Ministero dell'Istruzione
#Scuola, il Ministro Giuseppe Valditara ha firmato due decreti di riparto di risorse #PNRR destinati alla formazione di studenti, docenti e personale scolastico per un importo complessivo di 1 miliardo e 200 milioni.Telegram
Mosca sostituisce l’Europa con l’Africa e aumenta le esportazioni di benzina
di Redazione
Pagine Esteri, 13 aprile 2023 – Nel primo trimestre di quest’anno la Russia ha incrementato le esportazioni di benzina di quasi il 50% rispetto allo stesso periodo dell’anno scorso, spedendo i carichi direttamente in Africa e individuando nuove rotte commerciali dopo che l’Unione Europea ha sanzionato il petrolio russo.
Mosca ha incrementato le spedizioni di carburante soprattutto verso la Nigeria, la Tunisia e la Libia, dopo che il 5 febbraio l’Unione Europea ha vietato i prodotti russi.
La Russia è stata costretta a trovare acquirenti alternativi dopo che gli hub commerciali di Anversa-Rotterdam-Amsterdam e il porto lettone di Ventspils hanno evitato i suoi prodotti.
Un tetto di prezzo di 100 dollari al barile per la benzina e il gasolio russi, imposto dal Gruppo delle Sette Nazioni, dall’UE e dall’Australia, ha costretto Mosca a trovare nuovi mercati. In precedenza esportava circa 2,5 milioni di tonnellate (60.000 barili al giorno) di benzina all’anno in Europa.
Gli sforzi della Russia per incrementare le vendite di benzina in Africa sono stati favoriti dalla riduzione delle esportazioni dai Paesi Bassi, dove il 1° aprile sono entrate in vigore nuove normative che richiedono che le miscele di carburante per i mercati di esportazione rispettino gli standard sul contenuto di zolfo, benzene e manganese.
«Sembra che l’Europa stia perdendo quote di mercato a favore della Russia in termini di esportazioni di benzina verso la Nigeria», hanno dichiarato in una nota gli analisti della società di consulenza FGE.
Il limite di prezzo della benzina è più del doppio di quello imposto alla nafta, rendendo più redditizio per i venditori russi miscelare la nafta alla benzina, ha osservato FGE, e vendere a 100 dollari al barile piuttosto che a 45 dollari.
La Russia ha esportato 1,9 milioni di benzina tra gennaio e marzo di quest’anno, in aumento rispetto agli 1,3 milioni di tonnellate del primo trimestre del 2022, secondo i dati di Refinitiv.
Un altro tracker di navi, Kpler, stima le esportazioni di gennaio-marzo a 2,2 milioni di tonnellate, in aumento rispetto a circa 1,5 milioni di tonnellate nello stesso periodo dell’anno scorso.
Secondo i dati diffusi da Kpler, l’Africa ha importato volumi record di benzina russa nel primo trimestre, pari a 812.000 tonnellate, equivalenti a circa un terzo delle esportazioni totali russe di carburante.
La Nigeria è emersa come il primo acquirente africano di benzina russa, importando 488.000 tonnellate nel primo trimestre, rispetto alle 38.000 tonnellate dello stesso periodo dell’anno scorso. – Pagine Esteri
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China Files School 2023 – Capire il secolo asiatico
Dopo il successo delle passate formazioni (qui l'ultimo ciclo del 2022) arriva una nuova edizione della nostra China Files School. Si svolgerà tra l'8 e il 25 maggio e sarà focalizzata su tutti i luoghi e dossier più “caldi” legati a Cina e Asia. Le iscrizioni aprono ora, con 20 posti disponibili. Ecco come partecipare
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Un acceleratore per il caccia del futuro. Ecco l’iniziativa della Difesa
Palazzo Baracchini accelera sul caccia di sesta generazione Global combat air programme (Gcap). Il ministero della Difesa ha infatti lanciato la Gcap acceleration initiative destinata a aziende e centri di ricerca per accrescere il network di eccellenze italiane a supporto dell’impegno nazionale volto a realizzare il velivolo del futuro con Regno Unito e Giappone. Quaranta esplorazioni tecnologiche che raccoglieranno le migliori proposte volte per la piattaforma che i tre Paesi stanno sviluppando insieme, destinato a sostituire i circa novanta caccia F-2 giapponesi e gli oltre duecento Eurofighter di Gran Bretagna e Italia.
Le aree di ricerca
Sistemi di propulsione, sistemi ottici e laser, sensori infrarossi, materiali e metamateriali per bassa osservabilità e a elevate performance termiche, sistemi di navigazione, generazione di modelli e sviluppo di digital twins di sistemi aeronautici, intelligenza artificiale applicata alla gestione di sistemi autonomi e sistemi di missione, cyber security e dispositivi elettronici integrati. Queste solo alcune delle principali aree di indagine che saranno sviluppate dalla Gcap acceleration initiative. Le migliori proposte saranno poi selezionate per la fase di co-progettazione insieme al ministero della Difesa e alle industrie già coinvolte nel programma Gcap.
Supporto industriale
L’iniziativa, infatti, è promossa in collaborazione con la Federazione aziende italiane per l’aerospazio, la difesa e la sicurezza (Aiad), le quattro aziende del consorzio italiano che lavorano sul Gcap, Leonardo, Avio Aero, Elettronica, MBDA Italia, e il Cefriel del Politecnico di Milano. Università, centri di ricerca, imprese e startup saranno coinvolte per condividere idee, competenze e tecnologie di frontiera per lavorare insieme a soluzioni innovative che possano essere applicate nel processo di maturazione tecnologica del Gcap. In particolare l’iniziativa potrà avvalersi di una orma informatica realizzata in collaborazione con Cefriel tramite la quale fare scouting tecnologico.
Il Gcap
Il progetto del Global combat air programme prevede lo sviluppo di un sistema di combattimento aereo integrato, nel quale la piattaforma principale, l’aereo più propriamente inteso, provvisto di pilota umano, è al centro di una rete di velivoli a pilotaggio remoto con ruoli e compiti diversi, dalla ricognizione, al sostegno al combattimento, controllati dal nodo centrale e inseriti in un ecosistema capace di moltiplicare l’efficacia del sistema stesso. L’intero pacchetto capacitivo è poi inserito all’intero nella dimensione all-domain, in grado cioè di comunicare efficacemente e in tempo reale con gli altri dispositivi militari di terra, mare, aria, spazio e cyber. Questa integrazione consentirà al Tempest di essere fin dalla sua concezione progettato per coordinarsi con tutti gli altri assetti militari schierabili, consentendo ai decisori di possedere un’immagine completa e costantemente aggiornata dell’area di operazioni, con un effetto moltiplicatore delle capacità di analisi dello scenario e sulle opzioni decisionali in risposta al mutare degli eventi.
Il programma congiunto
L’avvio del programma risale a dicembre del 2022, quando i governi di Roma, Londra e Tokyo hanno concordato di sviluppare insieme una piattaforma di combattimento aerea di nuova generazione entro il 2035. Nella nota comune, i capi del governo dei tre Paesi sottolinearono in particolare il rispettivo impegno a sostenere l’ordine internazionale libero e aperto basato sulle regole, a difesa della democrazia, per cui è necessario istituire “forti partenariati di difesa e di sicurezza, sostenuti e rafforzati da una capacità di deterrenza credibile”. Grazie al progetto, Roma, Londra e Tokyo puntano ad accelerare le proprie capacità militari avanzate e il vantaggio tecnologico.
Il mercato si mangia i servizi pubblici | Jacobin Italia
"Accade in Toscana: l’operazione Multiutility, promossa dai sindaci Pd con l’appoggio della destra, trasforma in Spa beni comuni e pezzi di welfare. Ma esiste un’opposizione dal basso che sta mettendo in discussione il progetto."
In Cina e in Asia – Xi: le forze armate si preparino per i combattimenti veri
Xi: le forze armate si preparino per i combattimenti veri
Arrestato per corruzione il giudice della corte suprema cinese
Pechino rafforza il suo ruolo come mediatore nei conflitti internazionali
La Cina riscrive la storia sulla pandemia
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COMMENTO. Israele, Edo Konrad: “Bezelel Smotrich non è una anomalia”
di Edo Konrad (+972)
traduzione dall’inglese di Luciano Galliano per Zeitun.info
Pagine Esteri, 13 aprile 2023 – Due settimane dopo aver invocato un’azione genocida contro i palestinesi, uno dei più potenti ministri del governo israeliano sbarcherà negli Stati Uniti dove è destinato a imbattersi in grandi proteste e affrontare quello che probabilmente sarà un rifiuto senza precedenti da parte dei funzionari statunitensi. Bezalel Smotrich, Ministro delle Finanze israeliano e sorvegliante de facto dei territori occupati, ha espresso pubblicamente la convinzione che la città di Huwara in Cisgiordania dovrebbe essere “spazzata via” dopo che due coloni vi sono stati uccisi mentre percorrevano in auto la strada principale. Smotrich ha fatto questi commenti pochi giorni dopo che più di 400 coloni, appoggiati dai soldati israeliani, hanno condotto un pogrom su Huwara e il vicino villaggio di Za’atara dando fuoco a case, attività commerciali e veicoli palestinesi e ucciso il 37enne Sameh Aqtesh.
La dichiarazione di Smotrich è stata ampiamente condannata dai leader dell’opposizione israeliana, dai giornalisti e persino dal Dipartimento di Stato americano, che ha descritto le sue affermazioni come “irresponsabili” e “ripugnanti”. Percependo la furia crescente, e dopo essere stato rimproverato pubblicamente dal Primo Ministro Benjamin Netanyahu, Smotrich ha provato spudoratamente due volte a ritrattare il suo commento, sostenendo che quando ha insistito esplicitamente che Huwara fosse spazzata via, in qualche modo non stava davvero chiedendo che fosse cancellata.
Con l’annuncio del suo arrivo il 12 marzo per una conferenza sugli Israel Bonds [sottoscrizione statunitense di titoli emessi dallo Stato di Israele, ndt.] a Washington D.C., le organizzazioni dell’establishment ebraico americano così come importanti gruppi sionisti liberali sono entrati in azione chiedendo che il Ministro delle Finanze israeliano fosse trattato come persona non grata. Oltre 120 leader ebrei americani hanno firmato una petizione chiedendo alle comunità ebraiche di boicottare la visita di Smotrich. Il gruppo di pressione J Street [gruppo liberale senza scopo di lucro per la leadership americana nel porre fine diplomaticamente ai conflitti arabo-israeliani, ndt.]. ha chiesto all’amministrazione Biden di “assicurarsi che nessun funzionario del governo degli Stati Uniti legittimerà incontrandolo l’estremismo [di Smotrich]” e che bisognerebbe interpretare quelle affermazioni come “motivi per il riesame di un visto per l’ingresso negli Stati Uniti.” Gruppi come T’ruah [organizzazione senza scopo di lucro di rabbini che si richiamano all’imperativo ebraico di rispettare e proteggere i diritti umani in Nord America, Israele e Territori palestinesi, ndt.] e Americans for Peace Now [organizzazione statunitense non-profit per la risoluzione politica globale del conflitto israelo-palestinese, ndt.] hanno chiesto apertamente la revoca del visto di Smotrich.
Nel frattempo organizzazioni tradizionali come l’Anti-Defamation League [organizzazione statunitense contro l’antisemitismo, ndt.] hanno affermato che “è imperdonabile che [Smotrich] inciti alla violenza di massa contro i palestinesi come forma di punizione collettiva”. William Daroff, l’amministratore delegato della Conferenza dei presidenti delle principali organizzazioni ebraiche americane, ha fatto eco alle parole del Dipartimento di Stato definendo i commenti di Smotrich “irresponsabili, ripugnanti e disgustosi”. Nonostante l’indignazione, Smotrich dovrebbe ancora parlare alla conferenza.
Va da sé che a Smotrich – un uomo che si definisce da sé “omofobo fascista” e ha una storia ben documentata di commenti chiaramente odiosi sui palestinesi, la comunità LGBTQ e altri gruppi – dovrebbe essere categoricamente condannato e vedersi negato l’ingresso negli Stati Uniti.
Questo è vero non solo per il puro sadismo genocida dei suoi commenti su Huwara, o per il fatto che Smotrich è diventato ufficialmente quello che lo studioso di diritto Eliav Leiblich ha soprannominato il “signore supremo della Cisgiordania”. Lo è anche perché, in un momento in cui l’incitamento all’omicidio contro i palestinesi continua a dare frutti mortali, la posizione degli ebrei americani sta dimostrando che ci sono passi reali che si possono fare contro un governo che sembra si dedichi oscenamente a bruciare tutto ciò che lo circonda per riconfigurare il paese a sua immagine e somiglianza.
Eppure ci si dovrebbe fermare e meravigliarsi dell’occasione singolarmente rara in cui le principali organizzazioni americane, da sinistra a destra, si uniscono per condannare e mettere in discussione la legittimità di un importante politico israeliano. Non c’è bisogno di sforzarsi per trovare altri funzionari israeliani che hanno analogamente invocato o giustificato retroattivamente massicce violenze contro i palestinesi. E questo è in parte dovuto al fatto che, a differenza di Smotrich, icona dell’estrema destra fondamentalista ebraica, molti di quei politici provengono in realtà dal centro israeliano e dalla sinistra sionista.
Ad esempio Benny Gantz, ex capo di Stato Maggiore dell’Esercito israeliano e poi Ministro della Difesa, ha lanciato la sua campagna elettorale del 2019 come sfida centrista a Netanyahu vantandosi di quanti palestinesi avesse ucciso e di come avesse riportato Gaza “all’età della pietra”. Oppure prendiamo Matan Vilnai del partito laburista, ex viceministro della Difesa, che all’inizio del 2008 avvertì che i palestinesi a Gaza avrebbero dovuto affrontare un “olocausto” meno di un anno prima che Israele lanciasse l’Operazione Piombo Fuso che uccise quasi 1.400 palestinesi in tre settimane.
C’è anche Mordechai Gur, Capo di Stato Maggiore dell’Esercito israeliano diventato Ministro della Difesa, anche lui laburista, che nel 1978 disse al quotidiano israeliano Al HaMishmar di aver fatto bombardare dalle sue forze quattro villaggi nel sud del Libano “senza autorizzazione” e senza fare distinzioni tra civili e combattenti; Gur ha inoltre affermato di “non aver mai avuto dubbi” sul fatto che i civili palestinesi in quelle aree dovessero essere puniti, dicendo al giornale “sapevo esattamente cosa stavo facendo”. Oppure prendiamo David Ben-Gurion, il primo Primo Ministro israeliano e artefice della Nakba, che quando nel 1948 gli fu chiesto cosa fare dei palestinesi di Lydd e Ramle dopo che le città erano state conquistate dalle milizie sioniste, fece il famigerato cenno con la mano per ordinare loro espulsione (decenni dopo Smotrich si sarebbe rammaricato pubblicamente che Ben-Gurion non avesse “finito il lavoro”).
Come non debellare la piaga
Non si tratta di grandi rivelazioni. La sinistra sionista (e quella parte che è diventata gran parte del centro) ha sempre chiamato in causa le proprie credenziali militariste contro la destra sionista. Il punto, quindi, non è costringere le organizzazioni a prendere posizioni retroattive su azioni passate, ma piuttosto capire che l’indignazione selettiva su Smotrich, sebbene giustificata, rischia di oscurare il fatto che è il prodotto di un sistema più ampio di espropriazione e sottomissione. Come Meir Kahane, che è stato trattato come inaccettabile e isolato nella società israeliana e in gran parte della comunità ebraica americana per il suo sfacciato fascismo, Smotrich viene presentato come un paria ma con l’effetto di legittimare l’apparato di apartheid che ha ereditato dai suoi predecessori .
Raffigurando uno o due politici estremisti come inaccettabili, le comunità ebraiche possono eludere la necessità di fare i conti con il modo in cui Smotrich e Kahane realizzano gli impulsi più profondi del progetto sionista. La stessa elusione si sta operando in luoghi come il Regno Unito, dove il Consiglio dei Deputati degli ebrei britannici, uno dei principali organi della classe dirigente della comunità ha apertamente respinto Smotrich ma continua a incontrare altri estremisti di estrema destra come l’ambasciatrice Tzipi Hotovely o il Ministro degli Affari della Diaspora Amichai Chikly.
In questo modo Smotrich diventa il cattivo contro cui gli ebrei americani possono mobilitarsi: messianico, razzista, impenitente. Personaggi come Ben-Gurion e Gur, nel frattempo, rimangono eroi piuttosto che uomini che hanno soppresso un numero incalcolabile di vite. E mentre i gruppi ebraici americani possono fare i picchetti contro Smotrich alla conferenza degli Israel Bonds di questo mese, nessuno ha chiesto agli Stati Uniti di revocare il visto a Benny Gantz che ha visitato la Casa Bianca l’anno scorso, pochi mesi dopo aver messo fuori legge sei importanti gruppi palestinesi per i diritti umani come “organizzazioni terroriste”. Per le istituzioni pubbliche ebraiche iniziare a mettere in discussione chi rappresenta il “buon Israele” rischia di sgretolare l’intero edificio psicologico del sostegno allo Stato.
Anche Washington, da parte sua, ha interesse a trasformare Smotrich in un evento anomalo. Nell’ambito della sua politica di pacificazione nei confronti del nuovo governo israeliano, l’amministrazione Biden sta cercando di esercitare una certa pressione su Netanyahu almeno per tenere in riga la sua coalizione. Ma in un momento in cui Israele è pervaso dall’instabilità – per la combinazione di un tentativo di colpo di stato giudiziario, incursioni dell’esercito israeliano nelle città palestinesi, violenza sfrenata dei coloni e attacchi palestinesi a soldati e civili – il meglio che la Casa Bianca può sperare è di convincere Israele ad allontanarsi dall’orlo dell’abisso in cui sembra desideroso di buttarsi a capofitto.
Per i funzionari statunitensi si tratta di uno specchietto per le allodole: operare accordi con leader israeliani come Netanyahu o il ministro della Difesa Yoav Galant ed evitare quelli “ripugnanti” come Smotrich o il Ministro della Sicurezza Nazionale Itamar Ben Gvir, tutto nell’interesse di “stabilizzare” la situazione – un compito che questo governo sta rendendo sempre più irrealizzabile ogni giorno che passa.
In un momento di grave crisi dello Stato israeliano sia gli ebrei americani che l’amministrazione Biden sperano che la loro strategia di controllo dei danni contro lo smotrichismo possa ricondurre Israele verso una versione più accettabile dell’apartheid israeliano. Una in cui l’esercito è legittimato a fare irruzione e uccidere i palestinesi nei campi profughi in cui Israele li ha segregati, ma in cui i massimi ministri non invitino attivamente i vigilantes dei coloni a “prendere in mano la situazione”. Una che mantenga la facciata di una magistratura indipendente, ma distolga lo sguardo quando i tribunali approvano quasi tutte le leggi discriminatorie e le politiche coloniali. Una in cui c’è sempre un individuo anomalo da incolpare, ma non il regime coloniale stesso.
Eppure il miope tentativo di categorizzare gli estremisti israeliani – di trattarli come intrinsecamente più ripugnanti dei falchi e dei nazionalisti “mainstream” – non è semplicemente destinato a fallire. In effetti, consentirà solo più violenza. La società israeliana ha rifiutato di ammettere che il kahanismo attinge dai fiumi del sionismo (e non il contrario) solo per scoprire che è tornato a dominare la vita pubblica. Le organizzazioni ebraiche americane stanno ora commettendo lo stesso errore.
Sperano che in qualche modo, con richiami minimi e forti condanne, sconfiggeranno il flagello Smotrich – senza affrontare l’ideologia e le strutture statali che sostengono la sua richiesta di genocidio e danno a lui e ai suoi successori il potere di realizzarlo. Si sbagliano tragicamente. Pagine Esteri
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PRIVACY DAILY 91/2023
L’Onu riaccende i riflettori sul Tibet
Secondo un rapporto dell'Onu, circa un milione di bambini tibetani sarebbe stato strappato alle famiglie, ufficialmente per motivi di studio. Il programma prevede l'inserimento dei piccoli in collegi statali dove sono costretti a completare corsi di "istruzione obbligatoria" in mandarino anziché in doppia lingua. Pechino si smarca. Per il ministero degli Esteri cinese, lo studio contiene "bugie” e “voci per diffamare e screditare la Cina".
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Così l’Italia potrebbe attirare investimenti nelle aziende tecnologiche
Come gli effetti della politica fiscale possono attrarre risorse ed investimenti dall’estero
L’aspettativa che la situazione economica-finanziaria in Israele si deteriori e l’attesa di eventuali azioni dell’attuale governo per limitare i trasferimenti di risorse finanziarie fuori dal proprio territorio nazionale ha generato molta apprensione nella “startup nation”. Il contesto di percepita instabilità ha determinato iniziative per ricollocare risorse finanziarie e parte delle operations in altri paesi.
Ne è un esempio Riskfied, azienda “tech” quotata al New York Stock Exchange con una capitalizzazione oggi non molto distante da 1 miliardo di dollari, che ha comunicato l’intenzione di trasferire 500 milioni di dollari fuori da Israele (Fonte Globes, 8 Marzo 2023), ha avviato un piano assunzioni nel dipartimento di ricerca e sviluppo a Lisbona e ha comunicato il pieno supporto ai dipendenti che hanno interesse al trasferimento in Portogallo. Certamente la percezione di instabilità internazionale, in particolare in un paese a noi vicino e importante come Israele, non giova al contesto generale, ed è auspicabile che la tensione possa risolversi nel minor tempo possibile.
E’ sempre più evidente, però, che la competitività di un’economia non può essere ridotta solo al PIL ma deve considerare anche la dimensione politica, sociale e culturale. La capacità di attrazione di investimenti esteri, e quindi la presenza di un ambiente caratterizzato da infrastrutture, istituzioni e politiche efficienti che incoraggino la creazione di valore sostenibile da parte delle imprese, consente l’evoluzione del sistema produttivo stesso.
In tale ottica, “l’attesa” riforma della politica fiscale rappresenta un elemento cardine per mantenere la competitività del nostro Paese. La riforma che ci si aspetta dovrebbe favorire la crescita delle imprese sia in termini di giro d’affari che in termini di consistenza patrimoniale, superando alcune delle principali criticità del tessuto produttivo nazionale, da tempo oramai note. In tal senso l’auspicata riduzione progressiva delle aliquote fiscali per le imprese, premiando quelle che investono e assumono a tempo indeterminato in Italia, va in questa direzione.
La riforma della politica fiscale, inoltre, dovrebbe auspicabilmente creare le condizioni per favorire l’ingresso di risorse e competenze da paesi esteri, fronteggiando anche la concorrenza sleale dei paradisi fiscali europei, che invece genera un flusso di risorse e di competenze inverso, ovvero dal nostro territorio nazionale verso altri paesi. Certamente, oltre al vincolo di bilancio dello Stato e dunque di sostenibilità nel tempo, gli interventi di politica fiscale focalizzati e sistemici su specifici settori produttivi o funzioni aziendali hanno mostrato nel tempo una maggiore efficacia e capacità di conseguire i risultati attesi.
Il settore tecnologico rappresenta uno degli elementi principali per mantenere la competitività del Paese, e la capacità di attrarre risorse e competenze qualificate da uno dei Paesi più avanzati in tale ambito, potrebbe rappresentare un’opportunità unica per generare un effetto moltiplicatore sulle competenze già presenti e la creazione di un ecosistema di innovazione attrattivo anche per altri Paesi. Lo sviluppo del settore tecnologico è quello che trasversalmente può generare una crescita in tutti i settori, generando un indotto capace di favorire un impatto sull’ammodernamento di tutto il Paese.
L’Italia ha da sempre un ruolo centrale, seppur faticoso, nell’area del mediterraneo e certamente può rappresentare la porta per l’integrazione europea, per un paese come Israele, con cui si condividono radici culturali e che certamente rispetto al Portogallo rappresenta un contesto economico più avanzato e dimensionalmente assai più consistente, considerato che il nostro PIL è maggiore di quello del Portogallo per circa nove volte.
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Def-inire.
C’è un filo che lega il Def (documento di economia e finanza), approvato ieri dal governo, l’impegno per il pieno successo del Pnrr e le nomine nelle imprese controllate dallo Stato. Che destano nervosismo nella maggioranza. E c’è una partita politica, che accompagna lo sgranarsi di quella collana.
I dati Eurostat confermano un dato positivo e un danno permanente. Il dato positivo è che, fra il 2021 e il 2022, l’occupazione è cresciuta più della media Ue (+1.9% rispetto a +1.5%). Il danno permanente è che in nessun Paese europeo si lavora in meno numerosi che in Italia: da noi il 60.1% della popolazione attiva; nella media Ue il 69.9; ma in Germania (la prima potenza industriale, noi siamo la seconda) il 77.2%. Queste sono medie, se guardiamo dentro la realtà italiana troviamo aree che superano la quota europea e aree d’inammissibile arretratezza. Non solo lavoriamo in pochi, ma non si trovano italiani disposti o capaci di fare molti lavori. Siccome la crescita della ricchezza è frutto del lavorare e dell’intraprendere, noi sommiamo una crescita inferiore al possibile e uno squilibrio territoriale non sostenibile. E questo ci porta al Def.
La dottrina spendarola, a destra e a sinistra, detta una solenne sciocchezza: più lo Stato spende e più si cresce. Se fosse vero, con il debito che ci ritroviamo e, quindi, la spesa in deficit fatta, dovremmo essere i campioni europei. Ma non è vero. Però è affasciante, specie se si punta a raccattare voti usando i soldi dei contribuenti onesti. Per questo è significativamente positivo che il Def descriva un calo progressivo del peso del debito pubblico sul prodotto interno lordo, in continuità con i conti del governo Draghi. Perché segnala che non si è abbracciata la dottrina spendarola. E questo origina già dalla campagna elettorale, quando Forza Italia e Lega reclamavano lo spendarolo “sfondamento di bilancio” e Fratelli d’Italia s’opponeva. Il partito d’opposizione era più draghista dei due al governo. E questo è il punto relativo alla partita politica. Ci arriviamo.
Nel Def il deficit resta alto (4.5), ma in linea con le previsioni. Il 2023 si conferma anno di crescita (l’opposto della recessione inesistente, di cui si strillazzava in campagna elettorale), semmai più marcata: 1%. Senza, però, che ci sia traccia dei soldi Pnrr. Non che il governo non pensi di utilizzarli (sarebbe una follia), ma, prudentemente, non ne contabilizza gli effetti nell’immediato, guarda un po’ oltre. Se tutto andrà per il meglio, insomma, si rivedrà al rialzo la crescita e il governo (giustamente) s’attaccherà una medaglia al petto. Ma può andare per il meglio? Qui si arriva alle nomine.
Sono sempre state politiche e sono sempre state spartitorie. I moralismi a intermittenza sono immorali. Preferirei meno Stato nel mercato e diversa procedura, ma questa è la zuppa ed è inutile far boccuccia. La novità è un’altra: da quelle grandi società passa parte significativa delle opere Pnrr. Qui non si giocano delle poltrone, ma la testa dell’operazione. Non è che Meloni, come taluni scrivono, voglia tutto per sé, è che non vuole si riproduca la divisione della campagna elettorale sullo sfondamento, per cui taluni puntano al fallimento per poi inscenare il vittimismo e la rottura europea (con il plauso del Cremlino). Sono forze che vogliono ingabbiare una Meloni già impastoiata con le proprie stesse parole sbagliate: si è ancora fermi sulla concorrenza e il 20 aprile si pronuncia la Corte di giustizia sui balneari.
L’interesse dell’Italia è che quegli investimenti riescano. Un dovere da definire e adempiere. Sarebbe interesse comune che anche l’opposizione se ne rendesse conto, anche perché governare dopo un fallimento sarebbe atroce. Ma, riuscendoci, il partito pragmatico di centro diventerà l’attuale destra e quelli che volevano stare al centro verranno sbattuti alla destra protestataria. A quel punto o si fa il salto, portando in Parlamento il dialogo istituzionale, o si resta nella marana delle false alleanze, incapaci di governare.
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Etiopia, 47.000 nuovi sfollati da 10 woreda del Tigray occidentale arrivano a Endabaguna, vicino Shire
“Ieri ho avuto una discussione molto produttiva con Claude Jibidar, direttore nazionale WFP – World Food Programme Ethiopia, sulle operazioni di WFP in Tigray e sulla necessità di coordinare i nostri sforzi per il futuro. Pur elogiando WFP Ethiopia per il suo impegno nei confronti del popolo del Tigray durante il nostro calvario negli ultimi anni, ho anche evidenziato quali aree vorremmo che i nostri partner estendessero il loro sostegno per aiutare i nostri concittadini laboriosi a rimettersi in piedi, contribuendo così a ridurre la pressione sulla comunità internazionale. Abbiamo anche sottolineato la necessità di lavorare insieme nell’affrontare la crescente sfida della diversione e della vendita di aiuti alimentari destinati ai bisognosi. Abbiamo anche concordato di adottare misure appropriate contro le persone coinvolte in tali comportamenti abominevoli e di garantire che gli aiuti raggiungano effettivamente i beneficiari target in modo tempestivo.”
Queste sono le parole di Getachew Reda, l’odierno capo amministratore regionale ad interim – IRA, dello stato regionale del Tigray, Etiopia. IRA istituita come prassi dettata dall’accordo di Pretoria firmato il 2 novembre 2022. Accordo di cessazione ostilità tra il governo federale etiope ed il TPLF – Tigray People’s Liberation Front dopo più di 2 anni di guerra genocida. Guerra che è stata denunciata come la più atroce degli ultimi anni e per cui è stato stimato un numero superiore alle 600.000 vittime tra i civili.
La dichiarazione di Getachew Reda è del 12 aprile 2023, l’incontro con il funzionario del WFP avvenuto il giorno precedente.
Sostituzione etnica, parole che non sono solo slogan di propaganda come quelle della premier italiana Giorgia Meloni
Il Tigray occidentale è ancora sotto occupazione Amhara. Il governo regionale amhara durante la guerra genocida in Tigray ha occupato quel territorio rivendicandolo storicamente sotto la sua giurisdizione.
Le forze speciali amhara sono state denunciate ed è stato confermato la loro attività di pulizia etnica nei confronti del popolo tigrino, come crimine di guerra per sfollarli forzatamente da quell’area.
Oggi, a più di 5 mesi dell’accordo di Pretoria e che impone il ritiro di tutte le forze esterne dal Tigray, gli amhara sono ancora presenti e stanno perpetrando ancora la loro volontà politica di pulizia etnica.
Tigrai TV in un recente servizio ha riportato la testimonianza per mezzo video delle preoccupazioni di etiopi di origine tigrina che denunciano questi atti rivendicati come atti di sostituzione etnica.
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47.000 nuovi sfollati da 10 woreda [distretti] del Tigray occidentale arrivano a Endabaguna, vicino Shire
Almeno 47.000 nuovi sfollati interni (IDP) che sono fuggiti da dieci woreda [distreetto] nel Tigray occidentale, che è sotto l’occupazione delle forze Amhara, sono arrivati a Endabaguna, vicino alla città di Shire nella zona del Tigray nordoccidentale nell’ultimo mese,
Questa è stata la dichiarazione di Getu Dejen, l’amministratore ad interim dell’Endabaguna Woreda, ad Addis Standard.
Secondo Getu, alcuni degli sfollati si trovavano nel centro per sfollati di Maitsebri, mentre altri hanno lasciato le loro case a Maigaba, Tselemti, Korarit, Welkayit e Qafta woredas, tra gli altri, dall’inizio di marzo a causa delle rinnovate persecuzioni e pressioni sull’etnia tigrina. Anche donne, ragazze e bambini sono tra gli sfollati.
Alcune testimonianze tra i migliaia di sfollati interni IDP
Nigus Teklay (nome cambiato per motivi di sicurezza) un 39enne, fuggito dalla woreda di Tselemti con 3 membri della sua famiglia, un mese fa, ha dichiarato:
“Me ne sono andato prima che accadesse qualcosa di peggio a me e alla mia famiglia”.
Ha aggiunto che un gruppo armato noto come “Fano” ha costretto i tigrini etnici a lasciare l’area.
“Ho contato un mese da quando sono stato trasferito a Endabaguna. Non ci sono aiuti umanitari, cibo e medicine. Sto nutrendo i miei figli chiedendo l’elemosina e vendendo alcuni materiali per strada “
Rahel Hayle, una ragazza di 20 anni, che ha raggiunto Endabaguna da Maitsebri a metà marzo dopo aver viaggiato a piedi per 10 giorni, ha detto che:
“I gruppi armati nella zona stavano molestando donne e ragazze e commettendo crimini contro i tigrini etnici”
Quindi e ha deciso di partire.
Rahel è tra gli sfollati che sono stati accolti nel centro IDP di Maitsebri da quando è scoppiata la guerra nel 2020.
La sua famiglia è fuggita in Sudan e ha vissuto in situazioni precarie senza molti aiuti umanitari per due anni a Maitsebri prima di arrivare a Endabaguna settimane fa.
“Anche dopo il mio arrivo qui tre settimane fa, non ho ricevuto alcuna assistenza. Dormo sul pavimento, è una sfida soprattutto per le ragazze e le donne”
Getu, l’amministratore ad interim, ha affermato che il numero di sfollati interni a Endabaguna era di circa 8000 all’inizio del mese di marzo, ed è salito a 47.000 nelle ultime settimane.
Ha aggiunto che questi sfollati appena arrivati non ricevono aiuti umanitari come cibo e medicine.
Nonostante la denuncia a diverse ONG e agenzie umanitarie, l’amministratore ad interim Getu ha segnalato che non sono state avanzate attività significativa per sopperire al problema ed alla mancanza di consegna di materiale salvavita.
Ha aggiunto che gli sfollati non hanno un riparo adeguato e vivono in condizioni di pericolo di vita con bambini e donne che chiedono cibo per le strade.
Surafel Araya, amministratore della zona nord occidentale del Tigray, ha confermato la gravità del contesto invitando gli organismi interessati a prestare la dovuta attenzione ai nuovi sfollati sfollati che arrivano nella zona.
La questione, la gravità e la precarietà di vita, di sussistenza di decine di migliaia di persone sfollate in Tigray stabile, ma altamente critica: una priorità assoluta quela della tutela alla vita.
Approfondimenti:
- Etiopia, 54.000 sfollati ad Abiy Addi senza cibo, medicinali e altre zone del Tigray senza aiuti
- Etiopia, le grosse lacune del supporto umanitario in Tigray dopo 5 mesi di tregua
- Etiopia, la disastrosa situazione degli sfollati in Tigray nonostante l’accordo di cessazione ostilità
- Etiopia, ancora blocchi sugli aiuti umanitari nel Tigray
- Etiopia, mancanza di aiuti adeguati agli sfollati interni (IDP) in Tigray
CHARLES MICHEL CONFERMA: L'EUROPA SI STA PREPARANDO ALL'"AUTONOMIA STRATEGICA"
@Politica interna, europea e internazionale
Il presidente del Consiglio europeo afferma che l'UE non può "seguire ciecamente e sistematicamente" Washington.
Mentre la polemica cresce intorno ai commenti di Macron secondo cui l'Europa dovrebbe resistere alle pressioni per diventare "seguace dell'America", Michel ha suggerito che la posizione del politico francese non era isolata tra i leader dell'UE. Mentre Macron ha parlato come presidente francese, le sue opinioni riflettono un crescente cambiamento tra i leader dell'UE, ha affermato Michel.
"C'è stato un balzo in avanti sull'autonomia strategica rispetto a diversi anni fa", ha detto Michel al programma televisivo francese La Faute à l'Europe (che ha una partnership con POLITICO) in un'intervista che andrà in onda mercoledì.
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MEPs to call for renegotiation of EU-US data transfer framework
EU lawmakers are set to adopt a non-binding resolution urging the European Commission not to endorse the Data Privacy Framework for transatlantic data flows until fundamental rights concerns are fully addressed. The draft motion, seen by EURACTIV, is expected to...
Dopo il riscontro ottenuto nelle prime tre settimane, l’esposizione de “Il libro del mese” dedicata al Centenario dell’Aeronautica Militare proseguirà fino al 28 aprile.
Qui tutti i dettagli ▶️ miur.gov.
Ministero dell'Istruzione
Dopo il riscontro ottenuto nelle prime tre settimane, l’esposizione de “Il libro del mese” dedicata al Centenario dell’Aeronautica Militare proseguirà fino al 28 aprile. Qui tutti i dettagli ▶️ https://www.miur.gov.Telegram
Hikikomori. Un’indagine in Italia | La Città di Sotto
"I ragazzi e le ragazze in ritiro sociale volontario usano l’isolamento come forma di autodifesa, rispondendo con questa forma di resistenza ai principi, ai dettami, ai tempi e alle forme relazionali di una società che li vuole sempre prestazionali, impeccabili, senza possibilità di errore. Abbiamo voluto accendere una luce sulle loro storie e bussare a quelle porte chiuse. Non per giudicarli, ma per provare a riaccompagnarli al mondo."
Gli stipendi devono crescere poco: il governo Meloni lo ha scritto davvero | L'Indipendente
«Il governo Meloni tutelerà la “moderazione della crescita salariale per prevenire una pericolosa spirale salari-prezzi”, come si legge nel comunicato stampa dell’ultimo Consiglio dei ministri. In poche parole, gli stipendi devono crescere poco perché tanto, prima o poi, l’inflazione si arresterà risolvendo il problema. A pagarne le spese, nel frattempo, è il potere di acquisto degli italiani che per sopravvivere tra inflazione e caro vita devono attingere ai propri risparmi.»
17-21 aprile, Privacy Symposium
Il 18 e 20 aprile 2023 avrò l’onore di partecipare al Simposio internazionale sulla privacy a Venezia per sostenere il dialogo internazionale e la cooperazione. Scopri di più su privacysymposium.org
PRIVACY DAILY 90/2023
Fr. #26 / Di faide social e spioni
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Elon Musk vs Substack
Paura e delirio nelle strade di Twitter per una faida tra Elon Musk e Substack. Tutto inizia qualche giorno fa, dopo l’annuncio di un nuovo servizio da parte della piattaforma che ospita anche Privacy Chronicles: Substack Notes, una sorta di estensione social che in sarà molto simile al funzionamento di Twitter.
Re Elon non ha preso bene la notizia, iniziando così una serie di azioni di guerriglia contro tutto ciò che è Substack: tweet, menzioni, link. Ad esempio, negli ultimi giorni era impossibile interagire con i tweet contenenti link ad articoli su Substack, e i link stessi venivano identificati come contenuto potenzialmente malevolo. Una censura di massa che ha colpito anche me.
Twitter è fico, ma vogliamo parlare di Privacy Chronicles?
Oggi Elon sembra invece aver cambiato idea, e la situazione è tornata altrettanto velocemente alla normalità. Come mai? È una questione di proprietà privata e incentivi economici.
Come saprete, se c’è una cosa che Elon Musk odia più della concorrenza sono i mass media mainstream, che ricambiano cortesemente. Censurando Substack, una delle primarie fonti d’informazione alternative, Elon ha però finito per agevolare i primi, censurando la voce di milioni di persone che permettono a Twitter di essere quello che è.
Elon ha ragione da vendere a voler intralciare con ogni mezzo un suo competitor, ma non può farlo: censurare Substack significherebbe contraddire i suoi stessi principi e finire per autodistruggere ciò che rende Twitter un social unico nel suo genere.
Nel diventare il Regno di Elon Musk, Twitter oggi ha chiari incentivi economici per essere molto più equilibrato e libero rispetto a quando era invece una democrazia rappresentativa con un Board eletto, che non avendo skin in the game poteva prendere decisioni scellerate senza alcuna conseguenza.
Based FBI
Secondo un dossier FBI intitolato “Involuntary Celibate Violent Extremism” usare termini sui social come “Chad”, “Based”, “Red Pill”, “Stacy” potrebbe farvi finire in una watchlist di persone considerate a rischio di estremismo violento.
Fonte: zerohedge.com/political/fbi-do…
Non è ben chiaro cosa ci faccia l’FBI con queste watchlist, ma dato che ricadono nell’ambito del terrorismo domestico, certamente nulla di buono.
Se i Twitter Files12 ci hanno insegnato qualcosa, è che della buona sorveglianza non va mai sprecata. Attività di questo tipo, agevolate dai social, possono portare a una profilazione politica delle persone che tornerà molto utile durante le prossime elezioni presidenziali.
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Tesla ti spia nel garage
Secondo il Seattle Times i dipendenti di Tesla avrebbero l’abitudine di guardarsi le registrazioni delle telecamere montate sulle Tesla e condividerle tra loro. Sì, anche i video registrati nei cortili di casa.
Per chi non lo sapesse, le automobili Tesla posseggono telecamere in grado di registrare e analizzare l’ambiente circostante grazie a un servizio chiamato Sentry Mode. Con il Sentry Mode l’auto può anche svolgere delle funzioni automatizzate come far suonare l’allarme nel caso in cui il sistema (dotato di algoritmi di machine learning, presumo) identifichi qualcosa come una minaccia. Le registrazioni sono ovviamente disponibili ai tecnici Tesla per diversi motivi, che ci fanno poi un po’ quello che vogliono.
Il Sentry Mode può essere configurato per evitare le registrazioni in alcuni luoghi e può anche essere disattivato, ma tra il dire e il fare… In ogni caso non c’è nessun problema: pare che Tesla abbia iniziato ad avvertire i clienti che il Sentry Mode potrebbe violare le normative sulla privacy.
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Certo è che il concetto di “auto-sorveglianza” assume tutto un altro significato.3
Meme del giorno
Citazione del giorno
“Democracy virtually assures that only bad and dangerous men will ever rise to the top of government.”
Hans-Hermann Hoppe
Articolo consigliato
La nuova arma legale degli Stati Uniti contro Cina e Russia
Il governo degli Stati Uniti ne è convinto: TikTok è un problema di sicurezza nazionale e va vietato. Il sentimento comune è che il social network di ByteDance potrebbe essere a tutti gli effetti un cavallo di Troia del governo cinese per spiare gli Stati Uniti. Come misura preventiva, già a dicembre l’installazione dell’app è stata vietata su qualsiasi dispositivo federale…
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4 days ago · 5 likes · Matte Galt
Twitter Files: dalla censura politica al ban di Trump
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"Pay or Okay" - the beginning of the end?
"Pay or Okay": l'inizio della fine? "PUR Abo" su derStandard.at illegale secondo la DPA austriaca
Manuel D'Orso reshared this.
La fuga di documenti segreti sull’Ucraina è la punta dell’iceberg: l’analisi che fa tremare gli Usa. Di @Idart87 su @fanpage
@Politica interna, europea e internazionale
La divulgazione di documenti top secret del Ministero della Difesa Usa su Twitter e Telegram, verificatasi nei giorni scorsi, rappresenta la peggiore violazione della sicurezza nazionale degli ultimi anni, ma si tratta solo della punta dell'iceberg, trattandosi di materiali che avevano iniziato a circolare molto prima che tutto ciò fosse notato.
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Senza rete
La crescita economica dell’Italia, per il presente e il prevedibile futuro, dipende dalla capacità odierna di rendere effettivi gli imponenti investimenti e le decisive modernizzazioni previste dal Pnrr. Il governo ci si gioca la faccia. L’opposizione non può scommettere sul fallimento, perché sarebbe anche quello dell’Italia. Eppure s’assiste a continui rinvii e distratti silenzi. Come se la partita si giocasse in un altro stadio, animato da propagande che sembrano essere la sola specializzazione degli astanti. Parliamo di servizi e reti digitali, di cui pare non interessi nulla a nessuno.
Il piano del governo era quello di far confluire il Sistema pubblico di identità digitale (lo Spid) nella Carta d’identità elettronica (Cie). Tanto che s’era supposta, allo scadere della convenzione con i privati che lo forniscono e gestiscono (il prossimo 23 aprile), l’estinzione dello Spid. Il che gettava nella costernazione quanti avevano tribolato e pagato per averlo. Ma, a parte le difficoltà e le lentezze nel rilascio della Cie, alcuni numeri avrebbero dovuto suggerire un approccio meno assertivo: attualmente sono stati assegnati 33.5 milioni di Spid e consegnate 32.7 milioni di Carte, dimostrandosi che gli italiani si dispongono con piacere ad avere interazioni digitali con la Pubblica amministrazione, ma, dal punto di vista operativo, con lo Spid sono stati effettuati 1 miliardo di accessi ai servizi, con la Carta 21 milioni. Supporre di chiudere il primo era fantasioso.
Nel mentre il problema serio è quello di predisporre servizi amministrativi digitalmente efficienti, con schemi e tracciati sempre uguali – non ciascuno secondo il proprio gusto – e senza che il procedimento s’interrompa quando hai già compilato tutto e devi ricominciare da capo; posto che le amministrazioni locali lamentano enormi difficoltà anche solo nell’utilizzo della piattaforma (ReGis) per seguire e rendicontare le opere Pnrr; l’idea governativa di riassetto s’è conclusa con una proroga dei contratti dei privati, per lo Spid, fino al 2024, con un costo aggiuntivo di 40 milioni, mentre per il riordino ci si vede nel 2025. Chi ci sarà.
Per far funzionare qualsiasi interazione digitale occorre avere efficienti reti di telecomunicazione. Nella diffusione della banda ultra larga (più velocità e tempi infinitesimali, vitali per chi ci lavora) l’Italia è indietro, rispetto agli altri europei. Il piano per mettersi in pari, integrato nel Pnrr, è stato elaborato sotto la direzione di Vittorio Colao, nel governo Draghi. Nessuno è perfetto e siamo tutti peccatori, ma Colao rese gigante una multinazionale delle telecomunicazioni, Vodafone. Non se ne è accorto quasi nessuno, ma la settimana scorsa si è riunito – per la prima volta con il governo Meloni – il Comitato interministeriale per la transizione digitale (Citd), decidendo di non transitare, archiviando il piano Colao e creando un coordinamento interministeriale per riscriverlo. Il tutto nel mentre le reti esistenti vedono la partecipazione societaria del governo in aziende diverse e che furono concorrenti, in un trionfo di conflitti d’interessi e mancato coordinamento, e nel mentre giungono offerte di acquisto della rete. Offerte che sono sì di fondi stranieri, ma che già sono presenti nella struttura societaria delle reti italiane e segnatamente in quella della Tim. E nessuno sa, al momento, come andrà a finire (ammesso vada a finire).
Quindi, da una parte si dice che si deve correre e recuperare il tempo perduto, dall’altra si è in piena saga del rinvio, senza che neanche sia chiaro quale si vorrebbe che fosse il punto di approdo.
Questi problemi sono difficili e non mi piace farla facile. Ma c’è un problema grosso, permanente e trasversale: si comincia a studiare un problema quando s’arriva al governo, anziché andare al governo per averlo studiato e avere proposto degli indirizzi. Con un guasto aggiuntivo: il tempo della borsa di studio coincide con la durata del governo. E l’Italia resta indietro.
L'articolo Senza rete proviene da Fondazione Luigi Einaudi.
La consapevolezza che manca agli Stati europei
Indispensabile, irrealizzabile. Accostando questi due aggettivi si comprende in che cosa consista il dramma europeo. Come dimostra, da ultimo, anche il viaggio del presidente francese Emmanuel Macron in Cina. Mentre l’Europa avrebbe bisogno di una maggiore integrazione per fronteggiare le crescenti minacce alla sicurezza di tutti noi europei, forze potenti, soprattutto il peso e la pressione del passato sul presente, rendono quasi impossibile (il «quasi» è una concessione alla imprevedibilità del futuro) realizzarla.
Il più «europeista» dei presidenti francesi, Macron, ha incontrato Xi Jinping in veste di francese, non di europeo. L’Europa, in quel viaggio, è stata rappresentata dalla presidente della Commissione Ursula von der Leyen ma ha fatto da contorno: una spruzzatina di europeismo su una missione «francese». C’era qualcosa di paradossale. Da un lato, un presidente della Francia che ha sempre l’obbligo di fingersi (perché questo impone la cultura politica nazionale di cui è espressione) il rappresentante di ciò che non c’è più da un pezzo: la grande potenza che la Francia è stata nei secoli passati.
Dall’altro lato, il capo di una superpotenza che mentre stringeva la mano a Macron probabilmente pensava: è solo questione di tempo e questi europei me li comprerò tutti. E difatti, il business è stato in quell’incontro l’unica cosa concreta.
In coincidenza con la nuova prova di forza della Cina contro Taiwan, Macron ha rilanciato ora, in polemica con gli Stati Uniti, l’idea di una «autonomia strategica» europea, di una Europa capace di tutelare i propri interessi, divergenti da quelli dell’America (sottinteso: Taiwan non ci riguarda). Può affascinare certi europei ma si colloca nel solco della tradizione gollista. È l’idea di un’Europa a egemonia francese. Macron si guarda bene dal dire che è pronto a cedere all’Unione il seggio francese all’Onu o di metterle a disposizione la sua forza nucleare. Gli altri governi (tedesco intesta) non possono che essere scettici. Macron sembra parlare più ai francesi che agli altri europei.
Ma non si tratta di gettare la croce sulla Francia. Gli ostacoli a una maggiore integrazione riguardano tutti gli Stati europei, nessuno escluso. È difficile il passaggio dalla «età dell’innocenza» alla «età della consapevolezza». C’è stato un tempo in cui eravamo così «innocenti», così ingenui, da pensare che un giorno, grazie all’integrazione economica, il mercato unico, l’euro eccetera, l’integrazione politica ci sarebbe caduta in grembo come un frutto maturo. Vero che non tutti erano d’accordo. I federalisti spinelliani pensavano che occorresse uno scatto
consapevole, un atto di volontà politica. Ma non dubitavano del fatto che quell’atto fosse possibile. Stiamo entrando, ahinoi, nell’età della consapevolezza. Cominciamo a capire quanto potenti, e forse insormontabili, siano gli ostacoli a una maggiore integrazione che tuttavia dobbiamo continuare ad augurarci, soprattutto a causa dei cambiamenti in atto negli equilibri mondiali. Che faremmo se un giorno gli Stati Uniti decidessero che l’alleanza con l’Europa non è più per loro una priorità? Gli europei antiamericani stapperebbero bottiglie di champagne ma, in assenza di integrazione politica e militare, per l’Europa si tratterebbe del passaggio da una lunga fase di pace, sicurezza e benessere a una fase in cui nessuno di quei beni potrebbe più essere garantito. E sarebbe, probabilmente, anche l’inizio della fine per diverse democrazie europee.
Le integrazioni politiche avvengono nell’uno o nell’altro di due modi: o perché uno Stato potente conquista altri Stati con le armi o perché certi Stati si uniscono per fronteggiare una minaccia esterna. Si spera che la consapevolezza dei pericoli incombenti spinga l’Europa ad unirsi. Ma, al momento, non sembra proprio. In presenza di sfide esterne l’Europa rischia di fare il tragitto contrario, di disgregarsi, di perdere anche quel tanto di integrazione che ha messo insieme negli ultimi settant’anni. Ha osservato giustamente Federico Fubini ( Corriere , 8 aprile) che la guerra in Ucraina spinge gli elettorati europei a premiare partiti nazionalisti, tutti più o meno ostili a una maggiore integrazione politica. Altro che unirsi per fronteggiare il pericolo.
Ci sono sempre stati coloro che, per ottusità o per la spocchia intellettuale che li spinge a non tenere in conto sentimenti e paure dei cittadini comuni, preferiscono demonizzare piuttosto che tentare di comprendere queste tendenze. Eppure, non ci vuole molto a capire. Se ti senti, a ragione o a torto, minacciato, ti aggrappi a ciò che conosci, non a ciò che non conosci. Vuoi essere protetto dal governo del tuo Stato, non da un’entità che non esiste ancora e della quale ti sfuggono le finalità. Anche il caso italiano, come altri, si spiega, almeno in parte, così. Va aggiunto che le persone, in maggioranza, sono legate solo alla comunità in cui sono cresciute, con cui condividono lingua e tradizioni. E le tradizioni europee, dell’Europa del Nord, di quella dell’Est, di quella latina, sono molto diverse. Anche nella cosiddetta Europa carolingia le differenze — fra Francia, Germania, Italia — sono assai forti. Il che spiega perché nemmeno l’idea di una maggiore integrazione solo «fra chi ci sta», da molti invocata, sia realizzabile. La verità è che, a ben guardare, al momento, «non ci sta» nessuno. Come dimostrato anche dal comportamento della Germania. È il passato, la storia europea, il principale ostacolo a una maggiore integrazione.
Finita la Guerra fredda, e unificata la Germania, gli europei, con il trattato di Maastricht (1992), grazie al quale disponiamo della moneta unica, ebbero l’impressione di avere ormai imboccato, con passo spedito, la strada dell’integrazione politica. Ma forse gli storici futuri giudicheranno Maastricht in un altro modo: come il canto del cigno dell’integrazione europea. Abbiamo interdipendenza economica e mercato unico. Ma non sappiamo per quanto tempo ancora.
Riassumendo, mutamenti negli equilibri internazionali di potenza combinati a una forte polarizzazione, una divisione acuta, che sembra destinata a durare, all’interno della democrazia statunitense, non garantiscono che in futuro l’Europa potrà godere ancora a lungo della protezione americana. In questa eventualità, servirebbe una integrazione politica e militare. Ma, per le ragioni dette, quella strada appare bloccata. Naturalmente, e forse per fortuna, per quanti sforzi si facciano per prefigurare gli scenari del futuro, la storia resta imprevedibile. Magari nuovi ed inaspettati eventi mostreranno possibile ciò che ora non sembra esserlo. Tenuto conto di quanto grande sia la posta in gioco per noi europei, non possiamo smettere di augurarcelo.
L'articolo La consapevolezza che manca agli Stati europei proviene da Fondazione Luigi Einaudi.
Ministero dell'Istruzione
🌊 Oggi, 11 aprile, si celebra la #GiornatadelMare. Il Ministero sarà a Genova il 14 aprile per festeggiare, insieme a 700 studenti e alla Guardia Costiera, questo evento.Telegram
L’era dell’Intelligenza artificiale tra competizione geopolitica e ingegneria sociale | L'Indipendente
"L’uso di algoritmi sempre più sofisticati ha portato al potenziamento del cosiddetto capitalismo della sorveglianza, ossia quel capitalismo che sfrutta i dati a disposizione provenienti dal web e non solo per profilare gli utenti, osservandone gusti, criteri, tendenze, comportamenti e cercando poi di modificarli e orientarli attraverso tecniche precise. Ciò significa che la tecnologia, e il suo processo illimitato di sviluppo, non tiene conto delle reali esigenze dell’uomo, ma le induce artificialmente. Di conseguenza, essa non è più un mezzo a disposizione dell’individuo per raggiungere determinati fini, ma diventa – con la sua sola presenza – in grado di dettare fini e bisogni, in un capovolgimento di prospettiva in cui la tecnica diventa soggetto e l’uomo oggetto."
Fair weather
When we walk, side by side, like brothers
Oh, glory will stand up and whirl
Then Gabriel will blow as he never has blown before
There'll be fair weather
Together
Side by side
It will know, that hate will die, and love will win
So go forth, heroes!
Peace on earth, and good will to all
Who make it divine and so real
Plant seeds for good deeds, like the trees and of course, love will grow!
Money doesn’t fit into the scheme of things
So how can a house be built on angel wings?
Fair weather
Together
Fair weather my friend
When we walk, side by side, like brothers
Oh glory will stand up and whirl
Then Gabriel will blow as he never has blown before
There'll be fair weather
Together
Fair weather my friend
- Herbie Hancock
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🎨 Quest’anno i nostri auguri sono realizzati in collaborazione con l’Istituto Comprensivo Statale Via Nitti di Roma.
Informa Pirata
Unknown parent • •L'autonomia strategica europea è scritta nero su bianco in un documento di quest'anno, ma che due leader la tirino fuori in questa fase è chiaramente qualcosa che va oltre l'occasionalità
Informa Pirata
Unknown parent • •