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Separare le Carriere per unire la Repubblica


Venerdì 23 febbraio 2023, ore 16:00 – Auditorium Petruzzi, Via dellew Caserme, 60, Pescara Intervengono: Avv. Giuseppe Benedetto, President Fondazione Einaudi Avv. Vania Marinello, Solicitor of the Senior Courts of England & Wales Avv. Bepi Pezzulli, Dire

Venerdì 23 febbraio 2023, ore 16:00 – Auditorium Petruzzi, Via dellew Caserme, 60, Pescara

Intervengono:
Avv. Giuseppe Benedetto, President Fondazione Einaudi
Avv. Vania Marinello, Solicitor of the Senior Courts of England & Wales
Avv. Bepi Pezzulli, Direttore Centro Studi Italia Atlantica, Solicitor of the Senior Courts of England & Wales

Introduce
Dott. Simone D’Angelo, President ENDAS Abruzzo

Modera
Dott. Mauro Di Pietro, Giornalista

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Zircon fa il suo debutto in guerra. Ecco il nuovo missile di Mosca


Una nuova arma dell’arsenale russo sembra aver fatto il suo debutto sui campi di battaglia ucraini. Secondo quanto riportato dall’Istituto di ricerca scientifica di Kyiv per gli esami forensi, l’analisi preliminare dei residui di proiettili impiegati dai

Una nuova arma dell’arsenale russo sembra aver fatto il suo debutto sui campi di battaglia ucraini. Secondo quanto riportato dall’Istituto di ricerca scientifica di Kyiv per gli esami forensi, l’analisi preliminare dei residui di proiettili impiegati dai russi durante l’attacco messo in atto nella notte del 7 febbraio proverebbe infatti che in quell’occasione le forze armate di Mosca abbiamo impiegato un “nuovo” sistema: lo Zircon.

Il sistema 3M22 Zircon (o Tzircon) è un missile da crociera ipersonico, parte delle “superarmi” presentate dal presidente russo Vladimir Putin durante un suo discorso del 2018, che ha completamento definitivamente la fase di testing nel giugno del 2022. Apparentemente capace di viaggiare a una velocità nove volte superiore a quella del suono e con una portata, secondo quanto reso noti da fonti russe, di 1.000 chilometri (circa 625 miglia), anche se le fonti occidentali la fissano invece all’interno di un range che va dai 500 chilometri (circa 310 miglia) ai 750 chilometri (circa 466 miglia). “La significativa frammentazione del missile rende difficile l’identificazione, ma possiamo già dire che l’arma non soddisfa le caratteristiche tattiche e tecniche dichiarate dalla Russia” avrebbe dichiarato il direttore dell’Istituto di Kyiv sul suo canale Telegram.

Sviluppato in funzione anti-nave, originariamente lo Zircon era disponibile soltanto nella versione impiegabile da piattaforme navali, di superficie o meno. Tuttavia, in un secondo momento si è deciso di sviluppare anche una versione per il lancio da piattaforme terrestri.

Mykhailo Shamanov, portavoce dell’amministrazione militare della città di Kyiv, ha dichiarato che è troppo presto per “trarre conclusioni” dal rapporto dell’Istituto, aggiungendo che la gente dovrebbe “aspettare le conclusioni degli esperti”. A Shamanov ha fatto eco il portavoce dell’aeronautica militare ucraina, Yuriy Ihnat, specificando come le forze armate di Kyiv stiano “conducendo gli esami” e che “gli esperti stanno verificando i rottami”.

Facile capire perché un effettivo impiego dello Zircon sia causa di tutti questi timori: nonostante non siano mai state testate fino ad ora sul piano operativo, le sue (presunte caratteristiche lo rendono un avversario temibile per gli ucraini. La velocità ipersonica del sistema russo lo renderebbe infatti invulnerabile anche alle migliori difese missilistiche occidentali come i Patriot, secondo l’associazione Missile Defense Advocacy Alliance: “Se queste informazioni sono accurate, il missile Zircon sarebbe il più veloce al mondo, rendendo quasi impossibile difendersi solo per la sua velocità”, si legge sul sito dell’Alleanza. Che definisce importante anche la nuvola di plasma del missile: “Durante il volo, il missile è completamente coperto da una nube di plasma che assorbe qualsiasi raggio di radiofrequenze e rende il missile invisibile ai radar. Questo permette al missile di non essere individuato mentre si dirige verso l’obiettivo”.


formiche.net/2024/02/zircon-de…



Finanziare la Difesa europea attraverso la Bei. La proposta di Michel


Al Group forum 2024 della Banca europea degli investimenti (Bei) appena conclusosi in Lussemburgo si sono primariamente affrontati la green transformation, l’energia, le nuove tecnologie e i critical raw materials funzionali alla sicurezza economica Ue. L

Al Group forum 2024 della Banca europea degli investimenti (Bei) appena conclusosi in Lussemburgo si sono primariamente affrontati la green transformation, l’energia, le nuove tecnologie e i critical raw materials funzionali alla sicurezza economica Ue. Le parole-chiave della presidente Calvino sono “support competitiveness and strategic autonomy”, obiettivi che d’altra parte sono già il fulcro delle iniziative della Commissione europea. La stessa ha detto di essere molto attiva in tutte le aree ritenute oggi prioritarie dalla Ue ed è disponibile a fare di più per l’economia.

L’argomento circa la possibilità che la Banca possa finanziare non solo la security e il duale ma anche la difesa – non prevista dal suo mandato che prevede il voto all’unanimità – rimane a livello di dibattito politico e sta assumendo una crescente priorità. Per l’occasione, il presidente del Consiglio Ue Charles Michel, alla luce delle tensioni internazionali e della crescente necessità di finanziamenti nella difesa, ha lanciato un appello in favore di una “full-fledged Defence Union” che preveda, sulla scia di reiterate dichiarazioni dei leader e Commissari europei, un coinvolgimento della Bei – come si legge nelle conclusioni del Consiglio europeo di dicembre per un ruolo rafforzato a supporto della sicurezza e difesa europea – e l’utilizzo di Bonds europei come espresso da Francia, Polonia, Estonia e Lussemburgo. Per completezza si ricorda che tra i settori esclusi dai finanziamenti Bei ci sono tra gli altri il tabacco e gran parte dei combustibili fossili.

La questione Bei versus difesa è sul tavolo da anni in un crescendo di solleciti e raccomandazioni politiche dal 2022 a oggi da parte delle istituzioni europee e dell’industria. Si inserisce peraltro nel più vasto dibattito sulla prioritaria necessità per l’Ue di affrontare le nuove sfide (clima, semiconduttori, agricoltura, competitività tecnologica, commercio estero, difesa, Ucraina, eccetera) prevedendo investimenti adeguati e l’accesso a nuovi finanziamenti a supporto dei comparti industriali europei.

Più in generale si osserva che il dibattito si sta spostando verso un’evoluzione delle priorità negli approcci dal Green deal alla difesa. Tuttavia, le proposte finora avanzate come il Fondo sovrano promosso da Von der Leyen, e il continuo “scaled back” di nuove iniziative come la Strategic technologies for european platform (Step) e oggi l’agricoltura, iniziative perno di una vision di lungo termine, non hanno finora trovato seguito o sono marginali.

Si potrebbe considerare che la situazione di apparente stallo circa un ruolo della Bei nella difesa potrebbe rappresentare un primo ostacolo all’avanzamento delle proposte lanciate da Von der Leyden per una futura strategia europea per l’industria della difesa. La proposta include una lunga serie di argomenti, alcuni con aspetti critici di non facile risoluzione perlomeno oggi, come l’accennata proposta di Bonds europei con effetto di leva finanziaria a supporto dell’economia includendo la difesa.

Come ha recentemente illustrato dal vice presidente della Bei per la Sicurezza e la difesa, Peeters, la Banca è molto cauta sulla questione se oltrepassare il confine tra duale e difesa. Infatti la Bei nel 2022 ha lanciato la Strategic european security initiative (Sesi) con una dotazione di sei miliardi di euro, più altri due, mantenendo le restrizioni per armi, munizioni, infrastrutture militari e polizia. Le attività eleggibili concernono dual research, development and innovation; cyber-security; civil security infrastructure; military mobility; green security; military infrastructure; space. È un perimetro non esteso alla difesa, motivato sia dalle perplessità di fondi pensionistici sia per evitare il rischio di perdere l’appeal degli investitori, e aspetto molto importante per la Banca l’elevato rating AAA con il quale può prestare a tassi più favorevoli, costituendo un riferimento per le banche europee. La Bei si è detta parimenti favorevole a una maggiore cooperazione con la Nato.

Nella riunione dei ministri delle Finanze Ue a fine febbraio si discuterà insieme con la Bei della futura agenda strategica europea. Le indicazioni politiche emerse, l’esigenza di investire di più nella difesa e il superamento dei tabù nei fondi europei dal conflitto in Ucraina saranno elementi sufficienti per aprire la strada verso nuove formule di supporto e riorientare il ruolo della Bei anche nei settori della difesa o del nucleare?

Nota a margine da segnalare è che è stato presentato l’Investment report 2023/2024 della Bei Transforming for competitiveness. Il documento cita marginalmente la difesa insieme ad altri comparti, in relazione al “dibattito su un nuovo framework fiscale per incrementare la fornitura di beni comuni, come la sicurezza e la difesa per acquisire industrial security o autonomia strategica, e infrastrutture comuni nell’energia”.


formiche.net/2024/02/difesa-eu…



Solidarietà alle ragazze e ai ragazzi di 'Cambiare rotta' che hanno esposto lo striscione 'Rai complici del genocidio'. Hanno scritto la verità e vanno rin

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Francis Scott Fitzgerald – Il curioso caso di Benjamin Button


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L’Unione detta il mandato della missione in Mar Rosso. Il commento dell’amm. Caffio


Il Consiglio Ue, con la decisione Pesc 2024/583, ha stabilito il mandato dell’Operazione di sicurezza marittima dell’Unione volta a salvaguardare la libertà di navigazione in relazione alla crisi nel Mar Rosso (Eunavfor Aspides). La denominazione della mi

Il Consiglio Ue, con la decisione Pesc 2024/583, ha stabilito il mandato dell’Operazione di sicurezza marittima dell’Unione volta a salvaguardare la libertà di navigazione in relazione alla crisi nel Mar Rosso (Eunavfor Aspides). La denominazione della missione è di per sé sufficiente a chiarire i suoi capisaldi: tutela sicurezza marittima e libertà di navigazione. Il contesto giuridico è quindi quello -non bellico – della Convenzione del Diritto del mare (Unclos). Nel preambolo del documento si specifica infatti che il quadro di riferimento, come delineato nella strategia per la sicurezza marittima dell’Ue (Eumss), “consente all’Unione di intraprendere ulteriori azioni per proteggere i suoi interessi in mare così come i suoi cittadini, i suoi valori e la sua economia, promuovendo nel contempo le norme internazionali e il pieno rispetto degli strumenti internazionali, in particolare la convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare (Unclos)… Gli attacchi mettono a repentaglio la vita dei marittimi sulle navi mercantili e costituiscono una violazione della libertà dell’alto mare e del diritto di passaggio in transito negli stretti utilizzati per la navigazione internazionale”.

Sulla base di tali premesse, come mandato dell’Operazione è stabilito che “Eunavfor Aspides, nei limiti dei mezzi e delle capacità di cui dispone: a) accompagna le navi [mercantili] nell’area di operazione; b) garantisce la conoscenza della situazione marittima; c) protegge le navi da attacchi multi-dominio in mare, nel pieno rispetto del diritto internazionale, compresi i principi di necessità e proporzionalità, in una sottozona dell’area di operazioni”.

Non ci sono quindi dubbi sul fatto che Aspides sia una missione di difesa attiva che, come è stato detto, non si propone di “fare la guerra” agli Houthi. Verrà svolta un’attività di protezione armata della navigazione volta a reagire, anche in via preventiva, ad azioni ostili, ma restano esclusi gli attacchi alle postazioni terrestri, a meno che questo non sia necessario per abbattere qualsiasi arma che punti a colpire e le navi in transito. Il principio di riferimento è la difesa legittima di fonte consuetudinaria, diversa dal diritto di self-defence – garantito degli art. 2 e 51 della Carta delle NU – che consente invece agli Stati oggetto di un’aggressione di iniziare le ostilità (jus ad bellum) fino a che il Consiglio di sicurezza non adotti misure per far cessare la minaccia alla pace ed alla sicurezza internazionale.

Sinora le NU non hanno preso decisioni di tale tipo, tranne la Risoluzione n. 2722 del 10 gennaio 2024 che condanna fermamente gli attacchi degli Houthi nel Mar Rosso al naviglio mercantile ed afferma che “l’esercizio dei diritti e delle libertà di navigazione da parte dei mercantili… deve essere rispettato [e così] il diritto degli Stati membri … di difendere le loro navi da attacchi, inclusi quelli che minano diritti e libertà di navigazione”. Di fatto, come è stato osservato, il Consiglio non ha autorizzato una missione di “polizia internazionale” o peace-enforcing che dir si voglia come quella condotta in Afganistan. Per il Mar Rosso appare più appropriato il riferimento ad un tipo di peace-keeping in cui le forze intervenute applichino robuste regole difensive di ingaggio .


formiche.net/2024/02/unione-ma…



Louise Lemón - Lifetime of tears


Questa opera rappresenta la piena maturità artistica e non solo per una musicista che si merita moltissimo, sia per quello che ci regala sia per le sue capacità. Louise Lemón si colloca vicino ma oltre cantanti come Pj Harvey, Lana Del Rey etc, e un giorno si parlerà di lei come oggi si parla di loro, nel frattempo riscaldiamoci qui. @Musica Agorà

iyezine.com/louise-lemon-lifet…

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Attenzione perché è molto pericoloso quello che sta succedendo in queste ore. Stanno uscendo fuori di testa semplicemente perché è stata usata la parola genocidio davanti a milioni di italiani. Colpire Ghali è il classico motto "colpirne uno per educarne cento". La reazione dell'ambasciatore israeliano in Italia e dell'amministratore delegato RAI che si dissocia riuscendo a non dire una sola parola per gli oltre 13 mila bambini palestinesi ammazzati e promette indirettamente che la Rai continuerà a raccontare solo ed esclusivamente la versione israeliana, dimostra che Ghali ha usato la parola giusta. Chi governa e la stampa mainstream hanno deciso di stare dalla parte di chi sta commettendo un genocidio e hanno bisogno di mettere a tacere tutte le voci che si oppongono. Non permettiamoglielo, perché coprire chi fa un genocidio è vergognoso, pretendere che tutto passi sotto silenzio e fare in modo che l'opinione pubblica non abbia la percezione reale di tutto ciò che sta accadendo è complicità. Un pensiero per Mattarella: Caro presidente, due parole su un ambasciatore che si permette di interferire all'interno di uno Stato sovrano le potrebbe pure dire. O eventualmente cambiamo la Costituzione, togliamo "la sovranità appartiene al popolo" e mettiamo "la sovranità appartiene agli USA, alla NATO e alla comunità ebraica...

T.me/GiuseppeSalamone
Giuseppe Salamone



Riformuliamo:

"L'Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro. La sovranità appartiene agli Usa, alla Nato e alla comunità ebraica che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione."

T.me/GiuseppeSalamone





La Schlein come il Papa invoca la “pace” senza dire come


C’è sempre da preoccuparsi, o quantomeno da scoraggiarsi, quando un leader politico parla come fosse il Papa. C’è da preoccuparsi, o da scoraggiarsi, perché, quando accade, significa che la politica ha smarrito la bussola e, abbandonata la via del realism

C’è sempre da preoccuparsi, o quantomeno da scoraggiarsi, quando un leader politico parla come fosse il Papa. C’è da preoccuparsi, o da scoraggiarsi, perché, quando accade, significa che la politica ha smarrito la bussola e, abbandonata la via del realismo, procede a tentoni lungo i labirinti dell’utopia. I capi religiosi possono, e per certi aspetti debbono, lasciarsi guidare dall’etica dei principi; i capi politici debbono, o meglio dovrebbero, seguire unicamente l’etica della responsabilità. Ovvero, adattare i principi alle loro possibilità concrete di realizzazione e quando enunciano gli uni preoccuparsi sempre di indicare le altre.

Intervistata dal Corriere della Sera, Elly Schlein ha parlato come fosse il Papa. Cosa significa, infatti, appellarsi al governo italiano affinché assuma una “iniziativa di pace” in Medio Oriente? Mistero. Se la segretaria del Pd ritiene che a minacciare la pace sia il presidente israeliano Benjamin Netanyahu, le sue parole lasciano intendere che la capacità di persuasione del ministro degli Esteri italiano Antonio Tajani sia superiore a quella del segretario di Stato americano Antony Blinken. Il che appare francamente improbabile. Se invece ritiene che a minacciare la pace sia l’indisponibilità di Hamas a rilasciare gli ostaggi sequestrati dopo il pogrom del 7 ottobre, beh, avrebbe fatto meglio a dirlo chiaramente. Ma non l’ha fatto. E non è francamente probabile che fosse questo il senso del suo tanto accorato quanto generico appello. E allora, che senso ha avuto l’uscita “pacifista” di Elly Schlein? Semplice, non ha avuto alcun senso. Alcun senso politico.

Era già capitato a Matteo Salvini rispetto alla guerra in Ucraina. Più volte il leader della Lega ha invocato la “pace” citando il Papa, più volte ha teorizzato una non meglio identificata “soluzione diplomatica” in apparente sintonia con la Santa Sede. Un atteggiamento irresponsabile, che mal si concilia con i ripetuti voti della Lega a favore dell’invio di armi all’Ucraina e che ha avuto come unico scopo quello di strizzare l’occhio all’elettorato del centrodestra più incline ad infischiarsene del destino del popolo ucraino, e con esso della democrazia in Europa. Lo schema utilizzato da Elly Schlein rispetto al conflitto mediorientale è analogo. Si capisce che, come buona parte della propria base elettorale, la segretaria del Pd ritiene che a recitare la parte del cattivo in Medio Oriente sia lo Stato di Israele. Ma non ha il coraggio di dirlo né di indicare sbocchi politici conseguenti. Non le resta, dunque, che invocare la “pace” come il Papa, nella speranza che tanta vacuità non le attiri il risentimento sia dei suoi elettori filoisraeliani sia di quelli filo Hamas.

Huffington Post

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Contro i palestinesi di Gaza ci sono anche cannoni Made in Italy


La conferma giunge dalla Marina di Israele: alle operazioni dal mare partecipano unità navali armate con i cannoni di OTO Melara, del gruppo italiano Leonardo SpA. L'articolo Contro i palestinesi di Gaza ci sono anche cannoni Made in Italy proviene da Pa

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di Antonio Mazzeo*

Pagine Esteri, 13 febbraio 2023 – In un’intervista al sito specializzato Israel Defense, il tenente colonnello Steven in forza alla 3^ flotta della Marina Militare israeliana, si è soffermato sulla tipologia e l’armamento delle unità navali impegnate nelle operazioni di guerra contro Gaza. “Nella 3* flotta ci sono attualmente 15 corvette missilistiche della classe Sa’ar – modelli 4.5, 5, e 6, le ultime arrivate”, ha dichiarato l’ufficiale israeliano. “Le corvette di classe 4.5 sono equipaggiate con gli stessi mezzi della classe 6, eccetto per un elicottero sul ponte, Ogni unità è armata con un cannone da 76mm, un cannone Typhoon da 25 mm, con capacità offensive e difensive. sistemi elettronici EL/M e per la guerra anti-sottomarini”.

“La maggior parte dei sistemi d’arma – ha concluso Steven – è stata prodotta da industrie israeliane, eccetto i cannoni da 76mm, che sono stati prodotti invece dall’azienda italiana OTO Melara”.

Gli OTO Melara 76/62 sono cannoni multiruolo prodotti dall’omonima società del gruppo Leonardo SpA con quartier generale a Roma e stabilimenti a La Spezia e Brescia. Questi strumenti bellici sono caratterizzati da una cadenza di tiro molto elevata, soprattutto nella versione Super Rapido (120 colpi al minuto), per la “difesa” antiaerea e anti-missile e il bombardamento navale e costiero.

Nel corso della sua intervista a Israele Defense, il tenente colonnello Steven ha rivelato altri inquietanti particolari sulle operazioni di guerra condotte delle unità navali israeliane. “Nei primi giorni di guerra le navi sotto il mio comando sono state impegnate in missioni difensive usando il fuoco, principalmente per impedire ai terroristi di avvicinarsi alle forze armate di Israele”, ha dichiarato l’ufficiale. “Tuttavia, molto rapidamente, la forza navale si è spostata dalla difesa all’offesa. Noi siamo in guerra da quattro mesi adesso e già tre settimane dopo l’inizio dei combattimenti noi partecipavamo alla battaglia con una duplice missione: sorveglianza e fuoco”.

“Le nostre capacità di sorveglianza rivestono una grande importanza, perché possiamo osservare la Striscia di Gaza da occidente, dal mare”, ha aggiunto il tenente colonnello Steven. “Dda una corvetta missilistica possiamo vedere qualsiasi cosa. Possiamo osservare le persone così come i pattugliatori fuori dalla costa. Posiamo vedere sia il nemico che le nostre forze armate. Anche se ci sono pessime condizioni atmosferiche, specie adesso che siamo in inverno, la nostra sorveglianza rimane efficace perché tutti i sistemi sono funzionanti anche quando la nave ondeggia”.

L’ufficiale israeliano ha concluso la sua intervista spiegando che la missione primaria odierna della flotta navale è quella di fornire il supporto di fuoco, con una potenza che non ha precedenti nella storia della Marina Militare di Tel Aviv. “Solo io posso vedere da ovest gli obiettivi terroristi nella Striscia di Gaza”, ha dichiarato cinicamente Steven. “Quando spariamo, così come tutte le forze armate di Israele, stiamo molto attenti di non colpire i civili non coinvolti nel conflitto; il fuoco è accurato ed efficace. Quando i cannoni sparano (cioè quelli da 76 mm di OTO Melara/Leonardo, nda), non c’è nessuno sul ponte delle unità navali. Tutti i cannoni sono controllati da remoto dalle posizioni di comando. Gli stessi vessilli sono a pilotaggio remoto. Non si può dire che non ci sia il rischio di sparare nelle unità navali. Ma noi sappiamo come difenderci, e fino adesso, dall’inizio della guerra, non c’è stato nessun incidente nella nostra flotta”.

I morti, si sa, stanno dall’altra parte, a Gaza. E sono civili, non combattenti, donne e bambini. Pagine Esteri

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La dinastia Jokowi pesa sul voto in Indonesia


La dinastia Jokowi pesa sul voto in Indonesia Joko Widodo Prabowo Subianto Indonesia
In Indonesia sia vota sia per eleggere il nuovo presidente, sia per le elezioni parlamentari e locali. La corsa a tre per diventare capo di stato è guidata dal ministro della Difesa, Prabowo Subianto, che potrebbe vincere già al primo turno. A sostenerlo c'è il presidente uscente Joko "Jokowi" Widodo.

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In Cina e Asia – La Cina esorta Israele a fermare l’operazione a Rafah


In Cina e Asia – La Cina esorta Israele a fermare l’operazione a Rafah
I titoli di oggi: La Cina esorta Israele a fermare l’operazione a Rafah Pacific Island Forum: Giappone e territori insulari si oppongono alle azioni di forza cinesi nel Pacifico Cina, è pronta la bozza di legge per regolamentare il tutoring privato Laos, ferrovia finanziata dalla Belt and Road Initiative crea boom di turisti Divisione del mondo in blocchi e protezionismo ...

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PER UNA LISTA PER LA PACE ALLE ELEZIONI EUROPEE Considerato che il genocidio in corso a Gaza e il proseguimento a oltranza del massacro in corso


  di Laura Tussi La terrestrità unisce donne e uomini e ogni essere vivente in spazi e tempi di fraternità e sororità. Agenda Onu 2030: pensare

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Chiediamo le immediate dimissioni dell'AD Roberto Sergio e dell’intero consiglio di amministrazione della Rai che con la “complicità” di Mara Venier hann

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📊 #IscrizioniOnline: i Licei continuano a essere preferiti da oltre la metà delle studentesse e degli studenti che devono effettuare la scelta della Secondaria di II grado, con il 55,63% di domande effettuate sulla piattaforma #Unica.


#NotiziePerLaScuola
È disponibile il nuovo numero della newsletter del Ministero dell’Istruzione e del Merito
🔶 Iscrizioni, il 55% per i licei, trend in crescita per istituti tecnici e professionali
🔶 Celebrazione del Giorno del Ricordo al Quirinale


Separare le Carriere per unire la Rapubblica


Venerdì 23 febbraio 2023, ore 16:00 – Auditorium Petruzzi, Via dellew Caserme, 60, Pescara Intervengono: Avv. Giuseppe Benedetto, President Fondazione Einaudi Avv. Vania Marinello, Solicitor of the Senior Courts of England & Wales Avv. Bepi Pezzulli, Dire

Venerdì 23 febbraio 2023, ore 16:00 – Auditorium Petruzzi, Via dellew Caserme, 60, Pescara

Intervengono:
Avv. Giuseppe Benedetto, President Fondazione Einaudi
Avv. Vania Marinello, Solicitor of the Senior Courts of England & Wales
Avv. Bepi Pezzulli, Direttore Centro Studi Italia Atlantica, Solicitor of the Senior Courts of England & Wales

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Pakistan. Le elezioni vinte dal partito semiclandestino di Imran Khan


Nonostante la repressione e la criminalizzazione sono stati i candidati del Movimento per la giustizia di Imran Khan, rinchiuso in carcere, a vincere le elezioni in Pakistan L'articolo Pakistan. Le elezioni vinte dal partito semiclandestino di Imran Khan

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di redazione

Pagine Esteri, 12 febbraio 2024 – Nonostante la repressione e la criminalizzazione, alla fine, sono stati i candidati indipendenti espressione del “Movimento per la giustizia del Pakistan” (Pti) dell’ex primo ministro Imran Khan (incarcerato e condannato a 30 anni di carcere) a prevalere nelle elezioni di giovedì scorso, ottenendo il maggior numero dei seggi dell’Assemblea nazionale, la camera bassa del parlamento.

Tuttavia, la Lega musulmana del Pakistan Nawaz (Pnl-N) di Nawaz Sharif, subentrato alla guida dell’esecutivo dopo il voto di sfiducia a Khan, sta ora negoziando la formazione di un governo di coalizione col Partito popolare pachistano (Ppp) di Bilawal Bhutto Zardari e altre forze politiche. A trattare per la Lega è Shehbaz Sharif, fratello di Nawaz e anche lui ex premier, che ha già governato insieme a Bhutto Zardari.

I ritardi nella comunicazione dei risultati da parte della Commissione Elettorale hanno alimentato sospetti e contestazioninel Paese ed anche all’estero. Il dipartimento di Stato Usa, ad esempio, ha condannato «gli episodi di violenza, le restrizioni all’esercizio delle libertà fondamentali, gli attacchi contro i giornalisti e le limitazioni imposte all’accesso ai servizi internet e di comunicazione» prima e durante le operazioni di voto, e ha esortato a indagare sulle accuse di interferenze elettorali

La Commissione elettorale ha dichiarato i risultati di 253 collegi uninominali dell’Assemblea nazionale, su 265 contesi con sistema maggioritario (sarebbero 266, ma in un caso il voto è stato rinviato). I candidati del Pti di Khan, privato del simbolo, censurato dai media e costretto a condurre una campagna elettorale semiclandestina, hanno ottenuto 93 seggi. La Lega musulmana ne ha conquistati solo 73, seguita dal Partito popolare pachistano con 54 e dal Movimento Muttahida Qaumi (Mqm-P) con 17. Su base proporzionale verranno attribuiti altri 70 seggi.

Nelle elezioni dell’8 febbraio si è votato anche, con le stesse modalità (maggioritario uninominale più quote suddivise in proporzione ai voti), per il rinnovo delle assemblee legislative delle quattro province: Punjab, Sindh, Khyber Pakhtunkhwa e Belucistan. Nel Punjab sono stati annunciati i risultati di 295 collegi su 296 (in un collegio c’è stato un rinvio). Sia gli indipendenti sia la Lega Nawaz sono a quota 137. Nel Sindh sono stati dichiarati i risultati per tutti i 130 seggi, 84 dei quali sono andati al Ppp. Anche nel Khyber Pakhtunkhwa sono stati dichiarati i risultati di tutti i collegi (tranne due per i quali c’è stato un rinvio): su 113, gli indipendenti ne hanno vinti 91. Infine, nel Belucistan, c’è una situazione più frammentata, con i risultati dichiarati per 48 seggi, divisi tra varie forze politiche. Pagine Esteri

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Figec Cisal e Fondazione Einaudi: libertà è diversità


ROMA – Figec Cisal e Fondazione Luigi Einaudi insieme per pensare in grande al futuro del nostro Paese. Questa la parola d’ordine scaturita, ieri, dall’incontro tra il presidente della Fondazione Luigi Einaudi, Giuseppe Benedetto, e una delegazione della

ROMA – Figec Cisal e Fondazione Luigi Einaudi insieme per pensare in grande al futuro del nostro Paese. Questa la parola d’ordine scaturita, ieri, dall’incontro tra il presidente della Fondazione Luigi Einaudi, Giuseppe Benedetto, e una delegazione della Figec Cisal formata dal segretario generale Carlo Parisi, dal componente della Giunta esecutiva con delega agli affari giuridici e legislativi, Pierluigi Roesler Franz, e dal consigliere nazionale con delega all’informazione Pino Nano.
«Un incontro – evidenzia Carlo Parisi – di pura cortesia istituzionale per testimoniare il ruolo di grande prestigio che, da anni, la Fondazione Luigi Einaudi svolge al servizio del Paese e di apprezzamento per le scelte e le prese di posizione del suo presidente sui temi più attuali del dibattito politico e giuridico di queste ore: dalla presunzione d’innocenza alla separazione della carriere in magistratura, a cui Giuseppe Benedetto ha dedicato uno dei suoi saggi di maggiore interesse generale: “Non diamoci del tu”».
Il segretario generale della Federazione Italiana Giornalismo Editoria Comunicazione ha illustrato al presidente della Fondazione Luigi Einaudi la specificità del «nuovo sindacato unitario aperto non solo ai giornalisti ma a tutti gli operatori dell’informazione, della comunicazione, dell’arte e della cultura, con particolare riferimento a quei settori di nuova formazione o da sempre esclusi da una seria e concreta tutela sindacale».

Il presidente della Fondazione Luigi Einaudi, da parte sua, ha manifestato allo stesso Carlo Parisi la «disponibilità a immaginare delle cose da poter fare insieme, dibattiti, incontri, forum di conoscenza e di confronto comune sui temi più attuali del momento, partendo da quella che è – ha sottolineato Giuseppe Benedetto – la nostra tradizione liberale, per arrivare a delle soluzioni comuni che siano di interesse generale e al servizio del mondo della cultura del Paese».

Intenso anche il confronto di idee tra lo stesso Benedetto e Pierluigi Roesler Franz sui temi più caldi della giustizia e sulle possibili iniziative comuni da mettere in campo per aiutare il mondo dell’informazione e della comunicazione a capire meglio quanto sta accadendo oggi nei palazzi del potere».

Commentando l’eco sit-in del giorno prima, davanti alla sede Rai di Viale Mazzini, in difesa dell’autonomia professionale dei giornalisti, del pluralismo e della libertà, Pino Nano ha, invece, parlato del ruolo fondamentale di UniRai, il dipartimento autonomo della Figec Cisal delegato ad occuparsi delle attività sindacali all’interno della Rai.
Prima dei saluti finali, e prima di lasciare il palazzo di via della Conciliazione che ospita la Einaudi, il presidente Benedetto ha fatto omaggio ai suoi ospiti degli ultimi volumi editi dalla Fondazione sui temi della riforma della giustizia e, in particolare, del suo ultimo saggio “Non diamoci del tu” sulla “Separazione delle carriere”, che vanta la prefazione del ministro della giustizia Carlo Nordio ed è stato già presentato in almeno 50 diverse manifestazioni pubbliche in tutta Italia. Dal canto suo, la delegazione della Figec Cisal ha avuto parole d’elogio per il rigore scientifico con cui il team della Fondazione Einaudi lavora per il Paese.

«La Fondazione Luigi Einaudi costituita nel 1962 da Giovanni Malagodi – ha ricordato Giuseppe Benedetto – si impegna perché ogni cittadino sia in condizione di vivere, di crescere, di rapportarsi con gli altri e di prosperare in pace, attraverso il riconoscimento delle diversità, la difesa delle libertà individuali e della dignità umana, la promozione del confronto libero e costruttivo sui fatti e le idee».
«Una visione – ha sottolineato Carlo Parisi – che coincide perfettamente con lo spirito che ha ispirato la nascita della Figec Cisal: un sindacato per la tutela e la difesa del lavoro esistente, ma anche per la ricerca e lo sviluppo del lavoro che non c’è. Un sindacato nel quale la diversità rappresenta un’occasione di riflessione e di crescita, non un problema da eliminare annientando chi non si adegua al pensiero unico».

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Naso: protocollo d’intesa tra il comune e la Fondazione Einaudi – AMNotizie


La città di Naso e la Fondazione Luigi Einaudi insieme per esaltare scambi interculturali e coesione sociale. Il sindaco Gaetano Nanì ed il presidente Giuseppe Benedetto hanno firmato un protocollo d’intesa che permetterà al Comune siciliano di valorizzar

La città di Naso e la Fondazione Luigi Einaudi insieme per esaltare scambi interculturali e coesione sociale.

Il sindaco Gaetano Nanì ed il presidente Giuseppe Benedetto hanno firmato un protocollo d’intesa che permetterà al Comune siciliano di valorizzare al meglio, l’enorme patrimonio culturale di cui dispone.

“Per la nostra città quella con la Fondazione Einaudi è una convenzione di altissimo prestigio – spiega Nanì – una collaborazione che ci permetterà di esaltare e far conoscere meglio all’Italia e all’Europa, la millenaria storia di Naso. Grazie a questo protocollo saranno organizzate ricerche, osservatori, convegni, seminari e mostre: avremo l’onore di ospitare studiosi, storici, politici e rappresentanti delle istituzioni. La Fondazione organizzerà iniziative che punteranno a promuovere e stimolare il dibattito pubblico sui temi di attualità, della giustizia, della storia e dell’economia”.

La convenzione stipulata prevede anche il coinvolgimento, nelle attività progettuali, degli istituti scolastici. “Un momento di crescita e formazione non solo per i nostri ragazzi, ma anche per quelli dei comuni limitrofi – continua il primo cittadino – e per fare ciò la Fondazione Einaudi metterà a disposizione a titolo gratuito, materiale informativo e divulgativo, prevedendo, altresì, incontri preparatori con docenti ed educatori scolastici. Per la firma di questo protocollo – conclude Gaetano Nanì – mi preme ringraziare il presidente Giuseppe Benedetto che ha dimostrato fin dal primo nostro incontro, sensibilità e grande disponibilità”.

amnotizie.it

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Scrivere a mano fa bene


L a calligrafia non viene più insegnata nelle scuole elementari italiane dal 1985. Da obbligatoria è diventata opzionale, così molti docenti non vi si dedicano più. Del resto, tanti bambini entrano in prima sapendo già scrivere o così credono: lo fa

L a calligrafia non viene più insegnata nelle scuole elementari italiane dal 1985. Da obbligatoria è diventata opzionale, così molti docenti non vi si dedicano più. Del resto, tanti bambini entrano in prima sapendo già scrivere o così credono: lo fanno ricorrendo alle maiuscole.Imparare a scrivere non è facile. Prima dei 5 o 6 anni è raro che un bambino riesca a farlo in modo adeguato, poiché tra l’omero e il pollice ci sono 29 ossa il cui coordinamento è un effetto progressivo dello sviluppo delle attività psico-motorie. Per questo ai piccoli, che in età prescolare impugnano una matita o una penna a sfera per imitare gli adulti, viene più facile la scrittura maiuscola. Così avviene, come ha riscontrato Bianca de Fazio scrivendo delle scuole italiane, che l’assenza dell’apprendimento del corsivo riduca le capacità cognitive dei ragazzi. Come sanno gli allievi delle scuole steineriane, Waldorf, frequentate nella Silicon Valley dai figlidei dipendenti delle industrie tecnologiche, scuole in cui ogni strumento di scrittura e lettura elettronica è bandito, le attività manuali come la scrittura corsiva, il lavoro a maglia o l’intarsio del legno favoriscono le capacità cosiddette problem solving. Ci sono studi che dimostrano che imparare l’alfabeto a mano manifesta una maggior memoria rispetto all’orientamento delle lettere, e sia pprende a leggere con più rapidità riconoscendo le lettere in anticipo. Perché? Lo spiega Roland Barthes in Variazioni sulla scrittura (Einaudi): la scrittura impegna l’intero corpo ed è una esperienza singolare, unica. Ogni scrittura è diversa dall’altra, e scrivere non è solo una attività tecnica ma implica una pratica corporea di godimento. Maria Montessori suggeriva ai maestri d’iniziare sempre con le forme rotonde. Certo imparare a scrivere in corsivo — il corsivo in uso nelle scuole italiane è il “corsivo stile inglese” — non è agevole e implica fatica, tuttavia comporta effettip ositivi: si armonizzano meglio le attività manuali e intellettuali. L’abolizione della pratica calligrafica non è, come si crede, il necessario portato della modernità. In un suo libro la calligrafa Francesca Biasetton ( La bellezza del segno, Laterza) ha fatto notare che parliamo di calligrafia come se fosse una unica pratica, mentre si tratta di tre realtà diverse: la scrittura amano che s’apprende a scuola; la scrittura a mano educata, ora scomparsa nelle aule; la calligrafia che è arte conquistata per lo più da adulti con un addestramento specifico. La scrittura è la cosa più personale che abbiamo. Ciascuno di noi possiede un segno specifico che un archivista tedesco, Wilhelm Wattenbach, nel 1866 ha chiamato ductus, che consiste non in una forma quanto in un movimento e in un ordine: “è il gesto umano nella sua ampiezza antropologica”. Il gesto più breve che possiamo compiere mentre scriviamo non è mai inferiore a 8 centesimi di secondo, e ognuno di noi ha una diversa velocità di tracciamento che corrisponde a una forma, la quale si modifica nel corso della nostra vita così come si modifica il nostro corpo. La perdita della parte tattile delle nostre azioni quotidiane, a causa della pervasività delle tecnologie visive, ci rende meno recettivi, e meno abili, nelle interconnessioni neuronali. Barthes ha scritto che la scrittura è dalla parte del gesto e mai del volto. A fronte delle immense possibilità cognitive offerte dalle tecnologie, quello che stiamo perdendo è prima di tutto il senso dello spazio, quello di essere dei corpi che si muovono in una estensione che non è una stanza o un appartamento, ma la superficie del mondo aperto intorno a noi com’è stato per migliaia e migliaia di anni per i nostri predecessori. Uno studioso di geometria scomparso di recente, Narciso Silvestrini, ha detto una volta che la nostra scrittura somiglia al nostro modo di camminare: con entrambe noi creiamo delle cicloidi. Se si potesse collegare alle nostre gambe un pennino e vedere il tracciato che facciamo mentre camminiamo, si scoprirebbe che il segno che rilasciamo è molto simile a quello che produciamo con le nostre mani: scrivere e camminare sono due attività profondamente collegate ed entrambe fanno bene al pensiero.

di Marco Belpoliti, La Repubblica

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La vera realtà criminale degli atlantisti, mimetizzata e pubblicizzata come associazione "benefica", viene sempre a galla, solo che molti governi sono complici o si girano dall'altra parte invece di uscirne.
ilfattoquotidiano.it/2024/02/1…


Israele libera con un blitz due ostaggi. Intensi bombardamenti su Rafah, decine di morti palestinesi


Pesanti bombardamenti su Rafah hanno preceduto e seguito il blitz israeliano. Sono decine i morti palestinesi. L'articolo Israele libera con un blitz due ostaggi. Intensi bombardamenti su Rafah, decine di morti palestinesi proviene da Pagine Esteri. htt

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della redazione

Pagine Esteri, 12 febbraio 2024 – L’esercito israeliano ha annunciato di aver liberato la scorsa notte, con l’azione di un commando, due israeliani, Fernando Marman, 60 anni, e Fernando Luis Herr, 70 anni, sequestrati il 7 ottobre nel Kibbutz Nir Yitzhak durante l’attacco di Hamas nel sud di Israele. Il portavoce militare ha detto che l’esercito è riuscito a liberarli durante un’operazione condotta in una abitazione della città di Rafah, nel sud della Striscia di Gaza, con il servizio di intelligence Shin Bet e un’unità speciale della polizia. Marman e Herr sono in buone condizioni.

Israele ha comunicato l’uccisione di due suoi militari ieri a Gaza – in totale dalla fine di ottobre sono 229 – ma non legata all’operazione della scorsa notte che avrebbe provocato solo un ferito tra i membri del commando.

Il premier Netanyahu ha elogiato i soldati protagonisti dell’incursione e ribadito la sua linea di attacco anche contro Rafah.

L’annuncio è arrivato dopo una serie di pesanti raid aerei contro diverse aree di Rafah che hanno fatto decine di morti. La Mezzaluna Rossa riferisce di almeno 60 persone uccise tra cui donne e bambini, il movimento islamic0 Hamas ha parlato di un centinaio di morti. Molte decine i feriti. Le immagini giunte da Rafah, mostrano ampie distruzioni in aree residenziali e anche in almeno un accampamento di sfollati.

RAFAH DOPO IL BOMBARDAMENTO

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Questi attacchi, secondo alcuni, potrebbero essere il preludio dell’offensiva israeliana contro Rafah di cui si parla di giorni e che Netanyahu intende portare avanti – “fino alla vittoria”, afferma – nonostante le critiche e le preoccupazioni internazionali per la sorte di 1,4 milioni di civili palestinesi che negli ultimi mesi si sono ammassati nella città sulla frontiera con l’Egitto nella speranza di sfuggire ai bombardamenti. Dove sfollati e residenti a Rafah potrebbero spostarsi se Israele lancerà la sua operazione militare non è chiaro. A Gaza non ci sono luoghi sicuri per i civili come dimostra il bilancio di morti dal 7 ottobre: tra gli oltre 28mila palestinesi uccisi dai bombardamenti israeliani, il 70% sono donne e minori.

Resta nel frattempo resta incerta la sorte dell’Unrwa, l’agenzia dell’Onu che assiste i profughi palestinesi, accusata da Israele di “operare per conto di Hamas” perché 12 suoi dipendenti palestinesi avrebbero partecipato all’attacco del 7 ottobre. Sulla scia delle accuse, paesi tra cui Regno Unito, Australia, Finlandia, Italia, Germania, Paesi Bassi, Canada e Stati Uniti hanno sospeso i finanziamenti all’agenzia.

L’agenzia ha detto che spera che i donatori rivedano le loro decisioni sui finanziamenti entro poche settimane, avvertendo che potrebbe rimanere senza fondi per gestire i servizi entro la fine di febbraio. L’Unrwa denuncia che da diversi giorni Israele blocca nel porto di Ashdod, materiale e aiuti umanitari dell’agenzia necessari per l’assistenza alla popolazione di Gaza.

Le accuse contro l’Unrwa hanno riacceso le richieste israeliane di vecchia data di smantellare un’agenzia che ritiene un simbolo della questione dei rifugiati palestinesi e del loro diritto al ritorno nella terra d’origine, che risale alla Nakba del 1948. Pagine Esteri

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Partito il “piano finale” israeliano. Netanyahu: “Attaccheremo Rafah. La popolazione deve evacuare”


Nonostante il timido e tardivo “no” di Biden, Israele attaccherà Rafah, dove ci sono 1,2 milioni di palestinesi su una popolazione totale che a Gaza, prima della guerra, era di 2,3 milioni. L'articolo Partito il “piano finale” israeliano. Netanyahu: “Att

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di Eliana Riva –

Pagine Esteri, 9 febbraio 2024. “È impossibile raggiungere l’obiettivo di eliminare Hamas lasciando quattro battaglioni di Hamas a Rafah. Al contrario, è chiaro che l’intensa attività a Rafah richiede che i civili evacuino le zone di combattimento”. La dichiarazione del primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu ha confermato ciò che già da giorni si immaginava sarebbe accaduto e che metà della popolazione palestinese, per la maggior parte sfollati mandati a Rafah dall’esercito israeliano, più di tutto ora teme.

Il “piano finale” israeliano è partito. Nonostante il seppur timido e tardivo “no” del presidente degli Stati Uniti d’America. “Israele sta esagerando” ha dichiarato Biden dopo 28.000 morti. “Ogni operazione a Rafah, con oltre un milione di palestinesi che vi si rifugiano, sarebbe un disastro e non la sosterremmo senza un’appropriata pianificazione” gli ha fatto eco il segretario di Stato Blinken dopo la sua ultima, infruttuosa visita a Tel Aviv.

E il momento della pianificazione, per bocca dello stesso Netanyahu, è subito arrivato. Il premier ha infatti ordinato alle forze armate di presentare al governo un “piano combinato per l’evacuazione della popolazione e la distruzione di Hamas”.

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Dopo il via libera americano alle “ammonizioni” per Israele, anche l’Alto rappresentante dell’Unione Europea per gli affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell, ha scritto su X che l’attacco israeliano a Rafah avrebbe “conseguenze catastrofiche, peggiorando la già terribile situazione umanitaria e l’insopportabile bilancio civile”

1.4 million Palestinians are currently in #Rafah without safe place to go, facing starvation.

Reports of an Israeli military offensive on Rafah are alarming. It would have catastrophic consequences worsening the already dire humanitarian situation & the unbearable civilian toll.
— Josep Borrell Fontelles (@JosepBorrellF) February 9, 2024

Sono almeno 21 le persone uccise oggi dai cecchini israeliani appostati sui tetti delle abitazioni a Khan Yunis. Tutte provavano a entrare nell’ospedale Nasser o a uscirne. Anche il personale sanitario è stato attaccato. Un video mostra una giovane ragazza colpita dai cecchini a pochi metri dalle scuole piene di sfollati di fronte alla struttura sanitaria. Il sangue si è allungato in una lunga pozzanghera ed era ancora lì quando, ore dopo, decine di persone disperate provavano a conquistare due taniche di acqua potabile senza affacciarsi in strada. Con una lunga corda tiravano un piccolo carretto che doveva arrivare dall’ospedale alle scuole, attraversando così la strada, diventata ormai letale per gli esseri umani e, talvolta, anche per gli animali.

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L’Autorità Nazionale Palestinese ha condannato le dichiarazioni di Netanyahu e ha dichiarato che l’intenzione di attaccare Rafah e di evacuare i cittadini palestinesi costituisce “un serio preludio all’attuazione della politica israeliana volta a cacciare il popolo palestinese dalla propria terra”. L’ANP ha aggiunto, con toni minacciosamente impotenti, che riterrà il governo israeliano e gli Stati Uniti responsabili delle ripercussioni. Facendo appello al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, l’Autorità ha chiesto un intervento che possa evitare “un’altra Nakba che spingerà l’intera regione in infinite guerre”.

In serata, dal Libano, Hezbollah ha effettuato uno dei più numerosi lanci di missili (60 verso Kiryat Shmona) da quando il confronto armato con Israele ha avuto inizio.

A Rafah ci sono circa 1,2 milioni di palestinesi su una popolazione totale che a Gaza, prima della guerra, era di circa 2,3 milioni. Secondo Save the Children la maggior parte dei 610.000 bambini sfollati sono ora intrappolati a Rafah in un’area inferiore a un quinto della superficie totale della Striscia. Molti di loro sono stati già sfollati più volte dall’esercito israeliano, dal nord di Gaza verso il centro e poi dal centro verso il sud. Le autorità israeliane hanno lanciato volantini per avvisare la popolazione di andar via, nell’imminenza di attacchi aerei e incursioni dei mezzi di terra, indicando loro con complicate numerazioni, le zone designate come sicure. Una per una quelle zone sono state attaccate e alla popolazione è stato detto ancora di spostarsi. Sempre più al sud, fino a raggiungere il punto più estremo, al confine con l’Egitto, che è appunto Rafah.

Intanto al nord e al centro i bulldozer, i carri armati e gli esplosivi israeliani distruggevano interi quartieri residenziali, campi coltivati, stadi sportivi, moschee, scuole. Con l’obiettivo, non di rado pubblicamente dichiarato, anche sui social network, di rendere impossibile il ritorno dei cittadini gazawi mandati via dalle proprie case.

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La situazione umanitaria a Rafah è disperata. Vi è affollata ormai circa metà dell’intera popolazione della Striscia. Non c’è spazio e non ci sono risorse per tutti. Si dorme in rifugi di fortuna, nelle scuole, negli ospedali, nelle macchine o per strada. Manca l’acqua e procurarsela, con i cecchini israeliani appostati, è estremamente difficile e pericoloso. I feriti non possono raggiungere gli ospedali e quelli che lo fanno trovano una situazione agghiacciante: non c’è spazio, non c’è personale, non bastano le medicine, i pazienti sono stesi a terra, tra i rifiuti medici non più smaltibili. La notizia di un’imminente attacco israeliano manda nel panico la popolazione già inumanamente provata. Non c’è altra via da percorrere per fuggire. Schiacciati al confine con l’Egitto che non intende prendersi cura di una popolazione che non vorrebbe lasciare la propria terra, il “piano finale” di cui lo stesso governo israeliano parlava a inizio guerra e che era stato apparentemente messo da parte, pare ore l’unico sviluppo possibile. A meno che non si trovi il modo di costringere Netanyahu a desistere, “l’evacuazione” della popolazione non potrebbe che avvenire al di fuori della Striscia di Gaza, fatta a pezzi, saccheggiata, deflagrata, resa inabitabile, cancellata.

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In Cina e Asia – Capodanno lunare, viaggi in Cina a un livello "storico”


In Cina e Asia – Capodanno lunare, viaggi in Cina a un livello capodanno
I titoli di oggi: BASF chiude con due joint venture cinesi per violazione diritti umani Cina, il galà di capodanno torna un un aumento del 13% dello share Capodanno lunare, viaggi in Cina a un livello “storico” Usa, presidente del Comitato della Camera sulla Cina annuncia ritiro dalla politica Taylor Swift porta il femminismo anche in Cina Myanmar, entra in ...

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TURCHIA. Raid e arresti. L’appello internazionale dei giuristi: “rilasciate gli avvocati”


A seguito dell'attacco al tribunale di Istanbul sono state numerose e violente le retate dei servizi di sicurezza turchi, che hanno perquisito 67 abitazioni, comprese case private e sedi di associazioni che si occupano di diritti umani. Anche l’Ufficio le

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Eliana Riva –

Pagine Esteri, 12 febbraio 2024. Il 6 febbraio 2024 due persone, Emrah Yayla e Pinar Birkoc, un uomo e una ragazza, hanno attaccato, armati, il tribunale di Çaglayan, a Istanbul, morendo poi sotto i colpi delle forze armate.

Secondo fonti della polizia, si tratta di due membri del Partito-Fronte Rivoluzionario di Liberazione del Popolo (in turco Devrimci Halk Kurtuluş Partisi-Cephesi, DHKP-C), una formazione politica marxista-leninista considerata dal governo turco organizzazione terroristica. Nell’azione armata sono rimaste ferite sei persone, tra cui tre agenti di polizia. Uno dei civili coinvolti è morto a causa delle ferite riportate.

A seguito dell’attacco sono state numerose e violente le retate dei servizi di sicurezza turchi, che hanno perquisito 67 diverse abitazioni, comprese case private e sedi di associazioni che si occupano di diritti umani. Anche l’Ufficio legale popolare è stato preso d’assalto e sono stati arrestati quattro avvocati, tutt’ora trattenuti senza accuse. Nel giro di due giorni sono state più di 90 le persone fermate. A tutte, per 24 ore, è stato vietato consultare i propri legali.

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Tra gli arrestati figurano membri dell’associazione TAYAD, partecipata dai parenti dei prigionieri politici detenuti nelle carceri turche. Molti dei membri di Tayad sono persone anziane, che hanno figli, mariti o mogli in prigione, condannati a pene pesanti, a volte con accuse pretestuose.

La polizia ha attaccato e vandalizzato l’Idil Cultural Centre, sede della band musicale Grup Yorum, gruppo da sempre politicamente impegnato.

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Tra gli arrestati, Ayten Öztürk, l’oppositrice politica turca che ha denunciato di essere stata sequestrata e torturata per sei mesi dalla polizia segreta. Ayten era agli arresti domiciliari da più di due anni e mezzo, costantemente sorvegliata e perquisita. La polizia non ha concesso che le si staccasse la cavigliera elettronica neanche per il tempo necessario all’operazione chirurgica alla quale è stata lo sottoposta qualche mese fa.

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Ayten Ozturk

È in attesa della pronuncia della Corte che potrebbe condannarla in via definitiva a due ergastoli con accuse che, secondo i suoi legali e le organizzazioni dei diritti umani, sono un obbrobrio normativo e rappresentano un’arma politica utilizzata per punire le sue denunce di tortura. Durante il raid a casa di Ayten, la polizia ha distrutto armadi, rovesciato librerie e sotto gli occhi di testimoni ha trascinato fuori la prigioniera sui vetri delle finestre rotte.

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Tra gli avvocati arrestati, Didem Baydar Unsal, Berrak Çaglar, Seda Saraldi e Betül Vangölü Kozagaçli, ci sono anche i legali che seguono i casi di Ayten.

La Comunità giuridica internazionale, in un comunicato pubblicato l’8 febbraio, ha condannato l’incursione delle forze armate turche nell’Ufficio legale popolare e l’arresto dei membri dell’Associazione degli avvocati progressisti (CHD). Anche loro, come le altre persone arrestate, non hanno potuto incontrare familiari né legali. Né è consentito accedere ai propri fascicoli e dunque conoscere le accuse formulate e le ragioni dell’arresto. Cinque avvocati dell’Ufficio legale popolare sono in carcere ormai da anni. Secondo la Comunità giuridica internazionale, rappresentata da numerose associazioni, fondazioni, enti di diversi Paesi del mondo, gli avvocati sono stati arrestati in quanto si occupano o si sono occupati della difesa di presunti membri e sostenitori del DHKP-C: “questa inaccettabile identificazione degli avvocati con i loro clienti sembra essere anche la ragione dell’attacco del 6 febbraio all’Ufficio legale popolare […] Ricordiamo alle autorità turche che il mondo vi sta osservando”.

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Anche il Consiglio Nazionale forense della Turchia ha espresso preoccupazione per gli arresti e chiesto di garantire l’esercizio di diritto alla difesa. Quattordici Organizzazioni internazionali di avvocati e di osservatori per i diritti legali, tra i quali UA Institute for the Rule of Law, The Law Society of England and Wales, International Observatory for Lawyers in Danger (OIAD), Institut des droits de l’Homme du Barreau de BRUXELLES, European Association of Lawyers for Democracy & Human Rights, World Organisation Against Torture (OMCT), FIDH (International Federation for Human Rights) e Giuristi Democratici italiani, hanno chiesto il rilascio immediato e incondizionato degli avvocati.

Abbiamo incontrato Ayten solo pochi mesi fa, a novembre, presso la sua abitazione e anche all’interno del tribunale Çaglayan di Istanbul, dove abbiamo assistito all’udienza per una nuova accusa, quella di “propaganda per un’organizzazione terroristica”, formulata in seguito alla pubblicazione di un libro in cui denuncia gli abusi subiti dalla polizia segreta. In quell’occasione, alla presenza di giornalisti e osservatori internazionali, il suo team di avvocati è riuscito a ottenere l’assoluzione. In una lunga intervista rilasciataci, l’Avv. Seda Saraldi, ora in prigione insieme agli altri legali, ci ha parlato dell’inconsistenza delle accuse mosse contro Ayten Öztürk e di come avesse scelto di sostenere legalmente la sua lotta contro la tortura di stato e quella di altre donne vittime di orribili violenze, comprese quelle sessuali.

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Seda Şaraldı, avvocata di Ayten Öztürk

Ayten è in prigione dal 7 febbraio. Non si sa, al momento, quale sarà la sua sorte. Il fatto che non si possa rivolgere ai suoi stessi avvocati, tutt’ora agli arresti, rende la sua posizione ancora più complicata. All’inizio del mese aveva denunciato la decisione del tribunale di non consentirle di effettuare una visita medica di controllo in seguito all’operazione chirurgica di asportazione di alcune masse per la quale è rimasta ricoverata in ospedale diversi giorni. “Esaminando il contenuto della richiesta, considerando l’entità della pena inflitta all’imputato, la richiesta viene respinta”. Queste sono state le motivazioni del tribunale.

Lo stato della giustizia in Turchia e le condizioni dei detenuti nelle carceri sono stati oggetto di numerose critiche e denunce da parte di organizzazioni internazionali e delle Nazioni Unite.

Il documentario “La rivoluzione di Ayten”, prodotto da Pagine Esteri, racconta la storia sua storia e quella di atri oppositori e oppositrici politici in Turchia.

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Locandina del documentario “La rivoluzione di Ayten. Realizzato da Eliana Riva e prodotto da Pagine Esteri

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The major news of the week is that Bluesky drops the invite codes, and that it turns out to be massively popular in Japan. The network grew from just over 3 million to some 4.7 million accounts this week.



Dallo Spazio agli abissi. Ecco i progetti su cui punta il Pentagono


Dalle profondità cosmiche alle profondità marine, il Dipartimento della Difesa di Washington mira a mantenere quella superiorità tecnologica che ha caratterizzato sino ad ora la sua postura militare. Suddividendo in modo equilibrato le risorse, ma al temp

Dalle profondità cosmiche alle profondità marine, il Dipartimento della Difesa di Washington mira a mantenere quella superiorità tecnologica che ha caratterizzato sino ad ora la sua postura militare. Suddividendo in modo equilibrato le risorse, ma al tempo stesso prestando particolare attenzione a determinati domini.

Come ad esempio quello spaziale. La Space Force del Pentagono sta lavorando all’espansione delle capacità dei suoi satelliti Gps, e sta chiedendo alle aziende di proporre idee per la fornitura di veicoli spaziali dimostrativi a basso costo finalizzati a testare nuove tecnologie. “Il governo sta studiando modi per ridurre i costi del ciclo di vita e aumentare il ritmo di sviluppo, produzione e messa in orbita dei satelliti GPS”, ha dichiarato il Comando dei sistemi spaziali, che con un avviso pubblicato il 5 febbraio ha affermato pubblicamente di star conducendo una ricerca di mercato per perfezionare il suo concetto di costellazione di satelliti dimostrativi Gps. “Il governo sta sviluppando una visione per tranche di satelliti prototipo dimostrativi con capacità sempre più complesse”.

Al momento la Space Force ha in orbita circa trentuno satelliti operativi, un mix vecchie e nuove che forniscono vari livelli di capacità. I satelliti più recenti (denominati Gps III) sono costruiti da Lockheed Martin e forniscono una precisione tre volte superiore, oltre che capacità anti-jamming molto migliorate rispetto alle varianti precedenti. Offrono inoltre una capacità chiamata M-code, che garantisce un segnale sicuro e preciso agli utenti militari. Lockheed sta già lavorando a un modello più avanzato (Gps IIIF), il cui lancio è previsto per il 2027. Accanto a questi satelliti, la Space Force sta valutando l’impiego di sistemi alternativi, più piccoli, più economici, più facili da produrre e in grado di operare in aree degradate dove il Gps non è oggi accessibile.

“L’intento di questo sforzo complessivo è quello di esplorare le opportunità per i fornitori spaziali non tradizionali e/o tradizionali di produrre rapidamente, integrare e rendere disponibili per il lancio, carichi utili per la navigazione che siano interoperabili con le apparecchiature utente GPS esistenti e future, riducendo al minimo le modifiche ai segmenti di controllo a terra GPS attuali e futuri”, ha dichiarato il Comando.

Ma oltre allo Spazio, ci sono anche gli abissi marini. La Defense Innovation Unit (unità responsabile dell’innovazione commerciale) del Pentagono ha assegnato ad Anduril Industries un contratto che porterà la sua famiglia di droni subacquei dalle grandi dimensioni nelle mani della Us Navy.

L’aggiudicazione avviene sulla base dei risultati di un test promosso l’anno scorso dalla Diu. In questo test i droni subacquei di grandi dimensioni già disponibili in commercio venivano messi alla prova per valutarne la maturità e l’applicabilità nel condurre “rilevamenti subacquei distribuiti, a lungo raggio e persistenti e per la consegna di carichi utili in ambienti contesi” secondo quanto si legge in un comunicato stampa rilasciato da Anduril l’8 febbraio.

La US Navy sta registrando difficoltà nel dotarsi di veicoli di questa tipologia. Nel 2017 ha avviato il programma di veicoli subacquei senza equipaggio di grande diametro Snakehead, anche se il programma di ricerca originale risale a prima del 2015. Il primo prototipo di Snakehead è stato battezzato solo nel 2022 e la Marina e il Congresso hanno deciso di cancellare il programma nel corso dello stesso anno. Tuttavia, è stato in qualche modo resuscitato come ricerca di mercato per identificare la tecnologia disponibile in commercio che potrebbe essere utile alla flotta statunitense. Parallelamente, la US Navy ha portato avanti anche il programma Orca, che a sua volta sta riscontrando dei ritardi, ma che continua a mantenere late le aspettative.


formiche.net/2024/02/spazio-ab…



#laFLEalMassimo – Episodio 114: DDL Capitali Gattopardi e Silver Bullet


Questa rubrica, mantiene la consuetudine di ribadire in apertura il proprio sostegno al popolo ucraino e la ferma condanna della dell’invasione perpetrata dalla Russia, che rimane una minaccia per tutte le società aperte e i paesi democratici. Di recente

Questa rubrica, mantiene la consuetudine di ribadire in apertura il proprio sostegno al popolo ucraino e la ferma condanna della dell’invasione perpetrata dalla Russia, che rimane una minaccia per tutte le società aperte e i paesi democratici.

Di recente si è parlato del provvedimento legislativo che con un tocco di bacchetta magica dovrebbe guarire tutti i mali del nostro mercato dei capitali, indurre piccole e medie aziende a quotarsi con entusiasmo, investitori stranieri accorrere con le tasche piene e dulcis in fundo convincere marchi storici come la Ferrari a ritornare a quotarsi in patria.

Trattandosi di materia molto tecnica non mi permetto di emettere giudizi definitivi e mi limito a formulare qualche considerazione di principio. Troppe volte in questo paese, quando i problemi strutturali non vengono impunemente ignorati, si procede con una strategia diversiva per la quale si attribuiscono virtù taumaturgiche a provvedimenti marginali, attraverso staw man argument retorici, neanche troppo nascosti, che suggeriscono di sparare a un mosca con un cannone, per risolvere i mali del mondo.

Vorrei concedere il beneficio del dubbio al nuovo DDL capitali auspicando che possa portare qualche miglioramento al nostro sistema, se non altro per il merito di aver sottolineato diversi dei limiti che lo caratterizzano.

Rimane tuttavia opportuno mantenere un sano e scettico realismo: se i risparmiatori, piccoli e grandi, italiani e stranieri, non trovano abbastanza attraente o conveniente investire nella borsa di Milano, così come rare e poche sono le aziende che scelgono di quotarsi, non è modificando qualche regola macchinosa sui diritti di voto che si può immaginare di modificare radicalmente la situazione.

Uno dei benefici indiretti della libera circolazione dei capitali e delle persone è che innesca una salutare concorrenza tra i diversi ordinamenti. L’Italia per il momento ha battuto un colpo e il tempo ci dirà se si tratta di una misura efficace e utili oppure dell’ennesimo miagolio del gattopardo che si a parole si propone di cambiare tutto, ma nei fatti sta bene attento a che nulla cambi.

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Il boomerang delle sanzioni. Russia e Cina aumentano le loro capacità ai danni del potere strategico degli USA l Red Hot Cyber

"Le recenti dinamiche geopolitiche stanno evidenziato un fenomeno già anticipato nel panorama tecnologico internazionale. Le sanzioni imposte dagli Stati Uniti nei confronti di paesi antagonisti stanno spingendo questi ultimi verso una maggiore autonomia e indipendenza tecnologica."

redhotcyber.com/post/il-boomer…



La rivoluzione dei droni. Dottrina militare e nuove tecnologie viste da Borsari (Cepa)


Negli scenari di crisi del mondo attuale, l’impiego dei droni continua a crescere sempre di più. E questo incremento oggettivo rappresenta uno stimolo che le strutture politico-militari dei singoli attori internazionali non possono assolutamente ignorare.

Negli scenari di crisi del mondo attuale, l’impiego dei droni continua a crescere sempre di più. E questo incremento oggettivo rappresenta uno stimolo che le strutture politico-militari dei singoli attori internazionali non possono assolutamente ignorare. Federico Borsari, analista del Cepa ed esperto in materia, ne ha parlato con Formiche.net.

Quali sono i principali aspetti su cui si concentrano gli sforzi di ricerca e sviluppo nel mondo degli Uncrewed Aerial Systems (Uas)?

Il trend che stiamo vedendo a livello globale è quello di una trasformazione dei droni da semplici velivoli a pilotaggio remoto, de facto spostando il pilota dalla cabina di pilotaggio al centro di comando e controllo, in sistemi che possono fare tutto, o quasi, in modo autonomo. Da semplici velivoli pilotati da remoto a veri e propri computer volanti. Gli sforzi tecnologici mirando a rendere i droni sempre più autonomi per quel che riguarda tutte le loro capabilities. Quindi raccogliere dati, trasmetterli in tempo reale, ma anche processarli sul velivolo stesso, così da permettere al drone di sfruttare tali dati per scegliere quali courses of action seguire, dal continuare il monitoraggio all’ingaggiare un tale obiettivo piuttosto che un altro; ma anche processare le informazioni in modo complesso per estrapolare determinati indicatori che poi vengono trasmessi alla rete comando e controllo a distanza. Poi c’è ovviamente tutta la parte più legata alla fisica del volo e alle performance aereonautiche, al raggio d’azione, alla capacità di carico. Sotto questo aspetto l’impegno è profuso nella ricerca di nuovi materiali più leggeri, o di nuovi sensori che migliorino le prestazioni, o ancora nel miglioramento dell’efficienza della propulsione per garantire minor consumo e maggior durata della missione. Ma il “core” dei processi di ricerca e sviluppo è lo sforzo per rendere i droni, se non completamente autonomi, completamente automatizzati e semi-autonomi. Per arrivare, in un futuro, a droni completamente autonomi. Che apre le porte per il concetto di swarming.

Che si intende per swarming?

La capacità di operare in grande numero e all’unisono. Un determinato numero di droni, cento come un migliaio, connessi l’uno con l’altro, capaci di condividere informazioni in tempo reale e compiere scelte sulla base di quello che il contesto fornisce loro, reagendo anche a cambiamenti repentini dello stesso.

Un concetto affascinante. Per renderlo operativo ed efficiente però sembra che sia più importante la quantità, che la qualità…

Certo. Non a caso c’è una tendenza generale nel cercare di abbassare i costi, investendo su tecnologie dual-use facilmente rimpiazzabili e replicabili, favorendo sistemi considerati come “sacrificabili” proprio per i costi contenuti che ne consentono la produzione su larga scala. E in caso di conflitto sarebbe un fattore importante, poiché ci sarebbe la necessità di sostituire un gran numero di sistemi che vengono persi per varie ragioni, e che però visto il costo più ridotto rispetto non solo agli aerei tradizionali, ma anche rispetto a droni più costosi e sofisticati, sarebbe decisamente più sostenibile come processo. Perdere un qualsiasi drone First-Person View non è come perdere un MQ-9 Reaper. Ma anche perderne cento, o mille. Il concetto di affordable mass si basa proprio questo principio.

Un’evoluzione tecnologica che presuppone anche un adattamento dottrinario. Secondo quale processo?

Se ci pensiamo i droni non sono una tecnologia nuova. La sua introduzione nei sistemi militari era già avvenuta anni fa. Prima però i droni venivano perlopiù utilizzati quasi esclusivamente con funzioni di ricognizione in contesti a bassa intensità, come in operazioni di counterinsurgency caratterizzate da spazi arei praticamente non contesi e con larghissimo spazio di manovra. Oggi invece i droni vengono impiegati in una serie di missioni diverse, dalla ricognizione all’attacco, dalla soppressione delle difese aeree nemiche al combat search and rescue. C’è quindi la necessità di adattare la dottrina militare a questi nuovi ruoli, integrando al suo interno la componente tecnologica. E allo stesso tempo serve testare la “nuova dottrina” sul campo, per sviluppare determinati concetti operativi necessari ad una dottrina generale più ampia, che serve per determinare che ruolo avrà il drone in ciascuna situazione, e come integrarlo con altre capabilities.

Secondo una notizia recente, le forze armate ucraine starebbero istituendo al loro interno una vera e propria branca dedicata esclusivamente ai droni. Cosa significa?

Il caso dell’Ucraina è esemplare. Kyiv si stava accorgendo dell’importanza dei droni già nelle settimane immediatamente successive all’invasione russa, e stava già adattando di conseguenza la propria dottrina. Ricordiamoci che l’Ucraina è stato uno dei primi Paesi occidentali a introdurre delle vere e proprie unità specializzate esclusivamente nell’impiego di Uas. Lo abbiamo visto soprattutto nel dominio navale, dove queste unità hanno impiegato “droni suicidi” per infliggere duri colpi alla flotta russa del Mar Nero. Ma il loro utilizzo si sta ampliando sempre di più, anche nelle altre dimensioni. Ogni unità dell’esercito ucraino ha le proprie capacità unmanned integrate, e questo permette grande flessibilità. A cambiare non è solo la dottrina, ma la struttura stessa delle forze armate. Il nuovo servizio che Kyiv sta istituendo, dedicato all’addestramento all’uso dei droni e allo sviluppo dei concetti operativi, che va proprio in questa direzione, è una cosa senza precedenti. Ed è ovviamente conseguenza delle necessità dell’Ucraina impegnata in guerra. Questi aspetti sono tanto importanti quanto la tecnologia stessa.

Maggiore l’importanza che assumono questi sistemi, maggiore l’importanza di avere a disposizione contromisure efficaci. Si è visto un adattamento proporzionale in questo senso?

I sistemi counter-Uas hanno acquisito sempre più importanza di pari passo con il ruolo offensivo di questi sistemi, che è aumentato esponenzialmente nell’ultimo periodo. Fino a poco tempo fa c’era una situazione di sostanziale svantaggio per chi doveva difendersi dai droni, soprattutto di piccole dimensioni, per via del loro numero sempre maggiore. Svantaggio che derivava non tanto dall’ incapacità di colpirli, quanto da una sostanziale diseconomicità nell’utilizzo di difese aeree tradizionali. Abbattere droni che costano ventimila o trentamila dollari impiegando sistemi intercettori con un costo unitario di un milione di dollari non era assolutamente sostenibile. Inoltre, l’utilizzo di Uas in numero sempre maggiore, anche all’interno della stessa operazione offensiva, rende difficile un loro contrasto con sistemi di difesa aerea tradizionali. Quindi le soluzioni sono due: o si aumenta il numero di sistemi aerei difensivi e di intercettori, con gli enormi costi che ne conseguono, oppure si cercano soluzioni alternative che possano offrire flessibilità e modularità nell’approccio.

Come ad esempio?

Come ad esempio il ricorso alla guerra elettronica, che sta vedendo un interesse rinnovato in questo periodo. La guerra elettronica offre una vasta gamma di “soluzioni”, dall’interruzione del segnale di navigazione del drone o della connessione con l’operatore, all’invio di dati di navigazione falsi all’apparecchio (il cosiddetto spoofing). Un approccio molto efficace, soprattutto quando integrato con sistema di difesa aerea “tradizionali” per offrire un ulteriore livello di protezione. Ma anche sistemi d’intercettazione “tradizionali” specifici per droni, di dimensioni relativamente piccole e basati sull’uso di testate a frammentazione che rilasciano tantissimi frammenti proprio per distruggerei droni avversari, stanno vedendo un uso sempre più estensivo. E ancora, ci sono soluzioni “passive”, e anche banali, ma comunque efficaci: pensiamo alle reti anti-drone impiegate con successo in Ucraina.

E per il futuro a cosa si guarda, da questo punto di vista?

A metodi sofisticati come le armi che utilizzano l’energia diretta: laser ad alta intensità, emettitori di microonde, et cetera. Queste tecnologie va ad agire sul drone in diversi modi: mentre i laser sfruttano l’energia della luce per fondere il drone, o comunque danneggiarlo, le microonde distruggono o danneggiano i circuiti interni dello stesso. Queste tecnologie sono ancora in una fase embrionale, anche se alcune sono già operative. Israele è uno dei pionieri nel campo, soprattutto per le armi che sfruttano il laser. Tel Aviv sta concentrando sforzi importanti nel programma noto come “Iron beam”, un sistema non ancora operativo, ma che è stato già testato con successo. Lo svantaggio di queste armi sono le dimensioni molto grandi, che rendono complesso l’aspetto logistico. Ma sono già in sviluppo sistemi più piccoli e portatili che possono essere installate su piattaforme mobili. Gli Usa lo stanno testando con il loro programma “M-Shorad”, di cui vedremo le prime applicazioni entro due anni circa. E anche dei “droni anti-droni” stanno venendo testati con successo.


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