Cina: dominio nella catena del valore del solare fotovoltaico
La concentrazione della capacità produttiva del solare fotovoltaico (FV) in Cina, insieme al controllo della Cina sui minerali che entrano nella produzione di moduli solari fotovoltaici, ha determinato la leadership cinese, e il tentativo occidentale di reagire, il quale avrà un costo non indifferente
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BRASILE. Manifestazioni neonaziste raddoppiate in un anno
di Glória Paiva*
Pagine Esteri, 25 novembre 2022 – Il 1 aprile 1933, il regime nazista organizzò la prima azione coordinata contro gli ebrei in Germania, che divenne nota come il “Judenboykott”, il boicottaggio a gli stabilimenti di proprietà ebraica. Secondo i portavoce nazisti, i tedeschi “puri” non dovevano frequentare negozi, ristoranti, studi medici, avvocati o altri studi professionali ebrei.
Secondo l’Holocaust Memorial Museum degli Stati Uniti, il boicottaggio era basato sull’idea che gli ebrei avessero “troppa influenza” nell’economia e che fossero i colpevoli della Grande Depressione. Per tutta la giornata, con le liste delle vittime in mano, i nazisti hanno marciato scandendo slogan antiebraici, disegnando sulle vetrine la stella di David e la parola “jude”, appendendo cartelli e intimidendo proprietari e clienti.
Ottantatré anni dopo, quel tragico episodio trova un’eco familiare dall’altro lato dell’Atlantico, con nuovi attori e nuove tecnologie. Alcuni giorni dopo la vittoria di Luís Inácio Lula da Silva al secondo turno delle elezioni presidenziali, la BBC Brasile ha denunciato la diffusione di una serie di “liste di elettori del PT” (Partito dei Lavoratori), cioè elenchi di professionisti, stabilimenti e istituzioni che presumibilmente sostengono Lula. Le liste, create e diffuse da militanti bolsonaristi, vengono condivise in gruppi su Whatsapp, Telegram o sui profili Twitter e Instagram, al fine di boicottare gli elettori di Lula.
Dai bar a chirurghi plastici e a dipendenti pubblici, il servizio della BBC Brasile ha denunciato casi come quello di Monika Ganem, parrucchiera a Maringá (stato del Paraná) che ha ricevuto una telefonata da una cliente chiedendole se stesse “lavorando per Lula”. “Mi sentivo come se fossi nell’inquisizione o nella dittatura militare”, ha detto Monika. Il reportage ha raccontato anche storie come quella di un ristorante di San Paolo che ha avuto le sue foto pubblicate su un social network filo-bolsonarista insieme a dei messaggi di odio e numerose offese.
Il fenomeno delle “liste del PT” non è un fatto isolato e si accompagna ad altre forme di manifestazioni e violenze di carattere politico, razzista, xenofobo e classista, da omicidi durante delle discussioni a sfondo politico agli attacchi ai lavoratori del Movimento Senza Terra da parte di gruppi della estrema-destra. In uno di essi, hanno inciso sui muri del Centro di Formazione Paulo Freire a Caruaru (stato del Pernambuco) il simbolo della svastica e hanno dato fuoco alla casa della coordinatrice dello spazio.
Nelle città di Porto Alegre e San Paolo, nell’ultimo mese, sono diventate note le dichiarazioni di studenti sui social che prendevano di mira la popolazione del nord-est del paese (regione decisiva per la vittoria di Lula) e gli studenti neri. “Voglio che questi nordorientali muoiano di sete”, ha condiviso uno dei membri di un gruppo Whatsapp di una scuola di Valinhos (SP), in cui anche gli altri partecipanti hanno inviato foto e meme di Adolph Hitler. Il gruppo è stato chiamato “Fundação Anti Petismo” e ha organizzato una protesta addirittura nella scuola contro i risultati del secondo turno delle elezioni presidenziali.
Allo stesso tempo, dal 31 ottobre si verificano atti antidemocratici sulle autostrade e nelle prossimità delle caserme delle forze armate in tutte le regioni del Brasile. I manifestanti rifiutano il risultato delle elezioni e chiedono “un intervento militare”, alcuni con passeggiate pacifiche, altri con metodi violenti come bombe fatte in casa, olio versato sulle autostrade, pietre lanciate e pneumatici in fiamme. In una di queste proteste, i sostenitori del presidente uscente, nel mentre bloccavano una strada a Santa Catarina, sono stati ripresi mentre facevano il saluto nazista. Secondo un reportage del quotidiano Estado de São Paulo, politici, agenti di polizia, sindacalisti e capi dell’agro-business incoraggiano le proteste e le finanziano.
L’idea di un intervento delle forze armate e il sentimento di un patriottismo violento, bianco, cristiano e patriarcale contro minoranze, nordorientali, antifascisti, donne e neri, hanno trovato risonanza e si sono nutriti dell’ideologia bolsonarista negli ultimi quattro anni. Le enormi campagne di disinformazione orchestrate dall’estrema destra hanno diffuso i principali messaggi di questa ideologia attraverso le reti sociali creando grandi bolle informative.
Gli studi rivelano una crescita significativa di gruppi, comunità virtuali e manifestazioni di carattere neonazista in tutto il paese. Secondo una delle principali ricercatrici sull’argomento, l’antropologa Adriana Dias, le cellule neonaziste sono più che raddoppiate, passando da 530 nell’ottobre dello scorso anno a 1.117 a novembre 2022. I gruppi sono presenti in 298 città brasiliane e lo stato di Santa Catarina, nel sud, è quello che concentra maggiormente questo movimento, con 320 cellule.
La ricercatrice riferisce di aver individuato 55 tipologie di correnti di pensiero e linee di azione. “C’è un gruppo brasiliano che difende il ritorno dell’apartheid in Sudafrica. Ci sono cellule di sostenitori del Ku Kux Klan e persino neo-confederati, movimenti degli Stati Uniti che hanno ripercussioni in Brasile. La maggior parte dei gruppi sono hitleriani e negazionisti dell’Olocausto”, afferma.
La maggior parte di questi gruppi, dice Dias, opera via internet. Tuttavia, in alcuni casi, le sue attività vanno aldilà dei limiti del virtuale. Il 14 novembre, un’operazione di polizia a Santa Catarina ha interrotto una riunione in cui otto uomini facevano apologia di nazismo. Uno degli arrestati indossava una cavigliera elettronica perché era già stato responsabile per la morte di un cittadino di origine ebraica. Successivamente, il gruppo avrebbe inviato una lettera alle autorità locali chiedendo l’annullamento di una fiera culturale con immigrati haitiani, l’espulsione di neri ed ebrei dallo stato e la liberazione degli otto arrestati – altrimenti, minacciavano, avrebbero compiuto un attacco terroristico, che fino ad ora non è avvenuto.
Secondo Adriana Dias, il neonazismo ha iniziato ad avere registri statistici in Brasile negli anni ’80 ed è cresciuto negli anni 2000 con gruppi revisionisti dell’Olocausto, principalmente nel sud del paese, che è stato in gran parte colonizzato dai tedeschi. Nel 2021, è stata la stessa antropologa a trovare una lettera di Jair Bolsonaro pubblicata su pagine neonaziste nel 2004. Nel 2011, i neonazisti di San Paolo hanno organizzato un atto pro-Bolsonaro. Per l’antropologa e altri specialisti, il bolsonarismo ha una forte relazione con la forte crescita di questi gruppi, in particolare negli ultimi quattro anni.
La strategia di comunicazione di Bolsonaro, sostiene Dias, oscilla tra due livelli. Da un lato, un discorso cristiano e fondamentalista rivolto al suo elettorato evangelico e conservatore, che crede in un Israele apocalittico e al secondo arrivo di Cristo. Dall’altro, un reiterato revisionismo storico segnato da messaggi pro-dittatura, antisemiti e pro-Hitler, e una chiara intenzione di creare un’identità nazionale. Nel 2020 è scoppiata una polemica quando l’ex segretario addetto alla Cultura, Roberto Alvim, ha proferito un discorso con dei frammenti chiaramente plagiati dell’ex ministro nazista Joseph Goebbels, con sottofondo un’opera di Richard Wagner. “Tutto questo non mi suona più come una serie di fatti casuali, ma come un progetto”, dice Adriana.
Sebbene esista, nel Codice Penale brasiliano, il reato di razzismo e di pregiudizio, esperti affermano che la mancanza di una legislazione chiara contro l’apologia del nazismo e l’incitamento all’odio è ancora il principale ostacolo per affrontare questo tipo di crimine. Pagine Esteri
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Gli attacchi turchi hanno ucciso 184 persone nel Kurdistan. Tra i morti 18 soldati siriani
della redazione
Pagine Esteri, 22 novembre 2022 – I sanguinosi attacchi turchi nel Kurdistan siriano e iracheno hanno causato dalla sera del 19 novembre almeno 184 morti. Lo ha affermato il ministro della difesa turco, Hulusi Akar, all’agenzia di stampa Anadolu, definendo “terroristi” i morti nei raid. Akar ha aggiunto che sono stati colpiti 89 obiettivi, inclusi rifugi, bunker, grotte, tunnel e magazzini appartenenti ai “gruppi terroristici” a Qandil e Hakurk nel nord dell’Iraq, e Kobane, Manbij, Zour Maghar, Tal Rifaat, Al Jazira e Al Malikiyah in Siria. Aree in cui si trovano postazioni sia dell’esercito regolare siriano sia delle Forze democratiche (Sdf) a maggioranza curda. L’aviazione e l’artiglieria di Ankara hanno anche martellato l’area a nord di Aleppo, nella Siria settentrionale, e una postazione militare siriana nel villaggio di Qarmough, a est di Kobane.
Il presidente turco Recep Tayyip Erdogan ha avvertito che l’operazione non si limiterà a “semplici raid aerei” e che chi provoca la Turchia ne pagherà le conseguenze. Da parte sua il ministro Hulusi Akar ha aggiunto “Faremo ciò che è necessario per far crollare le organizzazioni terroristiche del Partito dei lavoratori del Kurdistan (Pkk) e delle Unità curde di protezione del popolo (Ypg)”.
L’attacco turco è stato lanciato a circa una settimana dall’attentato che, il 13 novembre, ha colpito il centro di Istanbul provocando sei morti e 81 feriti. La Turchia ha accusato i curdi dell’attacco. Nonostante le smentite curde e l’opinione degli esperti che indicano in qualche gruppo jihadista il probabile responsabile dell’attentato, Erdogan ha colto l’occasione per prendere di nuovo di mira i curdi, suo bersaglio abituale.
Cresce nel frattempo la tensione tra Ankara e Damasco. È salito a 18 il numero di militari delle forze siriane governative uccisi durante gli attacchi lanciati dalla Turchia. In totale, il numero delle vittime provocate dai raid aerei in Siria ammonta a 37 ma il bilancio è destinato a salire per le gravi condizioni di alcuni feriti. La Russia alleata di Damasco ha inviato rinforzi militari nella periferia orientale di Aleppo. 25 veicoli e mezzi militari si sono diretti verso due basi militari nei pressi di Sarrin, nella Siria settentrionale, a sud di Kobane, e verso quella di Al Saidiyah, situata ad ovest della città di Manbij.
Intanto oggi ha preso nella capitale del Kazakhstan, Nur-Sultan, il 19mo round dei colloqui di Astana per la Siria, con la partecipazione dei rappresentanti dei tre Paesi promotori – Russia, Iran e Turchia – di due delegazioni siriane (governo e opposizione), dell’inviato dell’Onu , Geir Pedersen, e di Iraq, Libano e Giordania. Si discuterà soprattutto della situazione a livello economico, sociale e umanitario, oltre al progresso delle trattative. All’ordine del giorno ci sono anche il ritorno dei profughi siriani in Turchia, Libano e Giordania, la Commissione costituzionale e la stabilizzazione del cessate il fuoco nel nord-ovest della Siria. Pagine Esteri
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Oggi, #25novembre, si celebra in tutto il mondo la Giornata internazionale per l'eliminazione...
Oggi, #25novembre, si celebra in tutto il mondo la Giornata internazionale per l'eliminazione della violenza contro le donne, istituita dall'Assemblea Generale delle Nazioni Unite nel 1999.
Ministero dell'Istruzione
Oggi, #25novembre, si celebra in tutto il mondo la Giornata internazionale per l'eliminazione della violenza contro le donne, istituita dall'Assemblea Generale delle Nazioni Unite nel 1999.Telegram
Recensione di Rosita Del Coco del libro “Non diamoci del tu. La separazione delle carriere”
«A chi non darebbe fastidio vedere l’arbitro – che, sia chiaro, ha condotto benissimo la gara – la sera dopo la partita, a cena, festeggiare la vittoria di una delle due squadre che poco prima aveva arbitrato?».
È da questo interrogativo, apertamente provocatorio, che muovono le brillanti riflessioni di Giuseppe Benedetto, consegnate al saggio “Non diamoci del tu. La separazione delle carriere”, edito da Rubbettino nel 2022, con la prefazione di Carlo Nordio.
Un volume agile, che si legge tutto d’un fiato, con cui l’Autore si incarica di sviscerare uno dei temi più controversi della giustizia penale, destinato ad occupare “instancabilmente” il dibattito scientifico e politico: la (comune) collocazione ordinamentale dei giudici e dei magistrati del pubblico ministero.
A tal fine, lo scritto ripercorre le tappe, i dibattiti e gli scontri che hanno attraversato la storia del nostro processo penale: dalla spinta garantista sottesa alla promulgazione del nuovo codice di procedura penale, alla stagione – «reazionaria» – avviata dalla Corte costituzionale nel giugno del 1992, fino alla presa di posizione legislativa, volta a ribadire l’adesione a quell’ideale accusatorio, che, oggi, a più di vent’anni dalla riforma dell’art. 111 Cost., appare affievolito.
Un percorso culminato in un disegno rimasto sostanzialmente incompiuto, a cagione dell’assenza di un serio adeguamento dell’organizzazione del pubblico ministero al mutato rito. A stagliarsi con chiarezza sullo sfondo della ricostruzione storica sono, infatti, le ambiguità̀ e le aporie – tutte insolute – del nostro assetto processuale, in cui proprio la mancanza di un deciso ripensamento dei temi dell’ordinamento giudiziario ha finito per ostacolare la effettiva rimozione dell’ibridismo, tipico della esperienza inquisitoria, tra la figura del giudice terzo ed imparziale e quella dell’inquirente.
Con un duplice effetto, del quale le pagine di Giuseppe Benedetto, restituiscono una nitida fotografia. Anzitutto, una “giurisdizionalizzazione” silente del pubblico ministero, il quale viene comunemente (mal)inteso alla stregua di organo rappresentativo di una parte imparziale all’interno della dialettica processuale. In secondo luogo, una proclamazione meramente à la carte della terzietà del giudice, la cui collocazione ordinamentale, vicina a quella del pubblico ministero, ne “contamina” il ruolo: l’equidistanza, formalmente sancita nelle norme del codice, è tradita dalla prossimità̀ delle funzioni, dovuta alla presenza di un unico organo di governo autonomo.
Due conseguenze nefaste della contiguità̀ tra giurisdizione e pubblica accusa, che rendono subalterno il cittadino-imputato, alterando, di fatto, la struttura triadica del processo.
Come abbiamo già avuto modo di osservare in un nostro precedente scritto[1], l’idea del pubblico ministero-organo di giustizia conduce, infatti, alla creazione di una vera e propria presunzione di infallibilità̀ para- giurisdizionale di tale organo. Una presunzione a sua volta rinfocolata dalla retorica di un principio di obbligatorietà̀ dell’azione penale troppo spesso orientato verso la legittimazione di metodi procedurali a vocazione autoritaria.
Si pensi, nella prospettiva da ultimo indicata, al costante richiamo, nella prassi, al canone di obbligatorietà̀ per sponsorizzare, a vari livelli, una visione del processo caratterizzata dalla egemonia del pubblico ministero e da un ideale di ricerca della verità̀ dai connotati tipicamente inquisitori. Basti, al proposito, richiamare il rapporto tracciato dalla giurisprudenza di legittimità̀ e costituzionale tra principio di obbligatorietà̀ e poteri probatori del giudice dibattimentale anche in funzione di supplenza delle omissioni del pubblico ministero.
Un’ipertrofica estensione concettuale ed operativa del principio cristallizzato nell’art. 112 Cost. che, invece di potenziarne la portata, lo ha svuotato della propria forza concettuale, strettamente connessa alle dinamiche dell’azione.
In tal senso va letto anche l’uso anomalo del canone della completezza delle indagini, presupposto e corollario del principio di obbligatorietà̀. Anziché́ stimolare una attenta e seria riflessione sulla anatomia dell’errore e del pregiudizio investigativo, e sulle sacche di discrezionalità̀ inevitabilmente connesse alle opzioni selettive sottese ai profili organizzativi del lavoro del pubblico ministero, l’imperativo della completezza investigativa ha finito per trasformarsi nel presupposto logico da cui inferire la pretesa giurisdizionalizzazione dell’organo dell’accusa.
Ma la simbiosi “pubblico ministero-organo di giustizia” è destinata a cedere il passo all’ovvio rilievo che un soggetto deputato a svolgere funzioni d’accusa, qualunque ne sia la natura, persegue comunque un interesse di parte.
Anzi. Sul punto, le pagine di Non diamoci del tu ben evidenziano un dato fondamentale, all’apparenza controintuitivo: «più̀ il pubblico ministero è parte e più̀ il cittadino è garantito», perché «il giudice è veramente imparziale solo se l’accusatore è inequivocabilmente parte».
La struttura triadica del processo, quale conditio per la realizzazione del rito adversary, è, tuttavia, incrinata dalla commistione e reciproca contaminazione delle funzioni e delle carriere al di fuori della scena processuale. È la mancata separazione di queste ultime la responsabile delle principali storture che emergono quotidianamente dalla pratica giudiziaria e di cui il volume dà lucidamente conto: la espansione del potere inquisitorio delle procure, con la costante ricerca del consenso da parte dei pubblici ministeri e la estrema mediatizzazione del processo penale; nonché la conseguente assenza di legittimazione del potere giurisdizionale davanti all’opinione pubblica.
Scrive, al proposito, icasticamente l’Autore: «l’avviso di garanzia è diventato sentenza non perché́ vi siano dei cattivi strateghi dell’informazione, ma perché́ il cittadino non addetto ai lavori ha difficoltà a distinguere i ruoli, pensa che i magistrati siano tutti uguali e che, dunque, se la colpevolezza è indicata dal pubblico ministero o dal giudice tutto sommato non cambia nulla. È necessaria una svolta culturale, che non giungerà̀ da sola, ma attraverso riforme che distinguano gli organi giudicanti da quelli requirenti, che rendano palese anche a un giovane delle scuole medie la differenza profondissima tra i ruoli. In questa nuova dimensione, in cui è limpido il carattere di parzialità̀ dell’ufficio di Procura, la giurisdizione non potrà̀ che essere centrale, perché́ ogni piccolo passo verso una delle posizioni in campo la comprometterebbe alla radice».
Dalla malattia, dunque, al rimedio. Ma come superare definitivamente ogni sorta di ibridismo giuridico tra le due figure, affinché la giurisdizione recuperi centralità e credibilità? È necessario risalire al peccato originale del fallimento del codice accusatorio, che, secondo la ricostruzione privilegiata nel volume, si consuma all’interno del CSM, dove pubblici ministeri e giudici decidono assieme delle sorti delle proprie carriere, cosicché «il PM di una corrente è in grado di influenzare la nomina del presidente di un Tribunale», con buona pace dei principi sanciti dalla Costituzione e della legge, che diventano, di fatto, «un nobile auspicio piuttosto che un baluardo per i diritti fondamentali del cittadino».
Di qui, la proposta contenuta nel citato disegno di legge, alla cui illustrazione è dedicata la seconda parte del libro. Si tratta, nello specifico, di un progetto di riforma che si muove lungo tre direttrici: il riequilibrio dei rapporti tra imputato e pubblico ministero; la trasparenza dei processi decisionali interni all’ordine giudiziario; la razionalizzazione del carico pendente sugli uffici di Procura.
In questa triplice prospettiva viene prefigurata una revisione delle disposizioni costituzionali dedicate alla disciplina dell’ordinamento giudiziario, diretta, anzitutto, alla costituzione di due distinti Consigli Superiori, della Magistratura giudicante e della Magistratura requirente, destinati ad occuparsi separatamente di carriere, sanzioni disciplinari e trasferimenti.
Ciò permetterebbe all’organo giudicante di acquisire nuova centralità̀, affrancandolo dalle logiche odierne, in cui il Consiglio Superiore della Magistratura, dominato dal sistema correntizio, appare ostaggio della cultura dell’accusa, che è destinata a prevaricare le ragioni della giurisdizione, a cagione dell’evidente maggior peso mediatico delle Procure.
Del resto, come osserva Carlo Nordio nella Prefazione, «anche prescindendo dagli intrallazzi correntizi e dalle baratterie di cariche emerse dai recenti scandali, la ragione si rifiuta di ammettere che il pubblico accusatore possa promuovere o bocciare un giudice davanti al quale, un attimo prima, ha perorato una tesi che magari gli è stata respinta. Perché́ se decisioni così rilevanti continuano a essere prese congiuntamente, allora non stupisce che poi nel processo emergano rapporti di anomala collaborazione».
Così, l‘istituzione di due distinti Consigli Superiori della Magistratura si prefigge di garantire più efficacemente l’indipendenza istituzionale del giudice.
Organi di autogoverno dei quali, inoltre, si propone – opportunamente – di mutare la composizione, portando la componente laica da 1/3 a 1/2, senza però incidere sulla maggioranza, che rimarrebbe in capo ai membri togati grazie alla presenza di diritto del Procuratore Generale della Cassazione, nel Consiglio requirente, e del Primo Presidente della Cassazione, nel Consiglio giudicante.
Ciò consentirebbe, nelle intenzioni dei proponenti, di revisionare il funzionamento del Consiglio Superiore, allo scopo di restituirgli, insieme a un serio sistema di valutazione professionale, quell’aurea di rispettabilità̀ imprescindibile per l’amministrazione trasparente e armonica della giustizia. I membri nominati dal Parlamento, esperti in materie giuridiche, potrebbero, infatti, contribuire in modo indipendente a esprimere un giudizio sulla professionalità̀ del singolo magistrato.
Un ripristino di meritocrazia che appare cruciale alla luce dei recenti fatti di cronaca, nonché del nuovo ruolo assunto dalla giurisdizione.
Sotto quest’ultimo profilo, le riflessioni di Benedetto si lasciano particolarmente apprezzare. L’Autore sottolinea il trend degli ultimi decenni verso un radicale cambiamento del ruolo riservato alla giurisdizione, non più̀ mera esecutrice delle norme, ma soggetto che partecipa all’evoluzione del diritto. Le lacune della regolamentazione normativa, l’oscurità̀ della legge e l’immobilismo del Parlamento hanno, in effetti, finito per affidare un compito inedito al giudice. Ne discende l’esigenza, dibattuta in tutti i Paesi occidentali, di ripensare i rapporti col Parlamento, al fine di garantire una maggiore legittimazione democratica del potere giudiziario.
Ebbene, in quest’ottica si colloca l’incremento del numero dei membri laici, professori universitari e avvocati da almeno quindici anni nominati dal Parlamento in seduta comune, che potrà̀ indirettamente accrescere la legittimazione dell’ordine giudiziario, così da renderlo più̀ forte in futuro per l’assunzione di decisioni orientate al riconoscimento di nuovi diritti.
Infine, l’ultimo punto della proposta di riforma esaminata è diretto ad integrare l’art. 112 Cost. nei seguenti termini: «Il Pubblico Ministero ha l’obbligo di esercitare l’azione penale nei casi e nei modi previsti dalla legge». L’integrazione mira ad affidare al Parlamento il compito di stabilire criteri di priorità nell’esercizio dell’azione penale, allo scopo precipuo di razionalizzare, in maniera trasparente, il carico di lavoro dei pubblici ministeri. Il che appare in linea con l’auspicio, da tempo formulato in sede scientifica, di legittimare, disciplinandone limiti e contenuti, quella discrezionalità̀ che anche oggi, nei fatti, i pubblici ministeri esercitano a causa del numero elevato di procedimenti pendenti presso gli uffici di Procura.
Si tratta, nel complesso, di un disegno riformatore equilibrato, nella misura in cui aspira a risolvere le principali contraddizioni della nostra giustizia penale, senza incorrere nella principale obiezione tradizionalmente sollevata dall’opzione favorevole alla separazione delle carriere: vale a dire quella di consentire l’esercizio di un controllo politico a discapito dell’indipendenza dell’ordine giudiziario.
Non diamoci del tu ha il pregio di illustrare in maniera approfondita tale progetto, attraverso una riflessione “laica” e non prevenuta intorno ad un tema spesso ostaggio di un peculiare ostracismo ideologico e di un dibattito fondato su asserti di deciso impulso conservativo difficilmente giustificabili sul piano tecnico-giuridico.
Un approccio da cui l’Autore rifugge apertamente, prendendosi carico di stigmatizzare anche le altre obiezioni che surrettiziamente vengono mosse alle proposte di separazione delle carriere, attraverso l’analisi della disciplina della collocazione ordinamentale dei magistrati nelle più importanti democrazie occidentali.
La prospettiva comparata consente, infatti, di sgretolare alcuni “falsi miti” costruiti intorno al tema oggetto del volume, come l’idea secondo cui le carriere sarebbero divise solo nei Paesi di Common Law, o la preoccupazione circa il rischio di dare vita, tramite la costituzione di un ordine autonomo e distinto dei Pubblici Ministeri, ad una corporazione di “super-poliziotti” dai poteri illimitati.
Nell’ultima parte del libro risiedono, così, pagine preziose. Guardare all’esperienza anglosassone, tedesca, francese e portoghese significa rendersi conto di come la pubblica accusa italiana goda, in realtà, di uno status del tutto eccezionale, che lo rende, probabilmente l’accusatore più̀ potente al mondo, senza tradursi in una sua maggiore capacità investigativa e “repressiva”.
Il che testimonia l’urgenza di affrancare il dibattito italiano da atteggiamenti intrisi di stentoree affermazioni di principio, ma di sostanziale chiusura verso ogni forma di rinnovamento concettuale e culturale.
A questa impellente esigenza risponde il saggio Non diamoci del tu. A beneficio del lettore, Giuseppe Benedetto svolge al meglio tale compito, con una analisi lucida e profonda, arricchita dalla sensibilità che evidentemente deriva dal quotidiano contatto con la pratica del processo penale.
In conclusione: se nella premessa l’Autore esordisce confidando che “Non diamoci del tu” «è il libro che avev[a] in mente di scrivere da tempo», la riflessione finale del lettore è che “Non diamoci del tu” è il libro che avrebbe voluto leggere da tempo.
[1] R. Del Coco, La maschera e il volto della consulenza tecnica d’accusa, in Proc. pen. giust., 2021, p. 669 ss.
L'articolo Recensione di Rosita Del Coco del libro “Non diamoci del tu. La separazione delle carriere” proviene da Fondazione Luigi Einaudi.
La magistratura di oggi e quella della quale l’Italia avrebbe bisogno, nel primo incontro della Scuola di Liberalismo della Fondazione Einaudi – certastampa.it
Pubblici ministeri che, in aula, dopo la lettura di una sentenza, dicono che “non andranno più a prendere il caffè” col giudice. Cene e incontri, vicinanze sconvenienti e, purtroppo, anche con riflessi negativi sulle sentenze. La storia, recente e non, del nostro Paese racconta di rapporti tra magistrati che vanno ben oltre quelli che la legge considera leciti. E’ questa, la deriva malata di un “sistema” (come efficacemente descritto nel libro dell’ ex presidente dell’Associazione Nazionale Magistrati, Palamara) che trova il suo spunto “peccato originale” nella mancata separazione delle carriere.
E’ stato questo il tema del primo evento della sezione abruzzese della Scuola di liberalismo della Fondazione Einaudi, che prepara il campo al primo vero e proprio “anno accademico” del 2023. Ospite dell’incontro, il Presidente della Fondazione Einaudi, l’avvocato Giuseppe Benedetto, che ha voluto presentare a Teramo, in “prima” assoluta, il suo libro “Non diamoci del Tu: La separazione delle carriere”, che ospita anche una interessante prefazione del ministro della Giustizia Carlo Nordio e uno scritto di Leonardo Sciascia, su quella che dovrebbe essere la sofferenza del magistrato chiamato al giudizio.
All’incontro, introdotto dal presidente della Fondazione Einaudi in Abruzzo, Alfredo Grotta, che ha visto la sala dell’Hotel Abruzzi affollata da un pubblico interessato, hanno preso parte l’ex senatore Paolo Tancredi, l’ex vicepresidente del Consiglio Regionale Paolo Gatti e Andrea Davola, ricercatore della Fondazione Einaudi e autore della postfazione. Moderatrice del dibattito, la docente di Diritto Processuale Penale nella Facoltà di Giurisprudenza dell’Università degli Studi di Teramo, Rosita Del Coco.
Negli interventi dei relatori, che hanno anche voluto portare testimonianze personali, sono stati analizzati tutti gli aspetti negativi della mancata separazione delle carriere, cominciando dal dettato del Codice Penale – nei fatti quasi utopia – che impone al pubblico ministero di cercare anche le prove a discolpa dell’imputato. Nei fatti, non succede, e poiché la Costituzione, pur considerando la magistratura come unico ordine, soggetto ai poteri dell’unico Consiglio Superiore, non prevede alcun principio che imponga o al contrario precluda la configurazione di un’unica carriera o di carriere separate dei magistrati addetti rispettivamente all’una o all’altra funzione, o che impedisca di limitare o di condizionare più o meno severamente il passaggio dello stesso magistrato, nel corso della sua carriera, dalle une alle altre funzioni, la Fondazione invoca una netta divisione dei ruoli, delle funzioni e delle carriere.
Con la riforma Cartabia, giunta a destinazione dopo una complicata mediazione politica tra posizioni molto distanti nel governo di larghe intese con a capo Mario Draghi, i passaggi di funzioni sono stati ridotti da 4 a 1, cosa che dovrebbe nei fatti ridurre ai minimi le effettive richieste di transizione da una funzione all’altra, ma che la stessa Fondazione Einaudi considera l’inizio di un non più rinviabile percorso di vera e più profonda riforma.
L'articolo La magistratura di oggi e quella della quale l’Italia avrebbe bisogno, nel primo incontro della Scuola di Liberalismo della Fondazione Einaudi – certastampa.it proviene da Fondazione Luigi Einaudi.
La magistratura di oggi e quella della quale l’Italia avrebbe bisogno, nel primo incontro della Scuola di Liberalismo della Fondazione Einaudi
Pubblici ministeri che, in aula, dopo la lettura di una sentenza, dicono che “non andranno più a prendere il caffè” col giudice. Cene e incontri, vicinanze sconvenienti e, purtroppo, anche con riflessi negativi sulle sentenze. La storia, recente e non, del nostro Paese racconta di rapporti tra magistrati che vanno ben oltre quelli che la legge considera leciti. E’ questa, la deriva malata di un “sistema” (come efficacemente descritto nel libro dell’ ex presidente dell’Associazione Nazionale Magistrati, Palamara) che trova il suo spunto “peccato originale” nella mancata separazione delle carriere.
E’ stato questo il tema del primo evento della sezione abruzzese della Scuola di liberalismo della Fondazione Einaudi, che prepara il campo al primo vero e proprio “anno accademico” del 2023. Ospite dell’incontro, il Presidente della Fondazione Einaudi, l’avvocato Giuseppe Benedetto, che ha voluto presentare a Teramo, in “prima” assoluta, il suo libro “Non diamoci del Tu: La separazione delle carriere”, che ospita anche una interessante prefazione del ministro della Giustizia Carlo Nordio e uno scritto di Leonardo Sciascia, su quella che dovrebbe essere la sofferenza del magistrato chiamato al giudizio.
All’incontro, introdotto dal presidente della Fondazione Einaudi in Abruzzo, Alfredo Grotta, che ha visto la sala dell’Hotel Abruzzi affollata da un pubblico interessato, hanno preso parte l’ex senatore Paolo Tancredi, l’ex vicepresidente del Consiglio Regionale Paolo Gatti e Andrea Davola, ricercatore della Fondazione Einaudi e autore della postfazione. Moderatrice del dibattito, la docente di Diritto Processuale Penale nella Facoltà di Giurisprudenza dell’Università degli Studi di Teramo, Rosita Del Coco.
Negli interventi dei relatori, che hanno anche voluto portare testimonianze personali, sono stati analizzati tutti gli aspetti negativi della mancata separazione delle carriere, cominciando dal dettato del Codice Penale – nei fatti quasi utopia – che impone al pubblico ministero di cercare anche le prove a discolpa dell’imputato. Nei fatti, non succede, e poiché la Costituzione, pur considerando la magistratura come unico ordine, soggetto ai poteri dell’unico Consiglio Superiore, non prevede alcun principio che imponga o al contrario precluda la configurazione di un’unica carriera o di carriere separate dei magistrati addetti rispettivamente all’una o all’altra funzione, o che impedisca di limitare o di condizionare più o meno severamente il passaggio dello stesso magistrato, nel corso della sua carriera, dalle une alle altre funzioni, la Fondazione invoca una netta divisione dei ruoli, delle funzioni e delle carriere.
Con la riforma Cartabia, giunta a destinazione dopo una complicata mediazione politica tra posizioni molto distanti nel governo di larghe intese con a capo Mario Draghi, i passaggi di funzioni sono stati ridotti da 4 a 1, cosa che dovrebbe nei fatti ridurre ai minimi le effettive richieste di transizione da una funzione all’altra, ma che la stessa Fondazione Einaudi considera l’inizio di un non più rinviabile percorso di vera e più profonda riforma.
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#uncaffèconluigieinaudi – In questa lotta altissima per il risorgimento morale
In questa lotta altissima per il risorgimento morale dell’Italia ci saranno forse delle soste (nel Parlamento); ma a farle cessare provvederà l’incessante vigile voce del paese
da Corriere della Sera, 21 marzo 1906
L'articolo #uncaffèconluigieinaudi – In questa lotta altissima per il risorgimento morale proviene da Fondazione Luigi Einaudi.
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In occasione della Giornata internazionale per l'eliminazione della violenza contro le donne, il Ministero dell’Istruzione e del Merito si unisce alle iniziative di sensibilizzazione: oggi e domani il Palazzo dell’Istruzione si illumina di rosso, dan…
«L’Italia mai forte quando fa da sola» L’alfabeto di Draghi
Da «Whatever it takes» all’«interesse nazionale»
Quanti usi per la parola, quando viene spesa in pubblico. Può blandire, imbonire, promettere, giurare, addirittura minacciare, oppure convincere, spronare, rassicurare.
Qualche volta, troppo spesso, ingannare, illudere, confondere. Se ne potrebbero aggiungere altri mille. Ma c’è anche un altro compito che la parola può svolgere, ed è quello non solo di precedere i fatti, ma di favorirli, accompagnarli, spingerli, renderli ineluttabili. È forse questa una delle chiavi per leggere il libro dal titolo Dieci anni di sfide , edito da Treccani, che raccoglie scritti e discorsi pubblici di Mario Draghi dal 2011 al 2022, con la prefazione di Lionel Barber del Financial Times.
Impossibile, per argomentare, sfuggire dal discorso del «Whatever it takes» del luglio del 2012, quando disse che la Bce era pronta a fare tutto il necessario per preservare l’euro. Bastarono pochi minuti alla speculazione internazionale per capire che il gioco era finito, che il baratro alla fine del campo di segale nel quale era stata ferocemente spinta la Grecia aveva ormai di sentinella un intero continente, l’Europa, pronto a impedire che succedesse ancora.
Quante volte quella frase è stata richiamata.
Più che per celebrarne l’autore, per rubarne un pezzetto, per impadronirsi di un successo che tutti, anche se con un po’ di cleptomania, sentivano come proprio. Proprio Draghi, probabilmente, è quello che l’ha rivendicato di meno. C’è dell’eleganza e chissà, magari pure un po’ di vanità nel non autocelebrarsi. Ma c’è anche la convinzione profonda che si può essere, come popoli, artefici del proprio destino, anche quando si è sul punto di essere travolti da nemici inattesi e brutali, come la pandemia.
Lo dimostra l’intervento al Meeting di Rimini, quando ormai il suo governo era già caduto e si era a un mese dalle elezioni politiche che avrebbero portato Giorgia Meloni alla guida del Paese. Diceva Draghi, proprio riferendosi all’ora più buia della lotta al virus, con le famiglie e le imprese che non sapevano se sarebbero riuscite ad andare avanti: «Non è andata così. Gli italiani hanno reagito con coraggio e concretezza, come spesso hanno fatto nei momenti più difficili, e hanno riscritto una storia che sembrava già decisa».
Riscrivere una storia che pare già decisa è più che una sfida, non solo avverso alla pandemia, ma contro uno spettro che l’Europa si illudeva di aver sconfitto per sempre: la guerra.
Il 24 febbraio il continente si sveglia con la Russia che invade un Paese sovrano, l’Ucraina.
Ora sembra quasi scontato il sostegno a un popolo aggredito, l’adesione alle sanzioni, la collaborazione con gli alleati, l’invio di armi per aiutare la resistenza, fino a dire che la più sciagurata e improbabile delle ipotesi può vederci domani come sconfitti, ma mai come complici. Non era necessariamente così alla vigilia delle comunicazioni del presidente del Consiglio alla Camera. Incertezze, timori e compiacenze nella stessa maggioranza di unità nazionale sono fin troppo note. Le parole di questo anomalo banchiere, per un breve tratto prestato alla politica, non lasciarono spazio a interpretazioni furbesche, pur nella certezza che la linea della fermezza non avrebbe garantito la bella figura senza pagare un prezzo: «Tollerare una guerra d’aggressione nei confronti di uno Stato sovrano europeo — disse in Aula — vorrebbe dire mettere a rischio, in maniera forse irreversibile, la pace e la sicurezza in Europa. Non possiamo lasciare che questo accada».
E ancora nel settembre scorso, all’Onu, ricordava le riflessioni di Michail Gorbaciov secondo il quale, in un mondo globalizzato, la forza o la minaccia del suo utilizzo non potessero più funzionare come strumento di politica estera, serve piuttosto una nuova qualità della cooperazione da parte degli Stati.
E sotto la voce «cooperazione» c’è tanta parte del pensiero di Mario Draghi. Il suo discorso a Washington del maggio scorso lo sintetizza: «È evidente che i singoli Stati non possono far fronte da soli alle molte e difficili sfide che li attendono nei prossimi anni. Ciò che serve ora è uno sforzo collettivo, che ci unirà molto di più di quanto abbia fatto in passato». Vale per i cambiamenti climatici. Vale per la pandemia, contro la quale si combatte anche rifiutando il protezionismo sanitario e portando cure e vaccini anche nelle parti più povere del modo. Vale per l’integrazione europea, che ha bisogno di un federalismo pragmatico e ideale che sappia superare le pastoie delle decisioni all’unanimità. Vale anche quando, pensando al percorso che ha portato al Piano nazionale di ripresa e resilienza, ha ricordato, nel suo intervento all’Accademia dei Lincei, che alcuni governi, in altri Paesi europei, hanno tassato i loro cittadini per poter dare denaro a noi sotto forma di sussidi.
«Protezionismo e isolazionismo – sostiene – non coincidono con il nostro interesse nazionale. Dalle illusioni autarchiche del secolo scorso alle pulsioni sovraniste che recentemente spingevano a lasciare l’euro, l’Italia non è mai stata forte quando ha deciso di fare da sola». Gli interventi di Draghi per ricordare il pensiero di Jean Monnet, di Alcide De Gasperi, di Carlo Azeglio Ciampi, guardano tutti allo stesso obiettivo: l’Europa come motore che garantisce non una cessione di sovranità, ma un suo livello più alto, condizione di crescita, di pace e benessere. Spesso i suoi discorsi si concludono con un contenuto esortativo, la spinta a lavorare insieme come chiave per affrontare tutti i problemi. Credetegli, se avverrà sarà sufficiente.
L'articolo «L’Italia mai forte quando fa da sola» L’alfabeto di Draghi proviene da Fondazione Luigi Einaudi.
Da oggi fino al 26 novembre torna, alla Fiera di Verona, JOB&Orienta, lo storico Salone nazionale dell’orientamento.
“A.A.A. Accogliere, accompagnare, apprendere in un mondo che cambia”, è il titolo di questa XXXI° edizione.
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Manovra, come al solito vincono gli intoccabili. Per noi c’è il bastone - Contropiano
«660mila percettori di reddito occupabili (e, chissà, forse anche i 173mila che già lavorano ma percepiscono stipendi così miseri che devono essere integrati con il RdC) vengono così segnati dal marchio dell’infamia, perché nemici della “nazione”, improduttivi, parassiti.
Bisogna dunque costringerli. E l’arma di costrizione è la fame – oltre che lo stigma. Senza alcun reddito saranno obbligati a cercare e soprattutto ad accettare qualunque lavoro, a qualunque condizione e in qualunque luogo. È una logica propria non solo del Governo Meloni, ma anche di politici come Renzi e di ampi pezzi del mondo imprenditoriale.»
Kick-off for EU database of public domain works and digital access to scientific works
With yesterday’s budget vote, the EU Parliament approved the funding of two pilot projects in the field of free knowledge initiated by the Pirate Party’s MEP Patrick Breyer in cooperation with civil society.
The first pilot project “Public EU directory of works in the public domain and under free licenses”, is funding a feasibility study for the creation of a database of public domain works. The development of such a database shall provide legal certainty for platforms, providers, galleries, libraries, archives and museums, as well as other non-profit organizations that work with public domain or freely licensed content.
The second project, “The Role of Copyright Laws in facilitation of distance education and research” intends to strengthen schools, universities and the cultural sector. The pilot project will assess copyright obstacles for online teaching and will focus on possible adaptions to the legal framework in order to enhance an appropriate balance of the interests of the authors and the use for educational and research purposes in the public interest. In addition, public access to culture and education shall be increased, in particular by granting licenses to libraries.
Patrick Breyer, Member of the European Parliament for the Pirate Party and digital freedom fighter, comments:
“The Pirate‘s fight for free knowledge has never been as important as during the pandemic, when schools and libraries often were closed. We finally need legal certainty. Business interests must no longer stand in the way of digital learning and research. The pilot projects I have proposed are an important first step in bringing the laws into line with the needs of our digital knowledge society.”
"Gli interventi sulle pensioni sono stati irrisori, mentre si continua a favorire anche attraverso la tassazione i ceti più abbienti, introducendo i primi assaggi di una futura tassazione piatta. Hanno colpito il Reddito di Cittadinanza proseguendo la guerra ai poveri, già ingaggiata dai precedenti governi. Hanno ridotto gli sgravi sulle bollette per le famiglie, confermando per intero solo quelli alle imprese. "
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I 10 satelliti più affascinanti del Sistema Solare
Un bel video del divulgatore Luca Nardi su alcuni dei molti satelliti naturali del Sistema Solare.
"Giochi troppo!": il libro di Andrea Corinti è figlio del lockdown del 2020 ed è un invito alla riflessione su quanto il videogioco sia importante nelle nostre vite
Segnaliamo alla comunità di @Videogiochi qesto libro di @Xab :archlinux: in cui i videogiochi non vengono demonizzati ma raccontati in una chiave di lettura che, seppur scanzonata, vanta solidi studi e riferimenti alle spalle.
Seguono le interviste a tre videogiocatori molto particolari per provare a raccontare cosa sia il videogioco oggi, ipotizzando cosa potrebbe diventare domani.
Qui è possibile visitare il sito dell'autore e trovare i link per l'acquisto (purtroppo solo Amazon)
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La TAV per le merci è un business che non esiste: l'unica linea italiana chiude per inutilizzo.
"I costi di manutenzione risultavano troppo onerosi a fronte della domanda per questo tipo di servizio. La notizia è stata commentata dai No TAV come il segno dell’inutilità di queste opere, che richiedono un enorme dispendio di risorse, oltre che la devastazione del territorio, ma non risultano necessarie."
I social network sono morti. Come si crea un'alternativa vera? L'articolo di di Edward Ongweso Jr su Vice
Segnaliamo a tutta la comunità de @Le Alternative questo articolo molto interessante comparso su Vice e segnalato su mastodon da @Chiara [Ainur] [Айнұр]
La "crisi di Twitter" ha infatti messo in ombra la crisi di Facebook, i suoi licenziamenti, il mancato ROI sul Metaverso, la sua irrilevanza per le elezioni di mid term e il Vietnam globale che i suoi prodotti di punta (Whatsapp e Instagram) stanno subendo da Telegram e soprattutto da TikTok.
Ma la crisi dei social è una realtà.
I cosiddetti “social media” sono pensati per consumo e pubblicità, non per le persone. Ora che stanno crollando, come si crea un’alternativa vera?
Articolo di Edward #Ongweso Jr, Trad. Di Giacomo Stefanini e Giulia Trincardi, su #Vice
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Non perdetevi l'incontro di #attiviamoenergiepositive su #mastodon #twitter e il #fediverso!
Oggi martedì 22 novembre alle 17 🐘
Con Paolo Melchiorre, Francesco Macchia e Angelo Rindone
Clicca qui per seguire la live alle h.17
👉 attiviamoenergiepositive.it/
Attiviamo Energie Positive Attiviamo Energie Positive
Un ciclo di formazione e webinar gratuiti. Condividiamo competenze e saperi per costruire nuove relazioni e progettare insieme il futuroAttiviamo Energie Positive
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La violenza digitale, invasiva e nascosta degli stalkerware che colpisce le donne. | Altreconomia
"Presentate come soluzioni antifurto o per controllo parentale, queste app alla portata di tutti possono essere installate per monitorare i dispositivi all’insaputa dei proprietari, scandagliando email, telefonate e account social. Una prassi illegale che si inserisce nell’ampia galassia della cyberviolenza."
Costi ambientali dei dispositivi di IA
L’immagine di Internet come cloud lo rende un ambiente apparentemente intangibile, quasi post-fisico. Tale percezione contribuisce a creare un’ingenua fiducia nel suo scarso impatto ecologico. A ciò si aggiungono le dichiarazioni del settore tecnologico, apparentemente a favore della sostenibilità ambientale, che fanno in realtà parte della creazione di un’immagine pubblica opaca e non veritiera.
Digital Service Package: come regolare le piattaforme digitali?
Il 5 luglio 2022, al termine della sessione plenaria del Parlamento Europeo, è stato approvato il Digital Services Package, il primo set normativo composto dal Digital Service Act (DSA) e dal Digital Markets Act (DMA), volto a regolare rispettivamente i servizi e il mercato digitali al fine di creare uno spazio online più sicuro e aperto, fondato sul rispetto dei diritti fondamentali dei cittadini.
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Diritti Digitali per la Comunità Queer
L’intelligenza artificiale (IA) pervade le nostre vite tramite app di varia tipologia, assistenti digitali, sistemi di rating, dispositivi smart. Diversamente dalla prospettiva che la presenta come strategia oggettiva ed equa per la gestione di determinati compiti, l’IA è intrinsecamente priva di neutralità, in quanto potenzialmente soggetta ad un uso duale. Infatti certi algoritmi...
Safe Cities e Colonialismo Digitale in Sudafrica
La sorveglianza biometrica costituisce un framework di tecnologie invasive che ricercano negli individui specifiche caratteristiche identitarie, al fine non dichiarato di attuare una profilazione di massa. Nel caso specifico del Sudafrica questo si inserisce in un ecosistema più ampio creatosi attorno al progetto Safe Cities del gigante cinese Huawei. Guidato dall’idea che la tecnologia sia la...
Il tracciamento dei contatti nei luoghi di lavoro in Italia
Parte 1: Tracciamento dei contatti, le origini Parte 2: Il contact-tracing nel XXI secolo: dalla MERS al COVID-19 Parte 3: L’approccio europeo e italiano al tracciamento dei contatti Parte 4: Il tracciamento dei contatti fuori dall’Italia Parte 5: Il tracciamento dei contatti: questioni etiche Se l’osservazione delle iniziative sviluppate dai vari Paesi europei aiuta a chiarire il quadro delle...
Oggi, #22novembre, è la Giornata nazionale per la sicurezza nelle scuole, istituita dal Parlamento italiano il 13 luglio 2015.
Qui la lettera alle scuole del Ministro Giuseppe Valditara ▶️ miur.gov.
Ministero dell'Istruzione
Oggi, #22novembre, è la Giornata nazionale per la sicurezza nelle scuole, istituita dal Parlamento italiano il 13 luglio 2015. Qui la lettera alle scuole del Ministro Giuseppe Valditara ▶️ https://www.miur.gov.Telegram
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Ho cercato informazioni su wiki ma con scarsi risultati: è stato acquistato e reso "chiuso" anche il protocollo?
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Pensavo che sarebbe interessante (e forse esiste già, ma non l'ho trovato) sviluppare un servizio che funga da proxy aggregatore per i diversi account del fediverso che un utente può possedere.
Provo a spiegarmi. Esistono numerosi social network decentralizzati che utilizzano il protocollo ActivityPub, tramite il quale sono tra loro interoperabili. Così un utente Mastodon può ricevere i video pubblicati da un amico su un'istanza PeerTube. Come utente del Fediverso, potrei aprire un account Pixelfed per pubblicare le mie foto, PeerTube per i video, Friendica per il microblogging ecc. Ognuno di questi account avrà il proprio handle, i propri follower e i propri seguiti, il che può diventare scomodo da gestire.
Invece, mi piacerebbe esporre verso l'esterno un unico handle aggregato, ad esempio @c64@luca.it, e "agganciare" a questo handle i numerosi account del fediverso di cui dispongo, per esempio
- @c64@mastodon.uno per Mastodon,
- @c64@poliverso.it per Friendica, ecc.
Come funzionerebbe dunque l'handle aggregato? Tutti i messaggi in entrata verrebbero aggregati dal proxy, e replicati verso tutti gli account personali. In questo modo, per esempio, avrei la possibilità di leggere lo stream dei post dei seguiti tramite Mastodon, che ha un'interfaccia più comoda e matura rispetto a Friendica, oppure utilizzare proprio Friendica. Anche i messaggi in uscita (post, video ecc.) sarebbero mediati dal proxy, in modo tale che i miei follower vedrebbero tutti i messaggi che pubblico, indipendentemente dal social che ho utilizzato per la pubblicazione per ogni singolo messaggio.
Infine, l'handle aggregato potrebbe essere permanente: così potrei modificare l'istanza dei miei social in modo trasparente, senza dover chiedere ai follower di modificare l'handle seguito.
Silvia Barbero likes this.
0ut1°°k
in reply to Poliverso - notizie dal Fediverso ⁂ • • •@videogiochi
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in reply to 0ut1°°k • •@0ut1°°k intanto ti ringrazio perché solo grazie alla tua segnalazione mi sono accorto che non avevo scritto la chiocciola prima del nickname @Xab :archlinux: che avevo usato nel testo del messaggio friendica!
Quanto al nickname che vedi nel messaggio, ti spiego due cose che solo alcuni utenti conoscono:
1) quello che ti vedi come messaggio è in realtà il titolo di un post #Friendica. Friendica ti dà la possibilità di scrivere post con il titolo o senza titolo. Se li scrivi senza titolo gli utenti mastodon li vedranno normalmente, anche se sono più lunghi di 500 caratteri; se li scrivi con il titolo invece gli utenti mastodon vedranno "Testo del titolo + Link con il resto del messaggio"; se però da Friendica voglio aprire un nuovo post su Lemmy (una specie di Reddit) allora sarò costretto a scrivere un titolo... Ed è quello che ho fatto
2) I thread aperti su feddit.it vengono rilanciati automaticamente su Twitter. Se scrivo i nickname twitter degli utenti citati nel post, allora essi verranno menzionati anche su twitter.., Ecco perché ho scritto il nickname di Andrea in quel modo. Quando la pubblicazione su twitter sarà avvenuta, posso anche modificare il titolo inserendo il nome giusto.
@Xab
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in reply to 0ut1°°k • •(e tra qualche minuto potrete vedere le modifiche anche voi #povery microbloggerz che siete su mastodon 🤣🤣🤣)
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0ut1°°k
in reply to Poliverso - notizie dal Fediverso ⁂ • • •@xabacadabra questo è bullismo degli utenti friendica verso gli utenti mastodon!
Adesso segnalo il tuo messaggio al tuo amministratore... Ah no. Ora che ci penso non posso farlo, perché Friendica poverina non ha ancora un sistema per gestire le segnalazioni 😈😈😈🤣🤣🤣
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Xab
Unknown parent • • •@unruhe perché non avevo abbastanza autostima per trovarmi un editore ed era l'autoproduzione più conveniente ahimè (non ne vado fiero confesso)
Prima o poi mi piacerebbe fare la versione ebook, appena ho un po' di tempo ci ragiono anche per gestire immagini e grafici
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