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Scuola di Liberalismo 2022 – Messina: lezione di Lorenzo Infantino sul tema “Diritto, legislazione e libertà”


Quarto appuntamento dell’edizione 2022, la dodicesima, della Scuola di Liberalismo di Messina, promossa dalla Fondazione Luigi Einaudi ed organizzata in collaborazione con l’Università degli Studi di Messina e con la Fondazione Bonino- Pulejo. Il corso,

Quarto appuntamento dell’edizione 2022, la dodicesima, della Scuola di Liberalismo di Messina, promossa dalla Fondazione Luigi Einaudi ed organizzata in collaborazione con l’Università degli Studi di Messina e con la Fondazione Bonino- Pulejo. Il corso, che tratterà principalmente delle opere degli autori più rappresentativi del pensiero liberale, si articolerà in 14 lezioni, di cui 3 in presenza e 11 erogate in modalità telematica.

La quarta lezione si svolgerà lunedì 12 dicembre, dalle ore 17 alle ore 18.30, sulla piattaforma Zoom, e sarà tenuta dal prof. Lorenzo Infantino (Ordinario di Metodologia delle Scienze Sociali presso l’Università LUISS Guido Carli di Roma, nonché Presidente della Fondazione von Hayek – Italia), che relazionerà sull’opera “Diritto, legislazione e libertà” di Friedrich August von Hayek, economista e sociologo annoverabile tra i massimi teorici del Liberalismo.

La partecipazione all’incontro è valida ai fini del riconoscimento di crediti formativi per gli avvocati iscritti all’Ordine degli Avvocati di Messina, nonché per gli studenti dell’Università di Messina.

Pippo Rao Direttore Generale Scuola di Liberalismo di Messina

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Cronache di fasci e Meloni al governo


“Rimane il fatto che capire la gente non è vivere. Vivere è capirla male, capirla male e poi male e, dopo un attento riesame, ancora male. Ecco come sappiamo di essere vivi: sbagliando” (P. Roth, Pastorale americana) L’osservazione dei primi provvedimenti di questa tanta destra con sfocature centriste è utile per verificare orientamenti e strategie […]

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La geopolitica entra in orbita con le ambizioni spaziali di Stati Uniti e Cina


Le stazioni spaziali sono foriere di un sempre più profondo bipolarismo nelle relazioni internazionali dello spazio. Gli Stati Uniti guidano la Stazione Spaziale Internazionale (ISS) e guideranno tutto ciò che verrà dopo di essa, ma non sono più visti come il potere unipolare incontrastato nello spazio. La Cina ora ha anche una stazione spaziale nazionale, chiamata Tiangong, che […]

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La Turchia si prepara a nuove conquiste


Il 19 novembre il Presidente turco Recep Tayyip Erdogan ha iniziato a lanciare attacchi aerei, droni e di artiglieria sulle città della Siria nord-orientale. In quattro giorni sono stati registrati almeno 100 attacchi e le forze democratiche siriane (SDF), la forza sostenuta dagli Stati Uniti nell’area, hanno iniziato a segnalare morti militari e civili. Erdogan […]

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Il valore di scelte moderate


Come ha mostrato da ultimo il ballottaggio della settimana scorsa in Georgia, si può dire, alla MarkTwain, che «la notizia della imminente morte della democrazia americana è risultata fortemente esagerata». Con la vittoria del candidato democratico Raphae

Come ha mostrato da ultimo il ballottaggio della settimana scorsa in Georgia, si può dire, alla MarkTwain, che «la notizia della imminente morte della democrazia americana è risultata fortemente esagerata». Con la vittoria del candidato democratico Raphael Warnock contro il candidato trumpiano Herschel Walker, l’amministrazione Biden consolida la maggioranza di cui dispone al Senato. Si conferma il trend manifestatosi in novembre. L’estremismo di Trump non ha pagato.

L’amministrazione democratica ha perso il controllo della Camera dei rappresentanti ma ha retto all’assalto repubblicano smentendo la regola secondo cui le elezioni di midterm puniscono duramente il partito del Presidente in carica. Nessuno dei candidati estremisti imposti da Trump al partito repubblicano è stato eletto.

Dopo la sua sconfitta nelle elezioni presidenziali del 2020 e il traumatico assalto a Capitol Hill del gennaio 2021, gli anticorpi presenti nella democrazia americana si sono messi in moto e stanno potentemente ridimensionando l’estremismo trumpiano e la sua carica eversiva.
Ricordiamo, a conferma della solidità delle istituzioni americane, anche tutti quei governatori ed altri esponenti del partito repubblicano che rifiutarono di avallare il tentativo di Trump di annullare il risultato delle elezioni presidenziali. Le democrazie non sono mai completamente al riparo da tentativi eversivi. Nelle antiche repubbliche il pericolo era rappresentato da generali vittoriosi in guerra.

Oggi possono essere solo magnati dotati, oltre che di ricchezza, anche di capacità demagogiche, a tentare di imporre soluzioni cesaristiche.
È interessante notare che costoro possono essere sconfitti se vengono contrastati, non da un estremismo di segno opposto, ma da una politica moderata capace di mobilitare gli elettori contrari all’avventurismo politico.

Il ridimensionamento di Trump è una buona notizia non solo per gli Stati Uniti. Lo è anche per le democrazie europee. Perché la sua vittoria, nel 2016, nella democrazia-guida del mondo occidentale, contribuì alla crescita di movimenti estremisti in Europa. Essi erano nati per ragioni che avevano a che fare con la vita interna delle democrazie europee ma ricevettero comunque una forte spinta dalla presidenza Trump e dalle sue politiche.

Cesarismi a parte, le democrazie oscillano, a seconda delle circostanze, fra fasi in cui prevale l’una o l’altra estrema e fasi in cui prevale la politica moderata di forze centriste. Si noti anche che se le elezioni sono vinte da una forza estrema essa, per mantenersi al potere, deve per lo più governare ammainando molte delle bandiere estremiste che agitava prima di vincere le elezioni. Nei casi(drammatici, ma fortunatamente abbastanza rari) in cui il centro politico si svuoti e restino in campo solo gli estremisti, allora la democrazia può correre rischi assai seri. Si immagini una Francia post-Macron, in cui le forze dominanti siano rappresentate solo dalla destra di Marine Le Pen e dalla sinistra di Jean-Luc Mélenchon. A quel punto, bisognerebbe interrogarsi sulla tenuta della democrazia francese.

Le fasi in cui la democrazia esibisce maggiore stabilità sono quelle dominate da forze centriste. E si capisce perché: sono le forze che dispongono della flessibilità necessaria per stipulare i compromessi senza i quali non si governano le nostre società complesse.
C’è in questo anche un insegnamento per l’Italia. La nostra è forse, fra tutte le democrazie occidentali, la più «difficile». Lo testimonia il quarantennio di democrazia bloccata, con la Dc sempre al governo e il Pci sempre all’opposizione. Anche se si cerca di parlarne il meno possibile quel passato influenza il nostro presente.

Consideriamo solo il periodo più recente. Con le elezioni del 2018 ci fu un drammatico indebolimento delle forze centriste e la vittoria di quelle estreme (maggioranza relativa ai 5 Stelle). Si formò uno dei governi più estremisti della nostra storia: il Conte 1 in mano a 5 Stelle e Lega. Ma durò solo un anno. Il Conte 2 (5 Stelle più Partito democratico) che gli succedette si formò con le modalità trasformistiche che sono proprie della nostra tradizione. Il cambiamento di maggioranza comportò però uno spostamento verso politiche più moderate. È seguita la fase, imposta dall’emergenza pandemica, della tregua e della decompressione con il governo Draghi.

L’attuale governo è guidato dalla leader di un partito che viene dall’estrema destra ma è indubbio che Meloni abbia cercato e cerchi di tenere la barra il più possibile al centro. Lo prova, nonostante le intemperanze degli alleati, oltre che la posizione sull’Ucraina, una finanziaria che, sia pure con qualche sbavatura, è in evidente continuità con le politiche del governo Draghi, e un rapporto con Bruxelles che, grazie anche ai buoni uffici del presidente della Repubblica, non è al momento conflittuale. Lo prova pure la posizione del governo sulla giustizia.

Nonostante il tentativo dell’Associazione Nazionale Magistrati e dei suoi tanti amici di far passare il ministro Nordio per un estremista, non c’è nulla nelle posizioni espresse dal ministro che non sia ancorata alla concezione liberale dello Stato di diritto. Ci sono, è vero, le tensioni con la Francia sull’immigrazione. Dureranno fin quando non si troverà un accordo europeo che tuteli i diversi interessi. L’insegnamento riguarda anche quello che al momento (ma fino a quando?) è ancora il maggiore partito di opposizione, il Pd. La tentazione di inseguire i 5 Stelle è evidente e fortissima.

In coincidenza con la volontà di prendere le distanze dalle ragioni fondative del Pd, accusato oggi (nientemeno) che di «neo-liberismo» da alcuni intellettuali (ma anche da certi capi-corrente). Dietro a tutto ciò si intravvede la nostalgia per la «vocazione minoritaria», per i bei tempi in cui il partito comunista era relegato in permanenza all’opposizione. Allora ci si poteva sentire puri e moralmente integri: non c’era il rischio di doversi sporcare le mani con i compromessi che impone l’attività di governo.

Il Pd è a un bivio. Può ribadire la sua volontà di essere una forza capace di contendere credibilmente il governo alla destra, oppure può scegliere la strada opposta: combinare il partito degli amministratori in periferia e quello del movimentismo (alla Mélenchon) al centro. Con scarse probabilità di sconfiggere l’attuale maggioranza alle prossime elezioni. Le democrazie funzionano al meglio quando prevale la moderazione e la politica del compromesso. In quelle fasi possono anche diventare piuttosto noiose. Difficile che capiti anche a noi .

Il Corriere della Sera

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Tosse: cos’è e questo fenomeno fisiologico e perché si verifica


Fare un colpo di tosse è quanto di più comune ci sia, ma la tosse, ovviamente, non è sempre uguale. Ci siamo mai chiesto che cos’è la tosse? In quest’articolo faremo il punto su questa questione, evitando di utilizzare termini medici e rendendo assolutamente semplice la comprensione di tale fenomeno che, come vedremo, può essere […]

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Quando gli Stati Uniti impareranno che le sanzioni non risolvono i loro problemi?


La definizione di follia, si dice spesso, è fare sempre la stessa cosa aspettandosi risultati diversi. Eppure questo è esattamente ciò che gli Stati Uniti e altri politici occidentali hanno fatto imponendo ampie sanzioni economiche contro regimi contraddittori e altrimenti problematici. I risultati generalmente non sono stati positivi. Invece di persuadere i leader autoritari e […]

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#NotiziePerLaScuola

È disponibile il nuovo numero della newsletter del Ministero dell’Istruzione e del Merito.

🔶 Valditara: “Per docenti e personale più di 2.



EvasIva


La legge di bilancio, ogni anno, si annuncia in un modo e in corpo d’opera se ne cambiano i parametri. Comunque la si pensi, c’è un dato che varrebbe la pena considerare: in Italia si evade l’Iva per 26.2 miliardi Come ogni anno la legge di bilancio si

La legge di bilancio, ogni anno, si annuncia in un modo e in corpo d’opera se ne cambiano i parametri. Comunque la si pensi, c’è un dato che varrebbe la pena considerare: in Italia si evade l’Iva per 26.2 miliardi

Come ogni anno la legge di bilancio si annuncia con determinati contenuti, poi se ne reclamano altri, quindi si deposita un testo che ne contiene di diversi, ergo si presentano emendamenti che tolgono e introducono, infine tutti si strozza in un voto di fiducia, dato su un testo dell’ultimo minuto. Come ogni anno, taluno ricorderà esistenti cose che non ci saranno. Essendo nel mezzo del trambusto è interessante cogliere il senso di alcuni passaggi. Che sono rivelatori.

Sulla questione dei Pos e del contante abbiamo parlato fin troppo. Mi parrebbe giusto il principio: libera banconota in liberi pagamenti. Pago quello che mi pare con quello che mi pare, il che comporta il fatto che chi deve essere pagato accetti quel che è lecito e abbia il Pos. Tanto le regole valgono solo per chi è regolare e dubito uno spacciatore si ponga il problema dei sistemi di pagamento (di quello si occupa il trafficante). Ma c’è una dato che si è fatto finta di non vedere: in Italia si evade l’Iva per 26.2 miliardi, mentre in Germania (che sono pure più grossi) per 11.1 miliardi. In Italia c’è un limite all’uso del contane, mentre in Germania (fin qui) no. Il che dimostrerebbe l’assenza di nesso, ma solo per chi riesce a tenere a mente una sola cosa per volta, giacché la seconda, decisiva, è: in Germania si paga molto di più usando il Pos. Perché è evidente che se il contante non è sinonimo di evasione fiscale, l’evasione fiscale si serve del contante. E vabbè, si dirà, vale per l’Iva. No, quello è solo un rivelatore.

Per non pagare Iva non emetto fattura, altrimenti la pagherei anche in caso di contante. Faccio credere al cliente o acquirente che la risparmiamo assieme, ma per me vale di più: non emettendo fattura quell’incasso non contribuirà al mio reddito, non ci pagherò l’Irpef, magari il nero mi aiuterà a stare sotto le soglie forfettarie incentivandomi ad evadere, e non pagherò i contributi previdenziali. Poi avrò tempo per lamentarmi della pensione troppo bassa, omettendo di specificare che è tale perché i contributi me li mangiai. E noi siamo il Paese con più evasione Iva e più pensioni. Per forza che si fanno buchi. Moltiplicare i pagamenti con carte non è solo comodo, ma largamente conveniente per chi non sia un delinquente.

Curiosa la faccenda del possibile pagamento anticipato sui profitti da capitale, con sconto dal 26 al 14%. Ce ne eravamo occupati a proposito delle criptovalute, ma cammin facendo s’allargò. Ho investito 100 e poi rivenduto a 110, pagando il 26% d’imposta sulla plusvalenza, il guadagno. Ora il governo mi dice: anche se non vendi, sul tuo guadagno odierno dammi il 14% e non ti chiederò nulla quando venderai. Della serie: li sordi mi servono subito. Obiezione politica: non ha l’aria di una misura per soccorrere i poveri. Obiezione tecnica: questo significa mangiarsi oggi ilo gettito futuro. Obiezione di mercato: molti investimenti stanno scontando delle perdite rispetto ai guadagni accumulati, il che significa che se ho denaro liquido posso approfittare del calo, sommarci lo sconto e pagare due breccole in cambio dell’affrancamento da oneri fiscali. Oh, alla faccia della distanza dalle lobbies e del non fare favori ai “ricchi”, perché un meccanismo simile non è detto che convenga a un piccolo risparmiatore, ma a chi ha partecipazioni azionarie consistenti converrà farci un pensiero.

Poi si accende la televisione e son tutti lì, con animo contrito, a parlare dei poveri. In realtà solo intenti ad attribuirsene reciprocamente la responsabilità.

La Ragione

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Etiopia, Facebook e la guerra civile


Un professore viene assassinato in Etiopia dopo aver pubblicato messaggi online dannosi. Mark Zuckerberg in realtà voleva agire contro le bugie e l’incitamento all’odio e…

Un professore viene assassinato in Etiopia dopo aver pubblicato messaggi online dannosi. Mark Zuckerberg in realtà voleva agire contro le bugie e l’incitamento all’odio e assicurarsi che la sua piattaforma non alimentasse più conflitti politici in tutto il mondo. Perché non ha funzionato? 

Di Kerstin Kohlenberg

7 dic. 2022 / aggiornato 10 dic. 2022
L'etiope Nigist Hailu piange la morte del marito; l'americano Mark Zuckerberg vede in Africa il mercato del futuro. © [M] ZEIT ONLINE; Foto: Jessica Chou/​The New York Times/​Redux/​laif; Kerstin Kohlenberg (sinistra)L’etiope Nigist Hailu piange la morte del marito; l’americano Mark Zuckerberg vede in Africa il mercato del futuro. © [M] ZEIT ONLINE; Foto: Jessica Chou/​The New York Times/​Redux/​laif; Kerstin Kohlenberg (sinistra)Ogni omicidio ha il suo profumo. L’assassinio del professore etiope Meareg Amare odora di mango e gasolio. Meareg e sua moglie Nigist hanno piantato l’albero di mango dietro il cancello della loro casa. L’odore pesante e pungente del gasolio aleggia su quasi tutte le città dell’Etiopia , su Addis Abeba, la capitale con le sue strade congestionate, e su Bahir Dar, dove è avvenuto l’omicidio il 3 novembre 2021. È l’odore della rapida crescita di un paese povero. L’odore della libertà e della distruzione.
Nigist Hailu era in chiesa quando è arrivata la chiamata. Un uomo sconosciuto era al telefono, dice, e le ha detto di non tornare a casa per nessun motivo, ma di rivolgersi alla polizia. Si è spaventata ed è subito scappata. Nessuno voleva dirle niente in questura, invece è stata portata a casa sua. Al cancello della proprietà, dice, si era già radunata una folla. “Poi ho visto Meareg. Era sdraiato davanti alla casa sotto l’albero di mango.” La bocca di suo marito era aperta.

Nigist in seguito apprese che i tre autori erano arrivati ​​con un’auto e due motociclette. Tutti e tre indossavano l’uniforme delle forze speciali armate del governo locale. Gli hanno sparato, il professor Meareg Amare, alle gambe e alla schiena, poi è scomparso.

Nigist dice che è crollata, ha abbracciato il marito morto e ha cercato di chiudergli la bocca. Una sola persona della folla l’ha aiutata. Gli altri rimasero lì a guardare.

Il viaggio verso Nigist – in Etiopia, i nomi sono ciò che sono i cognomi nel nostro paese – conduce attraverso un traffico intenso fino ai margini di Addis. Passati caprai che guidano le loro mandrie dall’altra parte della strada mentre guardano i loro smartphone, oltre un gigantesco complesso di conchiglie per un’azienda high-tech cinese, fino a capannoni che vendono caffè. Nigist vive qui al terzo piano di un condominio perché non è più al sicuro nel suo paese d’origine. Aveva una grata di metallo messa davanti alla porta. Devi stare attento anche qui. La famiglia appartiene alla piccola etnia dei Tigrini, contro i quali il governo etiope è in guerra da due anni. È probabilmente il conflitto più mortale del nostro tempo: secondo le stime dell’Università di Gand, ne sono state vittime 500.000 persone. Da diverse settimane c’è una vaga speranza di pace. Le parti si sono impegnate a porre fine ai combattimenti. Ma per quanto riguarda l’odio?

Nigist chiude la porta e infila una coperta sopra la fessura nel pavimento. Nessuno dovrebbe sentire ciò che viene detto all’interno. Si sistema il tulle nero sui capelli. Ha 57 anni e i suoi capelli sono diventati grigi dall’omicidio del marito, dice. In soggiorno un divano ad angolo, un tavolo, una foto di Meareg alla parete. Poi niente. Una stanza come una sala d’attesa. C’è anche sua madre, loro due hanno preparato la colazione, lenticchie, focaccia, salse piccanti.

Nigist si fruga in tasca, come ogni terzo etiope ha uno smartphone. Un Samsung. Dopo l’omicidio, è stata chiamata su questo cellulare dallo sconosciuto, su questo cellulare ha salvato ciò che le restava del marito. Mostra le foto di un uomo alto, magro, dall’aria pensierosa in giacca e camicia, abbigliamento da professore universitario, le mani in tasca con disinvoltura. Un video la mostra mentre ride mentre cerca di convincerlo a ballare. In un altro, le canta dolcemente. Nigist ha le lacrime che gli rigano le guance mentre lo guarda. Il cellulare le salva la vita. Li collega tramite Facebookcon i suoi quattro figli, che ora sono tutti fuggiti all’estero, in Svezia, Francia e Stati Uniti. E li collega ad alcuni dei loro vecchi vicini di casa. Gli etiopi non sono mai stati così vicini. Mai prima d’ora erano stati così in disaccordo.

Prima che Meareg morisse all’età di 60 anni, è stato perseguitato su un account Facebook chiamato BDU STAFF. BDU sta per Bahir Dar University. Personale significa personale. L’account sembra una pagina ufficiale che l’università ha aperto per i suoi dipendenti, gente come Meareg, che ha lavorato lì per 16 anni. Prima come docente di chimica, poi come assistente alla cattedra, poco prima della sua morte gli fu assegnata una cattedra regolare. Tuttavia, BDU STAFF non pubblica solo informazioni quotidiane sulla vita del campus, successi accademici o sportivi, ma anche post entusiastici sulla guerra del governo contro i tigrini.

L’account ha molti lettori, 50.000 persone lo seguono. Il 9 ottobre 2021, quasi quattro settimane prima del delitto, è stata pubblicata una foto di Meareg con la didascalia: “Si chiama Professor Meareg Amare Abreha. È un Tigrayer”. Il post è lungo, l’autore anonimo afferma che Meareg ha combattuto a fianco del Fronte popolare di liberazione del Tigray contro le forze governative, dopodiché è fuggito negli Stati Uniti. Il giorno dopo, BDU STAFF pubblica un altro post su Meareg, sempre con una sua foto. Questa volta si dice che il professore abbia sottratto fondi all’università e li abbia usati per costruire la sua casa e acquistare varie auto.

Nei giorni successivi, alcuni dei suoi studenti scrivono nella colonna dei commenti sotto il post che Meareg è un bravo ragazzo, un grande insegnante, una brava persona. Ma la maggior parte dei commentatori chiede vendetta: “Cosa stai aspettando. Stai dormendo? Sei così imbarazzato, perché non hai ancora bevuto il suo sangue?”

Come dovrebbe essere regolamentato Facebook?


In nessun altro continente l’utilizzo di Internet sta crescendo così velocemente come in Africa . Un Paese come l’Etiopia, con i suoi 120 milioni di abitanti, la stragrande maggioranza dei quali non ha ancora accesso a Internet, deve apparire a una piattaforma come Facebook come un ideale mercato futuro. Nei paesi ricchi dell’Occidente Facebook ha smesso da tempo di crescere, quasi tutti hanno uno smartphone, quasi tutti hanno un account Facebook, e i giovani si stanno addirittura allontanando dalla piattaforma. In Africa, invece, la società madre di Facebook, Meta, sta posando 45.000 chilometri di cavo in tutto il continente per fornire Internet ad alta velocità a 18 paesi. Quante bugie, quante adescamenti porterà questo cavo in Africa?

Facebook ha imposto una sorta di regole della casa. Regole di comportamento, valide in tutto il mondo, per tutti i tre miliardi di utenti. L’odio, le minacce di morte, l’esaltazione della violenza, il razzismo, il sesso, le teorie del complotto o gli account falsi non sono consentiti. Se un contributo viola le regole della casa, dovrebbe essere fornito con un avviso o cancellato. In realtà abbastanza semplice. Eppure abbastanza complicato. A che punto la critica legittima diventa odio o razzismo? Quando inizierà la libertà di espressione sulla disinformazione o l’esaltazione della violenza? Ciò che scrive un politico dovrebbe essere trattato allo stesso modo di ciò che pubblica un comune cittadino? Quando è il momento poco prima che sia troppo tardi in una lotta di campo politico che devi intervenire?

Impossibile rispondere a tali domande in un insieme di regole che si rivolge a quasi il 40 per cento dell’umanità. Facebook deve costantemente riconsiderare la libertà di discorso aperto e la protezione contro la disinibizione. Naturalmente, anche gli interessi commerciali giocano un ruolo. Facebook guadagna facendo pubblicità alle persone che guardano i post di altre persone. Se vengono eliminati troppi post, alla fine le vendite diminuiranno.

Ecco perché è stata una sorpresa quando Mark Zuckerberg ha fondato l’Oversight Board, una sorta di corte suprema per Facebook. Ha iniziato a lavorare nell’ottobre 2020, un anno prima dell’omicidio di Meareg. Dovrebbe esprimere giudizi definitivi sulla corretta applicazione delle regole della casa. Facebook ha promesso di sottomettersi a queste sentenze: se il suo tribunale stabilisce che un post debba essere cancellato, Facebook deve farlo. Quindi il consiglio stabilisce i limiti di ciò che può essere detto sulla piattaforma. Sebbene sia finanziato da Facebook, attraverso un fondo di 280 milioni di dollari, si dice che prenda le sue decisioni indipendentemente dagli interessi commerciali dell’azienda. Nessuno può licenziare i propri membri, anche se criticano Mark Zuckerberg.

Alcuni vedono l’Oversight Board come una prova che dopo tutte le critiche sui danni che la piattaforma ha arrecato alla società, dopo tutti i dibattiti sulla polarizzazione, le notizie false e i messaggi di odio anonimi, Facebook è finalmente tornato in sé. Per loro sembra che Facebook ora voglia assumersi la responsabilità delle conseguenze delle sue azioni. L’ex primo ministro danese Helle Thorning-Schmidt, ex redattore capo del Guardian inglese , è stato reclutato come membro dell’Oversight Board Alan Rusbridger, premio Nobel per la pace yemenita Tawakkol Karman. Un totale di 23 avvocati, ex politici e giornalisti. Hanno tutti una cosa in comune: secondo il New Yorker , ogni anno prendono una cifra a sei cifre per 15 ore di lavoro al mese. E hai una reputazione da perdere.

Il consiglio ha anche dei critici. Semplicemente riconoscono in lui il tentativo di una multinazionale miliardaria di salvare il proprio modello di business: Prima che le autorità statali ci regolamentino, noi preferiamo regolarci da soli.

L’Organismo di Vigilanza ha sede a Londra. Non c’è nessun segno sulla porta, la posizione esatta deve rimanere segreta. All’interno poi soffitti alti, look da loft industriale, atmosfera da coffee shop, il travestimento della modernità. Normalmente ci sono persone in ufficio ora che visualizzano nuovi casi o ricercano quelli attuali. Oltre ai 23 membri, il consiglio ha 78 dipendenti che lavorano qui a Londra, San Francisco e Washington. Ma poiché tutti sono stati in ufficio da casa dal Corona, solo Thomas Hughes è lì in questo giorno dell’estate 2022. Il direttore esecutivo del consiglio di sorveglianza, non membro dell’organo decisionale, è appena tornato dalla California. Mark Zuckerberg aveva invitato lui e i membri a un primo incontro faccia a faccia. “Fino ad ora, tutti si conoscevano solo tramite Zoom”, afferma Hughes.

La Corte Suprema di Facebook non ha mai concesso l’ingresso ai giornalisti. Il rischio che alcuni dei dibattiti, a volte accesi, trapelassero sembrava troppo grande. Solo dopo un lungo avanti e indietro è stato l’ok per questa visita.

Prima di iniziare a lavorare per il Consiglio, Thomas Hughes era direttore di una ONG che lavorava per proteggere la libertà di espressione. Per tutta la vita ha cercato di alzare il volume in modo che le persone sentissero più di una sola voce. Ha creato stazioni radio in Indonesia dopo lo tsunami del 2004, ha contribuito a fondare giornali in Iraq dopo la guerra e ha lavorato alle leggi sulla libertà di stampa in Liberia. Si trattava sempre di giornalismo indipendente. Ora ci sono i social media, dice Hughes. Ci sono molte urla lì e l’obiettivo è rendere le urla sopportabili. “Ci saranno sempre problemi in una società. Anche su Facebook. Abbiamo solo bisogno di un sistema migliore e di processi migliori per riconoscere questi problemi”.

Solo nel primo anno dopo la formazione dell’Oversight Board, gli utenti di tutto il mondo hanno presentato ricorso contro una decisione presa da Facebook più di un milione di volte. Hughes e il suo staff esaminano le obiezioni, poi le setacciano come cercatori d’oro in più iterazioni, cercando gli esempi perfetti, i precedenti per affrontare l’odio, la violenza, la disinformazione. “Penso che possiamo aiutare Facebook a imparare da questi casi e migliorare”, afferma Hughes.

Circa una volta al trimestre, i 23 giudici selezionano tre casi su cui vogliono lavorare, ciascuno in piccoli gruppi. Ogni caso viene quindi ricercato, gli esperti vengono intervistati e Facebook deve rispondere a un questionario. Un processo lungo, ad oggi sono state pronunciate solo 31 sentenze. Ad esempio, si trattava dell’immagine di un seno femminile in connessione con la sensibilizzazione sul cancro al seno, la questione se le condizioni carcerarie del capo del Partito dei lavoratori del Kurdistan (PKK) possano essere discusse su Facebook o se debba essere autorizzato a chiamare qualcuno un “codardo”. In tutti e tre i casi, Facebook aveva ordinato la cancellazione: il petto era nudo, il PKK è classificato da Facebook come “organizzazione pericolosa” e “codardo” come designazione di carattere negativo.

Ma il caso più grande è stato qualcun altro: Donald Trump. Il 7 gennaio 2021, il giorno dopo l’assalto al Campidoglio di Washington, Facebook ha sospeso definitivamente l’account di Trump. È stata una decisione altamente politica, nel bel mezzo del Kulturkampf tra Democratici e Repubblicani negli Stati Uniti, in cui Facebook è stato ripetutamente preso di mira da entrambe le parti. Per molti a sinistra le regole sulla piattaforma sono troppo permissive, incolpano Facebook del trionfo del trumpismo , dell’incitamento all’odio, della violenza e delle teorie del complotto della destra. Molti di destra, invece, sospettano ad ogni cancellazione: la Silicon Valley di sinistra vuole censurarci! Certo, ora di nuovo, dopo l’affare Trump.

Facebook stesso voleva sapere dalla sua Corte Suprema se il blocco fosse corretto. Il consiglio esisteva solo da pochi mesi e i membri si chiedevano se questo caso non fosse un po’ grosso all’inizio. “E se commettiamo un errore?” – è così che qualcuno che era lì in quel momento descrive la preoccupazione. Alla fine hanno accettato il caso, ci sono voluti quasi quattro mesi e sono giunti alla conclusione che i post di Trump hanno contribuito all’assalto al Campidoglioavevo. Aveva raccontato ai suoi follower la bugia sull’elezione rubata su Facebook, e loro ci avevano creduto. Tuttavia, secondo la sentenza di ultima istanza, un divieto a vita è arbitrario. I giudici lo hanno ridotto a sei mesi e hanno chiesto a Facebook regole universali per tali decisioni.

Internet ha cambiato il modo in cui le persone comunicano


Facebook ha modificato le sue regole interne e ha esteso il divieto a due anni. Scadrà presto, il 7 gennaio 2023. Al più tardi, Mark Zuckerberg dovrà decidere se far rientrare Trump, proprio come ha appena fatto Elon Musk su Twitter .

Quando hanno annunciato il loro verdetto su Trump, i giudici sono diventati fondamentali: hanno invitato Facebook a tenere d’occhio conflitti politici come quello che ha fatto precipitare gli USA in una crisi così profonda. conflitti in tutto il mondo. E Facebook ha promesso di farlo. Importante almeno quanto la domanda su cosa sta facendo Facebook con Trump è la domanda su cosa Facebook ha imparato da Trump.

In linea di principio, Facebook monitora sempre la sua piattaforma allo stesso modo, sia negli Stati Uniti, in Europa o in Africa orientale. Un algoritmo cerca contenuti discutibili. Se ne trova qualcuno, ne elimina automaticamente la maggior parte. Ma a volte li assegna anche a una persona che poi deve prendere una decisione per conto di Facebook: liberarsene o no? Esistono molti di questi cosiddetti moderatori di contenuti in paesi economicamente forti come gli Stati Uniti o la Germania. Quasi nessuno è responsabile di paesi come l’Etiopia, lo Yemen, l’Iraq o il Myanmar. Facebook spende solo meno soldi lì. Sono proprio le regioni ad essere spesso politicamente particolarmente instabili.

Nel maggio 2021, quando l’Oversight Board ha annunciato la sua decisione storica nel caso Trump, decine di migliaia di persone erano già morte in Etiopia. Nel nord del Paese, dove vive la maggior parte dei tigrini, le truppe governative reprimono i ribelli, si verificano massacri e saccheggi e il governo ha interrotto tutti gli aiuti umanitari alla regione. Su Facebook, ora devono riscattare rapidamente la loro promessa. Da tempo ordinano gli stati in base alle categorie di rischio, l’Etiopia è al livello più alto. Facebook può rallentare algoritmicamente la distribuzione dei post che ritiene potenzialmente pericolosi. Può alimentare l’algoritmo con più parole chiave che porteranno alla cancellazione dei post. Oppure abilita filtri speciali per monitorare meglio i post. Cosa stia facendo esattamente Facebook al riguardo in Etiopia e se qualcosa cambierà dopo Trump rimane poco chiaro. Tutto ciò che si sa è che Facebook sta assumendo nuovi moderatori di contenuti.

Tutto può sembrare buono dall’esterno. Ma come ci si sente quando ci si trova proprio nel mezzo?

Quando i due post anonimi di Facebook su Meareg andranno online nell’ottobre 2021, c’è una piccola verità in essi, come in ogni calunnia efficace. Meareg non è davvero nella sua città natale. Contrariamente a quanto afferma BDU STAFF, però, non è fuggito negli USA perché aveva combattuto per il Tigray People’s Liberation Front. È andato nella capitale Addis per aiutare i parenti che hanno il Corona.

Nel suo appartamento ad Addis, la moglie racconta quanto fosse preoccupata dopo le poste. Accusare qualcuno in quel modo in una situazione così esplosiva, ha capito subito che lo avrebbe messo in pericolo. “Dopo lo scoppio della guerra, i vicini hanno smesso di salutarci. Quando siamo passati davanti a loro, improvvisamente sono rimasti in silenzio”, dice Nigist. “Erano nostri amici!” Ha chiesto a suo marito di rimanere ad Addis per il momento. “Ma Meareg non voleva. Ha detto che dopotutto non era una persona politica.”

I due si sono conosciuti nel 1982. Meareg era un giovane insegnante di chimica nel montuoso e verde nord dell’Etiopia, alla periferia della città medievale di Gondar. Il paese era allora governato dai comunisti, che fecero arrestare Meareg nel 1983. Fu accusato di essere un oppositore del regime, già allora. Lo hanno torturato, colpendo i suoi piedi con i chiodi, dicono Nigist e sua madre. Dopo un anno è stato rilasciato. Mostrano il documento di discarico. Dopo di che si sarebbero presi cura di lui. Nigist e Meareg si sono sposati. Successivamente hanno costruito la loro casa a Bahir Dar e hanno messo su famiglia.

Nel 1991, il Fronte popolare di liberazione del Tigray e i suoi alleati vinsero sui comunisti. Inizia un buon periodo per Nigist, Meareg ei quattro figli. Non importava a quale gruppo etnico appartenessi in quel momento, dice Nigist, avevano buoni amici che non erano tigrini. Hanno convertito il loro garage e l’hanno affittato. L’albero di mango davanti a casa sua dava ogni anno più frutti.

Il nuovo millennio è arrivato. In tutto il mondo Internet stava cambiando il modo di pensare, comunicare e agire, ma in Etiopia, per il momento, quasi tutto è rimasto uguale. Quasi nessuno era online, il governo controllava l’accesso alla rete, molti siti erano completamente bloccati e giornalisti e blogger venivano regolarmente arrestati. Le proteste di massa sono scoppiate nel 2018. Il nuovo primo ministro è stato Abiy Ahmed, che ha fondato il suo potere nello stato multietnico dell’Etiopia non sui vecchi quadri del Tigray, ma su membri di un altro gruppo etnico, gli Amhara. È iniziato un brutto periodo per la famiglia di Nigist e Meareg e per altri Tigrini.

Abiy Ahmet ha revocato la censura di Internet e Facebook è stato presto consentito senza restrizioni. Lì, Amhara ha iniziato l’incitamento contro il Tigray, ei politici amarici hanno chiesto di “riprendersi” la regione del Tigray. Le tensioni etniche sono aumentate. Appena due anni e mezzo dopo l’insediamento del nuovo primo ministro, è scoppiata la guerra tra il governo e il Fronte popolare di liberazione del Tigray .

Un uomo di 31 anni siede nel salotto di una residenza studentesca a Parigi ed è stato testimone di come le voci radicali su Facebook siano diventate più forti tra gli etiopi. È Abrham, il secondo figlio maggiore di Nigist e Meareg. In realtà sta facendo il dottorato in Etiopia in studi sulla pace e sui conflitti, ma dopo l’assassinio di suo padre ha ricevuto un visto per studenti per la Francia. Abraham non parla una parola di francese. A volte potrebbe essere meglio non capire nulla di ciò che accade intorno a te.

L’uomo reagisce con più forza a ciò che lo turba di più

Abrham si è trasferito a Parigi dopo l'omicidio. © Kerstin KohlenbergAbrham si è trasferito a Parigi dopo l’omicidio. © Kerstin Kohlenberg
Lui ei suoi amici inizialmente hanno accolto con favore l’elezione del nuovo governo, dice Abrham. “Come tutti i giovani, non vedevamo l’ora di avere più libertà”.

All’epoca seguiva principalmente i cugini su Facebook e non pubblicava nulla di politico. Eppure, pochi mesi prima dell’assassinio del padre, l’algoritmo di Facebook ha messo davanti a sé il seguente post di un noto nazionalista filogovernativo con 250.000 follower, il Tigrayer, con 250.000 follower: “Le rivendicazioni politiche del Amhara non deve mai più essere compromessa dagli abitanti del Tigray. La nostra lotta la renderà una perdente. È finita!”

Come se una porta si fosse aperta e l’aria fredda stesse entrando, Abrham ha ricevuto sempre più contributi di questo tipo. Ad esempio questo: “Se agli Amhara non piace il colore dei tuoi occhi, troveranno modi e mezzi. Lascia che te lo dica!” L’autore è un etiope che vive negli Stati Uniti, alimentando il conflitto da lì. Abrham non conosce l’uomo – e ha comunque ricevuto un messaggio diretto da lui: “Cosa ci fai a Bahir Dar, sporco Tigrino?”

La piattaforma sa da tempo quanto siano buoni tali contenuti per Facebook, da un punto di vista puramente economico. Nel 2007 Facebook ha fondato un “team di crescita”. Gli utenti sono diventati una specie di pazienti, a cui sono stati somministrati sempre nuovi farmaci sperimentali con l’aiuto di algoritmi in continua evoluzione. Il team ha osservato come ogni cocktail di algoritmi ha influenzato il comportamento di un utente. È rimasto più a lungo su Facebook? Quindi potresti mostrargli altri annunci? Ben presto divenne chiaro quale droga funzionasse meglio: l’odio. L’uomo reagisce con più forza a ciò che lo turba di più. Poi condivide l’indignazione, ne vuole di più. In questo modo Facebook non diventa un luogo di ritrovi amichevoli, ma uno stadio di calcio dove le persone crescono insieme stando contro i tifosi dell’altra squadra.

Abrham ha segnalato quasi 20 post su Facebook. È molto semplice, basta spostare il mouse sui tre puntini sul bordo destro di un post, cliccare, si apre una finestra, si preme “Segnala post”, si clicca ancora, si sceglie tra categorie come “molestie”, ” terrorismo” o “incitamento all’odio”. clic. Finito.

Facebook ha rifiutato di eliminare ogni volta sulla base del fatto che il contenuto non violava le regole della casa. Se Abrham non volesse più vedere tali messaggi nel suo feed di notizie, potrebbe bloccare la persona, gli ha scritto Facebook.

Alcuni membri dell’Oversight Board sanno esattamente cosa vuol dire essere vittima di una campagna di odio sui social media. Maina Kiai è uno dei quattro membri del consiglio dall’Africa. In un giorno dell’estate del 2022, è seduto in un ristorante a Washington e ordina tapas. Kiai è un ex relatore speciale delle Nazioni Unite e direttore del programma Africa di Amnesty International e attualmente lavora per Human Rights Watch. Dopo le elezioni presidenziali del 2007 nel suo nativo Kenya, molte persone sono morte perché il candidato perdente ha affermato che le elezioni erano state truccate. Kiai in seguito ha fatto pressioni per un’indagine sui disordini, dopo di che è stato attaccato online. Ad un certo punto, gli aggressori erano davanti alla sua porta. Ad oggi non ha un account Facebook. “È troppo invadente per me.”

Dopo che un conoscente gli ha scritto che Facebook voleva parlargli di un posto nell’Oversight Board, ci ha pensato a lungo, dice Maina Kiai. Ha chiesto in giro chi altro stava facendo tutto – tutte persone fantastiche. Ed era interessato a scoprire come funziona effettivamente Facebook.

La sua conclusione finora in questo lavoro? Nel 70 per cento dei casi, lui e i suoi colleghi avrebbero annullato una decisione presa da Facebook, afferma Kiai. La piattaforma lo faceva ogni volta. Tuttavia, sulla base delle lezioni apprese da questi casi, hanno anche fornito 86 raccomandazioni generali a Facebook. Finora solo 28 di questi sono stati pienamente attuati. Almeno un inizio, pensa Kiai. Facebook ha tradotto le regole della casa in numerose lingue aggiuntive e ora sta rispondendo alle domande dei suoi capi giudici più frequentemente sui singoli casi.

Sembra un politico che descrive la trasformazione dolorosamente lenta di una potente istituzione globale. Nel frattempo, però, questa istituzione sta cambiando il mondo alla velocità della luce e non sempre è in grado di tenere il passo.

A Nairobi, capitale del Kenya, lavorano per Facebook le persone che dovrebbero occuparsi della crisi politica in Etiopia. Sono i moderatori dei contenuti che dovrebbero rivedere i post potenzialmente pericolosi. Una di loro qui si chiama Senait, ma non vuole rivelare pubblicamente il suo vero nome per paura di perdere il lavoro. Senait ha studiato linguistica e lavora per un subappaltatore commissionato da Facebook. Quando parla al telefono della sua vita quotidiana nella lotta contro l’odio, si pensa come quando ha parlato con Maina Kiai: Sì, Facebook sta facendo qualcosa. Ma non è abbastanza.

Ora sono 32 in squadra, più di prima. Alcuni nuovi arrivati ​​sono stati appena assunti, parlano non solo l’amarico ma anche il tigrino, quindi ora possono rivedere i post di entrambe le parti del conflitto etnico. Ma anche qui, in mezzo alla capitale di un paese vicino, questo conflitto è arrivato da tempo, dice Senait. Ad esempio, uno della squadra, un Amhara, non ha quasi mai cancellato l’incitamento all’odio dei nazionalisti amarici. Ad un certo punto è stato notato, la donna doveva andare. Restava il problema della mancanza di tempo.

Senait ha 50 secondi per decidere se un post deve essere cancellato. Ogni settimana viene valutato il loro tempo medio di elaborazione. L’azienda lo chiama “tempo di gestione dell’azione ” “C’è molta pressione”, afferma Senait. Il suo team ha recentemente ottenuto uno stipendio più alto, invece di $ 600 ora ne ricevono $ 800 al mese. Prima di allora, cinque si erano dimessi. L’elevato turnover rende difficile acquisire esperienza, imparare a separare il dannoso dall’innocuo.

Sebbene Facebook lo sapesse, gli account non sono stati cancellati

Serata nella città etiope di Mekele © Olivier Jobard/​MYOPSerata nella città etiope di Mekele © Olivier Jobard/​MYOP
Conosci l’account BDU STAFF?

Senait lo chiama su Facebook. Non la conosco, dice. Lei scorre e fa clic sulla pagina, “hm, hm”, clic, clic, “un sacco di parolacce per i Tigrini”, clic, clic. Senait è sorpreso dalla frequenza con cui i dipendenti dell’università vengono accusati senza prove di aver rubato fondi all’università o di essere ricchi per altri dubbi motivi. Fai clic, fai clic, “oh, questo è davvero problematico ora”. Uno dei commenti recita: “Se tu fossi un vero uomo, li uccideresti tutti”. Guarda le pagine Facebook di alcuni dei commentatori. «Sono della milizia di Fano», dice. Milizia fanese. Non sembra più la vita di tutti i giorni nel campus. È un gruppo armato degli Amhara, che ha combattuto dalla parte del governo. Osservatori indipendenti la accusano di aver preso parte a crimini di guerra contro i tigrini, stupri di massa e pulizia etnica.

Ora si potrebbe presumere che Facebook stia semplicemente annegando nella massa di tutti i post. Tuttavia, un documento dell’ex dipendente e informatore di Facebook Frances Haugen mostra che la piattaforma sa esattamente chi ha alimentato il conflitto in Etiopia. Il documento è a disposizione di ZEIT , era destinato esclusivamente a scopi interni a Facebook e non era mai stato pensato per essere pubblicato. Descrive una rete di account Facebook che hanno una cosa in comune: sono legati alla milizia di Fano. Questa rete, dice, “diffonde incitamento alla violenza e incitamento all’odio in Etiopia”.

Quindi, sebbene Facebook lo sapesse, non vedeva alcun motivo per eliminare gli account.

Perché è così è evidente da un secondo documento dell’informatore, che è anche a disposizione di ZEIT . Si dice che Mark Zuckerberg abbia affermato di supportare algoritmi aggiuntivi che eliminano, rallentano e bloccano i contenuti pericolosi. Tuttavia, fa un avvertimento: tali algoritmi non dovrebbero avere alcun impatto sulla crescita della piattaforma. È come se il centro di controllo ferroviario inviasse un messaggio radio alla cabina di guida: sono felice di guidare più lentamente, ma solo se non arrivi a destinazione più tardi.

E poi c’è la cosa delle celebrità. Facebook ha una specie di programma speciale per politici, giornalisti, star e altre persone con molti follower. Si chiama controllo incrociato. Chiunque sia incluso in questo programma da Facebook non deve attenersi così rigorosamente alle regole della casa. Mentre i membri dell’Oversight Board stavano deliberando sul divieto di Donald Trump, sono stati informati da Facebook che il controllo incrociato riguarda solo alcune personalità.

Frances Haugen, l’informatore, in seguito ha rivelato quanti utenti Facebook apparentemente ha smistato esattamente in questo programma: 5,8 milioni.

Martedì di questa settimana, la Corte Suprema di Facebook si è rivolta al pubblico, esortando l’azienda a rivedere in maniera massiccia il suo programma di controlli incrociati. Si dice che chiunque metta in primo piano i propri interessi commerciali tanto quanto Facebook con il suo trattamento speciale per le celebrità non adempie alle proprie responsabilità in materia di diritti umani. Puoi capire dal messaggio che le persone del consiglio di sorveglianza sono arrabbiate.

“Ci ha aperto gli occhi”, dice il membro del consiglio Suzanne Nossel riguardo alle bugie di Facebook a lei e ai suoi colleghi. Nossel è un avvocato e presidente dell’associazione degli autori PEN America. È consapevole, afferma, che il consiglio di sorveglianza sarà giudicato in base alla sua capacità di gestire l’impatto negativo di Facebook. “Quindi la distruzione del discorso pubblico”. Nossel fa una pausa per un momento. “Al momento non siamo nella posizione migliore per farlo”. Se si limitano a sedersi in disparte e guardare un caso dopo l’altro senza cambiare la struttura di Facebook, allora è tempo perso.

I social media e l’odio. Potresti paragonarlo a un’altra crisi esistenziale a cui non resta molto tempo. Forse l’odio per piattaforme come Facebook è ciò che il gas e il carbone sono per le società industriali tradizionali: il carburante che alimenta la crescita. E forse una guerra civile, proprio come il riscaldamento globale, è la conseguenza che si accetta. Promettono di combatterli, ma in realtà non fanno molto.

Poteva andare diversamente. La crescita di Facebook è stata guidata politicamente fin dall’inizio. Più di un quarto di secolo fa, i politici americani decisero di esentare i social media dalla responsabilità legale per i contenuti pubblicati sui loro siti web. È stato un regalo di Washington alla Silicon Valley. Un salto di qualità che all’epoca sembrava innocuo. Gli algoritmi che perfezionano l’attenzione delle persone all’odio non esistevano ancora. Era impensabile che un giorno una società californiana da miliardi di dollari avrebbe avuto voce in capitolo nel corso dei conflitti politici in tutto il mondo.

Nell’agosto 2021, Suzanne Nossel, Maina Kiai e gli altri membri del consiglio hanno preso un caso dall’Etiopia. Un utente di Facebook ha pubblicato un post affermando che i civili del Tigray stavano aiutando i combattenti del Fronte popolare di liberazione del Tigray a commettere atrocità. Hanno guidato le milizie di porta in porta, uccidendo donne e bambini Amhara. Ha ottenuto le informazioni da persone delle regioni colpite. Il post terminava dicendo: “Conquisteremo la nostra libertà attraverso la nostra lotta”.

La cancellazione del post di Facebook è arrivata troppo tardi


Gli algoritmi di Facebook hanno segnalato il post. Il team di Nairobi lo ha controllato e ha deciso che stava infrangendo le regole della casa. Il post è stato eliminato. Il suo autore ha fatto appello contro questo su Facebook. Il team dei contenuti ha controllato più e più volte giudicato: il post deve essere cancellato.

Ma l’autore non si è arreso. Ora si è rivolto all’Organismo di Vigilanza. Il caso è stato risolto lì. Ne è seguito un acceso dibattito. Alcuni dei membri, così dicono oggi le persone coinvolte, erano favorevoli alla cancellazione – e hanno ricordato un altro paese in guerra civile, il Myanmar. Da tempo su Facebook circolavano voci per diffamare i membri della minoranza musulmana che viveva nel Paese. L’odio è culminato in una devastante esplosione di violenza, migliaia di musulmani sono stati assassinati e quasi un milione sono fuggiti nel vicino Bangladesh. Facebook ha a lungo minimizzato il suo ruolo in questo genocidio . Solo dopo un’indagine ufficiale delle Nazioni Unite l’azienda ha ammesso di non aver fatto abbastanza per prevenire la violenza.

I membri contrari alla cancellazione hanno sostenuto il diritto all’informazione. La gente non è riuscita a informarsi sui media ufficiali in Etiopia, non c’erano quasi notizie sul conflitto. In una situazione del genere, un tale contributo tramite una piattaforma come Facebook potrebbe fornire alla popolazione informazioni importanti.

Utilizzando il caso dell’Etiopia, il Consiglio ha voluto rispondere alla domanda su come affrontare le voci di atrocità in un paese in cui le persone spesso possono utilizzare i social media solo per avvertirsi a vicenda dei pericoli. Una questione di equilibrio, ancora una volta, tra la violenza che la voce inciterebbe e la protezione che può offrire se vera.

Il membro del consiglio Nossel afferma che il caso dell’Etiopia è stato uno dei più difficili fino ad oggi. Come dovrebbero decidere?

Il 14 ottobre 2021, il figlio del professor Meareg, Abrham, ha segnalato a Facebook i post infiammatori dell’account BDU STAFF tramite suo padre.

Il 30 ottobre, l’algoritmo di Facebook ha pubblicato un post sulla pagina Facebook di Abrham: “46.000 tigrini vivono con le loro famiglie a Bahir Dar. Che ci piaccia o no, dobbiamo difenderci dai terroristi. Gli stupidi e i sordi scompariranno. ”

Questa volta Abraham conosce l’autore. È il suo migliore amico. I due erano vicini di casa, andavano a scuola insieme, giocavano a calcio insieme, si raccontavano quando si innamoravano di una ragazza.

Il 31 ottobre 2021, l’amico ha scritto: “Dobbiamo monitorare da vicino i tigrini che vivono a Gondar o Bahir Dar e prendere le misure necessarie. Se saremo crudeli quanto loro, allora possiamo prevalere”.

Tre giorni dopo, la mattina del 3 novembre 2021, Meareg è andato un’ultima volta alla sua università. Poco prima, il suo datore di lavoro gli aveva suggerito di consegnare la disdetta. Nessuno lì parla più con lui. Prende le ultime cose e torna a casa. Lì incontra i suoi assassini.

Il 4 novembre, Facebook schiera una squadra di emergenza in più in Etiopia.

L’11 novembre, la società Abrham ha inviato un messaggio. Il post su suo padre violava gli standard della comunità ed è stato rimosso. Papà è morto da una settimana.

Il 14 dicembre 2021 l’Organismo di Vigilanza emetterà il suo verdetto sul caso dell’Etiopia: il post con la voce dovrebbe essere cancellato. Inoltre, Facebook consiglia di commissionare una revisione indipendente: che ruolo gioca la piattaforma in questo conflitto? Facebook risponde che una cosa del genere richiede molto “tempo”. Ad oggi non è successo nulla.

Meareg è morto ormai da un anno, sua moglie Nigist non sa se e dove sia stato sepolto. La casa che condividevano le è stata tolta ed è ora un alloggio per le forze speciali armate.

L’account BDU STAFF da allora si è agitato contro diversi altri professori e personale dell’Università di Bahir Dar presumibilmente tigrini. Su richiesta, l’università conferma che BDU STAFF è un account anonimo che non è gestito da essa. Causa grossi problemi. L’account è ancora online. La società madre di Facebook, Meta, non commenta le richieste ripetute.

Nel frattempo, la Corte Suprema degli Stati Uniti si è attivata. Non il consiglio di sorveglianza. Ma quella vera, la Corte Suprema di Washington. Per la prima volta ha accettato un caso in cui deve decidere se le piattaforme digitali come Facebook sono responsabili dei loro contenuti – e quindi anche delle conseguenze che i contenuti hanno nel mondo reale. Ad esempio, per la morte di un professore di chimica di 60 anni in una cittadina dell’Etiopia nord-occidentale.


FONTE: zeit.de/2022/51/aethiopien-mor…


tommasin.org/blog/2022-12-12/e…

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Agire bisogna; non muovere vane querimonie, se si vuole che il paese sia salvo da Corriere della Sera, 26 maggio 1920 L'articolo #uncaffèconluigieinaudi ☕ – Agire bisogna… proviene da Fondazione Luigi Einaudi. https://www.fondazioneluigieinaudi.it/unc
Agire bisogna; non muovere vane querimonie, se si vuole che il paese sia salvo

da Corriere della Sera, 26 maggio 1920

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"Il consiglio dei supervisori di San Francisco, ovvero l’organo legislativo della città, ha sospeso il progetto di dotare la polizia di robot in grado di uccidere. [...]
La norma dovrà comunque affrontare un’ulteriore revisione, al termine della quale si deciderà se approvarla con alcune modifiche – magari imponendo limiti più severi all’utilizzo dei robot – o se abbandonarla del tutto."

ilpost.it/2022/12/07/san-franc…

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La Città da 15 minuti


Le grandi città sono invivibili. Nel 2016 un professore propose una soluzione. Oggi l'idea è stata ripresa in chiave statalista da diverse città, anche in Italia, e non è una buona notizia.

Oggi vi racconto di come, grazie a un’idea apparentemente buona, le più grandi città europee potrebbero trasformarsi nel prossimo futuro in un agglomerato di quartieri recintati digitalmente e fisicamente, pensati per dare ai cittadini una parvenza di libertà e appagamento, ma rendendoli al tempo stesso più sorvegliabili e controllabili.

L’idea è quella della “Città dei 15 minuti”, popolarizzata nel 2016 dal professore della Sorbonne Université Carlos Moreno.

Il professore parte da una constatazione semplice: le nostre città si sono sviluppate senza tener conto delle reali necessità delle persone, che oggi devono adattarsi ai tempi dilatati della città, al traffico, all’inquinamento e al rumore. La città da 15 minuti rivoluziona l’ingegneria delle città per creare dei quartieri auto sufficienti, dove le persone possono trovare tutto ciò di cui hanno bisogno entro un raggio temporale di 15 minuti a piedi o in bicicletta dalla propria abitazione.

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Idea interessante, che però cadde nel dimenticatoio per anni — fino all’arrivo del Covid. Le politiche di lockdown e le ampie limitazioni agli spostamenti che hanno costretto milioni di persone a rimanere confinate nei loro quartieri hanno fatto sì che l’idea dei quartieri auto sufficienti riprendesse vigore tra politici e intellettuali, in preparazione di future pandemie.

L’agenda climatica ha ulteriormente contribuito al diffondersi di questa nuova teoria di città dove tutto è magicamente accessibile senza automobili. Basta fare una ricerca online per rendersi conto della quantità di articoli che oggi parlano del tema. Ce ne sono almeno un paio che meritano attenzione:

Il 26 febbraio 2021 le Nazioni Unite pubblicarono un articolo intitolato “The 15 Minute city: Can a new concept of urban living help reduce our emissions?”. Nell’articolo si legge:

“La pandemia COVID ci ha fatto mettere in dubbio il modo di vivere tradizionale e a causa delle misure sanitarie (sì, sanitarie, certo) molte persone sono state costrette a vivere entro un raggio di pochi chilometri dalle loro case. Un modo di vivere diverso può allora aiutarci a cambiare il modo in cui pensiamo ai nostri quartieri e città, aiutandoci anche a fermare il riscaldamento climatico?

Ecco che allora può aiutarci il concetto della Città da 15 minuti, dove tutto ciò di cui abbiamo bisogno è entro 15 minuti a piedi o in bici. Le città diventerebbero più decentralizzate e ci sarebbe meno bisogno di automobili. L’idea di quartieri auto sufficienti non è nuova — molte città erano già così. Tuttavia, data l’urgenza della lotta al cambiamento climatico, molte città stanno cercando modi per ridurre le emissioni e migliorare la qualità di vita dei cittadini.”


Della città da 15 minuti ha parlato anche più recentemente il World Economic Forum, in un articolo di marzo intitolato “The surprising stickiness of the “15-minute city”:

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"La nozione di occupabilità viene parametrata nel contesto familiare dimenticando che la presenza in una famiglia di soggetti lavorativi con contratti a poche ore non determina l’emersione dalla povertà, i poveri ormai non sono solo gli inoccupati ma anche lavoratori precari con salari da fame e la condizione di miseria e precarietà riguarda l’intero nucleo familiare.
La nozione di occupabilità della destra è solo funzionale a tagliare il Rdc diminuendone i percettori e i mesi dell’assegno, non guarda alla sostanza del mercato del lavoro e all’assenza di politiche attive, resta indisponibile ad una nuova leva di lavori socialmente utili finanziati dallo Stato per la cura e manutenzione della persona e del territorio.
Per questo si alimentano campagne di odio contro i nuovi fannulloni (un tempo erano i dipendenti della PA oggi sono i percettori del Reddito) nell’ottica di restituire i fondi destinati agli ultimi con il Rdc ad altre fasce delle popolazioni, quelle decisamente non ascrivibili alle classi sociali meno abbienti. "

cumpanis.net/si-fa-presto-a-di…



Sesso libero


Le dittature sanno di non potere possedere le teste, quindi ci provano con le mutande e il sesso. Sanno che l’aspirazione alla libertà è insopprimibile e universale La forza bruta fa cilecca con i pensieri, ma si può imporre sui costumi. Non posso imped

Le dittature sanno di non potere possedere le teste, quindi ci provano con le mutande e il sesso. Sanno che l’aspirazione alla libertà è insopprimibile e universale

La forza bruta fa cilecca con i pensieri, ma si può imporre sui costumi. Non posso impedirti di sognare, ma posso reprimere i tuoi sogni, i tuoi desideri, le tue attrazioni. E reprimendo quelli t’insegno a rinunciare alla libertà. In questo sono tutti uguali.

La persecuzione degli omosessuali, a cura del regime castrista cubano, non era la scusa per arrestare uno scrittore (Reinaldo Arenas) e distruggere le sue opere, ma un modo per insegnare a non pensarsi liberi. L’ossessione di deviati come il patriarca russo Kirill, le leggi russe contro l’omosessualità, la maniacale riaffermazione di una cosa mai esistita, ovvero la “famiglia tradizionale”, non sono modi per non farsi contagiare dalla “decadenza occidentale”, ma per insegnare a non guardare al mondo libero e castrare i desideri. L’Indonesia che condanna il sesso fuori dal matrimonio e l’Iran che assassina chi scopre una ciocca o protesta contro l’assassinio non stanno salvaguardando la purezza, ma provando a far vivere la dittatura uccidendo la libertà.

È accademica e surreale la discussione se la storia abbia una direzione di marcia e un qualche approdo designato, tanto più che noi siamo il futuro dei nostri antenati e gli antenati degli umani futuri, ma la ricerca della libertà non ha mai fine e non conosce confine. Chiunque stia lottando per la libertà, sia anche quella delle proprie mutande, è un fratello da sostenere.

Da noi, nel nostro mondo mai stato così ricco e libero, tendiamo a dimenticarlo. A dare la libertà per assodata. Taluni si sono convinti che la si difenda mettendo presidi alle declinazioni o moltiplicando i generi o condannando la parola. Troppi, nel cadere in questo grossolano errore, in quel “politicamente corretto” che è solo politicamente inconsistente, ci mettono lo zelo di ottusi patriarchi e ayatollah.

Eppure un problema si pone, al nostro mondo: si può essere liberi anche dalla natura? Sì, si può, ad esempio separando l’eros dalla procreazione. Evviva. Ma possiamo anche liberare la procreazione dall’eros? Più scivoloso. Aiutare la fertilità è un conto, bypassarla un altro. Qui si torna a principi antichi: se la mia libertà comporta l’altrui subordinazione o uso strumentale, allora non è una libertà, ma una sopraffazione. Dovremmo discuterne senza pregiudizi, occupandoci del merito e non dei tabù. Che rimangono anche nel nostro mondo libero, giacché connaturati all’umano. Negare un tabù non significa averci fatto i conti, così come usare concetti offensivi o il turpiloquio non significa opporsi al politicamente corretto. Anche perché si rischia di far confusione.

In Italia può già essere riconosciuto, nell’interesse del minore, un “genitore” dello steso sesso di quello naturale. Esempio: il primo è rimasto solo (non ci interessa qui perché), ha un figlio minore e convive con una persona dello stesso sesso, a quel punto per il minore non cambia nulla, ma se il primo finisce sotto a un treno resterebbe solo, ove non si riconoscesse la posizione dell’altro. Sentenze già in giudicato. È importante l’omogeneità in Unione europea, perché, potendomi liberamente muovere (evviva), non sia genitore in un Paese e sospettato di pedofilia in un altro, se provo a portare il bambino nella mia stessa camera d’albergo.

Sono cose da affrontarsi con concretezza e lucidità. Capita, invece, che taluno viva da noi in libertà e voglia usare gli argomenti degli invasati dominatori di mutande. L’esito è noto, da quelle parti.

La Ragione

L'articolo Sesso libero proviene da Fondazione Luigi Einaudi.



#NotiziePerLaScuola

Rendicontazione nella piattaforma PimerMonitor. Prorogata al 31 agosto 2023 la rendicontazione del potenziamento dei Centri Regionali di Ricerca, Sperimentazione e Sviluppo per l’istruzione degli adulti.

Info ▶️ https://www.




Etiopia, le guardie hanno massacrato decine di prigionieri tigrini, dicono testimoni


Gli omicidi più letali sono avvenuti nel campo di prigionia di Mirab Abaya, dove erano detenuti soldati tigrini in carica e in pensione. Il profumo…

Gli omicidi più letali sono avvenuti nel campo di prigionia di Mirab Abaya, dove erano detenuti soldati tigrini in carica e in pensione.

Il profumo di caffè e sigarette aleggiava nell’aria calda del pomeriggio in un campo di prigionia etiope improvvisato, hanno detto i prigionieri, mentre i soldati tigrini detenuti celebravano il giorno sacro di San Michele nel novembre 2021. Alcuni scherzavano con gli amici fuori dagli edifici di lamiera ondulata. Altri hanno pregato silenziosamente di ricongiungersi con le famiglie che non vedevano da un anno, quando è scoppiato il conflitto nella regione settentrionale del Tigray in Etiopia.

Poi sono iniziate le uccisioni


Al tramonto del giorno successivo, secondo sei sopravvissuti , circa 83 prigionieri erano morti e un altro disperso. Alcuni sono stati uccisi dalle loro guardie, altri uccisi a colpi di arma da fuoco dagli abitanti del villaggio che hanno schernito i soldati sulla loro etnia tigraya, hanno detto i prigionieri. I corpi sono stati gettati in una fossa comune vicino al cancello della prigione, secondo sette testimoni.

“Erano accatastati uno sopra l’altro come legno”, ha raccontato un detenuto che ha affermato di aver visto le conseguenze del massacro.

Il massacro nel campo vicino a Mirab Abaya, che è stato insabbiato e non è stato riportato in precedenza, è stato l’uccisione più mortale di soldati imprigionati dall’inizio della guerra, ma non l’unico


Il massacro nel campo vicino a Mirab Abaya, che è stato insabbiato e non è stato riportato in precedenza, è stato l’uccisione più mortale di soldati imprigionati dall’inizio della guerra, ma non l’unico. Le guardie hanno ucciso soldati imprigionati in almeno altri sette luoghi, secondo testimoni, che erano tra più di due dozzine di persone intervistate per questa storia. Nessuno di questi incidenti è stato segnalato in precedenza.

I morti erano tutti tigrini, membri di un gruppo etnico che ha dominato il governo e l’esercito etiope per quasi tre decenni. La situazione è cambiata dopo che Abiy Ahmed è stato nominato primo ministro dell’Etiopia, la seconda nazione più popolosa dell’Africa, nel 2018. Le relazioni tra Abiy e il Fronte popolare di liberazione del Tigray (TPLF) sono rapidamente crollate. La guerra è scoppiata nel 2020 dopo che i soldati tigrini dell’esercito etiope e altre forze tigrine hanno sequestrato basi militari in tutta la regione del Tigray.

Temendo ulteriori attacchi, il governo ha arrestato migliaia di soldati tigrini in servizio in altre parti del paese. Sono stati detenuti in campi di prigionia per quasi due anni senza accesso alle loro famiglie, telefoni o osservatori dei diritti umani. Altri soldati tigrini sono stati disarmati quando è scoppiata la guerra, ma hanno continuato a svolgere lavori d’ufficio. Molti di loro sono stati arrestati nel novembre 2021 mentre le forze tigrine avanzavano verso la capitale, Addis Abeba.

La maggior parte degli omicidi, compreso il massacro di Mirab Abaya, è avvenuta allora. I prigionieri hanno ipotizzato che gli attacchi potrebbero essere stati innescati dalla paura o dalla vendetta. Nessuno dei soldati uccisi era stato combattente contro gli etiopi e quindi prigioniero di guerra.

In alcune carceri, alti ufficiali militari etiopi hanno ordinato gli omicidi o erano presenti quando sono avvenuti, hanno detto i prigionieri. Altrove, i soldati imprigionati hanno affermato di continuare a essere sorvegliati – e picchiati – da coloro che hanno ucciso i loro compagni.

Sebbene ci siano pochi segni che le uccisioni siano state coordinate a livello centrale, ci sono prove di una diffusa impunità. Solo a Mirab Abaya gli agenti sono intervenuti per fermare l’uccisione.
Questi dettagli appena rivelati arrivano mentre entrambe le parti in conflitto stanno elaborando i dettagli di un cessate il fuoco, annunciato il mese scorso, che è stato accolto con sospetto tra la popolazione su una serie di questioni, tra cui se ci sarà responsabilità per crimini di guerra e altre atrocità. Il modo in cui il governo risponde alle rivelazioni sugli omicidi in carcere potrebbe suggerire come tratterà altri abusi presumibilmente commessi dalle forze di sicurezza.

I resoconti dei testimoni illuminano anche come le divisioni etniche che lacerano la società etiope stiano anche erodendo i suoi militari, un tempo ampiamente rispettati come uno dei più professionali della regione e ancora spesso invocati dai vicini dell’Etiopia per aiutare a mantenere la pace. Molte delle persone uccise nelle carceri erano tra le migliaia di soldati etiopi che hanno prestato servizio in missioni internazionali di mantenimento della pace sotto le Nazioni Unite o l’Unione Africana.

Il resoconto di questo articolo del salasso si basa su 26 interviste con prigionieri, personale medico, funzionari, residenti locali e parenti e su una revisione di immagini satellitari, post sui social media e cartelle cliniche. Due elenchi di morti sono stati forniti separatamente al Washington Post ed entrambi includevano gli stessi 83 nomi. Le identità di 16 vittime sono state verificate durante i colloqui con i detenuti. Tutti i testimoni hanno parlato a condizione di anonimato per paura di rappresaglie.

Alla domanda su questi resoconti, il colonnello Getnet Adane, un portavoce dell’esercito etiope, ha detto di essere troppo impegnato per commentare. Un portavoce del governo e la portavoce del primo ministro non hanno risposto alle richieste di commento. Il capo nominato dallo stato della Commissione etiope per i diritti umani, Daniel Bekele, ha affermato che il gruppo era a conoscenza dell’incidente e aveva indagato su di esso.

Proiettili e machete


Circa 2.000-2.500 soldati tigrini in servizio o in pensione, sia uomini che donne, erano detenuti nel nuovo campo di prigionia a circa mezz’ora di cammino a nord della città di Mirab Abaya, in un’area scarsamente popolata punteggiata da piantagioni di banane e vicino a un grande, lago infestato dai coccodrilli. Alcuni edifici erano così nuovi che non avevano nemmeno le porte. Ma il campo aveva torri di guardia e confini delimitati. Le guardie hanno detto ai prigionieri che sarebbero stati fucilati se avessero oltrepassato il limite.

A metà novembre 2021, un nuovo prigioniero – un maggiore appena sposato che lavorava nella divisione di costruzione della difesa dell’esercito – è stato gravemente ferito dalle guardie quando è uscito di notte dalla sua cella per urinare, hanno detto altri sei detenuti. È stato picchiato duramente. Alcuni hanno detto che è stato colpito allo stomaco. Le guardie in seguito hanno detto ai prigionieri che era morto mentre si recava in ospedale.

Nei giorni successivi, le tensioni hanno continuato a crescere con notizie – successivamente confermate da attivisti per i diritti – secondo cui i combattenti tigrini nella regione settentrionale dell’Amhara in Etiopia stavano uccidendo e stuprando mentre avanzavano verso la capitale.

Ma il 21 novembre, il campo di Mirab Abaya sembrava calmo, hanno detto i prigionieri. Molti si stavano crogiolando al sole del tardo pomeriggio quando tra le 16 e le 18 guardie hanno aperto il fuoco.

Un prigioniero ha detto di essere stato vicino a due donne quando sono state colpite da colpi di arma da fuoco nella toilette.

“Una donna è morta immediatamente e l’altra gridava: ‘Figlio mio, figlio mio!’ Poi hanno sparato un altro proiettile e lei è morta”, ha detto. “Loro [le guardie] volevano uccidere tutti lì”.

Una delle donne era un maggiore delle forze di terra etiopi. Aveva circa 50 anni, aveva prestato servizio come pacificatore in Sudan e aveva un figlio e una figlia, secondo il testimone. Altri detenuti hanno detto che la seconda donna aveva lavorato al Ministero della Difesa.

Un alto ufficiale del Tigray ha detto che era nella sua cella quando ha sentito degli spari. Ha infilato vestiti e cose in una borsa. Decise di scappare se poteva.

“Stavo pensando: ‘Vedrò mai i miei figli? Li vedi avere successo a scuola e avere le cose belle della vita?’ ” Egli ha detto. Se non poteva correre, avrebbe combattuto, ha detto. Lui ei suoi compagni di cella cercavano un bastone o qualsiasi altra cosa da usare come arma.

Un terzo prigioniero ha detto di aver iniziato a pregare.

Non tutte le guardie hanno preso parte all’uccisione.

Un quarto prigioniero ha descritto una guardia che ha preso posizione fuori dalle celle e ha detto agli aggressori che avrebbe sparato loro se fossero venuti a prendere i detenuti all’interno. Quella guardia piangeva, disse il prigioniero, e rimase inconsolabile per giorni. Un altro prigioniero ha detto che alcune guardie avevano cercato di disarmare gli aggressori.

Ancora un altro prigioniero ha detto che stava prendendo un caffè fuori quando sono esplosi degli spari. Come molti altri, è corso nella boscaglia circostante. I soldati etiopi hanno inseguito il suo piccolo gruppo, ha detto. Dopo aver corso più di un’ora, ha detto, hanno visto alcuni locali. I prigionieri hanno sbottato che erano stati colpiti e hanno chiesto aiuto.

“Hanno detto… ‘Ti mostreremo ciò che meriti.’ E poi ci hanno attaccato”, ha detto.

Una folla di circa 150-200 persone ha fatto a pezzi e picchiato i fuggitivi con machete, bastoni e pietre, ha ricordato.

La maggior parte è stata uccisa mentre implorava pietà, ha detto, aggiungendo che è stato ferito gravemente e lasciato per morto. Durante l’attacco, ha detto, ha visto altri prigionieri correre nel lago per sfuggire alla folla.

Altri detenuti hanno confermato che ci sono stati attacchi di machete contro coloro che sono fuggiti dalla prigione. Hanno detto che i residenti hanno urlato insulti ai fuggitivi e che gli era stato detto erroneamente che erano prigionieri di guerra e da incolpare per la morte di uomini locali nell’esercito. Due prigionieri hanno detto che gli attacchi sono continuati fino al giorno successivo.

La sparatoria nella prigione è cessata un’ora o due dopo l’inizio, quando è arrivato il colonnello Girma Ayele del comando meridionale. A quel punto, dissero i prigionieri, il campo era disseminato di corpi di morti e la terra era chiazzata di sangue. Non è stato possibile raggiungere Girma per un commento.

La divisione Dejen


Il massacro all’interno della prigione è stato commesso da circa 18 guardie, tra cui una donna, hanno detto i sei prigionieri di Mirab Abaya che sono stati intervistati. Queste guardie e poco più di un terzo delle vittime provenivano dalla stessa unità: la divisione dell’esercito Dejen, precedentemente nota come 17a divisione. È di stanza ad Addis Abeba.

Molti soldati tigrini hanno ipotizzato durante le interviste che l’attacco fosse motivato dalla vendetta. La maggior parte delle guardie che hanno ucciso provenivano dalla regione di Amhara, che le forze tigrine avevano invaso mentre si spingevano verso la capitale.

Girma ha detto ai prigionieri che queste guardie non erano sotto il suo diretto controllo ed erano state arrestate, hanno detto i detenuti. Non è stato possibile confermare lo stato delle guardie. I prigionieri non li videro mai più.
Il giorno dopo l’uccisione, un escavatore ha scavato una fossa comune appena fuori dalla torre di guardia principale al cancello d’ingresso, forse a 200 metri dalla strada, secondo i sei prigionieri.
Una foto non datata del maggiore Meles Belay Gidey. (Foto di famiglia)Una foto non datata del maggiore Meles Belay Gidey. (Foto di famiglia)
Tra le persone sepolte c’era il maggiore Meles Belay Gidey, un ingegnere appassionato del suo lavoro di insegnante presso il Defense Engineering College. Quando Meles prestava servizio come peacekeeper delle Nazioni Unite ad Abyei, un’area contesa tra Sudan e Sud Sudan, ha videochiamato ogni sera i suoi due figli adolescenti e la sua figliastra per parlare con loro della scuola, ha detto un parente.

Un residente locale che passava davanti al campo di prigionia il giorno successivo ha detto che i militari hanno avvertito i passanti di non fotografare la tomba.

Nella città di Mirab Abaya, i funzionari hanno utilizzato altoparlanti montati sulle auto per avvertire la popolazione locale che i fuggitivi dovevano essere uccisi. Il residente locale ha detto di aver visto tre o quattro persone aggredite vicino a un bananeto e una dozzina di corpi sanguinanti per le strade, alcuni sparsi vicino alla chiesa di San Gabriele. I soldati etiopi nelle vicinanze non sono intervenuti, ha detto.

Il residente ha anche detto di aver visto un uomo sui 25 anni picchiato da una folla. Entrambe le sue mani erano state tagliate e le sue gambe sanguinavano. L’uomo ha implorato di essere ucciso mentre veniva trascinato su e giù per la strada, ha detto il residente. Gli aggressori hanno detto all’uomo che lo avrebbero ucciso il più lentamente possibile. Alla fine, è stato trascinato al cancello del campo e fucilato. Un altro corpo veniva trascinato dietro una moto, ha detto il residente.

“Non potevo fare nulla perché temevo per la mia vita”, ha detto.

I soldati etiopi conquistano una città strategica nel Tigray durante l’esodo dei civili

I tigrini feriti sono stati portati in tre ospedali, hanno detto i sopravvissuti: l’Arba Minch General Hospital, il Soddo Christian Hospital e un altro ospedale a Soddo. Due professionisti medici dell’Arba Minch General Hospital hanno descritto un afflusso di pazienti intorno alle 21:00 del 21 novembre. Un operatore ha condiviso cartelle cliniche che mostrano che 19 pazienti sono stati ricoverati con ferite da arma da fuoco e che 15 sono stati dimessi il giorno successivo. Due sono morti in ospedale e quattro sono morti all’arrivo, hanno detto i due operatori sanitari.
Il libretto delle ammissioni fornito da un operatore sanitario dell'Arba Minch General Hospital. (Ottenuto dal Washington Post)Il libretto delle ammissioni fornito da un operatore sanitario dell’Arba Minch General Hospital. (Ottenuto dal Washington Post)Il registro delle ammissioni mostra un improvviso afflusso di pazienti con ferite da arma da fuoco, con date scritte utilizzando il calendario etiope. (Foto ottenuta dal Washington Post)Il registro delle ammissioni mostra un improvviso afflusso di pazienti con ferite da arma da fuoco, con date scritte utilizzando il calendario etiope. (Foto ottenuta dal Washington Post)
La maggior parte dei pazienti è stata trattenuta solo per poche ore nonostante le ferite mortali, hanno detto i due. I pazienti sono stati tenuti sotto sorveglianza della polizia, hanno detto entrambi i professionisti medici, e hanno descritto infermieri e altro personale medico che deridevano i feriti sulla loro etnia.

Uccisioni in altre carceri


Mirab Abaya non era l’unica prigione in cui venivano uccisi i soldati imprigionati. Prigionieri attuali ed ex hanno affermato nelle interviste di aver assistito alle guardie che uccidevano prigionieri nel centro di addestramento di Garbassa e nel quartier generale della 13a divisione nella città orientale di Jigjiga; nelle carceri di Wondotika e Toga vicino alla città meridionale di Hawassa; nella zona sud di Didessa; e presso il centro di formazione Bilate nel sud. Molte delle vittime avevano prestato servizio come forze di pace nelle missioni delle Nazioni Unite in Sudan, Abyei o Sud Sudan o come parte di una forza dell’Unione africana in Somalia.
Gebremariam Estifanos, visto nel marzo 2019 ad Abyei. (Foto ottenuta dal Washington Post)Gebremariam Estifanos, visto nel marzo 2019 ad Abyei. (Foto ottenuta dal Washington Post)
A Wondotika, un detenuto ha detto che le guardie hanno ucciso cinque prigionieri in una struttura che detiene centinaia di soldati che sono per lo più forze speciali o commando. Le vittime includevano Gebremariam Estifanos, un veterano di una missione di mantenimento della pace ad Abyei e di una missione dell’Unione africana in Somalia, che è stato picchiato a morte l’8 novembre 2021, alla presenza di un colonnello e tenente colonnello della 103a divisione, ha detto un prigioniero . Il più grande desiderio di Gebremariam era quello di comprare una casa alla sua famiglia e un bue a suo padre, ha detto il prigioniero. Altri due detenuti hanno confermato il resoconto, dicendo che le guardie spesso schernivano i prigionieri per l’incidente.

Entrambi hanno affermato che le guardie avevano spesso costretto i prigionieri a scavarsi la fossa, dicendo loro che presto sarebbero stati uccisi. Gli altri quattro soldati sono stati uccisi più tardi a novembre, colpiti così tante volte che i loro corpi sono stati fatti a pezzi dai proiettili, ha detto il primo prigioniero.

“Siamo picchiati e minacciati. Abbiamo servito il nostro paese con onore e dignità”, ha detto quel prigioniero. “Mi pento del mio servizio.”

Nella prigione di Toga, le guardie hanno picchiato e poi sparato a due soldati tigrini il 4 novembre, ha detto un detenuto. Un secondo prigioniero detenuto a Toga, un ex peacekeeper che ha prestato servizio in Somalia, ha confermato due omicidi. A Garbassa, due prigionieri hanno detto che sei detenuti sono stati uccisi e altri feriti così gravemente da aver perso l’uso degli arti e degli occhi.

“Ho visto i corpi trascinati fuori dalle loro stanze”, ha detto un detenuto lì.

Tre prigionieri – uno della guardia presidenziale e due dei commando di Agazi – sono stati uccisi nel luglio 2021 nel centro di addestramento di Bilate dopo che le guardie li avevano accusati di aver tentato di fuggire, ha detto un testimone precedentemente detenuto lì. Ha descritto i soldati che sparavano ai loro corpi molto tempo dopo che erano morti e che gettavano i cadaveri fuori per le iene. E in un centro di detenzione vicino a Didessa, vicino alla città di Nekemte, almeno cinque soldati sono stati uccisi e altri 30 portati via e mai più visti, ha detto un prigioniero precedentemente detenuto lì.

Si è rotto mentre elencava i nomi che riusciva a ricordare. “Mi dispiace tanto, erano miei amici”, ha detto.

Un attacco aereo su un asilo e la fine della precaria pace in Etiopia

Anche due soldati imprigionati, accusati di avere telefoni cellulari, sono stati uccisi dalle guardie in un centro di detenzione nell’Etiopia orientale tra Harar e Dire Dawa, ha detto un testimone.

I soldati tigrini imprigionati intervistati da The Post affermano che nessuno di loro ha avuto accesso al Comitato internazionale della Croce Rossa. Fino a pochi giorni fa, le loro famiglie non avevano idea di cosa ne fosse stato di loro. Alla fine di ottobre, le famiglie di alcuni soldati uccisi a Mirab Abaya sono state informate della loro morte. A diversi parenti è stato detto che i loro cari erano morti onorevolmente nell’esercizio del loro dovere. Non sono stati forniti altri dettagli.

Alcuni dei sopravvissuti al massacro di Mirab Abaya che sono ancora detenuti lì hanno detto di temere un’altra esplosione di violenza.

“Ho un libro di preghiere”, ha detto un prigioniero lì. “Ogni giorno prego Maria di rivedere la mia famiglia”.


FONTE: washingtonpost.com/world/2022/…






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Team 4 Peace - Lo sport come strumento per allenare alla pace. Concorso per le scuole primarie e secondarie di primo e secondo grado, per contrastare i fenomeni di odio e discriminazione razziale nell’ambito dello sport non agon…



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Segnalo l'articolo di Maria Laura Mantovani, (ex senatrice e portavoce m5s):

agendadigitale.eu/sicurezza/pr…

Cito il passo secondo me più saliente:

> Possiamo da genitori pretendere per i nostri figli che vengano messi nelle condizioni di comprendere il mondo digitale contemporaneo e possano acquisire gli strumenti di libertà per condurre la vita o dobbiamo accontentarci del lavoretto socialmente utile deciso per loro da entità lontane che li sfrutterà come schiavi? Educhiamo i bambini all’umile lavoretto socialmente utile, affinché possano accettarlo anche da grandi? Oppure al contrario possiamo pretendere che si fornisca la comprensione della differenza tra essere dipendenti da una piattaforma informatica che ti guida ovvero stabilire come essa funziona e saperla programmare?

Maria Laura Mantovani è prima firmataria del disegno di legge UNIRE[1] di cui potete leggere anche su Friendica[2].

[1] parlamento18.openpolis.it/sing…
[2] poliverso.org/display/0477a01e…



@Friendica Admins Venera.social and Libranet.de, the two most active #friendica instances in the world are currently offline

This is probably a problem with the Finnish server farm itself. Do you have any news?

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Unknown parent

friendica (DFRN) - Collegamento all'originale
Signor Amministratore ⁂
@Steffen K9 🐰 Thank you! However, it's really a strange coincidence: it was three instances residing on Hetzner's Finnish server farm that went offline.

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friendica - Collegamento all'originale
utzer [Friendica]
@Steffen K9 🐰 ah, I assumed it is the same machine. Thanks

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La sinistra dei pesci rossi - Contropiano

"Poi ci sono le elezioni e qui compare la recita. Più a sinistra che nella destra, che per sua natura in guerra e liberismo ci sguazza.

Invece la sinistra deve fare molta più commedia. Deve scoprirsi rivoluzionaria e trovare dei candidati che siano meno impresentabili dei suoi leader ufficiali. E poi deve naturalmente innalzare lo stendardo della lotta alla destra. Cosa che fa regolarmente da trent’anni, diventando sempre più di destra ad ogni appuntamento elettorale."

contropiano.org/news/politica-…




noyb win: Personalized Ads on Facebook, Instagram and WhatsApp declared illegal


vittoria noyb: Annunci personalizzati su Facebook, Instagram e WhatsApp dichiarati illegali L'EDPB ha deciso che tre Meta App (Facebook, Instagram e WhatsApp) non avevano una base giuridica per trattare i dati degli utenti dal maggio 2018. L'escamotage legale di Meta è stato respinto. meta logos with


noyb.eu/en/noyb-win-personaliz…

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Il liberismo atlantista di Meloni, 'sovranista' solo in campagna elettorale - Kulturjam

"Giorgia Meloni è stata conservatrice solo nelle campagne elettorali, una volta salita al timone del paese, si è accodata al carrozzone del liberismo atlantista. Quando cadrà un posto per lei nel rotary di Renzi e Calenda è già pronto."

kulturjam.it/politica-e-attual…



Schlein e il decesso del Pd... - Contropiano

"Oggi li chiamano liberal-radical-progressisti per far dimenticare che il Pd della macelleria sociale è il loro partito, è quello che hanno finora sostento e votato. La candidata parla di diseguaglianze, clima e precarietà, ma gli ultimi della terra non vanno a sentirla, eppure sono ad un passo dal luogo dell’evento."

contropiano.org/interventi/202…



Cosa sono questi “Twitter Files”? Di @violastefanello su @ilpost


COSA SONO QUESTI “TWITTER FILES "?

Segnaliamo a tutta la comunità di !Giornalismo e disordine informativo questo articolo de #IlPost, a firma di @Viola Stefanello 👩‍💻

Un noto giornalista americano ha pubblicato alcune mail – forse fornite da Elon Musk – su come fu presa una delle più controverse decisioni di moderazione nella storia della piattaforma

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La fotografia di Yangkun Shi


Il lavoro fotografico del fotografo cinese Yangkun Shi è incentrato sul rapporto tra il singolo e la sua libertà personale, con l’ambiente e la comunità sociale.
La “nuova generazione” cinese ha vissuto un rapido sviluppo e sconvolgimenti politici. Il lavoro fotografico di Yangkun Shi rappresenta visivamente uno scorcio delle ambizioni e delle problematiche dei giovani cinesi. Una fotografia che unisce documentalismo e ricerca personale, concentrandosi su tematiche inerenti la relazione del singolo nei confronti della società.
fotografiaartistica.it/la-foto…


tumblr.com/levysoft/6835436325…


Promuovere la mobilità in bicicletta attraverso misure di pianificazione urbana


Ecco la seconda traduzione dalla newsletter di #RecuperarLaCiudad (Riprendersi la città)

Qui sotto trovate la traduzione parziale della newsletter del 25 novembre 2022 intitolata:
Come promuovere la mobilità in bicicletta attraverso misure di pianificazione urbana

A partire da uno studio sulle caratteristiche delle infrastrutture ciclabili olandesi, danesi e tedesche, l’articolo presenta alcune delle misure di pianificazione urbana necessarie a garantire un uso comodo e sicuro della #bicicletta in città.

Il testo completo dell’articolo si può scaricare da qui:
nilocram.eu/edu/Riprendersi-la…

Buona lettura e... pedalate piano 😀

Come promuovere la mobilità in bicicletta attraverso misure di pianificazione urbana

"Se lo costruisci, allora verranno", dice una voce nel film "Field of Dreams" (1989) a Kevin Costner. Questa regola si applica spesso al settore della mobilità: quando si costruisce un'infrastruttura, compaiono i suoi utenti. Questo fenomeno è noto come domanda indotta (l'offerta di un bene ne aumenta il consumo).
La domanda indotta spiega, tra l'altro, come l'aumento delle infrastrutture automobilistiche sia una misura inutile per ridurre la congestione, che anzi aumenta. La domanda indotta può essere utilizzata per promuovere la mobilità sostenibile? Per rispondere a questa domanda, nel 2008 John Pucher e Ralph Buehler hanno condotto un’ analisi bibliografica presso la Rutgers University, esaminando le caratteristiche delle infrastrutture ciclabili olandesi, danesi e tedesche.
Spoiler: può funzionare e funziona benissimo.

Uso massiccio della bicicletta

I tre Paesi presi in esame erano, al momento dello studio, i tre Paesi europei con i più alti livelli di mobilità ciclistica. Gli spostamenti giornalieri in bicicletta (con distanze medie massime di 2,5 km nei Paesi Bassi, 1,6 km in Danimarca e 0,9 km in Germania), queti paesi sono anche quelli con la più alta percentuale di spostamenti effettuati pedalando (27% nei Paesi Bassi, 18% in Danimarca e 10% in Germania).
Tuttavia, non è sempre stato così. Tra il 1950 e il 1975 il numero di spostamenti in bicicletta in tutti e tre i Paesi è diminuito dal 50-85% degli spostamenti a solo il 14-35%, un periodo che coincide con la promozione dell'uso dell'automobile da parte di tutti e tre gli Stati, aumentando la capacità delle strade e aumentando l'offerta di parcheggi. Se le costruisci, allora verranno. I governi si sono resi conto dell'errore e hanno cercato di correggere le tendenze.
A metà degli anni '70 le politiche di mobilità sono cambiate, concentrandosi sui pedoni, la bicicletta e il trasporto pubblico. La maggior parte delle città ha migliorato le infrastrutture ciclabili, ha introdotto restrizioni all'uso dell'auto e ne ha reso più costoso l'utilizzo. Tra il 1975 e il 1995, l'uso della bicicletta ha raggiunto il 20-43% di tutti gli spostamenti in tutti e tre i Paesi. Il caso di Berlino è particolarmente impressionante, con un aumento del 275% degli spostamenti in bicicletta tra il 1975 e il 2001. [...]

Qui il testo completo dell’articolo:
nilocram.eu/edu/Riprendersi-la…
@Informa Pirata @Marcos Martínez @Rivoluzione mobilità urbana🚶🚲🚋

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