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Thailandia, le opposizioni vincono le elezioni alla Camera


I partiti di opposizione in Thailandia hanno vinto le elezioni per il rinnovo della Camera, segnando la possibile fine del governo imposto dall'esercito dopo il colpo di stato L'articolo Thailandia, le opposizioni vincono le elezioni alla Camera proviene

di Redazione

Pagine Esteri, 15 maggio 2023 – I partiti di opposizione in Thailandia hanno vinto le elezioni per il rinnovo della Camera, segnando la possibile fine del governo del primo ministro Prayuth Chan-ocha, ex generale ed ex capo dell’Esercito al potere da quasi nove anni, dopo il golpe militare che nel 2014 pose bruscamente fine al governo della premier Yingluck Shinawatra.
Con l’84,5% delle schede scrutinate, il movimento di opposizione antimonarchico Move Forward – guidato dal 43enne imprenditore Pita Limjaroenrat – ha ottenuto 151 seggi, divenendo il primo partito dell’assemblea. Altri 141 seggi vanno al Pheu Thai, la forza politica guidata dalla 36enne Paetongtarn Shinawatra, nipote di Yingluck e figlia maggiore dell’ex primo ministro Thaksin Shinawatra, deposto a sua volta da un colpo di Stato militare nel 2006, e in esilio autoimposto dal 2008. Il Palang Pracharat del primo ministro uscente Prayuth si è piazzato solo quarto, con 42 seggi. I due partiti vincitori, che si ritiene possano trovare un’intesa di governo, totalizzerebbero quasi 300 deputati, su un totale di 500. Una posizione di controllo che potrebbe uscire ulteriormente rafforzata nel caso in cui alla coalizione aderisse anche il partito Bhumjaithai, arrivato terzo con 68 seggi.

Il voto serviva a d eleggere i membri della camera bassa dell’Assemblea nazionale, da cui dipenderanno la nomina del prossimo capo di governo e l’indirizzo politico ed economico del Paese per i prossimi quattro anni. Molti thailandesi ritengono le votazioni una scelta di campo tra il pieno ripristino delle istituzioni democratiche e il mantenimento del governo delle forze armate. Queste ultime esercitano tuttora una fortissima influenza sulla politica thailandese, grazie alla vicinanza alla monarchia e alle disposizioni della Costituzione scritta e approvata dalla giunta militare nel 2017, prima di un ritorno alle urne che consentì a Prayuth di restare al potere dismettendo la divisa militare e indossando i panni del leader politico.

L’elezione dei 500 deputati della camera bassa avviene sulla base di un sistema elettorale misto: 350 deputati vengono eletti in altrettanti collegi uninominali, mentre i rimanenti 150 seggi vengono assegnati secondo criteri di rappresentanza proporzionale. Il voto per l’elezione del prossimo capo del governo si terrà probabilmente in agosto, e il premier sarà eletto dalle due camere in seduta congiunta: la Costituzione del 2017 non prevede però alcuna elezione per i 250 membri del Senato, che sono stati nominati dal Consiglio nazionale per la pace e l’ordine, la giunta che ha governato la Thailandia tra il 2014 e il 2019. – Pagine Esteri

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Ilan Pappè: verità sulla Nakba


Studi accademici dimostrano l'incontestabilità di quanto avvenuto nel 1948: l'espulsione forzata di centinaia di migliaia di palestinesi, spiega lo storico Ilan Pappè. Israele ha un'altra narrazione L'articolo Ilan Pappè: verità sulla Nakba proviene da P

di Michele Giorgio

Questa intervista è stata pubblicata il 14 maggio 2023 dal quotidiano Il Manifesto

ilmanifesto.it/la-verita-sulla…

Pagine Esteri, 15 maggio 2023 – Nei giorni in cui Israele celebra la sua fondazione 75 anni fa, i palestinesi sono impegnati con raduni, sit in, conferenze, dibattiti a tenere viva la memoria della Nakba, la loro «catastrofe nazionale» parallela alla nascita dello Stato ebraico nel 1948. Una memoria fatta di esilio per centinaia di migliaia di uomini, donne e bambini diventati profughi in campi allestiti nei paesi arabi vicini, di case e terre perdute e poi confiscate, di famiglie divise per sempre. Eppure, per quanto sia sempre viva e duratura tra i palestinesi, più parti, non solo Israele, spingono per spegnerla, per impedire che sia riconosciuta e prenda il posto che merita nella storia. Ne abbiamo parlato con lo storico Ilan Pappè, docente all’Università di Exeter, autore di saggi sulla storia di Israele e della Palestina tradotti in molte lingue.

Professor Pappè perché la Nakba viene oscurata, perché è sempre più difficile parlarne in pubblico?

Prima di spiegarne le ragioni chiariamo che le ricerche storiche fatte con professionalità a partire dagli anni ’80 da alcuni storici israeliani e stranieri e quelle realizzate prima di allora dagli storici palestinesi, hanno ottenuto risultati incontestabili sulla Nakba e le sue conseguenze. Studi e ricerche hanno documentato anche la pulizia etnica fatta da Israele nel 1948 (a danno dei palestinesi, ndr). Questi risultati, e rispondo alla domanda, contraddicono completamente la narrazione ufficiale israeliana ad uso interno ed internazionale. Mi riferisco alla versione che vuole l’esercito «più morale al mondo» impegnato nel 1948 a difendere Israele contro l’intero mondo arabo, alla tesi secondo cui gli arabi avrebbero chiesto ai palestinesi di abbandonare la loro terra mentre gli israeliani avevano chiesto loro di rimanere. E all’idea che Israele non ha avuto alcuna responsabilità nelle vicende del 1948 di cui sono stati vittime i palestinesi. In sostanza per questa narrazione, non c’è stata la Nakba. Le ricerche storiche ci hanno detto che tutto ciò è una pura fabbricazione. E che l’espulsione dei palestinesi, allora come oggi, è un crimine contro l’umanità. La preoccupazione delle autorità israeliane è che diffondendo, discutendo e analizzando gli esiti degli studi fatti dagli storici si ponga una questione morale sulla fondazione dello Stato di Israele. Se si comincia con questi interrogativi si arriva a sollevare una questione morale sull’intera impresa sionista (in Palestina, ndr) e a chiedersi perché il mondo ha permesso l’espulsione dei palestinesi.

Come spiega l’atteggiamento di varie istituzioni internazionali nonché di governi e partiti politici occidentali, di ferma opposizione, oggi più che in passato, al riconoscimento della Nakba?

Credo che tutte queste parti internazionali, occidentali, non intendano entrare in conflitto con Israele ed esporsi al rischio di accuse di antisemitismo che sempre più spesso sono rivolte a chi critica e solleva dubbi. Vanno considerati inoltre i rapporti economici, le vendite di armi, le relazioni di sicurezza con Israele. Quindi è molto più semplice ignorare la Nakba, zittire i palestinesi e negare la loro narrazione oltre che le loro aspirazioni. Allo stesso tempo la società civile occidentale è sempre più consapevole della Nakba e di quanto accade oggi nei Territori palestinesi occupati e si aspetta che i governi adottino delle politiche concrete contro la negazione dei diritti e di condanna di abusi e violazioni.

A livello accademico qual è oggi la consapevolezza della Nakba.

In termini generali si osserva da tempo un progresso un po’ ovunque. Tante università importanti, negli Usa e in Gb, nell’ambito di corsi di studi e seminari su Israele e palestinesi, hanno svolto ricerche sulla Nakba in modo corretto e professionale. Questo vale anche per l’Italia, la Spagna e la Scandinavia. All’Istituto Orientale di Napoli, ad esempio, ho apprezzato l’accuratezza del programma di studi su questi temi. Non mancano però all’interno delle università le attività di docenti che cercano boicottare questi lavori e di imporre la versione tradizionale degli avvenimenti del 1948 pur sapendo che contraddice la storia accertata in modo professionale dai loro colleghi. Da questo punto di vista penso che Francia e Germania siano i paesi più problematici.

Come giudica la linea fortemente pro-Israele dei partiti di destra che oggi governano in diversi paesi europei.

Per questi partiti accettare la narrazione ufficiale del 1948 e la versione di Israele di quanto accade oggi, vuol dire lavare e rendere bianco il proprio passato nero. Impressiona come alcuni di questi partiti che erano antisemiti e hanno sostenuto, persino partecipato, al genocidio degli ebrei, siano oggi i più accaniti sostenitori di Israele. Più hanno collaborato con il Nazismo e più appoggiano le politiche di Israele nei confronti dei palestinesi. Questi partiti, peraltro, sono islamofobici e per Israele è facile convincerli che non sta impedendo a un popolo di liberarsi dall’occupazione militare e che invece sta combattendo contro organizzazioni islamiche fanatiche.

Israele ha festeggiato qualche settimana fa, sulla base del calendario ebraico, il suo 75esimo compleanno mentre è nel pieno di una frattura interna alla sua maggioranza ebraica a causa della riforma giudiziaria avviata dal governo Netanyahu. Come legge le manifestazioni di massa a difesa della separazione dei poteri e della Corte suprema che vanno avanti da mesi.

È in atto uno scontro tra due modelli di nazionalismo. Le differenza è questa. Il primo, quello che porta avanti le proteste contro la riforma giudiziaria, vuole conservare il modello sostanzialmente laico, fondato su ciò che definisce una democrazia ebraica, precedente alla nascita, avvenuta alla fine dello scorso anno, del governo di destra estrema ora in carica. I suoi sostenitori accettano solo la bandiera israeliana alle manifestazioni, per affermare il carattere nazionalista della protesta contro il governo. Il secondo modello non punta alla difesa dei principi democratici, piuttosto vuole ridefinire l’Ebraismo nel 2023 e ritiene centrale dare un fondamento più religioso alla società israeliana. Entrambi però non mettono in discussione in alcun modo l’apartheid che viene praticato contro i palestinesi sotto occupazione militare e quelli con cittadinanza israeliana. Seguendo come i media hanno riferito sino ad oggi della spaccatura in atto in Israele, sono sorpreso che tanti giornalisti stranieri, anche quelli più esperti, non abbiano colto questi elementi politici ed ideologici tanto evidenti.

Questo è il presente, cosa vede in futuro?

Nel futuro immediato vedremo più repressione e più discriminazione nei confronti dei palestinesi e persino contro la minoranza di ebrei che si batte per la giustizia e i diritti. Si creeranno però più fratture e contraddizioni nel sistema con sviluppi significativi nella società civile locale e internazionale per la lotta all’apartheid. Ci vorrà del tempo ma non si potranno impedire i cambiamenti che da sempre attendono i palestinesi. Pagine Esteri

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Gli USA accusano il Sudafrica di armare la Russia


L’ambasciatore degli Stati Uniti in Sudafrica, Reuben Brigety, ha accusato le autorità di Pretoria di aver fornito armi alla Russia violando le sanzioni imposte a Mosca L'articolo Gli USA accusano il Sudafrica di armare la Russia proviene da Pagine Ester

di Redazione

Pagine Esteri, 12 maggio 2023 – L’ambasciatore degli Stati Uniti in Sudafrica, Reuben Brigety, ha accusato le autorità di Pretoria di aver fornito armi alla Russia utilizzando una nave cargo “segretamente attraccata” per tre giorni presso una base navale nei pressi di Città del Capo, lo scorso dicembre.

In una dichiarazione rilasciata all’emittente locale “News24”, Brigety ha affermato che gli Stati Uniti sono “sicuri” che le armi siano state caricate sulla nave Lady R – soggetta a sanzioni da parte degli Usa – mentre si trovava presso la base navale di Simon’s Town, e trasportate in Russia. L’ambasciatore ha aggiunto che una fornitura di armi a Mosca da parte del Sudafrica, durante la guerra in Ucraina, rappresenta una questione “estremamente seria” perché mette in dubbio la posizione neutrale adottate da Pretoria relativamente al conflitto tra Kiev e Mosca.

«La nave è rimasta attraccata presso la base navale di Simon’s Town dal 6 all’8 dicembre del 2022, ed è stata utilizzata per trasportare armi alla Russia», ha detto Brigety durante una conferenza stampa a Pretoria. Rispondendo ad un’interrogazione parlamentare, invece, il presidente sudafricano Cyril Ramaphosa ha dichiarato che il governo del Sudafrica sta indagando sulla vicenda. «Siamo tutti a conoscenza delle notizie circolate e l’intera questione è in fase di esame. Lasciamo che l’indagine porti i suoi risultati. La questione è in fase di esame e col tempo saremo in grado di parlarne» ha affermato il capo dello Stato della Repubblica Sudafricana.

Secondo quanto riferito da fonti citate dal “Financial Times”, la nave – di proprietà di Transmorflot, una società che dallo scorso anno è sottoposta a sanzioni da parte degli Stati Uniti – la Lady R avrebbe spento il suo transponder mentre faceva scalo a Città del Capo dopo un viaggio lungo la costa occidentale dell’Africa. Dopo che la nave ha lasciato il porto, il ministero della Difesa sudafricano non ha fornito dettagli su ciò che la nave trasportasse.

Nel gennaio scorso il governo di Pretoria ha ufficialmente negato di aver approvato qualsiasi vendita di armi alla Russia da quando Mosca ha iniziato la sua invasione su vasta scala dell’Ucraina nel febbraio del 2022. Il Sudafrica ha dichiarato ufficialmente di essere neutrale nel conflitto in Ucraina, tuttavia ha subito numerose critiche per le sue consistenti relazioni con Mosca, in particolare per le esercitazioni navali congiunte con Russia e Cina condotte a febbraio al largo delle proprie coste.

Ramaphosa, inoltre, ha anche esteso l’invito al presidente russo Vladimir Putin a partecipare al prossimo vertice dei leader dei Brics in programma a Johannesburg ad agosto, una mossa che ha generato un acceso dibattito.
Il Sudafrica, che membro della Corte Penale Internazionale, sarebbe infatti legalmente obbligato ad arrestare Putin se si recasse nel Paese, dopo che il leader della Federazione Russa è stato condannato per la deportazione di un certo numero di bambini ucraini. Tuttavia di recente il Congresso nazionale africano (Anc) – movimento al governo in Sudafrica – ha stabilito che il governo debba ritirarsi dall’organismo.

La maggior parte dei paesi africani non ha esplicitamente condannato l’invasione russa dell’Ucraina, o comunque non ha aderito alle sanzioni comminate contro Mosca dagli Stati Uniti e dall’Unione Europea. Da parte sua la Federazione Russa sta aumentando gli investimenti in alcuni paesi africani mentre la compagnia militare privata Wagner è ormai presente in numerosi territori del continente, affiancando le forze regolari di vari governi contro l’insorgenza jihadista o sostenendo i ribelli in armi contro governi invisi.

Negli ultimi mesi Washington ha lanciato una grande offensiva diplomatica e commerciale nel continente africano tentando così di recuperare un ruolo centrale e di rintuzzare la crescente egemonia cinese e russa. – Pagine Esteri

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Stefania Brai* C’è stato un tempo in cui gli autori denunciavano e lottavano contro ogni forma di censura: quella cinematografica, quella della Rai,

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La Difesa è il pilastro della pace. Cosa si è detto al think tank di Crosetto


Il lavoro delle Forze armate è il presupposto della sicurezza e il pilastro su cui poggiano democrazia e pace e per questo, però, è necessario comunicarlo e far conoscere alla società civile il lavoro della Difesa. Questo il cuore del discorso del ministr

Il lavoro delle Forze armate è il presupposto della sicurezza e il pilastro su cui poggiano democrazia e pace e per questo, però, è necessario comunicarlo e far conoscere alla società civile il lavoro della Difesa. Questo il cuore del discorso del ministro della Difesa, Guido Crosetto, che ha da poco presieduto la riunione di insediamento del Comitato per lo sviluppo e la valorizzazione della cultura della Difesa a Palazzo Esercito, insieme al capo di Stato maggiore della Difesa, ammiraglio Giuseppe Cavo Dragone, il Segretario generale della Difesa, generale Luciano Portolano, e i vertici di tutte le articolazioni delle Forze armate, Esercito, Marina, Aeronautica, Carabinieri. In risposta ai repentini cambiamenti imposti dall’attuale quadro geostrategico sempre più complesso, l’obiettivo del Comitato è promuovere la cultura della Difesa attraverso un approccio nuovo e comunicare quello che rappresenta il sistema-Difesa a servizio del Paese.

Per una cultura della Difesa

Il comitato riunisce esponenti non solo del mondo militare, anzi, è pensato esattamente per aprire il più possibile il dibattito sulla cultura della Difesa all’interno della società italiana. Rappresentanti delle università, centri di ricerca, accademia, mondo della cultura e dell’informazione, dell’industria e dell’economia, costruiranno un dialogo serrato per consentire alla Difesa di “essere sempre un passo in avanti” nel discorso pubblico nazionale. “Oggi inizia un percorso di contaminazione biunivoca e virtuosa” ha detto il ministro, “questo deve essere un luogo di ascolto e un tavolo di dialogo per promuovere le Forze Armate e i loro valori”. Non solo missioni operative ma anche tecnologia, cultura e formazione, rispetto dei diritti e tutela dell’ambiente e del nostro patrimonio culturale, capacità empatica e generosità dei nostri uomini e donne in divisa che offrono il loro servizio nelle missioni all’estero e nella difesa del Paese.

La Difesa è uno strumento per perseguire la pace

“Quasi tutti pensiamo che la Difesa sia fatto importante, ma difficilmente si riesce a spiegare i motivi per i quali uno Stato moderno debba promuovere e garantire un proprio sistema di difesa efficiente, quali sono le ricadute industriali e tecnologiche, occupazionali o di ricerca scientifica ad esempio”. A dirlo in esclusiva ad Airpress è il segretario generale del Comitato Filippo Maria Grasso, direttore Relazioni istituzionali di Leonardo. “È la prima volta che il ministero della Difesa decide di avvalersi di un Comitato per trovare un momento di riflessione su come sono considerate e proposte le molte sfaccettature che questo mondo offre al servizio del Paese – ha continuato Grasso – Ragionare della Difesa non è un mezzo per promuovere l’intervento militarista. Non premia vocazioni bellicistiche. Tutt’altro. In Italia la difesa, senza se e senza ma, è uno strumento per perseguire la pace, lo sviluppo e la promozione delle nostre dimensioni di comunità. Questo è lo spirito con cui credo si sia voluto istituire questo Comitato, per trovare uno spazio nel quale fermarsi a riflettere su un aspetto così centrale eppure poco valorizzato del nostro Paese”.

I membri del Comitato

A formare il Comitato, presieduto dal ministro stesso, sono il presidente dell’Ansa Giulio Anselmi; l’economista Geminello Alvi; lo scrittore Pietrangelo Buttafuoco; la storica dell’arte Anna Coliva; il consigliere del ministro Pier Domenico Garrone; il professore di scienze e tecnologie aerospaziali del Politecnico di Milano Michèle Roberta Lavagna; il presidente dell’Associazione Produttori Audiovisivi Giancarlo Leone; l’editorialista Angelo Panebianco; il direttore dell’Alta scuola di Economia e relazioni internazionali dell’Università cattolica del Sacro Cuore professor Vittorio Emanuele Parsi; il segretario generale dell’Aspen Institute Angelo Maria Petroni; l’editorialista Gianni Riotta; il direttore de Il Sole 24 ore Fabio Tamburini; il presidente dell’associazione Big Data professore Antonio Zoccoli e il direttore Relazioni istituzionali di Leonardo Filippo Maria Grasso.


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Agenda della settimana


Quali sono i principali appuntamenti della settimana che sta per iniziare? Cosa farò? Quali saranno le sfide principali all’orizzonte… Mercoledì 17 maggio dalle 12.00 alle 12.45, nell’ambito delle iniziative organizzate per Forum PA 2023, parteciperò al panel “Digitalmente inclusivi: combattere le disuguaglianze attraverso l’alfabetizzazione digitale”, organizzato dal Miur. Per info qui. Giovedì 18 maggio... Continue reading →


Mini-naja? Meglio un servizio civile con regole militari. Parla il gen. Arpino


Ripristinare la leva militare? Un tema che spesso riaffiora e che sembra piacere all’attuale esecutivo. Il presidente del Consiglio Giorgia Meloni, durante la 94esima adunata nazionale degli alpini a Udine, ha precisato che quello della leva “è un tema ch

Ripristinare la leva militare? Un tema che spesso riaffiora e che sembra piacere all’attuale esecutivo. Il presidente del Consiglio Giorgia Meloni, durante la 94esima adunata nazionale degli alpini a Udine, ha precisato che quello della leva “è un tema che si può affrontare come ipotesi volontaria al servizio civile”. L’idea trova pieno appoggio nelle parole del presidente del Senato, Ignazio La Russa che vorrebbe una “mini naja” di 40 giorni. Ma siamo sicuri che sarebbe una strada percorribile? “Sarebbe meglio istituire un servizio civile, con regole militari che introduca tra i giovani valori, rigore e spirito di sacrificio, magari che includa attività organizzate da ex militari. Ma serve più tempo, non bastano 40 giorni”. La pensa così il generale Mario Arpino, già capo di Stato maggiore della Difesa e dell’Aeronautica.

Generale Arpino, immaginare una “mini naja” su base volontaria non sarebbe una strada percorribile?

La reintroduzione di questa mini-leva non servirebbe alle forze armate. Peraltro attualmente non ci sarebbero neanche più le strutture per organizzare un percorso di questo genere. Anche se, da parte del governo, penso che il problema si sia posto più sul versante educativo per i giovani.

Cosa intende dire?

Di fronte al precipizio culturale, è legittimo ed è apprezzabile l’intendimento dell’esecutivo. Anche se le forze armate non potrebbero svolgere un’azione sostitutiva delle agenzie educative, visto e considerato che i militari sono molto impegnati in altro. Servirebbe invece un servizio civile, magari con attività svolte e organizzate da ex militare, per instradare i giovani sulla via dei valori, del rigore e della disciplina. Ma non basterebbero certo 40 giorni.

Secondo lei di quanto tempo necessiterebbe questo percorso?

Ci vorrebbero dai tre ai sei mesi per incidere profondamente nelle coscienze. In questo modo si potrebbero educare i ragazzi allo spirito di sacrificio. Riconosco, insomma, l’esigenza di fare qualcosa per le nuove generazioni.

In che modo li impiegherebbe?

Ad esempio sarebbe interessante che i ragazzi prestassero servizio negli hub per l’accoglienza dei migranti. Un servizio dei giovani italiani in favore dei profughi. Sarebbe un grande insegnamento: servire gli altri e non se stessi.

Secondo lei una leva volontaria come immaginata dal governo non garantirebbe un ringiovanimento delle forze armate?

Il turnover è garantito e mi pare che le regole attuali abbiano dimostrato la loro efficacia. Non c’è nulla da toccare in questo senso. Più che altro i militari andrebbero impiegati per i compiti operativi anziché adoperati in maniera impropria.

A cosa si riferisce in particolare?

Quando i militari vengono impiegati per fare i piantoni davanti agli uffici, direi che il compito è improprio rispetto alla loro formazione e vocazione.


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La Difesa Ue scalda i motori, letteralmente. Il punto dell’ing. Scarpa (AvioAero)


Di fronte alle sfide e alle necessità del futuro, è indispensabile che i programmi per la Difesa, in particolare quelli internazionali, adottino una visione di lungo periodo, che identifichi i requisiti necessari alle piattaforme del domani per poter proc

Di fronte alle sfide e alle necessità del futuro, è indispensabile che i programmi per la Difesa, in particolare quelli internazionali, adottino una visione di lungo periodo, che identifichi i requisiti necessari alle piattaforme del domani per poter procedere allo sviluppo delle soluzioni tecnologiche adeguate. Nel campo aeronautico, le attività sempre più complesse che i mezzi saranno chiamati a svolgere richiederanno strumenti all’avanguardia per la gestione dell’energia, dalla propulsione al funzionamento di tutti i sistemi di bordo. L’Unione europea, attraverso il Fondo europeo della Difesa, sta procedendo in questo settore con diverse iniziative, da quello per l’elicottero di nuova generazione, l’Eu Next Generation Rotorcraft Technologies Project (Engrt), al progetto Novel energy and propulsion systems for air dominance (Neumann). Airpress ha parlato di queste iniziative con Pierfederico Scarpa, vice presidente Strategy, marketing e sales di Avio Aero, azienda che parteciperà alla definizione del sistema propulsivo dell’Engrt e che coordina il progetto Neumann. Stiamo assistendo ai festeggiamenti per il centenario dell’Aeronautica militare, dove si è vista la Forza aerea fortemente proiettata al futuro.

L’importanza del dominio aereo è riconosciuta anche a livello europeo. Tra i progetti finanziati dall’Ue tramite il Fondo europeo della Difesa, spicca quello per l’elicottero di nuova generazione, l’Eu Next Generation Rotorcraft Technologies Project. Di cosa si tratta?

Bisogna innanzitutto dire che questo programma non è ancora di produzione, e nemmeno di sviluppo. È un programma prodromico a queste fasi. Spesso ci si dimentica che certi ragionamenti hanno bisogno di tempi e di fasi iniziali indispensabili alla buona riuscita, poi, del progetto concreto. In questo caso, dunque, bisogna dare adito alla visione lungimirante della Commissione europea, e di quanto c’è dietro al Fondo europeo per la Difesa. Stiamo parlando, dunque, di definire i requisiti, operativi prima e tecnologici poi, che a loro volta influenzeranno lo sviluppo del progetto. L’obiettivo è andare ad analizzare quali sono i gap capacitivi rispetto ai futuri profili di missione, e da lì si comincia a impostare il lavoro affinché si arrivi poi alla definizione delle soluzioni necessarie per colmare questi “vuoti”.

Che ruolo giocherà Avio Aero nel progetto?

Com’è giusto che sia, capofila del progetto saranno gli airframer, coloro che definiranno e integreranno il sistema velivolo, Leonardo e Airbus Helicopters. Avio Aero, dunque, parteciperà alla definizione del sistema propulsivo, insieme agli altri motoristi europei come ITP, MTU Aero, Safran Helicopter Engines e Rolls-Royce Deutschland, tutte aziende con le quali già collaboriamo in altri programmi. In questa fase, dunque, ci supporteremo a vicenda per tradurre i requisiti operativi in tecnologie e caratteristiche di prodotto, cioè il motore, in linea con quanto emerso. Per noi è sicuramente una partecipazione importante e per nulla scontata. È indicativa di un percorso di crescita che ha fatto l’azienda e che ci consente oggi di poter dire la nostra in modo qualificato, grazie alle nostre competenze ingegneristiche e tecnologiche.

Tra l’altro l’azienda è presente anche in altri programmi all’avanguardia…

A livello europeo la versione militare del nostro motore turboelica Catalyst è stata selezionata nel marzo 2022 da Airbus Defense & Space per la motorizzazione dell’EuroDrone. Inoltre, siamo il partner europeo di riferimento per lo sviluppo del sistema propulsivo del caccia di sesta generazione che sarà realizzato all’interno del Global combat air programme (Gcap), dove siamo impegnati con Rolls-Royce e IHI Corporation. Una presenza frutto di una trasformazione che negli ultimi anni ci ha portato a diventare una delle principali aziende della propulsione europee. Sono tutti progetti all’avanguardia e sulla frontiera dell’evoluzione tecnologica nel campo della propulsione del futuro.

Per sviluppare sistemi aerei sempre più all’avanguardia, uno degli aspetti principali è rappresentato dalla propulsione. Come dovranno essere i motori del futuro?

Bisogna partire dalla premessa che l’obiettivo è quello di cercare di capire dove la tecnologia sarà tra qualche anno. Se vogliamo essere leader, e non follower, dovremo infatti contribuire a spostare la frontiera dell’innovazione, che abbiamo menzionato poco fa, sempre un po’ più in là. Si parla ormai di power and propulsion systems, concetto che prevede un maggior accoppiamento tra il motore aeronautico e la produzione di energia elettrica. Le varie piattaforme necessitano infatti di energia dal momento che i motori, oltre ad assolvere al compito di fornire la spinta necessaria al volo, dovranno sempre più produrre energia per i diversi sistemi installati sul velivolo. L’effetto collaterale è una maggiore produzione di calore, che dovrà essere smaltito attraverso dei sistemi di gestione termica (power and thermal management system), che sono in continuo sviluppo e miglioramento.

Sul tema della propulsione, Avio Aero coordina il progetto europeo Neumann. Come si articoleranno le fasi dell’iniziativa e quali sono gli obiettivi della società?

Per noi il progetto Novel energy and propulsion systems for air dominance (Neumann) è una vera punta d’orgoglio: coordiniamo un consorzio formato da 37 partner europei, composto da aziende, Pmi, università e centri di ricerca. Il budget stanziato dall’Unione Europea per il progetto è di circa 56 milioni di euro, che lo rende il più grande consorzio finanziato dal Fondo europeo della Difesa. L’obiettivo è quello di sviluppare tecnologie proprietarie europee per far fronte ai requisiti per i sistemi propulsivi di nuova generazione. Ricordiamoci che in Europa stiamo passando dalla quarta generazione (Eurofighter e Rafale) direttamente alla sesta, dal momento che l’F-35 non è stato sviluppato in Europa. Dai progetti degli anni Ottanta, quindi, il Vecchio continente si trova a fare un salto tecnologico importante. Non è una cosa banale, dato che le nuove piattaforme richiederanno sempre maggiore energia, anche perché si tratterà di “system of systems”. In questo senso, aver coinvolto nel progetto Neumann anche degli airframer ci permetterà di lavorare in maniera integrata, interfacciando i sistemi che dovranno operare insieme ai velivoli.

Sistemi e piattaforme del futuro dovranno tenere in conto sia le difficoltà legate a una supply chain resa più fragile da uno scenario globale più complesso, sia il necessario livello di sostenibilità dei sistemi stessi. Quali potrebbero essere possibili soluzioni?

Il discorso di filiera è sicuramente importante e delicato. Il conflitto in Ucraina è infatti intervenuto su un sistema già fragilizzato dalla pandemia da Covid. Questo, tuttavia, ha contribuito ad accendere i riflettori su due elementi strategici della supply chain: la dipendenza dall’estero e la resilienza della filiera. Il tema della dipendenza, naturalmente, implica che al momento molte delle cose che ci servono dobbiamo comprarle fuori dall’Europa. Quello della resilienza, invece, misura la capacità del sistema di assorbire gli impatti. I fatti hanno purtroppo evidenziato che eventi che si ritenevano impensabili sono invece possibili. Dobbiamo allora considerare che, se la forza di una catena è data dal suo anello più debole, la supply chain della Difesa ha moltissimi anelli, sui quali bisogna agire per renderli sempre più capaci di resistere alle crisi. Le grandi aziende devono assumere un ruolo di guida e fare da catalizzatrici per una maggiore integrazione della filiera, ai fini di potenziarla e renderla resiliente di fronte alle sfide del futuro.


formiche.net/2023/05/difesa-ue…



Si chiama Echo, è israeliano e potrebbe essere l’incubo peggiore per la nostra privacy


L’idea è tanto semplice quanto pericolosa: acquistare e processare i dati personali che ciascuno di noi abbandona online, per poi rivenderli ad agenzie di intelligence e forze di polizia di mezzo mondo Potete leggere l’articolo completo qui huffingtonpost.it/rubriche/gov…


guidoscorza.it/si-chiama-echo-…

in reply to Informa Pirata

@Shamar@qoto.org

😂

Mettiamo un po' d'ordine: le "Licenze Rompi Cazzi" dette anche RCL hanno tre varianti:

RCL.1 — è la meno stringente, chiunque (essere umano o macchina) può leggere e usare il contenuto come gli pare ma se lo deve scordare dopo 2 minuti, una macchina la può solo tenere per il tempo consentito nella memoria RAM; in aggiunta non può essere letto o analizzato due volte di seguito nello stesso giorno. La RCL.1H è una variante specifica che si applica solo agli esseri umani e congiuntamente alla RCL.3.

RCL.2 — è la RompiCazzi per definizione: un AI e qualsiasi altro strumento surrogato, diretto e indiretto, non può usare il tuo contenuto per nessuna ragione, nemmeno se viene autorizzato dallo stesso autore, "ex ante" ed "ex post".

RCL.3: è una estensione della seconda, e oltre ad applicare la RCL 2, vieta a qualunque essere umano e a qualunque macchina di divugarne il contenuto ad un'altra AI e surrogati. Quando lo si divulga ad altro essere umano si può decidere di applicare una RCL.1H.

Questa voce è stata modificata (2 anni fa)

Maronno Winchester reshared this.

in reply to ❄️ freezr ❄️

@freezr

La #HackingLicense è più subdola: puoi farci quello che vuoi, ma tutto ciò che produci (incluso l'output o un "modello AI") deve essere distribuito sotto la stessa licenza.

monitora-pa.it/LICENSE.txt

@informapirata

Informa Pirata reshared this.



Le iniziative delle altre Autorità


Come collaborano gli altri: la prima istruttoria congiunta dei Garanti australiano e neozelandese Il Garante per la privacy austrialiano (OAIC) e quello neozelandese (OPC) hanno avviato, per la prima volta, un un’istruttoria congiunta. Nel mirino delle due autorità, la gestione di un data breach da parte del gruppo societario Latitude, che si occupa di servizi... Continue reading →


I rifugiati del Tigray affrontano nuovi terrori dopo essere scampati da una guerra genocida in Etiopia


Vivendo nei campi delle Nazioni Unite in un Sudan in rapido collasso, i rifugiati dall’Etiopia vengono rapiti, portati attraverso il Sahara e torturati per ottenere un riscatto, in una brutale industria multimilionaria. L’incubo di Selassie iniziò quando

Vivendo nei campi delle Nazioni Unite in un Sudan in rapido collasso, i rifugiati dall’Etiopia vengono rapiti, portati attraverso il Sahara e torturati per ottenere un riscatto, in una brutale industria multimilionaria.
Rifugiati nell'insediamento di Um Rakuba nel sud-est del Sudan. Fotografia: Ed Ram
Rifugiati nell’insediamento di Um Rakuba nel sud-est del Sudan. Fotografia: Ed Ram
L’incubo di Selassie iniziò quando uomini che si dicevano contadini lo presero, promettendogli lavori agricoli.

Dopo essere riuscito a lasciarsi alle spalle la violenza della guerra civile nella sua regione natale del Tigray , nel nord dell’Etiopia, alla fine del 2020, aveva svolto diversi lavori occasionali, raccogliendo sorgo e scavando canali di irrigazione per gli agricoltori vicino a Tunaydbah, un campo profughi nel sud- Sudan orientale.

Questa volta, dopo che Selassie e altri profughi sono saliti a bordo del camion, sono stati condotti nel profondo del deserto, dove i cosiddetti contadini hanno incontrato complici armati di AK-47. È stato solo allora che “ci siamo resi conto di essere stati rapiti”, dice.

Da lì, i profughi sono stati trafficati a nord, fino al confine libico, e venduti a un’altra banda. Nel corso dell’anno successivo, Selassie è stato trattenuto con altri rifugiati provenienti da Somalia, Eritrea ed Etiopia , torturata quasi quotidianamente e trasferita in una serie di angusti magazzini senz’aria nel deserto.
Il campo di Tunaydbah ospita 23.000 rifugiati del Tigray. Fotografia: Ikram N'gadi/MSF
Il campo di Tunaydbah ospita 23.000 rifugiati del Tigray. Fotografia: Ikram N’gadi/MSF
I trafficanti si sono rifiutati di rilasciarlo fino a quando la sua famiglia non ha pagato un riscatto di $ 6.000 (£ 4.800). Dopo che è stato pagato, invece di rilasciarlo, la banda lo ha semplicemente venduto ad altri, che hanno chiesto altri $ 2.000. Dopo che è stato pagato, è stato nuovamente passato a un altro gruppo di rapitori, che ha chiesto la stessa somma.

“Non pensavo che ne sarei uscito vivo”, dice Selassie.

La sua esperienza non è unica. Attivisti e altri tigrini hanno riferito al Guardian che i trafficanti depredano le persone a Tunaydbah e Um Rakuba, due insediamenti che fanno parte di una serie di campi gestiti dalle Nazioni Unite e dal governo sudanese nel Sudan sud- orientale . Insieme, i campi ospitano 70.000 persone fuggite dal Tigray.

I rifugiati sono le ultime vittime della vasta e brutale industria del traffico di esseri umani del Sahara, che si ritiene valga centinaia di milioni di dollari all’anno, che si estende in tutta l’ Africa e intrappola coloro che fuggono da guerre, persecuzioni politiche e difficoltà economiche. Chi non può pagare i riscatti chiesti dalle bande non ha alcuna prospettiva di liberazione.

Alcuni tigrini sono stati rapiti da trafficanti, come Selassie. Altri venduti dai poliziotti sudanesi, che li avevano sorpresi a uscire dai campi senza permesso.

Selassie era originariamente fuggito dal Tigray dopo essere stato coinvolto nella violenza a Mai Kadra , dove lavorava come autista di trattori, nel novembre 2020. Pugnalato al petto e alla gamba, si è riempito le ferite con foglie e pezzi di vestiti strappati.
Sopravvissuti al massacro di Mai Kadra, nell'ospedale di Gondar, nel nord dell'Etiopia, nel 2020. Foto: Eduardo Soteras/AFP/Getty Images
Sopravvissuti al massacro di Mai Kadra, nell’ospedale di Gondar, nel nord dell’Etiopia, nel 2020. Foto: Eduardo Soteras/AFP/Getty Images
Dopo il suo rapimento da Tunaydbah, la guerra è scoppiata anche in Sudan mentre l’esercito nazionale e il gruppo paramilitare rivale delle Forze di supporto rapido combattono per il controllo. Gli aiuti si sono prosciugati ei rifugiati hanno iniziato a lasciare i campi in cerca di cibo e riparo, esponendosi a ulteriori predazioni mentre il Sudan crolla nell’illegalità.

Un operatore umanitario afferma che il problema della sicurezza dei rifugiati tigrini è stata sollevata con le Nazioni Unite, ma che non sono state prese misure per aiutare. “Non volevano davvero sentirne parlare, ad essere onesti. Sembrava che stessero chiudendo un occhio su alcuni chiari problemi di protezione dei rifugiati”.

I rifugiati tigrini rapiti prima dell’attuale conflitto in Sudan affermano di essere stati portati nei magazzini di Tazirbu, Bani Walid, Kufra e Brak al-Shati, città nel deserto libico, dove sono stati trattenuti insieme a migliaia di altri.

I trafficanti che chiedono il pagamento frustano le loro vittime sui piedi e sulle natiche con cavi e tubi dell’acqua di plastica, affermano diversi rifugiati. Alcuni sono stati bruciati con le sigarette. Selassie dice che i suoi aguzzini lo hanno coperto d’acqua e lo hanno sottoposto a scosse elettriche. Quando gli altri venivano portati fuori, poteva sentire le loro urla.

“Non c’era spazio, eravamo soffocati”, dice. “Le persone si ammalavano, tutti avevano i pidocchi. Le persone erano coperte di croste”.

Mentre si trovava in un magazzino, si è svegliato due volte per scoprire che la persona che dormiva accanto a lui era morta. “Ho visto molti corpi”, dice.

I rifugiati del Tigray in Sudan vengono trafficati a scopo di riscatto


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Due donne e un uomo del Tigray affermano di aver subito abusi sessuali dai loro carcerieri in Sudan e in Libia. Una dice che tutte le donne sono state stuprate nel magazzino dove era tenuta a Kufra da trafficanti libici ed eritrei.

“Ci hanno preso ogni volta che volevano”, dice. “Sono stata violentata diverse volte. Minacciavano di metterci incinta se non avessimo pagato”.

Il rifugiato maschio crolla al telefono mentre racconta il suo calvario in un complesso di Omdurman, la città gemella di Khartoum, la capitale del Sudan.

“Un giorno sono andato in bagno. Poi è venuto un ragazzo e mi ha portato in un’altra casa. C’era un altro ragazzo lì dentro. Mi ha tirato dentro e mi ha spinto giù, e io ero sul pavimento. Mi hanno violentato. Sono tornato in bagno e stavo contemplando il suicidio. Ho provato ad allacciarmi la cintura per uccidermi, ma l’uomo è entrato e mi ha fermato. Mi ha rinchiuso dove ero prima con le altre persone.”


All’interno dei magazzini del deserto libico, ai profughi veniva data pasta semplice e acqua salata. Spesso c’era solo cibo sufficiente per un pasto al giorno.

Yohannes, un saldatore di 22 anni di Wukro nel Tigray, parla dall’interno di un magazzino a Brak al-Shati, dove è detenuto con altri 300, per lo più eritrei. È stato malato di malaria e ha sviluppato piaghe su tutto il corpo.
Sulla strada per Tunaydbah nello stato sudanese di Gedaref. Fotografia: Ikram N'gadi/MSF
Sulla strada per Tunaydbah nello stato sudanese di Gedaref. Fotografia: Ikram N’gadi/MSF

“È un posto molto caldo”, dice. “Siamo stipati così fitti che non posso voltarmi. Sul pavimento non c’è spazio per sdraiarsi, possiamo solo dormire su un fianco. Non possiamo uscire perché la porta è chiusa. Non te ne vai se non paghi”.


Intrappolato per quasi due anni, Yohannes dice di non avere questa opzione. Nel tentativo di proteggere la sua famiglia, non ha detto loro dove si trova.

“Non ho i soldi, ecco perché sono qui da così tanto tempo”, dice. “Vengo da una famiglia povera… non ho contattato mia madre. Lei è malata.”

Un blackout delle comunicazioni imposto al Tigray durante la guerra significava che la maggior parte non poteva telefonare alle proprie famiglie per chiedere aiuto.

“Sono stato picchiato quando ho detto loro che non potevo chiamare il Tigray perché la rete è chiusa lì”, dice Keshi, uno studente di 21 anni, rapito dal campo di Tunaydbah nel giugno 2021. “Hanno detto: ‘No, stai mentendo a noi.’ Arrivavano ubriachi e ci picchiavano”.


Keshi è stato tenuto in una stanza senza finestre da qualche parte a Kufra. L’esperienza lo ha lasciato parzialmente cieco. “Per nove mesi non abbiamo visto il sole”, dice.

Un trafficante di esseri umani eritreo, parlando a condizione di anonimato, afferma che c’è stato “un forte aumento” nel numero di tigrini che attraversano il Sahara verso la Libia da quando è scoppiata la guerra civile alla fine del 2020. Si sono uniti a una rotta già ben battuta da rifugiati provenienti da altre parti dell’Africa.

Il contrabbandiere, lui stesso un rifugiato, afferma che i trafficanti “possono guadagnare milioni” tenendo ostaggi. Si rifiuta di fornire dettagli sul suo coinvolgimento nel commercio, dicendo solo che trasportava 150 persone all’anno.

Diversi dei profughi intervistati dal Guardian sono riusciti a fuggire dai magazzini del deserto e ora si trovano a Tripoli, la capitale libica. Includono Selassie, il bracciante agricolo.

Anche lì non è al sicuro, dice Selassie. In mancanza di documenti, i profughi sono vulnerabili alle irruzioni della polizia libica, che li rinchiude e chiede tangenti per il loro rilascio, tattiche simili a quelle dei trafficanti.
Manifestanti durante la visita del segretario generale delle Nazioni Unite, António Guterres, al centro di detenzione per migranti di Ain Zara a Tripoli, in Libia. Fotografia: Mahmud Turkia/AFP/Getty Images
Manifestanti durante la visita del segretario generale delle Nazioni Unite, António Guterres, al centro di detenzione per migranti di Ain Zara a Tripoli, in Libia. Fotografia: Mahmud Turkia/AFP/Getty Images
Quindi vivono sottoterra. Qualche mese fa Selassie ha provato a prendere una barca dalla Libia, attraverso il Mediterraneo, verso l’Italia con decine di altri. Si capovolse a breve distanza al largo, lasciando una manciata di sopravvissuti.

Selassie è stato tirato fuori dall’acqua dalla guardia costiera libica, che ha ricevuto centinaia di milioni di finanziamenti dall’UE per impedire ai richiedenti asilo di intraprendere il pericoloso viaggio verso l’Europa. Dice che lo hanno consegnato alla polizia.

“Sono stato in prigione per tre mesi e ho pagato loro una tangente di $ 1.600 per essere rilasciato”, dice. “Sono stato fortunato a poter pagare. C’erano circa 2.000 persone lì. Alcuni di loro erano stati detenuti per uno o due anni”.


Selassie si nasconde ancora a Tripoli, giocando al gatto col topo con le autorità libiche, cambiando regolarmente casa per evitare i loro raid. Non sa cosa riserva il futuro.

“Non ho abbastanza soldi per sopravvivere”, dice. “Se posso ottenere un’istruzione e un lavoro in Europa, forse ho speranza di cambiare la mia vita.”


Alcuni nomi sono stati cambiati


FONTE: theguardian.com/global-develop…


tommasin.org/blog/2023-05-15/i…



#NotiziePerLaScuola

È disponibile il nuovo numero della newsletter del Ministero dell’Istruzione e del Merito.



MICHAEL KHILL – INFIERIRE SUL MALESSERE


Debutto discografico per il mostro musicale chiamato Michael Khill, un concentrato di deathcore, hardcore, crust, metal, grindcore e anche beatdown.

@Musica Agorà #metal

iyezine.com/michael-khill-infi…

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Il #MinistroRisponde: è online sul canale YouTube del Ministero la quarta puntata della...

Il #MinistroRisponde: è online sul canale YouTube del Ministero la quarta puntata della videorubrica con il Ministro Giuseppe Valditara intervistato dalla giornalista Maria Latella.



È troppo presto per un Medio Oriente "cinese”


È troppo presto per un Medio Oriente Iran Arabia Saudita
Il 10 marzo scorso, a Pechino, Iran e Arabia Saudita raggiunto un accordo per impegnarsi a ristabilire le relazioni bilaterali, interrotte nel 2016. Abbiamo parlato del ruolo della Cina nel negoziato con Jacopo Scita, Policy Fellow del think tank Bourse & Bazaar Foundation.

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In Cina e Asia – Elezioni in Thailandia: vince il Move Forward davanti al Pheu Thai


In Cina e Asia – Elezioni in Thailandia: vince il Move Forward davanti al Pheu Thai Thailandia
I titoli di oggi:

Elezioni in Thailandia: vince il Move Forward davanti al Pheu Thai
L'UE discute la sua strategia sulla Cina e sull'Indo-Pacifico
Cittadino americano condannato all'ergastolo per spionaggio
Xi Jinping spinge sulla megaregione Jing-Jin-Ji per la "modernizzazione cinese"
Le accuse di un ex dirigente a ByteDance

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Dopo l'ennesima campagna di spam prodotta nell'istanza del fondatore di mastodon, sempre più amministratori di istanza stanno silenziando distanza più grande al mondo

@Che succede nel Fediverso?

Gli amministratori delle istanze più piccole sono sempre più insofferenti nei confronti della mancanza di controllo da parte del server di Eugen Rochko!

Ci auguriamo che gli amministratori di mastodon.social riescano a risolvere questo ennesimo problema di spam, anche solo limitando le nuove iscrizioni, ma siamo piuttosto pessimisti.

È sempre più chiaro che i gestori di mastodon.social puntano ad avere il massimo numero di utenti, probabilmente perché questo numero incide direttamente sui potenziali investimenti da parte dei finanziatori.

#mastoadmin #mastodon

in reply to Poliverso - notizie dal Fediverso ⁂

io sono l'amministratore di una istanza piccola e vi pregherei di non fare generalizzazioni all'ingrosso, grazie 😅 L'unica cosa a cui sono insofferente sono gli atteggiamenti di chi non prende con la dovuta serietà la scelta di defederare, come se fosse un ban individuale mentre è un danno per migliaia di persone e milioni di interazioni.
in reply to Poliverso - notizie dal Fediverso ⁂

io gli spammer li voglio bloccare, non rendere invisibili lasciandoli attivi. Per farlo ognuno deve fare la sua parte: dal lato loro, i moderatori e gli admin di mastodon.social devono bloccare a mano gli spammer e introdurre opportuni filtri sui domini e gli IP, dal lato mio io controllo la federata per vedere se ci sono ospiti sgraditi, dal lato della community mi vanno segnalati gli account molesti. Silenziare è mettere tutto sotto il tappeto lavando ognuno i propri panni sporchi.
in reply to Carlo Gubitosa

in altre parole, silenziare 1,1 M di utenti per poche decine di spammer non è considerata cosa buona e giusta da tutti, e la mia insofferenza non è verso un solo account di spam che ho dovuto bloccare a mano con gli altri già bloccati da mastodon.social, ma verso i messaggi anticooperativi in cui si creano conflitti inutili invitando a silenziare tizio, lasciare l'istanza di caio o contestare sempronio, mentre contro lo spam ogni community deve fare la propria parte e fare fronte comune
in reply to Carlo Gubitosa

@gubi condivido in pieno. Invece di "emarginiamo l'aggredito", avrei preferito diamoci da fare e "aiutiamo l'aggredito".
in reply to Carlo Gubitosa

@gubi
aspetta scusa, non ho capito, una volta che hai segnalato gli account molesti di turno (in realta’, ne faccio una, non dodici, assumo che quando lo spam arriva a me, social avra’ gia’ avuto centinaia di segnalazioni), silenziare mi sembra l’opzione temporanea piu’ sana. Fa parte del processo.

Anzi, visto che i messaggi sono tutti uguali e pubblicitari di qualcuno, su pleroma silenzio per regexp , neanche per utenti fake.

in reply to Luca Sironi

@luca si parlava di manutenzione lato admin. Su sociale.network abbiamo avuto solo un paio di segnalazioni, e ne ho dovuto bloccare solo uno, perché erano già stati bloccati tutti a monte da mastodon.social. Non ho sentito il bisogno di silenziare 1.1 milioni di utenti di mastodon.social, (mutilando l'esperienza del fediverso per la nostra community) solo per quella sporca dozzina di spammer bloccati in poche ore.
in reply to Carlo Gubitosa

@gubi con me sfondi una porta aperta. All’ondata di spam precedente ho letto di cose folli come defederazioni fatte intenzionalmente o per errore.

Milioni di persone che si vedono sparire decine di follower e manco se ne possono accorgere

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Unknown parent

mastodon - Collegamento all'originale
Carlo Gubitosa

@sparkit
se il discorso è più grande, non prendiamo a pretesto per polemiche pretestuose questa ondata di spam.

(che peraltro era gestibile in cinque minuti senza scatenare polemiche per cinque giorni. Cfr. sociale.network/@gubi/11037744… )

Proprio perché il discorso è molto grande e complesso, ogni parte del discorso va affrontata nelle sedi opportune.

Ad esempio, chi non ha gradito le feature algoritmiche può dirlo chiaramente su github:

github.com/mastodon/mastodon/i…



🧨 Intervista a Bernardino Costantino


#arte #dark #newwave

Mi chiamo Bernardino Costantino, vivo e lavoro a Mestre in provincia di Venezia ed ho cinquantuno anni. Il mio percorso creativo spazia in diversi ambiti: disegno, pittura, scrittura, musica e video. Collaboro con diversi musicisti dell’area dark/wave, post/punk ed industrial nella realizzazione di art work,illustrazioni, video e riviste di matrice sperimentale.

iyezine.com/bernardino-costant…



Zelensky ha incontrato Papa Francesco, Giorgia Meloni, il ministro Tajani e il Presidente della Repubblica Mattarella indossando una maglia con il tridente con


Vi spiego il successo di Israele nell’IA. Parla Antebi (Inss)


“Non c’è tempo da perdere” secondo Naftali Bennett. “Lo Stato di Israele deve darsi un obiettivo preciso: diventare una delle tre potenze leader nell’intelligenza artificiale entro il 2030”. L’ex primo ministro israeliano ha scritto su Twitter una lunga r

“Non c’è tempo da perdere” secondo Naftali Bennett. “Lo Stato di Israele deve darsi un obiettivo preciso: diventare una delle tre potenze leader nell’intelligenza artificiale entro il 2030”. L’ex primo ministro israeliano ha scritto su Twitter una lunga riflessione su questo tema, osservando che come “ogni esercito del mondo dovrebbe ora adottare tecnologie che potrebbero sostituire l’invio di soldati al fronte”.

L’intelligenza artificiale sta già cambiando il mondo della difesa. A spiegarlo a Formiche.net è Liran Antebi, ricercatrice dell’Institute for National Security Studies di Tel Aviv, in Israele, a capo del programma su tecnologie avanzate e sicurezza nazionale. L’esperta ha partecipato venerdì all’AeroSpace Power Conference, conferenza internazionale ed esposizione aerospaziale organizzata dall’Aeronautica militare, nell’anno del centenario della costituzione della forza armata.

“Tra le innovazioni più importanti dell’intelligenza artificiale nel mondo militare, vi è la logistica, con sviluppi molto simili a quelli che vediamo nel mondo civile”, dice facendo l’esempio delle automazioni nei depositi. “Inoltre, l’intelligenza artificiale può migliorare il lavoro dell’intelligence. Basti pensare che, durante la crisi del 2021, grazie all’intelligenza artificiale, l’aviazione israeliana ha ottenuto 200 obiettivi in soli 22 giorni. Prima sarebbe servito un anno per ottenere un numero così alto di obiettivi. Di questi 200, la metà sono stati colpiti”, aggiunge. Un esempio che dimostra, dice, che “intelligenza artificiale e aeronautica sono ottimi assieme, come la pasta con il cacio. Ma per avere una combinazione perfetta serve il pepe. E in questo caso è il talento”.

Un recente rapporto del Center for Security and Emerging Technology, think tank della Georgetown University di Washington DC, spiega che Israele “ha di gran lunga” l’ecosistema di intelligenza artificiale più grande del Medio Oriente in termini di aziende e investimenti finanziari. “Il successo di Israele nell’intelligenza artificiale è il frutto di una necessità geopolitica urgente e di un ecosistema che funziona, che connette l’esercito, le aziende, le start-up e il mondo accademico”, dice Antebi.

“Gli investitori stranieri svolgono un ruolo critico nella crescita del mercato dell’intelligenza artificiale in Israele”, si legge ancora nel documento che analizza la situazione anche con la lente americana della competizione con la Cina. Gli investimenti americani sono maggiori di quelli cinesi nel settore dell’intelligenza artificiale israeliana. Tuttavia, “dal punto di vista della sicurezza nazionale degli Stati Uniti, gli investimenti da parte di concorrenti strategici come la Cina in un mercato con pesanti investimenti statunitensi potrebbero mettere a rischio alcune di queste tecnologie emergenti”. Ciò è dovuto al fatto che la strategia cinese sulla tecnologia rimane quella di “acquisire il capitale intellettuale attraverso partnership, trasferimenti di tecnologia e acquisizioni di aziende straniere”.

Commentando la decisione italiana che aveva portato al blocco di ChatGPT, Antebi dice: “Bloccare ChatGPT e simili rischia soltanto di lasciare indietro i Paesi che lo fanno. Collaborare con partner like-minded è cruciale per affrontare le sfide dell’intelligenza artificiale”.


formiche.net/2023/05/israele-i…



Elicotteri di quinta generazione? Le sfide dell’industira secondo Alegi


Problema: se l’utilità del mezzo aereo è proporzionale alla sua velocità, e se l’elicottero ha limiti intrinseci di velocità per motivi aerodinamici, come fare per aprire e sfruttare nuovi mercati per il volo verticale? Questa semplice domanda spiega il f

Problema: se l’utilità del mezzo aereo è proporzionale alla sua velocità, e se l’elicottero ha limiti intrinseci di velocità per motivi aerodinamici, come fare per aprire e sfruttare nuovi mercati per il volo verticale? Questa semplice domanda spiega il fervore che da qualche anno caratterizza il settore elicotteristico. Maggiore velocità significa competitività nel trasporto punto-punto, efficacia nel soccorso, minor rischio nei lunghi voli sull’acqua.

A rendere concreta la prospettiva di una nuova generazione di elicotteri veloci sono i programmi sperimentali portati avanti dai costruttori mondiali. In Europa, AgustaWestland (oggi Leonardo Helicopters) punta da tempo sul convertiplano, che decolla come un elicottero e poi ruota i rotori per correre come un aeroplano, mentre Eurocopter (oggi Airbus Helicopters) ha preferito il compound, un elicottero tradizionale con l’aggiunta di due eliche propulsive ai lati della fusoliera. I costruttori americani hanno sviluppato approcci diversi. Bell, il maggior esperto mondiale di convertiplani grazie al V-22 Osprey, continua su questa strada con il V-280 Valor, nel quale però non ruota l’intera gondola motore ma solo la parte anteriore. La tecnologia più innovativa sembra la X2 di Sikorsky (gruppo Lockheed Martin), caratterizzata da rotori controrotanti sovrapposti ed elica spingente in coda.

Se ciascuna di queste soluzioni ha pregi e difetti in termini di tecnologia e di costo, la velocità non è però l’unica sfida da affrontare. In campo militare, per esempio, ce n’è una seconda, meno visibile, ma non per questo meno importante: far sopravvivere gli elicotteri in un campo di battaglia sempre più denso di sensori e armi micidiali. Non è una sfida da poco. Se in Afghanistan e Iraq, con completo dominio dell’aria, è stato possibile operare con macchine di vecchia generazione come gli AB.212 (primo volo 1968) e HH-3F (1966), in Ucraina la musica è molto diversa. Secondo i dati aperti di Oryxspioenkop.com, sinora gli invasori avrebbero perso settanta elicotteri (dei quali 57 da attacco, compresi 33 moderni Ka-52 Hokum) e i difensori 25 (tre da attacco).

Come fare? Anche se per ora nessuno parla di elicottero di quinta generazione, l’US Army ha da tempo lanciato il programma-quadro Future vertical lift, per rinnovare completamente la propria linea di elicotteri. A parte gli aspetti per così dire meccanici – motori e trasmissioni, per intendersi – la risposta starebbe in una trasformazione simile a quella che ha portato a far nascere il caccia F-35: una combinazione di bassa visibilità, sensori, armamento e soprattutto integrazione di dati e connettività. Il primo punto è il più semplice: l’ottimizzazione della forma, con lo spostamento di tutti i carichi all’interno, è in fondo la stessa necessaria per ridurre la resistenza e aumentare la velocità; il resto lo faranno i materiali.

Allo stesso modo, sensori e armamento sono in larga parte esistenti o estrapolabili da essi. Restano i dati, dall’architettura di sistema alla loro gestione e trasmissione, necessariamente più avanzata del precedente standard Nato Link-16. Solo così, secondo gli Usa, il Future attack reconnaissance aircraft (Fara) potrà inserirsi nei contesti operativi più difficili. Un cambiamento di capacità e filosofie non diverso dal salto dai vecchi “zanzaroni” Bell 47 a pistoni con rotori in legno agli ubiqui Bell 205 a turboelica e pale metalliche, o da questi agli AW139 con avionica digitale e rotori in compositi.

Alla nuova filosofia risponde già il Fara, i cui prototipi dovrebbero volare all’inizio del 2024 (salvo ulteriori ritardi del motore GE T901). In Europa, la Nato ha lanciato nell’ottobre 2020 l’iniziativa Next-generation rotorcraft capability (Ngrc), per un elicottero medio multiruolo, con la partecipazione di Francia e Germania (cioè Airbus), Italia e Regno Unito (cioè Leonardo) e Grecia. In Italia, il futuro dell’elicottero (o l’elicottero del futuro) è stato oggetto di un contratto di studio assegnato dal ministero della Difesa a Leonardo e Lockheed Martin per valutare una possibile collaborazione in ambito Fvl e, in particolare, di un Future fast rotorcraft previsto dall’iniziativa Next generation fast helicopter inserita nel Documento programmatico pluriennale (Dpp) della Difesa 2021-2023 con una previsione di 129 milioni di euro nell’arco di dodici anni.

Il Dpp si sbilanciava fino a indicare quali soluzioni caratteristiche dell’Ffr “rotori a tecnologia coassiale, pusher propeller, eccetera”, cioè proprio quelle dell’X2. A questa apparente scelta di campo non è seguito alcun fatto concreto. Anche il recente incontro di Lockheed Martin con la stampa di settore si è limitato a generici riconoscimenti delle capacità di Leonardo e altrettanto vaghi auspici di collaborazione. Non è bastato a dissipare le voci di tensioni tra Difesa, che punta molto sull’innovazione, e industria, più attenta alla difesa delle proprie tecnologie e mercati domestici. Ed è un peccato, perché si rischia di perdere in un colpo solo due treni: quello dell’innovazione e quello dell’attenzione ai temi della Difesa italiana ed europea.

(Articolo pubblicato sul numero 143 della rivista Airpress)


formiche.net/2023/05/occidente…




Una delegazione del Partito della Rifondazione Comunista - Sinistra Europea, di cui fanno parte il segretario nazionale Maurizio Acerbo e Anna Camposampiero del


Mentre Lollobrigida reitera esternazioni deliranti di matrice nazifascista - sostituzione etnica, etnia italiana - il ministro della sovranità alimentare della


📢 Al via la campagna realizzata dal Ministero dell’Istruzione e del Merito sui docenti tutor che, a partire dal prossimo anno scolastico, accompagneranno nel loro percorso e nella costruzione del loro futuro gli studenti dell’ultimo triennio delle sc…



Il Parlamento UE approva: sì al taglio delle spese sociali per finanziare le armi | L'Indipendente

"Tutti i partiti italiani del governo di centrodestra hanno votato a favore della proposta, e lo stesso ha fatto il Partito Democratico (insieme a tutto il partito socialista europeo), ad esclusione di due suoi membri. Hanno invece votato contro i parlamentari europei di Sinistra Italiana e del Movimento 5 Stelle."

lindipendente.online/2023/05/1…



📚 Il MIM sarà presente a Torino, dal 18 al 22 maggio, per il Salone internazionale del libro. Venite a trovarci al nostro stand in cui saranno realizzate sia attività informative per docenti, studenti, famiglie, attraverso un desk di accoglienza, sia…


Il Lazio destina 23 milioni alle cliniche private in un enorme caso di conflitto d’interesse | L'Indipendentr

"Lo stupore di fronte alla logica neoliberista ha già da tempo lasciato spazio alla consapevolezza. Destinare 23 milioni di euro non per migliorare la sanità pubblica ma per potenziare quella privata è il chiaro segnale del trionfo dell’ideologia che da circa quarant’anni domina su scala globale. Non stupiscono nemmeno i giochi di potere che si nascondono alle spalle di questi massicci investimenti ai privati."

lindipendente.online/2023/05/1…



Intervista a Davide Dormino lo scultore autore dell'opera ‘Anything to Say?’ L’opera d’arte per Assange, Snowden e Manning

@Etica Digitale (Feddit)

Dai più piccoli borghi del Belpaese alla Città Eterna, da Parigi all’Est-Europa, dalla vicina Svizzera fino alla terra dei canguri: queste solo alcune delle tappe che dal 2015 Davide Dormino – artista e scultore romano – ha percorso per esporre nelle maggiori piazze la sua opera più importante. Si chiama Anything to Say? ed è una scultura in bronzo a grandezza naturale raffigurante Julian #Assange, Edward #Snowden e Chelsea #Manning, ciascuno in piedi su una sedia. Al loro lato ce n’è una quarta, questa volta vuota per invitare noi spettatori a salire al fianco di coloro che hanno avuto il coraggio di denunciare le peggiori malefatte dei governi mondiali. Ma quali importanti incontri hanno scaturito l’idea dell’opera? Quanto tempo e sacrifici ci sono voluti per realizzarla?

L'articolo completo

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ITS: nell’ambito delle riforme previste dal #PNRR il Ministero dell’Istruzione e del Merito e la Conferenza Stato-Regioni e Province Autonome hanno raggiunto l’intesa sui primi tre decreti attuativi della legge 99/22 sul sistema terziario dell’Istruz…
#pnrr


La mafia è digitale: così la criminalità prolifera sui social network | L'Indipendente

«Le mafie, estremamente abili a trovare metodi all’avanguardia per pubblicizzarsi e comunicare nel mondo digitale, sono sempre più “influencers” della rete. È quanto spiega il nuovo report della Fondazione Magna Grecia, presieduta da Nino Foti, a cura di Marcello Ravveduto (professore di Digital Public History dell’Università di Salerno), in cui sono stati analizzati di 90 GB di video TikTok, due milioni e mezzo di tweet, 20mila commenti a video YouTube e centinaia fra profili e pagine di Facebook e Instagram.»

lindipendente.online/2023/05/1…




Clearview AI data use deemed illegal in Austria, however no fine issued


L'utilizzo dei dati di Clearview AI è considerato illegale in Austria, ma non è stata comminata alcuna multa La DPA austriaca ha deciso: Clearview AI, l'azienda che vende software di riconoscimento facciale alle forze dell'ordine negli Stati Uniti, non può più elaborare dati biometrici. clearview


noyb.eu/en/clearview-ai-data-u…



#30 / Sì, la privacy è un feticcio


Il feticcio della privacy e la sfiducia verso le istituzioni / Tornano le tessere della fame / Exposed, il podcast di Privacy Week / Meme e citazione del giorno.

Il feticcio della privacy


Il ministero dell’Interno ha recentemente annunciato di voler potenziare l’apparato di sorveglianza italiano introducendo sistemi di videosorveglianza con riconoscimento facciale nelle stazioni. Lo scopo è, come sempre, garantire più sicurezza.

Qualche giorno dopo Repubblica ha pubblicato un articolo a firma di Andrea Monti, giurista e professore universitario, intitolato “Il feticcio della privacy e le polemiche sul riconoscimento facciale”.

Se anche tu ami il feticcio della privacy, che aspetti a iscriverti?

Nell’articolo Monti cerca di spiegarci i motivi giuridici e tecnici per cui dovremmo accettare ogni proposta di sorveglianza “per la sicurezza” pacatamente e passivamente: è fuori discussione che il superiore interesse dello Stato e la tutela della collettività non possano essere globalmente limitati “in nome della privacy, dice Monti.

Il prof. Monti non è certo un paladino della privacy, che ha definito come “feticcio” più di una volta, arrivando anche ad affermare che non esiste come diritto autonomo, nonostante la Dichiarazione Universale dei Diritti Umani affermi il contrario. In ogni caso, non è questo il punto.

Il prof. Monti infatti ha ragione da vendere: “opporsi all’impiego di tecnologia per garantire la sicurezza perché qualcuno potrebbe abusarne equivale ad affermare di non avere fiducia nelle istituzioni. Se così fosse, allora la inevitabile conseguenza logica di questa posizione sarebbe il dover entrare in clandestinità per rovesciare uno Stato che ha tradito gli ideali democratici. Chi ha il coraggio di fare un’affermazione del genere lanci il primo tweet”.

La sfiducia verso le “istituzioni” è esattamente il motivo per cui è lecito opporsi alla diffusione incontrollata di tecnologie di sorveglianza nelle nostre città. Di esempi di abuso ce ne sono molti, e non serve guardare lontano per comprendere il modo in cui un governo possa abusare dei suoi poteri di sorveglianza per opprimere determinati gruppi politici o minoranze. E ricordiamolo: la più piccola minoranza al mondo è l’individuo.

E se i governi cambiano nel tempo, ricordiamoci che una telecamera è invece per sempre. Le telecamere nelle nostre città aumentano sempre e non diminuiscono mai: la Cina, che continua a installare telecamere, è arrivata ad averne quasi 600 milioni.

Chi può assicurarci che la fiducia verso le istituzioni venga ripagata? Chi può assicurarci che fra 5, 10, 50 anni i sistemi di sorveglianza costruiti e potenziati nel tempo non saranno mai usati e abusati da qualcuno? Chi può assicurarci che lo Stato, in un determinato momento storico, non abbia il potere e l’incentivo di perseguire e opprimere milioni di persone per ciò che pensano o fanno? D’altronde, la storia ci insegna che è molto facile giustificare qualsiasi atrocità sotto l’egida della sicurezza pubblica e dell’ordine pubblico.

Affermare la supremazia dell’interesse di Stato e della collettività (che non esiste) sui diritti individuali, come la privacy, equivale a dire che alcuni uomini — i più violenti tra noi — hanno il diritto assoluto di disporre totalmente di tutti gli altri, giustificando così qualsiasi abuso e oppressione.

Sì, la privacy è un feticcio — un ostacolo al potere, che altrimenti sarebbe illimitato. È anche l’unico modo per vivere un’esistenza libera e morale. Senza privacy non può esserci alcuna libertà. Alla provocazione del prof. Monti non si può quindi che rispondere così:

We hold these truths to be self-evident, that all men are created equal, that they are endowed by their Creator with certain unalienable Rights, that among these are Life, Liberty and the pursuit of Happiness.—That to secure these rights, Governments are instituted among Men, deriving their just powers from the consent of the governed, —That whenever any Form of Government becomes destructive of these ends, it is the Right of the People to alter or to abolish it, and to institute new Government.

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Tornano le tessere della fame


Da luglio 2023 saranno attive in Italia ben 1.300.000 “carte acquisti” per la spesa. Saranno postepay ricaricabili e daranno diritto di acquistare fino a €380 di beni alimentari autorizzati dal Ministero. Saranno ad esempio esclusi gli alcolici.

L’attribuzione delle nuove tessere annonarie passerà dai Comuni, che tramite INPS avranno a disposizione l’elenco dei beneficiari. I Comuni dovranno quindi verificare le anagrafiche e le informazioni relative ai nuclei familiari per assegnare le tessere ai più meritevoli — cioè coloro che casualmente possiedono i criteri arbitrari fissati per legge.

E se tra ordine pubblico e privacy vince sempre l’ordine pubblico, lo stesso può dirsi tra welfare e privacy. Ma noi eretici lo sappiamo bene: non esistono pasti gratis, e prima o poi arriverà qualcuno a chiedere il conto.

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Exposed


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Meme del giorno


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Citazione del giorno

There's no way to rule innocent men. The only power any government has is the power to crack down on criminals. Well, when there aren't enough criminals one makes them. One declares so many things to be a crime that it becomes impossible for men to live without breaking laws. Who wants a nation of law-abiding citizens? What's there in that for anyone?

Ayn Rand

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MA.CA.BRO -MECHANÈ


Secondo disco per i Ma.Ca.Bro, al secolo il duo Stefano Danusso e Cristiano Lo Mele il chitarrista dei Pertubazione, intitolato Mechanè. I due musicisti vantano una lunga militanza sulla scena musicale italiana, e si sono incontrati all’inizio degli anni duemila grazie al musicista Totò Zingaro e da quel momento hanno cominciato a collaborare componendo colonne sonore molto valide come “La passione di Anna Magnani” di Enrico Cerasuolo, “Manuale di storie dei cinema” di Stefano D’Antuono e Bruno Ugioli,“Linfe” di Lucio Viglierchio, “Incontro con le macchine” di Alessandro Bernard,“Phonetrip” di Moomie. #elettronica #chitarre #minimalismo #colonnesonore #macabro #mechanè @icebergrecords

iyezine.com/ma-ca-bro-mechane



Pier Paolo Pasolini - Studio sulla rivoluzione antropologica in Italia - 10/06/1974


2 giugno: sull'«Unità» in prima pagina c'è il titolo delle grandi occasioni e suona: «Viva la repubblica antifascista.»
Certo, viva la repubblica antifascista. Ma che senso reale ha questa frase? Cerchiamo di analizzarlo.
Essa in concreto nasce da due fatti, che la giustificano del resto pienamente: 1) La vittoria schiacciante del «no» il 12 maggio, 2) la strage fascista di Brescia del 28 dello stesso mese.
La vittoria del «no» è in realtà una sconfitta non solo di Fanfani e del Vaticano, ma, in certo senso, anche di Berlinguer e del partito comunista. Perché? Fanfani e il Vaticano hanno dimostrato di non aver capito niente di ciò che è successo nel nostro paese in questi ultimi dieci anni: il popolo italiano è risultato - in modo oggettivo e lampante - infinitamente più «progredito» di quanto essi pensassero, puntando ancora sul vecchio sanfedismo contadino e paleoindustriale.

Ma bisogna avere il coraggio intellettuale di dire che anche Berlinguer e il partito comunista italiano hanno dimostrato di non aver capito bene cos'è successo nel nostro paese negli ultimi dieci anni. Essi infatti non volevano il referendum; non volevano la «guerra di religione» ed erano estremamente timorosi sull'esito positivo delle votazioni. Anzi, su questo punto erano decisamente pessimisti. La «guerra di religione» è risultata invece poi un'astrusa, arcaica, superstiziosa previsione senza alcun fondamento.
Gli italiani si sono mostrati infinitamente più moderni di quanto il più ottimista dei comunisti fosse capace di immaginare. Sia il Vaticano che il Partito comunista hanno sbagliato la loro analisi sulla situazione «reale» dell'Italia.
Sia il Vaticano che il partito comunista hanno dimostrato di aver osservato male gli italiani e di non aver creduto alla loro possibilità di evolversi anche molto rapidamente, al di là di ogni calcolo possibile.
Ora il Vaticano piange sul proprio errore. Il pci invece, finge di non averlo commesso ed esulta per l'insperato trionfo.

Ma è stato proprio un vero trionfo?
Io ho delle buone ragioni per dubitarne. Ormai è passato quasi un mese da quel felice 12 maggio e posso perciò permettermi di esercitare la mia critica senza temere di fare del disfattismo inopportuno.
La mia opinione è che il cinquantanove per cento dei «no», non sta a dimostrare, miracolisticamente, una vittoria del laicismo, del progresso e della democrazia: niente affatto: esso sta a dimostrare invece due cose:
1) che i «ceti medi» sono radicalmente - direi antropologicamente - cambiati: i loro valori positivi non sono più i valori sanfedisti e clericali ma sono i valori (ancora vissuti solo esistenzialmente e non «nominati») dell'ideologia edonistica del consumo e della conseguente tolleranza modernistica di tipo americano. E' stato lo stesso Potere - attraverso lo «sviluppo» della produzione di beni superflui, l'imposizione della smania del consumo, la moda, l'informazione (soprattutto, in maniera imponente, la televisione) - a creare tali valori, gettando a mare cinicamente i valori tradizionali e la Chiesa stessa, che ne era il simbolo.
2) che l'Italia contadina e paleoindustriale è crollata, si è disfatta, non c'è più, e al suo posto c'è un vuoto che aspetta probabilmente di essere colmato da una completa borghesizzazione, del tipo che ho accennato qui sopra (modernizzante, falsamente tollerante, americaneggiante ecc.).
Il «no» è stato una vittoria, indubbiamente. Ma la reale indicazione che esso dà è quella di una «mutazione» della cultura italiana: che si allontana tanto dal fascismo tradizionale che dal progressismo socialista.
Se così stanno le cose, allora, che senso ha la «strage di Brescia» (come già quella di Milano)? Si tratta di una strage fascista, che implica dunque una indignazione antifascista? Se son le parole che contano, allora bisogna rispondere positivamente. Se sono i fatti allora la risposta non può essere che negativa; o per lo meno tale da rinnovare i vecchi termini del problema.
L'Italia non è mai stata capace di esprimere una grande Destra. E' questo, probabilmente, il fatto determinante di tutta la sua storia recente. Ma non si tratta di una causa, bensì di un effetto. L'Italia non ha avuto una grande Destra perché non ha avuto una cultura capace di esprimerla. Essa ha potuto esprimere solo quella rozza, ridicola, feroce destra che è il fascismo. In tal senso il neo-fascismo parlamentare è la fedele continuazione del fascismo tradizionale. Senonché, nel frattempo, ogni forma di continuità storica si è spezzata. Lo «sviluppo», pragmaticamente voluto dal Potere, si è istituito storicamente in una specie di epoché, che ha radicalmente «trasformato», in pochi anni, il mondo italiano.
Tale salto «qualitativo» riguarda dunque sia i fascisti che gli antifascisti: si tratta infatti del passaggio di una cultura, fatta di analfabetismo (il popolo) e di umanesimo cencioso (i ceti medi) da un'organizzazione culturale arcaica, all'organizzazione moderna della «cultura di massa». La cosa, in realtà, è enorme: è un fenomeno, insisto, di «mutazione» antropologica. Soprattutto forse perché ciò ha mutato i caratteri necessari del Potere. La «cultura di massa», per esempio, non può essere una cultura ecclesiastica, moralistica e patriottica: essa è infatti direttamente legata al consumo, che ha delle sue leggi interne e una sua autosufficienza ideologica, tali da creare automaticamente un Potere che non sa più che farsene di Chiesa, Patria, Famiglia e altre ubbìe affini.

L'omologazione «culturale» che ne è derivata riguarda tutti: popolo e borghesia, operai e sottoproletari. Il contesto sociale è mutato nel senso che si è estremamente unificato. La matrice che genera tutti gli italiani è ormai la stessa. Non c'è più dunque differenza apprezzabile - al di fuori di una scelta politica come schema morto da riempire gesticolando - tra un qualsiasi cittadino italiano fascista e un qualsiasi cittadino italiano antifascista. Essi sono culturalmente, psicologicamente e, quel che è più impressionante, fisicamente, interscambiabili. Nel comportamento quotidiano, mimico, somatico non c'è niente che distingua - ripeto, al di fuori di un comizio o di un'azione politica - un fascista da un antifascista (di mezza età o giovane: i vecchi, in tal senso possono ancora esser distinti tra loro). Questo per quel che riguarda i fascisti e gli antifascisti medi. Per quel che riguarda gli estremisti, l'omologazione è ancor più radicale.
A compiere l'orrenda strage di Brescia sono stati dei fascisti. Ma approfondiamo questo loro fascismo. E' un fascismo che si fonda su Dio? Sulla Patria? Sulla Famiglia? Sul perbenismo tradizionale, sulla moralità intollerante, sull'ordine militaresco portato nella vita civile? O, se tale fascismo si autodefinisce ancora, pervicacemente, come fondato su tutte queste cose, si tratta di un'autodefinizione sincera? Il criminale Esposti - per fare un esempio - nel caso che in Italia fosse stato restaurato, a suon di bombe, il fascismo, sarebbe stato disposto ad accettare l'Italia della sua falsa e retorica nostalgia? L'Italia non consumistica, economa e eroica (come lui la credeva)? L'Italia scomoda e rustica? L'Italia senza televisione e senza benessere? L'Italia senza motociclette e giubbotti di cuoio? L'Italia con le donne chiuse in casa e semi-velate? No: è evidente che anche il più fanatico dei fascisti considererebbe anacronistico rinunciare a tutte queste conquiste dello «sviluppo». Conquiste che vanificano, attraverso nient'altro che la loro letterale presenza -
divenuta totale e totalizzante - ogni misticismo e ogni moralismo del fascismo tradizionale.
Dunque il fascismo non è più il fascismo tradizionale. Che cos'è, allora?
I giovani dei campi fascisti, i giovani delle SAM, i giovani che sequestrano persone e mettono bombe sui treni, si chiamano e vengono chiamati «fascisti»: ma si tratta di una definizione puramente nominalistica. Infatti essi sono in tutto e per tutto identici all'enorme maggioranza dei loro coetanei. Culturalmente, psicologicamente, somaticamente - ripeto - non c'è niente che li distingua. Li distingue solo una «decisione» astratta e aprioristica che, per essere conosciuta, deve essere detta. Si può parlare casualmente per ore con un giovane fascista dinamitardo e non accorgersi che è un fascista. Mentre solo fino a dieci anni fa bastava non dico una parola, ma uno sguardo, per distinguerlo e riconoscerlo.
Il contesto culturale da cui questi fascisti vengono fuori è enormemente diverso da quello tradizionale. Questi dieci anni di storia italiana che hanno portato gli italiani a votare «no» al referendum, hanno prodotto - attraverso lo stesso meccanismo profondo - questi nuovi fascisti la cui cultura è identica a quella di coloro che hanno votato «no» al referendum.
Essi sono del resto poche centinaia o migliaia: e, se il governo e la polizia l'avessero voluto, essi sarebbero scomparsi totalmente dalla scena già dal 1969.
Il fascismo delle stragi è dunque un fascismo nominale, senza un'ideologia propria (perché vanificata dalla qualità di vita reale vissuta da quei fascisti), e, inoltre, artificiale: esso è cioè voluto da quel Potere, che dopo aver liquidato, sempre pragmaticamente, il fascismo tradizionale e la Chiesa (il clerico-fascismo che era effettivamente una realtà culturale italiana) ha poi deciso di mantenere in vita delle forze da opporre - secondo una strategia mafiosa e da Commissariato di Pubblica Sicurezza - all'eversione comunista. I veri responsabili delle stragi di Milano e di Brescia non sono i giovani mostri che hanno messo le bombe, né i loro sinistri mandanti e finanziatori. Quindi è inutile e retorico fingere di attribuire qualche reale responsabilità a questi giovani e al loro fascismo nominale e artificiale. La cultura a cui essi appartengono e che contiene gli elementi per la loro follia pragmatica è, lo ripeto ancora una volta, la stessa dell'enorme maggioranza dei loro coetanei. Non procura solo a loro condizioni intollerabili di conformismo e di nevrosi, e quindi di estremismo (che è appunto la conflagrazione dovuta alla miscela di conformismo e nevrosi).
Se il loro fascismo dovesse prevalere, sarebbe il fascismo di Spinola, non quello di Caetano: cioè sarebbe un fascismo ancora peggiore di quello tradizionale, ma non sarebbe più precisamente fascismo. Sarebbe qualcosa che già in realtà viviamo, e che i fascisti vivono in modo esasperato e mostruoso: ma non senza ragione.

pubblicato sul Corriere della Sera il 10 giugno 1974 con il titolo «Gli italiani non sono più quelli»

da: pasolinipuntonet.blogspot.com/…