LIBANO. Profughi siriani, Beirut accelera per rimandarli subito a casa
di Michele Giorgio –
Pagine Esteri, 4 settembre 2022 – Mahmoud nel sud del Libano sostiene di esserci arrivato dalla Siria in sella alla sua moto. «Abitavo in un villaggio a sud di Aleppo e da quelle parti la guerra faceva morti ogni giorno. All’inizio del 2016 sono partito. Con un po’ di fortuna ho attraversato il confine e mi sono diretto a Tripoli. Per un po’ ho lavorato lì facendo di tutto ma a stento riuscivo a sfamarmi. Mi hanno detto che a sud si stava meglio e sono partito ancora una volta. Per fortuna qui non è affollato e si vive in mezzo alla campagna», ci racconta seguendo con lo sguardo l’ingresso nel campo di decine di cittadini europei che vogliono saperne di più sulle condizioni di vita dei profughi siriani in Libano. Due anni fa Mahmoud si è sposato, ora ha un figlio, sopravvive grazie agli aiuti umanitari e guadagna qualche dollaro facendo il contadino a disposizione del proprietario libanese delle terre dove le Nazioni unite hanno allestito il campo profughi. «Non abbiamo bisogno questi stranieri», aggiunge Mahmoud cambiando il tono della voce che si fa meno amichevole, «vengono qui, fanno tante domande e poi non cambia nulla per noi. Io guadagno appena un dollaro al giorno zappando la terra, i libanesi ci sfruttano, questa è la situazione». Non sorprende questo repentino cambio di atteggiamento. Per i rifugiati è sempre più difficile in Libano.
A dare una mano a chi vive in questo campo è l’associazione Amel della vicina cittadina di Khiam che fornisce assistenza medica, cibo e kit igienici a più di 3000 rifugiati siriani. I bisogni sono enormi. «Quello della salute, ad esempio, è uno dei problemi più seri» ci spiega Sahar Hijazi, responsabile del progetto locale di Amel «tra i profughi ci sono molti bambini e anziani che più facilmente di altri fanno i conti con le malattie respiratorie durante i mesi invernali e le conseguenze di una alimentazione povera». Hijazi sottolinea che le attuali difficoltà economiche e finanziarie del Libano si ripercuotono con forza sui profughi. «La penuria di farmaci, anche quelli salvavita, mette a rischio anche la vita dei profughi siriani insediati nelle aree rurali più isolate. In pericolo sono quelli con malattie croniche o che sono allettati. Facciamo quello che possiamo per aiutarli ma abbiamo difficoltà a reperire i farmaci che ci vengono richiesti». Concorda Hasan Ismail, medico di base, che collabora con l’associazione Amel. «Noi garantiamo l’assistenza primaria – ci spiega – ma certe patologie possono essere trattate solo a livello specialistico o in ospedale. E i rifugiati non hanno la possibilità di pagare cure tanto costose». Con la crisi economica che ha colpito il Libano, prosegue Ismail, «le strutture mediche non fanno sconti a nessuno e difficilmente accolgono pazienti senza copertura sanitaria. La medicina d’urgenza è inaccessibile ai profughi».
Sono circa 1,5 milioni i siriani entrati in Libano dopo l’inizio della guerra nel loro paese nel 2011. Circa 950.000 sono registrati presso l’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati (Unhcr). In gran parte dei casi vivono in povertà. La percentuale di famiglie di rifugiati che soffre di insicurezza alimentare è di circa il 49%. Il 60% vive in alloggi sovraffollati e fatiscenti, spesso all’interno di campi profughi palestinesi. Una ricerca di Refugee Protection Watch rileva che la metà dei bambini siriani rifugiati in Libano non va a scuola: non c’è spazio per loro nel sistema scolastico libanese e le famiglie non possono permettersi di pagare un istituto privato.
Questo quadro è peggiorato negli ultimi tre anni a causa della crisi economica e finanziaria che ha impoverito gran parte dei libanesi, aggravando l’ostilità che una porzione significativa della popolazione del paese dei cedri ha sempre provato nei confronti dei rifugiati: prima quelli palestinesi e negli ultimi dieci anni quelli siriani che affollano e strade del paese. Prevale in molti libanesi l’idea che i profughi assorbano risorse che sarebbero destinate a loro e, per questo, ne chiedono il rimpatrio immediato con l’appoggio di una parte importante delle forze politiche. La giornalista Yasmin Kayali spiega che «Il tracollo sociale ed economico caratterizzato dal tasso di inflazione più alto del mondo e dalla lira libanese che ha perduto oltre il 90% del suo valore dall’ottobre 2019 sta esacerbando fattori che avevano già spinto i rifugiati siriani ai margini della società libanese».
I siriani inoltre hanno subito attacchi che hanno causato morti e l’incendio di alcuni dei loro campi, per lo più motivati da istigazione all’odio da parte di personaggi politici. Non sorprende che durante la campagna elettorale dello scorso maggio, il rimpatrio dei siriani sia stato tra i temi principali. Non pochi candidati, e anche esponenti del governo, hanno parlato di ritorno di «piene condizioni di sicurezza» in Siria. E si è parlato anche di un piano per rimpatriare, di fatto con la forza, 15.000 siriani al mese. Annunci e dichiarazioni che spaventano i rifugiati. Secondo una ricerca di Refugee Protection Watch solo lo 0,8% dei profughi siriani in Libano contempla il ritorno in patria mentre il 58% dichiara di voler andare in un paese terzo. Una opzione realizzabile solo illegalmente mettendo insieme almeno 5mila dollari – spesso con l’aiuto di parenti all’estero – da dare ai trafficanti di essere umani. Nel 2020 1.500 siriani hanno tentato di lasciare il Libano via mare. Non pochi di loro sono morti in naufragi in gran parte ignorati dalla stampa. Pagine Esteri
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YEMEN. Tregua non prolungata, il paese scivola verso la guerra
di Michele Giorgio –
Pagine esteri, 3 ottobre 2022 – Scaduta ieri la tregua e rifiutata la proposta aggiornata dell’Onu presentata alle parti belligeranti per una sua proroga, lo Yemen rischia di precipitare di nuovo in un conflitto aperto tra i ribelli sciiti Houthi (Ansrallah), sostenuti dall’Iran, e le forze governative o meglio la Coalizione a guida saudita intervenuta in Yemen nel 2015 e responsabile di pesanti bombardamenti aerei che hanno causato migliaia di vittime. L’esecutivo dei ribelli che controllano la capitale Sanaa, ha giustificato la mancata estensione del cessate il fuoco con il “vicolo cieco” in cui erano entrate le trattative provocato, afferma, dalla riluttanza di Riyadh e dei suoi alleati a revocare il blocco sul paese e alleviare la grave crisi umanitaria. “Durante i sei mesi della tregua, non abbiamo visto alcuna serietà nell’affrontare il fascicolo umanitario come una priorità urgente” aveva avvertito il 1° ottobre un rappresentante del team negoziale degli Houthi lasciando presagire la fine dell’intesa che nei mesi scorsi aveva permesso, almeno in parte, di affrontare la crisi umanitaria che colpisce milioni di yemeniti. Secondo i ribelli nelle 24 ore precedenti la scadenza della tregua, la Coalizione ha commesso 122 violazioni dell’accordo con attacchi aerei su Marib, Al-Jawf, Hajjah, Saada e altre aree.
A nulla è servito l’appello lanciato il 30 settembre dall’inviato speciale delle Nazioni Unite per lo Yemen Hans Grundberg per il prolungamento della tregua affinché il paese eviti di “scivolare di nuovo in guerra”. Grundberg si è detto rammaricato per il mancato accordo tra le parti e ha esortato il governo riconosciuto a livello internazionale e le milizie Houthi a “mantenere la calma” e ad astenersi da azioni provocatorie che potrebbero innescare un’escalation. Analoghe preoccupazioni sono state espresse dalle altre agenzie dell’Onu e internazionali che operano nel paese per alleviare una crisi umanitaria di proporzioni eccezionali. Nei mesi scorsi l’Onu aveva chiesto per lo Yemen donazioni internazionali paragonabili per entità solo quelle necessarie per assistere la popolazione afghana.
Tutto lascia immaginare una ripresa piena del conflitto che ha fatto molte decine di migliaia di morti e gettato nella fame e nelle malattie milioni di yemeniti. I ribelli in questi ultimi mesi hanno più volte denunciato quello che definiscono il “furto” delle risorse petrolifere nazionali da parte dell’Arabia saudita che, aggiungono, ammontano a circa un miliardo di dollari. Riyadh e i suoi alleati invece affermano di aiutare il governo yemenita riconosciuto ad esportare il greggio e ad impedire che a farlo siano i ribelli. Il capo del Consiglio politico supremo Houthi, Mahdi al-Mashat, ha lanciato un monito alle compagnie petrolifere internazionali operanti nel paese, invitandole a “smetterla di saccheggiare la ricchezza sovrana dello Yemen”. O, ha minacciato, “dovranno assumersi la piena responsabilità delle loro decisioni”. Si tratta del secondo avvertimento nel giro di poche ore. Il 1° ottobre il leader Houthi, Abdel Malik al Houthi, aveva sollecitato la revoca immediata del blocco dello Yemen attuato dall’Arabia saudita (e gli Usa). E qualche ora fa il portavoce militare degli Houthi, Yahya Sarea, ha rincarato la dose affermando che “fino a quando i Paesi aggressori, Usa e Arabia saudita, non si impegneranno in una tregua che dia al popolo yemenita il diritto di sfruttare la propria ricchezza petrolifera” le forze di Ansrallah “saranno in grado di privare sauditi ed emiratini delle loro risorse”. Un riferimento palese a prossimi attacchi di droni e al lancio di missili verso il territorio saudita e quello degli Emirati. Pagine Esteri
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USA. Milioni di americani rischiano la fame. I buoni pasto di Biden non bastano
della redazione con dati e notizie diffusi in rete dalla Reuters
Pagine Esteri, 6 ottobre 2022 – Grace Melt ha fatto la sua prima visita alla dispensa alimentare di Nourishing Hope di Chicago ad agosto. Durante la pandemia di COVID-19 aveva utilizzato buoni pasto emessi dal governo federale per acquistare generi alimentari mentre era disoccupata per un infortunio al ginocchio. Ma quest’estate, i buoni pasto non sono riusciti a tenere il passo dell’aumento dei prezzi del negozio di alimentari e per la prima volta è dovuta andare alla ricerca di una fornitura gratuita di cibo. “Non è sicuramente abbastanza. Non bastano mai fino alla fine del mese”, ha detto Melt a proposito dei buoni pasto. “E ora che sono aumentati i prezzi non puoi far altro che venire qui, in un centro dove donano cibo”.
L’aumento della fame (negli Usa) è un problema serio per l’immagine e le ambizioni del presidente degli Stati Uniti Joe Biden che si prepara a ospitare la prima conferenza della Casa Bianca su fame, nutrizione e salute in oltre 50 anni e si dice impegnato a eliminare la fame negli Stati Uniti entro il 2030. A causa dell’inflazione (alta) gli elettori potrebbero punire il Partito Democratico nelle elezioni di medio termine. L’andamento dell’economia infatti è la priorità per gli elettori Usa, secondo un sondaggio Reuters/Ipsos. L’amministrazione Biden ha aumentato i finanziamenti per i buoni pasto quasi un anno fa ma allo stesso tempo ha acquistato la metà del cibo rispetto all’amministrazione Trump nel 2020 per banche alimentari, scuole e riserve indigene, secondo i dati ottenuti dall’agenzia statunitense USDA.
L’aumento dei prezzi dei generi alimentari sta erodendo il valore reale dei buoni pasto su cui sembra puntare l’attuale amministrazione per combattere la fame tra gli statunitensi. Quest’anno i buoni hanno un valore medio di 231 dollari a persona al mese. Troppo poco di fronte all’inflazione galoppante. Ciò ha costretto più americani a rivolgersi alle banche alimentari che a loro volta hanno ricevuto meno cibo dal governo.
L’indice dei prezzi al consumo per il cibo è salito al 13,5% ad agosto, l’aumento più sostenuto in 12 mesi dal 1979, secondo il Bureau of Labor Statistics. I prezzi dei generi alimentari sono cresciuti a livelli record dall’invasione russa del principale produttore di cereali, l’Ucraina. E co0sì anche i livelli di fame quest’estate sono saliti a punti mai raggiunti, neppure durante la pandemia nel 2020 quando i lockdown hanno gettato nel caos le catene di approvvigionamento.
“Questo problema era migliorato nel 2021, poi è nuovamente e rapidamente peggiorato” spiega Vince Hall, Chief Government Relations Officer di Feeding America, la più grande rete di banche alimentari della nazione. “La maggior parte delle nostre banche del cibo vede allungarsi le file di persone ogni settimana che passa”. Per alcuni occorre spendere di più in buoni pasto o distribuire contanti perché offrono alle persone più scelta rispetto alle dispense alimentari e vanno anche a vantaggio delle imprese locali.
L’insufficienza alimentare per le famiglie con bambini è salita al 16,21% lo scorso luglio quando quasi 1 famiglia su 6 ha dichiarato di non avere, talvolta o molto spesso, da mangiare a sufficienza, secondo i dati della Household Pulse Survey dell’US Census Bureau. Si tratta della percentuale più alta da dicembre 2020. La fame tra i bambini era scesa al 9,49% nell’agosto 2021 in parte a causa dei pagamenti del credito d’imposta per i bambini, secondo l’US Census Bureau.
La fame si era attenuata nel 2021 dopo che le amministrazioni Trump e Biden hanno distribuito sussidi per la pandemia alle famiglie per l’acquisto di generi alimentari, consegnato miliardi di scatole di cibo di emergenza e inviato pagamenti mensili del credito d’imposta per i bambini. Nell’anno 2020, il Dipartimento dell’Agricoltura degli Stati Uniti ha speso 8,38 miliardi di dollari per 4,29 miliardi di libbre di cibo destinato a dispense alimentari, scuole e riserve indigene. Ma la spesa alimentare è diminuita costantemente, di quasi il 42% dal 2020 al 2022, fino ai 3,49 miliardi di dollari, il livello più basso dal 2018. L’agenzia ha acquistato solo 2,43 miliardi di libbre di cibo nell’ultimo anno, secondo i dati acquisiti da Reuters.
L’USDA ha cercato di compensare il calo degli acquisti di cibo con ulteriori sussidi per l’assistenza nutrizionale supplementare. Ma l’aiuto aggiuntivo è stato limitato dai costi più elevati…L’USDA ha recentemente annunciato che acquisterà altri 943 milioni di dollari in generi alimentari entro il 2024, utilizzando i fondi della Commodity Credit Corporation, normalmente stanziati per prestiti e pagamenti agli agricoltori statunitensi colpiti da disastri o dai bassi prezzi delle materie prime. Il dipartimento dell’agricoltura da parte sua ha riferito di un taglio drastico ai finanziamenti per la pandemia autorizzato dal Congresso che ha limitato il potere di spesa dell’agenzia per gli alimenti e le scuole.
Feeding America lamenta il taglio di 430 miliardi di dollari per alcune misure aggiuntive di assistenza alimentare dalla legge sulla riduzione dell’inflazione firmata ad agosto, inclusi gli investimenti nell’alimentazione infantile e un programma EBT da impiegare quando i pasti scolastici non sono disponibili. “Nelle versioni precedenti di questo disegno di legge c’erano priorità straordinariamente importanti per combattere la fame, che però non ci sono nell’ultima versione”, ha protestato.
RACCOLTI INSUFFICIENTI
Quest’anno, l’USDA acquisterà poco più della metà del cibo comprato al culmine della pandemia, mentre le donazioni dei negozi di alimentari e dei distributori sono diminuite e le aziende fermano le catene di approvvigionamento e riducono al minimo gli sprechi. Il Greater Chicago Food Depository, uno dei maggiori distributori di cibo alle dispense alimentari locali, prevede di ottenere quest’anno poco più di un terzo del cibo ricevuto dall’USDA durante l’anno fiscale 2021 (da luglio 2020 a giugno 2021).
E mentre le scorte di cibo si riducono, l’inflazione sta spingendo per la prima volta più americani verso le banche alimentari. Nell’area di Chicago hanno visto un aumento del 18% dei visitatori a luglio, rispetto a un anno prima. Eppure i buoni pasto costituivano meno del 2% della spesa del governo degli Stati Uniti nel 2022, secondo i dati del Tesoro. Nell’agosto 2022, l’agenzia ha annunciato un adeguamento del costo della vita a partire dal 1 ottobre, aumentando le assegnazioni mensili massime per una famiglia di quattro persone da 835 a 939 dollari al mese.
Ma molti di coloro che visitano le dispense alimentari lavorano ancora o beneficiano della previdenza sociale, cosa che li squalifica dai buoni pasto, come Michael Sukowski, un impiegato dell’amministrazione universitaria in pensione a cui stati tagliati i sussidi a causa di una pensione mensile che riceve dallo stato. “Con la previdenza sociale e una piccola pensione di 153 dollari al mese non vado lontano”, ha spiegato “la metà va per l’affitto. Poi ci sono le utenze.”
La dispensa alimentare di Nourishing Hope, che quest’anno ha visto un aumento del 40% dei visitatori, e altre banche alimentari ora acquistano più cibo a costi più elevati. Ciò ha portato a forniture modeste di alimenti di base come pane, carne e formaggio. “Il raccolto è stato esiguo, per così dire. Ma sono grata di aver avuto della roba”, ha detto Grace Melt mentre metteva i suoi prodotti alimentari in un carretto, preparandosi per un viaggio in autobus verso casa. “Talvolta devi venire in un posto come questo. A volte non ottieni niente”, ha spiegato. Pagine Esteri
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Gas e petrolio: in Africa la caccia al tesoro delle multinazionali
di Marco Santopadre*
Pagine Esteri, 5 ottobre 2022 – La speculazione e le turbolenze sui mercati derivanti il conflitto in Ucraina hanno provocato negli ultimi mesi un’impennata dei prezzi dei combustibili fossili scatenando una vera e propria caccia al tesoro anche in alcune regioni del pianeta tradizionalmente poco battute.
Potenze grandi e piccole e compagnie energetiche sono impegnate in una competizione sempre più sfrenata per accaparrarsi soprattutto gas e petrolio ma anche il carbone, il cui utilizzo sembrava esser stato notevolmente ridotto dagli accordi multinazionali sulla salvaguardia del clima.
L’aumento dei prezzi riapre la caccia ai combustibili fossili
In particolare, negli ultimi mesi la competizione per lo sfruttamento delle riserve africane si è fatta molto serrata. Storicamente sono stati soprattutto i paesi del nord Africa a sviluppare l’industria estrattiva, diventando tra i principali fornitori dell’Europa e non solo, mentre le regioni centrali e meridionali del continente erano ritenute poco interessanti. Ma la recente scoperta di nuovi ingenti giacimenti e l’incentivo allo sfruttamento derivato dalle sanzioni europee alla Russia (e dalla conseguente chiusura dei rubinetti del gas da parte di Mosca) oltre che dall’aumento dei prezzi, hanno spinto molti paesi europei e le multinazionali dell’energia a dedicarsi all’Africa centrale e meridionale.
L’aumento dei prezzi – nonché dei profitti – e la necessità per l’Europa di sostituire i flussi che fino a pochi mesi fa giungevano da Mosca, rendono infatti interessanti progetti di estrazione e di trasporto che erano stati temporaneamente o definitivamente abbandonati per i costi eccessivi, l’alto impatto ambientale e sociale o per ragioni dovute all’instabilità delle aree interessate.
Secondo i calcoli di Reuters i giganti energetici stanno attualmente gestendo o pianificando in Africa progetti per complessivi 100 miliardi di dollari.
Già nel 2019, il continente africano ospitava circa il 9% delle riserve globali di gas e ne produceva il 6% di quello consumato nel pianeta. Tre paesi – Algeria, Egitto e Nigeria – da soli coprivano ben l’85% della produzione totale, seguiti da Libia e Mozambico. Ma nel nuovo contesto molti altri paesi stanno iniziando a sfruttare i propri giacimenti.
Gas e petrolio: la sorpresa Africa
Uno studio di Rystad Energy (società di ricerca con sede a Oslo) calcola che entro il 2030 la produzione di gas dei paesi dell’Africa subsahariana raddoppierà, trainata dai progetti di estrazione nelle acque profonde al largo delle coste. Secondo la stima, in pochi anni si dovrebbe passare da 1,3 milioni di barili al giorno del 2021 a 2,7 milioni alla fine di questo decennio. Già nei prossimi anni, l’Africa dovrebbe essere in grado di sostituire circa il 20% del gas esportato fino a qualche mese fa in Europa dalla Russia.
Tra i paesi più interessanti per le major c’è sicuramente il Mozambico; a breve dovrebbero iniziare a funzionare gli impianti di estrazione del grande giacimento di gas naturale offshore di Coral Sul, a lungo ritardato dalle violente scorribande di gruppi jihadisti. Nello sfruttamento delle risorse dell’ex colonia portoghese sono impegnate, tra le altre, l’italiana Eni, la statunitense Anadarko e la francese Total.
La Tanzania è più indietro, invece, nello sfruttamento delle sue riserve di gas naturale, che le stime finora quantificano però in ben 57 miliardi di metri cubi. Il paese ha firmato un accordo sul gas con la società norvegese Equinor e con la britannica Shell.
In Zimbabwe una società australiana, la Invictus Energy Ltd sta conducendo le esplorazioni nel nord del paese. Il colosso canadese ReconAfrica, da parte sua, ha già iniziato le perforazioni in Namibia e Botswana, in particolare nella Kavango Zambezi Transfrontier Conservation Area (Kaza), la più grande area protetta transfrontaliera del mondo, suscitando ovviamente le proteste di diverse associazioni ambientaliste.
Come ricorda Nigrizia, a settembre alcuni ricorsi sono riusciti a bloccare i sondaggi che la Shell stava realizzando nella provincia del Capo orientale in Sudafrica, un’altra zona protetta.
Le compagnie petrolifere sono ottimiste sulle attività di prospezione avviate in Kenya, Etiopia, Somalia e Madagascar, mentre aumenta la produzione in Senegal e in Mauritania.
L’unico paese africano che negli ultimi anni ha subito un consistente calo della produzione di gas e petrolio è l’Angola, che pure possiede riserve di 380 miliardi di metri cubi di gas.
Al contrario, vanno a gonfie vele le esportazioni della Nigeria, che possiede le più consistenti riserve africane e vende già il 14% del GNL che i paesi dell’Unione Europea importano. Ma Lagos ha le potenzialità per raddoppiare le forniture di gas e aumentare quelle di petrolio, di cui è il più grande produttore di tutto il continente. Nel tentativo di sfruttare a pieno le sue potenzialità, la Nigeria tenta di convincere gli investitori stranieri a finanziare la realizzazione di un gasdotto trans-sahariano in grado di portare il suo gas in Algeria e da qui all’Europa. Il progetto del Nigal è stato lanciato nel 2009 ma alcune dispute territoriali – come quella tra il Niger e l’Algeria – la mancanza di sicurezza in alcune aree e gli alti costi hanno finora ritardato la realizzazione della lunghissima pipeline su un tracciato di più di 4100 km.
La crisi attuale ha rilanciato il progetto del Trans Saharan Gas Pipeline, che però deve scontare la concorrenza di un altro tracciato – l’NMGP – che punta ad estendere l’esistente gasdotto dell’Africa Occidentale fino alla Spagna passando per i paesi costieri. Intanto, grazie perlopiù ad alcuni prestiti concessi dalle banche cinesi, il governo nigeriano è riuscito ad avviare la costruzione dell’Ajaokuta–Kaduna–Kano (AKK), un gasdotto lungo 614 km gestito dalla Nigerian National Petroleum Corporation in grado di trasferire il gas naturale dalle regioni meridionali e quelle centrali del paese.
Sul fronte del petrolio, invece, molto contestato è l’EACOP (East African Crude Oil Pipeline), l’oleodotto lungo quasi 1500 km che dall’Uganda dovrebbe arrivare sulle coste della Tanzania.
Addio lotta al cambiamento climatico
È evidente che gli interessi economici e geopolitici in ballo sono enormi e che difficilmente i paesi europei – e le diverse compagnie energetiche – rispetteranno gli impegni a ridurre la dipendenza dai combustibili fossili per l’accaparramento dei quali si stanno spendendo molte decine di miliardi di euro.
Si tratta di progetti per la realizzazione di infrastrutture che dovrebbero entrare in funzione tra qualche anno e rimanere in attività un certo lasso di tempo affinché si generino i profitti necessari a giustificare i relativi investimenti.
Alla luce delle scelte di questi mesi dei governi europei la prospettiva dell’abbandono dei combustibili fossili – dai quali il nostro continente è ancora fortemente dipendente – a favore delle fonti rinnovabili sembra decisamente allontanarsi.
Se con le linee guida contenute nel piano REPowerEU la Commissione Europea ha identificato nello sviluppo delle fonti rinnovabili e nell’aumento dell’efficienza energetica la strada per sostituire il gas – la cui domanda l’UE dovrebbe teoricamente ridurre nel 2030 del 40% rispetto al 2021 – la Strategia Energetica Internazionale dell’UE sostiene la necessità di concentrare proprio sull’Africa la ricerca di nuove forniture di gas.
Cop27: l’Africa rivendica lo sfruttamento delle proprie risorse
I governi africani stanno ovviamente cercando di non lasciarsi sfuggire l’occasione creata dal nuovo contesto internazionale. Le royalties ottenute dalla vendita delle proprie risorse energetiche potrebbero riempire le casse – spesso vuote – di molti paesi, consentendogli di lanciare ambiziosi e urgenti programmi di modernizzazione e sviluppo economico.
Un’esigenza ancora più impellente se si considera che il boom demografico e il conseguente aumento dei consumi porteranno il continente africano ad aver bisogno almeno, entro il 2040, del 30% in più di energia a fronte di un aumento del 10% del fabbisogno energetico mondiale.
Non stupisce quindi che, secondo il Guardian i 55 paesi riuniti nell’Unione Africana avrebbero deciso di presentarsi con una linea politica comune al prossimo COP27 in Egitto. La Conferenza delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici prevista a Sharm el-Sheikh dal 6 all’8 novembre sarà l’occasione, afferma il documento comune, di difendere il diritto del continente africano a poter sfruttare le proprie risorse energetiche. «Nel breve e medio termine, i combustibili fossili, in particolare il gas naturale, dovranno svolgere un ruolo cruciale nell’espansione dell’accesso all’energia moderna, oltre ad accelerare l’adozione delle energie rinnovabili» recita una dei passaggi centrali del testo.
Una richiesta più che legittima, considerando che attualmente 600 milioni di africani non hanno ancora accesso all’elettricità e che il continente africano genera solo il 5% delle emissioni globali di gas serra.
Cambiamento climatico: il doppio standard dell’Ue
Il problema è che l’UE e le istituzioni politiche ed economiche internazionali applicano un doppio standard rispetto alle questioni climatiche. Mentre Bruxelles ha reagito all’emergenza aperta dalla crisi ucraina (in buona parte creata dalla propria scelta di applicare sanzioni a Mosca e di azzerare i flussi di gas e petrolio dalla Russia) decretando una vera e propria caccia ad altri fornitori di combustibili fossili fino a resuscitare lo sfruttamento del carbone, pretenderebbe dall’Africa un rispetto integrale degli impegni contro il surriscaldamento globale.
Così mentre i progetti che permetterebbero l’accesso all’energia elettrica di decine di milioni di africani faticano enormemente a trovare finanziamenti da parte della Banca Mondiale o del Fondo Monetario Internazionale perché inquinanti – ma il sostegno all’implementazione in Africa delle rinnovabili non ha sorte migliore – le potenze occidentali non lesinano risorse quando si tratta di assicurare i propri rifornimenti di gas e petrolio.
Vijaya Ramachandran, direttrice per l’energia e lo sviluppo del centro studi californiano Breakthrough institute, parla apertamente di“colonialismo verde” e spiega che i paesi ricchi sfruttano le risorse di quelli più poveri, negandogli però l’accesso alle stesse risorse in nome del contrasto alla crisi climatica.
Proteste contro la Shell in Sudafrica
Combustibili fossili: opportunità o condanna?
Comunque, la stragrande maggioranza dei combustibili fossili estratti sul suolo e nei mari africani, quindi, prende la via dell’esportazione, e contribuisce in minima parte allo sviluppo dei paesi nei quali essi vengono prodotti.
Inoltre, le popolazioni dei paesi esportatori beneficiano assai poco delle royalties; i proventi vengono spesso dilapidati da meccanismi clientelari e di corruzione incentivati dalle stesse multinazionali straniere.
Per non parlare dell’elevato impatto ambientale e sociale che gli impianti di estrazione e di sfruttamento dei combustibili fossili provocano nei territori interessati. Le catastrofiche conseguenze sull’ecosistema e sulle comunità umane in Mozambicoe in Nigeria, i paesi africani con più lunga tradizione estrattiva, la dicono lunga su quale tipo di “sviluppo” queste attività implementino nel continente africano, il più colpito finora dalle conseguenze del cambiamento climatico. – Pagine Esteri
* Marco Santopadre, giornalista, già direttore di Radio Città Aperta di Roma, è un analista dell’area del Mediterraneo, del Medio oriente e del Nord Africa. Collabora con il Manifesto, Catarsi e Berria. Scrive, tra le altre cose, di Spagna e movimenti di liberazione nazionale.
LINK E APPROFONDIMENTI:
agi.it/economia/news/2022-04-2…
bloomberg.com/news/features/20…
theguardian.com/world/2022/aug…
nigrizia.it/notizia/energia-ap…
eccoclimate.org/wp-content/upl…
iea.org/news/global-energy-cri…
L'articolo Gas e petrolio: in Africa la caccia al tesoro delle multinazionali proviene da Pagine Esteri.
La grandezza del bastardo
Svante Pääbo
Ci sono premi Nobel che lasciano indifferenti, talora dominati da una sorta di accademizzazione del politicamente corretto. Roba che si dimentica in fretta. Ce ne sono anche che portano sfortuna, specie se assegnati in un campo etereo come la “pace”, magari finendo a chi si rivelerà guerrafondaio o a chi si scoprirà pedofilo. Ce ne sono di importanti e meritati. E ce ne sono di affascianti. Come quello assegnato a Svante Pääbo.
La sua prima qualità non ha limiti anagrafici, ma è preziosa per i più giovani: la curiosità e lo spirito d’avventura negli studi. Si era appassionato all’egittologia, affascinato da un viaggio in Egitto, fatto da tredicenne. L’aveva scelta, all’università, per esplorare lo sconosciuto mondo dei faraoni.
Ma si era presto accorto che gli mancava l’avventura, che molte cose erano sconosciute solo a chi non le conosceva, mentre altre non sarebbe stato possibile conoscerle. Così si iscrisse a medicina. Completati gli studi, tornò dal suo vecchio professore di cose egizie: non è che si può avere un pezzettino di mummia? Ne estrasse il codice genetico e aprì una frontiera all’archeologia. Grazie a lui molte delle cose che non era possibile sapere, ora si sanno.
Ma anche gli egizi divennero un po’ troppo contemporanei. Perché non andare più indietro? Sapevamo d’essere discendenti degli ominidi e di avere convissuto, da Sapiens, per un certo tempo con i Neanderthal. Poi loro si sono estinti. Hanno perso. Noi ci siamo evoluti meglio. Sapevamo.
Ma usando il suo metodo di ricerca, indagando il dna, s’è scoperto che i Neanderthal non sono spariti, ma vivono dentro di noi. Perché c’è qualche fenomenale figlio di puttana che ha approfittato della crapula fra Sapiens e Neanderthal e ha trascinato in noi una parte di loro. Intanto l’uomo di Denisova, ulteriore filone da lui individuato, s’incrociava con altri Sapiens e li usava per sopravvivere alla propria estinzione. E noi siamo i vincenti perché siamo straordinari bastardi.
Altro che minchionerie da “razza superiore perché pura”, giacché, semmai, superiore, in salute e intelligenza, è il figlio di puttana. E la buona notizia è che lo siamo tutti. Anche se qualcuno esagera nell’approfittarne.
Davanti a tanta splendente meraviglia, qualcuno ha voluto farci sapere che Pääbo sarebbe o è “fluido”. Come se la postura e le compagnie nel talamo abbiano una qualche rilevanza sul pensiero e la capacità di pensare. Come se contassero i festini e non la “Teoria generale”, parlando di economia e Keynes.
E vabbè, tanto noi bastardi l’abbiamo capito: l’evoluzione non va per linea retta e sicura, curva e incespica, trascina con sé intelligenza e deficienza. E, nonostante talora si sia presi dallo sconforto, sono sicuro che questa roba del politicamente corretto e sessualmente monomaniacale è da considerarsi superabile. Ragionando e copulando, ciascuno come gli pare.
L'articolo La grandezza del bastardo proviene da Fondazione Luigi Einaudi.
Business Future under EU Green Taxonomy
Sustainable finance is one of the main pillars of the European Green Deal, since the European Commission recognises the key role of the private sector in financing the transition to Net Zero. To perform the EU’s 2030 climate and energy targets as well as the objectives of the Green Deal, the Commission is labelling sustainable activities on an environmental point of view. By shaping a Taxonomy, the Commission provides a green gold standard to shift investments toward a low-carbon and climate-resilient economy, meanwhile contributing to help investors to avoid falling into green cover-up traps.
However, EU Taxonomy faces several challenges:
- it has proven to be hard to define what is green without ambiguity and trade-off;
- technologies are evolving rapidly making viable solutions that weren’t so only a couple of years ago;
- it is complex for a company to collect standardised data and analytics to demonstrate its support to sustainable use and protection of water and marine resources.
In light of this, will the green certification act as a turbo-changer for a just and inclusive transition? Will the top-down taxonomy legislation gain general consensus? How to rebalance sustainable targets and benchmarks for the international businesses trading with European markets?
About the event
The event consists in a conference and presentation of the book “Business Future under EU Green Taxonomy”, published by the European Liberal Forum in cooperation with Fondazione Luigi Einaudi. The authors of the book, in front of an audience of experts and interested people on the topic, as well as media to ensure further coverage of the event and publication, will present their contributions contained in the book, contributing to the debate of a baseline regulation on sustainable finance and low-carbon activities, encouraging a reflection on any unintended consequence, raising a more comprehensive awareness among public and private businesses, and outlining recommendations for the implementation of EU Green Taxonomy. All this, with a focus on:
- its investments implications especially in high emitters and polluting activities like energy, steel, cement, construction and manufacturing;
- its capital costs effects;
- its human and social impacts;
- how it reflects on incentives policies (e.g., Just Transition Fund, Recovery and Resilience Fund) and possible distortive effects.
Speakers include:
- Sarka Shoup, Author, Executive Director of the Institute for Politics and Society, and European Liberal Forum Board Member (online)
- Patrizia Feletig, Journalist
- Franco Becchis, Scientific Director of Fondazione per l’Ambiente
- Sofia Santos, Sustainability economist
- Andrea Sbandati, Environmental economist and consultant
- Clara Bocchino, Human geographer, Turin School of Regulation
- Gianni Bessi, Regional Councillor for Emilia-Romagna
- Conference Moderator: Ricardo Silvestre
An event organised by the European Liberal Forum with the support of Fondazione Luigi Einaudi
An event organised by the European Liberal Forum (ELF). Co-funded by the European Parliament. The views expressed herein are those of the speaker(s) alone. These views do not necessarily reflect those of the European Parliament and/or the European Liberal Forum.
L'articolo Business Future under EU Green Taxonomy proviene da Fondazione Luigi Einaudi.
"Come la Terra, Urano e Nettuno sono mondi blu. Nettuno, sul cui globo color del mare corrono nubi bianche, a un occhio distratto sembrerebbe perfino uno specchio del nostro pianeta. L’azzurro di questi pianeti però non è quello di un oceano, ma è la tinta delle tracce di metano all’interno di un’atmosfera gelida di idrogeno ed elio. A quasi 3 e 4,5 miliardi di km dal Sole, rispettivamente, le atmosfere di Urano e Nettuno oscillano tra i 220 e 230 gradi sotto zero: i pianeti più freddi del Sistema Solare."
Ritorno ai giganti azzurri
Un racconto dei misteri che ancora custodiscono Urano e Nettuno, due pianeti del nostro Sistema Solare che meriterebbero nuove missioni spaziali.Il Tascabile
Fr.#10 / k e y w o r d s
Parole chiave
La scorsa settimana, durante una causa relativa a un’indagine su un caso di violenza sessuale, sono stati diffusi in udienza alcuni documenti che accidentalmente hanno mostrato un nuovo tipo di mandato delle forze dell’ordine: il “keywords warrant”, o “reverse search warrant”.
Il keyword warrant consiste in questo: nell’ambito di un’indagine le forze dell’ordine possono chiedere a Google (o altri motori di ricerca) di fornire dati identificativi di tutti gli utenti che nei giorni precedenti al reato hanno cercato sul motore di ricerca parole chiave come il nome della vittima, il suo indirizzo, il nome dei familiari, e altre parole che possano indicare un qualche tipo di connessione.
Insieme ai dati relativi alle query il motore di ricerca può fornire anche ulteriori informazioni, come gli indirizzi IP delle persone, i loro account Google e perfino i CookieID - quel codice univoco che identifica un utente nel network di advertising di Google.
Ad oggi risultano pubblici solo altri due casi di utilizzo di questo tipo di mandato, uno nel 2020 e un altro nel 2017, rispettivamente per indagini su un incendio doloso e una truffa.
La particolarità del keyword warrant è che ribalta i normali principi di funzionamento della giustizia. Se le forze dell’ordine volessero ottenere dati relativi a una specifica persona sospettata di aver commesso un reato, dovrebbero prima ottenere l’autorizzazione dell’autorità giudiziaria. Viceversa, con questo tipo di mandato possono ottenere i dati di chiunque abbia fatto un certo tipo di ricerca in un determinato momento - aggirando così le tutele giuridiche delle persone coinvolte.
Oltretutto, il keyword warrant si presta bene per diventare uno strumento di sorveglianza e censura politica di massa, che sotto il cappello della lotta al terrorismo (ampissimo, specie negli Stati Uniti) e agli “estremismi” può trovare terreno molto fertile in questo periodo.
Ricorda: tutto ciò che scrivi sarà usato contro di te.
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Un’attività simile al keyword warrant è il geofence warrant. Il geofence warrant segue la stessa logica del keywords warrant, ma ha a che fare con i dati di localizzazione invece che con le parole chiave ricercate. Le autorità possono chiedere a Google di consegnare dati identificativi e di localizzazione di chiunque abbia transitato in una specifica zona in un determinato periodo di tempo, attraverso i dati raccolti con Google Maps.
Al contrario del keyword warrant questa è un’attività molto usata dalle autorità statunitensi. Secondo un recente rapporto di Google il geofence warrant rappresenta circa 1/4 di tutte le richieste ricevute ogni anno dal gigante della Big tech.
I risultati in entrambi i casi sono gli stessi: una grande operazione di pesca a strascico che rischia di intrappolare nella rete delle indagini persone innocenti che si trovavano nel posto sbagliato al momento sbagliato; o che hanno cercato la parola sbagliata la momento sbagliato.
Censura delle ricerche e scienza…
Sempre sulla falsa riga del tema delle ricerche sui motori di ricerca, ieri il noto sito ZeroHedge ha pubblicato una notizia in cui si riportano alcune dichiarazioni di Melissa Fleming, UN’s Under-Secretary-General for Global Communications fatte durante un’intervista, proprio sul tema delle ricerche sui motori come Google.
Trascrivo qui l’intervista:
“We partnered with Google […] for example if you Google “climate change”, at the top fo your search you’ll get all kinds of UN resources. When we started this partnership we were shocked to see that we were getting incredibly distorted information right at the top…so we’re becoming much more proactive…We own the science, and we think that the world should know it, and the platforms themselves also do.”
Le piattaforme sono da tempo chiamate a confermare la narrativa prevalente in materia di tanti temi scientifici (e non), censurando i risultati che in qualche modo deviano dall’opinione prevalente. Il nostro mondo e la nostra percezione non si fonda più su ciò che è oggettivo, ma su ciò che è politicamente conveniente. Abbiamo sostituito la realtà con l’opinione, in balia di un pugno di persone che possono modificare la nostra percezione del mondo in tempo reale.
Un breve recap della Privacy Week 2022
La Privacy Week è giunta alla conclusione, dopo cinque giorni intensi, con centinaia di speaker e dozzine di interventi fantastici e occasioni di networking.
Molti di voi hanno scoperto la Privacy Week quest’anno, grazie al salto di qualità comunicativa e organizzativa che siamo riusciti a fare dopo il primo esperimento dello scorso anno. Spero che il prossimo anno si riesca a migliorare ancora questo evento che vorrebbe davvero diventare il punto di riferimento per parlare di privacy, cybersecurity e nuove tecnologie.
Chi non ha potuto partecipare a Milano o seguire lo streaming in diretta non deve preoccuparsi! Tutti gli eventi sono disponibili on-demand sul sito.
Visto però che sono così tanti, ho pensato di fare una selezione di quelli che mi sono piaciuti di più (ma sono davvero tutti interessanti, sfogliate il catalogo):
- Diritti digitali, self-regulation e moderazione di contenuti online: Q&A con l’Oversight Board di Facebook e Instagram / per capire meglio come funziona l’organo indipendente per la moderazione di Facebook e Instagram
- Julian Assange: la storia del cypherpunk che ha sfidato gli USA / un panel su Julian Assange, insieme a Stefania Maurizi, la giornalista italiana che da anni segue le sue vicende in prima persona
- Privacy e Bitcoin / Giacomo Zucco spiega la relazione tra Bitcoin, Lightning Network e privacy
- Gli attivisti italiani: chi difende i nostri diritti / una panoramica su alcune organizzazioni noprofit italiane attive nel campo della tutela dei diritti
- Viaggio nei ruoli della cybersecurity con due professioniste / quali sono le opportunità di carriera nel mondo della cybersecurity e come entrarci?
- Come il monopolista della pornografia ti profila: problemi, considerazioni, contromisure / l’enorme macchina di profilazione del porno, il vero core business
- Privacy Night - Scammer, hacker e cyberbulli: difendersi da quelli che colpiscono dove fa più male / una serata insieme a Diego Passoni per parlare di un tema che colpisce molte persone, soprattutto le più giovani
- Orizzonte 2030: cittadini o codici a barre? / questo è il mio intervento, di cui vi ho anche già parlato la scorsa settimana, con una sintesi scritta del discorso
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Meme del giorno
Citazione del giorno
The right to agree with others is not a problem in any society; it is the right to disagree that is crucial- Ayn Rand
Continuità
Il nuovo governo è di là da venire. Si è quasi esaurita l’ondata delle analisi e dei commenti sui voti espressi, mentre il gioco del totoministri lascia il tempo che trova. Sarebbe già molto se avessero notizie affidabili i diretti interessati. L’elemento che sembra essere più importante e permanente, però, è la voglia di continuità. Per la composizione dell’esecutivo e il passaggio delle consegne c’è tempo, ma i segnali di continuità si colgono nel merito delle intenzioni. Ed è un fatto positivo, oltre che, malauguratamente, non consueto.
Si può sempre credere che certe parole siano strumentali e che chi le pronuncia sia un bugiardo, ma sarebbe quasi diabolico. Perché ci sono aspetti su cui il futuro capo dell’esecutivo s’era già pronunciata in campagna elettorale, restando poi ferma su quelle posizioni. Prima di tutto la politica estera e la condanna senza tentennamenti dell’invasione russa. Ma anche sul fronte interno sembra prevalere il desiderio di continuità. Ad esempio a proposito del caro bollette.
Se si ragiona di una disponibilità di ulteriori 25 miliardi, che si aggiungerebbero ai 66 già mobilitati, vuol dire che si pensa di utilizzare i 10 miliardi già accantonati dal governo Draghi, più i 10 che derivano dall’aumento del gettito fiscale (uno degli effetti della crescita dei prezzi), con i 5 raccolti tassando gli extraprofitti delle società fornitrici d’energia. Ovvero non solo ci si muove in continuità, ma la si osserva sul punto più rilevante e con maggiori conseguenze positive: niente scostamento di bilancio. Non è una novità, per Fratelli d’Italia, ma è pur sempre l’opposto di quel che reclamava la Lega. Se i rapporti di forza e la saggezza indurranno ad attenersi alla prima e non alla seconda condotta, sarà solo che un bene.
Potrà sembrare strano che tanta continuità sia garantita dalla vittoria degli oppositori del precedente governo, ma è una stranezza più politicista che relativa alle questioni concrete. Il governo Draghi ha totalizzato due anni di forte crescita economica, riuscendo a far scendere debito e deficit. Non avrebbe senso che chi raccoglie il testimone voglia rompere la continuità, perché oltre che al Paese porterebbe problemi e sfortuna a chi si appresta a governare.
A questo si aggiunga un’ulteriore questione, che non riguarda affatto solo l’Italia e neanche solo gli europei (si pensi a quel che successe negli Stati Uniti e sta succedendo in Brasile): vincere le elezioni legittima la maggioranza parlamentare e comporta il diritto-dovere di governare, ma è pericoloso dimenticarsi di non essere maggioranza nel Paese o che gli elettori sono divisi in due. Trump vinse con meno voti popolari di Clinton, averlo ignorato non gli ha giovato.
Biden ha ereditato non solo un Paese spaccato, ma con un accenno di guerra civile al debutto, sarebbe sciocco se non ne tenesse conto. Il primo turno Brasiliano racconta un paese diviso e in cui nessuno degli sfidanti raccoglie più della metà. Il democrazia non si passa il bastone del comando (che proprio non c’è), ma la guida del governo e del legiferare.
Una maggioranza parlamentare ha la possibilità di fare quel che promise, ma anche la responsabilità di non trasformare il proprio essere minoranza nel Paese in un elemento che ne incrudelisca gli scontri, radicalizzandoli. Perché per riuscire a governare il consenso dovrà continuare a costruirlo, provvedimento dopo provvedimento.
Da questo punto di vista la postura della continuità, che fin qui si mantiene, è dimostrazione di saggezza. Anche perché c’è una questione che non è di politica estera e neanche interna, ma le condiziona entrambe: l’essere parte dell’Unione europea. È il punto su cui i vincitori delle elezioni italiane sono più indeboliti da quel che dissero, fecero e votarono. La continuità è un buon approccio per superare tare che nuocerebbero all’Italia, ma anche a chi oggi ha vinto e s’appresta a governarla.
L'articolo Continuità proviene da Fondazione Luigi Einaudi.
Prosegue la nostra rubrica per conoscere meglio le misure dedicate alla #scuola.
Oggi vi parliamo degli investimenti previsti per migliorare l’offerta formativa nella fascia 0-6 anni.
Se NON vogliamo che tutto rimanga com’è, bisogna che tutto cambi – Agenda 2030: istruzioni per il futuro
3. SOSTENIBILITÀ AMBIENTALE (ottobre – novembre) – AGENDA 2030: istruzioni per il futuro
L’Agenda 2030 per lo Sviluppo Sostenibile è un programma d’azione, sottoscritto nel settembre 2015 dai governi dei 193 Paesi membri dell’ONU. Si tratta di un progetto che mira alla prosperità del pianeta e dei suoi abitanti.
Il laboratorio intende pertanto diventare occasione di analisi e confronto dei 17 obiettivi per lo Sviluppo Sostenibile da raggiungere entro il 2030 di cui l’agenda è composta.
Si sottolinea in particolar modo che con il presente laboratorio si intende promuovere l’accesso alle facoltà universitarie di indirizzo STEM da parte delle studentesse.
Docenti incaricati dalla Fondazione Luigi Einaudi:
Prof. Giuseppe Tringali, Presidente dell’Ordine dei Chimici e dei Fisici della Provincia di Siracusa e componente del Comitato scientifico della Fondazione Luigi Einaudi.
Avv. Michele Gerace, Presidente dell’Osservatorio sulle Strategie Europee per la Crescita e l’Occupazione; Ideatore di “Costituzionalmente: il coraggio di pensare con la propria testa” (è in corso la XII edizione, la IV e la V edizione hanno ricevuto l’adesione del Presidente della Repubblica che ha conferito la Sua Medaglia di Rappresentanza), della “Scuola sulla Complessità” (è in corso la IV edizione), del Bar Europa e dell’omonima rubrica radiofonica al Rock Night Show su Radio Godot (è in corso la VI stagione); Responsabile del progetto “La Fondazione Luigi Einaudi per la Scuola”.
Avv. Gianmarco Bovenzi, Responsabile dei progetti ELF della Fondazione Luigi Einaudi, è un professionista del diritto dalla formazione internazionale con precedente esperienza professionale presso lo United Nations Office for Drug Control and Crime Prevention.
Docente incaricato dal Liceo Lucio Piccolo:
Prof. Antonio Smiriglia
PON Legalità 2014 – 2020: Progetto “NO MORE NEET – Sperimentazione di percorsi integrati di carattere educativo, formativo e di socializzazione per i ragazzi volti a combattere la povertà e a promuovere l’inclusione sociale e la legalità.
Approfondisci progetto “Se NON vogliamo che tutto rimanga com’è, bisogna che tutto cambi”
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Grazie, Nonni. E lunga vita
C’è una scena incantevole che ricorre assai spesso nei nostri ritrovi familiari, la si coglie quando siamo a tavola, a casa dei nonni o a casa nostra quando li invitiamo.
Ci guardiamo e conversiamo. Esistono, però, modi e toni diversi. C’è il figlio che ha tenuto in serbo un discorso difficile e complicato. Approfitta dell’aria di festa che si crea intorno, si sente caricato e così parte pian pianino con piccole e impercettibili insidie all’indirizzo di padre e madre fino a togliere il tappo alla propria malcelata intensione – perché così poi finisce – di colpire a fondo papà e mamma con i discorsi che lui sa, e che sono quelli che fanno male.
Intanto si registra un diverso guardare. Lo attivano e lo coltivano i nipotini. Appena fiutata l’aria, disseminano come mine piccole distrazioni. E vanno intorno con lo sguardo su chi comincia ad alzare i toni e su chi li subisce. I loro, sono sguardi di una tenerezza profonda. Con quegli sguardi vorrebbero sollevarli dal crinale in cui stanno (i nonni) per precipitare e con quegli sguardi li avvolgono e li proteggono perché non si facciano male.
Dicono che i nonni sono gli angeli custodi, in terra, dei nostri piccoli. Forse è il caso di aggiungere anche altro: i nipoti sono gli angeli custodi dei nonni. Che i nonni custodiscano i nipoti lo dicono gli adulti avveduti. Più difficile è riconoscere che i nipoti riescano a custodire i nonni. Quando scopriremo questa realtà, avremo fatto tombola perché quel giorno riusciremo finalmente ad invertire la marcia del nostro rapporto figli e padri. Perché è questo rapportarsi il vero problema da affrontare e risolvere.
Se i figli non conoscono o non hanno riflettuto abbastanza sulla vita dei loro padri, o se non hanno riflettuto a dovere sulla propria identità e sul proprio cammino di vita, difficilmente potranno stabilire con i loro padri rapporti sensati e pacifici, oltre che pacificatori. Fino a quando i padri vengono tenuti sotto processo con le accuse più strampalate perché i loro percorsi non sono stati mai letti e contestualizzati nella storia che fu, la conflittualità resterà permanente. Prendiamo ad esempio un figlio che ha studiato e un padre semianalfabeta. Il figlio fa lo spaccone e detesta il padre che è rimasto indietro. Non tiene conto, però, che un padre semianalfabeta insieme a mille altri del suo stesso rango ha avuto l’ingegno e la lungimiranza di mandare il pargoletto a scuola e anche all’università. Poteva non sostenerlo, mentre invece l’ha incoraggiato e pure vezzeggiato. Eppure, ancora si lamenta e rimprovera al genitore perché, al contempo, non l’ha fatto anche ricco. E se pure, l’ha fatto ricco, non è riuscito a farlo straricco. Probabilmente questo figlio deve ancora chiarire a sé stesso qual è il suo compito nella vita.
E poi, un figlio che ne sa – o quando mai si è interrogato – riguardo alla condizione esistenziale di suo padre che invecchia? Sa, per caso, che cosa significa non poter più lavorare, lui che si è sentito forte e valido fino a quando a provvedere ai bisogni suoi e della famiglia sono servite le sue mani? Forse ancora non lo sa, non l’ha neanche immaginato. O sa che cosa significa finire infermo o – come oggi si dice – allettato? Goffredo Parise ha scritto che quel padre “sente vergogna”, Ferdinando Camon “prova vergogna”.
E questo solo per dire dell’incomprensione di cui soffrono i nostri padri, nonni dei nostri figli. E questo solo per non aprire quell’altra pagina, quella degli errori (li dovremmo chiamare orrori), rappresentati da una malasanità che mortifica quotidianamente i nostri anziani, li spersonalizza, li guarda come mangia-farmaci a tradimento, dimenticando che sono stati loro a mettere in piedi un sistema che voleva essere sollievo per tutti e si mostra invece ingrato ai meno abbienti. E poi c’è l’altro gradino, quello che scende nel profondo dell’abisso. Sono gli anziani bancomat. E gli altri ancora: quelli lasciati a terra con la testa sanguinante perché il bancomat ha fatto scivolare 20 e non 50 euro come richiesto da un (si fa per dire) famigliare che ha solo avvertito il profumo di soldi bagnati col sudore della fronte degli altri.
Vivano a lungo i nostri nonni e continuino a custodire i nostri figli. Lo fanno gratis come gratis sono custoditi dai nipoti. E non solo con lo sguardo. Con cuore bambino.
L'articolo Grazie, Nonni. E lunga vita proviene da ilcaffeonline.
Pirates: Common charger a win for users and the environment
Today, Members of the European Parliament approved the outcome of the trilogue negotiations on the Common Charger directive. A strong position of the European Parliament warrants that in addition to mobile phones, the USB Type-C cable will become the common charging port for other small and medium-sized portable electronic devices by autumn 2024, and by spring 2026 for larger ones, as well.
MEP Marcel Kolaja, Member of the responsible Committee on Internal Market and Consumer Protection (IMCO) and Quaestor of the European Parliament, comments:
“I am pleased that the European Parliament managed to extend the list of devices that will be able to be charged with the same charger. Not only will this greatly simplify the everyday life of consumers, but also, for example, traveling. Nobody wants to carry five different chargers with them. In addition, this will help protecting the environment, since discarded chargers account for 11,000 tons of e-waste a year in the European Union.“Further, today’s vote obliges the European Commission to continuously assess the possibility of including other product categories. The directive will be revised for the first time three years after its entry into force and then every five years, taking into account technological progress, consumer convenience and the environment.”
MEP Patrick Breyer from the German Pirate Party comments:
„The EU common charger is an important first step towards electronics that are tailored to the needs of users rather than industry profits. But with a right to repair and the fight against planned obsolescence, many more steps must follow. We Pirates want users to be in control over the technology we use in our daily lives. We need a right to modify and repair devices on our own!”
Etiopia – 6 milioni messi a tacere: un’interruzione di Internet di due anni in Tigray
Mentre i combattimenti infuriano nella regione del Tigray in Etiopia, dilaniata dalla guerra, uno dei più lunghi arresti delle telecomunicazioni al mondo sta ostacolando le consegne di aiuti, danneggiando gli affari e tenendo separate le famiglie.
- Chiusura nella regione etiope tra le più lunghe al mondo
- Il blackout ostacola le consegne di aiuti, rovina le attività
- Le autorità affermano che le chiusure aiutano a frenare la violenza
Era appena stata incoronata campionessa del mondo , ma la maratoneta etiope Gotytom Gebreslase è scoppiata in lacrime quando gli è stato chiesto se la sua famiglia stesse festeggiando la sua vittoria a casa nel Tigray dilaniato dalla guerra.
“Non parlo con i miei genitori da mesi”, ha detto, asciugandosi gli occhi mentre parlava a una conferenza stampa durante i Campionati mondiali di atletica leggera a Eugene, nello stato nord-occidentale dell’Oregon, negli Stati Uniti, a luglio.
“Vorrei che mio padre e mia madre potessero celebrare il mio successo come lo sono gli altri etiopi”.
Pochi sono stati risparmiati dagli effetti della chiusura di quasi due anni di Internet e telefono nella regione del Tigray settentrionale dell’Etiopia, che è stata interrotta da quando sono scoppiati i combattimenti tra i ribelli del Tigray e le forze governative nel novembre 2020.
Il conflitto è ripreso il mese scorso dopo una tregua umanitaria durata mesi, che ha deluso le speranze di ripristino delle comunicazioni.
Anche il capo dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) Tedros Adhanom Ghebreyesus, originario del Tigray, ha affermato di non essere stato in grado di raggiungere i suoi parenti a casa, né di inviare loro denaro.
“Non so nemmeno chi è morto o chi è vivo” ha detto il Dr. Tedros in una recente conferenza stampa a Londra.
Mentre i combattimenti continuano nel Tigray e altrove in Etiopia, il governo del primo ministro Abiy Ahmed afferma che le chiusure sono necessarie per frenare la violenza, ma i critici accusano le autorità di utilizzare Internet come arma di guerra.
“L’accesso alle comunicazioni e ad altri servizi di base, e soprattutto l’assistenza umanitaria, è esplicitamente utilizzato come merce di scambio dal governo etiope”, ha affermato Goitom Gebreluel, analista politico specializzato in affari del Corno d’Africa.
“È usato come leva sia contro il Tigray che contro la comunità internazionale”.
Telefoni satellitari e stampa
In tutto il mondo, le interruzioni di Internet sono diventate più sofisticate, durano più a lungo, danneggiano le persone e l’economia e prendono di mira i gruppi vulnerabili in tutto il mondo, secondo il gruppo per i diritti digitali Access Now.
L’anno scorso ha registrato circa 182 interruzioni di Internet in 34 paesi, rispetto alle 159 interruzioni in 29 nazioni dell’anno precedente.
In Etiopia , sporadici blackout di Internet e telefonici sono stati usati come “un’arma per controllare e censurare le informazioni”, ha affermato il gruppo, rendendo difficile per giornalisti e attivisti documentare presunti crimini contro i diritti e fornire aiuti.
Nella capitale regionale del Tigray, Mekelle, soluzioni di emergenza come i telefoni satellitari sono diventati uno strumento vitale per le operazioni delle agenzie umanitarie.
Il Comitato Internazionale della Croce Rossa (CICR) gestisce anche un servizio di telefonia satellitare per i residenti locali, dando loro un modo per inviare un messaggio ai propri cari.
Finora quest’anno, il CICR ha facilitato circa 116.000 telefonate e messaggi orali “tra membri della famiglia separati da conflitti e violenze”, ha affermato la portavoce Alyona Synenko.
Con quasi la metà dei sei milioni di persone della regione che hanno un grave bisogno di cibo , la chiusura e i blocchi stradali hanno ostacolato le consegne di aiuti umanitari, secondo il Programma Alimentare Mondiale delle Nazioni Unite.
La mancanza di reti di telefonia mobile ha anche “paralizzato sia l’emergenza che i normali sistemi di monitoraggio sanitario”, ha affermato un portavoce dell’OMS in un commento inviato via e-mail.
L’unico modo per comunicare è “tramite relazioni cartacee che devono essere consegnate a mano. Tutti gli incontri devono tenersi di persona”.
Funzionari del governo accusano i ribelli di danneggiare deliberatamente le reti di telecomunicazioni, mentre i rappresentanti del Fronte di liberazione del popolo del Tigray (TPLF) affermano che l’amministrazione di Abiy non vuole ripristinare i servizi tagliati.
Un portavoce di Abiy ha affermato che non c’era un “pulsante o interruttore di accensione e spegnimento singolo” per il ripristino di Internet.
Non c’era un “pulsante o interruttore di accensione e spegnimento singolo” per il ripristino di Internet.
“Le disposizioni di sicurezza e amministrative all’interno della regione del Tigray devono essere autorizzate… per facilitare i lavori di riparazione tecnica”, ha detto il portavoce ai giornalisti il mese scorso.
Il consigliere del TPLF Fesseha Tessema lo ha contestato.
“La questione è politica, poiché Addis Abeba non vuole revocare l’assedio e ripristinare i servizi”, ha detto alla Thomson Reuters Foundation.Un membro del personale della Croce Rossa Internazionale (CICR) osserva un residente che parla alla famiglia su un telefono satellitare nel Tigray, in Etiopia. Comitato Internazionale della Croce Rossa/Dispensa tramite Thomson Reuters Foundation
“Lo lasciano a Dio”
Quando il popolare cantante e attivista Oromo Hachalu Hundessa è stato ucciso nel giugno 2020 in un sobborgo della capitale, Addis Abeba, il governo ha staccato la spina da Internet dell’intero paese mentre rivolte e omicidi si diffondevano in Oromia e ad Addis Abeba.
Secondo NetBlocks, una società di monitoraggio di Internet, una repressione della polizia ha provocato centinaia di morti e un’interruzione di Internet durata 23 giorni è costata all’economia più di 100 milioni di dollari.
Frehiwot Tamiru, amministratore delegato dell’unico fornitore di telecomunicazioni – Ethio Telecom, di proprietà del governo, ha affermato che la chiusura a livello nazionale è necessaria per impedire che Internet venga utilizzato dai criminali per “uccidere e sfollare, creare caos e distruggere il paese”.
I gruppi per i diritti umani hanno anche criticato il governo etiope per la chiusura dei social media e dei servizi di messaggistica tra cui Facebook e WhatsApp nell’ultimo anno.
Le autorità etiopi non hanno commentato queste chiusure, ma hanno affermato l’anno scorso che stavano sviluppando una piattaforma di social media interna per “sostituire” Facebook, Twitter e WhatsApp.
Molti comuni etiopi lamentano le frequenti interruzioni della loro vita quotidiana.
Come ogni quindicenne, a Tolessa piaceva cercare i risultati di calcio online e inviare messaggi ai suoi amici sul telefono, fino a quando le frequenti interruzioni di Internet nella sua città natale a Oromia lo rendevano quasi impossibile.
Con l’intensificarsi della guerra tra le forze etiopi e i ribelli dell’Esercito di liberazione di Oromo nel 2019 e nel 2020, i residenti hanno usato i loro telefoni quando potevano per avvisarsi a vicenda dell’avvicinarsi dei combattimenti, fino alla chiusura della banda larga e di Internet mobile.
“Ora è tutto un azzardo – lo lasciano a Dio”, ha detto Tolessa, che ha chiesto di usare uno pseudonimo per proteggere la sua identità.
Temendo per la sua incolumità, la famiglia di Tolessa lo ha mandato a vivere con i parenti ad Addis Abeba a circa 300 km (185 miglia) di distanza, dove ora va a scuola e spera di diventare ingegnere. È una lotta per rimanere in contatto.
“Posso contattare solo alcuni parenti per telefono, la maggior parte di loro non è online da mesi”, ha detto.
In Tigray, Eyassu Gebreanenia, 24 anni, residente a Mekelle, ha affermato di essere in grado di collegarsi online una o due volte al mese, utilizzando il Wi-Fi presso l’ufficio di un’organizzazione no profit internazionale in cui lavora il suo amico.
La città era un tempo il vivace centro degli affari della regione, ma Gebreanenia ha detto che ospedali, hotel e ristoranti sono chiusi e le persone che un tempo possedevano attività fiorenti ora lottano per sfamare le loro famiglie.
“È come se avessero riportato indietro l’orologio di 30 anni”, ha detto in una e-mail. “Le persone stanno soffrendo, ma potresti non saperlo perché siamo tagliati fuori dal mondo. È piuttosto deprimente”.
(Segnalazione di Zecharias Zelalem. Montaggio di Rina Chandran e Helen Popper.)
FONTE: context.news/digital-rights/si…
Durante #eprivacy, l'avvocato @marcociurcina spiega perché #MonitoraPA... è MonitoraPA
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Bastano pochi secondi, un confronto di piazza nato per caso, e la fragilità mostruosa degli argomenti usati dal Palazzo esce fuori in modo clamoroso.Redazione Contropiano (Contropiano)
Orizzonte 2030: cittadini o codici a barre?
Lunedì 26 settembre 2022 ho fatto un intervento durante l’apertura della Privacy Week, dal titolo “Orizzonte 2030: cittadini o codici a barre”.
Lo speech, di circa 20 minuti, è già disponibile on-demand sul sito della Privacy Week, per chi volesse riguardare il video. Vorrei però riportare qui ciò di cui ho parlato, anche per estendere alcuni concetti.
Privacy Chronicles si sostiene solo grazie agli abbonamenti dei lettori. Se ti piace quello che scrivo e vuoi sostenere il mio lavoro, considera l’abbonamento! Sono circa €3 al mese.
Perché cittadini codici a barre? Il codice a barre è un elemento grafico costruito per essere scansionato da un sensore, che poi restituisce una serie di informazioni. Con i codici a barre possiamo conoscere in tempo reale cosa sono i prodotti che troviamo nei negozi e nei magazzini, da dove vengono, chi li produce, quanto costano e tanto altro. Da qualche anno abbiamo anche imparato a usare codici a barre per identificare e ottenere informazioni non solo sulla merce, ma anche sulle persone. Ad esempio col green pass, che è stato usato per capire chi aveva diritto di lavorare, viaggiare, visitare i parenti in ospedale, o anche partecipare a eventi come questo.
Quindi, il codice a barre per me è un simbolo che racchiude l’ideologia di chi vorrebbe trasformare lo stato in un sensore capace di scansionare in tempo reale i cittadini, attraverso la diffusione sempre più capillare di pratiche di sorveglianza e di controllo di massa.
La sorveglianza fisica
La sorveglianza fisica è la più facile ed evidente, ormai siamo tutti abituati. Le nostre strade sono piene di telecamere, in una quantità che aumenta esponenzialmente ogni anno che passa.
Alcune città ora si stanno riempiendo anche di sensori e vere e proprie stanze di controllo, come la Smart Control Room di Venezia, per monitorare in tempo reale le persone presenti sul territorio, i loro spostamenti e - se serve - anche identificarle in tempi brevissimi.
Alcuni comuni italiani, come Como, hanno anche già sperimentato con la videosorveglianza biometrica (riconoscimento facciale). La particolarità di questi sistemi è che possono “riconoscere” il nostro viso e identificare le persone in tempo reale confrontando le immagini acquisite con dati presenti in database a disposizione dei comuni e delle forze dell’ordine. I sistemi di riconoscimento facciale sono naturalmente soggetti a errori, anche dovuti a variabili ambientali. Ad esempio, una delibera del comune di Udine (altra città che vorrebbe installare riconoscimento facciale) afferma chiaramente che i cittadini dovrebbero essere collaborativi e non nascondere il loro viso con cappelli, occhiali da sole o sciarpe.
Ma la sorveglianza fisica è quella delle stazioni, degli aeroporti e delle frontiere, che ormai si sono trasformati in hub per la raccolta di dati e sorveglianza di massa di qualsiasi passeggero e immigrato. Basta pensare che attraverso il codice PNR le autorità aeroportuali conoscono in tempo reale chi siamo, dove andiamo e - con algoritmi creati appositamente - quale possa essere il nostro rischio terrorismo.
La sorveglianza digitale
La sorveglianza digitale è quella cosa che ci ha fatto scoprire Edward Snowden nel 2013. Grazie alla divulgazione di migliaia di documenti top secret della NSA abbiamo conosciuto i programmi PRISM e TEMPORA, con i quali l’alleanza di intelligence 5 Eyes fu in grado di spiare a livello globale centinaia di milioni di persone, compresi cittadini europei (con l’aiuto del GCHQ, agenzia di intelligence inglese).
Dal 2013 a oggi le cose non sono migliorate, anzi! È notizia di questi giorni che una piattaforma chiamata Augury sia stata acquistata dall’apparato militare statunitense. Secondo alcuni articoli, la piattaforma sarebbe in grado di monitorare fino al 93% di tutti i dati e metadati che transitano su internet a livello globale, anche dietro protocollo https. Un esperto di cybersecurity ha commentato la notizia così: «è tutto, non c’è altro da catturare se non l’odore dell’elettricità».
Ma la sorveglianza digitale non è solo cosa di militari e intelligence. Come sapete bene, voi che mi leggete da quasi due anni ormai, Da tempo i nostri governi cercano di promuovere strumenti legali per la sorveglianza di massa delle comunicazioni.
Uno di questi è il regolamento Chatcontrol in UE, che con la scusa della lotta alla pedofilia promette di instaurare un regime di sorveglianza capillare e sistematica di ogni comunicazione, chat, email e social. Nessuno sarà escluso e tutti i contenuti delle nostre comunicazioni (testo e immagini) saranno monitorati e valutati dai fornitori di servizi. In pratica, l’UE ha deciso che siamo 450 milioni di potenziali pedofili. Bambini compresi, ovviamente - mica sono esclusi da questa sorveglianza.
Oggi dobbiamo partire dal presupposto che ogni cosa che diciamo e facciamo online viene monitorata e valutata da migliaia di persone e algoritmi di vario tipo e potrebbe essere usata contro di noi.
Sorveglianza finanziaria
La sorveglianza finanziaria è un tipo particolare di sorveglianza digitale. Esistono diversi tipi di sorveglianza: antiriciclaggio, antiterrorismo, contro l’evasione fiscale. Cambia la forma, ma non la sostenza.
Dietro lo schermo della criminalità e del terrorismo gli stati possono giustificare qualsiasi tipo di ingerenza nei nostri comportamenti economici. Non c’è alcun limite. Ogni volta che paghiamo qualcosa con carta o bonifico le nostre transazioni sono esaminate e valutate da migliaia di algoritmi e persone che hanno un unico scopo: decidere in modo più o meno automatizzato se siamo potenziali criminali oppure no.
La questione è particolarmente preoccupante se pensiamo che alcune nuove normative antiriciclaggio per il settore “crypto” prevedono espressamente di valutare come fattori di rischio le transazioni che arrivano da strumenti per la protezione della privacy, come sistemi di coinjoin o wallet privati (e quindi non-KYC).
Sia nella sorveglianza fisica che quella digitale e finanziaria, la privacy viene sempre più vista come un elemento di fastidio e un fattore di rischio, a vario titolo.
La sorveglianza finanziaria però è particolarmente insidiosa perché ha una stretta correlazione con la censura politica. Pensate che proprio lunedì, dopo il mio intervento, una ragazza mi ha fermato per parlarmi della sua organizzazione noprofit, a cui Stripe ha bloccato i conti per motivi ignoti (probabilmente perché per motivi umanitari hanno a che fare con la Siria). Migliaia di associazioni e persone ogni anno vengono censurate senza alcuna motivazione esplicita. Bloccare un conto corrente significa mettere a rischio la loro sopravvivenza.
Le cose si fanno ancora più cupe se guardiamo al futuro della moneta, cioè alle CBDC. Ne ho parlato molto qui su Privacy Chronicles1, quindi mi limiterò a dire che con l’euro digitale non solo ogni transazione sarà monitorata e analizzata più di adesso, ma sarà anche possibile programmare il modo in cui possiamo usare e spendere i nostri soldi.
La censura non sarà quindi un elemento esterno, un’ingerenza politica come ora, ma una vera e propria funzionalità della nuova moneta digitale di stato.
Sorveglianza ambientale
La sorveglianza ambientale è l’ultima frontiera della sorveglianza e dell’ideologia del sacrificio per il bene comune. Ci sono diversi spazi di sorveglianza, da quella sugli spostamenti (come proposto da Fridays for Future e comune di Milano) fino alla sorveglianza pervasiva sulle nostre azioni e transazioni per valutare il nostro impatto ambientale, come se fossimo merce.
Ne ho parlato recentemente, quindi vi rimando all’ultimo articolo sul tema per saperne di più:
Cittadini codici a barre
Il paradigma che caratterizza il rapporto tra stato e cittadini si è completamente ribaltato.
Una democrazia in salute dovrebbe prevedere la totale trasparenza dello stato e dei suoi processi interni, così da essere controllabile dai cittadini. Invece, oggi si chiede trasparenza ai cittadini come condizione di cittadinanza: siamo chiamati a trasformarci in codici a barre con le gambe; essere immediatamente e sistematicamente scansionabili e controllabili da uno stato sempre più lontano e sempre più zeppo di processi decisionali automatizzati oscuri (anche attraverso i suoi organi esterni, come il sistema bancario).
Ayn Rand diceva che ci sono due idee alla base di ogni totalitarismo: la rinnegazione della ragione a favore della fede e la rinnegazione dell’interesse personale a favore del sacrificio personale.
Lo statalismo e la sorveglianza di massa per me sono una forma di fede verso uno stato tecnocratico e totalitario, che con sorveglianza, identità digitale e social scoring è pronto a rivendicare i nostri dati e le nostre esperienze, per controllare e manipolare i nostri comportamenti.
Questo Dio-stato tecnocratico ci chiede, con ogni pretesto possibile, di sacrificare volontariamente i nostri valori più importanti, vita, proprietà, libertà, privacy… per ottenere in cambio una parvenza di sicurezza e una catena al collo sempre più stretta e corta.
I pochi, fuori da questo perverso sistema sacrificale, che pretendono il rispetto della loro libertà e privacy sono mal visti dai concittadini virtuosi senza nulla da nascondere - pronti a condannarli ed escluderli dalla società a fronte del peccato più grande di tutti: rifiutarsi di sacrificare la propria vita per servire la “collettività”.
Ecco, io credo che sia arrivato il momento di valutare una nuova visione di esistenza umana, fondata su una moralità individualista che abbia al centro libertà e ricerca della felicità, al riparo da ingerenze arbitrarie.
Una moralità fondata sull’interesse personale e sulla ragione, non sul sacrificio personale. Dobbiamo riconoscere e affermare che nulla giustifica il sacrificio di privacy e libertà; neanche il terrorismo, la guerra o i crimini più efferati. Dobbiamo contestare l’idea della sorveglianza di massa come strumento per ottenere sicurezza. La sorveglianza indiscriminata non risolve alcun problema e non è uno strumento di prevenzione del crimine. E anche se lo fosse, non sarebbe comunque giustificabile.
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La Privacy Week è un evento ambizioso che ho voluto anche per portare questi temi al grande pubblico. Siamo solo alla seconda edizione ma anche grazie a tutti voi posso dire che è la strada giusta.
La settimana continua fino a venerdì sera, da Milano per chi vorrà passare a seguire gli eventi dal vivo e fare due chiacchiere; altrimenti in streaming su www.privacyweek.it.
Grazie Panetta, non compro niente, CBDC, Bitcoin, privacy e libertà (intervista con Gianluca Grossi), Moneta digitale di Stato, poteri illimitati e sorveglianza finanziaria
Hello @Philipp Holzer , I am administrator of this instance and I am also moderator of an Italian mastodon instance.
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Thank you and good day
6 Months of "agreement in principle", EU-US agreement in fact still missing
6 mesi di "accordo di principio", l'accordo UE-USA di fatto ancora non c'è 6 mesi fa, la Presidente della Commissione europea von der Leyen e il Presidente degli Stati Uniti Biden hanno annunciato un accordo "di principio" sui trasferimenti di dati tra l'UE e gli Stati Uniti. Ad oggi, non c'è ancora un accordo.
Agenda climatica? Sorveglianza e controllo, una distopia eco(in)sostenibile
Tratto dalla newsletter di Matteo Navacci: Prima di cominciare con l’articolo di oggi vi ricordo che il 26 settembre inizia la Privacy Week 2022. Io avrò un intervento proprio il 26 alle ore 14:30. Se volete assistere dal vivo (a Milano) o da remoto in streaming, registratevi sul sito! Consiglio anche tutti gli altri giorni, ci sono centinaia di speaker per oltre 70 eventi, c’è qualcosa per tutti davvero!
Vi ricordo anche che ora Privacy Chronicles ha un suo 🎙️ canale Telegram: t.me/privacychronicles, vi aspetto!
L’agenda comun…ehm - climatica - è ormai a pieno regime, e purtroppo si porta dietro un tale carico di sorveglianza di massa e controllo sociale che anche i meno sensibili tra voi dovrebbero, forse, iniziare a preoccuparsi. I segnali, convergenti tra loro, sono ovunque - anche se sparpagliati e apparentemente separati l’uno dall’altro.
Come abbiamo imparato in questo tempo insieme, tutti i tasselli del puzzle però si incastrano perfettamente, anche se ora sembrano distanti tra loro. Eppure sarà solo questione di tempo prima che la figura sarà completa.
Oggi vorrei parlarvi di alcuni di questi tasselli di questo nuovo puzzle. Alcuni ci riguardano molto da vicino, altri invece arrivano da più lontano, ma con implicazioni dirette per tutti noi.
Mi riferisco a:
- Move-In, la nuova sorveglianza di massa made in Milano, pensata appositamente per i poveri
- La distopia finanziaria e totalitaria delle idee nell’agenda climatica di Fridays for Future Italia
- L’agenda climatica del World Economic Forum, tra sorveglianza di massa e social scoring
Move-In, la sorveglianza di massa made in Milano
Cominciamo col primo. Dal 1° ottobre a Milano sarà vietato l’accesso in Area B ad autovetture a benzina Euro 1 e gasolio da Euro 0 a Euro 4 dalle ore 7:30 alle ore 19:30, ad eccezione di sabato, domenica e festivi.
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Basta! Contro la barbarie dell’alternanza scuola-lavoro
Basta! Contro la barbarie dell’alternanza scuola-lavoro | La Fionda
Ha un nome proprio, Giuliano, lo studente schiacciato da un blocco di acciaio di due tonnellate durante uno stage, che le cronache hanno frettolosamenteSalvatore Bianco (La Fionda)
L’obsolescenza degli smartphone e la raccolta massiccia di dati mettono in pericolo il futuro del digitale
Vorrei segnalare un altro articolo molto interessante pubblicato da Basta!, media francese indipendente e autofinanziato (se potete, sostenetelo da qui: basta.media/don):
“L’obsolescenza degli smartphone e la raccolta massiccia di dati mettono in pericolo il futuro del digitale” di Emma Bougerol:
basta.media/l-obsolescence-des…
Questo è il sommario che apre l’articolo:
“Dai minerali indispensabili per gli smartphone all'energia consumata dai data center, la tecnologia digitale ha un pesante impatto ecologico. Anche in questo caso la sobrietà è essenziale, ma non passa necessariamente dalla riduzione dell'uso di Internet”.
Qui sotto trovate una sintesi dei temi trattati, l’articolo è distribuito con una licenza Creative Commons BY-NC-ND 4.0 che non ne permette la traduzione.
L’articolo mette in evidenza alcuni dati dell’impatto della tecnologia digitale sull’ambiente: questa rappresenta in Francia il 10% del consumo di elettricità e il 2,5% dell'impronta di carbonio che sintetizzata in un’immagine piuttosto efficace è l’equivalente delle emissioni di CO2 di 12 milioni di automobili, che percorrano ciascuna 12.000 km all'anno.
L’articolo sottolinea poi come la valutazione dell’impatto ambientale debba tener conto di molteplici fattori: il consumo di tutti i dispositivi usati dagli utenti, ma anche i consumi della rete che trasporta questa enorme quantità di dati e interazioni e quello dei data center che li archiviano.
Il testo prosegue ricordando come la produzione dei terminali degli utenti, televisori, computer, smartphone costituisca la parte maggiore e più dannosa dell’impatto ambientale del digitale (esaurimento delle risorse, emissioni, consumo di energia, produzione di rifiuti).
Buona parte di questi danni ambientali colpiscono soprattutto i paesi in via di sviluppo in cui si estraggono i metalli preziosi e quelli in cui vengono scaricati i nostri rifiuti elettronici.
A questo aspetto si aggiunge l’esaurimento di alcuni minerali necessari per la costruzione dei dispositivi, ad esempio litio e cobalto per le batterie o il tantalio per i circuiti degli smartphone.
Anche in questo caso non è possibile pensare che la quantità di dispositivi prodotti possa essere infinita.
Un altro grave problema affrontato è quello dell’obsolescenza dei dispositivi: in Francia la vita media di uno smartphone è stimata tra i due e i tre anni, è chiaro che per ridurre l’impatto ambientale sarebbe necessario aumentare e non di poco la durata dell’utilizzo dei dispositivi, secondo un esperto dell’associazione GreenIT.fr si dovrebbe arrivare ad 8 anni per gli smartphone, 10-15 anni per i computer e 20 per i televisori.
La conclusione dell’articolo si apre con un titolo un po’ forte, "Eliminiamo il digitale ogni volta che è possibile” che però viene meglio articolato nelle righe successive: non si tratta di fermare del tutto lo sviluppo della tecnologia digitale, ma si tratta di optare per scelte “low tech” che pratichino anche alternative analogiche là dove disponibili. Questo processo non può essere un percorso individuale è fondamentale un intervento politico dello stato che deve regolamentare in qualche modo la vendita e la distribuzione dei prodotti digitali.
L’obsolescence des smartphones et la collecte massive de données mettent en péril l’avenir du numérique
Le numérique représente 10% de la consommation d'électricité en France, et 2,5% de ses émissions de CO2.Basta!
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Oscar, La Stranezza del palermitano Andò tra i 12 film italiani in gara per la candidatura
C'è anche il film "La Stranezza" del regista palermitano Roberto Andò, con protagonisti Toni Servillo e il duo pure palermitano formato da Salvo Ficarra e Valentino Picone nell'elenco delle 12 pellicole che concorreranno alla designazione del titolo candidato a rappresentare l'Italia nella selezione per la categoria International Feature Film Award dell'edizione numero 95 dell'Academy Awards, il prestigioso Premio Oscar.
gds.it/foto/cinema/2022/09/21/…
Oscar, La Stranezza del palermitano Andò tra i 12 film italiani in gara per la candidatura
C'è anche il film "La Stranezza" del regista palermitano Roberto Andò , con protagonisti Toni Servillo e il duo pure palermitano formato da Salvo Ficarra e Valentino...redazione (Giornale di Sicilia)
Un biglietto per il Metaverso
A Palermo, a Palazzo Reale il futuro è già arrivato, dal 21 settembre, μετα Experience, uno spazio permanente tra arte e dimensioni parallele. Immersi nella dimensione dell'Infinity Room i visitatori potranno assistere alla smaterializzazione e materializzazione dei capolavori d'arte originali e scoprire come avviene la creazione dell'identità dell'opera provando il processo sulla propria pelle.
palermo.gds.it/video/cultura/2…
Palermo, a Palazzo Reale uno spazio permanente tra arte e dimensioni parallele
Un biglietto per il metaverso. A Palazzo Reale il futuro è già arrivato. Apre, dal 21 settembre, μετα Experience, uno spazio permanente tra arte e dimensioni...Maria Vera Genchi (Giornale di Sicilia)
Palermo, da luogo di mafia a simbolo di riscatto: nel quartiere Cruillas una piccola oasi verde anche per le api
Il progetto Terra Franca nasce nel 2019, promosso dall'associazione Hryo, in un terreno confiscato a Cosa nostra. Obiettivo è restituire alla comunità un luogo naturale in un contesto cittadino che diventi vessillo di inclusione sociale e legalità.
Al suo interno, tra le altre cose, un apiario olistico e una serra della biodiversità.
Fonte notizia: Palermotoday
VIDEO | Da luogo di mafia a simbolo di riscatto: a Cruillas una piccola oasi verde anche per le api
Il progetto Terra Franca nasce nel 2019, promosso dall'associazione Hryo, in un terreno confiscato a Cosa nostra. Obiettivo è restituire alla comunità un luogo...Rosaura Bonfardino (PalermoToday)
La leggenda del fantasma della Suora del Teatro Massimo di Palermo
𝗟𝗮 𝗹𝗲𝗴𝗴𝗲𝗻𝗱𝗮 𝗱𝗲𝗹 𝗳𝗮𝗻𝘁𝗮𝘀𝗺𝗮 𝗱𝗲𝗹𝗹𝗮 𝘀𝘂𝗼𝗿𝗮 𝗱𝗲𝗹 𝗧𝗲𝗮𝘁𝗿𝗼 𝗠𝗮𝘀𝘀𝗶𝗺𝗼 𝗱𝗶 𝗣𝗮𝗹𝗲𝗿𝗺𝗼
i Palermo. Pima della costruzione del Teatro furono demolite alcune strutture preesistenti tra cui la Chiesa di San Francesco delle Stimate, compreso il monastero ed il cimitero annessi, consistenti nella Chiesa di San Giuliano e la Chiesa di Sant’A…panormus
Eppur si muove! Qualche alternativa al dominio dei GAFAM nel mondo della scuola.
Su Basta!, un media indipendente francese, un articolo molto interessante che fa il punto sulle alternative ai #GAFAM che stanno crescendo in alcuni paesi europei (Francia, Germania e Spagna):
https://basta.media/profs-parents-d-eleves-et-activistes-se-bougent-pour-liberer-l-ecole-des-Gafam
Insegnanti, genitori e attivisti si muovono per liberare la #scuola dalla morsa di Google e Microsoft
Particolarmente interessanti le affermazioni di Simona Levi, fondatrice di Xnet un'associazione catalana che si batte per la difesa delle libertà digitali e che ha realizzato DD (Digitalizzazione Democratica) una suite di strumenti digitali per l’istruzione: xnet-x.net/en/digital-democrat…
Per l'attivista Simona Levi, oggi è necessario fare pressione soprattutto sugli stati e sull’Unione Europea. “Se le grandi multinazionali della tecnologia sono state in grado di avere così tanto spazio nell'istruzione, è perché le istituzioni non si sono prese le proprie responsabilità."
“L'Unione Europea e i governi devono impegnarsi per una piattaforma europea libera per la digitalizzazione dell'istruzione. Per noi è immorale che la digitalizzazione dell'istruzione e dell'amministrazione in generale avvenga con mezzi che non garantiscono la sovranità dei dati dei cittadini. »
L’articolo ricorda anche Apps éducation, la piattaforma realizzata dal ministero dell’istruzione francese (l’Éducation Nationale) che mette a disposizione degli insegnanti una piattaforma di strumenti digitali liberi tra cui PeerTube, Nextcloud e BigBlueButton.
E naturalmente viene menzionato anche il ruolo che all’interno del ministero dell’istruzione ha assunto Alexis Kauffmann, fondatore di Framasoft, nella promozione del software libero.
Quando l'Éducation nationale assume il fondatore di Framasoft
@Scuola - Gruppo Fediverso
@Scuola
Profs, parents d’élèves et activistes se bougent pour libérer l’école de l’emprise de Google et Microsoft
Les Gafam, multinationales du numérique comme Google ou Microsoft, prennent toujours plus de place dans les écoles et mettent la main sur les données personnelles des élèves et de leurs parents.Basta!
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twitter.com/chiaraepoi/status/…
Dopo 192 commenti, alcuni dei quali molto acidi e la solita schiera di fenomeni che sanno tutto loro ho deciso di chiudere i commenti perché mi sono stufata.
Cosa ho imparato da questa esperienza?
1) che la maggior parte delle persone sui social ha una scala di priorità che come minimo non coincide con la mia. Secondo me l'uso dei femminili nei nomi delle professioni, per quanto possa essere considerato importante, non può avere lo stesso peso delle discriminazioni (salariali e non) che le donne subiscono sul posto di lavoro.
2) che Twitter è pieno di fenomeni che credono di sapere tutto su tutto e non hanno l'umiltà di ammettere che al mondo ci sia qualcuno che ne sa più di loro (ma questo avrei dovuto saperlo prima)
3) che Twitter è pieno di gente che spara sentenze sulla gente che non conosce (e anche questo avrei dovuto saperlo)
4) che c'è un sacco di gente che non ha la minima idea dei problemi di discriminazione delle donne sul posto di lavoro (e non parlo solo di salario)
5) (e poi ho finito) che non so scrivere i curriculum, parlo di cose che non so solo perché esprimo quella che è chiaramente solo una mia opinione e che tutti lavorano in posti fantastici dove la parità tra i generi è una cosa acquisita e invece io in un posto di merda (e io che pensavo che la mia azienda fosse un po' meglio delle altre, pensate un po')
Chiudo qua questa cosa, pensando sempre di più che per vivere felici su Twitter bisogna scrivere solo frasi d'amore, mandare foto di gattini e al massimo far vedere ogni tanto le tette o il culo. Già se condividi il link a una canzone che ti piace parte la schiera dei puntacazzisti che hanno da ridire su quello che hai messo, figuriamoci.
Torno nel mio antro in silenzio, nei miei pensieri (perché io penso, anche se qualcuno non lo crede) e nelle cose che mi danno sicurezza e tranquilltà, anche perché credo di non essere più in grado di reggere uno shitstorm di questa portata.
https://twitter.com/chiaraepoi/status/1569930750488616962
Non me ne frega un cazzo di essere chiamata ingegnerE o ingegnerA. Pagatemi come i miei colleghi maschi piuttosto. (a parità di mansioni, ovvio)Twitter
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Torna feroce l’austerità europea contro i lavoratori e i poveri
"Ma soprattutto la decisione della BCE annuncia il ritorno ai patti di stabilità che distruggono la civiltà. Il commissario Gentiloni infatti ha già annunciato che gradualmente si tornerà ad essi e che in ogni caso paesi come l’Italia dovranno cominciare a mettersi a posto coi conti. Cioè a tagliare ancora servizi pubblici e sociali. Mentre si aumentano le spese militari. Come sta già facendo Draghi, che di questa politica di austerità europea e guerra americana è il primo rappresentante in Italia."
contropiano.org/news/politica-…
Torna feroce l’austerità europea contro i lavoratori e i poveri - Contropiano
La decisione della Banca Centrale Europea di alzare dello 0,75 il tasso di sconto è un atto di feroce austerità contro tutti i popoli europei.Redazione Contropiano (Contropiano)
Internet e social: la dose giusta per gli adolescenti. Il post di Carlo Venturini sull'Almanacco della Scienza
Sabrina Molinaro dell’Istituto di fisiologia clinica e Giorgia Bassi dell’Istituto di informatica e telematica del Cnr spiegano perché è importante che gli adolescenti riducano il tempo trascorso in Rete, utilizzando Internet e i social network. E fondamentale è anche il ruolo dei genitori, che vanno coinvolti nell’educazione digitale
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Philipp Holzer
in reply to Signor Amministratore ⁂ • • •@Signor Amministratore
Hi, I accepted your request. Which user do you mean?
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Signor Amministratore ⁂
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