Mohammed Mustafa nuovo premier Anp. La rabbia di Hamas
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di Michele Giorgio
(foto Wafa)
Pagine Esteri, 20 marzo 2024 – La nomina fatta la scorsa settimana da Abu Mazen dell’economista Mohammed Mustafa a nuovo premier dell’Autorità nazionale palestinese (Anp) e la reazione furibonda di Hamas, spiegano l’inconsistenza del recente incontro a Mosca tra i rappresentanti di Fatah, il partito del presidente, e quelli del movimento islamico, che pure era stato descritto come volto a porre le basi di un esecutivo di consenso nazionale di fronte all’offensiva israeliana che ha devastato Gaza. Neppure le decine di migliaia di palestinesi uccisi dai bombardamenti israeliani hanno rimarginato la ferita dell’estate del 2007, quando Hamas prese il potere a Gaza rispondendo con la forza delle armi a chi, sotto la pressione di Stati uniti e Israele, aveva fatto il possibile per rendere nulla la vittoria elettorale ottenuta dagli islamisti l’anno prima.
Hamas condanna la designazione «unilaterale» di Mohammed Mustafa. «Formare un nuovo governo senza consenso nazionale non fa altro che rafforzare una politica di unilateralismo e approfondire la divisione», ha scritto in un comunicato. I vertici di Fatah replicano che anche Hamas fa mosse «unilaterali», come quella del 7 ottobre quando ha lanciato un ampio attacco armato contro Israele senza consultare le altre formazioni palestinesi gettando, affermano, «la Palestina in una situazione simile se non peggiore di quella della Nakba». Frasi in seguito bocciate da vari dirigenti di Fatah che le considerano una posizione dell’Anp e non del partito «schierato con la resistenza».
Anche l’indipendente Hanan Ashrawi, storica portavoce palestinese, ha criticato la scelta di Abu Mazen di procedere alla nomina del nuovo premier incaricato senza tenere conto della richiesta di unità nazionale che giunge dall’intera popolazione palestinese.
Ciò che preme più di tutto ad Hamas è denunciare come «delirante» il tentativo di escluderlo dalla scena politica al termine dell’offensiva israeliana a Gaza. La scelta di Mohammed Mustafa va in quella direzione. Abu Mazen e il suo entourage, ci spiega una fonte a Ramallah, sono convinti che il governo Netanyahu presto o tardi per mancanza di alternative praticabili e per le pressioni americane revocherà il veto al ritorno dell’Anp a Gaza – il ministro della Difesa Gallant ha aperto la porta a questa soluzione – e che sarà il governo di Ramallah, con l’inclusione di qualche ministro tecnico, a gestire la ricostruzione ed amministrare gli oltre due milioni di abitanti della Striscia.
Tuttavia Mustafa potrebbe non essere la persona giusta per dare vita alla cosiddetta «Anp riformata, rigenerata» che l’Amministrazione Biden vuole come alleata di Israele. Figura grigia, il premier incaricato è da sempre un uomo di Abu Mazen. Per conto dell’Anp ha realizzato progetti con aziende private palestinesi e straniere ed è stato a capo del Fondo nazionale della Palestina. Fatah non lo boicotterà, ma non è felice della sua scelta che mette il partito in secondo piano nel momento in cui sente di poter tornare in qualche modo protagonista nell’arena politica, approfittando dell’indebolimento di Hamas a Gaza (in Cisgiordania invece il movimento islamico gode di consensi crescenti).
Con l’appoggio del capo dell’intelligence, Majid Faraj, e il segretario generale dell’Olp, Hussein al Sheikh, Mustafa cercherà di mettere insieme un esecutivo con nomi che dovranno andar bene prima di tutto agli Stati uniti. E sa che la sopravvivenza del suo governo – in particolare quella finanziaria – dipenderà da Israele che non rinuncerà alle misure punitive che ha usato contro il suo predecessore Mohammed Shttayeh. Netanyahu da parte sua insiste nel promuovere al futuro governo di Gaza esponenti di clan familiari. Chi siano queste persone nessuno lo sa. Hamas ha già avvertito che coloro che favoriranno i progetti di Israele saranno considerati dei «collaborazionisti» e «traditori».
Di Gaza si interessano persino alcuni neocons statunitensi che 21 anni fa furono artefici dell’invasione e dell’occupazione americana dell’Iraq. Gente come Elliot Abrams, uno degli autori del piano presentato nei giorni scorsi dal Jinsa (Istituto ebraico per gli affari di sicurezza nazionale) e dalla Coalizione Vandenberg. Il progetto prevede la creazione a Gaza di un ente privato, l’International Trust for Gaza Relief, che sarà guidato da Arabia saudita, Egitto ed Emirati e sostenuto dagli Usa e da altre nazioni. L’Anp svolgerebbe solo funzioni secondarie in appoggio a Israele che manterrebbe il diritto di entrare e uscire da Gaza a suo piacimento per combattere Hamas e Jihad islami, avvalendosi anche dell’aiuto di mercenari occidentali. Pagine Esteri
Questo articolo è stato pubblicato in origine sul quotidiano Il Manifesto
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Ministero dell'Istruzione
Al via Didacta Italia 2024, la più importante Fiera sull’innovazione della #scuola! La settima edizione si terrà fino al 22 marzo a Fortezza da Basso, Firenze.Telegram
In Cina e Asia – Hong Kong, approvata nuova legge sulla sicurezza nazionale
I titoli di oggi: Hong Kong, approvata la nuova legge sulla sicurezza nazionale Omicidio di un 13enne scatena il dibattito sui “bambini abbandonati” Guerra in Medio oriente, l’inviato cinese incontra leader di Hamas Dalla Cina droni a sciame da impiegare in guerra Stati Uniti, visita di Biden a Manila e conferma del primo trilaterale Usa-Giappone-Filippine Dopo gli Usa, la neoeletta ...
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Weekly Chronicles #68
Questo è il numero #68 di Privacy Chronicles, la newsletter che ti spiega l’Era Digitale: sorveglianza di massa e privacy, sicurezza dei dati, nuove tecnologie e molto altro.
Cronache della settimana
- Privacy Chronicles, ma alla radio
- Il futuro è dei droni
- A Como il parchimetro è anche esattore
Lettere Libertarie
- La sciagurata condizione di “cittadino”
Rubrica OpSec
- Raccogli ora, decifra dopo: i rischi del quantum computing
Privacy Chronicles, ma alla radio
Il 26 marzo, dalle 22 alle 24, ti aspetta un’ora di pensieri in libertà da parte del sottoscritto su NO LIMITS Radio. Insieme a Luca, il conduttore, abbiamo iniziato un percorso di due episodi che porterà gli ascoltatori ad approfondire molti dei temi trattati regolarmente su queste pagine.
Siamo partiti dalle basi: cos’è la privacy e qual è la differenza tra privacy, segretezza e anonimato. Da qui, ci siamo lanciati in voli pindarici che ci hanno fatto toccare vette metafisiche: siamo pronti a vivere nell’Era Digitale? I nostri cervelli sono in grado di riconoscere pericoli immateriali o c’è bisogno di un “salto” intellettuale e spirituale? Una prima risposta forse arriva dal passato, coi primi Cypherpunk, che prospettavano un futuro che si avvicina a velocità fotonica: neurotecnologie, intelligenza artificiale, falsificazione della realtà e standardizzazione dell’essere umano. Non sarà però solo la tecnologia a salvarci.
La prima intervista andrà in onda il 26 marzo su nolimitsradio.it dalle 22 alle 24, con replica il 27 marzo dalle 10 alle 12. Non perderla!
Il futuro è dei droni
“Li abbiamo presi di sorpresa, non se l’aspettavano, ne abbiamo ammazzati un sacco […] i droni sono le nostre forze aeree…”
I ribelli del Myanmar hanno costruito una flotta di droni che in breve tempo è diventata un grosso problema per la fanteria militare del Tatmadaw (l’esercito), che dopo un colpo di stato nel 2021 ha preso il controllo del Paese.
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Nella guerra in Myanmar tra ribelli e governo militare, pare che generalmente stesse vincendo il governo. Questo fino a quando i ribelli non hanno iniziato a usare stampanti 3D per costruire droni d’attacco fatti in casa. I droni hanno l’enorme vantaggio di poter essere estremamente mobili e letali — lo vediamo, purtroppo — dai video che arrivano dal fronte ucraino.
Soprattutto, però, possono essere operati da chiunque con un minimo di allenamento, al contrario dei veicoli militari. Inoltre, grazie alle nuove tecnologie di stampa 3D ne possono essere costruiti a centinaia in una capanna in mezzo al bosco.
Il futuro, nel bene e nel male, sarà dei droni e dell’intelligenza artificiale, e non solo in campo militare.
Già oggi è possibile costruire in casa piccoli droni con sistemi d’intelligenza artificiale di riconoscimento biometrico in grado di identificare e sorvegliare da lontano una o più specifiche persone anche in mezzo a grandi folle. Di nuovo: è sufficiente una stampante 3D, il giusto software e qualche competenza informatica ed elettronica per assemblare il tutto. Un lavoro che con un pizzico di buona volontà e l’aiuto di chatGPT può essere alla portata di chiunque.
In futuro, ma in verità già oggi, non servirà più neanche operarli manualmente. Lo stesso piccolo drone con riconoscimento biometrico può essere programmato per identificare e seguire a distanza (o schiantarcisi addosso..) una persona specifica, senza alcun bisogno di essere operato manualmente. Le capacità di questi strumenti automatizzati lasciano a bocca aperta e onestamente fanno anche molta paura. Questo video vale più di mille parole (clicca qui).
La tecnologia ICT è da sempre un grande equalizzatore e al contrario di veicoli militari, cannoni, razzi e aerei, non conosce padroni. Chiunque potrà costruire e dotarsi di questi strumenti, sia per autodifesa che per aggressione. I tempi che s’annunciano saranno certamente titanici… e quando i nostri cieli saranno sorvolati da centinaia di droni sarà fondamentale pensare alla nostra privacy e incolumità tridimensionalmente.
A Como il parchimetro è anche esattore
Gli amministratori di Como non trovano pace. Dopo aver tentato di essere precursori di telecamere illegali con riconoscimento biometrico alcuni anni fa, oggi provano ancora a farsi notare sul fronte della sorveglianza di massa dei loro stessi cittadini. E lo fanno in un modo che mai avrei pensato: col parchimetro esattore.
I parchimetri a Como potranno verificare in tempo reale i dati della persona che inserisce la targa per pagare il parcheggio e, nel caso in cui tale persona sia residente a Como e in regola con il pagamento dei tributi, allora avrà diritto a uno sconto sulla tariffa oraria. Viceversa, dovrà pagare prezzo pieno e visualizzerà un avviso con invito a recarsi in Comune per saldare i debiti (ma se la persona che paga il parcheggio non è la proprietaria dell’auto?).
In sostanza è una query incrociata con il database tributario del comune senza però alcuna conseguenza concreta, se non la facile propaganda elettorale. Il sindaco era infatti molto felice di essere ospite in TV per spiegare la nuova trovata “anti-evasori”.
Il problema però, oltre che nella morale, sta anche nello strumento: i sistemi ICT dei parchimetri sono operati da aziende terze, che in questo modo avranno accesso a dati eccedenti rispetto a ciò che è meramente necessario per pagare il parcheggio. Questo aumenterà a dismisura il rischio di violazione degli stessi, oltre ad aumentarne l’accessibilità a terzi.
L’amministrazione di Como dimostra ancora di non avere alcun interesse nel tutelare gli interessi dei propri cittadini e di essere disposta a tutto pur di fare facile propaganda elettorale. Anche se la domanda resta: chi mai è così scemo da votare gente del genere?
La sciagurata condizione di “cittadino”
Ieri ho letto su X una notizia: “Illegal immigrants can now carry guns, a federal judge has ruled”. Gli immigrati clandestini potranno possedere armi da fuoco, così ha deciso un giudice federale.
Il caso è quello di Heriberto Carbajal-Flores, un immigrato clandestino imputato per violazione dello statuto federale 18 U.S.C § 922, che vieta agli immigrati illegali di portare con sé armi o munizioni. Secondo il giudice federale però la legge viola il secondo emendamento e anche i migranti irregolari dovrebbero poter portare con sé armi e munizioni.
Il caso mi suscita una riflessione libertaria sulla condizione di “cittadino”, in contrapposizione con l’immigrato irregolare, cioè il non-cittadino per definizione.
Nel mondo progressista del “volemosebbene” non esistono confini; siamo tutti uguali e tutti titolari degli stessi diritti universali — soprattutto quelli di welfare. Il problema risiede però proprio nella contraddizione in termini di questa favola che ci piace raccontarci: non siamo tutti uguali. Alcuni animali, per citare Orwell, sono più uguali degli altri.
Il cittadino è infatti sottoposto, fin dalla nascita, a un programma di sorveglianza ed estrazione di risorse che non tocca, se non distrattamente, il migrante irregolare. Il neonato cittadino acquisisce fin da subito un codice identificativo alfanumerico che lo immette negli ingranaggi burocratici statali da cui poi sarà impossibile uscire (se non acquisendo esso stesso lo status di immigrato irregolare in altro paese).
Il cittadino poi, durante l’età adulta, sarà chiamato a dotarsi di numerosi documenti identificativi che gli consentiranno, se il Dio stato vuole, di vivere e lavorare: carta d’identità, patente, certificati di studi, dichiarazioni dei redditi, partita IVA e molto altro.
Viceversa, l’immigrato illegale può vivere e lavorare nei paesi occidentali senza alcun tipo di sottomissione a tale sistema burocratico e di sorveglianza di massa. Nella migliore delle ipotesi godrà anche degli stessi diritti di welfare del cittadino stesso, che invece deve pagarli di tasca propria, attraverso l’altissima esazione fiscale.
Con l’evoluzione dell’identità digitale la forbice si allargherà sempre più: gli immigrati illegali infatti saranno sempre più estraniati dal sistema statale digitalizzato. Viceversa, il cittadino sarà sempre più schiavo di sistemi automatizzati, codici QR e algoritmi pensati per tracciare ogni suo movimento, pensiero e azione.
Essere “cittadini” di uno stato occidentale oggi è divenuta una condizione sciagurata che ricorda molto da vicino quella dei servi della gleba, ma in versione globalista-tecnocratica.
Raccogli ora, decifra dopo: i rischi del quantum computing
L’avvento dei computer quantistici mette a repentaglio i sistemi di crittografia più diffusi, come RSA (Rivest-Shamir-Adleman), DSA (Digital Signature Algorithm) e ECC (Elliptic Curve Cryptography).
La crittografia moderna si basa sulla difficoltà di risolvere certi problemi matematici, come la capacità di fattorizzare grandi numeri composti. I computer quantistici possono però elaborare informazioni in modi che permettono di risolvere questi problemi matematici molto più rapidamente, grazie a algoritmi quantistici specifici come l’algoritmo di Shor.
Il motivo è che avranno un potere computazionale superiore ai computer tradizionali, grazie allo stato fisico particolare dei "qubit", la loro unità di dati. Grazie alla “sovrapposizione quantistica” i qubit possono essere costantemente in una sorta di stato "ibrido" tra 0 e 1, o in una combinazione di entrambi. I bit a cui siamo abituati possono essere invece solo in uno stato di 0 o 1.
In risposta, sono stati già sviluppati nuovi algoritmi di crittografia progettati per essere sicuri anche nell'era quantistica. Ad esempio, Tutanota ha recentemente aggiornato di aver sostituito i propri algoritmi di crittografia (RSA-2048) con una combinazione di algoritmi “quantum safe”: un “post-quantum Key Encapsulation Mechanism” e un “Elliptic-Curve-Diffie-Hellmann Key exchange” per creare un protocollo chiamato TutaCrypt.
La questione però è più complessa. Se infatti gradualmente tutti i fornitori di servizi, sistemi di pagamento e monete digitali passeranno ad algoritmi di crittografia resistenti ad attacchi quantistici, lo stesso non potrà dirsi per i milioni di dati conservati con algoritmi obsoleti.
Ecco allora che il grosso problema della crittografia non sarà da ricercarsi nel presente o nel futuro, ma nel passato! Se un attaccante, anche a livello governativo, iniziasse ad ammassare grandi quantitativi di dati cifrati con algoritmi che saranno obsoleti, potrà in futuro decodificarli facilmente e acquisire infine il tesoro d’informazioni che cercavamo di proteggere. In gergo questo attacco si chiama “harvest now, decrypt later”, cioè “raccogli adesso, decifra dopo”.
Come proteggersi? Non è facile: è doveroso aggiornare periodicamente i nostri dati cifrati con gli ultimi algoritmi disponibili, avendo però anche cura di cancellare definitivamente le vecchie copie e aver cura di non diffonderle in giro. Nel caso in cui la diffusione fosse inevitabile, allora sarà opportuno modificare nel corso del tempo le informazioni, così da rendere obsolete, e quindi inutilizzabili, le precedenti versioni.
La svolta del Giappone sulla politica monetaria
Tokyo abbandona l'approccio ultra-accomodante sui tassi di interesse, suo tratto fondamentale sin dai tempi dell'Abenomics. La banca centrale giapponese si era sin qui mossa in maniera opposta rispetto agli altri istituti mondiali. La svolta era attesa ed è stata anticipata da un aumento sopra le attese dei salari
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AI Audits, Equity Awareness in Data Privacy Methods, and Facial Recognition Technologies are Major Topics During This Year’s Privacy Papers for Policymakers Events
Author: Judy Wang, Communications Intern, FPF
The Future of Privacy Forum (FPF) hosted two engaging events honoring 2023’s must-read privacy scholarship at the 14th Annual Privacy Papers for Policymakers ceremonies.
On Tuesday, February 27, FPF hosted a Capitol Hill event featuring an opening keynote by U.S. Senator Peter Welch (D-VT) as well as facilitated discussions with the winning authors: Mislav Balunovic, Emily Black, Albert Fox Cahn, Brenda Leong, Hideyuki Matsumi, Claire McKay Bowen, Joshua Snoke, Daniel Solove, and Robin Staab. Experts from academia, industry, and government moderated these policy discussions, including Michael Akinwumi, Didier Barjon, Miranda Bogen, Edgar Rivas, and Alicia Solow-Niederman.
On Friday, March 1, FPF honored winners of internationally focused papers in a virtual conversation hosted by FPF Global Policy Manager Bianca-Ioana Marcu, with FPF CEO Jules Polonetsky providing opening remarks. Watch the virtual event here.
For the in-person event on Capitol Hill, Jordan Francis, FPF’s Elise Berkower Fellow, provided welcome remarks and emceed the night, thanking Alan Raul, FPF Board President, and Debra Berlyn, FPF Board Treasurer, for being present. Mr. Francis noted he was excited to present leading privacy research relevant to Congress, federal agencies, and international data protection authorities (DPAs).
In his keynote, Senator Welch celebrated the importance of privacy and the pioneering work done by this year’s winners. He emphasized that privacy is a right that should be protected constitutionally and that researchers studying digital platforms are essential for understanding evolving technologies and their impacts on our privacy. He also told the authors that their scholarship is consistent with the pioneering work of Justice Louis Brandeis and Samuel Warren, stating that “the fundamental respect that they had then underlies the work that you do for American citizens today.” He concluded his remarks by highlighting the need for an agency devoted to protecting privacy and that the work done by the authors is providing that foundation.
Following Senator Welch’s keynote address, the event shifted to discussions between the winning authors and expert discussants. The 2023 PPPM Digest includes summaries of the papers and more information about the authors.
Professor Emily Black (Barnard College, Columbia University) kicked off the first discussion of the night with Michael Akinwumi (Chief Responsible AI Officer at the National Fair Housing Alliance) by talking about her paper, Less Discriminatory Algorithms, co-written with Logan Koepke (Upturn), Pauline Kim (Washington University School of Law), Solon Barocas (Microsoft Research), and Mingwei Hsu (Upturn). Their paper analyzes how entities that use algorithmic systems in traditional civil rights domains like housing, employment, and credit should have a duty to search for and implement less discriminatory algorithms (LDAs). During her conversation, Professor Black discussed model multiplicity and argued that businesses should have an onus to proactively search for less discriminatory alternatives. They also discussed the reframing of the industry approach, what regulatory guidance could look like, and how this aligns with President Biden’s “Executive Order on the Safe, Secure, and Trustworthy Development and Use of Artificial Intelligence.”
Next, Claire McKay Bowen (Urban Institute) and Joshua Snoke (RAND Corporation) discussed their paper, Do No Harm Guide: Applying Equity Awareness in Data Privacy Methods, with Miranda Bogen (Director, AI Governance Lab at the Center for Democracy & Technology). Their paper uses interviews with experts on privacy-preserving methods and data sharing to highlight equity-focused work in statistical data privacy. Their conversation explored questions such as “What are privacy utility trade-offs?”, “What do we mean by data representation?” and highlighted real-world examples of equity issues surrounding data access, such as informing prospective transgender students about campus demographics versus protecting current transgender students at law schools. They also touched on aspirational workflows, including tools and recommendations. Attendees asked questions regarding data cooperatives, census data, and more.
Brenda Leong (Luminos.Law) and Albert Fox Cahn (Surveillance Technology Oversight Project) discussed their paper AI Audits: Who, When, How…Or Even If?with Edgar Rivas (Senior Policy Advisor for U.S. Senator John Hickenlooper (D-CO)). Co-written with Evan Selinger (Rochester Institute of Technology), their paper explains why AI audits are often regarded as essential tools within an overall responsible governance system while also discussing why some civil rights experts are skeptical that audits can fully address all AI system risks. During the conversation, Ms. Leong stated that AI audits need to be developed and analyzed because they will be included in governance and legislation. Mr. Cahn raised important questions, such as whether we have the accountability necessary for AI audits already being deployed and whether audit elements voluntarily provided in the private sector can translate to public compliance. The co-authors also discussed New York City’s 2023 audit law (used as a case study in their paper), commenting that the law’s standards and broad application potentially open the door for discussion of key issues, including those relating to discriminatory models.
During the next panel, Professor Daniel Solove (George Washington University Law School) discussed his paper Data Is What Data Does: Regulating Based on Harm and Risk Instead of Sensitive Datawith Didier Barjon (Legislative Assistant for U.S. Senate Majority Leader Charles Schumer (D-NY)). His paper argues that heightened protection for sensitive data does not work because the sensitive data categories are vague and lack a coherent theory for identifying them. In their discussion, Professor Solove noted that we can still infer sensitive information through non-sensitive data, making it difficult to know which combinations can become sensitive data and which don’t. He then stated that to be effective, privacy law must focus on harm and risk rather than the nature of personal data: “Categories are not proxies—[we] need to do the hard work of figuring out the harm and risk around data.”
Professor Solove and Mr. Barjon were then joined on stage by Hideyuki Matsumi (Vrije Universiteit Brussel) to discuss Professor Solove’s and Mr. Matsumi’s co-authored paper, The Prediction Society: Algorithms and the Problems of Forecasting the Future. Their paper raises concerns about the rise of algorithmic predictions and how they not only forecast the future but also have the power to create and control it. Mr. Barjon asked the authors about the “self-fulfilling prophecy” problem discussed in the paper, and Mr. Matsumi explained that this refers to the idea that people perform better if there’s a higher expectation to do so and vice versa. Therefore, even if an algorithmic prediction is inaccurate, individuals susceptible to or prone to believe the prediction will be impacted, and the prediction will be made true, leading to what the authors called a “doom cycle.” The authors advocated for a risk-based approach to predictions and stated that we should analyze and think deeply about predictions rather than ban them altogether.
In the evening’s final presentation, Robin Staab and Mislav Balunovic (ETH Zurich SRI Lab) discussed their paper, Beyond Memorization: Violating Privacy Via Inference with Large Language Models, with Professor Alicia Solow-Niederman(George Washington University Law School). Their paper, co-written with Mark Vero and Professor Martin Vechev (ETH Zurich SRI Lab), examined the capabilities of pre-trained large language models (LLMs) to infer personal attributes of a person from text on the internet and raised concerns about the ineffectiveness of protecting user privacy from LLM interferences. Professor Solow-Niederman asked the authors about the provider intervention suggested in the paper that could potentially align models to be privacy-protected. The authors noted that there are limitations to what providers can do and that there is a tradeoff between having better inferences across all areas or having limited inferences but better privacy. They also stated that we need to be aware that alignment is not the solution and that the way to move forward is for users to be aware that such inferences can happen and have the tools to write text from which inferences cannot be made.
As panel discussions ended, FPF SVP for Policy John Verdi closed the event by thanking the audience, winning authors, judges, discussants, the FPF Events team, and FPF’s Jordan Francis for making the event happen.
Thank you to Senator Peter Welch and Honorary Co-Hosts Congresswoman Diana DeGette (D-CO-1) and Senator Ed Markey (D-MA), Co-Chairs of the Congressional Privacy Caucus. We would also like to thank our winning authors, expert discussants, those who submitted papers, and event attendees for their thought-provoking work and support.
Later that week, FPF honored the winners of internationally focused papers in a virtual conversation hosted by FPF Global Policy Manager Bianca-Ioana Marcu, with FPF CEO Jules Polonetsky providing opening remarks.
The first discussion was moderated by FPF Policy Counsel Maria Badillo with authors Luca Belli (Fundação Getulio Vargas (FGV) Law School) and Pablo Palazzi (Allende & Brea) on their paper, Towards a Latin American Model of Adequacy for the International Transfer of Personal Dataco-authored by Dr. Ana Brian Nougrères (University of Montevideo), Jonathan Mendoza Iserte (National Institute of Transparency, Access to Information and Personal Data Protection), and Nelson Remolina Angarita (Law School of the University of the Andes). The conversation focused on diverse mechanisms for data transfers, such as the adequacy system, and the relevance and necessity of having a regional model of adequacy, including the benefits of having a Latin American model. The authors also dive into the role of the Ibero-American Data Protection Network.
The second discussion of the event was led by FPF Senior Fellow and Considerati Managing Director Cornelia Kutterer with author Catherine Jasserand (University of Groningen) on her winning paper Experiments with Facial Recognition Technologies in Public Spaces: In Search of an EU Governance Framework. Their conversation highlighted the experiments and trials in the paper as well as the legality of facial recognition technologies under data protection law. The second portion of the discussion focused on the EU AI Act and how it relates to the relevancy and applicability of the laws highlighted in the paper.
We hope to see you next year at the 15th Annual Privacy Papers for Policymakers!
Ministero dell'Istruzione
Il Ministro dell’Istruzione e del Merito Giuseppe Valditara e il Presidente del Consiglio Nazionale dell'Ordine degli Psicologi David Lazzari hanno firmato oggi un protocollo triennale per supportare il mondo della #scuola nella prevenzione delle for…Telegram
📌 Il Comitato nazionale per l’apprendimento pratico della #musica presso il #MIM organizza la XXXV Rassegna musicale nazionale delle istituzioni scolastiche del primo e del secondo ciclo scolastico.
Ministero dell'Istruzione
#NotiziePerLaScuola 📌 Il Comitato nazionale per l’apprendimento pratico della #musica presso il #MIM organizza la XXXV Rassegna musicale nazionale delle istituzioni scolastiche del primo e del secondo ciclo scolastico.Telegram
Cruciale
È prezioso e supremo il sacrificio di Cristo, ci dice l’apostolo, più di ogni argento ed oro a cui gli umani danno così grande importanza, che invece ci fanno vivere in un modo falso.
pastore D'Archino - Cruciale
Comportatevi con timore durante il tempo del vostro soggiorno terreno, sapendo che non con cose corruttibili, con argento o con oro, siete stati riscattati dal vostro vano modo di vivere tramandato…pastore D'Archino
Breaking the Silence: “I protocolli militari israeliani sono saltati, a Gaza civili uccisi in massa”
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di Eliana Riva –
Pagine Esteri, 19 marzo 2024. Solo nelle ultime ore di oggi sono stati uccisi decine di palestinesi nella Striscia di Gaza. La distruzione di due case e un appartamento a Rafah hanno causato la morte di 14 persone tra le quali bambini. Ieri, tra le vittime negli edifici dell’area dell’ospedale al-Shifa attaccati dall’esercito, c’erano 9 membri della famiglia Erbi. Due giorni fa, il 17 marzo, a Nusseirat 36 membri della famiglia Tabitibi sono stati uccisi da un bombardamento. La stessa sorte è toccata il 22 Novembre a 52 membri della famiglia Qadoura, a Jabalia: spazzate via tre generazioni, dai nonni ai nipoti. Sono solo alcune delle ultime e più note stragi civili familiari di questi 5 mesi di guerra nella Striscia di Gaza che hanno causato circa 31.800 morti e 74.000 feriti, per la stragrande maggioranza donne e bambini.
Eppure, Israele continua ad assicurare che i bombardamenti incessanti siano gestiti in maniera da ridurre al minimo le vittime civili e che le procedure garantiscono attacchi “proporzionati”. Il premier Netanyahu ha ripetuto il concetto leggendario secondo cui le IDF sarebbero “The most moral Army in the word“, l’esercito più morale del mondo. Le dichiarazioni del governo e dei vertici militari possono essere provate? Secondo alcuni veterani israeliani si tratta di menzogne: i protocolli militari sono saltati, gli attacchi hanno cambiato modalità e stanno producendo un numero enorme di vittime tra i civili di Gaza.
A marzo l’associazione israeliana Breaking the Silence ha pubblicato un report dal titolo “Il mito israeliano dell’Esercito Morale. Il fallimento dei protocolli di targeting dell’IDF sta producendo massicce vittime civili”. Breaking the Silence si occupa di raccogliere le esperienze dei soldati israeliani che si trovano a gestire e controllare ogni aspetto della vita quotidiana dell’intera popolazione palestinese. ONG istituita da veterani dell’IDF (le forze armate israeliane), per quasi 20 anni ha dato ai soldati congedati l’opportunità di raccontare le loro esperienze mantenendo l’anonimato, con l’obiettivo di sensibilizzare l’opinione pubblica sulle conseguenze di una prolungata occupazione militare.
Nel fascicolo pubblicato pochi giorni fa, l’associazione mette a confronto alcuni dei più sanguinosi attacchi israeliani su Gaza degli ultimi anni (2008-09; 2012; 2014; 2021). Le procedure utilizzate nei bombardamenti precedenti seguivano alcune direttive ideate per limitare il numero di vittime civili. Erano fallaci e spesso inutili, spiega Avner Gvaryahu, il direttore di Breaking the Silence, ma c’erano. Il riferimento è, ad esempio, alla tattica di “bussare al tetto (roof knocking)” prima di abbattere un’abitazione civile. Nella pratica si traduceva nel lancio di un razzo di avvertimento sullo stabile che sarebbe stato distrutto, con lo scopo teorico di dare il tempo (pochi minuti) alle persone al suo interno di uscirne. Questa procedura veniva utilizzata solo quando l’obiettivo dell’esercito non era un edificio militare e si puntava a distruggere l’abitazione e non uccidere chi vi era dentro. Quando, cioè, l’intelligence riteneva che uno degli appartamenti potesse essere la casa di un membro o un sostenitore di Hamas che in quel momento, però, non si trovava lì o che magari era già stato ucciso in precedenza. L’associazione israeliana B’Tselem fece notare nel 2014, non unica tra le ONG che si occupano di diritti umani, che distruggere le case dei militanti rappresenta una violazione del diritto internazionale in quanto si tratta di edifici civili e non militari. Ma l’esercito israeliano giudica qualsiasi stabile in cui viva una persona sospettata di essere sostenitrice di Hamas o di altri gruppi armati palestinesi, anche in assenza di armi e equipaggiamenti, un “quartier generale” del movimento.
La procedura del missile di avvertimento rimaneva però, quando utilizzata, molto pericolosa, imprecisa, non sicura: non tutti possono lasciare la propria casa, nel cuore della notte magari, in pochissimi minuti e allontanarsi abbastanza da non essere colpiti dai detriti del palazzo distrutto. Persone anziane, bambini, malati, posso rimanere bloccati. A volte altri edifici dell’area, e quindi altre famiglie, sono state pesantemente coinvolte nell’abbattimento.
In ogni caso, a differenza del passato, nell’attacco cominciato a ottobre, dopo l’incursione di Hamas che ha causato circa 1.200 vittime in Israele, questa procedura non viene utilizzata. Richiede tempo e un intervento manuale e le IDF si affidano questa volta a procedure automatizzate che velocizzano gli attacchi e colpiscono un numero elevato di obiettivi in un tempo ristretto.
Breaking the Silence fa presente che le informazioni di tipo strutturale (presenza umana, densità abitativa) che venivano prima utilizzate per calcolare la potenza degli attacchi e stimare i “danni collaterali” (anche in questo caso inadeguate a proteggere i civili), sono diventate vetuste. Il numero di esseri umani presenti in un quartiere residenziale, ad esempio, è stato completamente mutato dai trasferimenti di massa ordinati dallo stesso esercito. Se prima l’intercettazione dei cellulari veniva utilizzata per mappare le persone all’interno della Striscia e sapere chi si trova dentro una struttura, oggi richiede tempo e non è tra le priorità di Israele. Le informazioni così ricavate servivano, ad esempio, ad avvisare telefonicamente responsabili di ONG straniere, membri delle Nazioni Unite o di altre organizzazioni umanitarie, giornalisti, di lasciare l’edificio nel quale si trovavano perché stava per essere attaccato. Anche questa metodologia era assolutamente imprecisa. Basti pensare che rappresentanti di associazioni con progetti nella Striscia hanno ricevuto la telefonata dell’esercito che gli intimava di lasciare l’edificio nel quale si trovavano anche se in quel momento erano, in realtà, in un altro Paese e, addirittura, in un altro continente.
L’impressionante frequenza degli attacchi è resa oggi possibile, spiega l’ONG, anche da un nuovo sistema di intelligenza artificiale che genera nuovi potenziali bersagli. “Un sistema progettato per produrre obiettivi in serie compromette inevitabilmente la precisione e aumenta i danni ai civili, come evidenziato dallo sconcertante bilancio delle vittime a Gaza negli ultimi mesi”. Tutto ciò accade quando “gestire il conflitto” diventa l’unico obiettivo in assenza di un piano complessivo e realistico che conduca verso la fine e oltre la guerra. Pagine Esteri
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L'articolo Breaking the Silence: “I protocolli militari israeliani sono saltati, a Gaza civili uccisi in massa” proviene da Pagine Esteri.
Cavi sottomarini, un nodo strategico ancora sconosciuto
@Politica interna, europea e internazionale
La violenza nel Mar Rosso porta all’attenzione un tema su cui sappiamo poco: i cavi che garantiscono i collegamenti internet nel mondo. Ecco perché sono così importanti
Negli ultimi mesi, l’escalation di violenza nel Mar Rosso, con i ripetuti attacchi dei ribelli Houthi yemeniti, ha portato all’attenzione generale un tema fino a poco tempo fa poco conosciuto: quello della strategicità (oltre che della presenza) dei cavi sottomarini che garantiscono i collegamenti internet nel mondo.
Non tutti sanno infatti che solo l’1% del traffico web globale scorre su cavi su terraferma, mentre il restante 99% transita sotto i mari, dove il traffico transatlantico di dati raddoppia in media ogni due anni
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Ministero dell'Istruzione
"Progetto Infinity2: una scuola nello spazio", il #20marzo alle ore 11, presso la Sala Aldo Moro del #MIM si terrà la presentazione dell’iniziativa di didattica sperimentale aerospaziale sviluppata dal Liceo Scientifico Enrico Medi di Montegiorgio (F…Telegram
Chi non muore si rivede
di Marco Travaglio
La notizia non è che Putin ha vinto le elezioni dopo un testa a testa mozzafiato con se stesso. Ma che l’autocrate è ancora vivo, è saldo al comando, ha più consensi di quando invase l’Ucraina, la Russia esiste ancora, i russi sono contenti per la guerra e l’economia (il sondaggista indipendente Volkov a Repubblica: “I russi stanno col leader per l’economia e per Kiev. Un ruolo importante lo hanno giocato anche l’aumento di salari, pensioni e benefit sociali”). Che strano. Le famose sanzioni non hanno mandato Mosca “in default entro qualche giorno” (Letta, 9.3.’22), né avuto “il massimo impatto in estate” (Draghi, 31.5.’22), né sortito “effetti devastanti” (Gentiloni, 4.6.’22). Eppure gli espertoni erano unanimi. Mario Deaglio: “Il rublo non vale più nulla”. Dario Fabbri: “Comunque vada, il fallimento della Russia è già evidente”. Rep: “Il default russo è a un passo”. Stampa: “Per la Russia è default”. Giornale: “Mosca è in default (ma solo tra un mese)”. La sua “Armata Rotta” che “combatte con pale del 1869” e “le dita al posto delle baionette”, ha “finito i russi”, “le divise”, “le munizioni”, ”i missili” ed estrae “i chip per i carri armati da lavatrici, frigoriferi e addirittura tiralatte elettrici”, passava da una disfatta a una ritirata. E l’Invincibile Armata Kiev-Nato trionfava. Rampini: “È iniziata la disfatta militare russa”. Tocci: “Putin ha perso la guerra”. Ferrara: “Kiev le sta dando di santa ragione al colosso russo”. Riotta: “Putin sconvolto dalla Caporetto dell’esercito”. Molinari: “Putin isolato in un vicolo cieco”.
Sempreché fosse ancora vivo. Il dissidente Khodorkovsky alla Cnn: “Putin è impazzito, gli resta un anno o forse tre”. Recalcati (Rep): “Malato? Sofferente? Intaccato dalla morte”. New Lines: “Ha un tumore del sangue”. Daily Telegraph: “Sta morendo di cancro all’intestino”. Proekt, giornale indipendente russo: “Ha un tumore alla tiroide e lo cura facendo il bagno nel sangue estratto da corna mozzate di cervo”. Libero: “Cura il cancro con i clisteri”. Rep: “Il gonfiore del viso, il problema a una gamba, la fatica a muovere un braccio”. Messaggero: “Gonfiore e scatti d’ira da farmaci e steroidi per il tumore”. Stampa: “Demenza senile o Parkinson”. Corriere: “Problemi alla colonna vertebrale per pregressi traumi sportivi, o una neoplasia al midollo spinale compatibile con difficoltà deambulatorie e irrequietezze posturali… down depressivo ed esaltazione maniacale”. Giornale: “Può anche essere diabete”. Messaggero: “Putin è morto? Per Zelensky, ‘non è sicuro che sia ancora vivo’. Quello sugli schermi potrebbe essere una controfigura”. Ora che la cara salma ha rivinto le elezioni con una discreta cera, sorge un dubbio atroce: uno scambio di cartelle cliniche fra la sua e quella di Biden.
I venti della normalizzazione rimodellano l’immagine dell’Arabia Saudita
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di Safa Naser* – Carnegieendowment.org/sada
“Insegnate ai vostri figli che la Palestina è occupata e che non esiste uno Stato chiamato Israele.” Queste furono le parole del re Faisal bin Abdulaziz, che governò l’Arabia Saudita fino al 1975, e il cui regno è ancora considerato il più fermamente favorevole alla Palestina nella memoria popolare.
Coloro che hanno vissuto quell’epoca e i periodi successivi ricorderanno che i media statali sauditi si sono astenuti persino dal nominare Israele, usando invece termini come “il nemico sionista”, “l’esercito di occupazione” e “il ministro della guerra”. Durante i periodi di intenso conflitto nei territori palestinesi, i canali ufficiali sospendevano prontamente la programmazione regolare in osservanza di un “periodo di lutto” e dedicavano ampio tempo di trasmissione alla cronaca di eventi e al lancio di campagne di donazioni per i palestinesi.
È solo ricordando questa storia che si può cogliere il drastico cambiamento nella posizione dell’Arabia Saudita. Oggi, il festival di intrattenimento e sport Riyadh Season continua nel mezzo del conflitto in corso nella Striscia di Gaza, e scrittori e professionisti dei media sauditi adottano regolarmente la narrativa israeliana quando documentano la realtà della guerra.
Si è trattato di un cambiamento graduale avvenuto nel corso di molti anni, ma iniziato dopo gli attentati dell’11 settembre 2001 e le accuse di coinvolgimento saudita. L’Arabia Saudita si è affrettata ad assolversi dall’accusa di aver propagato una “cultura della morte” e dell’estremismo religioso adottando un discorso mediatico critico nei confronti della religione. La Palestina e le fazioni della “resistenza islamica”, già respinte dalla comunità internazionale e dall’asse arabo della “moderazione”, alla fine sono diventate il bersaglio di questo discorso. In più di un’occasione, quando Gaza è stata bombardata, la stampa saudita ha ridicolizzato della resistenza palestinese e si è allineata con Israele, giustificando i suoi attacchi come risposte alle provocazioni di Hamas.
Il canale Al-Arabiya, fondato nel 2003, ha rafforzato la nuova direzione dell’Arabia Saudita adottando un approccio mediatico che alcuni consideravano al servizio degli interessi dell’Occidente, aprendo la strada alla normalizzazione nella regione e promuovendo l’idea del diritto storico di Israele alla terra di Palestina.
L’erede al trono saudita Mohammed bin Salman
La trasformazione si estese anche all’establishment religioso ufficiale del Paese. Nel 2012, il Ministero degli Affari islamici ha incaricato gli imam della Grande Moschea della Mecca di astenersi da qualsiasi supplica contro gli ebrei al termine dei sermoni del venerdì, sottolineando che “pregare per la distruzione di ebrei e cristiani non è conforme alla Sharia. ” Sono invece emersi sermoni che reinterpretavano Aqeedat Al-Walaa wal Baraa, la dottrina di Fedeltà e Rinnegamento, sottolineando che le credenze religiose sulla lealtà dei non musulmani non dovrebbero estendersi alle relazioni internazionali.
Alla fine del 2020, dopo che gli Accordi di Abraham hanno stabilito relazioni diplomatiche tra Israele e gli Emirati Arabi Uniti, l’Arabia Saudita ha rivisto i suoi programmi scolastici per eliminare i contenuti che rappresentavano gli ebrei in una luce negativa. Ora, la normalizzazione non è più un segreto né un sogno lontano: il principe ereditario saudita Mohammed bin Salman ha dichiarato apertamente, durante una recente intervista con Fox News, che il suo paese si sta costantemente muovendo verso la normalizzazione delle sue relazioni con Israele.
Tuttavia, dato lo status di Israele come “nemico storico” dei sauditi, per preparare l’opinione pubblica ad accettare la normalizzazione è stato necessario reindirizzare questa ostilità verso un obiettivo diverso. Sui social media, gli account sauditi lanciano campagne quotidiane contro i palestinesi, con il pretesto di rispondere a tweet ritenuti offensivi nei confronti dell’Arabia Saudita. Frasi come “I palestinesi ci odiano” e “I palestinesi hanno venduto la loro terra” sono circolate ampiamente su siti web popolari, mentre hanno guadagnato terreno anche hashtag come “La Palestina non è la mia causa” e “Israele non è il mio nemico”. Ci sono state anche campagne che mirano a seminare dubbi sugli eventi storici, inclusa l’uccisione di Muhammad al-Durra nel 2000, e a minare il legame storico dei palestinesi con la terra in generale.
Molti sostengono che il discorso sui social media non riflette accuratamente la posizione popolare saudita, suggerendo che i sauditi si oppongono silenziosamente alla politica del loro governo. I risultati di un recente sondaggio d’opinione, che ha indicato che Israele rimane impopolare presso la maggioranza dei sauditi, sembrano sostenere questa idea. Una piccola percentuale della popolazione potrebbe accettare la normalizzazione, purché questa rimanga limitata alle sole relazioni economiche. Tuttavia, anche questa minoranza è diminuita durante il recente conflitto a Gaza, sebbene rimanga superiore ai livelli precedenti agli Accordi di Abramo. Forse, quindi, è solo questione di tempo prima che emerga una nuova Arabia Saudita, dove la Palestina non trova posto.
Tuttavia, a prescindere dal sostegno ufficiale dello Stato e dei media alla normalizzazione, è probabile che si trovi ad affrontare una resistenza duratura da parte della popolazione saudita, anche se oscurata dallo stretto controllo di sicurezza dello Stato. La causa palestinese è profondamente radicata nella coscienza collettiva saudita – esemplificata dal video di un bambino saudita in lacrime per la sofferenza di Gaza – e rimarrà tale nelle generazioni attuali e future di cittadini sauditi.
*Safa Naser è una giornalista e ricercatrice indipendente dello Yemen. Seguitela su X @SafaNaser
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In Cina e Asia – Putin incassa le congratulazioni di Cina, India e Corea del Nord
I titoli di oggi: Elezioni in Russia, congratulazioni a Putin da Cina, India e Corea del Nord Usa commissionano a SpaceX centinaia di satelliti spia. Pla: “minacciata sicurezza globale” Evergrande: Hui Ka Yan accusato di frode per 80 miliardi di dollari In Cina e Corea del Sud aumentano i matrimoni per la prima volta in dieci anni Giappone: banca centrale ...
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Il femminismo in Cina non vuole prendere un thè
Wei Tingting è in cella da qualche ora. Gli agenti le hanno confiscato gli occhiali, lasciandola sola e confusa con la sua grave miopia. Per farsi forza, ma soprattutto per far sentire la sua voce alle compagne nelle stanze a fianco, intona: «Spezziamo le nostre pesanti catene; rivendichiamo il nostro potere di donne». Sono versi di una canzone fatta girare ...
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Our Live Coverage of FediForum March 2024!
FediForum is a wonderful unconference intended for builders, designers, and thinkers to come together and have discussions about the Fediverse.
wedistribute.org/2024/03/fedif…
Don’t Forget: FediForum is Coming Soon!
FediForum is the Fediverse’s recurring unconference where developers, community members, designers, and thinkers come together to share their ideas!
We’re trying something new this year: we’re live-blogging the event from on the page. It’s largely an experiment, but it’s an effort to provide deeper insight into the various events happening throughout the day. Keep an eye on the updates below!
When does it start?
FediForum starts at 8am Pacific Daylight Time, on Tuesday, March 19th, and again at the same time on Wednesday, March 20th.
What is the schedule?
A tentative schedule can be found on the site here. We’re going to do our best to cover the presentations, discussions, and demos as they come up.
Where can the readers hang out?
Regardless of whether you’re attending the conference, or just checking out updates from this page, you’re welcome to come hang out in our Matrix Space, under our Off-Topic Island channel.
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The Efforts to Extend ActivityPub
ActivityPub is at an interesting place. Since its intial adoption by Mastodon in 2017, the standard has become all but ubiquitous across the Fediverse. In less than seven years, it has become the most-used protocol across the entire network.
According to FediDB, the ActivityPub side of the Fediverse is now used by nearly 10 million people, across more than 27,000 servers. FediDB also tracks 48 different platforms leveraging ActivityPub in some way. With Threads actively doing work their own implementation, these stats are likely to skyrocket, in more ways than one.
This kind of growth is a really positive sign for the network, as it suggests that widespread adoption of the Fediverse might actually be feasible. In order to get there, though, a number of developers have looked at ActivityPub and wondered: what could we do to make this better?
Table of Contents
What does ActivityPub need?
While the Fediverse has seen an explosion of features involving chat, multimedia, live streaming, groups, events, and more, some people would say that the network suffers from a few glaring omissions.
In light of some of the developments taken on by Nostr and Bluesky, ActivityPub can feel downright limited in terms of what platforms in the Fediverse can do today:
- Bluesky makes server migration dead simple for users, leading to a process that feels seamless and non-intrusive.
- Bluesky offers a stackable moderation system that allows people to subscribe to labeling services and help each other curate and filter the network.
- Nostr benefits from a relay system that eschews the need for dedicated instances entirely, instead relying on keys for identity.
- While a little more on the cryptocurrency side of things, Nostr incorporates direct payments into the network, allowing creators to compensate each other.
This isn’t a proclamation that ActivityPub is inherently bad, so much as these other projects can offer advantages that most existing implementations lack.
There are a lot of big ideas on how to improve the situation, and it boils down to two problem areas:
- The ActivityPub protocol specification
- The ecosystem built around ActivityPub.
ActivityPub’s Protocol
The ActivityPub protocol is the heart and soul of most Fediverse platforms these days. As a specification, it stipulates methods and behaviors for implementations to follow. Unfortunately, critics have pointed to the fact that the spec can feel too flexible in defining some behaviors, but too loose in defining others.
“The spec is incomplete,” writes Ilja, a regular contributor to Akkoma, “if someone makes a followers-only post and someone replies, then the ‘Mastodon way’ is to address the reply to the followers of the account who replies. The proper way to handle this, is by addressing the followers collection of the OP, and let OP forward the Activity to its followers. But we don’t do that because we don’t know how to do forwarding.”
Another headache that exists for implementors right now comes from most ActivityPub platforms needing to rely on undefined behavior. The following pieces are heavily relied on, but don’t exist in the spec:
- Webfinger – Webfinger is a common tool and data format for looking up resources at an address. If you’ve ever copied and pasted a URL into search to pull in a remote post, Webfinger is what powers it!
- Privacy Scopes – in standard ActivityPub, servers make use of
to
andcc
fields to determine which people a post gets sent to. These fields can address individual Actors, or a Collection of Actors. However, there isn’t really a specification on how scopes ought to work: Quiet Public, Followers-Only, Private Mention and Local-Only are all examples of privacy scopes that not only define a grouping of people, but also behavior for posts themselves. - Account Migration – Mastodon kind of set the standard for moving accounts from one server to another: your old profile Authenticates your new one, and a relationship is established. After the primary account is set, the old account gets marked with a
Tombstone
object that redirects to the new profile. - Moderation Tooling – federated reports, instance blocks, management of blocklists and permission levels, individual user moderation, etc. This is a rapidly evolving space that depends heavily on collaboration.
However, they’re absolutely required for a working platform to exist in the Fediverse. This leads to implementors to do a lot of extra work to figure out how things work today, and how to correctly use them.
ActivityPub’s Ecosystem
The ecosystem built around ActivityPub suffers from problems, too. Despite aspirations to provide a common protocol between very different kinds of platforms, the Fediverse still predominantly looks and works like Mastodon.
There are three reasons for this:
- Lack of a Test Suite – ActivityPub was first adopted by Mastodon, which acted as rocket fuel for mass adoption of the standard. However, the lack of an independent testing suite for implementors left builders to instead test against Mastodon, making it a de facto standard.
- Bespoke Client APIs – In addition to a server-to-server federation protocol, ActivityPub offers a secondary spec for client-server relationship. Mastodon ended up pushing it’s own API that was arguably easier to use, but just about every platform in the space could have instead been a client, instead of building their own stacks, APIs, and federation extensions.
- Duplication of Effort – A very weird phenomenon in this space is that implementors don’t just build something once. As of this writing, there are approximately six different Group Actor implementations, all of which are built slightly differently, made by different people, and meant to solve different problems.
None of these things are necessarily earth-shattering problems per se, but we’ve ended up with an ecosystem where a lot of effort gets duplicated, people are implementing entire platforms from scratch, and everyone is also using Mastodon as a compatibility benchmark.
Ongoing Efforts
The important thing to remember is that this is far from a hopeless situation. As of this writing, there are some incredibly smart people trying to figure out how to fill in the gaps.
“The most important thing about ActivityPub is that it’s extensible,” says ActivityPub co-author Evan Prodromou, “that’s a strength; it means we can really quickly get new distributed social applications running on the network.”
These groups all intersect in a variety of ways, and each one of them is attempting to attack specific problem areas. They’re constantly comparing notes, holding deep discussions, and investigating what enhancements the whole Fediverse might benefit from.
FediDevs
The Fediverse Developer Network is a newer effort that aims to make development more approachable to implementors and newcomers alike. Their goal? Get people in a room together.
“How do we build this stuff to be compatible with other people’s projects, while also lifting the lowest common denominator for everybody?” says FediDevs founder Johannes Ernst, ” It probably starts with making it easier for developers to find each other and compare notes.”
According to Johannes, FediDevs incorporates three big ideas:
- Developers in the Fediverse ought to have an easy way to find where everyone else is at, and catch up on what’s happening.
- New developers need a resource library of best practices, emerging concepts, and documentation to prepare for connecting their apps to a global federated network.
- There needs to be a place to publish guides and tools that make everyone’s lives easier.
FediDevs has already beared fruit through a project called FediTest, a test suite intended to provide different “test profiles” so that builders can see how their own work might interact with other platforms.
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Even though FediTest is still very young, the promise of such an effort is clear: people could stop relying on a specific platform for compatibility testing, and instead use a more flexible, agnostic solution that accounts how lots of different projects do things.
Fediverse Enhancement Proposals
The Fediverse Enhancement Proposals project is a comprehensive effort to distill some of the network’s best ideas into standardized documents that explain how they should work. The effort is an initiative of the SocialHub developer community, and serves as a testbed for their ideas.
FEP is very much in the spirit of XMPP Extension Protocols or Nostr Implementation Possibilities, suggesting ways that existing systems could be extended. Check out some of these ideas:
- FEP-1b12: Group federation – Specifies how a federated group or forum could work. Originally, this was proposed by Nutomic from the Lemmy project, and now Lemmy, Kbin, and Friendica all support this as a standard.
- FEP-5624: Per-object reply control policies – Some centralized platforms have a way to disable comments or replies on a status. What would it take to make this work in a federated model?
- FEP-5feb: Search indexing consent for actors – People on Mastodon can opt-in to being discovered by the Search function. How might we extend this to other Fediverse platforms?
- FEP-c390: Identity Proofs – How might a Fediverse Identity prove its authenticity, while also verifying associated links and accounts?
- FEP-ef61: Portable Objects – How might we separate user data from an instance, so that the user can move it if they need to migrate somewhere else?
- FEP-61cf: The OpenWebAuth Protocol – Derived from the Hubzilla Project’s technology. Wouldn’t it be great if you could use your Fediverse identity across the network? No matter what server URL you land on, permissions can be unlocked for you to perform basic interactions and see private content.
The repository contains a treasure trove of ideas, ranging from immediately obvious needs to larger, more abstract concepts about how the network could work one day. Many of these submissions are still in a DRAFT
status for the moment, but a few of the FINAL
entries are actively being used. The project is already helping the network develop further.
Social Web Incubator Community Group (SocialCG)
The SocialCG is an implementor’s group that focuses on best practices for those building on ActivityPub. A big focus for the group involves running case studies for different conventions are approached within the Fediverse. Here are a few ongoing studies:
- HTTP Signatures – An examination of how systems like Mastodon use cryptographic signatures as identity proofs on actors and their activities.
- ActivityPub-Webfinger – Studying the how and why so many ActivityPub systems rely on Webfinger to fetch remote data.
- Testing – A monumental collaboration between dozens of people, this is an ongoing study of existing ActivityPub Testing Suite tools, and insights on how exactly a standard test suite could be built.
- Data Portability – researching existing cases for moving data, activities, objects, and Actors across the network.
Towards ActivityPub 2.0
So, what does all of this add up to? Is it possible to bring all of this work into an updated version of the ActivityPub Protocol standard?
“I think there will be a working group chartered at the W3C to make backwards-compatible changes,” Evan Prodromou explains, “especially clarifying difficult text, and possibly recommending profiles for other standards…”
Despite the importance of the W3C and standardization, though, Evan also believes that there’s value to the fast-paced development of emerging projects with new ideas.
“…the innovation is always going to be at the edge, with new extensions.”
I, for one, agree with him. There’s some amazing developments happening in the space, and the future is looking bright.
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Ministero dell'Istruzione
#NoiSiamoLeScuole questa settimana è dedicato all’Istituto Superiore di Istruzione “Marconi” di Piacenza che, con i fondi del #PNRR “Scuola 4.Telegram
#NotiziePerLaScuola
È disponibile il nuovo numero della newsletter del Ministero dell’Istruzione e del Merito
🔶 Al via Fiera Didacta Italia, il programma completo del #MIM
🔶 Aran e sindacati sottoscrivono ipotesi di contratto dei dirigenti scolastic…
Ministero dell'Istruzione
#NotiziePerLaScuola È disponibile il nuovo numero della newsletter del Ministero dell’Istruzione e del Merito 🔶 Al via Fiera Didacta Italia, il programma completo del #MIM 🔶 Aran e sindacati sottoscrivono ipotesi di contratto dei dirigenti scolastic…Telegram
imolaoggi.it/2024/03/18/sondag…
imolaoggi.it/2024/03/18/zelens…
imolaoggi.it/2024/03/18/zelens…
imolaoggi.it/2024/03/18/tajani…
L’Altra Asia – Marcos il "turista”, difensore delle Filippine
Il grande attivismo diplomatico del presidente delle Filippine, Ferdinand Marcos Jr., che difende la sovranità di Manila sul Mar cinese meridionale.
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In Cina e Asia – Corea del Sud: focus sull’IA al Vertice per la democrazia
Corea del Sud: focus sull'IA al Vertice per la democrazia
IA, la Cina "non è in grado di eguagliare gli Usa"
La Cina utilizza sempre più
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GAZA. Nuovo raid dell’esercito israeliano nell’ospedale Shifa
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della redazione
Pagine Esteri, 18 marzo 2024 – Rastrellamenti israeliani sono in corso dalla scorsa notte intorno e dentro l’ospedale Shifa di Gaza city. Fonti palestinesi riferiscono di bombardamenti che hanno provocato morti e feriti nell’area della principale struttura sanitaria di Gaza e di una situazione di grave pericolo per il personale medico e i pazienti. Molti degli sfollati che vi avevano trovato un rifugio sono scappati.
Le forze israeliane, che parlano della presenza nell’ospedale di “miliziani di Hamas”, hanno rioccupato l’edificio con il reparto di chirurgia. Decine di persone sono state arrestate e portate via dai soldati. Lo Shifa venne circondato e poi invaso lo scorso novembre dall’esercito israeliano che lo riteneva una copertura per una base sotterranea di Hamas.
L’offensiva israeliana va avanti ovunque a Gaza in piena crisi umanitaria. Tra sabato sera e ieri si sono registrati oltre 90 morti palestinesi in raid aerei su Nuseirat, Deir al Balah e altre località. Ieri il premier israeliano Netanyahu e il capo di stato maggiore Herzi Halevi hanno ribadito che l’esercito continua a prepararsi ad avanzare sulla città di Rafah sul confine con l’Egitto. L’operazione contro quello che Israele definisce “l’ultimo bastione di Hamas”, desta forti preoccupazioni per le conseguenze che potrebbe avere per oltre un milione di civili palestinesi sfollati in quella zona. Pagine Esteri
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Sudan. Milioni di persone sono alla fame a causa della guerra
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della redazione
Pagine Esteri, 18 marzo 2024 – Quasi cinque milioni di persone in Sudan nei prossimi mesi soffriranno la fame in alcune parti del paese dilaniato dalla guerra. L’allarme è stato lanciato dal capo degli aiuti umanitari dell’Onu, Martin Griffiths.
I livelli acuti di fame, spiega Griffiths, sono causati dal grave impatto del conflitto sulla produzione agricola, dai danni alle principali infrastrutture e ai mezzi di sussistenza, dalle interruzioni dei flussi commerciali, dai forti aumenti dei prezzi, dagli ostacoli all’accesso umanitario e dagli sfollamenti su larga scala.
“Senza assistenza umanitaria urgente e accesso ai beni di prima necessità…quasi 5 milioni di persone potrebbero scivolare in una catastrofica insicurezza alimentare in alcune parti del paese nei prossimi mesi”, ha detto
Si prevede che quasi 730.000 bambini in tutto il Sudan soffriranno di grave malnutrizione acuta, compresi oltre 240.000 bambini nel Darfur. “Un aumento senza precedenti nel trattamento del deperimento grave, la manifestazione più letale della malnutrizione, è già stato osservato nelle aree accessibili”, ha affermato Griffiths.
La guerra è scoppiata in Sudan il 15 aprile 2023 tra l’esercito sudanese e le Forze paramilitari di supporto rapido (RSF). Secondo le Nazioni Unite quasi 25 milioni di persone – metà della popolazione del Sudan – hanno bisogno di aiuti e circa 8 milioni sono fuggiti dalle proprie case. Pagine Esteri
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ISRAELE. Come i notiziari televisivi si sono uniti allo sforzo bellico contro Gaza
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Di Eyal Lurie-Pardes* – + 972 Local Call
(traduzione di Federica Riccardi)
Negli ultimi mesi, le persone di tutto il mondo hanno seguito da vicino la continua brutalità della guerra a Gaza. Immagini di palestinesi in fuga verso sud e alla ricerca di parenti sotto le macerie, video di bambini alla ricerca di cibo e acqua, queste e altre ancora sono circolate sui social media e sulle reti di informazione ogni giorno dal 7 ottobre.
Ma queste immagini non si trovano praticamente da nessuna parte nei media israeliani. La maggior parte dei notiziari israeliani raramente aggiorna il numero di vittime palestinesi – che ha superato i 30.000 – né informa i propri spettatori che circa il 70% delle vittime dell’offensiva israeliana sono donne e bambini.
La meta-narrazione presentata dai media israeliani definisce l’attacco di Hamas al sud di Israele come la genesi e il cuore dell’attuale crisi geopolitica. Ogni giorno c’è una nuova angolazione sugli eventi del 7 ottobre: nuovi filmati delle incursioni di Hamas nei kibbutzim, testimonianze di soldati che hanno partecipato alle battaglie o interviste ai sopravvissuti. Inoltre, i giornalisti israeliani coprono gli eventi attuali a Gaza quasi interamente attraverso l’unica lente del 7 ottobre e dei suoi effetti a catena.
Si tratta di una decisione consapevole dei media israeliani. In un’intervista al New Yorker, Ilana Dayan, una delle più apprezzate giornaliste israeliane, ha spiegato: “Intervistiamo le persone sul 7 ottobre – siamo bloccati al 7 ottobre”. Oren Persico, collaboratore di The Seventh Eye, una rivista investigativa indipendente che si occupa di libertà di parola in Israele, ha dichiarato a +972: “C’è un circolo vizioso in cui i notiziari si astengono dal mettere il pubblico di fronte alla scomoda verità e, di conseguenza, il pubblico non la chiede”.
Questo circolo vizioso è comprensibile, in una certa misura. L’attacco del 7 ottobre è stato forse la più grande calamità della storia di Israele. Nel giorno più letale per il popolo ebraico dal 1945, più di 1.200 israeliani sono stati uccisi e 243 sono stati portati come ostaggi a Gaza, la maggior parte dei quali civili. Per la prima volta nella storia dello Stato, un nemico ha conquistato temporaneamente il territorio controllato da Israele. Gli ebrei israeliani continuano a elaborare questo trauma nazionale e, di conseguenza, non hanno ancora recuperato un senso di sicurezza. Le testate giornalistiche, quindi, non solo alimentano il pubblico con una particolare narrazione, ma riflettono anche oggettivamente il sentimento dominante.
Tuttavia, negli ultimi cinque mesi, i media israeliani hanno fatto molto di più che rispecchiare semplicemente la società israeliana. I media, e in particolare i notiziari televisivi, hanno intrapreso azioni per posizionarsi come incarnazione del patriottismo israeliano. Definiscono ciò che è di interesse pubblico, tracciano i confini del discorso politico legittimo e presentano solo una certa verità ai cittadini israeliani. Questa posizione serve sia i loro interessi commerciali sia gli interessi nazionali dichiarati dal governo e dalle forze armate. In questo modo, i notiziari televisivi si muovono costantemente su una linea sottile tra propaganda e giornalismo.
Per capire perché i media israeliani coprono la guerra di Gaza in questo modo, è fondamentale comprendere le tendenze storiche dei media e il loro ruolo nello spostare l’opinione pubblica israeliana verso destra. I media sono diventati parte indelebile di un ciclo in cui gli israeliani diventano sempre più nazionalisti e militaristi, il che li rende avidi di notizie che celebrano la guerra e oscurano o addirittura omettono la copertura dei suoi costi. Il pubblico riceve solo questa narrazione celebrativa e il circolo vizioso continua.
Per analizzare questa realtà, l’analisi che segue si concentra principalmente sui notiziari televisivi, che sono il mezzo predominante attraverso il quale gli israeliani fruiscono delle notizie. Ma lo stesso schema si manifesta in tutte le altre forme dei media, rendendo il ciclo pervasivo.
La trasformazione del panorama mediatico
Fino agli anni Duemila, l’informazione televisiva generalista era considerata una roccaforte dell’élite sionista laica e liberale. Questa élite controllava le emittenti pubbliche finanziate dal governo, che hanno avuto il monopolio delle trasmissioni fino agli anni ’90, e successivamente del Canale 12 e del Canale 13, di proprietà privata.
Tutti questi canali si rivolgevano generalmente a un pubblico centrista e, in generale, raramente contestavano l’occupazione israeliana, il movimento dei coloni o le violazioni operate delle forze di sicurezza. Hanno avuto una forza maggiore quando hanno raccontato altre questioni liberali come la corruzione del governo, l’uguaglianza di genere e, negli ultimi anni, i diritti LGBTQ+. Atteggiamenti simili si riscontrano nei media scritti, con la notevole eccezione del quotidiano di sinistra Haaretz, che pubblica un giornalismo più rigoroso sulle questioni palestinesi. Tuttavia, vale la pena notare che, nonostante l’alto riconoscimento del nome di cui gode all’estero, Haaretz ha un pubblico israeliano relativamente limitato – circa il 5% dei lettori di giornali locali.
Negli ultimi due decenni la scena giornalistica in Israele ha subito cambiamenti tettonici. Da istituzione prevalentemente centrista, si è trasformata in un campo polarizzato: un polo è una macchina dichiaratamente di destra e l’altro è apologeticamente centrista, nel timore di essere percepito come troppo di sinistra.
Fin dal primo mandato di Benjamin Netanyahu come primo ministro, alla fine degli anni ’90, egli ha criticato aspramente i media tradizionali, definendoli una fonte di informazione di estrema sinistra e inaffidabile. (Questa ossessione per i media è alla base delle accuse di corruzione che sta affrontando, tutte legate ai suoi tentativi di influenzare i media israeliani per ottenere una copertura lusinghiera). Dopo la sua prima estromissione, nelle elezioni del 1999, Netanyahu ha deciso che per tornare al potere era indispensabile rimodellare i media israeliani.
Ha raggiunto questo obiettivo creando un amplificatore indipendente per se stesso e per le sue opinioni, aggirando i media tradizionali. Nel 2007, Netanyahu avrebbe convinto Sheldon Adelson a fondare il quotidiano gratuito Israel Hayom, che gradualmente è diventato il giornale più letto in Israele. Fino alla morte di Adelson, avvenuta qualche anno fa, e ai successivi cambiamenti nella sua redazione, il giornale era immancabilmente favorevole a Netanyahu.
Il primo ministro ha voluto rimodellare anche l’ecosistema dei notiziari televisivi per il loro ruolo determinante nell’influenzare il sentimento pubblico. Sotto il controllo del suo partito Likud, il Ministero delle Comunicazioni ha promosso cambiamenti normativi che hanno permesso al Canale 14 di trasformarsi da “canale del patrimonio culturale” (autorizzato a trasmettere programmi sull’ebraismo) in un vero e proprio canale di notizie che fornisce ore di copertura al giorno, rendendolo una versione israeliana di Fox News. In mezzo alla polarizzazione politica su Netanyahu e la revisione del sistema giudiziario, la popolarità di Canale 14 è cresciuta, soprattutto tra i sostenitori di Netanyahu, rendendolo secondo solo a Canale 12 in termini di audience.
Questi cambiamenti strutturali hanno coinciso con un cambiamento nella composizione dei giornalisti in Israele. Poiché negli ultimi 20 anni la società israeliana è diventata più di destra, soprattutto per quanto riguarda la questione palestinese, è aumentato anche il numero di giornalisti sionisti religiosi di destra, molti dei quali coloni.
Persico, di The Seventh Eye, ha affermato che questi cambiamenti “creano due universi paralleli con presupposti fondamentali anch’essi paralleli, divisi tra Bibisti e non-Bibisti”. Ma anche sui canali mainstream, ha proseguito, “le dichiarazioni di incitamento che una volta si sentivano solo nelle prediche settimanali delle sinagoghe religiose sioniste possono ora essere ascoltate da importanti redattori e giornalisti”. Per esempio, su Canale 12, solo alcuni corrispondenti e ospiti sostengono la necessità di ristabilire gli insediamenti a Gaza, mentre su Canale 14 lo fanno in modo più esplicito ed esteso.
Il portavoce militare israeliano Daniel Hagari
Abbracciare la propaganda
Dopo la guerra di Gaza del 2014 – in cui sono stati uccisi 68 israeliani e oltre 2.200 palestinesi – Dana Weiss, una delle principali corrispondenti di Channel 12, si è lamentata del fatto che una delle lezioni della copertura della guerra è che i media israeliani dovrebbero fare di più per mettere in evidenza le voci dei palestinesi nella Striscia. “La propensione degli israeliani ad ascoltare le domande difficili sta svanendo”, ha avvertito.
Ma nel clima nazionalista creatosi all’indomani del 7 ottobre, la copertura della devastazione che Israele sta scatenando a Gaza è introvabile. Alcuni giornalisti hanno persino messo in dubbio che i media debbano pubblicare storie che potrebbero danneggiare il morale nazionale.
Fin dall’inizio della guerra, i canali televisivi hanno guidato lo sforzo di hasbara in Israele. Hasbara – che in ebraico significa “spiegare” – è usato per descrivere il sostegno a favore di Israele, ma è essenzialmente un discorso ambiguo di propaganda. Elementi di hasbara compaiono in ogni canale televisivo. Ad esempio, dal 7 ottobre, il logo di ogni canale è stato modificato per includere la bandiera israeliana e lo slogan governativo “Yachad Nenatzeach” (“Insieme vinceremo”).
Come parte di questa hasbara, tutte le reti di informazione mainstream ritraggono Israele come la vittima finale e gli attacchi di Hamas come una dimostrazione di brutalità senza pari. Questo vittimismo è uno status esclusivo: non lascia spazio alla sofferenza dei palestinesi di Gaza, né al livello della crisi umanitaria che stanno affrontando. I notiziari della televisione mainstream israeliana raramente documentano le rovine di Gaza o l’entità degli sfollamenti e delle distruzioni. Quando lo fanno, la responsabilità di queste perdite viene addossata ad Hamas.
Chiunque contesti questa narrazione viene attaccato. Ad esempio, quando il Segretario generale delle Nazioni Unite António Guterres ha condannato esplicitamente l’attacco di Hamas del 7 ottobre, ma ha affermato che “non è avvenuto nel vuoto” – facendo riferimento ai 56 anni di occupazione israeliana come contesto determinante – i media israeliani si sono scatenati.
Invece di fornire una spiegazione onesta della sua posizione dominante a livello internazionale, i giornalisti israeliani hanno fatto a gara a chi criticava più aspramente Guterres. Almog Boker, uno dei più popolari corrispondenti di Channel 13, ha affermato che il capo delle Nazioni Unite stava “giustificando le atrocità di Hamas”. Un titolo di Ynet recitava: “Perché il Segretario Generale delle Nazioni Unite António Guterres ha così tanta antipatia per Israele?”. Anche Canale 12 ha definito le sue dichiarazioni “oltraggiose“.
L’esercito è la fonte
La stretta interazione tra i media israeliani e l’esercito crea, senza sorpresa, diversi punti ciechi nella copertura della realtà di Gaza. La presenza dei media internazionali è stata praticamente inesistente nelle prime settimane di guerra e la maggior parte dei giornalisti internazionali ha lasciato Gaza per la propria sicurezza. I bombardamenti israeliani e i blackout intermittenti dell’elettricità e delle comunicazioni hanno ostacolato la capacità di cronaca dei giornalisti palestinesi locali.
Con l’avanzare dell’invasione di terra, l’esercito israeliano ha permesso ad alcuni giornalisti – sia israeliani che internazionali – di entrare a Gaza, ma solo se accompagnati dai militari. Tali visite sono solitamente dirette dall’unità dei portavoce dell’IDF, il che significa che i giornalisti non sono in grado di intervistare direttamente i palestinesi o di accedere in modo indipendente ai siti in rovina. Possono vedere solo ciò che viene loro presentato.
L’influenza dei militari va ben oltre il controllo dell’accesso alle informazioni. Per i primi tre mesi di guerra, il capo dell’unità portavoce dell’IDF, Daniel Hagari, ha tenuto conferenze stampa quotidiane trasmesse in diretta su tutti i canali in prima serata. Queste conferenze stampa includevano aggiornamenti sullo stato della guerra, ma solo sporadicamente contenevano istruzioni per il pubblico o informazioni veramente degne di nota. Hagari era ampiamente considerato dal pubblico israeliano come una fonte affidabile di informazione, soprattutto in relazione alla mancanza di fiducia del pubblico nel governo in carica, e la sua presenza non necessaria ma costante ha dato all’esercito il controllo sulla narrazione dei notiziari.
Inoltre, i corrispondenti militari, che si affidano in larga misura all’esercito israeliano come principale fonte, ne tessono costantemente le lodi. Non si tratta di una tendenza nuova. Anche prima della guerra, i corrispondenti militari spesso pubblicavano testualmente le dichiarazioni dell’IDF, senza menzionare che l’esercito fosse l’unica fonte di informazioni. Inoltre, amplificano ferocemente i presunti successi ottenuti dalle forze israeliane a Gaza e sostengono la continuazione dell’operazione.
Lo stesso vale per molti altri giornalisti e per l’establishment dei media nel suo complesso. Questo è in parte un effetto secondario della formazione giornalistica ricevuta attraverso l’esercito israeliano. La formazione di base per molti giornalisti in Israele avviene presso il Galatz, la radio dell’esercito israeliano, non nelle università o nei giornali locali. Infatti, Galatz seleziona decine di soldati israeliani appena arruolati per lavorare alla stazione come parte del loro servizio obbligatorio. Questi soldati ricevono un addestramento e un’esperienza impareggiabili e molto apprezzati, che li rendono particolarmente appetibili per un successivo reclutamento professionale al termine del servizio.
Persico ha sottolineato l’importanza di questo background, sostenendo che “generazioni di giornalisti israeliani sono cresciuti [professionalmente] sotto questa supervisione militare, che li ha addestrati a pensare che ci sono cose che non possono pubblicare”. Di conseguenza, questa educazione ha fatto crollare nel tempo la concezione fondamentale dell’indipendenza della stampa in Israele.
Promuovere false narrazioni, disumanizzare i palestinesi
Oltre a omettere la copertura essenziale sulle vite dei palestinesi, i media israeliani svolgono anche un ruolo attivo nel creare percezioni completamente false della guerra e dell’opinione pubblica palestinese.
Una delle principali differenze tra la copertura internazionale e quella israeliana della guerra, ad esempio, è la questione della legittimità di Hamas tra i palestinesi, che è diventata una fissazione ricorrente dei media mainstream in Israele. Tra i gazawi ci sono certamente critiche nei confronti di Hamas per non aver garantito la sicurezza o non aver fornito assistenza umanitaria durante la guerra. Ma i media israeliani ritraggono Hamas sul punto di perdere tutta la sua credibilità tra i palestinesi.
Sul Canale 12, Ohad Hemo e Ehud Yaari, i principali corrispondenti di questioni arabe e palestinesi in Israele, hanno riferito che le tensioni tra i civili gazawi e Hamas si stanno intensificando. Secondo loro, i gazawi hanno detto che “invece di ‘ciao’, la frase più comune per strada tra le persone è “che Dio si vendichi di Hamas'”.
Qualche settimana fa, i canali televisivi israeliani hanno diffuso un filmato di migliaia di palestinesi che fuggivano da Khan Younis attraverso un corridoio umanitario scandendo: “Il popolo vuole abbattere Hamas”. Nessuno di loro ha menzionato, come rivelato da +972, che sono stati costretti a farlo dai soldati israeliani per essere lasciati passare. Anche se i media non ne erano a conoscenza, qualsiasi giornalista decente avrebbe dovuto mettere in dubbio il significato di quei canti come indicatore della legittimità di Hamas, soprattutto se si considera che i video sono stati girati da soldati e che i palestinesi erano alla mercé dell’esercito israeliano.
La narrazione del presunto imminente crollo di Hamas è stata rafforzata da altri video, come quelli dei palestinesi nel nord di Gaza che consegnano le armi a Israele. Inizialmente, i canali di informazione hanno rapidamente amplificato che “centinaia di militanti di Hamas si stanno arrendendo nel nord di Gaza”. Pochi giorni dopo, tuttavia, i funzionari della sicurezza nazionale hanno stimato che di queste centinaia, solo il 10-15% erano effettivamente militanti di Hamas. Il resto erano normali civili che non erano fuggiti a sud, come l’esercito aveva ordinato loro.
Un altro esempio è l’idea che l’esercito israeliano si stia avvicinando a Yahya Sinwar, il capo della sezione di Hamas a Gaza e una delle menti dietro l’attacco del 7 ottobre. Questo tipo di notizie si susseguono ormai da mesi. A dicembre, in un video che ha suscitato molte beffe, Adva Dadon, giornalista di Channel 12, ha mandato in onda un servizio intitolato “Nella casa di Sinwar“, documentando un’incursione israeliana in quella che sarebbe stata una delle sue abitazioni. Ha persino sollevato un paio di scarpe dalle macerie e ha affermato che appartenevano a Sinwar – un’affermazione che è stata rapidamente smentita.
L’aspetto più sconcertante è che i notiziari televisivi israeliani svolgono un ruolo attivo nella disumanizzazione dei palestinesi. Canale 14 ha costantemente promosso opinioni abominevoli – come la richiesta di annientamento di Gaza e la descrizione di tutti i gazawi come terroristi e bersagli legittimi – che vengono ripetute dai principali conduttori e corrispondenti. A causa di queste dichiarazioni ricorrenti, Canale 14 è stato persino citato più volte nella denuncia del Sudafrica alla Corte Internazionale di Giustizia che accusa Israele di aver commesso un genocidio a Gaza. Questo tipo di dichiarazioni non sono un’eccezione, e infatti sono apparse anche nei notiziari televisivi tradizionali.
Inoltre, i notiziari mainstream si rifiutano di riportare il numero di vittime palestinesi, sostenendo che non ci si può fidare dei numeri del Ministero della Salute “gestito da Hamas” – anche se sono storicamente accurati e lo stesso esercito israeliano si basa su di essi. Canale 14 ha utilizzato i numeri diffusi dal Ministero della Salute, ma ha definito tutte le migliaia di palestinesi uccisi come “terroristi”.
I punti di vista del governo
In una certa misura, le correnti sotterranee che vediamo nella copertura mediatica israeliana della guerra appaiono anche sui social media – un mezzo centrale di fruizione delle notizie, soprattutto tra la popolazione più giovane. Sui social media, gli algoritmi sono progettati per creare una camera di risonanza con un universo parallelo, e la sua natura personalizzata esacerba l’isolamento degli israeliani sia tra di loro che dal resto del mondo. Ad esempio, anche quando gli israeliani sui social media sono esposti a notizie non israeliane sulla guerra, è probabile che lo facciano attraverso mediatori filo-israeliani che spiegano che si tratta solo di propaganda nemica.
I media mainstream israeliani creano un’altra camera di risonanza per gli israeliani, che amplifica i punti di vista del governo e ha poca somiglianza con il panorama informativo del resto del mondo. A differenza delle notizie israeliane, i media internazionali sono attualmente molto più concentrati sull’entità della devastazione a Gaza e sul suo legame con l’oppressione di lungo corso dei palestinesi. Allo stesso tempo, a livello globale si nutrono molti dubbi sulla fattibilità degli obiettivi di guerra di Israele, dubbi che però in Israele non vengono quasi espressi.
Così, anche se i canali televisivi israeliani non sono stati costretti a promuovere la linea di pensiero del governo, farlo è stato certamente utile ai loro interessi per mantenere alti gli ascolti. Questa strategia ha funzionato: un sondaggio della Hebrew University ha rilevato che dall’inizio della guerra, il consumo di notizie da parte dei media tradizionali è più che raddoppiato e l’esposizione a tutte le principali reti di informazione è aumentata. Tra la popolazione ebraica, la popolarità del Canale 12 è salita alle stelle, soprattutto tra gli spettatori affiliati al blocco anti-Netanyahu.
Questi spostamenti non sono una deviazione dalla norma. Sono l’apice di trasformazioni storiche che hanno cambiato radicalmente i media e le notizie televisive israeliane, combinate con la decisione ad hoc degli operatori di mostrare e dimostrare il proprio patriottismo. Purtroppo, se la copertura della guerra di Gaza è indicativa, è probabile che queste tendenze continuino, aggravando il circolo vizioso che spinge i media e il pubblico israeliano a essere sempre più di destra, conformista, militarista e nazionalista
*Eyal Lurie-Pardes è visiting fellow nel Programma sulla Palestina e gli affari palestinesi-israeliani del Middle East Institute dopo aver ottenuto la borsa di studio post-laurea della University of Pennsylvania Carey Law School LLM. Prima di entrare al MEI, Eyal ha lavorato con l’Associazione per i diritti civili in Israele, l’Istituto Zulat per l’uguaglianza e i diritti umani e come consigliere parlamentare alla Knesset.
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L'articolo ISRAELE. Come i notiziari televisivi si sono uniti allo sforzo bellico contro Gaza proviene da Pagine Esteri.