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Tokyo finanzierà un polo industriale in Bangladesh


L'India e il Giappone hanno già sviluppato congiuntamente progetti infrastrutturali in Bangladesh, nello Sri Lanka e in Africa, come alternativa all'iniziativa Belt and Road promossa dalla Cina L'articolo Tokyo finanzierà un polo industriale in Banglades

di Redazione

Pagine Esteri, 12 aprile 2023 – Il governo del Giapponeha proposto di sviluppare un polo industriale in Bangladesh con catene di approvvigionamento verso gli Stati nordorientali dell’India, privi di sbocco sul mare, e verso il Nepal e il Bhutan, realizzando un nuovo porto e i trasporti nella regione.

La proposta giunge dopo la visita, realizzata in Indiail mese scorso, del Primo Ministro giapponese Fumio Kishida. Durante il viaggio Kishida ha promosso l’idea di un nuovo polo industriale per la Baia del Bengala e l’India nord-orientale, che potrebbe sostenere lo sviluppo della regione abitata da 300 milioni di persone.

Dopo la visita di Kishida, il suo governo ha approvato un finanziamento al Bangladesh di 1,3 miliardi di dollari per tre progetti infrastrutturali, tra cui un nuovo porto commerciale nell’area di Matarbari con collegamenti agli Stati indiani adiacenti senza sbocco sul mare, tra cui il Tripura. Il progetto previsto di Matarbari consentirebbe la realizzazione del primo porto in acque profonde del Bangladesh in grado di ospitare navi di grandi dimensioni.

«Può essere un piano vantaggioso per l’India e il Bangladesh», ha detto martedì Hiroshi Suzuki, ambasciatore del Giappone in India, citando la proposta del polo industriale durante un incontro di funzionari indiani, bangladesi e giapponesi ad Agartala, la capitale dello Stato di Tripura (nel nord-est della penisola indiana).

Il rappresentante diplomatico ha detto che il porto marittimo dovrebbe diventare operativo entro il 2027 diventando la chiave per costruire un polo industriale che colleghi la capitale del Bangladesh, Dhaka, alle aree dell’India che non possiedono uno sbocco sul mare. Lo Stato di Tripura si trova a circa 100 chilometri dal porto marittimo proposto e potrebbe rivelarsi una porta d’accesso per gli esportatori regionali (in primis quelli giapponesi), ha dichiarato Sabyasachi Dutta, responsabile di Asian Confluence, un think tank che ha organizzato l’incontro di due giorni.

L’Indiae il Giappone hanno già sviluppato congiuntamente progetti infrastrutturali in Bangladesh, nello Sri Lanka e in Africa, come alternativa all’iniziativa Belt and Road promossa dalla Cina, al fine di contrastare la diffusione dell’influenza di Pechino. Alla fine di dicembre nella capitale Dhaka è stata inaugurata la prima linea di metropolitana attiva in Bangladesh, realizzata grazie a ingenti finanziamenti giapponesi.
Attualmente più di 300 aziende giapponesi operano già in Bangladesh e si prevede che i due Paesi firmino presto un accordo di partenariato economico che potrebbe dare ulteriore impulso all’industria manifatturiera ed attirare altre aziende straniere.

Il Primo Ministro del Bangladesh, Sheikh Hasina, visiterà il Giappone dal 25 al 28 aprile su invito di Kishida. – Pagine Esteri

L'articolo Tokyo finanzierà un polo industriale in Bangladesh proviene da Pagine Esteri.



CHARLES MICHEL CONFERMA: L'EUROPA SI STA PREPARANDO ALL'"AUTONOMIA STRATEGICA"

@Politica interna, europea e internazionale

Il presidente del Consiglio europeo afferma che l'UE non può "seguire ciecamente e sistematicamente" Washington.

Mentre la polemica cresce intorno ai commenti di Macron secondo cui l'Europa dovrebbe resistere alle pressioni per diventare "seguace dell'America", Michel ha suggerito che la posizione del politico francese non era isolata tra i leader dell'UE. Mentre Macron ha parlato come presidente francese, le sue opinioni riflettono un crescente cambiamento tra i leader dell'UE, ha affermato Michel.

"C'è stato un balzo in avanti sull'autonomia strategica rispetto a diversi anni fa", ha detto Michel al programma televisivo francese La Faute à l'Europe (che ha una partnership con POLITICO) in un'intervista che andrà in onda mercoledì.

L'articolo di Clothilde Goujard è su Euractiv


Il presidente del Consiglio europeo Charles MichelCharles Michel. foto di John Thys/AFP via Getty Images

Unknown parent

friendica (DFRN) - Collegamento all'originale
Informa Pirata
@Andrea forse non sarà il momento, ma qui non si tratta più solo di un leader in difficoltà come Macron che cerca di vellicare la grandeure e le reminescenze gaulliste di alterità alla NATO, mentre tenta di nascondere le difficoltà interne con la stessa goffagine con cui prova a sfilarsi il suo Bell & Ross... Qui si tratta del presidente del Consiglio Europeo che, in totale opposizione alla presidente della Commissione, se ne esce con un messaggio che per noi cittadini è confuso, ma che per il suo destinatario è decisamente chiaro. Ma chi è il suo destinatario? I democratici statunitensi? La Cina? La Russia? Non è chiaro...
L'autonomia strategica europea è scritta nero su bianco in un documento di quest'anno, ma che due leader la tirino fuori in questa fase è chiaramente qualcosa che va oltre l'occasionalità
Unknown parent

friendica (DFRN) - Collegamento all'originale
Informa Pirata
@Andrea Michel sarà pure una sega come diplomatico, ma ha uno staff di altissimo livello e collabora a stretto contatto con molte cancellerie europee. La sua uscita non è una gaffe


MEPs to call for renegotiation of EU-US data transfer framework


EU lawmakers are set to adopt a non-binding resolution urging the European Commission not to endorse the Data Privacy Framework for transatlantic data flows until fundamental rights concerns are fully addressed. The draft motion, seen by EURACTIV, is expected to...


euractiv.com/section/data-priv…




"Siamo con i comitati e la loro proposta di alternative. Il referendum è una furbizia, altroché democrazia". Saremo con i cittadini e le cittadine il 19 apri


Dopo il riscontro ottenuto nelle prime tre settimane, l’esposizione de “Il libro del mese” dedicata al Centenario dell’Aeronautica Militare proseguirà fino al 28 aprile.

Qui tutti i dettagli ▶️ miur.gov.



MYANMAR. Almeno 80 gli uccisi dall’attacco aereo contro raduno per democrazia


Attorno alle 7:40 di ieri (ora locale) un jet ha sganciato bombe sui civili, sui quali ha aperto il fuoco anche un elicottero. L'articolo MYANMAR. Almeno 80 gli uccisi dall’attacco aereo contro raduno per democrazia proviene da Pagine Esteri. https://pa

della redazione

Pagine Esteri, 12 aprile 2023 – Almeno 80 persone, incluse donne e bambini, sono state uccise a seguito di un raid aereo governativo contro un raduno pro-democrazia nel nord-ovest del Paese. Secondo il quotidiano Nikkei, l’attacco si è verificato durante una cerimonia per l’insediamento dell’amministrazione locale nella regione di Sagaing. Attorno alle 7:40 di ieri un jet ha sganciato bombe sui civili, sui quali poi ha aperto il fuoco anche un elicottero.

Alla fine del mese scorso, durante la parata militare per la Giornata delle forze armate, il capo della giunta Min Aung Hlaing aveva annunciato ribadito che l’esercito intraprenderà “un’azione decisiva” contro gli oppositori e i gruppi armati etnici che li sostengono facendo riferimento indiretto all’esecutivo ombra dell’opposizione formato dai dirigenti della Lega nazionale per la democrazia (Lnd) della deposta leader Aung San Suu Kyi.

La strage di civili è stata seguita da una ampia condanna internazionale della dittatura militare che controlla Myanmar. La giunta ha reagito respingendo accuse e critiche ma poco più di due anni dal golpe del primo febbraio 2021, che ha deposto il governo di Aung San Suu Kyi, il governo militare appare se,mpre più fragile. Il mese scorso la giunta aveva annunciato la proroga dello stato d’emergenza e il rinvio dei piani per un ritorno alle urne, inizialmente fissato per agosto 2023.

L'articolo MYANMAR. Almeno 80 gli uccisi dall’attacco aereo contro raduno per democrazia proviene da Pagine Esteri.



Hikikomori. Un’indagine in Italia | La Città di Sotto

"I ragazzi e le ragazze in ritiro sociale volontario usano l’isolamento come forma di autodifesa, rispondendo con questa forma di resistenza ai principi, ai dettami, ai tempi e alle forme relazionali di una società che li vuole sempre prestazionali, impeccabili, senza possibilità di errore. Abbiamo voluto accendere una luce sulle loro storie e bussare a quelle porte chiuse. Non per giudicarli, ma per provare a riaccompagnarli al mondo."

lacittadisotto.org/2023/04/12/…



Il carburante della Russia arriva in Iran su rotaia


Mosca consegna a Teheran, nei primi 3 mesi dell'anno, 30.000 tonnellate di gasolio e benzina L'articolo Il carburante della Russia arriva in Iran su rotaia proviene da Pagine Esteri. https://pagineesteri.it/2023/04/12/medioriente/il-carburante-della-rus

Pagine Esteri, 12 aprile 2023 – È cominciata negli ultimi mesi l’esportazione di carburante russo verso l’Iran. Il massiccio accordo energetico tra Mosca e Teheran era stato siglato lo scorso anno, per un valore di 40 miliardi di dollari.

Con l’inizio della guerra in Ucraina e in seguito alle sanzioni imposte dai Paesi occidentali alla Russia, il Cremlino aveva necessità di trovare nuove vie di esportazione per i propri carburanti. E così, tra febbraio e marzo, secondo i dati diffusi, attraverso le proprie fonti, dall’agenzia Reuters, la Russia ha consegnato 30.000 tonnellate di gasolio e benzina all’Iran.

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Carri cisterna per il trasporto di petrolio su rotaia

I carichi di carburante hanno attraversato il Kazakistan e il Turkmenistan su rotaia. Non senza difficoltà: è previsto per quest’anno un aumento delle forniture ma la congestione ferroviaria potrebbe rallentare il progetto. Un volta in Iran, parte dei carburanti sono stati inviati su camion ai paesi vicini, compreso l’Iraq.

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Una raffineria di petrolio in Iran

Prima della guerra in Ucraina la Russia forniva piccole quantità di carburante a Teheran e tutte attraverso il Mar Caspio. Come è noto, l’Iran possiede grandi giacimenti e raffinerie ma a quanto pare la produzione interna non riesce più a soddisfare la domanda, che negli ultimi anni è aumentata.

L'articolo Il carburante della Russia arriva in Iran su rotaia proviene da Pagine Esteri.



Gli stipendi devono crescere poco: il governo Meloni lo ha scritto davvero | L'Indipendente

«Il governo Meloni tutelerà la “moderazione della crescita salariale per prevenire una pericolosa spirale salari-prezzi”, come si legge nel comunicato stampa dell’ultimo Consiglio dei ministri. In poche parole, gli stipendi devono crescere poco perché tanto, prima o poi, l’inflazione si arresterà risolvendo il problema. A pagarne le spese, nel frattempo, è il potere di acquisto degli italiani che per sopravvivere tra inflazione e caro vita devono attingere ai propri risparmi.»

lindipendente.online/2023/04/1…



In Cina e Asia – Pechino si prepara a regolamentare i chatbot


In Cina e Asia – Pechino si prepara a regolamentare i chatbot 6510535
I titoli di oggi:

Pechino si prepara a regolamentare i chatbot
Gli Usa aiuteranno Taiwan a aumentare la propria partecipazione internazionale
Le preoccupazioni di Seoul per la fuga di documenti del Pentagono
Myanmar, raid aereo fa strage di civili
No allo stress. Sì a lavori ordinari e meditazione

L'articolo In Cina e Asia – Pechino si prepara a regolamentare i chatbot proviene da China Files.



17-21 aprile, Privacy Symposium


Il 18 e 20 aprile 2023 avrò l’onore di partecipare al Simposio internazionale sulla privacy a Venezia per sostenere il dialogo internazionale e la cooperazione. Scopri di più su privacysymposium.org


guidoscorza.it/12-21-aprile-pr…



Il Cile approva la riduzione della settimana lavorativa a 40 ore


Questo successo del presidente Boric giunge dopo alcune battute d'arresto, come la bocciatura della nuova costituzione progressista e di un disegno di legge fiscale. L'articolo Il Cile approva la riduzione della settimana lavorativa a 40 ore proviene da

della redazione

Pagine Esteri, 12 aprile 2023 – Il Congresso cileno ha approvato un disegno di legge per ridurre gradualmente la settimana lavorativa da 45 ore a 40 ore. Si tratta di una vittoria legislativa molto importante per il presidente socialista Gabriel Boric che si è insediato lo scorso anno promettendo un programma ambizioso di riforme sociali ed economiche.

Questo successo, che contribuisce a smantellare il sistema economico cileno fondato sul liberismo, giunge dopo alcune battute d’arresto, come la bocciatura della nuova costituzione progressista e di un disegno di legge fiscale.

La nuova legge prevede un’ora in meno alla settimana di lavoro all’anno fino a quando la settimana lavorativa non raggiungerà le 40 ore, portando il Cile in linea con la maggior parte delle nazioni industrializzate. Al Congresso ha avuto un sostegno schiacciante, con 127 voti a favore e solo 14 contrari.

Diverse aziende in Cile hanno già annunciato che adotteranno il disegno di legge, incluso il gigante statale del rame Codelco, che all’inizio di quest’anno aveva annunciato di voler ridurre la settimana lavorativa a 40 ore entro il 2026. Imprese più piccole invece hanno criticato la nuova legge, affermando di non avere risorse sufficienti per assumere più lavoratori e sostituire le ore di lavoro perse. Il ministro del lavoro Jeannette Jara ha detto ai giornalisti che l’attuazione graduale è stata progettata per affrontare proprio questo problema ma, ha poi sottolineato, “la cosa principale è che dobbiamo fare progressi nei diritti dei lavoratori”.

La società di design Organic Style, che ha introdotto volontariamente la settimana di 40 ore durante la pandemia, ha affermato che il cambiamento si è rivelato positivo. “È un’ottima iniziativa che ha cambiato le nostre vite”, ha dichiarato la proprietaria Danitza Becerra. Pagine Esteri

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pagineesteri.it/2023/04/12/ape…



PRIVACY DAILY 90/2023


La collaborazione tra Unione Europea e Corea del Sud in materia di privacy è sempre più stretta. Nel loro ultimo incontro, il presidente della Commissione per la protezione dei dati personali coreana Haksoo Ko e il commissario europeo per la Giustizia Didier Reynders hanno accolto con favore il forte partenariato tra la Repubblica di Corea... Continue reading →


Fr. #26 / Di faide social e spioni


Nel frammento di oggi: Scoppia la faida tra Twitter e Substack / Scrivi "based" e finisci nella watchlist dell'FBI / I dipendenti Tesla ti spiano nel garage / Meme e citazione del giorno.

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Elon Musk vs Substack


Paura e delirio nelle strade di Twitter per una faida tra Elon Musk e Substack. Tutto inizia qualche giorno fa, dopo l’annuncio di un nuovo servizio da parte della piattaforma che ospita anche Privacy Chronicles: Substack Notes, una sorta di estensione social che in sarà molto simile al funzionamento di Twitter.

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Re Elon non ha preso bene la notizia, iniziando così una serie di azioni di guerriglia contro tutto ciò che è Substack: tweet, menzioni, link. Ad esempio, negli ultimi giorni era impossibile interagire con i tweet contenenti link ad articoli su Substack, e i link stessi venivano identificati come contenuto potenzialmente malevolo. Una censura di massa che ha colpito anche me.

Twitter è fico, ma vogliamo parlare di Privacy Chronicles?

Oggi Elon sembra invece aver cambiato idea, e la situazione è tornata altrettanto velocemente alla normalità. Come mai? È una questione di proprietà privata e incentivi economici.

Come saprete, se c’è una cosa che Elon Musk odia più della concorrenza sono i mass media mainstream, che ricambiano cortesemente. Censurando Substack, una delle primarie fonti d’informazione alternative, Elon ha però finito per agevolare i primi, censurando la voce di milioni di persone che permettono a Twitter di essere quello che è.

Elon ha ragione da vendere a voler intralciare con ogni mezzo un suo competitor, ma non può farlo: censurare Substack significherebbe contraddire i suoi stessi principi e finire per autodistruggere ciò che rende Twitter un social unico nel suo genere.

Nel diventare il Regno di Elon Musk, Twitter oggi ha chiari incentivi economici per essere molto più equilibrato e libero rispetto a quando era invece una democrazia rappresentativa con un Board eletto, che non avendo skin in the game poteva prendere decisioni scellerate senza alcuna conseguenza.

Based FBI


Secondo un dossier FBI intitolato “Involuntary Celibate Violent Extremism” usare termini sui social come “Chad”, “Based”, “Red Pill”, “Stacy” potrebbe farvi finire in una watchlist di persone considerate a rischio di estremismo violento.

6507285Fonte: zerohedge.com/political/fbi-do…

Non è ben chiaro cosa ci faccia l’FBI con queste watchlist, ma dato che ricadono nell’ambito del terrorismo domestico, certamente nulla di buono.

Se i Twitter Files12 ci hanno insegnato qualcosa, è che della buona sorveglianza non va mai sprecata. Attività di questo tipo, agevolate dai social, possono portare a una profilazione politica delle persone che tornerà molto utile durante le prossime elezioni presidenziali.

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Tesla ti spia nel garage


Secondo il Seattle Times i dipendenti di Tesla avrebbero l’abitudine di guardarsi le registrazioni delle telecamere montate sulle Tesla e condividerle tra loro. Sì, anche i video registrati nei cortili di casa.

Per chi non lo sapesse, le automobili Tesla posseggono telecamere in grado di registrare e analizzare l’ambiente circostante grazie a un servizio chiamato Sentry Mode. Con il Sentry Mode l’auto può anche svolgere delle funzioni automatizzate come far suonare l’allarme nel caso in cui il sistema (dotato di algoritmi di machine learning, presumo) identifichi qualcosa come una minaccia. Le registrazioni sono ovviamente disponibili ai tecnici Tesla per diversi motivi, che ci fanno poi un po’ quello che vogliono.

Il Sentry Mode può essere configurato per evitare le registrazioni in alcuni luoghi e può anche essere disattivato, ma tra il dire e il fare… In ogni caso non c’è nessun problema: pare che Tesla abbia iniziato ad avvertire i clienti che il Sentry Mode potrebbe violare le normative sulla privacy.

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Certo è che il concetto di “auto-sorveglianza” assume tutto un altro significato.3

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Meme del giorno


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Citazione del giorno

“Democracy virtually assures that only bad and dangerous men will ever rise to the top of government.”

Hans-Hermann Hoppe

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Immagine/fotoPrivacy Chronicles

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Senza rete


La crescita economica dell’Italia, per il presente e il prevedibile futuro, dipende dalla capacità odierna di rendere effettivi gli imponenti investimenti e le decisive modernizzazioni previste dal Pnrr. Il governo ci si gioca la faccia. L’opposizione non

La crescita economica dell’Italia, per il presente e il prevedibile futuro, dipende dalla capacità odierna di rendere effettivi gli imponenti investimenti e le decisive modernizzazioni previste dal Pnrr. Il governo ci si gioca la faccia. L’opposizione non può scommettere sul fallimento, perché sarebbe anche quello dell’Italia. Eppure s’assiste a continui rinvii e distratti silenzi. Come se la partita si giocasse in un altro stadio, animato da propagande che sembrano essere la sola specializzazione degli astanti. Parliamo di servizi e reti digitali, di cui pare non interessi nulla a nessuno.

Il piano del governo era quello di far confluire il Sistema pubblico di identità digitale (lo Spid) nella Carta d’identità elettronica (Cie). Tanto che s’era supposta, allo scadere della convenzione con i privati che lo forniscono e gestiscono (il prossimo 23 aprile), l’estinzione dello Spid. Il che gettava nella costernazione quanti avevano tribolato e pagato per averlo. Ma, a parte le difficoltà e le lentezze nel rilascio della Cie, alcuni numeri avrebbero dovuto suggerire un approccio meno assertivo: attualmente sono stati assegnati 33.5 milioni di Spid e consegnate 32.7 milioni di Carte, dimostrandosi che gli italiani si dispongono con piacere ad avere interazioni digitali con la Pubblica amministrazione, ma, dal punto di vista operativo, con lo Spid sono stati effettuati 1 miliardo di accessi ai servizi, con la Carta 21 milioni. Supporre di chiudere il primo era fantasioso.

Nel mentre il problema serio è quello di predisporre servizi amministrativi digitalmente efficienti, con schemi e tracciati sempre uguali – non ciascuno secondo il proprio gusto – e senza che il procedimento s’interrompa quando hai già compilato tutto e devi ricominciare da capo; posto che le amministrazioni locali lamentano enormi difficoltà anche solo nell’utilizzo della piattaforma (ReGis) per seguire e rendicontare le opere Pnrr; l’idea governativa di riassetto s’è conclusa con una proroga dei contratti dei privati, per lo Spid, fino al 2024, con un costo aggiuntivo di 40 milioni, mentre per il riordino ci si vede nel 2025. Chi ci sarà.

Per far funzionare qualsiasi interazione digitale occorre avere efficienti reti di telecomunicazione. Nella diffusione della banda ultra larga (più velocità e tempi infinitesimali, vitali per chi ci lavora) l’Italia è indietro, rispetto agli altri europei. Il piano per mettersi in pari, integrato nel Pnrr, è stato elaborato sotto la direzione di Vittorio Colao, nel governo Draghi. Nessuno è perfetto e siamo tutti peccatori, ma Colao rese gigante una multinazionale delle telecomunicazioni, Vodafone. Non se ne è accorto quasi nessuno, ma la settimana scorsa si è riunito – per la prima volta con il governo Meloni – il Comitato interministeriale per la transizione digitale (Citd), decidendo di non transitare, archiviando il piano Colao e creando un coordinamento interministeriale per riscriverlo. Il tutto nel mentre le reti esistenti vedono la partecipazione societaria del governo in aziende diverse e che furono concorrenti, in un trionfo di conflitti d’interessi e mancato coordinamento, e nel mentre giungono offerte di acquisto della rete. Offerte che sono sì di fondi stranieri, ma che già sono presenti nella struttura societaria delle reti italiane e segnatamente in quella della Tim. E nessuno sa, al momento, come andrà a finire (ammesso vada a finire).

Quindi, da una parte si dice che si deve correre e recuperare il tempo perduto, dall’altra si è in piena saga del rinvio, senza che neanche sia chiaro quale si vorrebbe che fosse il punto di approdo.

Questi problemi sono difficili e non mi piace farla facile. Ma c’è un problema grosso, permanente e trasversale: si comincia a studiare un problema quando s’arriva al governo, anziché andare al governo per averlo studiato e avere proposto degli indirizzi. Con un guasto aggiuntivo: il tempo della borsa di studio coincide con la durata del governo. E l’Italia resta indietro.

La Ragione

L'articolo Senza rete proviene da Fondazione Luigi Einaudi.



La consapevolezza che manca agli Stati europei


Indispensabile, irrealizzabile. Accostando questi due aggettivi si comprende in che cosa consista il dramma europeo. Come dimostra, da ultimo, anche il viaggio del presidente francese Emmanuel Macron in Cina. Mentre l’Europa avrebbe bisogno di una maggior

Indispensabile, irrealizzabile. Accostando questi due aggettivi si comprende in che cosa consista il dramma europeo. Come dimostra, da ultimo, anche il viaggio del presidente francese Emmanuel Macron in Cina. Mentre l’Europa avrebbe bisogno di una maggiore integrazione per fronteggiare le crescenti minacce alla sicurezza di tutti noi europei, forze potenti, soprattutto il peso e la pressione del passato sul presente, rendono quasi impossibile (il «quasi» è una concessione alla imprevedibilità del futuro) realizzarla.

Il più «europeista» dei presidenti francesi, Macron, ha incontrato Xi Jinping in veste di francese, non di europeo. L’Europa, in quel viaggio, è stata rappresentata dalla presidente della Commissione Ursula von der Leyen ma ha fatto da contorno: una spruzzatina di europeismo su una missione «francese». C’era qualcosa di paradossale. Da un lato, un presidente della Francia che ha sempre l’obbligo di fingersi (perché questo impone la cultura politica nazionale di cui è espressione) il rappresentante di ciò che non c’è più da un pezzo: la grande potenza che la Francia è stata nei secoli passati.

Dall’altro lato, il capo di una superpotenza che mentre stringeva la mano a Macron probabilmente pensava: è solo questione di tempo e questi europei me li comprerò tutti. E difatti, il business è stato in quell’incontro l’unica cosa concreta.

In coincidenza con la nuova prova di forza della Cina contro Taiwan, Macron ha rilanciato ora, in polemica con gli Stati Uniti, l’idea di una «autonomia strategica» europea, di una Europa capace di tutelare i propri interessi, divergenti da quelli dell’America (sottinteso: Taiwan non ci riguarda). Può affascinare certi europei ma si colloca nel solco della tradizione gollista. È l’idea di un’Europa a egemonia francese. Macron si guarda bene dal dire che è pronto a cedere all’Unione il seggio francese all’Onu o di metterle a disposizione la sua forza nucleare. Gli altri governi (tedesco intesta) non possono che essere scettici. Macron sembra parlare più ai francesi che agli altri europei.

Ma non si tratta di gettare la croce sulla Francia. Gli ostacoli a una maggiore integrazione riguardano tutti gli Stati europei, nessuno escluso. È difficile il passaggio dalla «età dell’innocenza» alla «età della consapevolezza». C’è stato un tempo in cui eravamo così «innocenti», così ingenui, da pensare che un giorno, grazie all’integrazione economica, il mercato unico, l’euro eccetera, l’integrazione politica ci sarebbe caduta in grembo come un frutto maturo. Vero che non tutti erano d’accordo. I federalisti spinelliani pensavano che occorresse uno scatto
consapevole, un atto di volontà politica. Ma non dubitavano del fatto che quell’atto fosse possibile. Stiamo entrando, ahinoi, nell’età della consapevolezza. Cominciamo a capire quanto potenti, e forse insormontabili, siano gli ostacoli a una maggiore integrazione che tuttavia dobbiamo continuare ad augurarci, soprattutto a causa dei cambiamenti in atto negli equilibri mondiali. Che faremmo se un giorno gli Stati Uniti decidessero che l’alleanza con l’Europa non è più per loro una priorità? Gli europei antiamericani stapperebbero bottiglie di champagne ma, in assenza di integrazione politica e militare, per l’Europa si tratterebbe del passaggio da una lunga fase di pace, sicurezza e benessere a una fase in cui nessuno di quei beni potrebbe più essere garantito. E sarebbe, probabilmente, anche l’inizio della fine per diverse democrazie europee.

Le integrazioni politiche avvengono nell’uno o nell’altro di due modi: o perché uno Stato potente conquista altri Stati con le armi o perché certi Stati si uniscono per fronteggiare una minaccia esterna. Si spera che la consapevolezza dei pericoli incombenti spinga l’Europa ad unirsi. Ma, al momento, non sembra proprio. In presenza di sfide esterne l’Europa rischia di fare il tragitto contrario, di disgregarsi, di perdere anche quel tanto di integrazione che ha messo insieme negli ultimi settant’anni. Ha osservato giustamente Federico Fubini ( Corriere , 8 aprile) che la guerra in Ucraina spinge gli elettorati europei a premiare partiti nazionalisti, tutti più o meno ostili a una maggiore integrazione politica. Altro che unirsi per fronteggiare il pericolo.

Ci sono sempre stati coloro che, per ottusità o per la spocchia intellettuale che li spinge a non tenere in conto sentimenti e paure dei cittadini comuni, preferiscono demonizzare piuttosto che tentare di comprendere queste tendenze. Eppure, non ci vuole molto a capire. Se ti senti, a ragione o a torto, minacciato, ti aggrappi a ciò che conosci, non a ciò che non conosci. Vuoi essere protetto dal governo del tuo Stato, non da un’entità che non esiste ancora e della quale ti sfuggono le finalità. Anche il caso italiano, come altri, si spiega, almeno in parte, così. Va aggiunto che le persone, in maggioranza, sono legate solo alla comunità in cui sono cresciute, con cui condividono lingua e tradizioni. E le tradizioni europee, dell’Europa del Nord, di quella dell’Est, di quella latina, sono molto diverse. Anche nella cosiddetta Europa carolingia le differenze — fra Francia, Germania, Italia — sono assai forti. Il che spiega perché nemmeno l’idea di una maggiore integrazione solo «fra chi ci sta», da molti invocata, sia realizzabile. La verità è che, a ben guardare, al momento, «non ci sta» nessuno. Come dimostrato anche dal comportamento della Germania. È il passato, la storia europea, il principale ostacolo a una maggiore integrazione.

Finita la Guerra fredda, e unificata la Germania, gli europei, con il trattato di Maastricht (1992), grazie al quale disponiamo della moneta unica, ebbero l’impressione di avere ormai imboccato, con passo spedito, la strada dell’integrazione politica. Ma forse gli storici futuri giudicheranno Maastricht in un altro modo: come il canto del cigno dell’integrazione europea. Abbiamo interdipendenza economica e mercato unico. Ma non sappiamo per quanto tempo ancora.

Riassumendo, mutamenti negli equilibri internazionali di potenza combinati a una forte polarizzazione, una divisione acuta, che sembra destinata a durare, all’interno della democrazia statunitense, non garantiscono che in futuro l’Europa potrà godere ancora a lungo della protezione americana. In questa eventualità, servirebbe una integrazione politica e militare. Ma, per le ragioni dette, quella strada appare bloccata. Naturalmente, e forse per fortuna, per quanti sforzi si facciano per prefigurare gli scenari del futuro, la storia resta imprevedibile. Magari nuovi ed inaspettati eventi mostreranno possibile ciò che ora non sembra esserlo. Tenuto conto di quanto grande sia la posta in gioco per noi europei, non possiamo smettere di augurarcelo.

Il Corriere della Sera

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‘A curturata


Curturarmente parlando, la destra sembra avere una certa invidia per la prestazione della sinistra: basta con il loro dominio egemonico, ora anche la cultura di destra vuole il suo spazio e intende dedicarsi alla costruzione di un <<immaginario italiano>>

Curturarmente parlando, la destra sembra avere una certa invidia per la prestazione della sinistra: basta con il loro dominio egemonico, ora anche la cultura di destra vuole il suo spazio e intende dedicarsi alla costruzione di un <<immaginario italiano>>. Il che lascia immaginare un titanico scontro di citazioni. Colti in flagranza di rivincita, stanchi d’essere colti di sorpresa, sfidano la sinistra a non essere colta in contropiede. Una specie di ritorno adolescenziale alle camerette con i poster, salvo scoprire appresso a quali caratterini dispotici avevano intestato gli appizzati a monito dell’identità culturale del colà dormiente.

Sul serio la sinistra dominò la cultura? Ne ricordo diversi, di intellettuali che più che “di sinistra” erano comunisti, desiderosi che non si ricordasse che erano stati fascisti. E come il fascismo dedicò qualche attenzione alla costruzione di una propria identità culturale, con il risultato di sputtanare presso i posteri i chiamati a contribuire, anche il comunismo s’impegnò nel medesimo esercizio, ottenendo il medesimo risultato. Sicché toccò a noi antitotalitari ripescare nei due secchi quel che effettivamente aveva un valore, a prescindere dall’impostura dell’arruolatore e dalla viltà dell’arruolato. Se può servire ad evitare un inutile dimenarsi citazionista, segnalo che i due approcci hanno diversi tratti in comune: ad esempio il progressismo sinistro se la prese con il latinish, come il conservatorismo destro se la prende con l’inglesorum. Ma la faccenda è piuttosto semplice: solo l’incolto usa il vocabolo che crede colto, laddove chi voglia esprimere un pensiero cerca la parola appropriata e d’uso comune, senza far distinzione di lingua. Sul punto fu piuttosto chiaro un milanese che metterei fra le colonne della cultura italiana e che non cito per non partecipare alla corrida citazionista. Illustrò come il linguaggio oscuro serve ad azzeccare garbugli in danno altrui.

Generosa l’idea di tracciare il solco della cultura nazionale, che ribadisca un’identità che si suppone altri voglia sbiadire. Ma, a parte il fatto che una cultura si esalta nel diffondersi contaminandosi e non nel difendersi marmorizzandosi, sarà interessante vedere come la si metterà con uno dei poemi epici fondativi della stirpe italica, ove si narra di progenie giunta emigrando dall’estero, non a caso figli di Troia, mediante un barcone e con l’anziano babbo in collo, da accollare ai popoli ove si sbarca. E chissà se fra i messaggeri della cultura non si vogliano mettere anche quelli che emigrarono illegalmente dall’Italia, inseminando le terre d’arrivo di lavoro, usi e costumi, qualche crimine e non pochi pargoli.

Ma non divaghiamo: quindi la cultura fu di sinistra? Non so, talora ripasso davanti ai miei scaffali farciti di Editori Riuniti, i cui prodotti furono letti per cieca fede e indottrinamento comunista, ma tanta parte dei quali risultano indigeribili anche ai ruminanti. Sul serio volete imitarli? Suvvia, ma non è forse vero che se non eri di sinistra non ti pubblicavano? No, non era vero. Ma era (ed è) vera una cosa che gli è vicina: el pueblo unido ama il conformismo, che aiuta a conoscere un libro senza leggerlo e ad apprezzare un film dormendo durante la proiezione. E non c’è dubbio che il soccorso al vincitore (op. cit. ma di chi?) resta sport nazionale.

Una variante vuole che ‘a curtura sia quella popolare, trasmessa dalla Rai. Dalla Rai, non dalla televisione, perché solo la Rai si lottizza, mentre le televisioni commerciali, il cui artefice è un Tale forse non sconosciuto, a destra, non trasmisero Le sorelle Materassi, ma l’intrattenimento all’americana. Se, quindi, tutto ciò serve a prendersi una fetta più grossa della Rai, fate pure. Io la venderei. Una avvertenza: la satira funziona, in un Paese bacchettone e anarchico, ma quella di sinistra percula la sinistra. Fatece ride.

La cultura è libertà. Quella colorata è già più circense. Quella di parte è solo in parte cultura. Cosa l’autore voti o con chi (e quanti) vada a letto, sono affari suoi. Libero di raccontarcelo, ma avrà un senso se sarà difficile e doloroso, altrimenti chiamasi ruffianesimo. La cultura non ha casa né chiesa. Se provate a irreggimentarla, magari con gli Stati generali (ma non era roba francese?), sarete colti con le mani nel saccente.

La Ragione

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di Ezio Locatelli - D’accordo, nei crescenti attriti geopolitici la Francia farà pure il suo gioco in una esibizione di grandeur da vecchia potenza mondia


🌊 Oggi, 11 aprile, si celebra la #GiornatadelMare. Il Ministero sarà a Genova il 14 aprile per festeggiare, insieme a 700 studenti e alla Guardia Costiera, questo evento.


Pierluigi Ciocca – Ricchi poveri


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Stop and think… The unbearable impulse to be the first to comment on social media


di Isabella Corradini

These days everyone is talking about the decision of the Italian Data Protection Authority to block the use of ChaptGPT, the natural language processing tool based on artificial intelligence, capable of performing various functions, including to provide answers to questions or write/summarize texts requested by users. I do not want to dwell on that, although I have my own opinion, since this is not the aspect I want to highlight in this article.

What I want to highlight instead is the human tendency, especially when discussing topics like digital innovation, to "jump into the fray" by completely removing the moment of reflection, which is needed to make reasonable evaluations. We know how digital technologies are producing significant changes in our social and working daily life, which would require an in-depth examination. Instead, never as in this period, many experts and self-called experts challenge each other with posts and comments on social media to have their say, by siding as if they were watching a football match. Unfortunately, it also happens that someone exaggerates, because social media, given their nature, certainly do not encourage an articulated debate on issues requiring much more space and time for a fruitful discussion.

By Geralt, via Pixabay

What I observe is the growth of this tendency, which could be called as "the impulse to be the first to comment facts on social media", as if there were no tomorrow. It does not matter if there is not enough knowledge about the actual facts, what matters is to be constantly present on social media and prove “to be on the ball”.
Needless to say, this way of intervening on complex issues, such as ChatGPT (but there can be many other examples), makes the public debate ineffective, as well as entailing the real risk of determining a poor quality of the information. That is certainly devastating from a communicative point of view and, above all, has the relevant consequence of hampering the correct spreading of information (I wonder whether this is the real goal in the end...). Not to mention that all these efforts - often in a frantic way - are not justly rewarded, considering the Internet cauldron in which they will end up. We have to consider that those articles, in the current era, quickly become outdated.

The frenzy that drives individuals to comment also explains certain views: just think of those - probably not having many other points of discussion - claiming that certain things must be done absolutely and quickly, otherwise the country (Italy in this case) risks falling behind in comparison to other countries. In short, the important thing is always to move forward "whatever it takes", how and with what consequences it does not matter. An example is represented by all those who get excited by reading about large large investments in Artificial Intelligence announced by important companies, while they do not care about the fact that those same companies, as a result of the huge investments, plan to lay off thousands of people.

Some days ago, I attended a pleasant meeting in Milan together with a group of experts with different skills and backgrounds (the DLNet coordinated by a friend of mine, Andrea Lisi, a lawyer), where we also discussed the "anxious way" used by people to interact on social media. We asked ourselves whether it is better to provide answers on the spot or think about it one more day, at the cost of losing the moment of glory. We came to the same conclusion, namely that there would be a greater benefit for society if, before diving into the sea of posts regarding a specific event, individuals stop and think and then express their opinion with a cold mind and in a more reasonable way.

Stop and think: something that should be an integral and enriching part of the human nature, but that we are often debasing. Whether it is social media, technological innovations or the fear of falling behind, in the current era stopping and thinking is no longer fashionable.

The paradox is that in educating kids to develop a conscious use of digital technologies, one of the most used slogans is: think before you post!

That is why adults first should set a good example.


link-and-think.blogspot.com/20…



PRIVACY DAILY 89/2023


I dipendenti di Tesla hanno condiviso tra loro le immagini delle telecamere di sorveglianza installate sui veicoli. Tesla assicura ai suoi milioni di proprietari di auto elettriche che la loro privacy è al sicuro. Le telecamere che inserisce nei veicoli per assistere la guida, si legge sul suo sito web, sono “progettate da zero per... Continue reading →



L’era dell’Intelligenza artificiale tra competizione geopolitica e ingegneria sociale | L'Indipendente

"L’uso di algoritmi sempre più sofisticati ha portato al potenziamento del cosiddetto capitalismo della sorveglianza, ossia quel capitalismo che sfrutta i dati a disposizione provenienti dal web e non solo per profilare gli utenti, osservandone gusti, criteri, tendenze, comportamenti e cercando poi di modificarli e orientarli attraverso tecniche precise. Ciò significa che la tecnologia, e il suo processo illimitato di sviluppo, non tiene conto delle reali esigenze dell’uomo, ma le induce artificialmente. Di conseguenza, essa non è più un mezzo a disposizione dell’individuo per raggiungere determinati fini, ma diventa – con la sua sola presenza – in grado di dettare fini e bisogni, in un capovolgimento di prospettiva in cui la tecnica diventa soggetto e l’uomo oggetto."

lindipendente.online/2023/04/0…



Fair weather


When we walk, side by side, like brothers
Oh, glory will stand up and whirl
Then Gabriel will blow as he never has blown before
There'll be fair weather
Together
Side by side
It will know, that hate will die, and love will win
So go forth, heroes!
Peace on earth, and good will to all
Who make it divine and so real
Plant seeds for good deeds, like the trees and of course, love will grow!
Money doesn’t fit into the scheme of things
So how can a house be built on angel wings?
Fair weather
Together
Fair weather my friend
When we walk, side by side, like brothers
Oh glory will stand up and whirl
Then Gabriel will blow as he never has blown before
There'll be fair weather
Together
Fair weather my friend

- Herbie Hancock

piped.garudalinux.org/watch?v=…

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Una storica nebulosa come mai vista prima | Passione Astronomia

"La Nebulosa del Granchio è parte del residuo di una supernova risalente al 1054. Al centro di questa esplosione è rimasto, invece, un corpo celeste particolarmente compatto che prende il nome di pulsar del Granchio. Si tratta di una stella che concentra circa due masse solari entro un diametro paragonabile alle dimensioni medie della città di Roma. Da questa pulsar provengono i cosiddetti ‘venti’, composti da plasma accelerato a velocità relativistiche da un campo magnetico in rapida rotazione, che generano onde d’urto nel mezzo interstellare circostante."

passioneastronomia.it/una-stor…



✨ Il Ministero augura buona Pasqua a tutte e tutti!
🎨 Quest’anno i nostri auguri sono realizzati in collaborazione con l’Istituto Comprensivo Statale Via Nitti di Roma.


Tabloid | L'Indipendente

"Il TABLOID è un settimanale digitale, disponibile in free download (formato PDF) e appositamente realizzato per esser stampato e distribuito dagli utenti, in forma cartacea. Adatto per esser letto in bar, biblioteche, centri culturali e/o sociali, associazioni, eventi, università e luoghi di ritrovo. Stampa, copia, diffondi!"

lindipendente.online/tabloid/



Libertà, dove sei?


Paolo Vita-Finzi sferzò gli intellettuali traditori della democrazia nel Novecento. Il suo saggio ripubblicato è un monito per i populisti La scarsa fortuna delle idee liberali nel nostro paese è tuttora sottoposta alla riserva di Guido De Ruggiero, che c

Paolo Vita-Finzi sferzò gli intellettuali traditori della democrazia nel Novecento. Il suo saggio ripubblicato è un monito per i populisti

La scarsa fortuna delle idee liberali nel nostro paese è tuttora sottoposta alla riserva di Guido De Ruggiero, che considerava il liberalismo italiano soltanto il riflesso di dottrine straniere. Il filosofo napoletano attribuiva la sua debolezza al concorso di molteplici cause. L’etica laica era stata depressa perché l’Italia aveva conosciuto la Controriforma senza la Riforma. La formazione di una cittadinanza nazionale era stata ostacolata dal municipalismo al Nord e dall’asservimento allo straniero nel Sud. La rivoluzione industriale aveva partorito solo in alcune aree una borghesia autonoma e produttiva, ossia un ceto medio capace di patrocinare l’interesse generale (Storia del liberalismo europeo, 1925). Ritardi antichi che servono a spiegare come, non avendo trovato nella società civile un grembo fertile, “il liberalismo italiano abbia maturato in se stesso una inclinazione al distacco dall’Italia quale è” (Valerio Zanone, L’età liberale. Democrazia e capitalismo nella società aperta, Rizzoli, 1997). E che servono altresì a spiegare le ragioni per cui la classe di governo liberale non si sia stabilizzata in un partito costituzionale sul modello britannico; e come negli stessi statisti liberali – da Cavour a Giovanni Giolitti – fosse esplicita la consapevolezza di nuotare perennemente controcorrente.

Non deve perciò sorprendere che nell’Italia del “secolo breve” le idee liberali siano state difese e diffuse soprattutto da figure di intellettuali appartate, estranee alle consorterie accademiche e editoriali. Una di queste figure, familiare solo a una ristretta cerchia di esperti, è certamente quella di Paolo Vita-Finzi (1899-1986). Forse lo sarà un po’ meno grazie alla ristampa – impreziosita da due magistrali saggi introduttivi di Francesco Perfetti e Claudio Giunta – di uno dei suoi testi più significativi, Le delusioni della libertà (IBL Libri, gennaio 2023). Pubblicato per la prima volta nel 1961 grazie all’interessamento di Giuseppe Prezzolini presso l’editore Vallecchi, raccoglie diciotto brevi scritti apparsi tra il 1954 e il 1958 sul settimanale “Il Mondo” di Mario Pannunzio. Come sottolinea Giunta, sono sorprendentemente attuali. Infatti, riflettendo sull’atteggiamento tenuto dagli intellettuali italiani e francesi a cavallo tra Otto e Novecento, toccano temi che restano al centro del dibattito pubblico: la sfiducia nei confronti della democrazia parlamentare; l’insofferenza per le sue procedure, che rallentano il processo decidente; l’astio per le élite complottiste e, simmetricamente, la devozione quasi messianica al popolo, magari da parte di chi al popolo è alieno per censo e cultura; la riduzione della questione politica a questione morale.

Eppure Vita-Finzi non era uno studioso di professione. Nato a Torino in una famiglia dell’alta borghesia ebraica, combatte come volontario sul fronte del Piave negli ultimi mesi della Grande guerra. Al suo ritorno, studia e lavora nella Torino del biennio rosso, incrocia Piero Gobetti e Antonio Gramsci, ma senza cadere nella fascinazione né del primo né tantomeno del secondo. Cresciuto nel culto del Risorgimento, non nutriva simpatia alcuna per chi esaltava i consigli di fabbrica e l’assalto al Palazzo d’Inverno. Amico di Piero Sraffa, aveva avuto occasione di conoscere e frequentare nell’abitazione dell’economista il fondatore di “Ordine Nuovo”. Nelle sue memorie lo ritrae in modo impietoso ma non privo di ammirazione: “Gramsci m’aveva sempre richiamato alla mente un tizzoncello nero, o qualcosa di simile. Era gobbo, alto forse un metro e quaranta, con una testa enorme piantata su di un corpiciattolo rachitico: gli occhi erano belli e grandi, scintillanti d’intelligenza, la risata pronta e sarcastica, il vestire trascuratissimo. A volte mi sembrava che avesse qualcosa di Marat” (Giorni lontani. Appunti e ricordi, il Mulino, 1989). Altrettanto tagliente è il giudizio sul “cherubo giansenista”: “Se ammiravo l’intelligenza e la vertiginosa attività di Gobetti, le sue idee mi avevano lasciato sempre perplesso: per quanto sia elastica la parola ‘liberale’, non riuscivo a persuadermi che la rivoluzione russa fosse un atto di liberalismo” (Ivi). La verità – avverte Perfetti – è che il liberalismo di Vita-Finzi era sideralmente distante dalle pulsioni rivoluzionarie e dagli entusiasmi giacobini dei due “Dioscuri”, da una visione dello spontaneismo delle masse come demiurgo del “socialismo realizzato”. In questo senso, è singolare come gli utopisti di tutte le epoche descrivano nei dettagli più minuziosi le loro società immaginarie. Platone nella Repubblica prescrive norme meticolose per regolare i rapporti sessuali ammessi per la procreazione. Thomas More nell’Utopia si occupa dell’abbigliamento degli isolani per distinguere i coniugati dai celibi. Tommaso Campanella nel buio del carcere vagheggia una Città del Sole in cui i nomi degli abitanti sono decisi da un magistrato, il Metafisico. Alla base di tutte le utopie, insomma, vi è un modello di società perfetta che, per essere tale, ha bisogno di annichilire la libertà degli individui. Lo sapeva bene Vita-Finzi quando, ripercorrendo le frequentazioni giovanili, accenna in questi termini al suo credo politico di allora: “[…] influenzato soprattutto dalle lezioni di Luigi Einaudi […], ero un lib-lab, un liberale leggermente favorevole a moderate riforme sociali. Dicono che a vent’anni bisogna essere estremisti per poter essere conservatori a cinquanta: sono allora un caso anomalo, e quasi arrossisco d’essere stato un ventenne così perbenino, così juste milieu, così poco Sturm und Drang” (Ivi).

Nel 1938 le leggi razziali lo costringono ad abbandonare la carriera diplomatica, cominciata nel 1924 con tappe nelle sedi di Düsseldorf, Sfax, Tbilisi, Rosario, Sidney. Si trasferisce quindi a Buenos Aires, dove dirige una rivista, “Domani”, punto di riferimento degli antifascisti italiani riparati nelle Americhe, a cui collaborano Stefan Zweig, H. G.Wells, Ernesto Sábato, Jorge Luis Borges. Tornato nel 1947 in Italia, rientra nei ranghi del Ministero degli Esteri: è console a Londra, poi ministro plenipotenziario in Finlandia, quindi ambasciatore in Norvegia e in Ungheria. In questo lungo peregrinare, dotato di una erudizione straordinaria e padrone di quattro lingue straniere (francese, tedesco, inglese e russo), è molto attivo come pubblicista con elzeviri, reportage di viaggio, commenti di politica internazionale. Quasi tutti i soggiorni all’estero gli offrono spunti per la scrittura. Alla Germania di Weimar dedica le corrispondenze giornalistiche per il “Corriere Mercantile”. Dall’esperienza argentina ricava il saggio Perón mito e realtà (1973). Nel 1972 pubblica Terra e libertà in Russia, nel 1975 il Diario caucasico, nel 1980 Presidente a metà. L’elezione presidenziale negli Stati Uniti.

Di questa ricca e eterogenea biblioteca Le delusioni della libertà è il libro più militante, quello rivolto agli “inconsci precursori” del fascismo. La sua genesi risale alla lettura della Histoire de quatre ans, un racconto fantapolitico di Daniel Halévy (1903). Questi era un esponente di spicco dell’intellettualità d’oltralpe, collaboratore del periodico letterario “La Revue Blanche” – che vantava le firme di Proust e Gide, Apollinaire e Debussy – e dei “Cahiers de la Quinzaine” di Charles Péguy. Dopo lo scoppio dell’affaire Dreyfus (1894), che aveva spaccato la Francia tra colpevolisti e innocentisti, sia Halévy che Peguy si erano schierati con i secondi. In realtà, entrambi non avevano mancato di esprimere dubbi su quella “potenza della folla” – e quindi sulla stessa democrazia – che un altro liberale conservatore, Gustave Le Bon, aveva denunciato in un suo famoso pamphlet del 1895. Non per caso proprio con loro Vita-Finzi apre la sua galleria di “spiriti inquieti”. Dalla schiera dei difensori di Dreyfus proveniva Georges Sorel, anche se nulla aveva a che fare con la tradizione liberale. Ai loro ritratti si aggiungono quelli di altri protagonisti della scena culturale del tempo, come Émile Faguet, autore di Le culte de l’incompétence (1910), e Robert de Jouvenel, autore di La République des Camarades (1914). Erano personaggi non vicini agli ambienti reazionari di “Action Française”, come Charles Maurras, o a quelli bonapartisti, come Maurice Barrès, ma piuttosto intellettuali di varia estrazione, che si lasciarono sedurre ora (a sinistra) dall’idolatria della nazione, ora (a destra) da quella dell’uomo forte.

Nonostante l’impressionante documentazione di cui dispone Vita-Finzi, la sintesi – sostiene Giunta – ha un costo: pensatori complessi come Vilfredo Pareto, Gaetano Mosca, Giuseppe Rensi, Benedetto Croce, vengono compendiati in poche pagine, e esclusivamente nella prospettiva della loro affiliazione al club dei pionieri del totalitarismo. Ma, al di là delle critiche che si possono muovere a qualche giudizio troppo perentorio, Le delusioni della libertà – con il suo sottile e ironico scetticismo e con il suo realismo politico che invita a diffidare dei falsi profeti e dei sognatori di società dispotiche – rimane un testo esemplare del liberalismo italiano contemporaneo. Che esso fosse importante per la comprensione della parabola del fascismo, apparve subito chiaro a personalità di spicco della cultura comunista e, più in generale, progressista. Persino Palmiro Togliatti (con lo pseudonimo di Roderigo di Castiglia) lo recensì in un lungo articolo su “Rinascita”, la rivista ufficiale del Pci. Lo stesso fece Delio Cantimori sulla rivista “Itinerari” (maggio 1961). Sia il leader di Botteghe Oscure che lo storico della Normale di Pisa avevano apprezzato le pagine sul Croce “antidemocratico e antiparlamentare” e su quei sindacalisti rivoluzionari nei quali si potevano già intravedere “crisalidi di gerarchi”. Quattro anni dopo uscì Mussolini il rivoluzionario (Einaudi, 1965), il primo volume della monumentale biografia del Duce di Renzo De Felice, il quale, citando qualche passaggio dell’opera di Vita-Finzi, ne riconosceva implicitamente il valore storiografico. Da quel momento in poi non fu più possibile mettere in discussione il fatto che nell’albero genealogico del fascismo vi fossero rami rigogliosi tanto a destra quanto a sinistra.

Nel saggio Gli intellettuali e il fascismo (1968), il diplomatico torinese riprende il filo del discorso: “Il fascismo popolare del 1919-20, ‘tendenzialmente repubblicano’ e anticlericale era molto diverso dal regime totalitario dalla mano forte di vent’anni dopo; è facile comprendere come alcuni intellettuali ne possano essere stati inizialmente attratti e poi lo abbiano ripudiato”. Sono parole che costituiscono anche una specie di autodifesa, poiché l’equivoco verso il fascismo “tendenzialmente repubblicano” fu anche suo, anche lui partì per la Spagna per battersi a fianco dei franchisti. E rievocherà con amarezza quella partecipazione, che gli sarebbe stata aspramente rimproverata più tardi. Da funzionario pubblico, la sua fedeltà al paese fu, per un periodo della sua vita professionale, anche fedeltà allo Stato fascista. Attraversò “quel processo, comune a gran parte degli ebrei italiani, di adattamento a un regime che, a dispetto della sua involuzione autoritaria, sembrava escludere il rischio di degenerazione antisemita: quel regime, per capirci, dove Mussolini, conversando con Emil Ludwig, esaltava le virtù nazionali degli ebrei e sottolineava la profonda relazione tra giudaismo e Risorgimento, tra sionismo e patria italiana” (Giovanni Spadolini, Paolo Vita-Finzi fra storia e diplomazia in sessant’anni di vita italiana, Fondazione Nuova Antologia, 1988).

Le delusioni della libertà ebbe nei primi anni Sessanta, come si è detto, una discreta notorietà. Oggi va letto come un’analisi pregevole di umori e ideologie che, come un fiume carsico, riaffiorano nella storia della civiltà europea. Epperò quella analisi contiene un ammonimento che vale anche in questo terzo decennio del terzo millennio. Basti citare il passo seguente: “Demos è nemico della competenza, e cioè della specializzazione delle funzioni, perché ‘vuol fare tutto da sé, senza intermediari’; il suo ideale sarebbe il governo diretto come ad Atene, quello che Rousseau chiamava ‘la democrazia’. Di tanto in tanto accarezza l’idea del mandato imperativo, che trasformerebbe i rappresentanti del popolo in semplici commissionari […]. E per forza deve appoggiarsi a quelle persone che hanno scarse idee personali, mediocre istruzione e nessun’altra risorsa al di fuori della carriera politica, cosicché sono inclini da un lato, e obbligate dall’altro a interpretare i desideri e seguire le passioni della folla”. Come non pensare al successo riscosso dai movimenti neopopulisti e dai partiti sovranisti (quelli che vogliono rimettere le cose in ordine) di casa nostra?

Durante la “Cena Trimalchionis”, l’unico grande frammento superstite del Satyricon di Petronio, tra portate sfarzose e goffe esibizioni poetiche del padrone di casa i convitati – liberti arricchiti, funzionari municipali corrotti, mogli vanesie e tiranniche – discettano a ruota libera di politica e cultura, lamentando la decadenza dei costumi nell’epoca neroniana. A un certo punto del luculliano banchetto prende la parola Echione, uno straccivendolo. Mestiere che allora aveva una rispettata funzione sociale. A Roma, infatti, il “collegium centonarum” (una sorta di associazione di pompieri) usava gli stracci (“centones”) per spegnere gli incendi. Rivolto all’unico intellettuale presente al simposio, il retore Agamennone, Echione gli chiede col suo linguaggio sgrammaticato: “Quia tu, qui potes loquere, non loquis?” (Perché, tu che sai parlare, non parli?). Oggi la stessa domanda andrebbe rivolta agli intellettuali che, di fronte ad autocrazie spietate e superbe, intolleranti e illiberali, hanno scelto la via, se non della complicità, del silenzio: “Perché tacete? Per codardia o per convenienza?”.

Il Foglio, 8 aprile 2023

L'articolo Libertà, dove sei? proviene da Fondazione Luigi Einaudi.



La nuova arma legale degli Stati Uniti contro Cina e Russia


Una legge pensata per bloccare TikTok potrà essere usata anche per controllare, sanzionare ed espropriare le aziende che fanno affari con Cina e Russia.

Il governo degli Stati Uniti ne è convinto: TikTok è un problema di sicurezza nazionale e va vietato. Il sentimento comune è che il social network di ByteDance potrebbe essere a tutti gli effetti un cavallo di Troia del governo cinese per spiare gli Stati Uniti. Come misura preventiva, già a dicembre l’installazione dell’app è stata vietata su qualsiasi dispositivo federale.

Anche l’Unione Europea si è lasciata contagiare, e la Commissione ha recentemente deciso di vietare l’installazione di TikTok sui dispositivi dati ai burocrati europei.

Fa un po’ ridere, considerando che abbiamo passato gli ultimi due mesi a discutere di palloni spia nel cielo senza che nessuno sapesse esattamente cosa farne. In ogni caso, loro ne sono convinti, e probabilmente è anche vero.

Ne sono così convinti che il 7 marzo è stata introdotta una proposta di legge pensata proprio per giustificare legalmente un eventuale divieto totale dell’app. Purtroppo, la legge rischia di fare molto di più, e potrebbero esserci implicazioni anche per noi europei.

Presto, iscriviti prima che venga vietata pure Privacy Chronicles!

Il RESTRICT ACT


Il RESTRICT ACT (Restricting the Emergence of Security Threats that Risk Information and Communications Technology Act)1, così è chiamata la proposta di legge, conferisce al Secretary of Commerce il potere di identificare e gestire rischi “inaccettabili” per la sicurezza nazionale derivanti dall’uso di tecnologie ICT controllate da “foreign adversaries”.

Una prima lista degli avversari è già inclusa nella proposta di legge:

  • Cina, Hong Kong e Macao
  • Cuba
  • Iran
  • Korea del Nord
  • Russia
  • Venezuela, sotto il regime di Maduro (sì, è proprio scritto così)

Il Secretary of Commerce avrà poteri pressoché illimitati. Prima di tutto, avrà il potere, in consultazione col direttore della National Intelligence, di rimuovere o inserire foreign adversaries alla lista, in base al suo giudizio.

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