strutture dello Stato, che portano alcuni a tifare per il fallimento. Ma a perdere, in quel caso, saremmo tutti.
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Proteste mondiali contro il coinvolgimento in Ucraina: i governi ascolteranno?
Mentre la guerra in Ucraina si trascina nel suo secondo anno, manifestazioni di protesta hanno avuto luogo nelle principali città europee. Esprimono il sentimento crescente che le persone siano stanche del conflitto prolungato e timorose di ciò che potrebbe accadere se la guerra dovesse continuare ancora più a lungo. I ricordi delle catastrofiche guerre mondiali che hanno […]
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Il piano di Putin per un nuovo impero russo include sia l’Ucraina che la Bielorussia
Nell’ultimo anno, Vladimir Putin si è paragonato allo zar Pietro il Grande, che ha costruito un impero nel XVIII secolo, e ha tentato di annettere intere regioni dell’Ucraina dichiarando che sta “restituendo terre storicamente russe”. Un documento trapelato di recente che presumibilmente dettaglia i piani russi per assorbire la vicina Bielorussia ora fornisce ulteriori informazioni […]
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ChatGPT, la sedicente intelligenza artificiale
“Intelligenza artificiale è un’espressione stupida e falsa” – dice Guido Di Fraia, sociologo, prorettore dell’Università IULM, direttore del laboratorio che studia questa rivoluzione – “l’hanno inventata 50 anni fa per far notizia, ma si dovrebbe solo parlare di Intelligenza aumentata. Oppure definirla correttamente da un punto di vista tecnico, con il nome che ha: Tecnologia […]
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Spiazzati
Ci sono piazze il cui significato trascende la ragione per cui si sono riempite di manifestanti. Piazze diverse e distanti – da Tel Aviv a Parigi, passando per Berlino – non riconducibili a una comune matrice ma che pure pongono un comune problema alle democrazie. Non agli altri, perché in Russia, in Corea del Nord, in Iran non si può manifestare e se lo si fa si finisce ammazzati o deportati. In Israele il governo ha fatto un passo indietro, in Francia s’invita il presidente a negoziare, a Berlino s’attende di capire se resteranno immobili. Prima o dopo anche le nostre piazze torneranno a farsi sentire. E non sono le forze politiche a riempirle, semmai provano a inseguirle. Che peso e ruolo hanno le piazze, in una realtà post ideologica?
Le piazze non sono il “popolo”, come pretendono. Ne sono una parte. Le piazze che manifestano contro i governi si oppongono al responso elettorale, cui tutti i cittadini hanno libero accesso. Nelle democrazie governa chi conquista la maggioranza degli eletti (che non è affatto detto sia la maggioranza dei voti) oppure riesce a coalizzare, dopo il voto, una maggioranza parlamentare. Ma, in democrazia, governare non è sinonimo di comandare. Ed è qui che la piazza trova il suo spazio, è qui che il gioco democratico deve dimostrare equilibrio.
Macron ha vinto le elezioni presidenziali dicendo chiaro e tondo che si sarebbe dovuto riformare il sistema pensionistico, lavorando più a lungo. È necessario e inevitabile. La maggioranza dei francesi lo ha scelto per l’Eliseo. Onorare il mandato significa alzare l’età pensionabile. Lo dicono in molti e in diversi Paesi: sono stato eletto per fare una cosa, ho il diritto e il dovere di farla. Ma nelle democrazie il consenso si conquista ogni giorno, la maggioranza parlamentare si può perderla ben prima delle elezioni (Macron la perse alle elezioni) e se succede il finimondo per appena due anni di posticipo pensionistico significa che la pentola bolliva per altre ragioni. E qui si giunge alla prima conclusione, che si vede a Tel Aviv come a Parigi: in democrazia governa la maggioranza elettorale, ma le istituzioni democratiche sono più importanti della maggioranza elettorale. Nel senso che quest’ultima non deve forzarle.
Non è una questione di buon costume, ma di sostanza. Sono convinto che le mie idee siano migliori di quelle dell’avversario e le mie soluzioni più utili al Paese, ma devo anche sapere che la cosa più importante è che le idee vincenti potrebbero essere domani diverse, quindi non è la presunta bontà di quello in cui credo che possa autorizzarmi a forzare l’equilibrio istituzionale. Netanyahu ci ha provato e il risultato si è visto.
I guai diventano ingestibili in due casi: quando si fronteggiano ideologie opposte e quando gareggiano faziosità vuote. Il primo caso lo vivemmo nel secolo scorso, diventando sempre più ricchi e liberi perché non facemmo mai vincere (dopo la guerra e la sua tragica esperienza) nessuna delle due ideologie. Il secondo lo viviamo oggi. Contro le proposte di Macron non ce ne sono di diverse, razionali, ma il ribellismo “anti”. Gran parte dei populismi nasce dalla critica alle promesse che gli altri non onorarono, ma prende voti grazie a promesse insensate e mirabolanti, che nel migliore dei casi saranno tradite.
Ed è la seconda conclusione: nessuno riesce a governare le democrazie se non pensandosi governante di tutti, non solo della propria parte. E i partiti servono ad avere una visione temporale che superi l’orizzonte del capetto momentaneo. Il che sì, porta a mediare continuamente, tenendo anche un occhio alla piazza, che non è sovversiva proprio perché dentro un sistema di approssimazioni e non di presunte perfezioni. E quando la piazza diventa anti sistema, se anziché reclamare inizia a sfasciare, ove la politica di governo non se la sia fatta sotto dalla spiegazione si passa alla repressione.
Quando la democrazia funziona spiazza estremismi e personalismi. Quando ne resta prigioniera s’ammala.
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Ministero dell'Istruzione
Concorso ordinario per il personale docente della scuola dell'infanzia e primaria: pubblicato il calendario delle prove scritte suppletive. Lo trovate qui ▶ https://www.miur.gov.Telegram
Gianni Minà, grande testimone del nostro tempo
Ora che se n’è andato in silenzio per l’ultimo viaggio, accompagnato dai suoi familiari -la moglie Loredana, e dalle figlie Francesca Paola e Marianna- le ultime immagini di Gianni Minà, della sua presenza qui tra noi sono quelle della Camera ardente allestita in Campidoglio a Roma, della bara su cui è deposta una bandiera color granata […]
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Meta (Facebook, Instagram) switching to "Legitimate Interest" for Ads
Meta (Facebook, Instagram) passa a "Interesse legittimo" per gli annunci Dopo le denunce della noyb, Meta (Facebook e Instragram) sta passando da un contratto illegale a "interessi legittimi" altrettanto illegali per la pubblicità. noyb prenderà provvedimenti immediati.
In Cina e in Asia – Dal Boao Forum la Cina guiderà la ripresa globale
Dal Boao Forum la Cina guiderà la ripresa globale
Zelensky ha invitato Xi Jinping a Kiev
Cina e Brasile firmano 20 accordi commerciali
La Corea del Nord ha un nuovo ambasciatore cinese
Il leader del Partito del Xinjiang fa affari nel “cortile di casa” della Russia
Diminuisce la popolazione anche a Shanghai
Il Regno Unito entra nella CPTTP
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Perché l’Italia non invierà truppe in Ucraina. Crosetto in audizione alla Camera
Si è svolto alla Camera dei Deputati il question time con diversi ministri, trasmesso dalla Rai in diretta televisiva dall’aula di Montecitorio a cura di Rai Parlamento. Insieme al ministro della Giustizia, Carlo Nordio, al ministro delle Infrastrutture e dei trasporti, Matteo Salvini, e alla ministra del Lavoro e delle politiche sociali, Marina Elvira Calderone, ha risposto alle interrogazioni anche il ministro della Difesa, Guido Crosetto che si è espresso in merito ad alcuni aspetti sugli aiuti militari a Kiev e sulle ricadute per il settore della Difesa italiano.
Niente truppe italiane in Ucraina
“L’Italia non ha alcuna intenzione di inviare truppe sul campo” in Ucraina, ha subito precisato il ministro Crosetto, volendo spegnere le ultime speculazioni sulla questione. Mentre prosegue, invece, il supporto italiano a Kiev in termini di fornitura di aiuti militari. La cessione di materiale all’Ucraina, come osservato infatti da Crosetto, “si inserisce nel normale ciclo di vita logistico degli equipaggiamenti, che prevede un continuo aggiornamento agli standard tecnologici più avanzati”. Così il nostro Paese si impegna a restare innovativo e a “mantenere lo strumento militare all’avanguardia permettendone la necessaria interoperabilità con le Forze armate dei nostri alleati”, come ha spiegato ancora Crosetto.
La questione delle scorte
Alla luce di questo, si “rende fisiologico procedere a un continuo ripianamento delle scorte, sia per termine di vita operativo sia per l’ammodernamento degli stessi a prescindere dall’esigenza ucraina, è da sempre così”, ha osservato il ministro della Difesa, specificando come il ripristino delle scorte vada fatto a prescindere dalle contingenze ucraine, sia per motivi legati alla fine del ciclo operativo sia per l’ammodernamento dei sistemi. Le esigenze di Difesa nazionale impongono infatti a detta di Crosetto “la disponibilità di scorte adeguate”. Le riflessioni del ministro sulla “necessità di ripristinare le scorte sono riferite al complesso dei materiali ceduti, inclusi quelli ricompresi nei precedenti cinque decreti decisi da un altro governo”.
Il supporto europeo
In questo quadro è bene richiamare in causa lo strumento europeo dell’European peace facility (Epf), istituito a marzo 2021 come strumento fuori bilancio per rafforzare la capacità dell’Ue di agire come fornitore di sicurezza globale. Altra competenza dell’Epf è quello di “reintegrare economicamente lo sforzo profuso dagli Stati membri a supporto dell’Ucraina a seguito dall’aggressione subita da parte della Federazione russa”, come ha ricordo il ministro della Difesa. “L’Italia, al pari di altri Stati membri, ha avuto accesso all’Epf e allo stato attuale vede l’assegnazione di una prima tranche di fondi a parziale rimborso del controvalore economico delle forniture cedute che sarà erogata in tre fasi nel corso del triennio 2023-2025”, ha infine concluso Crosetto spiegando come si andrà a delineare il supporto profuso da parte dell’Ue per venire incontro agli sforzi italiani nel sostenere l’Ucraina.
I sistemi Samp/T
Il ministro nel corso dell’audizione è intervenuto anche in merito alla fornitura – in coordinamento con la Francia – a Kiev dei sistemi Samp/T. Si tratta di un sistema missilistico terra-aria di difesa aerea sviluppato a partire dai primi anni 2000 nell’ambito del programma italo-francese Fsaf (Famille de Sol-Air Futurs, cioè Famiglia di Sistemi superficie aria) dal consorzio europeo Eurosam (formato da Mbda Italia, Mbda Francia e Thales). Il nostro Paese sta “rendendo disponibili alcune componenti di un assetto non operativo, e successivamente il necessario addestramento del personale”, ha spiegato Crosetto. “Ritengo sia giusto addestrare il personale a difendere le città ucraine dagli attacchi missilistici russi”, ha proseguito il ministro precisando infine che: “Non è un materiale che serve ad attaccare ma serve a difendersi dagli attacchi russi e sono contento di poter addestrare le persone che potranno difendere le città, gli ospedali e le infrastrutture ucraine dagli attacchi missilistici ostili”.
ISRAELE. Orly Noy: “Democrazia vera e che sia di tutti, ebrei e arabi. Basta occupazione dei Territori palestinesi”
di Michele Giorgio
Pagine Esteri, 30 marzo 2023 – Di fronte alla crisi interna alla maggioranza, alle contestazioni emerse nelle Forze armate e ai continui raduni di massa e cortei a Tel Aviv e in altre città contro la riforma giudiziaria, il premier Netanyahu lunedì scorso ha annunciato una sospensione del progetto del governo di estrema destra religiosa. La crisi però pone interrogativi centrali sulla natura stessa della democrazia israeliana, sui diritti delle minoranze e la continuazione dell’occupazione militare dei Territori palestinesi. Abbiamo intervistato Orly Noy, storica attivista dei diritti degli ebrei mizrahim (mediorientali). Noy lancia un appello per una democrazia israeliana nuova, non più ebraica ma per tutti i cittadini.
Netanyahu ha annunciato la sospensione della riforma. Nel frattempo è partito il negoziato tra maggioranza e opposizione. Molti israeliani però credono che tra qualche settimana, se non ci sarà un accordo, il governo accelererà l’iter alla Knesset per far diventare legge al più presto la riforma. Dopo cosa potrebbe accadere?
Non lo sappiamo. La Corte suprema, cioè l’organo di controllo che è tra i principali bersagli della maggioranza di destra estrema al potere, potrebbe non dare la sua approvazione alle nuove leggi. Il ministro della giustizia Yariv Levin ha addirittura minacciato i giudici. Non osate respingere la riforma, ha avvertito. Se invece lo faranno cosa accadrà, avremo due fonti di autorità nel paese, governo e Corte suprema? Giuristi ed esperti non hanno una risposta precisa a questi interrogativi.
Orly Noy
Al centro di questo scontro ci sono la Corte suprema e l’autonomia dei giudici. Ma c’è anche un aspetto di cui si parla poco. La riforma punta a dare un peso maggiore al ruolo delle corti rabbiniche, religiose.
Si tratta di un punto centrale che la protesta tocca solo in piccola misura. L’espansione delle competenze dei tribunali rabbinici sarà devastante soprattutto per le donne più deboli socialmente, come le mizrahi. Darà più potere agli uomini. Già ora gli uomini sono in grado di estorcere condizioni favorevoli in caso di divorzio davanti ai giudici religiosi che (sulla base della legge ebraica) non garantiscono pari diritti a uomini e donne. Molte donne rinunciano ai loro diritti pur di ottenere il divorzio, persino alla custodia dei figli pur di separarsi da mariti violenti. Dopo la riforma peggiorerà tutto.
Sono previsti cambiamenti anche nell’istruzione.
Quelli del governo puntano alla privatizzazione del sistema scolastico. Le conseguenze saranno negative soprattutto per le comunità tenute ai margini, come i palestinesi (cittadini di Israele) e gli ebrei etiopi. Finiranno per allargare il gap educativo tra bambini di famiglie benestanti e quelli a basso reddito e più in generale tra ebrei e arabi.
Il quotidiano Haaretz ha scritto che la contestazione di Netanyahu è importante ma che questa è la protesta dei privilegiati, sottolineando l’assenza dalle strade della minoranza araba-palestinese così come gli ebrei etiopi e di parte di quelli mizrahim.
Protestano coloro che trovano accettabile la cosiddetta democrazia ebraica e vorrebbero riportare la situazione a prima dell’ascesa al potere dell’estrema destra. Perché i palestinesi (in Israele) non partecipano alle proteste? Per rispondere a questa domanda è sufficiente osservare le manifestazioni. Un mare di bandiere israeliane sventolate da centinaia di convinti sionisti, sì schierati contro Netanyahu ma fortemente nazionalisti. Un mondo al quale la minoranza araba (21% del totale della popolazione, ndr) sente di non appartenere. Le personalità che gli organizzatori delle proteste invitano a parlare durante i raduni sono quasi sempre ex alti ufficiali delle Forze armate ed ex capi della polizia che si descrivono come i veri patrioti a difesa di Israele, ebraico e democratico. Intervengono persone come l’ex capo di stato maggiore Benny Gantz che ha dedicato la sua vita combattere i palestinesi. La Corte suprema, non lo dimentichiamo, ha approvato la legge che proclama Israele lo Stato della nazione ebraica e non di tutti i suoi cittadini. La comunità araba, perciò, non si sente coinvolta dalla protesta contro Netanyahu, pur sapendo che questo governo di estrema destra la colpirà duramente. Allo stesso modo si tengono a distanza dalle piazze gli ebrei etiopi. Sono contro Netanyahu e consapevoli che l’indipendenza del sistema giudiziario per loro è una protezione. Ma ricordano che la Corte suprema è rimasta in silenzio di fronte alla inaudita violenza della polizia contro la loro comunità. Così come la Corte suprema non è intervenuta davanti alla rimozione di tante famiglie ebree mizrahi povere da Kfar Shalem, Givat Amal e altre aree soggette a una gentrificazione spietata finalizzata a favorire i grandi investimenti edilizi. Queste e altre comunità ai margini chiedono vera giustizia, vera democrazia, vera uguaglianza, non il vecchio ordine.
Quale democrazia propone il Mizrahi Civic Collective di cui lei fa parte.
Siamo un gruppo di attivisti che guarda con orrore alla rivoluzione che sta attuando il governo Netanyahu. Allo stesso tempo non crediamo nella democrazia israeliana alla quale inneggiano nelle strade. Pensiamo che la lotta contro la discriminazione (da parte degli ebrei ashkenaziti, di origine europea, ndr) che ancora colpisce gli ebrei di origine mediorientale debba unirsi a quella dei palestinesi in Israele e nei Territori. Chiediamo una nuova democrazia che includa tutti, senza eccezioni, dai cittadini arabi agli ebrei etiopi, i mizrahi poveri, anche i lavoratori migranti, su di un piano di completa uguaglianza, di giustizia sociale ed economica. Chiediamo che abbia fine subito l’occupazione militare dei Territori e che i palestinesi possano godere di tutti i loro diritti come popolo e come individui. Questo è l’Israele del futuro che vogliamo. Pagine Esteri
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Perché dovrei andarmene via da twitter, se è così bello essere presi in giro? Una riflessione su mastodon, la libertà e sulla data fatidica del 15 aprile
Ma la novità che sta facendo discutere più di tutte è quella uscita in questi giorni e che entrerà in vigore dal 15 aprile: da quella data, infatti, solo gli account verificati (quelli dal cosiddetto Twitter Blue, che pagano 8 euro al mese per avere l’account verificato) potranno partecipare ai sondaggi, vedranno i loro post consigliati ad altri utenti e non saranno inseriti nello stream “Per te”, condannandoli, specie se si tratta di account piccoli, di fatto all’oblio.
Qui il post originale "Ho l'account su Mastodon ma non mi piace“, di @Chiara [Ainur] [Айнұр] e qui il messaggio su mastodon
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"Ho l'account su Mastodon ma non mi piace"
A nessuno sarà sfuggita la suddivisione della TL tra "Per te" e "Seguiti", con la prima che contiene i tweet selezionati esclusivamente dall'algoritmo (quindi di fatto è Twitter a decidere cosa dobbiamo vedere) e la seconda che contiene i tweet degli account che seguiamo. Come forse avrete notato la TL "Per te" è decisamente preponderante sulla "Seguiti": quando si fa un refresh della pagina si finisce sempre sulla prima, anche se si era sulla seconda, forzando l'utente a guardare quei contenuti. A questa poco gradita novità è seguita la visibilità dei tweet degli utenti bloccati (in pratica se io blocco un utente, lo stesso non vede ovviamente i miei contenuti ma io vedo i suoi, a differenza di quello che accadeva prima).
Ma la novità che sta facendo discutere più di tutte è quella uscita in questi giorni e che entrerà in vigore dal 15 aprile: da quella data, infatti, solo gli account verificati (quelli dal cosiddetto Twitter Blue, che pagano 8 euro al mese per avere l'account verificato) potranno partecipare ai sondaggi, vedranno i loro post consigliati ad altri utenti e non saranno inseriti nello stream "Per te", condannandoli, specie se si tratta di account piccoli, di fatto all'oblio.
E' evidente la volontà della nuova proprietà di portare l'utenza verso gli account a pagamento. con il duplice scopo di aumentare gli introiti e selezionare sempre di più chi è presente sul social.
Queste notizie (l'ultima, in particolare) hanno scatenato una ridda di proteste da parte degli utenti, che non vogliono pagare gli 8€ (e come dargli torto: è un servizio che hanno sempre avuto gratis e poi perché pagare per avere un servizio tutto sommato scadente come quello che offre Twitter Blue?) e minacciano di andarsene o chiudere gli account. Abbiamo già sentito questa storia all'epoca dell'acquisizione del social dell'uccellino blu da parte di Mr.Tesla, centinaia o addirittura migliaia di utenti si sono riversati su Mastodon con le istanze generaliste come mastodon.uno che hanno avuto enormi problemi a gestire questa crescita improvvisa (più utenti significa più risorse necessarie e le istanze Mastodon, compresa la nostra, vivono con le donazioni degli utenti o sono sostenute da privati, non hanno introiti da pubblicità o simili).
Poi, lentamente, la bolla della scorsa primavera si è sgonfiata e ci siamo ritrovati ad essere sempre gli stessi (più o meno, pur se con diverse interessanti new entry).
Mastodon è tornato ad essere un social di nicchia popolato per lo più da nerd o appassionati di tecnologia o di argomenti particolari, senza riuscire a fare davvero il salto verso un social davvero generalista. Leggo continuamente utenti Twitter che, alla proposta di passare su Mastodon in risposta alle nuove politiche di Musk rispondono "non mi piace" o "si parla sempre e solo delle stesse cose, che a me non interessano".
Credo che sia ora di svegliarsi. E lo dico soprattutto agli utenti che vengono da Twitter. Un social è fatto dalle persone che lo vivono. Se volete un social con i contenuti che vi interessano dovete darvi da fare un po' anche voi! Cosa pretendete che sia qualcun altro a fare il social che volete voi? Venite su Mastodon, iniziate a scrivere, anche qualche sana cazzata, non sarete di sicuro bannati per una battuta o un buongiorno e proviamo tutti assieme a fare crescere questa cosa che qualcuno ha creato e qualcun'altro ci mette a disposizone. E lo dico anche agli utenti storici di Mastodon: fate un po' meno i duri e puri o i nostalgici su come era bello Mastodon quando eravamo in quattro gatti (mi ci metto pure io, dato che ci sono dal 2018). Si può mantenere l'ottimo livello delle nostre istanze tenendo fuori troll, politici e tutta la gente di merda che ha avvelenato Twitter senza dover per forza prendersela con chi posta foto di gattini o manda il "buongiornissimo kaffè" del mattino o anche che mette una foto in mutande e reggiseno. Cerchiamo di allargare un po' i nostri orizzonti, senza rinunciare a quelli che per noi sono valori non negoziabili (più o meno quello che c'è nelle regole dei vari server), ma senza nemmeno esagerare nel verso opposto. A meno che...
A meno che gli utenti che vengono da Twitter non trovino piacevole Mastodon perché la visibilità che gli offre è limitata o cose simili.
A meno che i vecchi utenti di Mastodon non vogliano un social di nicchia da gestire come fosse l'orticello di casa.
Perché se fosse così, lasciatemi dire che nessuno ha capito niente. I social commerciali che ci riempiono di merda continueranno a proliferare e l'esperienza di Mastodon, se sopravvivrà, sarà ridotta a una nicchia irrilevante, mentre avremmo la possibilità di far crescere un luogo di incontro virtuale bello e piacevole.
Facciamo uno sforzo tutti quanti.
Israele sta perdendo il sostegno dei democratici USA
Sembra quasi inutile cercare di convincere la stragrande maggioranza degli israeliani che ignorare la questione palestinese non la farà sparire. Che sia il risultato di un pio desiderio o della disperazione per il mancato raggiungimento di un accordo amichevole accettabile per entrambi i popoli, molti israeliani si rifiutano semplicemente di interiorizzare l’occupazione senza fine del […]
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Normalizzazione Iran – Arabia Saudita: un processo regionale con caratteristiche cinesi
L’annuncio di un accordo per riprendere le relazioni diplomatiche tra Iran e Arabia Saudita il 10 marzo non è stato del tutto inaspettato per chi ha familiarità con la politica regionale. L’Arabia Saudita e l’Iran hanno condotto una serie di negoziati a Baghdad negli ultimi anni e, sebbene i colloqui siano stati bloccati dall’ottobre 2022, ci sono stati tentativi di […]
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La democrazia a rischio che l’America esporta nel mondo
Non crediamo mai abbastanza a ciò in cui non crediamo (M. Conte S. 2004) Questo Quotidiano digitale ospita da tempo mie riflessioni su tematiche sociali riguardanti lo stato della democrazia in America. Ad aprile dell’anno scorso avevo già scritto sui “Libri bruciati in America, nel mondo in guerra”, 12 aprile. Come in “Fahrenheit 451” terribile […]
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Guerra in Ucraina: l’Europa che vuole agire sonda il Dragone
Tre importanti leader del Vecchio Continente si recheranno come noto a Pechino tra fine marzo e inizio aprile. Il primo a presentarsi al cospetto di Xi Jinping sarà il Premier spagnolo Pedro Sànchez, il 30 e 31 marzo. Motivo ufficiale del viaggio sarà la celebrazione dei 50 anni dei rapporti diplomatici tra i due Paesi, oltre […]
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Ecco i nuovi volti di Naviris. Annunciate le nomine per il Cda
Passaggio di testimone ai vertici di Naviris. Sono state deliberate le nomine dei nuovi membri del Consiglio di amministrazione della joint venture tra l’italiana Fincantieri e la francese Naval Group. Questa partnership, nata nel 2020 dal desiderio comune delle due società di eccellere nell’industria navalmeccanica, si è sviluppata nel corso degli ultimi anni e si prepara ora ad assumere una nuova guida con l’ufficialità sui volti del nuovo top management.
Il nuovo management
Tra le nuove nomine troviamo l’incarico del presidente della joint venture, ruolo che verrà ricoperto dall’attuale amministratore delegato di Fincantieri, Pierroberto Folgiero. Al suo fianco, Damien Raby nel ruolo di amministratore delegato, che vanta alle sue spalle più di otto anni da direttore a Naval Group. Infine, nella posizione di direttore operativo è stato confermato Enrico Bonetti, che ricopre il ruolo fin dalla nascita di Naviris. Vista la paritaria partecipazione delle due società facenti parte della joint venture, viene garantita una rappresentanza paritetica all’interno dello stesso consiglio di amministrazione.
Le origini
Naviris è nata nel 2020 grazie alla partnership tra Fincantieri, già leader nel settore di costruzione navale per la sua diversificazione e innovazione, e Naval Group, conosciuta in tutto il mondo per la sua tecnologia all’avanguardia nel settore della Difesa navale. Alla base dell’accordo, vi è infatti la convinzione che una solida collaborazione tra le realtà dell’industria navale europea sia necessaria per fare del Vecchio continente un attore leader nel settore della Difesa. La joint venture ha oggi la propria sede centrale a Genova e presenta un’ulteriore filiale a Ollioules, in Francia. Il team di Naviris, composto per metà da dipendenti italiani e per metà da lavoratori francesi, si concentra principalmente su progetti binazionali e orientati all’export.
Il progetto per la sovranità europea nel settore navale
Nel luglio 2022, la Commissione europea ha selezionato la proposta di Naviris nell’ambito del bando Modular and multirole patrol corvette (Mmpc), un progetto di cooperazione strutturata permanente. In tale contesto, la joint venture, a capo di un consorzio composto da Fincantieri, Naval Group e Navantia, proponeva la massimizzazione delle sinergie e della collaborazione tra i cantieri navali europei. Per raggiungere tale obiettivo, il consorzio si proponeva di sviluppare insieme una nuova nave per garantire una sovranità europea nel settore delle navi di secondo linea.
Il rapporto con l’Occar
Nel corso della sua esistenza, Naviris ha operato su una serie di importanti progetti. Poco dopo la sua nascita, nel luglio 2020, Naviris ha concluso un contratto con l’Organizzazione europea per la cooperazione in materia di armamenti (Occar) per avviare uno studio circa la fattibilità sull’ammodernamento di mezza vita (Mlu) dei quattro cacciatorpediniere di classe Horizon francesi e italiani. Nell’ambito dello stesso progetto, completati gli studi, Naviris si è impegnata nella fase di negoziazione con Occar per riuscire a ottenere il contratto che copra l’Mlu per le quattro unità. Non solo, Naviris ha anche concluso con Occar un contratto della durata di quattro anni per svolgere attività di ricerca e sviluppo su temi di ricerca congiunta.
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e non possono correre rischi
Il sogno che manca all’Europa
Povera Europa, trincea estrema dei diritti, delle regole e delle garanzie, oggi così frastornata e genuflessa. Irriconoscibile. A Bruxelles ho visto la notte d’inverno inghiottire il gigantesco palazzo dell’Unione mentre per strada sciami di lobbisti e funzionari andavano in cerca dell’aperitivo. C’erano l’industria farmaceutica, i rappresentanti del gas e del carbone, i venditori di software. Mancava il sogno. Era assente quell’affascinante profumo di diversità che fiutavo già da bambino, a Trieste, nelle ninne nanne in tedesco della nonna, nella nostalgia dei profughi istriani e dalmati, nel confine alle porte di casa e nella quotidiana intimità col mondo slavo…
Per una vita non ho fatto che cercarti, Europa. Ti ho viaggiata per mare e per terra, a piedi e su treni d’inverno, dall’Atlantico all’Egeo, dall’Artico a Odessa, da Trieste a Kiev e Mosca, e da Berlino a Istanbul. Mi sono affacciato dai Carpazi sulla pianura dove il Sole arriva dagli Urali, ti ho seguita lungo il luccichio del Danubio, del Niemen e del Guadalquivir. Dall’Irlanda alla Turchia, ho bussato ai monasteri che ti hanno salvata dalla devastazione barbarica. Ho esposto la tua bandiera, ti ho dedicato libri. Dalle Alpi alla Sicilia, mi sono sfinito per narrarti, nelle piazze, nelle scuole e in compagnia di un’orchestra sinfonica di giovani, stupendi figli tuoi, venuti da Italia, Inghilterra, Austria, Russia e altrove.
Mai ho trovato nel mondo un concentrato di diversità paragonabile al tuo. Ma ora dove sei finita? Nessuna comunione di popoli può reggere in assenza di un epos delle origini. Le regole e i programmi non bastano. Per questo, quando anche il sogno è perduto, non resta che il mito. E per questo ho scritto Canto per Europa: per attivare una narrativa nuova partendo da una storia più antica e radicale di quella dei padri fondatori. Un ancoraggio su cui costruire un patriottismo comune capace di combattere la deriva verso la frammentazione. Europa è «il sogno di chi viene respinto», commenta uno dei protagonisti della storia, intuendo che l’utopia della Terra del tramonto vive più nel cuore stremato dei migranti che in quello dei popoli dell’Unione. Egli sa che in quelle genti in fuga cova un desiderio disperato e lancinante, un “Mal d’Europa” per certi aspetti simmetrico al “Mal d’Africa” che può esistere in alcuni occidentali.
Ma ecco come tutto è cominciato. Era una notte, a Santa Maria di Leuca, dove Jonio e Adriatico si toccano spumeggiando ai piedi di un grande faro. Una chiatta di migranti era naufragata e, alla luce delle fotoelettriche, un sacco bianco era stato deposto sul molo da una motovedetta. Conteneva, mi dissero, il corpo di una somala incinta, una di molte donne annegate, forse scaraventate tra le onde dagli scafisti. Accanto a quel corpo, un uomo in piedi, un ciclope possente, in lacrime come un bambino. Un palombaro, che aveva conosciuto il peggio del mare, un testimone di questo Mediterraneo mattatoio e cimitero. Cosa aveva visto per piangere a quel modo? Da allora, la donna senza volto cominciò a svegliarmi, notte dopo notte. Chiedeva di avere un nome, una storia. Era il gennaio del 2016. Non ebbi pace finché, nel luglio dello stesso anno, in Sicilia, vissi una nuova epifania. Centinaia di profughi stavano sbarcando da una nave di soccorso a Porto Empedocle. Venivano da Siria, Egitto, Afghanistan. Erano stati al largo più di un mese, rifiutati da tutti. Scendevano barcollando da una passerella con addosso dei salvagente gialli. La nave emanava puzza di vomito e cherosene. Le donne, una dozzina, quasi tutte siriane, furono separate dagli uomini e condotte su uno spazio di banchina casualmente coperto da un grande telo turchino. Lì si sedettero in cerchio, come per condividere ritualmente, guardandosi negli occhi, la solennità del momento.
Fu un tuffo al cuore. Il cerchio giallo in campo blu disegnava la mia costellazione, la bandiera dell’Unione. E proprio in quell’attimo una delle donne cominciò a cantare, a bassa voce, un’incantevole nenia d’Oriente che al mio orecchio parve esprimere il dolore della patria perduta e insieme la speranza di un mondo nuovo. La giovane avrà avuto vent’anni. I capelli neri tagliavano come un’ala di corvo un profilo semita affilato che sembrava separare due facce di una stessa moneta. Una era dolce, materna; l’altra esprimeva la durezza della volontà. Un’ambivalenza che riassumeva il mistero del Femminile. La ragazza siriana, che aveva attraversato il mare con paura, dava un’identità alla donna del sacco bianco. Una faccia, una voce, un nome. Come avevo fatto a non accorgermi che il mio continente era femmina, come l’Asia o l’America? Tutta colpa di un inutile articolo. Bastò toglierlo, bastò dire ad alta voce “Europa”, anziché “l’Europa”, e la terra dei miei avi si fece carne. Apparve per ciò che era: una creatura da difendere, non più un brandello di carta geografica. Così riletta, generava un nome proprio, innescava una narrazione, creava un legame, un’appartenenza. Quella che si accende in alcuni di noi quando siamo lontani da casa o quando ci accorgiamo di quanto difficile e precaria sia la vita nel resto del mondo.
Non avrei più dimenticato quella piccola migrante. Mettendomi di fronte al destino di un continente fatto di popoli venuti da lontano, essa reincarnava il mito della principessa fenicia di nome Europa, rapita da Giove-toro e traghettata a forza verso il grande capolinea della notte. A Porto Empedocle capii che la donna, non il dio stupratore, era la protagonista di quella storia. Essa svelava l’essenza femminile del nostro mondo assediato da bellicose autocrazie maschiliste, e la nostra discendenza da una creatura d’Oriente, portatrice di sangue nuovo. Chiariva che il nostro legame con l’Asia era indissolubile e l’unico nostro vero confine stava a ovest, sul grande nulla dell’oceano. Confermava la nostra appartenenza al Mediterraneo, il mare della complessità, dove erano nate la democrazia, la filosofia e la tutela dei diritti. Un mondo baciato dalla fortuna, benedetto da un dio sceso tra i mortali per farsi carne in una donna.
La gente ha sete di senso, di storie. La spasmodica attenzione che esprime quando le racconti il mito denuncia il vuoto narrativo in cui è abbandonata dalla politica e dalle istituzioni. È magnifico vedere centinaia di occhi accendersi quando spieghi che l’Occidente siamo noi, non l’Oltreoceano, perché “Europa” deriva da “Erebu”, parola dell’accadico, antica lingua mesopotamica, e vuol dire “Terra del tramonto”, il luogo dove si inabissa il firmamento; oppure quando ricordi il pensiero che Eschilo espresse dopo la vittoria dei suoi Greci sull’Asia persiana: «I vincitori si salveranno solo se sapranno rispettare i templi e gli dei dei vinti».
Europa è il Partenone che non viene distrutto, ma che da tempio diventa chiesa, poi moschea e poi museo. È civiltà costruita sulle colonne dei vinti. È la tragedia greca che rappresenta il dolore degli sconfitti (vedi la tragedia I Persiani) come le indegnità dei vincitori (vedi l’Iliade, dove gli Achei massacrano donne e bambini a Troia). È una cultura che non nasconde la bestia che è in noi, al contrario della propaganda ipocrita che oggi spaccia per ethos il diritto brutale del più forte. Europa è la generazione immensa dei primi monaci benedettini che, senz’armi, cristianizzano milioni di barbari. È Enea — eroe asiatico come Europa —sconfitto, che fugge da Troia distrutta col padre sulle spalle e il figlioletto per mano, diventa migrante e, attraverso Roma, fonda una potenza continentale dove gli imperatori saranno anche spagnoli, africani, illirici.
Perché le nazioni si imbevono di miti e l’Europa no? In questo vuoto ci ritroviamo soli e balbettanti sul baratro di un mondo virtuale che ci distoglie da una realtà di saccheggio e cinismo. Il paradosso è che, oggi, i popoli dell’Unione si conoscono tra loro assai meno di quando esistevano i confini.
L'articolo Il sogno che manca all’Europa proviene da Fondazione Luigi Einaudi.
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È stata una settimana ricca di eventi per le forze russe in Crimea. Ci sono state esplosioni vicino alla città di Dzhankoi, un importante nodo ferroviario utilizzato dai militari russi. Si dice che i droni suicidi ucraini abbiano attaccato un treno che trasportava missili da crociera alla flotta russa del Mar Nero. Per la seconda […]
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L’invasione russa dell’Ucraina sta erodendo l’influenza del Cremlino in Kazakistan
L’invasione dell’Ucraina aveva lo scopo di far avanzare la visione di Vladimir Putin di un rinnovato impero russo. Invece, sta costringendo i Paesi vicini a rivalutare le proprie relazioni con Mosca e alimentando crescenti richieste di decolonizzazione e derussificazione in una regione che un tempo era vista da molti osservatori internazionali come un’estensione informale della […]
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Russia – Iran: gerarchie rovesciate
L’invasione russa dell’Ucraina è entrata nel suo secondo anno. Un elemento critico di questa campagna è stato il sostegno militare dell’Iran alla Russia, fornendo a Mosca droni prodotti internamente. Nonostante la frenesia mediatica per il sostegno dell’Iran, la cooperazione militare bilaterale tra i due paesi non è infatti una novità. In effetti, questo rapporto si […]
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Giustizia: il Ministro Nordio batta un colpo!
Della serie: emergenze ignorate. Neppure un trafiletto in fondo alla pagina di un giornale, quanto ai telegiornali neppure parlarne. Eppure la denuncia del segretario generale della UIL Polizia Penitenziaria Gennarino De Fazio è accorata, e mette il dito su una piaga che continua a sanguinare: “La spirale di morte che investe le carceri italiane non […]
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Des Demonas
Questa sensazione, che non provavo da parecchio, me la ha data il disco dei Des Demonas, una band segnalatami da chi, oltre ad avere orecchio, possiede attenzione e curiosità, e della quale io ignoravo l'esistenza. Des Demonas - omonimo - è il loro unico album ed è datato 2017: gli si sono succeduti altri due singoli e un ep il cui valore e livello risultano invariabilmente alti.
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Unknown parent • •@Michele d'accordo su tutto, tranne che su un inciso sul quale è opportuno puntualizzare:
Quando si tratta di piattaforme centralizzate che impattano sulla libertà di informazione e sul diritto alla conoscenza, è assolutament opportuno parlare proprio di libertà
> Non esiste un diritto alla visibilità,
E invece in un certo senso esiste: si chiama libera manifestazione e viene messo gravemente in discussione nel momento in cui un qualsiasi organismo ne impedisce o limita la visibilità
> non esiste un diritto ad avere tutto gratis,
Sì, ma (come è stato anche stabilito da alcuni pronunciamenti del Garante Privacy o dell'AGCom (ora non ricordo) su Facebook, i servizi come Twitter non sono gratuiti, ma si pagano attraverso la profilazione dei dati e dei comportamenti degli utenti che liberamente barattano la loro privacy con il servizio
> non esiste un diritto di imporre le proprie regole in uno spazio privato
invece esiste, purché non entri in conflitto con le leggi vigenti. Se ti dico che se vuoi entrare a casa mia, devi spogliarti nudo, o hai un mandato che ti permette di entrarmi in casa per un motivo di forza maggiore, oppure non entri
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Unknown parent • •@Michele
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Unknown parent • •@Michele
Non sono d'accordo sul fatto che non ero d'accordo con te. Ho solo espresso alcune puntualizzazioni che non contraddicono il tuo pensiro di fondo:
1) chi parla di questi temi parla spesso di libertà a sproposito, sono d'accordo; ma questo non implica che la questione della libertà non sia fuori luogo quando si parla di queste cose
2) quanto alla visibilità, ti ho spiegato che se i social centralizzati possono condizionare in maniera opaca la visibilità degli utenti, ecco che si pone un problema sociale analogo a quello che si verrebbe a creare se ti facessero sfilare a Spinaceto invece che a Via Cavour (magari facendoti credere che stai a Via Cavour)
3) non c'è il diritto al "tutto gratis", ok; ma questo non è attinente perché la gratuità dei social non è mai esistita
4) non basta che lo spazio sia privato, per applicare le regole, ok; ma devono anche essere compatibili con le leggi vigenti
Detto questo, ero d'accordo con ciò che hai detto.
A questo proposito, hai mai provato a pensare che se il legislatore italiano o europeo, solitamente sempre prodighi di nuove produzioni normative, siano state rallentate dall'ncessante attività di lobby delle bigtech?
Sono d'accordo, anche se questa non è un'opinione accolta all'unanimità..
Non è e non sarà mai legalmente possibile. Se poliverso fosse l'unica istanza friendica al mondo, forse sì... Ma in tal caso non mi converrebbe tenerla aperta
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Unknown parent • •@Michele
La mancata visione di insieme è un problema reale, ma dipende dal fatto che un "digitale" che impatta così tanto sull'analogico, costringe a una riflessione complessiva che nessuno, ma proprio nessuno è in grado di svolgere, sia esso giurista, economista, filosofo, linguista, informatico o politico.
Quando nasce qualcosa di nuovo che ha impatto su privacy, informazione, politica, economia, giurisprudenza, etica è normale che le azioni debbano essere tante ma possano essere di cabotaggio ridotto. Siccume alcune di queste vengono combattute meglio di altre (pensa all'antitrust di inizio secolo contro Microsoft, rispetto all'antitrust degli ultimi anni; o agli interventi del garante privacy, rispetto agli scarsi interenti dell'AGCom), è normale ricevere questa impressione di un modo arbitrario e incoerente di agire.
Ecco, sarebbe importante invocare la coerenza alzando il livello qualitativo dei controllori più scarsi rispetto a quelli più capaci e non lamentandosi dell'eccessivo protagonisto di chi sa essere più efficace
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