Intesa Sanpaolo va in orbita con Musk. L’investimento in SpaceX
Intesa Sanpaolo chiama Elon Musk. Con una nota l’Istituto ha annunciato di investire in SpaceX, “in coerenza con il Piano d’Impresa 2022-2025 che fa dell’innovazione uno dei principali pilastri” che “ha riconosciuto al settore aerospaziale un ruolo di particolare rilievo nello sviluppo delle economie mondiali”. Perciò, la più grande banca italiana ha deciso di affidarsi a “un player che ha dimostrato una visione d’avanguardia del prossimo futuro”.
Nel comunicato, seguono poi i successi dell’azienda californiana. “È l’unica azienda privata capace di lanciare in orbita e riportare a terra un veicolo spaziale. Nel 2012, Dragon è stato il primo veicolo spaziale commerciale a consegnare un cargo per e dalla Stazione Spaziale Internazionale e nel 2020 è stata la prima compagnia privata a trasportare delle persone nella medesima stazione. Il suo 9”, inoltre, “è tuttora il primo e l’unico modulo spaziale riutilizzabile. Questo permette a SpaceX di riutilizzare le componenti più costose del veicolo, riducendo quindi i costi di accesso ai viaggi spaziali”. Siglarci una partnership, dunque, appare naturale.
A quanto ammonti l’investimento non è chiaro, visto che Intesa Sanpaolo non ha proferito parola in merito. Detto ciò, vista la solennità della comunicazione, va da sé che si tratti di una somma considerevole. Per i dettagli dell’accordo ci sarà dunque tempo, ma non serve molto per comprendere perché SpaceX sia un partner centrale per la strategia dei grandi attori internazionali che intendono investire nel futuro.
Il progetto Starship è infatti uno dei fiori all’occhiello della società di Musk. Si tratta di una nuova generazione di veicoli spaziali di lancio riciclabili, ma non per questo saranno inferiori agli altri. Saranno invece i più potenti mai realizzati, con l’intenzione di trasportare esseri umani su Marte o altri lidi del sistema solare. L’altro grande progetto è quello di Starlink, che garantisce la connessione a Internet a cinquanta Paesi in tutto il mondo tramite quattromila satelliti – molto utile quindi per i Paesi in via di sviluppo che non hanno le infrastrutture adatte o per le operazioni militari, come quelle degli ucraini.
Non a caso, a investire in SpaceX è stato anche il Pentagono. Il primo contratto da 70 milioni di dollari per Starship è stato siglato lo scorso primo settembre e “prevede il servizio end-to-end tramite la costellazione Starlink, terminali utente, apparecchiature ausiliarie, gestione della rete e altri servizi correlati”, ha riferito alla Cnbcla portavoce della Space Force, Ann Stefanek. L’accordo segue quello raggiunto a inizio giugno sempre tra la Difesa americana e l’azienda del magnate di Pretoria sui satelliti Starlink. Anche in quell’occasione, per ragione di sicurezza e riservatezza non sono stati rilasciati dettagli ma gli strumenti sarebbero stati inviati in Ucraina – probabilmente era il modo di Washington per venire incontro alle richieste di Musk, che aveva annunciato di non voler più aiutare Kiev fornendole il suo servizio gratuitamente.
Scontato che anche la Nasa si sia appoggiata al know-how di SpaceX. D’altronde, le due parlano la stessa lingua. L’obiettivo è incrementare le missioni lunari Artemis, così da ottenere nel giro di pochi anni un servizio di trasporto a pieno regime. Nel 2021 l’accordo con Musk prevedeva una missione esplorativa a partire dal 2025, ma non è l’unico. SpaceX ha infatti siglato diversi contratti pubblici, che l’hanno fatta diventare un punto di riferimento per la Nasa e per il Dipartimento di Difesa a stelle e strisce. Nell’agosto scorso di un anno fa, ad esempio, si era arrivati a una collaborazione per trasportare carichi militari su satelliti di SpaceX, per farli arrivare in tutto il mondo in tempi rapidissimi.
Per cogliere le sfide del futuro bisogna giocoforza affidarsi a chi ha come obiettivo ultimo quello di modellarlo. SpaceX è uno di questi attori e anche l’alta finanza italiana sembra averlo capito.
Manovre russe nel Mediterraneo. L’ultimo sottomarino lascia il Mare nostrum
Durante la fase dei preparativi per l’invasione dell’Ucraina nel febbraio 2022, la Russia aveva radunato tre sottomarini classe Kilo aggiornata nel Mediterraneo. Uno di questi è stato spostato nel Mar Nero giorni prima dell’aggressione, lasciandone due nel Mediterraneo e quattro nel Mar Nero (più un Kilo più vecchio). Così è stato fino a settembre 2022, quando nel Mediterraneo è stato lasciato soltanto il Krasnodar (B-265).
Ora anche quest’ultimo sembra essere in partenza per il Mediterraneo, rivela l’esperto H I Sutton che ha notato come il sottomarino stia navigando in superficie con un rimorchiatore di supporto, il Sergey Balk. Questi movimenti sono coerenti con i trasferimenti a lunga distanza di questi sottomarini, scrive l’analista secondo cui il Krasnodar potrebbe ora lasciare il Mediterraneo e virare verso Nord, attraversando il Canale della Manica per dirigersi verso il Baltico. Così, la Russia non avrà più sottomarini della classe Kilo nel Mediterraneo, a causa, probabilmente, della mancanza di strutture per la manutenzione.
***UPDATE***
Here-> t.co/ZgpXaIZXCs#OSINT: Russia’s Last KILO Class Submarine Leaving Mediterranean. This will bring the submarine force based there to zero.Would write more but new limit?
Nod @detresfa_ pic.twitter.com/uxQG37eUeB— H I Sutton (@CovertShores) October 6, 2023
È possibile, però, continua H I Sutton, che un altro Kilo venga inviato nel Mediterraneo o che i sottomarini nucleari vi operino occasionalmente. La Russia ha già utilizzato un sottomarino a propulsione nucleare, probabilmente un Ssgn della classe Severodvinsk, l’anno scorso. Finora questi sottomarini hanno operato solo per un breve periodo, non essendo basati a Tartus, in Siria. come i Kilo.
Questi sono sottomarini diesel-elettrici di epoca sovietica che per mantenere un minimo standard di funzionamento sono stati sottoposti a macchinosi processi di aggiornamento. Testimonianza di come la deterrenza russa sia basata sulla narrazione più che sull’efficienza ed efficacia operativa reale.
Radio Alhara. La Palestina fa rete con il mondo
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Di Micol H. Meghnagi –
Pagine Esteri, 6 ottobre 2023 – È una domenica di settembre. Accovacciati davanti a una consolle, Elias e Yousef Anastas muovono i piatti, preparando il mix e regolando le atmosfere del brano ambient in diretta su Radio Alhara. Siamo al Wonder Cabinet, hub culturale alle porte del check-point 300 che divide Gerusalemme da Betlemme. Un progetto a firma dei fratelli Anastas, che ospita al suo interno anime molteplici, tra cui la prima casa fisica di Radio Alhara.
Era il momento dei lockdown in tutto il mondo, e sei amici decidono di dare vita ad una «communal radio», ovvero una stazione nata «dal basso» e basata sul desiderio di condividere musica e contenuti. I co-fondatori di Radio Alhara si sono incontrati sul dancefloor. La comunità culturale e musicale palestinese è il luogo in cui Elias e Yousef – che sono entrambi architetti e gestiscono insieme uno studio di architettura – hanno incontrato Yazan Khalil, già direttore del Khalil Sakakini Center, un’istituzione artistica e culturale di Ramallah. Ad Amman, i graphic designer Saeed Abu Jaber e Mothanna Hussein, hanno conosciuto il sound designer Ibrahim Owais, alle feste da loro organizzate. È stata l’esposizione di sedie progettate da Elias e Yousef presso lo studio di design di Saeed e Mothanna a far nascere l’amicizia tra i co-fondatori e la successiva formazione della stazione.
Radio Alhara nasce quasi per gioco, su base volontaria e senza un vero e proprio progetto politico alle spalle. « Ci siamo ispirati ad una web radio di Beirut a cui abbiamo chiesto una mano per imparare a trasmettere, ma anche all’esperienza di Radio Quartiere nata a Milano nello stesso anno » – raccontano Elias e Yousef, co-fondatori di Radio Alhara. « Nel sito abbiamo inserito la possibilità di chattare e questo ha creato una comunità che ascoltava musica e allo stesso tempo interagiva. Essere online ha reso globale la dimensione di questo luogo digitale. La radio è uno spazio pubblico che appartiene a tutti. Oggi è una comunità di oltre 300 persone, da Tokyo a New York, passando per Betlemme», spiega Elias. Al Hara, in arabo, quartiere, è riuscita a penetrare in ogni angolo del mondo, con i suoi programmi in arabo, inglese, italiano, francese e una cartella Dropbox che invita chiunque a caricare un programma per la trasmissione.
Radio Alhara è diventata con il tempo anche uno spazio per le voci soppresse. Durante il movimento Black Lives Matter e l’uccisione di George Floyd, Radio Alhara ha risposto alla chiamata internazionale per un blackout delle trasmissioni. Dopo questa esperienza, è stata la volta della raccolta fondi per Beirut in seguito all’esplosione al porto, poi in solidarietà con le rivolte iraniane, con il Marocco e la Libia per il recente terremoto, e per la situazione in Palestina. «Nel 2020 abbiamo dato vita a Fil MishMish per rispondere al piano di Israele del 2020 di annettere altre terre della Cisgiordania. Una campagna di protesta online che ha portato 20.000 persone ad ascoltare la radio durante i tre giorni di lineup. Una manifestazione straordinaria di solidarietà sotto l’ombrello del rifiuto di ogni forma di violenza. Quando nel 2021, con i fatti avvenuti a Sheikh Jarrah sono stati censurati migliaia di account di palestinesi, abbiamo stretto una collaborazione con numerose web radio per creare quello che è diventato il Sonic Liberation Front: una programmazione gemella in tutte le emittenti in solidarietà con la Palestina».
Ibrahim Owais, sound producer e co-fondatore di Radio Alhara. Foto di Micol H Meghnagi e Luca Bonaventura, Betlemme, luglio 2023
Lo spazio sociale della musica e della danza è stato storicamente un luogo di resistenza sociopolitica. A New Orleans negli anni Dieci del Novecento, il jazz è stato il linguaggio della resistenza per gli afroamericani, che hanno usato la musica per costruire collettivamente una cultura e un movimento nonostante i tentativi di sopprimerla. A Detroit, nei primissimi anni Novanta, la musica techno diventa un antidoto contro il conformismo delle istituzioni ed il loro distacco dalle reali esigenze dei popoli. Un sistema oppressivo radicalmente attaccato dalle note degli Underground Resistance in dischi come Riot Ep, Revolution For Change e Message To The Major. Nella stessa tradizione, la comunità musicale e culturale in Palestina, attraverso Radio Alhara, si dichiara uno spazio di resistenza contro l’oppressione politica, dove si è liberi nonostante le crescenti restrizioni dovute all’occupazione militare israeliana e alle repressioni interne per mano dell’Autorità Palestinese.
Radio Alhara si affida a una rete di stazioni radiofoniche in tutto il mondo che Elias descrive come una forma di «solidarietà strutturale». Le stazioni sorelle di Radio Alhara, che comprendono stazioni online indipendenti in quasi tutti i continenti, trasmettono a turno la programmazione giornaliera dell’emittente per aiutarla a raggiungere un pubblico globale più ampio, massimizzando l’ascolto attraverso un effetto domino. La visibilità della radio è stata favorita anche dal sostegno di artisti di fama mondiale. Il compositore e musicista cileno-americano Nicolas Jaar ha contribuito alla campagna Sonic Liberation Front eseguendo composizioni inedite e recitando un monologo dal vivo su come la disuguaglianza nell’accesso all’acqua sia stata un mezzo fondamentale di segregazione in Israele e Palestina. La popolarità di Jaar come musicista ha attirato alla sua trasmissione persone non informate sulla condizione in cui verte la Palestina. In altre parole, «usare il vettore della cultura e della musica per rivolgersi a un pubblico vario e diversificato funziona», conclude Yousef.
Un’ora di ambient selezionato dai fratelli Anastas è seguita da una discussione tra i ricercatori Nora Akawi e Khyam Allami sulla sfida ai pregiudizi occidentali insiti nei software di produzione musicale. Il venerdì successivo, gli spettacoli passano da un pezzo di minimal techno libanese e una lettura di opere del romanziere tuareg Ibrahim Al-Koni. L’ibridazione di cultura, musica e arte di Radio Alhara confluisce anche nel mondo fisico, attraverso lo studio di architettura dei fratelli Anastas, AAU Anastas.
Inaugurazione di Wonder Cabinet, Betlemme, maggio 2023. Foto di Micol H. Meghnagi e Luca Bonaventura
Il loro ultimo progetto, il Wonder Cabinet, inaugurato di recente a Betlemme, si pone come obiettivo quello di restituire voce alla scena artistica locale e internazionale nella Cisgiordania occupata. Tra i suoi spazi aperti, i dj mixano abilmente una gamma di musica che va dal jazz all’afro-punk. Ecco il marchio «Al Hara»: la capacità dei residenti della stazione di esibirsi in un quartiere immaginario o reale, che incoraggi con fervore la libertà di espressione. Queste note sono metafore potenti dell’idea che un giorno questo stesso tipo di libertà sarà raggiunto anche per la Palestina. Pagine Esteri
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Il Pakistan è (di nuovo) nelle mani dell’esercito
La sempre più evidente presenza dell'esercito in politica è di nuovo la normalità, in Pakistan. La crisi della democrazia pakistana (della quale Imran Khan è più che un complice) è ormai cronica.
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In Cina e Asia – Forum sul Tibet. Wang Yi difende l’integrità territoriale della Cina
I titoli di oggi: Forum sul Tibet. Wang Yi difende l’integrità territoriale della Cina Il settore delle auto elettriche cinesi continua a crescere, nonostante le perdite He Lifeng, lo zar della diplomazia economica cinese Semiconduttori, cala la quota di Taipei e cresce il vantaggio di Pechino Spazio, la Cina vuole espandere la stazione Tiangong Ieri, in occasione di un forum ...
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Chi è il gen. Iannucci, nuovo capo di Gabinetto di Crosetto
Il generale di corpo d’armata Giovanni Maria Iannucci, paracadutista dell’Esercito, ha assunto il nuovo ruolo di capo di Gabinetto del ministro della Difesa, in una cerimonia svolta presso il Circolo ufficiali delle Forze armate, a pochi passi dalla sede del ministero a Palazzo Baracchini, alla presenza del ministro della Difesa, Guido Crosetto. Il generale Iannucci, fino a maggio al comando della missione Nato in Iraq, sostituirà il generale dell’Aeronautica Antonio Conserva, destinato ad assumere il ruolo di comandante del Comando logistico dell’Arma azzurra. Durante il suo mandato da capo di Gabinetto della Difesa, tra l’altro, il generale Conserva si era trovato a gestire momenti anche molto drammatici per la sicurezza del Paese, dall’emergenza Covid, l’operazione “Aquila Omnia” dall’Afghanistan fino all’aggressione della Russia all’Ucraina.
“Grazie al generale Conserva per il prezioso servizio prestato alla Difesa e alle istituzioni in un particolare momento storico e geopolitico internazionale”, si è rivolto il ministro Crosetto al generale uscente nel corso del suo intervento, a margine del rituale passaggio di consegne tra i due generali, con uno scambio di auguri di buon lavoro.
IL CURRICULUM
Il generale Iannucci ha iniziato e svolto la sua carriera come paracadutista dell’Esercito italiano accumulando diverse e molteplici esperienze operative. Promosso generale di brigata, ha prestato servizio come capo Reparto operazioni presso il Comando operativo di vertice interforze (Covi), e capo del III reparto Politica militare e Pianificazione dello Stato maggiore della Difesa. Tra gli incarichi internazionali, il generale Iannucci è stato fino a maggio il comandante della missione Nato in Iraq (Nmi), nella cui veste aveva accolto il ministro Crosetto nel corso della sua ultima visita a Baghdad a maggio. Prima di assumere il ruolo di capo di Gabinetto, il generale Iannucci era comandante delle Forze operative Sud, uno dei comandi di vertice, operativi e territoriali, dell’Esercito italiano, da cui dipendono cinque brigate dell’esercito (“Granatieri di Sardegna”, “Aosta”, “Pinerolo”, “Sassari”, e bersaglieri “Garibaldi”).
SIRIA. 100 morti per attacco terroristico con drone durante cerimonia di consegna dei diplomi
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Pagine Esteri, 5 ottobre 2023. All’interno dell’Accademia militare di Homs, in Siria, si stava svolgendo oggi la cerimonia della consegna dei diplomi ai cadetti, quando un drone ha causato una strage.
Sarebbero almeno 100 i morti e più di 120 i feriti, trasportati in diversi ospedali della zona.
L’Accademia si trova a 140 chilometri a nord di Damasco. Il numero dei morti pare, purtroppo, destinato a salire, considerando le condizioni critiche di molti feriti. Tra le vittime donne e bambini, civili che partecipavano alla cerimonia.
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Mosca avrà una base navale in Abkhazia
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di redazione
Pagine Esteri, 5 ottobre 2023 – La Federazione Russa vuole realizzare in tempi brevi una base navale permanente sulla costa del Mar Nero nell’ex repubblica autonoma georgiana dell’Abkhazia.
L’Abkhazia è una delle due regioni separatiste della Georgia – l’altra è l’Ossezia del Sud – che Mosca ha riconosciuto come stati indipendenti nel 2008, a seguito di una breve guerra durante la quale le forze locali, sostenute dall’esercito russo, hanno sbaragliato le truppe georgiane che avevano attaccato Sukhumi dopo uno scontro tra i due schieramenti. Ma pur rimanendo ferma nel suo impegno come alleato della Russia, l’Abkhazia ha finora rifiutato l’idea di poter essere annessa alla Russia e insiste sul mantenimento della sua sovranità.
L’Abkhazia e la Russia hanno comunque già firmato un accordo e la nuova base militare russa sorgerà nel distretto di Ochamchira, ha detto Aslan Bzhania, presidente del territorio resosi indipendente da Tbilisi agli inizi degli anni ’90, in un’intervista pubblicata oggi dal quotidiano russo Izvestiya. L’annuncio è giunto dopo che nella giornata di ieri ieri Bzhania ha incontrato il leader russo Vladimir Putin.
«Tutto ciò mira ad aumentare il livello di capacità di difesa sia della Russia che dell’Abkhazia, e questo tipo di cooperazione continuerà» ha affermato Bzhania.
La notizia sulla nuova base navale arriva dopo che il Wall Street Journal ha riferito che il Cremlino ha ritirato una parte importante della sua flotta militare del Mar Nero dalla sua base principale in Crimea. Citando funzionari occidentali e immagini satellitari, il giornale ha scritto che la Russia ha spostato due sottomarini e tre fregate da Sebastopoli – presa pesantemente di mira dall’Ucraina con missili britannici che riescono a bucare le difese aeree russe nella penisola – verso altri porti che «offrono una migliore protezione».
Recenti attacchi ucraini hanno colpito il quartier generale della flotta del Mar Nero a Sebastopoli e distrutto una nave anfibia e un sottomarino. – Pagine Esteri
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MIGRANTI. Ong: “Rispettare la Convenzione Onu sui diritti dell’infanzia”
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Pagine Esteri, 5 ottobre 2023. Chiunque abbia meno di 18 anni è un minorenne e ha diritto a vivere e ad essere protetto e accolto come tale, difeso dai rischi di abusi, sostenuto nel proprio sviluppo. Senza condizioni e senza distinzioni. La Convenzione Onu sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza non fa alcun distinguo: siano italiani o stranieri, maschi o femmine, con o senza documenti, i minorenni sono tutti uguali davanti al diritto internazionale, come per la nostra Costituzione e il nostro diritto interno.
Per tutti i bambini, le bambine e gli adolescenti che abbiano meno di 18 anni, nessuno escluso, la stessa Convenzione, la più firmata al mondo e parte integrante del nostro diritto pubblico inviolabile di rango costituzionale, prevede un’accoglienza in affidamento in famiglia o in strutture loro dedicate, mai in promiscuità con adulti e certamente non in sezioni di centri destinati a questi ultimi, dei quali peraltro è nota la realtà di profonda inadeguatezza per un minorenne. Ogni trattamento differenziato di chi “ad una prima analisi appaia di età superiore ai sedici anni” come affermato dal Comunicato stampa del Consiglio dei Ministri che il 27 settembre scorso ha approvato il Decreto-legge immigrazione e sicurezza, va incontro al fortissimo rischio di produrre discriminazioni tra minorenni italiani e stranieri e di porsi in drammatico contrasto con il principio del rispetto del superiore interesse del minore.
La determinazione dell’età, sulla quale il dibattito pubblico, spesso in maniera imprecisa e sommaria, si è soffermato nelle scorse settimane, ha tra i suoi scopi quello fondamentale di scongiurare il rischio che un/a minorenne venga per errore considerato/a un adulto/a. A questo tendono le procedure previste dalla L. 47/2017, attivabili soltanto in caso di fondato dubbio delle autorità sulle dichiarazioni dell’interessato, e i principi fondamentali su cui esse si basano: la presunzione di minore età, il margine di errore e l’applicazione di metodologie multidisciplinari che possono essere applicate, con gradualità e la minore invasività possibile e sempre in seguito a una puntuale, necessariamente preventiva, autorizzazione scritta e motivata della magistratura minorile. Lo scopo è scongiurare un nefando errore che possa portare un minorenne ad essere espulso o detenuto in spregio alle norme italiane, europee e internazionali.
Il testo delle norme adottate dal Consiglio dei Ministri non è ancora disponibile, né è stato condiviso con chi, nella società civile, da decenni si occupa dei migranti bambini, bambine e adolescenti che arrivano in Italia. Tali norme, stando a quanto descritto dal comunicato stampa e illustrato in conferenza stampa dal Governo, vanno in senso nettamente opposto rispetto ai principi enunciati e rischiano di minare alle fondamenta le norme esemplari della L. 47, adottate nel 2017 ad ampia maggioranza parlamentare. Se il testo confermerà l’approccio espresso nelle dichiarazioni, aspetti quali il mancato riferimento al fondato dubbio, la mancanza di previa autorizzazione scritta della magistratura minorile e del tutore, e l’applicazione di “rilievi antropometrici o di altri accertamenti sanitari, anche radiografici” disposti direttamente dalle forze di pubblica sicurezza, con successiva espulsione di chi, secondo questa procedura, fosse dichiarato erroneamente maggiorenne, aprono le porte a un destino rischioso e di possibili gravi violazioni dei diritti fondamentali di migliaia di potenziali minorenni, in particolare se provenienti da paesi cosiddetti “sicuri” e quindi destinati a essere sottoposti a procedure accelerate in frontiera laddove erroneamente considerati adulti.
Questo, per chiunque abbia a cuore la cura e la tutela di bambini e adolescenti, è inaccettabile.
L’Italia si è più volte distinta per l’attenzione ai minorenni, al centro della nostra civiltà e cultura giuridica, e per un generale approccio di tutela verso i piccoli e più giovani migranti, testimoniato ogni giorno da migliaia di tutori e tutrici volontarie, da famiglie affidatarie, attivisti, associazioni e da altre piccole e grandi comunità che più volte si sono strette a incoraggiare, supportare e proteggere i minori non accompagnati nei momenti più difficili.
Per la prima volta dalla sua adozione nel 2017, un Governo della Repubblica ha deciso di intaccare lo scrigno di protezione rappresentato dalla L. 47, senza peraltro chiarire quali siano i dati reali del presunto allarme, che a nessuna delle Organizzazioni firmatarie risulta, rispetto ad abusi diffusi della dichiarazione di minore età. Questo avviene, sorprendentemente, nonostante l’Italia sia stata condannata più volte dalla Corte Europea dei Diritti Umani per aver collocato minorenni migranti in centri per adulti e aver condotto procedure di accertamento dell’età senza garanzie procedurali sufficienti.
Tutto questo ci rattrista profondamente, ci lascia attoniti. Tuttora la nostra fiducia nei principi costituzionali ci impedisce di credere che avremo a breve un testo di legge che consenta a un minore ultra16enne di permanere in un centro per adulti solo perché non italiano. E che sottoponga ragazzini e ragazzine, loro malgrado senza documenti, a esami non caratterizzati da quel rigore e da quelle garanzie che il nostro ordinamento e tutte le norme e gli standard europei e internazionali vigenti riservano a ogni minorenne in qualsiasi procedura lo riguardi.
Poiché il nostro lavoro è improntato alla fiducia e alla determinazione, ci impegneremo, in dialogo con tutte le istituzioni coinvolte, affinché ciò non avvenga. Non ne va soltanto del destino concreto di migliaia di adolescenti che già molto hanno sofferto, ma dello stesso concetto di protezione del minorenne in quanto tale nel nostro ordinamento, e quindi della tutela complessiva di chi rappresenta il futuro del paese.
Ai.Bi.
Amnesty International Italia
ASGI – Associazioni per gli Studi Giuridici sull’Immigrazione
Caritas Italiana
Centro Astalli
CeSPI ETS
Cir Onlus – Consiglio Italiano per i rifugiati
CNCA – Coordinamento Nazionale Comunità di Accoglienza
CISMAI
Cooperativa CIDAS
Cooperativa CivicoZero
Defence for Children International Italia
Emergency ONG
Oxfam Italia
INTERSOS
Salesiani per il Sociale APS
Save the Children Italia
SOS Villaggi dei Bambini
Terre des Hommes Italia
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Attentato suicida in Turchia. Esplosione vicino al parlamento
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Pagine Esteri, 1 ottobre 2023. Nella mattinata di domenica, intorno alle 9.30 locali, una forte esplosione è stata avvertita nei pressi del parlamento turco, ad Ankara, vicino alla sede del Ministero dell’interno.
Proprio il ministro dell’interno, Ali Yerlikaya, ha dichiarato che due persone hanno tentato di compiere un attentato facendo esplodere un ordigno portato con un furgone all’interno dell’area che ospita diversi edifici e sedi governative. L’esplosione, effettivamente avvenuta, ha causato la morte di uno degli attentatori. L’altra persona coinvolta nell’attacco sarebbe poi stata uccisa dalle forze di sicurezza. Colpi di arma da fuoco sono stati uditi subito dopo l’esplosione.
Due agenti di polizia sono stati feriti e trasportati in ospedale. Le loro condizioni non sembrano gravi.
Nel primo pomeriggio di oggi il parlamento si sarebbe dovuto riunire per una seduta alla quale avrebbe dovuto partecipare anche il presidente Recep Tayyip Erdogan.
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In Cina e in Asia – Le mire della Cina sulle infrastrutture del Perù
Le mire della Cina sulle infrastrutture del Perù
Alibaba nel mirino dei servizi del Belgio per spionaggio
La Cina guadagna spazio nell’Artico
A quanto ammonta la corruzione dei funzionari cinesi?
Sui social network cinesi sempre più giovani usano l’alias “momo”
Arrestati due giornalisti della redazione indiana di NewsClick
I produttori di armi dell’Indonesia riforniscono di armamenti il Myanmar
Sparatoria in Thailandia: il governo vuole regolamentare il possesso delle armi da fuoco
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Turchia e Azerbaigian vogliono un pezzo di Armenia
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di Marco Santopadre*
Pagine Esteri, 5 ottobre 2023 – Russia e occidente continuano a rimpallarsi le responsabilità per l’ennesima tragedia nel Caucaso.
Per Mosca, la colpa della disfatta degli armeni sarebbe da addebitare al governo armeno guidato da Nikol Pashinyan, che avrebbe tradito la Russia per cercare il sostegno della Nato e dell’UE, che ovviamente non è arrivato. Gli USA nella regione non hanno voce in capitolo, e gli europei sono troppo interessati al gas azero per fare la voce grossa con il dittatore Ilham Aliyev.
É oggettivo che Erevan si sia avvicinata all’Alleanza Atlantica e a Bruxelles, ma non solo in ossequio all’orientamento filoccidentale del primo ministro eletto dopo la “rivoluzione di velluto” del 2018. Se Pashinyan ha cercato nuove sponde a occidente (ma anche in Iran e in India) è anche perché era ormai chiaro che Mosca non aveva alcuna intenzione di spendersi per la difesa degli armeni. Nonostante un patto di mutua assistenza militare con Erevan, Putin non si è mosso neanche quando gli azeri hanno aggredito lo stato sovrano armeno nel settembre 2022, e non più solo l’autoproclamata – ma non riconosciuta da nessuno – Repubblica di Artsakh creata dagli armeni dell’Azerbaigian nel 1991.
Specularmente, per europei e statunitensi la responsabile unica della catastrofe sarebbe Mosca, che cinicamente ha mollato gli armeni per proteggere le consistenti relazioni avviate con il regime di Baku e con la Turchia, paese che importa ingenti quantità di petrolio e gas dalla Russia e che con Mosca ha sviluppato un rapporto di alleanza/competizione distanziandosi dagli interessi di Washington.
La Repubblica dell’Artsakh non esiste più
Paradossalmente sono vere entrambe le versioni: tutte le potenze attive nel Caucaso, per un motivo o per l’altro, hanno lasciato mano libera all’esercito azero, provocando una catastrofe umanitaria e culturale la cui gravità, forse, la comunità internazionale comprenderà nei prossimi anni.
In neanche due settimane, man mano che le truppe azere prendevano possesso del territorio dell’Artsakh, più di centomila armeni – il 90% o forse più della popolazione totale dell’enclave – hanno abbandonato le loro case e le loro terre per rifugiarsi in Armenia, incolonnati per giorni su quel “corridoio di Lachin” che i 2000 peacekeeper russi schierati nel 2020 avrebbero dovuto difendere e che invece militari e funzionari azeri, travestiti da attivisti ecologisti, hanno completamente bloccato dando vita ad un assedio medievale.
Al termine di 10 mesi di assedio – che hanno causato fame ed estrema penuria di medicine e di carburante – la comunità armena del Nagorno-Karabakh era così stremata che quando a settembre le truppe azere hanno sferrato l’ennesimo attacco, il governo di Stepanakert ha resistito poche ore, dichiarando poi la resa totale.
Il 28 settembre il presidente dell’Artsakh Samvel Sergeyi Shahramanyan ha firmato il decreto che pone fine all’esistenza dell’entità dal primo gennaio del 2024. Le strade e le case di Stepanakerte delle altre città dell’enclave sono già deserte e presto la patria ancestrale degli armeni verrà ripopolata da profughi azeri (cacciati dagli armeni negli anni ’90) e da nuovi coloni inviati da Baku per assimilare le province riconquistate.
La Turchia approfitta della miopia di Mosca
I peacekeeper russi non si sono mossi e neanche le truppe di Mosca di stanza nella base che la Federazione possiede in Armenia. «Putin non poteva certo rischiare di entrare in conflitto con l’Azerbaigian e la Turchia per difendere un paese il cui governo flirta con la Nato voltando le spalle a Mosca» ripetono i media controllati dal Cremlino. In realtà se forse intervenuta per bloccare l’aggressione azera all’Armenia del 2022 e per evitare il blocco del corridoio di Lachin nei mesi scorsi, Mosca avrebbe potuto utilizzare la sua influenza e il suo peso militare e politico per convincere Aliyev a non forzare la mano senza sparare un colpo. Anche solo cristallizzando lo status quo venutosi a creare dopo l’aggressione azera del 2020, grazie alla quale Baku ha recuperato le 7 province contigue all’Artsakh occupate dagli armeni durante la guerra che ha insanguinato la regione dopo la dissoluzione dell’Unione Sovietica all’inizio degli anni ’90, Putin avrebbe evitato il precipitare degli eventi riuscendo senza scontentare troppo né Erevan né Baku.
Ma a furia di tollerare l’iniziativa dell’asse azero-turco, la presa di Mosca sull’area è notevolmente diminuita e si è affermata l’egemonia turca.
La Nato sfruttando la disillusione armena nei confronti della Russia per stringere accordi militari, economici e politici con Erevan, al solo scopo di indebolire il ruolo russo nel Caucaso. Martedì il parlamento armeno ha approvato l’adesione del paese alla Corte Penale dell’Aja; la mossa ha enormemente contrariato il Cremlino, sul cui inquilino pesa da mesi un mandato internazionale di cattura per crimini di guerra in Ucraina. D’altronde, i partiti e gli ambienti filorussi attivi in Armenia – protagonisti insieme ad altre forze di grandi manifestazioni per le dimissioni di Pashinyan, reo di aver abbandonato a se stessi gli armeni dell’Artsakh – hanno perso ogni credibilità di fronte all’opinione pubblica che considera Mosca non meno colpevole della catastrofe dell’occidente. Le minacce russe di un regime change a Erevan per togliere di mezzo Pashinyan (ma queste cose non le faceva solo il perfido occidente?) non aiutano.
All’UE interessa il gas azero
Anche le promesse di sostegno da parte dei paesi europei e di Washington si sono rivelate inconsistenti. Qualche mese prima dell’aggressione sul confine armeno era arrivata una pattuglia di inviati dell’Unione Europea, senza poteri e senza il sostegno dei propri governi. Durante lo scorso fine settimana, poi – quando l’Artsakh si era ormai svuotato dei suoi abitanti in fuga dalla repressione e dall’assimilazione azera – le Nazioni Unite hanno inviato una missione per “valutare le necessità umanitarie della situazione” nella regione interdetta da Baku ai giornalisti stranieri, mentre decine di leader politici e militari dell’enclave sono stati arrestati dagli occupanti.
Delle sanzioni all’Azerbaigian richieste da una settantina di parlamentari europei – Baku è governata da un regime autocratico spietato con gli armeni quanto con i dissidenti interni – neanche a parlarne: il gas e il petrolio estratti nel Mar Caspio sono troppo preziosi per l’Unione Europea, e soprattutto per Roma, alla ricerca di fonti alternative con cui rimpiazzare le forniture russe boicottate dopo l’invasione dell’Ucraina. Per non parlare dei miliardi in gioco nella ricostruzione delle province azere ripulite dagli armeni, molti dei quali finiscono nelle casse di aziende italiane ed europee.
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Lo schiaffo dell’Azerbaigian a Russia e Ue
Ma il vile comportamento delle varie potenze nei confronti degli armeni non è dettato esclusivamente dal cinismo.
La verità è che tanto a occidente quanto a Mosca i diversi governi hanno subito l’ennesima offensiva dell’asse azero-turco dimostrando una consistente miopia e scarsa lungimiranza.
Ieri l’edizione europea del giornale “Politico” ha informato che alcuni rappresentanti diplomatici di Stati Uniti, Unione Europea e Russia si sono incontrati a metà settembre in Turchia per una riunione diretta a sventare un peggioramento della situazione in Nagorno-Karabakh. L’incontro si sarebbe svolto il 17 settembre a Istanbul con la partecipazione di Louis Bono, consigliere senior di Washington per i negoziati nel Caucaso, di Toivo Klaar, rappresentante speciale dell’UE per la regione, e di Igor Khovaev, inviato speciale di Putin in Armenia e Azerbaigian. I tre paesi avrebbero chiesto e teoricamente ottenuto da Baku un allentamento dell’assedio agli armeni dell’Artsakh e la promessa di un rilancio dei colloqui di pace con Erevan. In quelle ore il presidente del Consiglio Europeo, Charles Michel, si è più volte vantato dei presunti risultati ottenuti grazie alle pressioni europee sull’Azerbaigian.
Solo due giorni dopo l’incontro di Istanbul, il 19 settembre, le forze armate di Baku hanno attaccato i 10 mila miliziani dell’Artsakh, male armati e deperiti, in barba alle rassicurazioni offerte poche ore prima ai rappresentanti delle grandi potenze. Il regime azero ha giustificato “l’operazione antiterrorismo” come la necessaria risposta ad una imboscata armena ai propri militari, ma da settimane Baku stava ammassando truppe ai confini dell’Artsakh all’interno di un piano d’invasione evidentemente preordinato.
Durante l’offensiva le truppe azere hanno preso di mira una pattuglia di militari russi, uccidendone 5, compreso il vicecomandante del contingente russo Ivan Kovgan, e hanno bersagliato alcune postazioni dei peacekeeper russi. Solo degli errori, si sono giustificati a Baku; segnali della prepotenza dei soldati azeri che ormai si sentono padroni del Caucaso e non temono neanche il gigante russo, affermano altri.
Sulla base della stessa sensazione di onnipotenza, ieri le autorità azere hanno respinto l’invito a partecipare ad un incontro previsto per oggi a Granada, in Spagna, con i rappresentanti di Armenia, Unione Europea, Francia e Germania, per discutere il futuro della regione di cui Baku è rientrata in possesso dopo 30 anni e siglare un trattato di pace. Gli emissari di Aliyev hanno chiesto che alla riunione prendesse parte anche la Turchia, condizione respinta dai promotori dell’iniziativa, ed espresso forti riserve sulla partecipazione francese. Riconquistato l’Artsakh, Baku non ha alcuna reale necessità di negoziare con Erevan e anzi punta a nuove vittorie.
Le aspirazioni egemoniche della Turchia, le rivendicazioni azere sull’Armenia e il ruolo di Israele
È inoltre evidente sin dall’inizio della crisi che dietro le pretese dell’Azerbaigian – ormai potenza energetica di primo livello – c’è proprio la Turchia. Ankara considera la repubblica turcofona una parte del grande popolo turco (“un popolo, due stati”) ma anche uno strumento per far valere le proprie aspirazioni da grande potenza in Asia centrale. Per questo in tutti questi anni Erdogan ha armato, addestrato e sostenuto con consiglieri e mercenari le truppe di Baku che contemporaneamente hanno potuto contare anche sul pieno sostegno di Israele. Secondo lo Stockholm International Peace Research Institute, tra il 2016 e il 2020 quasi il 70% delle armi acquistate dall’Azerbaigian grazie ai proventi dell’industria petrolifera provenivano proprio dallo “stato ebraico”, incuneatosi così in un’area dove non aveva in precedenza alcuna influenza. Anche pochi giorni prima dell’ultimo blitz contro l’Artsakh di settembre a Baku sarebbero atterrati vari cargo pieni di armi israeliane.
Forse Mosca e le cancellerie europee pensavano di contenere le ambizioni azere e turche tollerando la riconquista dell’Artsakh da parte di Baku, ma appare evidente che Azerbaigian e Turchia nutrono ben altre aspirazioni.
A pochi giorni dalla fulminante vittoria azera contro ciò che rimaneva dell’Artsakh, Aliyev ha incontrato il suo omologo turco Erdogan nella Repubblica del Nakhchivan, una exclave azera separata dal resto del paese da una regione dell’Armenia meridionale. Baku pretende la realizzazione di un corridoio stradale e ferroviario in territorio armeno che colleghi le due parti del paese, esistente fino all’inizio degli anni ’90 e poi saltato dopo l’inizio del conflitto tra le due ex repubbliche sovietiche. Per Erdogan il progetto è ancora più rilevante, perché concederebbe all’economia e alle aspirazioni imperiali turche una proiezione verso l’Asia centrale, le altre repubbliche turcofone ex sovietiche e la Cina, aggirando sia la Russia sia l’Iran.
Lunedì Erdogan e Aliyev hanno già inaugurato i lavori di realizzazione di un nuovo gasdotto che collegherà il Nakhchivan con la regione turca di Igdir, in attesa di poterlo prolungare fino a Baku passando nel corridoio di Zangezur.
Aliyev ha spesso chiarito che se non dovesse ottenere il corridoio di Zangezur con le buone – sul confine meridionale armeno e alle porte dell’Iran, che osserva con preoccupazione il precipitare della situazione a nord della sua frontiera e su è detto disponibile a inviare osservatori al confine tra Armenia e Azerbaigian – lo farebbe con la forza, prendendosi anche i territori dell’Armenia meridionale che d’altronde il “presidente a vita” azero ha definito ancora recentemente “Azerbaigian occidentale”. Senza un consistente sostegno esterno, economico e militare, l’Armenia non avrebbe alcuna chance di fermare le truppe azere e di impedire l’occupazione della provincia di Syunik, dove tra l’altro si trovano degli importanti giacimenti di rame e molibdeno.
A quel punto la Russia, il cui ruolo di paciere è già compromesso, si troverebbe a fronteggiare uno scenario alquanto spiacevale, dovendo decidere se fronteggiare anche militarmente l’iniziativa turco-azera, con tutte le conseguenze del caso, o se tollerare un’ulteriore ascesa di Ankara in un quadrante tradizionalmente di sua competenza.
La Francia offre protezione a Erevan
La difficoltà di Mosca nel Caucaso è tale che nei giorni scorsi la Francia – tradizionale protettore degli armeni e potenza energetica nucleare assai meno dipendente dal gas azero rispetto ai propri partner europei – ha deciso di entrare in scena con maggiore determinazione.
In visita a Erevan la Ministra degli Esteri di Parigi, Catherine Colonna, ha informato che Parigi ha accettato di consegnare non meglio precisati equipaggiamenti militari alla piccola nazione del Caucaso meridionale per garantire una migliore difesa del paese. Segno che l’ipotesi di un’aggressione militare azera all’Armenia è tutt’altro che remota.
Nel frattempo la moneta armena si è svalutata del 15% in un solo giorno e il piccolo e povero paese deve ora pensare a come sistemare i 100 mila profughi dell’Artsakh che nei giorni scorsi hanno varcato la sua frontiera. – Pagine Esteri
Leggi anche: L’Azerbaigian piega gli armeni, abbandonati da Russia e Nato
* Marco Santopadre, giornalista e saggista, già direttore di Radio Città Aperta di Roma, è un analista dell’area del Mediterraneo, del Medio oriente e dell’Africa. Scrive, tra le altre cose, di Spagna, America Latina e movimenti di liberazione nazionale. Collabora con il Manifesto, Catarsi e Berria.
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Oggi è la Giornata Mondiale degli Insegnanti 📚
In occasione di questa ricorrenza si celebra la sottoscrizione delle Raccomandazioni dell'UNESCO sullo status di insegnante, la principale struttura di riferimento per i diritti e le responsabilità de…
Famiglie e carrello
La discordia innescata da un pomo è non soltanto un classico, ma anche un trastullo diversivo. Non privo di momenti epici e comici, con a declamare le magnifiche doti della famiglia ‘tradizionale’ quelli che poco la frequentano o troppo la moltiplicano e tutti pronti a difendere bimbi che poco si mettono al mondo. Inutile cercare dietro quelle parole, perché c’è il nulla. Ma è molto significativo che si cerchi affannosamente di dividersi sull’immaginario, laddove si potrebbe festeggiare la convergenza sostanziale, l’afflato unitario, il ritrovarsi giulivo.
Il 32,1% dei nuclei familiari è composto da genitori con figli (la grande maggioranza, che pesa il 23,4%, con un solo figlio), mentre quanti vivono da soli quotano il 33,3%. I primi sono oggi 8,2 milioni di persone, i secondi 8,4 milioni. Seguendo l’attuale andazzo, l’Istat calcola che nel 2040 (domani mattina) i primi si saranno ridotti a 6,4 milioni, mentre i secondi saranno cresciuti a 10,1 milioni.
Il mercato se n’è già accorto, regolando le confezioni: si possono prendere pomodori pelati in confezioni che un tempo sarebbero state considerate ridicolmente micragnose, ma che ben rispondono al doverci condire gli spaghetti per uno o due persone. La politica non se n’è accorta e continua a vivere di miti. Anche perché accorgersene significa dovere rivedere le politiche previdenziali e sanitarie, non soltanto quelle sentimentali. Ed è qui che il pomo torna utile.
Nel mentre ci si dilaniava attorno alla fenomenologia della pesca, sono successe due cose: la Nota di aggiornamento al Documento di economia e finanza e il carrello tricolore. Entrambe retoricamente riconducibili alle politiche per le famiglie. Ma se sul pomo il cielo è scuro e squarciato da lambi, sul resto si fa sereno e d’augelli popolato. Difatti, mi è sfuggita l’indignata reazione dell’opposizione per l’aumento del deficit e il rallentamento (si spera, perché quello è un blocco) della riduzione del debito. Partito democratico e 5 Stelle non mancheranno di farci giungere la loro diversa e convergente indignazione per sgravi fiscali troppo bassi e contributi effimeri o benefici omeopatici, ma saranno note inserite nello spartito della solita musica: ci vorrebbe più spesa pubblica. A parti invertite sarebbe – sicuramente – la stessa cosa e la destra non farebbe mancare la sua uguale e rovesciata indignazione; e cos’è, questa, se non convergenza? Il rissoso mondo politico italiano ritrova la pace nel chiedere al bilancio pubblico quel che al bilancio pubblico non andrebbe chiesto. Poi, certo, a chi tocca redigerlo tocca anche cadere in contraddizione. Sono inconvenienti del mestiere.
Così come mi è sfuggito lo sdegno per il carrello tricolore. Anzi, l’unità d’intenti e di stenti ha preso corpo in intere paginate di pubblicità pro governativa comperate da Coop, che il senso comune e la tradizione economica annettono alla sinistra. Mentre l’opposizione – capace di sostenere che a far scendere i prezzi non siano gli accordi di cartello e carrello per gli sconti mascherati da altruismo, bensì la concorrenza che propone la convenienza del disertare il falso scontatore – è lasciata a qualche residuato di scolarizzazione, presto sbeffeggiato per idolatria libbberista.
Non è un caso che menti fini si siano dedicate alla ricerca di cosa distingua la destra dalla sinistra, taluni riuscendo a tracciare le suggestioni che da una parte traslocano nell’altra. Ci vuole mestiere e impegno, giacché il nostro guaio nazionale è la difficoltà nel distinguerle.
La Ragione
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Quali priorità per la Nato dopo Vilnius? Il dibattito alla Farnesina
Il vertice di Vilnius si è concluso con l’annuncio di un considerevole incremento negli sforzi di deterrenza, difesa comune e cooperazione di sicurezza con i Paesi partner nell’Indo-Pacifico e nel Medio oriente. Allo stesso modo, le crescenti incognite nello scenario internazionale hanno comportato una profonda revisione strategica nella Nato, così come delle importanti riflessioni sul futuro dell’Alleanza. Questi i temi che verranno trattati dagli specialisti internazionali presenti alla conferenza “Nato 2023. Balancing priorities after the Vilnius Summit”, presso la sala delle Conferenze internazionali della Farnesina, venerdì 6 ottobre, dalle ore 14:50. Agli interventi di apertura prenderanno parte Alessandro Minuto-Rizzo, presidente Ndcf, Riccardo Guariglia, segretario generale del Maeci, Florence Gaub, direttrice della Divisione ricerca del Nato Defense college e Nicolò Russo-Perez, responsabile delle Relazioni internazionali per la Compagnia di San Paolo.
Il primo panel, moderato da Oana Lungescu, già portavoce della Nato, analizzerà nel dettaglio il tema cruciale della ripartizione delle responsabilità e dei costi tra gli alleati. In particolare, si tratterà la questione degli investimenti in emerging e disruptive technologies e il ruolo del Defence innovation accelerator for the North Atlantic (Diana) per accrescere il budget destinato al tema. Alla discussione si aggiungeranno gli approfondimenti di esponenti di rilievo dell’industria della Difesa quali Stefano Pontecorvo (presidente di Leonardo) e Giovanni Soccodato (managing director di MBDA Italia).
Il secondo panel sarà introdotto da Marco Peronaci, rappresentante permanente italiano presso la Nato, che condividerà una riflessione sulla funzione dell’Italia in seno all’Alleanza Atlantica. Il panel si concentrerà sulla rivitalizzazione della partnership con i Paesi Mena e dell’Indo-Pacifico, sulla cooperazione tra Nato e Gulf cooperation council e sul contrasto alle minacce esterne nella fascia tra Siria e Sahel, moderato dal direttore di Airpress e Formiche, Flavia Giacobbe.
La conferenza verrà poi conclusa dal presidente della commissione del Senato Politiche dell’Unione europea, l’ambasciatore e senatore Giulio Terzi di Sant’Agata.
Realizzato da Leonardo, è ufficialmente operativo il primo centro paneuropeo per la gestione dinamica in tempo reale dei rischi cyber
Di Alessandro Patella su Wired Italia
@Informatica (Italy e non Italy 😁)
Leonardo lancia il primo centro europeo di cyber analisi
Analizza terabyte di dati per monitorare i rischi di attacchi informatici e garantire maggiore sicurezza a livello europeoAlessandro Patella (Wired Italia)
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Cosa sappiamo del sottomarino nucleare cinese (forse) affondato
Un sottomarino d’attacco a propulsione nucleare Type 093 (denominazione Nato “Shang”) della Marina militare dell’Esercito popolare di liberazione cinese avrebbe subito un gravissimo incidente lo scorso agosto, portando alla morte 55 membri dell’equipaggio. Lo scrive in esclusiva il quotidiano britannico Daily Mail, che cita un rapporto dell’intelligence britannica.
Secondo il rapporto, il sottomarino, impegnato in una missione imprecisata nelle acque del Mar Giallo, è rimasto impigliato il 21 agosto scorso in una trappola per sottomarini precedentemente posizionata proprio dalle forze cinesi contro eventuali intrusioni di sottomarini statunitensi e dei Paesi loro alleati. L’urto con l’ostacolo avrebbe “causato guasti ai sistemi che hanno richiesto sei ore per riparare e riportare in superficie il vascello”. In quel lasso di tempo, un “guasto catastrofico” del sistema di rigenerazione dell’aria avrebbe causato la morte per ipossia di 17 marinai e 22 ufficiali, incluso il comandante del sottomarino, Xue Yong-Peng.
Ufficialmente, la Cina nega che l’incidente sia mai avvenuto, e ha bollato come “completamente false” le indiscrezioni in proposito. Ufficiosamente, Pechino avrebbe respinto dopo l’incidente diverse offerte di assistenza internazionale. Quanto alla sorte del sottomarino, non è chiaro se l’unità sia stata recuperata o se sia andata definitivamente perduta a seguito dell’incidente.
“C’erano rumor” ad agosto, alimentati soprattutto dai media taiwanesi, “è plausibile”, risponde su X uno dei maggiori esperti di questi temi, H I Sutton.
There were rumors at the time, it’s plausible t.co/OVRhtP09na— H I Sutton (@CovertShores) October 3, 2023
Lo storico Phil Weir ha fatto notare che non sembrano essere state registrate attività insolite da parte delle navi cinesi di supporto/salvataggio sottomarini.
I’d have thought a key marker would be some unusual activity from their submarine support/rescue ships. The North Sea Fleet has at least four, & PLAN has at least three DSRVs, including an LR-7 they bought from Britain.
I’ve not heard anything, but haven’t been closely watching— Dr Phil Weir (@navalhistorian) October 3, 2023
Finalmente in italiano l'inchiesta di Giacomo Zandonini che fa tremare la Commissione Europea «Il pericolo della “porta sul retro” imposta dal regolamento europeo anti-pedopornografia»
Gli appetiti dei privati – profit e non profit – sui sistemi di detection delle immagini, l’approccio “lasco” agli ordini di ricerca e le richieste aggiuntive di Europol in termini di possibilità d’indagine sono alcune delle rappresentazioni concrete del Rubicone da non varcare citato dal Garante europeo Wojciech Wiewiórowski: costringere ogni app, sito o piattaforma a mantenere una “porta sul retro” espone chiunque al rischio di essere spiato all’interno di una piazza virtuale, sia da agenti, sia da criminali. Mentre la Commissaria Johansson e la rete di lobby con cui ha stretto rapporti nell’ultimo biennio spingono per chiudere l’iter legislativo al più presto, con la fine dell’estate i negoziati sembrano bloccati.
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In Cina e Asia – De-risking, l’Ue lancia una nuova strategia di sicurezza che guarda alla Cina
I titoli di oggi: De-risking, l’Ue lancia una nuova strategia di sicurezza che guarda alla Cina Ucraina, tre aziende petrolifere cinesi “sponsor della guerra” India, raid della Polizia contro redazione online: “È propaganda cinese” Banca mondiale, nel 2024 tassi di crescita al ribasso per la Cina Pacifico, le Marshall non rinnovano il patto siglato con gli Usa Mar Cinese Meridionale: ...
L'articolo In Cina e Asia – De-risking, l’Ue lancia una nuova strategia di sicurezza che guarda alla Cina proviene da China Files.
LIBANO. Nel Cimitero della Palestina riposa il sogno della rivoluzione araba
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testo e foto di Michele Giorgio
Pagine Esteri, 4 ottobre 2023 – «Ecco, questa qui è la tomba di una donna francese e lì c’è quella di Ghassan Kanafani». Mahmoud Safadi di questo luogo sa tutto, conosce la storia di ogni singola persona seppellita nel cimitero. È il custode e vive giorno e notte tra queste tombe che cura per conto dell’Olp. «Ghassan (Kanafani) – ci dice – è stato uno dei più grandi intellettuali e scrittori palestinesi. Fu ucciso dal Mossad (israeliano) nel 1972, assieme alla nipote di 17 anni, Lamis. Un bomba fece saltare in aria la sua automobile». Ci invita a seguirlo. Sciorina nomi a ripetizione: Ali Hasan Salameh (il principe rosso), Shafik al Hout, Salah Ibrahim Said e così via. È la storia del movimento di liberazione palestinese e di un’era del Medio Oriente ormai dimenticata o forse ignorata di proposito dalla narrazione «autorizzata».
Siamo a Beirut, nel Cimitero dei Martiri della Palestina o come, più giustamente, lo chiamano alcuni, il cimitero dei martiri della rivoluzione palestinese. Non lontano da qui c’è un altro cimitero, quello delle migliaia di vittime palestinesi del massacro di Sabra e Shatila del 1982, un luogo dovrebbero esserci anche due giornalisti italiani, Stefano Chiarini e Maurizio Musolino, che avevano dedicato una buona parte della loro vita a tenere accesi i riflettori sulla questione palestinese.
In Israele definirebbero questo luogo, al quale Mahmoud riserva tutta la cura possibile, un «cimitero di terroristi» considerando che una parte di coloro che vi sono seppelliti hanno partecipato ad attacchi armati tra gli anni Settanta e Ottanta o sono stati leader e militanti di organizzazioni combattenti dell’Olp. Ma forse nello Stato ebraico lo ricorderebbero solo come il luogo dove giace l’odiato mufti di Gerusalemme, Hajj el Amin Hussein.
È qualcosa di ben diverso. Il Cimitero dei Martiri della Palestina è la rappresentazione del sogno di uomini e donne, di ogni angolo del mondo, di diversi orientamenti ed ideologie, di una rivoluzione, quella palestinese, che non aveva come obiettivo solo quello di realizzare i diritti di un popolo scacciato dalla sua terra ma anche di scardinare le fondamenta politiche e sociali del Medio Oriente. Una rivoluzione che voleva abbattere le barriere religiose e la struttura tribale del mondo arabo sulla base di un’idea: la liberazione da tutte le oppressioni.
Il Cimitero dei Martiri della Palestina è l’unico del Medio Oriente dove uomini e donne sono stati sepolti assieme senza tenere conto della loro religione, origine, ceto sociale.
«Qui sono sepolti sunniti e anche alcuni sciiti, cristiani, arabi, curdi, europei, nordafricani, un russo, diversi asiatici, anche Balqis al Rawi, moglie del celebre poeta siriano Nizar Qabbani, morta in un attentato all’ambasciata dell’Iraq a Beirut nel 1981. Persone che avevano una visione comune del mondo e che credevano in una rivoluzione che doveva liberare i palestinesi e tutti gli arabi», ci dice Sari Hanafi, docente dell’Università americana di Beirut, esperto di profughi palestinesi in Libano. «Oggi che il mondo, non sono quello arabo, è dilaniato dal settarismo religioso, dal conflitto tra musulmani sunniti e sciiti, dalle tensioni tra fedi diverse, questo cimitero ha un valore che va oltre quello simbolico. Ci spinge a pensare di nuovo a un mondo senza differenze tra gli esseri umani, che punta al progresso. Ci aiuta a capire che le lotte del passato non sono state vane», aggiunge Hanafi.
Mahmoud ci guida ancora tra le lapidi. Sotto un poster enorme con l’immagine del presidente palestinese Yasser Arafat, morto nel 2004 e sepolto a Ramallah, in Cisgiordania, accanto alle tombe di due giapponesi, c’è una lapide con inciso il nome di Kamal Mustafa Ali, uomo del Bangladesh. Non vi è alcuna menzione di chi fosse e nemmeno una data di nascita. Sulla lastra di marmo oltre al nome e al giorno della morte, 22 luglio 1982, c’è solo un versetto del Corano. Mahmoud dimostra di sapere tutto anche in questo caso. «Ali – ci dice – fu colpito a morte durante la battaglia al Castello di Beaufort, vicino Nabatiyeh, l’ultima disperata resistenza dei combattenti dell’Olp contro le truppe israeliane che avevano invaso il Libano e che presto sarebbero arrivate qui a Beirut». Dal Bangladesh furono decine, o forse di più, coloro che si unirono ai ranghi di Fatah, del Fplp e delle altre formazioni dell’Olp, convinti che la lotta dei palestinesi avrebbe spinto alla sollevazione le popolazioni asiatiche contro le oppressioni sociali ed economiche. Di loro si sa pochissimo, come di Kamal Mustafa Ali. Mahmoud non ricorda di aver mai accolto famiglie di quel Paese.
Varcano l’ingresso del cimitero due signore. Non portano il velo. Ci avviciamoci incuriositi, facciamo qualche domanda. All’inizio la nostra invadenza non è gradita. «Siamo qui per pregare sulla tomba di nostra madre», ci risponde secca una di loro per tenerci a distanza. Qualche attimo dopo l’altra, forse temendo di essere stata scortese, accetta di risponderci. Ci confida di essere la sorella di un importante esponente dell’Olp di cui però non vuole fare il nome. «Mia madre non era una combattente, non faceva parte di alcuna organizzazione politica, ma ha sempre creduto in certi ideali e ci aveva chiesto di essere sepolta qui, per trascorrere, come diceva lei, il suo sonno eterno con il resto del mondo».
La signora, che si presenta come Nisrin, nome forse inventato al momento per non rivelarci quello vero, ora è meno diffidente e inizia a spiegarci il presente più che raccontarci il passato scandito dalle lapidi intorno a noi. «Non è facile vivere in una regione nella quale non ci si ritrova più», afferma. «Il Libamo, la Palestina, il Medio Oriente sono sempre state terre di sofferenza e lutti, che troppe volte ci sono stati portati da voi occidentali. Ora però – prosegue – abbiamo raggiunto le profondità più nere dell’animo umano. La fede che avevamo chiuso nell’ambito spirituale, delle convinzioni personali, è diventata lo strumento che certi leader religiosi e politici usano per spaccare le loro stesse popolazioni e portare morte e distruzione ovunque. In questo cimitero perciò ci vengo per pregare sulla tomba di mia madre e per ritrovare un po’ di serenità».
Mahmoud è intento a lucidare una lapide. Si sposta verso la tomba di Ghassan Kanafani, rimuove qualche fiore secco, sistema meglio quelli ancora freschi. Da lontano lo ringraziamo. Lui ci saluta con un timido gesto della mano, poi torna al suo lavoro strofinando forte con un panno la lastra di marmo. Pagine Esteri
Questo articolo è stato pubblicato in origine dal quotidiano Il Manifesto
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Le fakenews della commissaria agli affari interni Ylva Johansson su chatcontrol nella newsletter di Privacy Chronicles di Matteo Navacci
"nessuno ci ha ancora spiegato in che modo un regime di sorveglianza di massa totalitario sulle comunicazioni (chat, email, ecc.) di 500 milioni di persone possa in qualche modo evitare che un bambino venga violentato nella sua stanzetta"
Sei sicuro di volerlo sapere?
Clicca per aprire/chiudere
Forse inoculando un malware "buono" nei dispositivi di acquisizione audio e video presenti in ogni cameretta di ogni bimbo? 🙄like this
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Weekly Chronicles #48
Dimmi con cosa ti scaldi, e ti dirò chi sei
La Regione Toscana ha deciso di imporre ai suoi cittadini un obbligo di “accatastamento” degli impianti a biomassa presenti nelle loro case. Entro il 30 settembre i toscani dovranno dichiarare alla Regione se possiedono un camino, una stufa a legna o una stufa a pellet nelle loro abitazioni.
Insomma un censimento obbligatorio con tanto di sanzioni pecuniarie per chi cercherà di nascondere i suoi camini alle squadre di ricognizione dell’Arpat, l’Agenzia Regionale per la Protezione Ambientale della Toscana.
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Lo scopo è, citando il sito della Regione1: “mettere in relazione la diffusione di questi impianti e i fenomeni di inquinamento da PM10, al fine di migliorare le politiche per il contrasto dell'inquinamento atmosferico.”
Come fa una pubblica amministrazione a contrastare l’inquinamento atmosferico? Con gli incentivi economici. O meglio: con le tasse. Che poi è esattamente ciò
L’obiettivo è modificare il comportamento delle persone e valutare l’impatto ambientale della vita di ognuno di noi. Una volta fatto questo, saranno introdotte delle quote CO2 personali attraverso i nuovi strumenti d’identità digitale. Che poi è quello che prevedono anche le raccomandazioni del World Economic Forum (ne ho parlato qua, se non l’hai letto ti consiglio di farlo…).
La schedatura è il primo passo.
La breve storia triste di un’anziana signora e il suo T-RED
Oggi voglio condividere con voi questo bell’articolo scritto da Carlo Blengino (che se non sbaglio è un lettore) che parla delle tristi disavventure di una signora e un temibile T-RED, il macchinario automatizzato che rileva le infrazioni semaforiche.
«Per almeno 12 volte il T-RED ha rilevato una Fiat Tipo proveniente dal centro della città che poco prima delle 23 supera lentamente la linea semaforica nonostante la luce rossa. Quando la signora capisce la ragione della convocazione sembra sollevata, salvo vacillare appena intuisce l’importo complessivo della sanzione e che la decurtazione dei punti dalla patente le impedirà di guidare nei prossimi mesi»
È una storia che ancora una volta ci fa ben comprendere l’inutilità della sorveglianza cittadina, promossa dai sindaci-feudatari come strumento di civiltà e sicurezza urbana, ma niente più che un modo di far cassa con la vita delle persone — anche e soprattutto quando la condotta della persona, pur essendo tecnicamente in violazione di legge, non pone nessuno in pericolo.
È una storia che ci ricorda che le leggi e le sanzioni, qualsiasi esse siano, se applicate meccanicamente e sistematicamente ad ogni infrazione, sono per definizione tiranniche. Il futuro che ci aspetta, nelle nostre belle città intelligenti, è proprio questo: una spietata tirannia della legge applicata sistematicamente e senza eccezione alcuna dalle macchine.
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I bambini — qualcuno salvi i bambini!
La cara YIva Johansson, commissaria della Commissione Europea responsabile per la proposta di regolamento chiamata Chatcontrol (non lo conosci? Dai ne ho parlato tantissimo…) oggi ha voluto esporsi su X con un breve video per spiegare le ragioni di questa legge.
Ci sono dei tentativi di creare confusione di questo regolamento, dice Yiva nel video. Non è come pensate! La proposta è lì per proteggere i bambini dalla violenza sessuale. È lì per proteggere le vittime di questi crimini. Oggi un bambino su cinque viene violentato, continua la cara YIva.
Tutto molto bello, se non fosse che nessuno ci ha ancora spiegato in che modo un regime di sorveglianza di massa totalitario sulle comunicazioni (chat, email, ecc.) di 500 milioni di persone possa in qualche modo evitare che un bambino venga violentato nella sua stanzetta.
Certo — magari su milioni di intercettazioni le forze dell’ordine potranno catturare qualche pedofilo o limitare la diffusione di alcuni contenuti, ma il bambino ormai avrà comunque la vita rovinata. Che protezione è mai questa? E non dimentichiamo che tale sorveglianza di massa non lascerà scampo neanche ai bambini che dicono di voler proteggere. Tutte le chat, foto e video dei vostri figli saranno sotto l’occhio vigile di algoritmi e persone assunte proprio per spiarli.
Fortunatamente le Community Notes di questo splendido social che fa tanto schiumare gli amici di sinistra non si sono fatte attendere, rimettendo al suo posto la cara YIva e mostrandola per quello che è: una propagatrice di disinformazione, propaganda e terrorismo psicologico.
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Weekly quote
“Everything we hear is an opinion, not a fact. Everything we see is a perspective, not the truth.”
Marcus Aurelius
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Missili ipersonici. Rischi e opportunità secondo lo Iai
L’importanza delle tecnologie ipersoniche è ben nota. Data la loro imprevedibilità, il loro carattere destabilizzante e la loro capacità di trasportare testate nucleari, possedere missili ipersonici comporta un notevole vantaggio strategico. Tali tecnologie si inseriscono in un contesto di crescente complessità: la guerra in Ucraina ha infatti, dimostrato quanto sia importante un giusto equilibrio tra capacità offensive e difensive, in ottica di deterrenza. Mosca e Pechino, poi, possono vantare un sistema missilistico ipersonico a livello avanzato, mentre il paradigma difensivo dei Paesi Nato è oggi in discussione. Questi i temi principali discussi all’Istituto affari internazionali in occasione della presentazione della ricerca curata da Karolina Muti con Alessandro Marrone e Michelangelo Freyrie “Le capacità missilistiche ipersoniche stato dell’arte e implicazioni per l’Italia”, alla presenza dell’ambasciatore Ferdinando Nelli Feroci, presidente dello Iai, moderato dal vice presidente Michele Nones.
Tra offesa e difesa
“In passato era semplice tracciare una linea che distinguesse le tecnologie offensive da quelle difensive, oggi il compito è arduo”, ha detto Luciano Bozzo, professore del dipartimento di Scienze politiche e sociali dell’università di Firenze, che ha altresì sottolineato l’importanza del bilanciamento economico-strategico tra offesa e difesa, dialettica caratteristica delle relazioni tra potenze. In un sistema internazionale “caotico”, l’ha definito Bozzo, i missili ipersonici costituiscono un importante vantaggio, rischiando una corsa agli armamenti. Diventa pertanto essenziale conciliare deterrenza e collaborazione internazionale.
Approccio multidominio
Le armi ipersoniche sono vere e proprie tecnologie disruptive che cambiano gli equilibri strategici globali. Pertanto, ha detto il generale Carmine Masiello, sottocapo di Stato maggiore della Difesa, l’approccio multidominio “deve diventare la nostra forma mentis nello sviluppo degli strumenti della difesa”. In particolare, il generale ha ricordato l’incidenza dei domini spaziale e cyber, essenziali nel contrasto alle minacce ipersoniche. Masiello ha, inoltre, segnalato la necessità di accrescere la cooperazione europea, così da aumentarne l’autonomia strategica, e di rafforzare la preparazione scientifica e umanistica del capitale umano.
Come affrontare la sfida?
“È un obbligo della Difesa trovare soluzioni non solo per difenderci, ma anche per la deterrenza”, queste le parole del generale Luca Goretti, capo di Stato maggiore dell’Aeronautica, che ha anche ribadito la necessità di superare il gap strutturale tra sviluppo tecnologico e tempi di produzione degli armamenti. La velocità della tecnologia ipersonica ci interroga su come difenderci in caso di attacco. L’intelligence e i meta-dati diventano dunque essenziali per ottenere un vantaggio strategico ed è indispensabile un dialogo tra la Difesa e i diversi interlocutori civili, dagli analisti ai cyber-esperti.
Il ruolo della Nato
Come sostenuto dal ministro plenipotenziario Alessandro Cattaneo, consigliere diplomatico aggiunto del presidente del Consiglio, le tecnologie ipersoniche “hanno la potenzialità di dimostrarsi un game changer” strategico, chiamando in causa anche il rapporto tra pubblico e privato. Come ricordato da Cattaneo, la rapidità di risposta a un attacco ipersonico è un tema su cui la Nato dovrà riflettere: la catena di comando e controllo dovrà essere più rapida, anche per quanto riguarda la sua parte civile.
L’integrazione in Europa
Così come affermato da Giovanni Soccodato, amministratore delegato di MBDA Italia, “la componente tecnologica industriale è fondamentale”. Il ruolo del settore come catalizzatore della cooperazione europea è di cruciale rilevanza, perché, come affermato dall’ad, “sulla fascia alta dell’atmosfera non si può prescindere dalla collaborazione internazionale”. Infatti, il peso del dominio spaziale nello sviluppare capacità di early warning, e la necessità di aggregare le industrie del Vecchio continente, rendono necessaria la cooperazione.
Uno sguardo tecnico
Come affermato dall’ingegnere Stefania Sperandei, direttore Software engineering di MBDA, “la precisione dell’informazione, l’accuratezza dei sensori e la capacità di manovrare gli intercettori in tempi e con le capacità necessarie è una sfida tecnologica”, dove la capacità industriale diventa cruciale. Due i temi principali da affrontare. Il primo riguarda la produzione dei sistemi ipersonici. Il secondo tema, invece, riguarda il controllo e la necessità di manovrare il missile.
Ricerca e sviluppo
“L’Italia è un piccolo Paese che deve fare una sola cosa: investire in ricerca e sviluppo”, ne è sicuro il sottosegretario alla Difesa, Matteo Perego di Cremnago. Ciò è necessario per garantire il benessere e la qualità delle democrazie occidentali. La certezza della supremazia tecnologica è adesso messa in discussione, come dimostrato dall’arretratezza sulle tecnologie ipersoniche. Per risolvere questo problema, ha concluso Perego, è fondamentale incrementare le spese nel settore della Difesa, un impegno a cui le forze politiche non possono sottrarsi.
Quale ruolo per l’Italia nel Gcap? Cingolani (Leonardo) punta in alto
Il programma congiunto tra Roma, Londra e Tokyo per il caccia di sesta generazione Global combat air programme (Gcap) continua a procedere a ritmo sostenuto, anzi accelerato, e l’Italia dovrebbe cogliere l’occasione per rivedere “al rialzo” la propria posizione all’interno del consorzio. A dirlo è stato l’amministratore delegato di Leonardo, Roberto Cingolani, a margine della Cybertech Europe 2023, la piattaforma mondiale di networking dedicata all’industria della sicurezza informatica, organizzata in partnership proprio con il gruppo di Piazza Monte Grappa. “È una fase di lavoro molto intenso”, ha detto l’ad, aggiungendo come a novembre sarà “in Giappone mentre a ottobre ci sono diversi incontri soprattutto con gli inglesi”.
L’INTELLIGENZA DI SCIAME
La nuova posizione italiana, infatti, potrebbe avvantaggiarsi dall’expertise dimostrata dalle proprie realtà che partecipano all’iniziativa, di cui Leonardo è capofila, soprattutto in alcune tecnologie-chiave del prossimo caccia. Per l’ad, infatti, il gruppo ha “un arsenale tecnico molto forte”, in particolare per quello che riguarda la swarm intelligence, una intelligenza di sciame che sarà alla base di una delle componenti più innovative del nuovo caccia. Il Gcap, infatti, vedrà l’aero vero e proprio essere accompagnato da uno sciame di droni più o meno autonomi, per controllare i quali il pilota dovrà essere assistito da un avanzato sistema di intelligenza artificiale.
L’ESPERIENZA DI LEONARDO
Proprio qui Leonardo può far valere il suo ruolo fin dalla fase di progettazione. “non è che ci sia un modello indentificato – ha spiegato Cingolani – sarà un aereo supersonico con 40 droni? Ma partono attaccati sotto le ali o partono da aeroporti vicini? C’è proprio da fare il concept, stabilire che cosa sarà”. L’unica cosa sicura, ha confermato l’ad, è che il mezzo “deve controllare trenta o quaranta droni, più o meno capaci e intelligenti, alcuni da ricognizione, alcuni da attacco, altri sacrificali”. Dunque, per Cingolani, “chi ha in mano le competenze deve mettersi al tavolo a dire: vediamo chi sa fare cosa: il ruolo forte lo misuri in base alle competenze”. Per questo Leonardo sente di avere le carte giuste per giocare alla pari al tavolo del Gcap: “Giappone e Uk sono bravi, però è un consorzio costruttivo, quindi c’è ampio margine”.
LE PROSSIME MINISTERIALI
L’aereo da combattimento, che fonderà il progetto anglo-italiano Tempest con il giapponese Mitsubishi F-X, dovrebbe essere sviluppato entro il 2035. L’obiettivo per i tre Paesi è ora quello di passare alla fase operativa, chiudendo entro fine anno gli accordi sulla partecipazione. Nelle prossime settimane sono previste due nuove riunioni ministeriali, una a Roma e l’altra probabilmente in Giappone. Potrebbe essere la prima volta per i due nuovi ministro della Difesa di Regno Unito e Giappone, rispettivamente Grant Shapps (con cui l’italiano Guido Crosetto ha avuto un colloquio conoscitivo la scorsa settimana) e Minoru Kihara.
IL NODO SAUDITA
Sul tavolo c’è anche l’ipotesi di allargamento del progetto all’Arabia Saudita. Su questo il Regno Unito è aperturista mentre il Giappone è fortemente contrario. Nelle scorse settimane si è espresso anche Cingolani, chiudendo la porta: “Il programma è Uk, Giappone e Italia. Punto”, aveva detto a margine dell’assemblea di Confindustria.
IL GCAP
Il progetto del Global combat air programme prevede lo sviluppo di un sistema di combattimento aereo integrato, nel quale la piattaforma principale, l’aereo più propriamente inteso, provvisto di pilota umano, è al centro di una rete di velivoli a pilotaggio remoto con ruoli e compiti diversi, dalla ricognizione, al sostegno al combattimento, controllati dal nodo centrale e inseriti in un ecosistema capace di moltiplicare l’efficacia del sistema stesso. L’intero pacchetto capacitivo è poi inserito all’intero nella dimensione all-domain, in grado, cioè di comunicare efficacemente e in tempo reale con gli altri dispositivi militari di terra, mare, aria, spazio e cyber. Questa integrazione consentirà al Tempest di essere fin dalla sua concezione progettato per coordinarsi con tutti gli altri assetti militari schierabili, consentendo ai decisori di possedere un’immagine completa e costantemente aggiornata dell’area di operazioni, con un effetto moltiplicatore delle capacità di analisi dello scenario e sulle opzioni decisionali in risposta al mutare degli eventi.
IL PROGRAMMA CONGIUNTO
L’avvio del programma risale a dicembre del 2022, quando i governi di Roma, Londra e Tokyo hanno concordato di sviluppare insieme una piattaforma di combattimento aerea di nuova generazione entro il 2035. Nella nota comune, i capi del governo dei tre Paesi sottolinearono in particolare il rispettivo impegno a sostenere l’ordine internazionale libero e aperto basato sulle regole, a difesa della democrazia. Grazie al progetto, Roma, Londra e Tokyo puntano ad accelerare le proprie capacità militari avanzate e il vantaggio tecnologico.
L’Italia potenzia la cyber-difesa Ue. Ecco il centro di cyber-analisi di Leonardo
È operativo il primo centro paneuropeo di analisi e gestione dei rischi cyber in tempo reale, realizzato da Leonardo e Indra per la Commissione europea per le politiche digitali (DG Connect). Il progetto da diciotto milioni di euro è stato finanziato dalla direzione generale Ue e mira a raggiungere una piena situational awareness nel cyber-spazio. Il centro analizza i dati provenienti da tutto il web, compresi social media, deep e dark web, e si avvale del supporto di oltre cinque milioni di indicatori di compromissione – tracce digitali di incidenti informatici – gestiti direttamente dal gruppo di piazza Monte Grappa anche attraverso infrastrutture di supercalcolo.
Tramite attività di previsione del rischio e analisi di scenario, l’innovativo istituto permette alla Commissione europea di riconoscere potenziali attacchi cyber, la loro probabilità e modalità, contribuendo all’individuazione delle infrastrutture digitali europee a rischio e degli eventuali attori malevoli. Il centro, oggi virtuale, sarà realizzato anche in forma fisica a Bruxelles, dove verrà supportato dal centro regionale di Leonardo, in modo da consentire alla Commissione di operare direttamente sulle minacce cyber.
Il dominio cibernetico si dimostra un crescente vantaggio strategico e, come annunciato dall’amministratore delegato di Leonardo, Roberto Cingolani, a Cybertech Europe – la conferenza sul cyber-spazio più grande d’Europa – la cyber-security sarà uno dei due pilastri del piano industriale 2024 del colosso italiano. È quindi chiara la volontà dell’azienda di aumentare e sfruttare la propria competitività anche attraverso massicci investimenti nella digitalizzazione e nella sicurezza dei server. L’innovativo progetto ha anche ricevuto il plauso della Commissione europea, per voce del vice presidente della Commissione, Margaritis Schinas, intervenuto sempre al Cybertech Europe, che ha ringraziato l’Italia per il suo impegno, invitando anche gli altri Paesi dell’Unione a seguirne l’esempio.
La creazione del nuovo centro si colloca all’interno del più ampio impegno europeo – e italiano – di proteggere le infrastrutture critiche da attacchi cibernetici. La questione, tra l’altro, è stata di recente analizzata all’evento “Resilienza e infrastrutture critiche. L’Europa, l’Italia e l’interesse nazionale”. La resilienza del settore cibernetico europeo è di fondamentale importanza. La stessa azienda italiana ha riscontrato nel 2022 un incremento del 180%, rispetto al 2021, delle tecniche offensive, in particolare ransomware, Ddos, wipers, phishing e campagne di disinformazione. Queste, combinate all’insicurezza dettata dalla guerra in Ucraina, hanno reso l’Europa soggetta ad un numero maggiore di minacce cibernetiche.
Al via l'undicesima edizione del premio letterario internazionale "Eugenia Bruzzi Tantucci" per l’anno scolastico 2023/2024. Gli studenti partecipanti potranno presentare i lavori entro e non oltre il 27 ottobre 2023.
Ministero dell'Istruzione
#NotiziePerLaScuola Al via l'undicesima edizione del premio letterario internazionale "Eugenia Bruzzi Tantucci" per l’anno scolastico 2023/2024. Gli studenti partecipanti potranno presentare i lavori entro e non oltre il 27 ottobre 2023.Telegram
Émile Zola – Thérèse Raquin
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“Fermate il Regolamento chatcontrol”: la lettera di Privacy Pride al Governo Meloni
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Il Vega di nuovo in orbita. Tutto pronto al lancio
È iniziato il countdown per il lancio della prossima missione del vettore Vega, il razzo europeo realizzato in Italia presso gli stabilimenti Avio di Colleferro a Roma, che nella notte del 6 ottobre raggiungerà l’orbita terrestre dallo spazioporto europeo di Korou in Guiana Francese. La missione, denominata VV23, collocherà in orbita eliosincrona due satelliti principali e dieci ausiliari. Il primo è il satellite thailandese Theos-2 (Thailand earth observation system 2) specializzato nell’osservazione della Terra con una risoluzione delle immagini al suolo di 0,5 metri. La Thailandia ha intenzione di usare i dati del satellite per supportare le politiche di sviluppo del Paese. Il secondo satellite, Formosat-7R/Triton, è realizzato dall’Agenzia spaziale taiwanese ed è dotato di un sistema satellitare di navigazione globale che riflette i segnali per studiare i venti oceanici e fornire dati per prevedere l’intensità e la traiettoria dei tifoni.
Il contributo italiano
Avio, azienda di Colleferro specializzata in sistemi di propulsione e lanciatori spaziali, produce il vettore europeo Vega, un gioiello tutto made in Italy. Ma l’azienda guarda già al futuro essendo attualmente impegnata nella fase di sviluppo del lanciatore Vega-E. Il progetto è sviluppato in ambito Esa e portato avanti tramite la collaborazione tra Avio e l’Agenzia spaziale italiana, che prevede l’uso di un motore alimentato da ossigeno e metano liquidi. Il vettore è pensato per trasportare satelliti leggeri ed il primo lancio è previsto per il 2026.
Il futuro del Vega-C
Dopo l’anomalia riscontrata durante il lancio del Vega-C, accaduta nel giugno scorso, la Commissione d’inchiesta indipendente (Iec) istituita dall’Agenzia spaziale europea (Esa) per esaminare l’anomalia verificatasi durante il test del motore Zefiro 40 di Vega-C, ha recentemente completato i suoi lavori. La Commissione ha concluso che nell’attuale progettazione dell’ugello, la combinazione della geometria dell’inserto di gola e delle diverse proprietà termomeccaniche del nuovo materiale Carbon-Carbon utilizzato per questo test ha causato un danneggiamento progressivo di altre parti adiacenti l’ugello e un progressivo degrado che ha portato all’anomalia dell’ugello. Questo fenomeno non è legato a quelli osservati sulla missione VV22 con il precedente materiale Carbon-Carbon. È stata, quindi, istituita una task force guidata dall’Esa e da Avio che inizierà immediatamente a implementare le raccomandazioni proposte dalla Iec. L’Esa supporterà tale programma, attingendo dalle risorse già disponibili. Vega-C tornerà a volare nel quarto trimestre del 2024, mentre un altro volo Vega avrà luogo nel secondo trimestre del 2024.
BRASILE. Bahia, la città della musica nelle mani della criminalità
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di Pasquale Pugliese*
Pagine Esteri, 3 ottobre 2023, Bahia – Tutti conoscono Salvador da Bahia, la prima capitale storica del Brasile, città del mare e della musica che ha dato i natali ad artisti di caratura internazionale come Caetano Veloso, Gilberto Gil, Gal Costa. Anch’essa è palcoscenico del celebre Carnevale brasiliano: la festa di strada più grande del pianeta. Ma Bahia è anche una tra le città più violente del Brasile.
Il tema della sicurezza pubblica è un problema storico nello Stato di Bahia, uno dei più grandi e popolosi del Brasile, con tassi elevati di disoccupazione e salari più bassi della media nazionale. Un fenomeno che negli ultimi tempi sta assumendo proporzioni mai viste. Nel mese di settembre sono stati uccisi 51 presunti appartenenti a fazioni criminose in conflitti a fuoco con le forze dell’ordine, secondo i dati ufficiali della polizia. Fonti non ufficiali parlano di un bilancio sensibilmente più alto con morti sepolti in zone abbandonate della matagal, la foresta.
Nella quotidianità dello Stato di Bahia si va dalla microcriminalità che prende di mira lavoratori e persone di umili condizioni – rapine di cellulari e di denaro ai danni di negozi o malcapitati, una vera e propria guerra tra poveri – alle facçoes, organizzazioni che hanno il dominio su vari quartieri di Salvador per la vendita di stupefacenti: maconha, cocaina, crack. In questo secondo caso siamo di fronte a criminali professionisti ben organizzati ed armati con mitragliatori, fucili, lanciagranate tenuti in arsenali nascosti.
Alla fine di settembre si è tenuta una riunione al vertice nel ben noto Gran Hotel Stella Maris alla quale hanno partecipato il segretario nazionale alla sicurezza e i comandanti della polizia militare allo scopo di trovare le contromisure a questa ondata di sparatorie e sangue. Ma la situazione a Salvador continua a peggiorare poiché due organizzazioni criminali di livello nazionale stanno tentando di prendere il controllo di alcuni quartieri della città. I continui scontri a fuoco tra tali organizzazioni e la polizia, oltre a provocare morti sul campo producono anche vittime innocenti per le balas perdidas, le pallottole vaganti sparate da poliziotti e criminali. Può capitarci chiunque: un padre di famiglia che si reca al lavoro, una madre che accompagna i figli a scuola, un bambino che gioca tra le mura di casa. La vita quotidiana del bahiano medio è peggiorata per queste sparatorie. Gli autobus pubblici non passano nei quartieri oggetto di conflitti a fuoco, i centri della sanità pubblica (ambulatori, cliniche, ecc) e le scuole chiudono per lo stesso motivo.
Le favelas sono i posti preferiti dagli uomini delle fazioni criminali per reclutare nuove leve, di solito giovani poco più che ventenni, spesso senza lavoro e attratti da facili guadagni, che vengono impiegati in azioni di sorveglianza delle vie di accesso al quartiere. Sono armati e muniti di cellulare: entrare in una boca de fumo, i rioni dove si vendono stupefacenti, non è consigliabile per chi non vi abita. A ciò si aggiunge il fatto che in Brasile la legge sul possesso di armi in Brasile non è restrittiva. Tanti cittadini posseggono pistole e la vendita delle armi negli ultimi anni è aumentata sulla scorta dell’intenzione di molti di “farsi giustizia con le proprie mani”. Un Far West brasiliano che rischia di rivelarsi peggiore di quello americano. Pagine Esteri
*Risiede da anni in Brasile, di cui è un osservatore della realtà politica e sociale.
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Meta (Facebook / Instagram) passa all'approccio "Paga per i tuoi diritti" Per aggirare il GDPR, Meta sembra intenzionata a passare a un approccio "Pay for your Rights" (paga per i tuoi diritti)
In Cina e Asia – Volano gli scambi bilaterali: i container cinesi si stanno "accumulando” in Russia
Volano gli scambi bilaterali: i container cinesi si stanno “accumulando” in Russia
Belt and Road Initiative, stop a nuovi investimenti in Pakistan
Nord Corea, record nel mondo nel sollevamento pesi femminile
Pechino censura foto delle atlete con i numeri di Tian'anmen
Semiconduttori, la Malesia vuole tornare l’hub produttivo dell’Asia
Cina e consumi, in ripresa i brand nazionali e l'industria cinematografica
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Il Regolamento chatcontrol è diventato la "legge più criticata di tutti i tempi": ecco perché i piani di scansione CSAM dell'UE devono fallire
Riportiamo la severa presa di posizione di @Tutanota contro il regolamento #chatcontrol
Il Consiglio degli Stati membri dell'UE ha rinviato il voto finale sul regolamento sugli abusi sessuali sui minori (CSAR), previsto per il 28 settembre, alla fine di ottobre, poiché il disaccordo e le critiche alla legge continuano. Questo è un grande segno che il regolamento, soprannominato anche controllo delle chat e una delle leggi europee più criticate di sempre, potrebbe fallire.
La lotta sul controllo delle chat continua tra gli Stati membri dell'UE: un piccolo gruppo di Paesi - Germania, Austria, Paesi Bassi, Polonia, Svezia, Estonia e Slovenia - si oppone all'attuale bozza del regolamento CSA dell'UE. I politici tedeschi hanno già detto che non ci sono procedimenti penali ad ogni costo, una chiara dichiarazione contro i piani dell'UE per la scansione lato client che comprometterebbe la crittografia.
Questo arriva in un momento molto importante, dato che il Regno Unito ha appena approvato la legge sulla sicurezza online, il cosiddetto "libro dei sogni dei dittatori". Mentre ora è teoricamente possibile per il Regno Unito minare la crittografia, l'UE ha ancora la possibilità di adottare un approccio più favorevole alla privacy quando si tratta di salvaguardare il web.
La Germania si oppone al controllo delle chat
La Germania ha chiesto di rinviare il voto, come nella sessione precedente, sostenuta dall'Austria. Il lavoro non sarebbe ancora finito, le misure contenute nel testo attuale sono sproporzionate e illegali e devono essere modificate.
All'inizio di quest'anno gli esperti legali del Servizio scientifico del Parlamento europeo hanno concluso in uno studio sulla legalità del controllo delle chat:
"soppesando i diritti fondamentali interessati dalle misure della proposta CSA, si può stabilire che la proposta CSA violerebbe gli articoli 7 e 8 della Carta dei diritti fondamentali per quanto riguarda gli utenti".
Secondo i servizi legali dell'UE, le parti della proposta CSAR sul controllo delle chat tramite scansione lato client sono sproporzionate e contrarie ai diritti fondamentali. Il regolamento CSA dell'UE è illegale ai sensi del diritto dell'UE.
Il Consiglio è diviso
Inoltre, Polonia, Paesi Bassi e Svezia hanno chiesto di modificare il testo della legge. Altri nove Stati hanno chiesto che la posizione comune venga adottata al più presto. La loro argomentazione: nei negoziati a tre con la Commissione e il Parlamento europeo, gli Stati dovranno comunque scendere a compromessi.
Ma dall'inizio dei dibattiti, 18 mesi fa, gli obblighi di sorveglianza come la scansione lato client, il controllo delle chat e gli aspetti di crittografia - punti chiave del progetto di legge - sono particolarmente controversi tra gli Stati membri dell'UE.
La Svezia vede "problemi con l'integrità e la certezza giuridica della proposta", mentre la Polonia ha definito tutto "molto complicato", affermando che il regolamento CSA non è ancora "riuscito a trovare il giusto equilibrio tra protezione dei minori e protezione dei dati".
La Polonia ha chiesto che vengano scansionate solo le chat di "persone concretamente sospette" e non quelle di cittadini innocenti.
Diversi Stati criticano altre disposizioni in quanto sproporzionate. I Paesi Bassi e la Germania vogliono esentare la telefonia audio, mentre la Svezia vuole esentare le comunicazioni su reti mobili. Svezia e Paesi Bassi vogliono limitare la scansione al materiale abusivo noto ed esentare il materiale sconosciuto e il grooming.
Questo dimostra quanto gli Stati membri dell'UE siano ancora divisi e quanto sia controverso il controllo delle chat, una delle leggi europee più criticate di tutti i tempi.
Dichiarazioni contrastanti della Commissione UE
La Commissione europea, tuttavia, respinge le argomentazioni degli oppositori e sostiene che è possibile proteggere e scansionare le chat allo stesso tempo - senza tuttavia fornire alcuna prova su come ciò dovrebbe essere fatto.
Allo stesso tempo, un'altra formulazione all'interno della proposta di legge chiarisce che il controllo delle chat è uno strumento di sorveglianza: I servizi di comunicazione non pubblici devono essere esentati, ad esempio se sono "utilizzati per scopi di sicurezza nazionale", per proteggere "le informazioni riservate, comprese quelle classificate". Gli Stati non vogliono il controllo delle chat per le proprie comunicazioni per evitare la sorveglianza.
Decisione rinviata
Mentre la Commissione europea sta facendo pressione sugli Stati per giungere a una decisione finale, è diventato evidente che non esiste una maggioranza qualificata per l'attuale proposta. Di conseguenza, il voto sul CSAR è stato rinviato in seno al Consiglio.
Ciò non sorprende, poiché nessun'altra legge dell'UE è stata criticata quanto il CSAR (bozza trapelata della Presidenza spagnola).
Critiche al controllo delle chat
1. Il controllo delle chat può essere illegale
Il problema centrale del CSAR è il seguente: scansionare in massa le comunicazioni di persone insospettabili senza motivo è sproporzionato e contrario ai diritti fondamentali.
Nel maggio dello scorso anno, la Commissione europea ha proposto di introdurre requisiti obbligatori per tutti i servizi di chat, messaggistica e posta elettronica, anche quando forniscono una crittografia Ende-zu-Ende, per scansionare i messaggi alla ricerca di materiale illegale relativo ad abusi sessuali su minori (CSAM). Dopo la loro pubblicazione, le misure proposte sono state criticate in tutta Europa perché potrebbero portare a una "sorveglianza permanente di tutte le comunicazioni interpersonali".
La Carta dei diritti fondamentali dell'UE garantisce il diritto alla privacy per tutte le persone che vivono nell'Unione europea. Di conseguenza, i consulenti legali dell'UE hanno concluso che le proposte europee di controllo delle chat, che richiederebbero alle aziende tecnologiche di scansionare i messaggi privati e criptati alla ricerca di materiale pedopornografico (CSAM), violano il diritto dell'UE.
La controversa legge dell'UE consentirà ai governi di inviare "ordini di rilevamento" alle aziende tecnologiche, imponendo loro di scansionare i messaggi privati e le e-mail alla ricerca di "indicatori di abusi su minori". Ciò potrebbe compromettere le comunicazioni criptate e viene criticato dagli esperti di sicurezza e dai sostenitori della privacy come una sorveglianza di massa generale e indiscriminata. Inoltre, bisogna ricordare che la Corte costituzionale federale tedesca ha persino dichiarato illegale la conservazione dei dati in Germania perché "sproporzionata".
È molto probabile che il regolamento CSA - se dovesse diventare legge - venga dichiarato illegale anche dalla Corte di giustizia europea (CGE). L'obbligo per aziende come WhatsApp, Signal e altre di analizzare ogni messaggio - anche se criptato - alla ricerca di materiale pedopornografico viola il diritto alla privacy delle persone, in contrasto con la Carta dei diritti fondamentali dell'UE.
Mentre le aziende tecnologiche si sono opposte senza successo a proposte simili nel Regno Unito nel disegno di legge sulla sicurezza online appena approvato, compreso il controverso requisito di scansionare il materiale pedopornografico una volta che esista una "tecnologia fattibile", sembra piuttosto improbabile che qualcosa di simile venga approvato nell'UE, data la grande resistenza, anche tra gli Stati membri dell'UE, ma ancora di più tra i parlamentari europei.
2. Forte lobbying da parte delle aziende di IA
Nel settembre 2023 è stata pubblicata una nuova ricerca che getta una luce molto diversa sul controllo delle chat - e su chi trarrebbe davvero vantaggio se tutti gli europei fossero monitorati 24 ore su 24, 7 giorni su 7, su Internet.
Oltre ad Ashton Kutcher e alla sua organizzazione Thorn, un lungo elenco di organizzazioni, aziende di IA e forze dell'ordine sta facendo pressione a Bruxelles a favore del controllo delle chat. La ricerca, ad esempio, rivela che WeProtect Global Alliance è un'istituzione affiliata al governo, strettamente legata all'ex diplomatico Douglas Griffiths e alla sua Oak Foundation. Quest'ultima ha investito più di 24 milioni di dollari USA in attività di lobbying per il controllo delle chat dal 2019, ad esempio attraverso la rete Ecpat, l'organizzazione Brave e l'agenzia di PR Purpose.
La ricerca "conferma i nostri peggiori timori", ha dichiarato Diego Naranjo, responsabile delle politiche dell'organizzazione per i diritti civili European Digital Rights (EDRi). "La legge europea sulla tecnologia più criticata dell'ultimo decennio è il prodotto di un'attività di lobbying da parte di aziende private e forze dell'ordine"."Il commissario dell'UE, Ylva Johansson, ha ignorato "la scienza e la società civile" e ha proposto una legge per "legalizzare la sorveglianza di massa e rompere la crittografia", ha detto. "La protezione dei minori viene qui abusata come porta aperta per un'infrastruttura di sorveglianza di massa senza alcuna ragione", denuncia Konstantin Macher dell'associazione per la protezione dei dati Digitalcourage.
3. La Germania è contraria alla proposta
La Germania è il più forte oppositore dell'attuale progetto CSAR - e a ragione. La Germania ha un passato di difesa del diritto alla privacy, non da ultimo a causa della sua storia di sorveglianza di massa durante i sistemi repressivi della Repubblica Democratica Tedesca (DDR) e durante la Seconda Guerra Mondiale.
Oggi, i politici tedeschi affermano: "Non c'è alcun procedimento giudiziario ad ogni costo": Il diritto alla privacy è un diritto umano importante, a cui non dobbiamo rinunciare.
4. La legge dell'UE più criticata di sempre
Secondo l'organizzazione no-profit EDRi, "un'ampia gamma di soggetti interessati senza precedenti ha sollevato preoccupazioni sul fatto che, nonostante i suoi importanti obiettivi, le misure proposte nella bozza di regolamento UE sugli abusi sessuali sui minori sono fondamentalmente incompatibili con i diritti umani".
EDRi ha pubblicato un'impressionante raccolta di 69 voci contrarie provenienti da politici dell'UE, Stati membri dell'UE, aziende tecnologiche e persino esperti di protezione dell'infanzia che spiegano perché il controllo delle chat deve fallire.
Ha inoltre pubblicato una lettera aperta firmata da oltre 80 ONG che si aggiunge alla voce di quasi 500 scienziati che spiegano perché dobbiamo lottare per la privacy in Europa.
Non importa quanto i politici cerchino di convincere l'opinione pubblica: La scansione dei nostri messaggi privati alla ricerca di materiale pedopornografico è una sorveglianza di massa. Non dobbiamo mai permetterlo.
Tutanota non accetta il controllo delle chat
Noi di Tutanota siamo combattenti per la libertà: Siamo all'avanguardia nella rivoluzione della privacy offrendo a tutti nel mondo un account di posta elettronica privato.
Se il regolamento CSA dovesse andare avanti nella sua forma attuale, saremmo disposti a difendere il diritto alla privacy in tribunale, come abbiamo già fatto in Germania.
Mettiamo la vostra privacy e sicurezza al primo posto, il nostro codice per la crittografia automatica Ende-zu-Ende di Tutanota è pubblicamente disponibile come open source. Non comprometteremo mai la nostra promessa di privacy o la nostra crittografia.
La nostra posizione rimane ferma: faremo tutto il necessario per garantire il vostro diritto alla privacy.
QUI IL POST ORIGINALE
Critiche al controllo delle chat: Perché i piani di scansione CSAM dell'UE devono fallire.
Il Regolamento UE per prevenire e combattere gli abusi sessuali sui minori è diventato la "legge più criticata di tutti i tempi".Tutanota
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Giorgia Meloni, un premier al bivio
La vittoria delle elezioni slovacche da parte dell’ex premier “sovranista” Robert Fico non è una buona notizia per Giorgia Meloni. Lo sembra, ma non lo è. L’anno di governo appena trascorso ha dimostrato empiricamente che, dalla questione migranti ai margini sulla spesa pubblica degli stati membri, i migliori alleati europei del partito di Giorgia Meloni sono anche i peggiori avversari dell’Italia. E dunque del governo Meloni.
La mancata vittoria in Spagna di Vox, altro alleato “scomodo” della leader di FdI, è stata dunque bilanciata ieri dalla vittoria in Slovacchia di Fico. Una vittoria che spaventa sia le Istituzioni europee, sia gli investitori internazionali, sia le agenzie di rating, tutti preda del timore che l’onda populista delle destre diventi uno tsunami destinato a rendere instabile, e dunque inaffidabile, l’intero Vecchio Continente. Uno spavento che riaccende i timori e rialimenta i pregiudizi sull’attuale governo italiano in quanto governo “di destra” la cui premier vanta un passato iperpopulista.
È vero che Giorgia Meloni si è affiancata da tale passato attraverso atti concreti di governo di segno diametralmente opposto rispetto alla demagogia degli anni trascorsi all’opposizione. Ma è anche vero che la competizione con Matteo Salvini, le intemerate di alcuni ministri e le pressioni della quasi totalità dei suoi più ascoltati consiglieri a partire dal sottosegretario alla Presidenza del Consiglio Giovanbattista Fazzolari la spingono a, sia detto con un’immagine metaforica rozza ma chiara, rinculare a destra. La logica e: siamo passati dal 4 al 30% e abbiamo vinto le elezioni con questa narrazione, se cambiamo narrazione perderemo tutto e torneremo al 4. La logica è fallace, assecondarla sarebbe un errore madornale.
Giorgia Meloni è, dunque, a un bivio: può fingere che l’assunzione delle responsabilità di governo in un’epoca densa di incertezze globali sia conciliabile con la demagogia del passato; può rompere del tutto con la demagogia accreditandosi come donna di Stato affidabile e seria. Nel breve periodo, la seconda strada costerebbe forse qualche punto percentuale al suo partito, ma le garantirebbe quel credito interno ed internazionale senza il quale pensare di arrivare alla fine della legislatura e magari di vincere nuovamente le elezioni politiche (impresa che nella storia della cosiddetta Seconda repubblica non è mai riuscita a nessuno) avrebbe la concretezza di un sogno di mezza estate. Senza contare che lungo questa strada Giorgia Meloni potrebbe facilmente incontrare, convincere e riportare al voto parte non marginale di quei milioni di elettori del centrodestra che si sono da tempo rifugiati nell’astensionismo perché nauseati dalla dilagante demagogia.
L'articolo Giorgia Meloni, un premier al bivio proviene da Fondazione Luigi Einaudi.
F-35 in Danimarca. Cresce la presenza europea del caccia
Accoglienza di prim’ordine, con tanto di volo inaugurale, per i primi quattro F-35 danesi giunti domenica alla base di Skrydstrup, nella Danimarca meridionale. I velivoli di quinta generazione sono stati accolti dal ministro della Difesa danese, Troels Lund Poulsen, insieme ai vertici governativi, militari e industriali della nazione nordica e dei Paesi alleati. Insieme a loro oltre diecimila cittadini hanno partecipato all’apertura straordinaria della base della Forza aerea reale danese, dove il pubblico ha potuto ricevere informazioni sulle capacità dei Lightning II e del loro ruolo all’interno della difesa danese e sui fornitori del comparto industriale. La base è anche stata sorvolata dai nuovi F-35 e dagli F-16 già presenti sul sedime di Skrydstrup.
La soddisfazione di Copenaghen
“L’arrivo del primo velivolo da combattimento F-35 in Danimarca rappresenta un evento storico per la Difesa danese e la Royal danish air force” ha detto il ministro Poulsen, aggiungendo come sia “grazie alla stretta e professionale collaborazione tra Lockheed Martin, il programma F-35 e la Difesa danese, che quest’ultima è entrata nel futuro della difesa aerea”. Per Greg Ulmer, vice presidente esecutivo di Lockheed Martin Aeronautics, “questo evento storico è la realizzazione della visione, della lungimiranza e dell’investimento strategico che la Danimarca ha fatto oltre un decennio fa. Ci aspettiamo che l’F-35 svolga per la Danimarca un ruolo fondamentale nelle missioni volte a garantire la sicurezza nel XXI secolo, offrendo capacità, connessioni e interoperabilità di quinta generazione senza pari”.
La Danimarca e il Jsf
Ad oggi la Danimarca ha preso in consegna dieci F-35. Oltre ai quattro appena arrivati a Skrydstrup, altri sei si trovano anche negli Stati Uniti, presso la base dell’Air force di Luke, in Arizona, dove i piloti e il personale di terra danese stanno completando il loro addestramento. La Danimarca ha in programma l’acquisto di un totale di ventisette F-35. Il Paese, del resto, è partner del programma del Joint strike fighter dal 2002, fina dalla fase di sviluppo e dimostrazione del sistema, alla quale ha contribuito con lo sviluppo di elementi tecnici del programma. L’aeronautica danese, inoltre, ha fornito un suo F-16 per il ruolo di “chase plane”, cioè un velivolo inseguitore destinato a riprendere o fotografare un altro apparecchio durante il volo per osservarne il comportamento, durante la fase Sviluppo, test e valutazione dell’F-35 presso la base aerea di Edwards, in California.
Integrazione Nato
La flotta di F-35 della Danimarca svolgerà un ruolo cardine nel rafforzare la resilienza collettiva della Nato nel Baltico e la capacità di deterrenza e difesa dell’Alleanza contro tutte le minacce nei diversi scenari. Come ricordato ancora da Ulmer: “L’F-35 integra le forze congiunte, garantendo una capacità senza precedenti di fare network tra le forze alleate, rafforzando in modo significativo la capacità di deterrenza dell’Alleanza in tutti gli scenari.”
Un caccia europeo
Con l’arrivo in Danimarca degli F-35, tra l’altro, cresce il numero di Paesi europei dotati del caccia della Lockheed Martin. La Danimarca, infatti, è il decimo Paese e la quinta nazione europea della Nato a utilizzare l’F-35 dal proprio territorio. Attualmente oltre a Copenaghen, altre quattro aeronautiche militari del Vecchio continente già annoverano il Lightning II tra gli assetti a disposizione (Italia, Norvegia, Paesi Bassi, Regno Unito), altri sette Paesi sono in procinto di ricevere diverse quantità di caccia, tra ordini e intenzioni di acquisto (Belgio, Finlandia, Germania, Polonia, Svizzera, Grecia e Repubblica Ceca) a cui potrebbe in futuro aggiungersi anche la Spagna. Un trend che porterà nel 2035 ad avere oltre seicento F-35 dislocati sul continente europeo nelle basi dei paesi membri della Nato e in Svizzera, con più della metà delle forze aeree europee dotate di F-35.
Il modello F-35
La scelta dei governi del Vecchio continente di affidarsi al caccia di quinta generazione discende sicuramente dalla necessità di dotarsi di equipaggiamenti militari all’avanguardia nel mutato contesto geostrategico globale, a partire dalla minaccia rappresentata dalla Russia a seguito dell’invasione dell’Ucraina. Ma al di là delle prestazioni dell’aereo, è proprio la sua diffusione tra le aeronautiche europee a renderlo un asset vantaggioso per le Difese nazionali. Sempre di più, infatti, la deterrenza e la dissuasione si baseranno anche sulla velocità e rapidità di schieramento dei mezzi e sulla facilità di manutenzione e gestione. Condividere lo stesso modello di aereo, infatti, significa che piloti e personale di terra sono in grado di operare immediatamente anche su macchine di Paesi diversi. Schierare una squadriglia di F-35 in un Paese che li ha già riduce la necessità di spostare anche specialisti e pezzi di ricambio, perché presenti sul territorio ospitante. Si creerà così una rete di nazioni in grado di esprimere un potere aereo coeso e rapidamente proiettabile, fatto di tecniche, procedure e tattiche in comune.
Dichiarazione congiunta di scienziati e ricercatori sulla proposta di regolamento sugli abusi sessuale infantili proposta dall'UE: 4 luglio 2023
Cari deputati al Parlamento europeo,
Cari Stati membri del Consiglio dell’Unione europea,
I firmatari di questa dichiarazione sono scienziati e ricercatori di tutto il mondo.
Innanzitutto, riconosciamo che l’abuso e lo sfruttamento sessuale dei minori è un crimine molto grave che può causare danni permanenti ai sopravvissuti. È responsabilità delle autorità governative, con il sostegno delle aziende e delle comunità, intraprendere interventi efficaci per prevenire questo crimine e reagire rapidamente quando si verifica.
La Commissione europea ha proposto una legge con l'obiettivo dichiarato di fermare la diffusione online di materiale pedopornografico e l'adescamento online di minori. Per fare ciò, la legge consente alle autorità di obbligare i fornitori di app o altri servizi online a scansionare messaggi, immagini, e-mail, messaggi vocali e altre attività dei propri utenti. Nel caso delle app crittografate end-to-end, l’affermazione è che questa scansione può essere eseguita sui dispositivi degli utenti – la cosiddetta “scansione lato client” (CSS).
L'efficacia della legge (nei suoi obiettivi dichiarati) dipende dall'esistenza di tecnologie di scansione efficaci. Sfortunatamente, le tecnologie di scansione attualmente esistenti e all’orizzonte sono profondamente imperfette. Questi difetti, che descriviamo in dettaglio di seguito, significano che la scansione è destinata a essere inefficace. Inoltre, l’integrazione della scansione su larga scala nelle app in esecuzione sui dispositivi degli utenti, e in particolare in un contesto globale, crea effetti collaterali che possono essere estremamente dannosi per tutti coloro che sono online e che potrebbero rendere Internet e la società digitale meno sicuri per tutti.
Poiché i problemi che descriviamo riguardano misure che sono al centro della proposta legislativa dell’UE, la nostra raccomandazione professionale come scienziati è che tale proposta non venga portata avanti. Non è fattibile né sostenibile richiedere alle aziende private di utilizzare le tecnologie in modi che già sappiamo non possono essere fatti in modo sicuro – o addirittura non possono essere fatti affatto. Data la natura orribile dell’abuso sessuale sui minori, è comprensibile, e in effetti allettante, sperare che esista un intervento tecnologico in grado di sradicarlo. Tuttavia, guardando la questione in modo olistico, non possiamo sfuggire alla conclusione che l’attuale proposta non è un intervento di questo tipo.
L’approvazione di questa legislazione mina il lavoro ponderato e incisivo che i ricercatori europei hanno svolto nel campo della sicurezza informatica e della privacy, compresi i contributi allo sviluppo di standard di crittografia globali. Tale indebolimento indebolirà l’ambiente per il lavoro sulla sicurezza e sulla privacy in Europa, riducendo la nostra capacità di costruire una società digitale sicura.
Il regolamento proposto costituirebbe inoltre un precedente globale per il filtraggio di Internet, il controllo di chi può accedervi e l’eliminazione di alcuni dei pochi strumenti a disposizione delle persone per proteggere il proprio diritto alla vita privata nello spazio digitale. Ciò avrà un effetto dissuasivo sulla società e probabilmente influenzerà negativamente le democrazie di tutto il mondo.
Mettiamo quindi fortemente in guardia dal perseguire queste o misure simili poiché il loro successo non è possibile data la tecnologia attuale e prevedibile, mentre il loro potenziale danno è sostanziale.
1. Le tecnologie di rilevamento sono profondamente imperfette e vulnerabili agli attacchi
Gli strumenti utilizzati per la scansione di materiale pedopornografico noto (CSAM) non devono contenere materiale pedopornografico stesso poiché ciò comporterebbe gravi rischi. Pertanto, l'unica tecnologia scalabile per affrontare questo problema consiste nel trasformare il contenuto noto con una cosiddetta funzione hash percettiva e nell'utilizzare un elenco dei valori hash risultanti da confrontare con potenziale materiale CSAM. Una funzione hash percettiva deve raggiungere due obiettivi: (i) dovrebbe essere facile da calcolare ma difficile da invertire e (ii) piccole modifiche a un'immagine dovrebbero comportare piccole modifiche all'output hash, il che significa che anche dopo la manipolazione dell'immagine la l'immagine conosciuta può ancora essere rilevata. Anche se sembra facile, dopo più di due decenni di ricerca non sono stati compiuti progressi sostanziali nella progettazione di funzioni che soddisfino queste proprietà.
La ricerca ha dimostrato che per tutte le funzioni hash percettive conosciute, è praticamente sempre possibile apportare piccole modifiche a un'immagine che si traducono in un grande cambiamento del valore hash che consente l'evasione del rilevamento (falso negativo). Inoltre, è anche possibile creare un'immagine legittima che verrà erroneamente rilevata come materiale illegale in quanto ha lo stesso hash di un'immagine presente nel database (falso positivo). Ciò può essere ottenuto anche senza conoscere il database hash. Un simile attacco potrebbe essere utilizzato per incastrare utenti innocenti e inondare le forze dell’ordine di falsi positivi, distogliendo risorse dalle vere indagini sugli abusi sessuali sui minori.
Questi attacchi non sono teorici: per progetti concreti come Photo DNA, la funzione hash PDQ di Facebook e la funzione NeuralHash di Apple, in letteratura sono stati descritti attacchi efficienti.
Per il momento l’unico modo per evitare tali attacchi è mantenere segreta la descrizione della funzione hash percettiva. Questa “sicurezza tramite oscurità” non solo va contro i principi di base dell’ingegneria della sicurezza ma, in pratica, è fattibile solo se la funzione hash percettiva è nota solo al fornitore di servizi. Nel caso della crittografia end-to-end, l'operazione di hashing deve avvenire sul dispositivo client. Pertanto, mantenere segreto il design è un’illusione.
Come scienziati, non ci aspettiamo che nei prossimi 10-20 anni sia fattibile sviluppare una soluzione scalabile che possa funzionare sui dispositivi degli utenti senza fuga di informazioni illegali e che possa rilevare contenuti noti (o contenuti derivati da o correlati a contenuti noti) contenuto) in modo affidabile, cioè con un numero accettabile di falsi positivi e negativi.
La proposta della Commissione Europea va oltre l'individuazione dei contenuti conosciuti. Richiede inoltre che le immagini o i video appena generati con materiale pedopornografico debbano essere rilevati sulla base di strumenti di “intelligenza artificiale”. Inoltre, la proposta prevede che l'adescamento nei servizi di comunicazione, comprendenti sia testo che audio, venga rilevato utilizzando tecniche simili. Sebbene alcuni attori commerciali affermino di aver fatto progressi, i progetti rimangono segreti e non è stata effettuata alcuna valutazione aperta e obiettiva che ne dimostri l’efficacia. Inoltre, lo stato dell’arte dell’apprendimento automatico suggerisce che ciò va ben oltre ciò che è fattibile oggi. In effetti, ogni volta che i progetti lato client sono stati valutati (come nel caso dei prototipi finanziati dal Ministero degli Interni del Regno Unito) si sono rivelati né efficaci né conformi alle leggi sulla privacy e sui diritti umani.
Gli strumenti di intelligenza artificiale possono essere addestrati per identificare determinati modelli con elevati livelli di precisione. Tuttavia, commettono regolarmente errori, compresi errori che a un essere umano sembrano molto elementari. Questo perché i sistemi di intelligenza artificiale mancano di contesto e buon senso. Ci sono alcuni compiti per i quali i sistemi di intelligenza artificiale sono adatti, ma la ricerca di un crimine molto sfumato e delicato – che è ciò che è il comportamento di adescamento – non è uno di questi compiti.
Considerando la scala con cui le comunicazioni private vengono scambiate online, anche la scansione dei messaggi scambiati nell’UE su un solo fornitore di app significherebbe generare milioni di errori ogni giorno. Ciò significa che durante la scansione di miliardi di immagini, video, testi e messaggi audio al giorno, il numero di falsi positivi sarà di centinaia di milioni. Sembra inoltre probabile che molti di questi falsi positivi siano essi stessi immagini profondamente private, probabilmente intime e del tutto legali inviate tra adulti consenzienti.
Ciò non può essere migliorato attraverso l’innovazione: i “falsi positivi” (contenuti erroneamente contrassegnati come materiale illegale) sono una certezza statistica quando si tratta di IA. I falsi positivi sono inevitabili anche quando si tratta dell'uso di tecnologie di rilevamento, anche per materiale CSAM noto. L'unico modo per ridurre questo margine di errore a un margine di errore accettabile sarebbe quello di eseguire la scansione solo in circostanze ristrette e realmente mirate in cui vi sia un sospetto preliminare, nonché risorse umane sufficienti per gestire i falsi positivi, altrimenti i costi potrebbero essere proibitivi data la un gran numero di persone che saranno necessarie per rivedere milioni di testi e immagini. Questo non è quanto previsto dalla proposta della Commissione Europea.
Il sistema di segnalazione proposto nel progetto di proposta CSAM potrebbe incoraggiare nuovi attacchi alle tecnologie di rilevamento. Questo perché in questo momento i fornitori hanno la facoltà di eliminare i falsi allarmi evidenti. Con il nuovo sistema, tuttavia, sarebbero tenuti a segnalare anche i contenuti che sembrano improbabili essere di materiale pedopornografico. Oltre agli attacchi di cui abbiamo parlato, molti altri stanno iniziando ad apparire in sedi accademiche specializzate, e ci aspettiamo che molti altri vengano preparati da coloro che sono motivati a condividere materiale illecito.
Infine, è stato affermato che il rilevamento di materiale pedopornografico dovrebbe essere fattibile poiché la scansione dei virus informatici è una tecnologia ampiamente utilizzata. Sebbene superficialmente entrambi sembrino simili, ci sono differenze essenziali. Innanzitutto, quando viene rilevato un virus informatico, l'utente viene avvisato e il virus può essere rimosso. In secondo luogo, un virus può essere riconosciuto sulla base di una piccola sottostringa univoca, cosa che non è il caso di un'immagine o di un video: sarebbe molto semplice modificare o rimuovere una sottostringa univoca con piccole modifiche che non ne alterano l'aspetto; farlo per un virus renderebbe il codice inutilizzabile. Infine, le tecniche di machine learning possono talvolta identificare il comportamento virale, ma solo quando tale comportamento può essere definito con precisione (ad esempio codice che copia se stesso) e quindi rilevato. Ciò è in contrasto con la definizione di CSAM per la quale non è facile stabilire confini chiari.
2. Implicazioni tecniche dell'indebolimento della crittografia end-to-end
La crittografia end-to-end è progettata in modo tale che solo il mittente e il destinatario possano visualizzare il contenuto di un messaggio o di un'altra comunicazione. La crittografia è l’unico strumento di cui disponiamo per proteggere i nostri dati nel regno digitale; UN
È stato dimostrato che tutti gli altri strumenti sono compromessi. L'utilizzo della crittografia dei collegamenti (da utente a fornitore di servizi e da fornitore di servizi a utente) con la decrittografia nel mezzo, come avviene nel sistema di telefonia mobile, non è una soluzione accettabile nell'attuale contesto di minacce. È ovvio che la crittografia end-to-end rende impossibile implementare la scansione di contenuti noti o nuovi e il rilevamento di adescamenti presso il fornitore di servizi.
Per rimediare a questo, è stata suggerita una serie di tecniche chiamate “Client-Side Scanning” (CSS) come un modo per accedere alle comunicazioni crittografate senza violare la crittografia. Secondo quanto riferito, tali strumenti funzionerebbero scansionando il contenuto sul dispositivo dell’utente prima che sia stato crittografato o dopo che sia stato decrittografato, quindi segnalando ogni volta che viene trovato materiale illecito. Si potrebbe equiparare questo all’aggiunta di videocamere nelle nostre case per ascoltare ogni conversazione e inviare segnalazioni quando parliamo di argomenti illeciti.
L’unica implementazione dei CSS nel mondo libero è stata quella di Apple nel 2021, che secondo loro era una tecnologia all’avanguardia. Questo tentativo è stato ritirato dopo meno di due settimane a causa di problemi di privacy e del fatto che il sistema era già stato dirottato e manipolato.
Quando distribuiti sul dispositivo di una persona, i CSS agiscono come uno spyware, consentendo agli avversari di accedere facilmente a quel dispositivo. Qualsiasi legge che imponga i CSS, o qualsiasi altra tecnologia progettata per accedere, analizzare o condividere il contenuto delle comunicazioni, senza dubbio minerà la crittografia e di conseguenza renderà le comunicazioni di tutti meno sicure. Il lodevole obiettivo di proteggere i bambini non cambia questa realtà tecnica.
Anche se un simile sistema CSS potesse essere concepito, il rischio che se ne abusi è estremamente elevato. Ci aspettiamo che ci sia una pressione sostanziale sui politici affinché estendano il campo di applicazione, prima per individuare il reclutamento di terroristi, poi altre attività criminali, quindi i discorsi dissidenti. Ad esempio, sarebbe sufficiente che i governi meno democratici estendessero il database dei valori hash che tipicamente corrispondono ai contenuti pedopornografici noti (come spiegato sopra) con valori hash dei contenuti critici nei confronti del regime. Poiché i valori hash non forniscono informazioni sul contenuto stesso, sarebbe impossibile per gli estranei rilevare questo abuso. L’infrastruttura CSS potrebbe quindi essere utilizzata per segnalare immediatamente a questi governi tutti gli utenti con questo contenuto.
Se un tale meccanismo venisse implementato, dovrebbe avvenire in parte attraverso la sicurezza tramite oscurità, altrimenti sarebbe facile per gli utenti aggirare i meccanismi di rilevamento, ad esempio svuotando il database dei valori hash o aggirando alcune verifiche. Ciò significa che verrà danneggiata la trasparenza dell’applicazione, che potrebbe essere utilizzata da alcuni attori come velo per raccogliere più dati personali degli utenti.
3. Efficacia
Nutriamo serie riserve sull’efficacia delle tecnologie imposte dal regolamento: gli autori dei reati sarebbero a conoscenza di tali tecnologie e passerebbero a nuove tecniche, servizi e piattaforme per scambiare informazioni CSAM evitando il rilevamento.
Il regolamento proposto danneggerà la libertà di espressione dei bambini poiché anche le loro conversazioni potrebbero innescare allarmi. Le forze dell’ordine nazionali sul campo si occupano in genere in modo sfumato dei messaggi intimi tra adolescenti entrambi in età da consenso. Queste tecnologie cambiano il rapporto tra gli individui e i loro dispositivi e sarà difficile reintrodurre tali sfumature. Per gli altri utenti, nutriamo grandi preoccupazioni per gli effetti agghiaccianti creati dalla presenza di questi meccanismi di rilevamento.
Infine, l’enorme numero di falsi positivi che ci si può aspettare richiederà una notevole quantità di risorse e creerà seri rischi per tutti gli utenti di essere identificati in modo errato. Sarebbe meglio spendere queste risorse per adottare altri approcci volti a proteggere i bambini dagli abusi sessuali. Sebbene la maggior parte del lavoro di protezione dell’infanzia debba essere locale, un modo in cui la legislazione comunitaria potrebbe aiutare è utilizzare i poteri esistenti (DMA/DSA) per richiedere ai servizi di social network di rendere più semplice per gli utenti denunciare gli abusi, poiché si tratta di reclami degli utenti piuttosto che di abusi. IA che in pratica portano al rilevamento di nuovo materiale abusivo.
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Lo sapete che oltre 300 ricercatori ed esperti in materia di sicurezza affermano che le misure previste dalla proposta chatcontrol sono deleterie in primo luogo per i minori vittime di abusi?
In una lettera aperta di inizio luglio, centinaia di studiosi mettono in guardia contro la proposta di regolamento CSA dell'UE, citando effetti collaterali dannosi della scansione su larga scala delle comunicazioni online che avrebbero un effetto dissuasivo sulla società e influenzerebbero negativamente le democrazie.
Il 4 luglio 2023 è stata inviata una lettera aperta, firmata da oltre 300 studiosi di tutto il mondo ai legislatori dell’UE. La lettera metteva in guardia i decisori contro la proposta di regolamento CSA, citando gli effetti collaterali dannosi della scansione su larga scala delle comunicazioni online che avrebbero un effetto dissuasivo sulla società e influenzerebbero negativamente le democrazie. Il fatto che i legislatori dell’UE procedano con questa legge pericolosa nonostante tali avvertimenti dimostrerà un totale disprezzo per le prove scientifiche.
Ecco le tre ragioni principali che ricercatori e accademici citano nella lettera per non procedere con questa legge:
- Le tecnologie di rilevamento che potrebbero essere utilizzate per scansionare le comunicazioni online sono imperfette e vulnerabili agli attacchi
- Le pericolose implicazioni dell'indebolimento della crittografia end-to-end , che è l'unico strumento di cui disponiamo per proteggere i nostri dati negli spazi digitali
- Seri dubbi sull'efficacia delle tecnologie imposte da questo regolamento, che potrebbero consentire agli autori del reato di eludere il rilevamento e spostarsi su una piattaforma diversa
Queste preoccupazioni fanno eco a quelle già sollevate da oltre 133 organizzazioni della società civile, organizzazioni per la privacy e i diritti digitali, attori dell'industria tecnologica ed esperti istituzionali dell'UE, inclusi avvocati incaricati di consigliare i governi degli Stati membri dell'UE, la principale autorità europea per la protezione dei dati, lo studio del Parlamento europeo e il comitato di controllo della Commissione europea.
Leggi l'appello degli studiosi
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Cresce la pressione su Ylva Johansson. Dopo le inchieste giornalistiche sui collegamenti delle lobby nel controllo delle chat, la Commissione Interni del Parlamento europeo pretende chiarimenti
La commissione per gli Interni del Parlamento europeo (LIBE) chiede al commissario europeo per gli Interni Ylva Johansson di commentare le inchieste condotte da diversi giornali europei. Lunedì scorso i rapporti hanno rivelato come alcune aziende IT e di intelligenza artificiale, insieme a fondazioni, ONG, autorità di sicurezza e agenzie di pubbliche relazioni, da anni esercitano pressioni per il cosiddetto regolamento chatcontrol e con finanziamenti di diversi milioni di dollari.
Dalla ricerca è emerso che “un’intera rete di associazioni e organizzazioni di lobby”, finanziata con oltre 20 milioni di euro dalla sola Oak Foundation, mantiene stretti legami, tra gli altri, con la commissaria europea agli Interni Ylva Johansson. I rappresentanti delle organizzazioni hanno preso parte alle riunioni e hanno fornito consulenza al commissario per gli interni. Lei, a sua volta, è stata protagonista di un video promozionale per un'organizzazione di lobby ed è apparsa in una campagna di pubbliche relazioni. Inoltre, uno dei dipendenti di Ylva Johansson è membro di una delle organizzazioni di lobby ed è anche responsabile delle norme di controllo della chat presso l'ufficio del commissario per gli interni.
“Possibile influenza indebita”
Nella lettera al Commissario, che pubblichiamo integralmente, i coordinatori della LIBE esprimono la loro “preoccupazione” per i rapporti. I resoconti dei media suggerivano “una possibile influenza indebita nello sviluppo della proposta [ n.d.r.: il regolamento chatcontrol]”.
Particolarmente preoccupanti sono le accuse secondo cui le soluzioni proposte nella proposta legislativa per combattere il CSAM replicherebbero quelle progettate da questi gruppi e contribuirebbero quindi a promuovere i loro interessi economici, continua la lettera.
La commissione chiede quindi al commissario europeo per gli affari interni “chiarimenti e spiegazioni” sulle accuse – e chiede una risposta entro una settimana.
Voto rinviato
Anche la regolamentazione del controllo delle chat di Johansson sta attraversando un momento difficile nei negoziati del Consiglio dei ministri dell'UE: un piccolo gruppo di stati dell'UE respinge l'attuale testo legale sul controllo delle chat. Dato che il voto previsto per questo mese fallirebbe, la Presidenza spagnola ha rinviato la questione.
Ecco la lettera (qui il PDF):
Data: 28 settembre 2023
Da: Juan Fernando López Aguilar, commissione LIBE
A: Ylva Johansson, commissaria per gli affari interni
Caro Commissario Johansson,Scrivo a nome e su mandato dei coordinatori LIBE per esprimere preoccupazione per le recenti notizie pubblicate negli organi di stampa che presumibilmente indicano un conflitto di interessi riguardo alla proposta di regolamento recante norme per prevenire e combattere gli abusi sessuali sui minori (2022/0155(COD)).
I resoconti dei media menzionati indicano presunti stretti rapporti di lavoro tra la Commissione europea e un’ampia rete di aziende tecnologiche, fondazioni, agenzie di sicurezza e agenzie di pubbliche relazioni, tra cui Thorn e WeProtect Global Alliance, indicando una possibile influenza indebita nella stesura della proposta.
Particolarmente preoccupanti sono le accuse secondo cui le soluzioni previste nella proposta legislativa per combattere il materiale pedopornografico replicherebbero le soluzioni ideate da tali gruppi, contribuendo così a promuovere i loro interessi economici.
Chiedo pertanto gentilmente di ricevere chiarimenti e delucidazioni in merito alle accuse sopra descritte. I coordinatori LIBE apprezzerebbero ricevere una risposta al più presto possibile e idealmente entro e non oltre una settimana dal ricevimento di questa lettera.
Riteniamo che la vostra cooperazione e una reazione tempestiva a questa richiesta andrebbero a vantaggio della trasparenza e della responsabilità, valori che sono al centro delle azioni dell’Unione Europea.
Cordiali saluti,
Juan Fernando López Aguilar
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La Marina punta sull’ala rotante. Consegnato l’ultimo elicottero NH-90
La Marina militare potenzia la propria componente elicotteristica, una parte fondamentale del dispositivo aeronavale del nostro Paese. È l’effetto della consegna dell’ultimo NH-90 da parte di Leonardo alla base di Maristaeli Luni, il 56esimo dall’inizio del programma, alla presenza dei rappresentanti della Marina, di Leonardo e di NHIndustries (joint venture a cui partecipa anche la società di piazza Monte Grappa). Il managing director della divisione Elicotteri di Leonardo, Gian Piero Cutillo, ha espresso soddisfazione per il risultato, affermando come l’azienda non veda l’ora di “continuare questa collaborazione con la Marina militare verso nuovi importanti obiettivi, per un ulteriore miglioramento di capacità volte a soddisfare le esigenze in continua evoluzione”.
Gli NH-90 della Marina
Attualmente la Marina ha a disposizione 46 apparecchi con compiti antinave e antisommergibile (quest’ultima, una capacità in cui i mezzi ad ala rotante eccellono particolarmente), denominati SH-90, e dieci mezzi nella variante per il trasporto tattico e operazioni speciali, chiamati MH-90. I due mezzi differiscono perlopiù per i sistemi presenti a bordo La Forza armata impiega questi apparecchi fin dal 2011, totalizzando oltre 35mila ore di volo in molteplici operazioni in Italia e all’estero. Negli scenari operativi moderni è, infatti, fondamentale avere degli aeromobili con un elevato livello tecnologico dei sistemi presenti a bordo per garantire il soddisfacimento di requisiti tecnico-operativi sempre più stringenti
Addestramento multidominio
L’elicottero non è stato l’unico protagonista della giornata, dal momento che nella stessa occasione è stata presentata l’apertura di un centro di simulazione e addestramento per l’equipaggio dei mezzi ad ala rotante presso la stessa Maristaeli Luni. Il centro, sviluppato da Leonardo, è dotato di un simulatore di volo in configurazione MR1, cioè dotato dei più recenti standard avionici. Tale configurazione permette agli equipaggi degli NH-90 in ogni configurazione, sia piloti sia personale di terra, di addestrarsi con il cosiddetto livello standard D, per il quale ogni ora di simulazione equivale a un’ora di volo reale. Lo scopo è offrire la possibilità di prepararsi per poter svolgere missioni in ogni tipo di scenario. Inoltre, alla luce di possibili evoluzioni future delle operazioni militari, il centro prevede la possibilità di collegare simulatori dedicati ad altri tipi di mezzo per sviluppare sessioni di addestramento multidominio in rete. “Il completamento delle consegne dell’NH90 – ha aggiunto Cutillo – e la realizzazione di questo ambiente di simulazione unico nel suo genere segna un importante passo avanti e rafforza ulteriormente la nostra collaborazione di lunga data con la Marina”.
Perché Zelensky vuole rendere l’Ucraina un hub dell’industria militare
Il 29 settembre si è aperta a Kyiv la prima edizione dell’International Defense Industries Forum, una kermesse organizzata dal governo ucraino con l’obiettivo di rafforzare la cooperazione tra il Paese attualmente in guerra con la Russia e le grandi aziende di armamenti occidentali, il cui output risulta necessario all’Ucraina per riuscire a portare avanti i propri sforzi difensivi. Un evento che ha attirato l’attenzione di molti esponenti del settore: rappresentanti di più di 250 aziende provenienti da più di 30 Paesi si sono recati nella capitale ucraina per partecipare al forum, spesso accompagnati da esponenti politici legati ai vari dicasteri della Difesa o degli Esteri. Queste personalità hanno avuto modo, durante il forum, di rapportarsi direttamente con i rappresentanti ucraini per firmare contratti senza passare attraverso i governi occidentali, esplorare opportunità di produzione congiunta e fornire input specifici legati alle loro esigenze sul campo nella lotta contro l’invasore.
E le parole si sono già trasformate in fatti. Questa settimana, “l’Ufficio per i cartelli” della Germania ha dato il suo nulla osta a una proposta di joint venture tra il gigante della produzione bellica tedesca Rheinmetall e l’Ukrainian Defense Industry (un polo produttivo della difesa controllato dal governo di Kyiv); mentre il ministro delle Forze Armate francese Sébastien Lecornu si è recato alla kermesse di Kyiv per promuovere la collaborazione tra il governo ucraino e le industrie francesi della difesa presenti in loco. Altri attori avevano già mosso passi in questa direzione: già a fine agosto la britannica Bae Systems aveva firmato un contratto per installare un impianto produttivo di pezzi d’artiglieria da 105 mm, assieme al munizionamento specifico, in territorio ucraino.
Le parole pronunciate dal presidente ucraino Volodymyr Zelensky in un comunicato diffuso all’interno del Forum, danno un’idea della prospettiva ucraina in questo senso: “Questo è il momento e il luogo giusto per creare un grande polo militare. L’Ucraina è pronta a offrire condizioni speciali alle aziende disposte a sviluppare la produzione di difesa insieme al nostro Paese”. Un forte impegno verso la causa, che trova spiegazione in molteplici fattori.
In primis quello politico. Il recente scontro sul grano con Varsavia, considerata da Kyiv come una dei suoi alleati più stretti, assieme al ‘raffreddamento’ in corso negli Stati Uniti sono solo gli ultimi esempi di come la competizione elettorale nei paesi che sostengono l’Ucraina vada a influenzare profondamente le stesse dinamiche di sostegno. La costruzione di impianti di produzione e manutenzione di materiale militare sul suolo ucraino permetterebbe di bypassare la fase di intermediazione condotta con i governi stranieri, rendendo così il processo di acquisizione molto meno suscettibile alla volatilità elettorale.
Vi sono poi aspetti puramente militari. Negli ultimi tempi i segnali che arrivano da ambo le parti coinvolte sembrano indicare che il conflitto in corso non troverà una soluzione nel breve periodo, e che i combattimenti si protrarranno ancora per un periodo di tempo indefinito. Tuttavia, le scorte di materiale militare del blocco euroatlantico (e soprattutto della componente europea del blocco) si stanno deteriorando a una velocità di livello pericolosamente alto: le necessità di autotutela impediscono quindi a questi Paesi di continuare a inviare stock di munizioni a Kyiv, dovendo accumularle all’interno dei propri arsenali. “Non possiamo continuare a sottrarre risorse alle nostre forze armate all’infinito, altrimenti danneggeremo le nostre capacità di difesa e i livelli di addestramento delle nostre truppe”, ha detto Lecornu al ritorno dal forum. L’apertura di nuovi impianti produttivi permetterebbe di incrementare l’output, riuscendo così a rifornire l’esercito ucraino delle preziose munizioni senza andare ad intaccare le scorte straniere in fase di ricostituzione.
Inoltre, l’arrivo delle aziende belliche occidentali in Ucraina avvicinerebbe ulteriormente Kyiv tanto all’Ue quanto alla Nato. La produzione di materiale bellico ‘occidentale’ continuerà a spingere le forze armate ucraine lungo il percorso di integrazione de facto all’interno della struttura militare dell’Alleanza Atlantica, a cui Kyiv dovrà però affiancare una profonda revisione dell’aspetto dottrinario e organizzativo; allo stesso tempo, l’arrivo di nuovi impianti industriali garantirà l’afflusso in Ucraina di nuovi investimenti, e la nascita di nuovi posti di lavoro, migliorando la situazione socio-economica del Paese travolto dal conflitto e avvicinando (anche se di poco) agli standard europei.
Non è solo Kyiv, però, a essere interessato all’opportunità di creare un “hub dell’industria della Difesa” in Ucraina. L’apertura di nuovi siti di produzione in Ucraina non garantirebbe solo maggiori entrare alle industrie del settore, ma permetterebbe loro di collaborare direttamente con le forze armate ucraine, le quali sono impegnate in un conflitto ad alta intensità come non se ne vedevano da decenni. Tramite lo studio delle operazioni e delle necessità dell’apparato della difesa di Kyiv, il mondo industriale potrebbe ottenere informazioni ‘vitali’ per prevedere i trend del futuro ad adattarsi ad essi prima che lo facciano altri competitor. Un vantaggio che andrebbe a pesare sul piano internazionale, soprattutto nei confronti di attori come la Repubblica Popolare Cinese, dove la tecnologia continua a rimanere un terreno di scontro di primissimo livello.
0ut1°°k
in reply to Privacy Pride • • •è uno scandalo che di queste notizie vengo a saperne da voi e non dai giornali italiani
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Eleonora
in reply to Privacy Pride • • •cioè qui sta esplodendo il vertice della commissione europea e non c'è un giornale che ne parli?
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informapirata ⁂
in reply to Eleonora • • •@treleonora eh, magari stesse esplodendo... qua stanno facendo tutti finta di niente!
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