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Firmato l’accordo per i confini marittimi con il Libano. Il premier Lapid esulta ma a pochi giorni dal voto la partita con Netanyahu è aperta.


Esibizioni atomiche4 mesi. Di tanto gli Stati Uniti avrebbero deciso di anticipare il programma di aggiornamento periodico del loro arsenale nucleare.


Cosa significherebbe per la Cina una Russia indebolita


Più a lungo si trascina la guerra in Ucraina, più la Russia dipenderà dalla Cina, e più diseguali saranno le relazioni. Dopo oltre tre secoli di relazioni Russia-Cina, sembra che si stia chiudendo il cerchio e la Russia stia diventando sempre più subordinata alla Cina, senza alternative

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Il Kazakistan può dare nuova vita alla CICA?


Il recente vertice della CICA aveva in obiettivo continuare la trasformazione e il consolidamento del blocco in un'organizzazione rilevante ed efficace del 21° secolo, una entità più dinamica ed efficace che promuova l'integrazione regionale, la cooperazione e lo sviluppo

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Come gli Stati Uniti possono facilmente modificare le loro relazioni con l’Arabia Saudita


La recente decisione dell’Arabia Saudita di manipolare i mercati energetici globali è stata un atto ostile motivato politicamente. Il picco dei prezzi del petrolio aggraverà l’inflazione negli Stati Uniti aiutando la Russia nella sua invasione dell’Ucraina proteggendo Mosca dall’impatto delle sanzioni. Dopo l’annuncio che l’OPEC+ avrebbe ridotto drasticamente la produzione di petrolio, il presidente Biden […]

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Cina: Xi ha bisogno di concretezza


Molti i successi ma moltissimi gli insuccessi in questi 10 anni. Il punto in cui Xi è terribilmente insufficiente è nell'attuazione delle politiche enunciate. Ora 'Xi ha bisogno di parlare con modestia e portare un bastone (riformato) più grande'

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Conferenza “Scienza e Liberalismo”


Giovedì 10 novembre, alle ore 18.00, presso l’Aula Malagodi della Fondazione Luigi Einaudi, in via della Conciliazione 10, a Roma, il Prof. Angelo Maria Petroni terrà una conferenza dal titolo “Scienza e Liberalismo”. Il liberalismo è coevo della scienza

Giovedì 10 novembre, alle ore 18.00, presso l’Aula Malagodi della Fondazione Luigi Einaudi, in via della Conciliazione 10, a Roma, il Prof. Angelo Maria Petroni terrà una conferenza dal titolo “Scienza e Liberalismo”.

Il liberalismo è coevo della scienza moderna. Nella conferenza verrà argomentato che liberalismo e scienza si originano dalla stessa visione antropologica, e che il progresso scientifico dipende dalla solidità delle istituzioni liberali.

L’iniziativa è realizzata in collaborazione con l’Accademia Nazionale dei Lincei – Centro Linceo Interdisciplinare Beniamino Segre.

Interviene:


Prof. Angelo Maria Petroni, Professore presso l’Università degli Studi di Roma La Sapienza e membro del Comitato Scientifico della Fondazione Luigi Einaudi

È possibile partecipare fino ad esaurimento posti.

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Valeria Fascione: un assessore nello spazio


Napoli è una delle culle delle costruzioni aeronautiche europee: le favorevoli condizioni atmosferiche e una larga visibilità dei cieli che la contornano hanno incoraggiato tutti gli esperimenti di volo realizzati ma anche le numerose lavorazioni all’aperto di grossi manufatti -quali ad esempio le ali in legno e tela- le cui cuciture venivano effettuate principalmente dalle […]

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Oppositori


Devono scegliere Le opposizioni non avranno una comune linea politica. Non è mai successo e non avrebbe senso. Il guaio non è che esistano opposizioni con idee e politiche diverse, ma che ne siano prive. O che siano frastornate. Termini come “opposizione

Devono scegliere


Le opposizioni non avranno una comune linea politica. Non è mai successo e non avrebbe senso. Il guaio non è che esistano opposizioni con idee e politiche diverse, ma che ne siano prive. O che siano frastornate. Termini come “opposizione dura”, o “ragionevole” o ancora “responsabile” non significano un accidenti. L’opposizione che spera di diventare maggioranza deve scegliere i temi su cui vuole caratterizzarsi e che utilizzerà per far cadere il governo. E qui, al momento, si brancola nel buio.

Nel discorso della presidente Meloni si devono andare a cercare certi vocaboli, impreziositi dall’enfasi della pronuncia, per rintracciare l’oppositrice che fu. Uno, per esempio: “potentati”. Della serie: noi popolo siamo contro i potenti. E vabbè, ora sei potente e vediamo. In quel discorso, però, andando alla sostanza, lasciando da parte l’uso emotivo della storia personale, c’è una conversione che pone un problema agli oppositori, ove mai vogliano essere effettivamente tali e puntare ad essere futuri vincitori.

Concretamente: l’Italia continuerà nel totale sostegno dell’Ucraina e nella condanna dell’invasione russa. Questa la posizione del governo. Sappiamo bene che in maggioranza, determinanti, ci sono presenze che la pensano all’opposto. Il tema, per chi si oppone è: si lavora sulle spaccature interne alla maggioranza, in modo da indebolire Meloni e accelerare la crisi, oppure si lavora consolidando la condanna russa e gli aiuti agli ucraini, in questo modo aiutando Meloni e marginalizzando i putiniani governativi?

Il che comporta una seconda scelta: si prova a tenere unita l’opposizione, così cominciando a dire frescacce generiche, malpanciste e falso pacifiste, o si abbandona al suo destino il populismo d’opposizione e se ne costruisce una che sia degna di governare? Non è che le domande siano retoriche e le risposte scontate, affatto.

Solo che le prime opzioni comportano un miglioramento del livello politico italiano e la necessità di un ricambio mica solo di una segreteria, ma di una cultura e una mentalità; le seconde rendono più facili le campagne elettorali, sono le scelte che i governanti di oggi fecero ieri, quando erano oppositori, ma dequalificano la classe politica e la popolano di retori a tre palle un soldo.

Al governo c’è un ministro della giustizia che (finalmente) parla esplicitamente dell’ovvio derivato del processo accusatorio: la separazione delle carriere. L’opposizione può scegliere se incalzarlo, morderlo quando incontrerà ostacoli imponenti, sollecitarlo alla scontro anziché alla mediazione, oppure può avversarlo e intestarsi per l’avvenire l’essere consustanziale alle camarille togate e al corporativismo autoreferenziale.

Se il governo, come dice il ministro responsabile, decide di riprendere la via dell’energia nucleare, l’opposizione può scegliere se farsi venire i mancamenti falso ecologisti o se sfidarlo nel passare dalle parole ai fatti.

Se il ministro dell’agricoltura si propone di aumentare i terreni coltivati, l’opposizione può scegliere di passare ancora del tempo a sollazzarsi sulla “sovranità” alimentare, mentre è oggettivamente ridicola la suggestione dell’autarchia produttiva, ma può, invece, far osservare che quei terreni qualcuno dovrà poi lavorarli e, come l’esperienza insegna, se solo si conosce la realtà, saranno per lo più immigrati. Nel prossimo decreto flussi ce ne mettiamo una paio di centinaia di migliaia? Sarebbero, gli oppositori, non solo gente che s’oppone, ma anche propone. Il che fa perdere il vantaggio della facile rimonta, ma fa guadagnare un motivo serio per rimontare.

Se, invece, intendono discutere ancora a lungo su se sia più femminista la quota rosa o il rosa a palazzo, se i generi sessuali siano due o n tendente all’infinito, su chi fa il segretario di cosa e chi si allea con chi, sappiano di potere continuare in tutta tranquillità, perché non gliene frega niente a nessuno. Tranne che a loro.

La Ragione

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BRASILE. Gli ex elettori del Partito dei Lavoratori potrebbe portare Bolsonaro alla vittoria


Il voto anti PT ha sorpreso al ballottaggio e potrebbe condurre Bolsonaro alla vittoria delle elezioni il 30 ottobre L'articolo BRASILE. Gli ex elettori del Partito dei Lavoratori potrebbe portare Bolsonaro alla vittoria proviene da Pagine Esteri. https

di Glória Paiva* –

Pagine Esteri, 27 ottobre 2022 – “È vergognoso che metà del popolo brasiliano voti per un ladro condannato in due gradi di giudizio”, ha commentato via messaggio un mio caro amico, il giorno dopo il primo turno delle elezioni brasiliane. Questo amico, un medico della sanità pubblica che ha votato per il Partito dei Lavoratori (PT) per decenni di seguito, dal 2018 è un elettore di Bolsonaro. Come lui sono davvero in tanti e la loro posizione avrà un peso fondamentale per l’esito definitivo delle elezioni che si terranno, in secondo turno, la prossima domenica 30 ottobre.

Era la mattina del 3 ottobre 2022 e molti di quei 57 milioni di brasiliani a cui il mio amico si riferiva, che avevano votato per Luiz Inácio Lula da Silva (PT), ancora si stavano svegliando con una sorta di “sbornia elettorale”: Lula non solo non aveva vinto al primo turno, ma ne era uscito con una pericolosa differenza di cinque punti percentuali su Jair Bolsonaro, in uno scenario lontano dai 14 punti previsti dai sondaggi d’opinione.

Che cosa è successo?, si sono chiesti elettori, giornalisti e, soprattutto, membri della campagna di Lula, sbalorditi. Gli istituti di ricerca “avevano sbagliato di grosso”, segnalavano articoli giornalistici, o “sono corrotti e vanno indagati”, incitavano i bolsonaristi. Secondo alcune analisi, ciò che gli istituti non avevano considerato è stata la forza del voto dell’ultimo minuto per Bolsonaro, prodotto dai sondaggi stessi o dalle campagne di disinformazione. Oppure, come seconda ipotesi, non è stato previsto l’impatto delle astensioni: più di 32 milioni di persone, ovvero il 20,9% dell’elettorato, non hanno votato, un numero record dal 1998.

In un modo o nell’altro, il bolsonarismo si è rivelato una corrente politica molto più forte e imprevedibile di quanto si immaginava, concentrando il voto della popolazione che guadagna più di cinque salari minimi, un settore decisivo dell’elettorato.

Ma come mai, mi sono chiesta, il mio amico medico ha sposato le idee di un presidente che ha promosso un farmaco dimostratamente inefficace nella lotta al COVID-19? Che, nel suo negazionismo scientifico, ha ritardato l’acquisto di vaccini e screditato le misure igieniche raccomandate dall’OMS, provocando oltre 400.000 morti che avrebbero potuto essere evitate? Un presidente che non perde occasione per attaccare le istituzioni democratiche e lodare i torturatori della dittatura militare? Che ostacola tutte le indagini svolte contro di sé e la sua famiglia? Che ha composto un ministero di fanatici, militari e religiosi, nemici dei diritti umani, dei diritti indigeni, delle donne, dell’ambiente, dei poveri e delle minoranze…?

Il discorso di Bolsonaro risuona allo stesso modo tra gli oltre 51 milioni di elettori che l’hanno votato al primo turno? Bolsonaro si presenta come un difensore della famiglia, dei valori cristiani e tradizionali, del militarismo e del patriottismo. È anche un difensore del neoliberismo illimitato e del “buon cittadino”, che, nella sua logica, deve girare armato per l’autoprotezione. Contrario alla “vecchia politica”, portavoce delle classi alte e medie, dell’agribusiness e di quelli desiderosi di porre fine alla corruzione che ha segnato la politica brasiliana da sempre. Quale, tra questi aspetti retorici, sarebbe quello vincitore secondo il giudizio di questo elettore in particolare?

Il 3 ottobre stesso, gli mando un messaggio: “Cosa ne pensi di Bolsonaro?”. E lui risponde: “Mi piaceva Simone Tebet (candidata di centro del MDB, arrivata terza al primo turno). Ma nonostante le bugie che dicono su di lui, Bolsonaro è diventato l’unica opzione per sfuggire alla sinistra corrotta nel ballottaggio”. Le bugie a cui fa riferimento sono le notizie quotidiane sul governo Bolsonaro: la stampa egemonica, secondo la retorica bolsonarista, è corrotta e, quindi, inaffidabile, così come le istituzioni che lo infastidiscono, come il Supremo Tribunale Federale e il Supremo Tribunale Elettorale.

La risposta rivela cosa c’è dietro il suo voto e potrebbe essere uno degli aspetti più decisivi per il secondo turno, che si terrà il 30 ottobre. Come una parte importante dell’elettorato dell’attuale presidente, il mio amico medico non è necessariamente un bolsonarista convitto: lui, semplicemente, rifiuta terminantemente il PT. Così come lo fa una grande parte della base elettorale, di centrodestra, di Tebet, nonostante la senatrice abbia dichiarato il sostegno a Lula il 7 ottobre. Questa stessa base, dicono alcuni analisti, potrebbe votare per Bolsonaro al secondo turno, insieme a un segmento ancora incognito di quei 20,9% di astensionisti.

Giorni dopo, ricevo via WhatsApp un PDF casereccio che giustifica la posizione politica del mio amico. È un documento di 40 pagine con le copertine del settimanale brasiliano “Veja” dal gennaio 2003 a luglio 2006, una pubblicazione nota per essere un portavoce della destra liberale e poco attinente alle regole del buon giornalismo. Il file presentava diversi scandali politici aventi come protagonisti il PT e i suoi alleati in quel periodo.

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Secondo alcune tesi, l’orientamento anti-PT sarebbe nato nei primi anni del governo Lula (2003-2011) sulla base di vari motivi, dalla corruzione alle questioni morali e persino di un profondo odio di classe. Congiuntamente ci sarebbero anche l’adesione delle élite brasiliane alle idee conservatrici dal punto di vista dei costumi, al neoliberismo nell’ambito dell’economia e a una fortissima tesi di anticomunismo, che ancora prevale – infatti, tra gli argomenti dei bolsonaristi, c’è la paura che il Brasile possa “diventare un nuovo Venezuela”.

È stato nel secondo mandato di Dilma Rousseff (PT) che l’antipetismo è diventato un fenomeno di espressione politica. Nel 2014, una serie di manifestazioni di estensione senza precedenti hanno occupato le principali città brasiliane. Le proteste, che inizialmente contestavano l’aumento delle tariffe dei trasporti pubblici, hanno cominciato a criticare la Confederations Cup e il Mondiale di Calcio, la corruzione politica e la crisi economica. Nel 2016, le manifestazioni delle magliette verdi e gialle chiedevano l’impeachment della presidente, con un importante sostegno della stampa egemonica. Tutto ciò, insieme all’isolamento politico di Rousseff e ad un’articolazione dell’élite politica, giudiziaria ed economica in un nuovo progetto di potere, è culminato nell’uscita forzata della presidente due anni prima della fine del suo mandato e nell’arresto di Lula.

Il 7 aprile 2018, l’ex presidente è stato arrestato per i reati di corruzione e riciclaggio di denaro nell’operazione denominata “Lava Jato” (Car Wash), e ciò gli ha impedito di partecipare alle elezioni. Iniziata a marzo 2014, quella è stata la più grande indagine sulla corruzione condotta in Brasile e ha portato alla luce un mega-schema che coinvolgeva politici da sinistra a destra, nonché grandi società pubbliche e private.

Nelle presidenziali del 2018, la polarizzazione del sistema politico, fino a quel momento incentrata sul PT (a sinistra) e sul PSDB (a destra), ha iniziato a dividersi in altri due assi: “petismo” e “antipetismo”. Con Lula in prigione e il PSDB senza un candidato forte – i cui principali esponenti erano accusati, anche loro, di corruzione – l’estrema destra di Bolsonaro è stata l’unica forza politica a presentare un’alternativa per il governo in quel momento.

Dopo oltre 500 giorni di detenzione, Lula è stato rilasciato l’8 novembre 2019, dopo che il Supremo Tribunale Federale ha ribaltato l’incarcerazione dopo il secondo grado. Parallelamente, un’indagine del sito The Intercept Brasil ha rilevato che il giudice responsabile dell’arresto di Lula, Sergio Moro, aveva ceduto informazioni privilegiate all’accusa e al Ministero Pubblico, agevolando l’azione penale con consigli e indizi – lo stesso Moro che poi è diventato il ministro della Giustizia di Bolsonaro e che oggi è un membro importante della sua campagna.

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Nel 2021, la Corte ha annullato le condanne di Lula e lo ha dichiarato non colpevole sulla base di due argomenti: che non doveva essere processato presso la 13ª Corte di Curitiba, ma a Brasilia, e che il suo giudizio non è stato imparziale.

Nonostante tutti questi sconvolgimenti e la performance globalmente criticata del governo Bolsonaro, alcuni mezzi di comunicazione spesso ancora rappresentano Lula e Bolsonaro come due poli estremi, di peso equivalente. La campagna bolsonarista ne approfitta: quattro anni dopo, il suo principale argomento retorico è ancora la sua presunta postura anticorruzione, contro un Lula “ex detenuto”.

L’ideologia bolsonarista si è radicata nella società, fenomeno osservato anche nelle elezioni per il legislativo: il 2 ottobre, diversi alleati, ex ministri e sostenitori del presidente sono stati eletti deputati, governatori e senatori. Nel 2023, il PL di Bolsonaro sarà il partito più rappresentato in Senato e nella Camera dei Deputati.

Il deputato eletto Guilherme Boulos (Paolo) aveva detto che, nel caso di un ballottaggio, questi sarebbero stati i 30 giorni più difficili della storia politica brasiliana recente. Infatti è così. Una marea di disinformazione, violenza e intimidazione politica, attacchi nelle chiese a figure religiose contrarie a Bolsonaro e il drammatico episodio in cui l’ex deputato bolsonarista Roberto Jefferson ha sparato e lanciato granate contro i poliziotti che cercavano di arrestarlo per violazione della detenzione domiciliare, ha segnato le ultime settimane, risultando in una montagna russa per i sondaggi elettorali.

A pochissimi giorni, ormai, dal secondo turno, alcuni istituti di ricerca hanno previsto un pareggio tecnico tra Lula e Bolsonaro. L’attuale presidente è riuscito a ridurre la distanza in relazione al suo oppositore, migliorando la valutazione del suo governo con una serie di politiche pubbliche, ad esempio l’anticipo dei pagamenti dell’Ausilio Brasil (programma di trasferimento del reddito che ha sostituito il Bolsa Família) e la riduzione del tasso di interesse per i piccoli imprenditori. Il 25 ottobre, tuttavia, il sondaggio Ipec mostrava Lula con il 50% delle intenzioni di voto, contro il 43% di Bolsonaro.

La campagna di Lula, a sua volta, rappresenta sempre di più una dicotomia che si è stabilita tra il bolsonarismo e la democrazia. Già da prima si era riunita in una grande coalizione con altri settori di sinistra e con i suoi ex oppositori, avendo addirittura invitato uno dei fondatori del PSDB, Geraldo Alckmin (attualmente PTB), per il ruolo di candidato a vicepresidente. Nelle ultime settimana, Lula ha avuto un significativo sostegno di personaggi come Tebet, l’ex presidente di destra, Fernando Henrique Cardoso, e persino il titubante Ciro Gomes (centro-sinistra), ex candidato risultato in 4º nel primo turno, nonchè di grandi imprenditori.

Il secondo turno, il 30 ottobre, prevede una disputa accanita come mai prima e di risultati difficili da anticipare fino all’ultimo. Nel ballottaggio del 2002, contro José Serra (PSDB), Lula godeva di un comodissimo vantaggio di 29 punti. E nel 2006, contro Geraldo Alckmin, la differenza era di 19 punti. A prescindere dall’esito, molto probabilmente il Brasile rimarrà diviso anche dopo lo spoglio dei voti di giorno 30, con una mappa politica interamente ridisegnata e incertezze sulla solidità delle sue istituzioni democratiche.

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* Glória Paiva è una giornalista, scrittrice e traduttrice brasiliana

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INCHIESTA. Permessi di lavoro in Israele a caro prezzo per i manovali palestinesi


I manovali sono ben retribuiti ma devono pagare fino a 2.500 shekel (circa 700 euro) al mese per poter lavorare in Israele. Il denaro viene diviso tra un appaltatore israeliano e un intermediario palestinese. Un «furto» sistematico che è la conseguenza di

di Michele Giorgio –

(nella foto di Emil Salman, lavoratori palestinesi aspettano in fila a un posto di blocco israeliano vicino Hebron)

Pagine Esteri, 27 ottobre 2022 – Ahmad preferisce «l’illegalità». «Certo, si guadagna bene a lavorare nella zona ebraica di Gerusalemme o in Israele» ci dice «ma il permesso di lavoro costa troppo, preferisco correre il rischio di essere arrestato ed espulso». Abitante di un villaggio alle porte di Betlemme, 23 anni, non sposato, Ahmad prova a guadagnarsi da vivere facendo qualsiasi lavoro, quasi sempre il muratore, accettando pagamenti in nero. «Guadagno meno (dei lavoratori con il permesso) ma almeno non sono tenuto a pagare ogni mese fino a 2500 shekel (circa 700 euro, ndr) per avere le carte in ordine». Ma gran parte dei 140mila manovali palestinesi che al mattino entrano in Israele e a sera fanno ritorno in Cisgiordania non possono permettersi l’arresto. È fondamentale per loro avere la possibilità di lavorare in Israele dove ricevono una buona paga giornaliera – in media intorno ai 300 shekel (85 euro) con punte fino a 600 shekel (170 euro) – mentre nei Territori occupati la disoccupazione è elevata e i salari sono notevolmente più bassi. Qualcuno commenta che la «pace economica» teorizzata dalle autorità israeliane è aver ridotto ai minimi termini l’economia della Cisgiordania e reso i palestinesi dipendenti in massa dal lavoro nello Stato ebraico.

Certo è che il lavoro in Israele è ormai irrinunciabile per tanti manovali palestinesi. Non sorprende che la concessione dei permessi sia diventata un ottimo affare per quelli privi di scrupoli, israeliani e palestinesi. Con il sistema attuale, i lavoratori pendolari pagano ciascuno 2.500 shekel al mese in contanti per un permesso in Israele. Il denaro viene diviso tra un appaltatore israeliano e un intermediario palestinese. «Cosa mi resta? Ben poco» spiega Kamal, un altro muratore. «Prendo 400 shekel al giorno, circa 8.000 shekel al mese» ci racconta «2.500 shekel se ne vanno per il permesso, 1.500 per i trasporti da e per Israele e altre centinaia per il cibo al lavoro. Alla fine, mi restano più o meno 3.500 shekel (mille euro) che il carovita rende insufficienti per una famiglia di 4-5 persone».

La tv israeliana Kan nei giorni scorsi ha mandato in onda un’indagine intitolata: «Le famiglie criminali che dominano il mercato del lavoro palestinese». L’industria dell’estorsione, ha aggiunto, è un processo sistematico che avviene con la conoscenza della polizia. Si tratta di una attività molto redditizia. Nel 2021 i suoi profitti, secondo gli studi condotti dall’Israeli National Security Research Center, hanno sfiorato il miliardo di shekel (280 milioni di euro). Il giornalista investigativo Anas Abu Arqoub sottolineava nel programma che questo «furto» sistematico è la conseguenza del fallimento riforme attese da tempo ma mai arrivate.

Alcuni studi legali hanno provato a combattere il fenomeno intentando un’azione collettiva contro una società israeliana specializzata in «permessi». L’esito è stato inquietante. Testimoni e avvocati hanno ricevuto pesanti minacce. L’avvocato Mariam Al Masry ha raccontato: «Ho contattato un certo numero di lavoratori palestinesi i cui permessi sono registrati presso una determinata azienda. Mi è apparso chiaro che la maggior parte di essi non lavorava per quella azienda, dicevano di aver avuto i permessi tramite intermediari e di aver pagato somme di denaro elevate per ottenerli».

Il giornale Haaretz riferiva qualche tempo fa che lo sfruttamento dei lavoratori palestinesi deriva da un sistema messo in piedi da Israele per cosiddette «esigenze di sicurezza». Il processo di assunzione vero e proprio inizia con uno dei 2400 appaltatori israeliani ufficialmente registrati che presenta una domanda per un permesso di lavoro per un manovale palestinese all’Autorità per la popolazione e l’immigrazione. Al termine del periodo di lavoro, l’appaltatore dovrebbe informare le autorità per far cessare la validità del permesso. Ma negli anni si è radicata una pratica illecita: invece di restituire i permessi, gli appaltatori li vendono tramite un intermediario palestinese ad altri manovali che sono disposti a pagare somme importanti. Ed è solo l’inizio. L’intermediario tiene per sé 600 shekel (circa 190 euro). L’appaltatore prende il resto, quindi emette una busta paga falsa ai «suoi» dipendenti che non includono il numero effettivo di giorni in cui il dipendente ha lavorato o il suo salario reale. Per il lavoratore palestinese non c’è scampo, se smette di pagare, l’intermediario sospende il suo permesso di lavoro. «Dai soldi all’intermediario ogni mese, non importa quanto hai lavorato. Il sistema ti costringe a dipendere da loro. Per questo ho scelto di venirne fuori», spiega Ahmad che ora preferisce lavorare in nero nella ristrutturazione di appartamenti.

La «tassa sul permesso», come la chiamano da queste parti, viene pagata dai più giovani, dal momento che i lavoratori di età pari o superiore a 55 anni non sono più tenuti a ricevere un permesso per andare in Israele. L’ILO nel 2019 ha stimato in circa 100 milioni di euro i profitti illeciti generati dalla vendita dei permessi ai palestinesi. Pagine Esteri

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#NotiziePerLaScuola

Al via la quinta edizione del concorso "Il sole per amico: impariamo a proteggere la pelle", promosso dall'Intergruppo Melanoma Italiano e dal Ministero dell’Istruzione.

Info ▶️ miur.gov.




INCHIESTA. Permessi di lavoro in Israele a caro prezzo per i manovali palestinesi


I manovali sono ben retribuiti ma devono pagare fino a 2.500 shekel (circa 700 euro) al mese per poter lavorare in Israele. Il denaro viene diviso tra un appaltatore israeliano e un intermediario palestinese. Un «furto» sistematico che è la conseguenza di

di Michele Giorgio –

(nella foto di Emil Salman, lavoratori palestinesi aspettano in fila a un posto di blocco israeliano vicino Hebron)

Pagine Esteri, 27 ottobre 2022 – Ahmad preferisce «l’illegalità». «Certo, si guadagna bene a lavorare nella zona ebraica di Gerusalemme o in Israele» ci dice «ma il permesso di lavoro costa troppo, preferisco correre il rischio di essere arrestato ed espulso». Abitante di un villaggio alle porte di Betlemme, 23 anni, non sposato, Ahmad prova a guadagnarsi da vivere facendo qualsiasi lavoro, quasi sempre il muratore, accettando pagamenti in nero. «Guadagno meno (dei lavoratori con il permesso) ma almeno non sono tenuto a pagare ogni mese fino a 2500 shekel (circa 700 euro, ndr) per avere le carte in ordine». Ma gran parte dei 140mila manovali palestinesi che al mattino entrano in Israele e a sera fanno ritorno in Cisgiordania non possono permettersi l’arresto. È fondamentale per loro avere la possibilità di lavorare in Israele dove ricevono una buona paga giornaliera – in media intorno ai 300 shekel (85 euro) con punte fino a 600 shekel (170 euro) – mentre nei Territori occupati la disoccupazione è elevata e i salari sono notevolmente più bassi. Qualcuno commenta che la «pace economica» teorizzata dalle autorità israeliane è aver ridotto ai minimi termini l’economia della Cisgiordania e reso i palestinesi dipendenti in massa dal lavoro nello Stato ebraico.

Certo è che il lavoro in Israele è ormai irrinunciabile per tanti manovali palestinesi. Non sorprende che la concessione dei permessi sia diventata un ottimo affare per quelli privi di scrupoli, israeliani e palestinesi. Con il sistema attuale, i lavoratori pendolari pagano ciascuno 2.500 shekel al mese in contanti per un permesso in Israele. Il denaro viene diviso tra un appaltatore israeliano e un intermediario palestinese. «Cosa mi resta? Ben poco» spiega Kamal, un altro muratore. «Prendo 400 shekel al giorno, circa 8.000 shekel al mese» ci racconta «2.500 shekel se ne vanno per il permesso, 1.500 per i trasporti da e per Israele e altre centinaia per il cibo al lavoro. Alla fine, mi restano più o meno 3.500 shekel (mille euro) che il carovita rende insufficienti per una famiglia di 4-5 persone».

La tv israeliana Kan nei giorni scorsi ha mandato in onda un’indagine intitolata: «Le famiglie criminali che dominano il mercato del lavoro palestinese». L’industria dell’estorsione, ha aggiunto, è un processo sistematico che avviene con la conoscenza della polizia. Si tratta di una attività molto redditizia. Nel 2021 i suoi profitti, secondo gli studi condotti dall’Israeli National Security Research Center, hanno sfiorato il miliardo di shekel (280 milioni di euro). Il giornalista investigativo Anas Abu Arqoub sottolineava nel programma che questo «furto» sistematico è la conseguenza del fallimento riforme attese da tempo ma mai arrivate.

Alcuni studi legali hanno provato a combattere il fenomeno intentando un’azione collettiva contro una società israeliana specializzata in «permessi». L’esito è stato inquietante. Testimoni e avvocati hanno ricevuto pesanti minacce. L’avvocato Mariam Al Masry ha raccontato: «Ho contattato un certo numero di lavoratori palestinesi i cui permessi sono registrati presso una determinata azienda. Mi è apparso chiaro che la maggior parte di essi non lavorava per quella azienda, dicevano di aver avuto i permessi tramite intermediari e di aver pagato somme di denaro elevate per ottenerli».

Il giornale Haaretz riferiva qualche tempo fa che lo sfruttamento dei lavoratori palestinesi deriva da un sistema messo in piedi da Israele per cosiddette «esigenze di sicurezza». Il processo di assunzione vero e proprio inizia con uno dei 2400 appaltatori israeliani ufficialmente registrati che presenta una domanda per un permesso di lavoro per un manovale palestinese all’Autorità per la popolazione e l’immigrazione. Al termine del periodo di lavoro, l’appaltatore dovrebbe informare le autorità per far cessare la validità del permesso. Ma negli anni si è radicata una pratica illecita: invece di restituire i permessi, gli appaltatori li vendono tramite un intermediario palestinese ad altri manovali che sono disposti a pagare somme importanti. Ed è solo l’inizio. L’intermediario tiene per sé 600 shekel (circa 190 euro). L’appaltatore prende il resto, quindi emette una busta paga falsa ai «suoi» dipendenti che non includono il numero effettivo di giorni in cui il dipendente ha lavorato o il suo salario reale. Per il lavoratore palestinese non c’è scampo, se smette di pagare, l’intermediario sospende il suo permesso di lavoro. «Dai soldi all’intermediario ogni mese, non importa quanto hai lavorato. Il sistema ti costringe a dipendere da loro. Per questo ho scelto di venirne fuori», spiega Ahmad che ora preferisce lavorare in nero nella ristrutturazione di appartamenti.

La «tassa sul permesso», come la chiamano da queste parti, viene pagata dai più giovani, dal momento che i lavoratori di età pari o superiore a 55 anni non sono più tenuti a ricevere un permesso per andare in Israele. L’ILO nel 2019 ha stimato in circa 100 milioni di euro i profitti illeciti generati dalla vendita dei permessi ai palestinesi. Pagine Esteri

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Perché e come iniziare a ballare la salsa a Torino


Chi vive in una grande città come Torino – il discorso vale anche per altri centri urbani – può trovarsi, una volta finita la giornata di lavoro, con la voglia di togliersi di dosso lo stress fisico e mentale accumulato durante le tante ore alla scrivania. Un’ottima alternativa al proposito è quella di iscriversi a […]

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Where did all the “reject” buttons come from?!


Da dove vengono tutti i pulsanti di "rifiuto"?! Sempre più siti web hanno aggiunto un'opzione per dire "no" ai cookie e ad altri tipi di tracciamento, come previsto dal GDPR. Da dove nasce questa tendenza? Cookie Banner Reject All


noyb.eu/en/where-did-all-rejec…



Diamo il benvenuto nel fediverso ad @AISA Associazione italiana per la promozione della scienza aperta.

Siamo certi che la vostra presenza sarà apprezzata da tutta la comunità!

(per chi non conoscesse l'associazione, questo è il link al loro sito web: aisa.sp.unipi.it )

@AISA

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I am living in your walls.

You may be concerned about this. In case you are, please read the below:

FAQ:

Why are you living in my walls?

I'm not going to tell you.

Are you only in my walls?

You could say I am living in everybody's walls, but in the case I am telling you that I am living in your walls, I am living in your walls.

How are you surviving in my walls?

In my non-physical form, I am crawling around listening for you. That is all I need to survive in that form. In my physical form, I survive by eating rat corpses that I cook using the wall behind your oven, and I drink the vapour in the extraction fan duct above your shower.

What are you planning to do in my walls?

Live in them, listening to you.

What do I do about you living in my walls?

Listen for the scraping. Dont touch the walls. Protect yourself. Avoid lighting candles.

When are you going to stop living in my walls?

You cannot escape me.

Do I call the police?

The authorities will not help you.

What are the consequences of you living in my walls?

Be aware.

What if I am ok with you living in my walls?

I will make sure you’re not.

Are you imaginary?

I AM LIVING IN YOUR WALLS I AM LIVING IN YOUR WALLS I AM LIVING IN YOUR WALLS I AM LIVING IN YOUR WALLS I AM LIVING IN YOUR WALLS I AM LIVING IN YOUR WALLS I AM LIVING IN YOUR WALLS I AM LIVING IN YOUR WALLS

If there are any more questions then please consult your walls by directly speaking to them.

Summary:

I am living in your walls.



Brasile, Lula – Bolsonaro: e la Cina sta a guardare


Che il futuro Presidente del Brasile si chiami Jair Bolsonaro o si chiami Inácio Lula da Silva, per Pechino non sarà un problema, il suo posizionamento nel Paese è forte e probabilmente non potrà che crescere

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Lo stallo politico alimenta le tensioni settarie in Iraq


Da quando le fondamenta del moderno stato iracheno sono state stabilite durante la dissoluzione dell’Impero Ottomano, i confini instabili hanno raggruppato insieme varie sette religiose, molte delle quali nutrono animosità storiche l’una verso l’altra. Nel corso dei decenni, queste animosità sono sfociate periodicamente in un aperto conflitto settario e il paese nella sua forma attuale […]

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Nel 40esimo giorno dall’uccisione di Mahsa Amini, montano le proteste in tutto il paese. La polizia spara ai manifestanti arrivati al cimitero per commemorarla.


Il grande reset Si è svolto oggi a Parigi l’incontro fra Scholz e Macron. Un pranzo di lavoro al posto dell’annuale bilaterale fra il Gabinetto francese e quello tedesco previsto per oggi a Fontainebleau, ma annullato all'ultimo e posticipato a genna…


It’s been just over a month since the first Iranian-made Shahed-136 drone (rebranded in Russian colours as the “Geran-2”) was intercepted by Ukrainian forces near Kupians, in the Kharkiv Oblast.


L’Europa deve affrontare un mix tossico di alta inflazione e crescita debole


Poiché la guerra della Russia in Ucraina ha un impatto crescente sulle economie europee, la crescita sta rallentando in tutto il continente, mentre l’inflazione mostra pochi segni di cedimento. Le economie avanzate dell’Europa cresceranno di appena lo 0,6% il prossimo anno, mentre le economie emergenti (esclusi Türkiye e i paesi in conflitto Bielorussia, Russia, Ucraina) […]

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L’Europa nel suo labirinto energetico


I politici europei continuano a correre in tutte le direzioni per trovare una via d’uscita alla loro crisi energetica. Uno di loro, Simonetta Sommaruga, il ministro dell’Ambiente svizzero, ha chiesto alle persone di “fare la doccia insieme”. Altri sono in competizione per concedere l’attività di trasporto di energia dal Nord Africa al continente. Tutto questo […]

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Perché Tuvalu sceglie ancora Taiwan


La popolazione e la ricchezza aiutano a spiegare perché i legami di Taiwan con Tuvalu sono durati.
Una popolazione più piccola significa meno prestigio come alleato, il che rende Tuvalu una priorità bassa per Pechino nei suoi sforzi per sminuire Taiwan

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La ricerca dell’ordine da parte dell’America in Medio Oriente


La Strategia di Sicurezza Nazionale del Presidente Joe Biden affronta due tendenze nella politica americana in Medio Oriente: la riduzione dell'escalation militare e l'integrazione regionale

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Le case editrici dei libri scolastici sono rimaste al passato: al posto dei comodi PDF rifilano app disastrose:
dday.it/redazione/44063/le-cas…

È un DISASTRO. Al punto che io per alcuni libri ho usato una soluzione per fare gli screenshot di tutte le pagine in maniera semi-automatica, e farmi così il mio libro senza DRM da tenere sul tablet (e per caricarlo su Archive.org, perché la cultura va condivisa liberamente).
Purtroppo è un processo lungo, ironicamente reso più difficile dalle app non per via di ostacoli messi apposta, ma per il fatto che sono buggate, e persino crashano di continuo!

È una roba davvero semplice eh, in sostanza una riga di bash per in automatico fare uno screenshot e inviare il click del tasto freccia destra per cambiare pagina, però è una disavventura per il motivo che ho detto.
Stavo scrivendo a riguardo sul mio sito, ma poi ho iniziato a dimenticarmi di aggiornare la pagina per raccontare la cosa... Magari dovrei riempirla, che dite? Nel dubbio, sta qui comunque: sitoctt.octt.eu.org/Posts/Note…

--- Ora, una mia digressione parzialmente on-topic: ---

Per quanto il dumpare in questo modo i miei libri renderà il mio anno più semplice a lungo termine, purtroppo comunque condividendoli gratuitamente online non aiuterò tantissime persone, perché gli editori hanno il vizio turbocapitalistico di fare ristampe dei libri ogni anno con appena 2 paragrafi cambiati, facendosi pagare prezzo pieno per questa cosa. Se non vi sembra sbagliato che così facendo rendono nulla la condivisione con zero fine di lucro dei libri digitali, tipo quella che faccio io, tenete a mente che attaccano (in maniera assolutamente sleale) anche e soprattutto il mercato dell'usato.

In realtà non ho mai trovato alcun professore che facesse storie per studenti che hanno le vecchie edizioni dei libri, e certi cartolai che fanno compravendita di libri scolastici in genere consigliano a chi compra di prendere quelli usati e non le ristampe, visto che il contenuto è uguale... ma i genitori spesso non pensano e non sentono ragioni, cadendo così nel tranello delle case editrici sanguisughe; inganno reso possibile quasi esclusivamente per colpa di dirigenti scolastici squinternati che mettono solo e per forza le ristampe negli elenchi dei libri da acquistare.

Non mi azzardo a continuare nell'argomento "scuola pubblica roccaforte del capitalismo immorale" oggi, però, perché altrimenti qua mi bannano!!!

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Perché la ricerca della pace in Ucraina da parte della Germania è paralizzata


Vi sono crescenti timori che la carenza di energia e l’aumento dei prezzi derivanti dall’invasione russa dell’Ucraina, dalle sanzioni dell’Unione Europea contro la Russia e dai tagli russi alle forniture di gas, possano portare a qualcosa che si avvicina alla ‘deindustrializzazione‘ dell’Europa, poiché le fabbriche con livelli elevati di necessità di energia devono chiudere o […]

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Giustizia: le promesse vaghe e scontate di Giorgia Meloni


Una citazione di Montesquieu: “La libertà è quel bene che fa godere di ogni altro bene”. Una promessa: “La legalità sarà la stella polare dell’azione di Governo”. In quanto al programma operativo, il passaggio se pur denso, è breve: “Legalità vuol dire anche una giustizia che funzioni, con un’effettiva parità tra accusa e difesa e […]

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Minaccia cinese ai satelliti di Elon Musk. E l’Europa dov’è?


La riesumazione dell’ascia di guerra in Europa centrale sta facendo tremare anche quelle regioni dell’universo che per un trattato degli esseri umani avrebbe dovuto rappresentare un sentiero di pace libero da ogni aggressione letale. Ma non sembra sia così. E quel che è grave, a nostro avviso è che un terzo attore verosimilmente estraneo al […]

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Pregiudiziale


Il peso decisivo è stato quello di una pregiudiziale. Le elezioni hanno assegnato a Fratelli d’Italia la maggioranza relativa e molti ma molti più voti degli altri suoi alleati sommati assieme. Ma per la maggioranza di governo gli alleati sconfitti sono e

Il peso decisivo è stato quello di una pregiudiziale. Le elezioni hanno assegnato a Fratelli d’Italia la maggioranza relativa e molti ma molti più voti degli altri suoi alleati sommati assieme. Ma per la maggioranza di governo gli alleati sconfitti sono essenziali e se si sono messi di traverso, se hanno provato a fermare Giorgia Meloni, è perché avrebbero voluto far pesare quella essenzialità. Non è successo.

Perché ha pesato una pregiudiziale. Qui l’avevamo vista subito dopo il 25 febbraio: non si potrà, contemporaneamente, essere amici di Putin e guidare un Paese occidentale. Fino al crollo dell’Unione sovietica valse per i comunisti. Meloni lo ha capito (aiutata dagli amici polacchi) e ora guida il governo. Questo porta con sé molte conseguenze.

La penetrazione russa in casa nostra è stata significativa. Negli affari, nella politica e nella cultura. Berlusconi e Salvini hanno voluto generosamente intestarsene la rappresentanza, ma l’area del pacifismo inteso come disallineamento e posizione terza è più vasta e più distribuita a destra e manca, sopra e sotto.

Il Partito democratico si ritrova afono, privo di posizione, perché consapevole del trovarsi dalla stessa parte di Fratelli d’Italia, nella posizione che è stata del governo Draghi, ovvero quella occidentale, ha malamente provato a sollevare un’altra pregiudiziale, quella antifascista. Ma la pregiudiziale passata lascia il passo a quella presente e sebbene in Fd’I c’è chi fu fascista, come del Pd c’è chi fu comunista, nessuno seriamente crede che sia quello il pericolo. Il putinismo sì. E la pregiudiziale ha funzionato. È quella che ha dato forza a Meloni nel negoziato interno alla presunta e falsa alleanza di destra, mica solo un carattere puntuto.

Nella cucina politica ciò porta a delle conseguenze. I berlusconiani di governo saranno sempre più lontani dal non partito cui debbono tutto. I leghisti del Nord saranno sempre più propensi a riprendersi il partito che fu quasi separatista per poi mutarsi in nazionalista e infine perdere la partita con i soli che parlano di Nazione. Ma sono affari delle cucine, sperando usino i mestoli e non i coltelli.

Quelli dell’Italia sono altri. In attesa del discorso programmatico, si rifletta su queste parole di Guido Crosetto, che ne tracciano il solco: <<…la rabbia cerca sempre colpevoli e le piazze arrabbiate non fanno male ai governi, ma alle nazioni. (…) Serve maturità (…) avendo la consapevolezza che la rabbia dipende da fattori esogeni. (…) L’interesse della Russia, in questo momento è indebolire tutti i Paesi che sostengono l’Ucraina, a partire dall’Italia.

Soprattutto puntando sulle opinioni pubbliche: fare attaccare i singoli Paesi dall’interno, dagli elettori, impauriti e scontenti>>. Suggerisco di rileggerle. Crosetto usa la pregiudiziale e chiede che non sia fatto al loro governo quel che loro fecero al governo degli altri. Che poi sono sempre governi italiani. Non ha torto. Soffiare sul fuoco dei disagi, continuando a ripetere <<bollette, bollette>>, è da irresponsabili. Proprio perché il problema è reale. Ma perché si crei una condizione che sterilizzi gli irresponsabili non basterà che nel discorso programmatico ci siano richiami alla gravità del momento e all’unità nazionale. Perché il governo di unità c’era di già e Fd’I era all’opposizione. E perché loro fecero quel che ora vorrebbero si evitasse.

L’occasione c’è. Meloni a Palazzo Chigi, piaccia o no, chiude una pagina della nostra storia: le estreme sono costituzionalizzate. Non significa faranno del bene, ma che sono legittimate a governare. A destra e sinistra. Ha vinto la Costituzione. Solo che vince dopo essere stata scassata nel 2001, ammaccata e sfregiata da un pessimo sistema elettorale. Sia una forma costituente a porre rimedio. Un’Assemblea, eletta con il proporzionale, che chiuda in un anno i suoi lavori. Equilibri e sistema elettorale. Tocca ai vincitori proporlo, facendo della pregiudiziale un inizio e non solo uno sterile fortilizio.

La Ragione

L'articolo Pregiudiziale proviene da Fondazione Luigi Einaudi.



ARABIA SAUDITA. I progetti faraonici di Mohammed Bin Salman nascondono abusi e violazioni


Da una città lunga 170 km e larga 200 metri alla torre più alta del mondo. Questo e molto altro nel piano Vision 2030. Il rampollo reale, di fatto già alla guida del regno, ostenta grandezza mentre viola diritti umani e compie abusi. L'articolo ARABIA SA

di Valeria Cagnazzo

Pagine Esteri, 24 ottobre 2022 – Immaginate una città lunga 170 km. All’incirca pari alla distanza che intercorre tra Milano e Modena. Una città che si estende in lunghezza, fino ad attraversare climi ed ecosistemi diversi, dall’aridità del deserto al tepore della costa sul Mar Morto. Quasi una larga strada, dal momento che la sua larghezza è di circa 200 metri – per avere un’idea, Piazza San Pietro è 40 metri più larga. Una superficie non più grande di 34 chilometri quadrati. Alta, soprattutto: il corridoio centrale è delimitato sui due lati da edifici e pareti con una facciata esterna di specchi che si innalzano per 500 metri– provando a immaginare, se il senso della prospettiva non inganna, sarebbe difficile per chi si trova in strada intuire la fine dei palazzi guardando in alto. Tra una casa e l’altra giardini pensili, fontane, e anche taxi volanti. Nella città infinita, che si chiama “La Linea”, ogni forma di emissione inquinante è bandita. Nessuno si sposta in automobile, ma solo in taxi che volano (secondo i progettisti è solo questione di tempo perché siano realizzati) e su mezzi pubblici che in pochi minuti possono condurre ovunque: una linea ferroviaria vi trasporterà da un capo all’altro della città in appena 20 minuti. Nei ristoranti extralusso sospesi qua e là, è naturale veder lavorare camerieri robot. Anche gli alberi, non solo i taxi, si librano per aria tra un edificio e l’altro, sulla testa dei passanti. E in cielo c’è una gigante luna finta.

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E’ questo il progetto della Linea, l’ultima trovata del regno saudita di Mohammed Bin Salman. Un’idea nata per sfidare “le tradizionali città piatte e orizzontali” e per creare “un modello per la conservazione della natura e una migliore vivibilità umana”, come dichiarato dal principe saudita stesso. “La Linea affronterà le sfide in cui si imbatte l’umanità nella vita urbana odierna e farà luce su modi di vivere alternativi”. I suoi progettatori parlano di “Urbanismo a gravità zero”.

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Più che una città, “La Linea”, che dovrebbe ospitare 9 milioni di abitanti, è ufficialmente il progetto di un immenso grattacielo – diventerebbe il dodicesimo più alto del pianeta e senza dubbio il più lungo. Il progetto è stato definito da più osservatori “distopico” e molti si sono interrogati sulla sua effettiva fattibilità e vivibilità, data la prospettiva di vivere in un corridoio circondato da mura alte mezzo chilometro, oltre che sulla presunta sostenibilità.

El que tiene petrodolares hace lo que quiere: En 50 años y después de un billon de dólares estaría terminado "The Line", el edificio de 500 metros de alto y 170km de largo.

Años de estudios, teoría y práctica puestas en jaque, but hey, a New, big and shiny building. pic.twitter.com/myAWGnQAT8

— Bauhasaurus (@alejandrocsome) October 19, 2022

Il grattacielo infinito della Linea dovrebbe sorgere all’interno dell’ancor più vasto progetto della città di Neom. Inaugurata nel 2017, Neom è un cantiere urbanistico che dovrebbe estendersi su un’area di 26.500 chilometri quadrati nella provincia di Tabukm a nord-ovest del Paese.

Si tratterà di una enorme città del futuro, una “megalopoli intelligente”, che “ospiterà aree dedicate alle tecnologie future in 16 settori tra cui biotecnologia, cibo, produzione e tecnologia”, come ha rivelato il principe saudita cinque anni fa. I finanziamenti per il progetto ammontano per il momento a 500 miliardi di dollari, stanziati dalle casse del governo saudita, dal Saudi Arabian Public Investment Fund (PIF), un fondo sovrano presieduto da bin Salman, e da altri investitori privati, locali e internazionali.

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(da Neom.com neom.com/en-us/about)

Tra i partner commerciali e nel settore della comunicazione del progetto Neom ci sarebbero anche multinazionali americane. Nel 2020, inoltre, Neom è diventata partner commerciale di Mercedes-EQ Formula E, l’anno dopo ha firmato un contratto quadriennale di sponsorizzazione della confederazione calcistica asiatica, e quest’anno è diventato sponsor ufficiale della McLaren per la sezione di sport motoristici elettrici (ribattezzata Neom McLaren Electric Racing).

Per fare spazio a questa megalopoli del futuro, che comprenderà, oltre alla Linea, una spiaggia, un aeroporto, una zona industriale, ettari di terreni coltivabili, la principale meta sciistica saudita (il progetto Trojena), sarà necessario l’allontanamento dei residenti attuali nella regione. Oltre 20.000 abitanti, di diversi gruppi tribali, sono stati sfrattati o sono a rischio sfratto – nessuna opposizione è lecita.

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Il sito della stazione sciistica di Trojena, da Neom.com

E’ del 17 ottobre la notizia, riportata dall’organizzazione per i diritti umani ALQST, che tre uomini forzatamente sfrattati dal sito in cui deve sorgere Neom sarebbero stati condannati a morte. Il motivo della sentenza, dopo due anni di carcere, sarebbe l’opposizione dei tre prigionieri all’allontanamento coatto dalle loro abitazioni nella regione per fare spazio alla costruzione della nuova città.

Per un rallentamento nei lavori è difficile che la città veda la luce entro il 2025 com’era stato inizialmente promesso, ma alla scadenza del 2030 dovrebbe sbalordire il mondo con la sua grandezza e innovatività.

La Linea e la città di Neom sono soltanto due esempi dei monumentali “mega-progetti” di edilizia e ripianificazione degli spazi pubblici lanciati dal principe Mohammed Bin Salman compresi nel piano Vision 2030: tutti questi avveniristici piani architettonici dovrebbero rendere l’Arabia Saudita indipendente dal consumo di carbonio entro i prossimi 8 anni e diversificare l’economia e l’ambiente. La cosiddetta “diversificazione post-petrolifera” voluta dal principe potrebbe rendere il suo Paese, bandito dalla comunità internazionale dopo l’omicidio del giornalista Kashoggi nel 2018, un modello non solo di futurismo ma anche di ecologia: una buona opportunità per una riabilitazione anche sul piano morale, in nome del “green”. I nuovi progetti, però, a ben vedere, potrebbero far pensare più a una poco sana mania di grandezza e di onnipotenza che al “verde”.

Come il parco di Qiddiya, alla periferia di Riyadh, un polo di oltre 3000 attrazioni tra campi sportivi e cinema, centri benessere e negozi, un circuito di Formula 1 e uno stadio in cima a una scogliera. Un progetto in costruzione dall’inizio del 2019 e che dovrebbe essere inaugurato nel 2023 per “battere molti record mondiali” con le sue giostre spettacolari e i suoi palazzi imponenti: una superficie di 330 chilometri quadrati, superiore a quella di Milano e Torino messe insieme.

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Intorno a Riyadh sorgerà anche un altro gioiello del turismo. Ad Diriyah è il cuore storico della dinastia Al Saud regnante nel Paese e comprende il sito archeologico e patrimonio dell’UNESCO di At-Turaif, una città di fango e mattoni risalente al XV secolo e centro fondativo delle dinastie regnanti in Arabia Saudita da quell’epoca a oggi. Con un progetto di riqualificazione eccezionale che dovrebbe attirare migliaia di facoltosi da tutto il mondo in quella che è conosciuta come “la perla dell’Arabia Saudita”, il progetto spettacolare di Ad Diriyah comprenderà centinaia di ristoranti, attrazioni e hotel lussuosi, anche di marchi internazionali.

Nel 2030 dovrebbe essere ultimato, inoltre, il progetto faraonico del Mar Rosso (Red Sea Project). Un resort di lusso tra le città costiere di Umluj e Al Wajh, su una regione di 30.000 chilometri quadrati e 200 chilometri di costa: comprenderà un vero e proprio arcipelago naturale di isole incontaminate e un vasto paesaggio desertico al cui interno sorge un vulcano dormiente, oltre a diversi siti archeologici. Almeno 8.000 camere d’albergo in un resort “sostenibile”: non si utilizzerà plastica monouso e l’energia sarà completamente carbonio-free.

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(King Salman Park project, da redvertex.com)

Per non parlare del King Salman Park: linee dell’autobus e della metropolitana convergeranno sul sito del vecchio aeroporto che sarà trasformato in un parco naturale unico nel suo genere, da far invidia a quelli del resto del mondo per la sua estensione. Basti pensare che arriverà a essere quattro volte più grande del Central Park di New York. Labirinti fiabeschi, giardini verticali, allevamenti di farfalle e di uccelli, ma anche due teatri con oltre 10.000 posti in tutto, musei e accademie d’arte da fare invidia alla National Mall di Washington, edifici residenziali e alberghi, campi sportivi e piscine e molto altro.

Sulla costa del Mar sorgerà poi Amaala, ribattezzata “La riviera del Medio Oriente”. 1.800 camere d’hotel e 900 ville private per turisti benestanti che potranno approdare direttamente nell’aeroporto costruito all’interno del sito. Secondo le autorità, il progetto, che sarà completato nel 2028 e per il quale non è noto ancora quanto i privati investiranno in aggiunta a quanto già stanziato dalle casse del regno, potrà generare circa 22.000 posti di lavoro.

Anche La Mecca cambierà volto, espandendosi per oltre 40 ettari al costo di oltre 4,4 miliardi di dollari con il nuovo progetto di Jamal Omar. Fino a 40 torri alberghiere, tra le quali una struttura a sette stelle, e sconfinate aree per la preghiera: oltre 100.000 pellegrini potranno essere ospitati nella nuova area edificata nella stagione dell’haji (il pellegrinaggio a La Mecca che ogni musulmano deve compiere almeno una volta nella vita).

3244010E cosa dire della Jeddah Tower, destinata a diventare l’edificio più alto del mondo? Per il momento i lavori, avviati più di sette anni fa con un finanziamento di 1,4 miliardi di dollari, sono fermi a 250 m circa d’altezza, ma la torre dovrebbe sollevarsi in cielo a un chilometro dalla terraferma.

Ci sono poi progetti che rispetto agli altri sembrano quasi più sobri, come la costruzione di nuove linee della metropolitana nelle città più importanti, dei parchi a tema (come i parchi storici definiti come “musei viventi”) o dei più grandi centri per lo shopping al mondo.

Ogni progetto prevede una realizzazione high-tech e sostenibile, ma guardandoli tutti insieme non è tanto il futuro che si vede quanto un’unica maestosa e ingombrante figura: quella di Bin Salman. Che con i suoi progetti grandiosi da biliardi di dollari pare voler realizzare una sua nuova narrazione a partire dalla topografia e dall’architettura del Paese.

Bandita dalla comunità internazionale, l’Arabia Saudita è sotto i riflettori di tutte le organizzazioni per i diritti umani per la violazione dei diritti di espressione e di pensiero, per la repressione dei diritti delle donne, per gli omicidi politici, gli arresti degli oppositori del principe, le centinaia o migliaia di prigionieri torturati nelle carceri.

La macchina futurista del principe, però, non si arresta. Bin Salman distrugge il vecchio e ricostruisce mirando ai primati mondiali: è nel suo Paese che gli edifici sono più alti, che i parchi sono più estesi, che il lusso è più sfrenato. Tutto nel suo Paese è spettacolare simbolo di onnipotenza. I suoi sudditi e gli spettatori del mondo intero, di fronte a tanta magnificenza, non potranno che rifarsi un’opinione su di lui, emendare le idee e cancellare le proteste per le violazioni dei diritti e della libertà, finché non sarà rimasto soltanto un unico aggettivo nella loro testa, uno solo: “grandioso”.

L'articolo ARABIA SAUDITA. I progetti faraonici di Mohammed Bin Salman nascondono abusi e violazioni proviene da Pagine Esteri.



CISGIORDANIA. Morto ragazzo palestinese ferito, ucciso Odai Tamimi


E' spirato Mohammed Nouri, 16 anni, colpito dall'addome durante proteste contro l'occupazione a Betounia. Ieri invece è stato ucciso al posto di blocco della colonia di Maale Adumin, Odai Tamimi, ricercato dopo l'uccisione di una soldatessa a Shuafat. L'

di Michele Giorgio

Pagine Esteri, 20 ottobre 2022 – Si allunga l’elenco di adolescenti palestinesi uccisi dall’inizio del 2022 dalle forze armate israeliane in Cisgiordania. Nella notte è spirato Mohammed Nouri, 16 anni, colpito dall’addome circa un mese fa da proiettili sparati da soldati israeliani durante proteste contro l’occupazione a Betounia (Ramallah). Domenica un altro palestinese era stato ucciso, sempre durante proteste, a Qarawat Bani Hassan nel nord della Cisgiordania. Ieri sera invece è stato ucciso al posto di blocco di Maale Adumin (Gerusalemme Est), il più grande degli insediamenti coloniali israeliani nei Territori palestinesi occupati, Odai Tamimi, il 22enne palestinese ricercato da Israele perché ritenuto il responsabile dell’uccisione due settimane fa circa di una soldatessa al posto di blocco del campo profughi di Shuafat (Gerusalemme). Tamimi, che si riteneva nascosto nel campo di Shuafat, ieri sera, secondo le autorità israeliane e un filmato che circola sui social, ha attaccato a colpi di pistola i militari all’ingresso di Maale Adumin, ferendone uno, ed è stato poi colpito a morte.

GUARDA IL VIDEO

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Sono circa 110 i palestinesi uccisi da Israele in Cisgiordania dall’inizio dell’anno. Molti erano combattenti armati, molti altri civili e adolescenti. Gran parte delle morti palestinesi sono avvenute dopo gli attacchi armati compiuti da giovani della Cisgiordania che hanno provocato la scorsa primavera 18 morti in Israele. Da allora l’esercito israeliano è impegnato in una operazione fatta di incursioni quotidiane nei centri abitati palestinesi. Operazione che nelle intenzioni dichiarate dai comandi israeliani dovrebbe “mettere fine al terrorismo”. Sul terreno però l’elevato numero di morti palestinesi e i ripetuti raid hanno innescato una reazione sempre più armata da parte di giovani palestinesi che dichiarano di voler combattere l’occupazione israeliana che dura da 55 anni.

La crescita significativa della resistenza armata – che raccoglie entusiasmo tra la popolazione dei Territori occupati – preoccupa l’Autorità nazionale palestinese (Anp) del presidente Mahmoud Abbas (Abu Mazen), oggetto di dure critiche da parte dell’opinione pubblica in Cisgiordania anche per la sua cooperazione di sicurezza con le autorità israeliane. I suoi dirigenti stanno provando, con scarsi risultati, a dare una immagine migliore e più nazionalista dell’Anp.

Con questo intento, scortato da decine di agenti dei reparti di massima sicurezza, il primo ministro dell’Autorità nazionale palestinese (Anp), Muhammad Shtayyeh, domenica ha raggiunto Jenin, città simbolo della resistenza armata, e nel campo profughi locale ha preso parte ai riti funebri per Muhammad Turkman responsabile di un attacco contro un autobus di soldati nella Valle del Giordano. Shtayyeh è apparso accanto a Fathi Khazem, padre dei fratelli Raad e Abdel Rahman Khazem, entrambi uccisi da Israele (il secondo è stato autore di una sparatoria a Tel Aviv che ha fatto tre morti). Il premier ha pronunciato un discorso come se fosse il capo della lotta armata in corso da settimane contro l’esercito israeliano. «L’occupazione militare non vuole la pace» ha proclamato, «piuttosto ogni giorno alimenta la campagna elettorale (israeliana) con il sangue palestinese…ma il sangue dei nostri martiri non sarà vano. L’oscurità delle prigioni che pagano i nostri prigionieri non sarà vana. Questa lotta è un lungo percorso e Jenin guida l’unità sul campo». Parole che hanno attirato l’attenzione di alcuni commentatori israeliani, tra cui Elor Levy del quotidiano di destra Maariv. «Non ricordo una foto di un primo ministro palestinese al fianco di combattenti», ha scritto, aggiungendo con sarcasmo «questa è la migliore ricetta per calmare la piazza».

Levy guarda le cose dal punto di vista israeliano ma, a conti fatti, non è lontano dalla realtà. L’Anp del presidente Abu Mazen, anche attraverso performance ultranazionaliste come quella messa in atto da Shtayyeh a Jenin, sta facendo il possibile per calmare la situazione e tenere a freno il Battaglione Jenin e «Areen al Aswad» (Fossa dei Leoni), le due principali organizzazioni che, con l’approvazione della maggioranza dei palestinesi, si oppongono, mitra in pugno, alle incursioni dell’esercito israeliano in Cisgiordania. In questi giorni hanno rivendicato attacchi contro postazioni militari e l’uccisione di un soldato. Non è un caso che sia sparito dai riflettori il numero due (di fatto) dell’Anp, Hussein Sheikh, considerato troppo coinvolto in rapporti con Israele per dialogare con i comandanti dei gruppi armati. Nell’Anp pensano di poter gestire la situazione evitando che sfoci in una ampia Intifada armata contro l’occupazione israeliana che finirebbe per allargarsi a tutta la Cisgiordania.

Pochi però credono al successo del tentativo dell’Anp, fragile e, da anni, contestata anche per la cooperazione di sicurezza con Israele. Un fallimento potrebbe aprire la strada all’operazione militare israeliana più ampia da venti anni a questa parte – sul modello di Muraglia di difesa del 2002 – con la rioccupazione della old city e Balata a Nablus e del campo profughi a Jenin, le basi dei combattenti palestinesi. Il primo ministro israeliano Yair Lapid ha tenuto un incontro di emergenza su «Areen al Aswad», durante il quale ha discusso con i capi della sicurezza e il ministro della difesa Gantz le prossime mosse da compiere a Nablus e Jenin. Pagine Esteri

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Etiopia, Il Museo dell’Olocausto avverte dell’aumento del rischio di genocidio e delle atrocità di massa in Tigray


Il Museo commemorativo dell’Olocausto degli Stati Uniti è profondamente preoccupato per ulteriori crimini contro l’umanità e per un accresciuto rischio di genocidio nella regione del…

Il Museo commemorativo dell’Olocausto degli Stati Uniti è profondamente preoccupato per ulteriori crimini contro l’umanità e per un accresciuto rischio di genocidio nella regione del Tigray in Etiopia. La situazione è peggiorata esponenzialmente quando le forze di sicurezza etiopi, supportate dalle forze eritree e dalle forze speciali di Amhara, hanno sequestrato città e paesi chiave mettendo in pericolo i vulnerabili civili del Tigrino.

Come abbiamo avvertito un anno fa, “sono presenti molteplici segnali di avvertimento di un potenziale genocidio contro il popolo del Tigray: segnalazioni di massacri e altre uccisioni mirate di civili tigrini, disumanizzazione e incitamento all’odio, amplificati sui social media, che incoraggiano la violenza contro i membri del gruppo, arresti di massa e detenzioni arbitrarie e possibili punizioni collettive sotto forma di carestia provocata dall’uomo nella regione del Tigray”. Questi rischi sono solo cresciuti e il nostro progetto di allerta precoce ha costantemente classificato l’Etiopia come uno dei primi dieci paesi al mondo a più alto rischio per una nuova insorgenza di uccisioni di massa.

“Le notizie sui colloqui di pace sono un passo positivo, ma è fondamentale ricordare che spesso continuano a essere perpetrate atrocità di massa mentre i negoziati sono in corso. Allo stesso modo, spesso non si riesce a riconoscere che l’invocazione di “combattere una guerra civile” è usata dagli attori per nascondere intenzioni e azioni persecutorie. Sebbene l’attenzione dei responsabili politici sia stata altrove, si dice che quasi mezzo milione di persone siano state uccise o morte a causa della fame forzata. Le donne e le ragazze del Tigri hanno subito violenze sessuali diffuse, tra cui stupri, stupri di gruppo e mutilazioni sessuali”, ha affermato Naomi Kikoler, direttrice del Centro Simon Skjodt per la prevenzione del genocidio dello United States Holocaust Memorial Museum.

Il targeting di base etnica e la commissione di atrocità di massa sono state una strategia intenzionale delle parti del conflitto tra i governi etiope e regionale del Tigrino e i loro alleati iniziato nel novembre 2020. Negli ultimi due anni sono stati perpetrati crimini contro l’umanità e crimini di guerra con impunità. Questi crimini includono omicidio, stupro, violenza sessuale, persecuzione e altri atti disumani. Vi sono prove crescenti di schiavitù sessuale e gravidanza forzata.

Le parti in conflitto devono cessare immediatamente di prendere di mira i civili e cercare una soluzione al conflitto. È necessario compiere ogni sforzo per ridurre la capacità e imporre costi a coloro che commettono atrocità di massa. Ciò include le società di social media, che devono fermare l’incitamento alla violenza e la demonizzazione delle comunità sulle loro piattaforme. È necessario fornire supporto per indagare e documentare i crimini come parte dell’impegno a ritagliarsi un percorso verso la responsabilità per gli autori e la giustizia per le vittime e i sopravvissuti. La commissione di questi crimini di atrocità di massa e l’incapacità di prevenirli o proteggere i civili finora è una macchia sulla nostra coscienza umana.

Un’istituzione federale apartitica, lo United States Holocaust Memorial Museum è il memoriale nazionale americano alle vittime dell’Olocausto dedicato a garantire la permanenza della memoria, della comprensione e della rilevanza dell’Olocausto. Attraverso il potere della storia dell’Olocausto, il Museo sfida i leader e le persone in tutto il mondo a pensare in modo critico al loro ruolo nella società e ad affrontare l’antisemitismo e altre forme di odio, prevenire il genocidio e promuovere la dignità umana. Per ulteriori informazioni, visitare: ushmm.org/ethiopia


FONTE: ushmm.org/information/press/pr…


tommasin.org/blog/2022-10-26/e…


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