‘O Rey’ Pelè o l’arte della pedata
“Rimane il fatto che capire la gente non è vivere. Vivere è capirla male, capirla male e poi male e, dopo un attento riesame, ancora male. Ecco come sappiamo di essere vivi: sbagliando” (P. Roth, Pastorale americana) Tre si afferma essere il numero perfetto. La Scuola pitagorica del I secolo avanti Cristo lo considera perfetto […]
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2022, un anno di aggressione russa all’ Ucraina e il ruolo dell’America nella difesa della libertà
L’anno 2022 ha segnato il cambiamento definitivo nello spettro della pace e della stabilità regionale e globale, mentre assistiamo alla lunga marcia dell’autocrazia e della politica di potere che sono state inquadrate da una narrativa fuorviante e giustificate giocando la carta della vittima e ribaltando la situazione le norme e le regole accettate nel definire […]
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Guerra in Ucraina: perché gli ottimisti potrebbero avere ragione
È trascorso quasi un anno dall’inizio di quello che gli esperti hanno definito il più grande conflitto militare in Europa dalla seconda guerra mondiale, quindi sembra naturale riflettere sulla fattibilità di una serie di potenziali scenari che potrebbero portare alla fine della guerra in Ucraina. Il politologo bulgaro Ivan Krastev identifica tre campi distinti per […]
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Il trasferimento di Ronaldo in Arabia Saudita: un gioco di abilità unica
Un salto di qualità negli sport mediorientali ha appena raggiunto un livello negativo quando la superstar Cristiano Ronaldo si unisce alla squadra di calcio saudita di proprietà statale Al Nassr FC per, secondo quanto riferito, l’enorme cifra di 241 milioni di dollari in 2,5 anni. Il trasferimento di Ronaldo, che comporta il più alto stipendio […]
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E se l’Ucraina avesse mantenuto le sue armi nucleari?
Il disarmo nucleare di Bielorussia, Kazakistan e Ucraina è stato uno dei grandi successi della fine della Guerra Fredda, ed è stata una delle vittorie più significative per la causa della non proliferazione. Quando l’Unione Sovietica cessò di esistere, questi nuovi Stati indipendenti dovettero gestire il problema dell’eredità nucleare sovietica lasciata nelle loro terre. Il […]
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Il sistema IRIDE per il riposizionamento dell’Italia dello spazio
Quanto ha influito l’annus horribilis del Covid nella stesura del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza? Decisamente molto, visto che le criticità dovute a un improvviso allontanamento dai posti di lavoro di molti addetti per abbattere la curva dei contagi di massa -con le inevitabili conseguenze del calo produttivo- ha indotto la Commissione Europea a […]
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L’Occidente è minacciato
INCONTRO CON I RAPPRESENTANTI DELLA SCIENZA
DISCORSO DEL SANTO PADRE
Aula Magna dell’Università di Regensburg
Martedì, 12 settembre 2006
Fede, ragione e università.
Ricordi e riflessioni.
Eminenze, Magnificenze, Eccellenze,
Illustri Signori, gentili Signore!
È per me un momento emozionante trovarmi ancora una volta nell’università e una volta ancora poter tenere una lezione. I miei pensieri, contemporaneamente, ritornano a quegli anni in cui, dopo un bel periodo presso l’Istituto superiore di Freising, iniziai la mia attività di insegnante accademico all’università di Bonn. Era – nel 1959 – ancora il tempo della vecchia università dei professori ordinari. Per le singole cattedre non esistevano né assistenti né dattilografi, ma in compenso c’era un contatto molto diretto con gli studenti e soprattutto anche tra i professori. Ci si incontrava prima e dopo la lezione nelle stanze dei docenti. I contatti con gli storici, i filosofi, i filologi e naturalmente anche tra le due facoltà teologiche erano molto stretti. Una volta in ogni semestre c’era un cosiddetto dies academicus, in cui professori di tutte le facoltà si presentavano davanti agli studenti dell’intera università, rendendo così possibile un’esperienza di universitas – una cosa a cui anche Lei, Magnifico Rettore, ha accennato poco fa – l’esperienza, cioè del fatto che noi, nonostante tutte le specializzazioni, che a volte ci rendono incapaci di comunicare tra di noi, formiamo un tutto e lavoriamo nel tutto dell’unica ragione con le sue varie dimensioni, stando così insieme anche nella comune responsabilità per il retto uso della ragione – questo fatto diventava esperienza viva. L’università, senza dubbio, era fiera anche delle sue due facoltà teologiche. Era chiaro che anch’esse, interrogandosi sulla ragionevolezza della fede, svolgono un lavoro che necessariamente fa parte del “tutto” dell’universitas scientiarum, anche se non tutti potevano condividere la fede, per la cui correlazione con la ragione comune si impegnano i teologi. Questa coesione interiore nel cosmo della ragione non venne disturbata neanche quando una volta trapelò la notizia che uno dei colleghi aveva detto che nella nostra università c’era una stranezza: due facoltà che si occupavano di una cosa che non esisteva – di Dio. Che anche di fronte ad uno scetticismo così radicale resti necessario e ragionevole interrogarsi su Dio per mezzo della ragione e ciò debba essere fatto nel contesto della tradizione della fede cristiana: questo, nell’insieme dell’università, era una convinzione indiscussa.
Tutto ciò mi tornò in mente, quando recentemente lessi la parte edita dal professore Theodore Khoury (Münster) del dialogo che il dotto imperatore bizantino Manuele II Paleologo, forse durante i quartieri d’inverno del 1391 presso Ankara, ebbe con un persiano colto su cristianesimo e islam e sulla verità di ambedue.[1] Fu poi presumibilmente l’imperatore stesso ad annotare, durante l’assedio di Costantinopoli tra il 1394 e il 1402, questo dialogo; si spiega così perché i suoi ragionamenti siano riportati in modo molto più dettagliato che non quelli del suo interlocutore persiano.[2] Il dialogo si estende su tutto l’ambito delle strutture della fede contenute nella Bibbia e nel Corano e si sofferma soprattutto sull’immagine di Dio e dell’uomo, ma necessariamente anche sempre di nuovo sulla relazione tra le – come si diceva – tre “Leggi” o tre “ordini di vita”: Antico Testamento – Nuovo Testamento – Corano. Di ciò non intendo parlare ora in questa lezione; vorrei toccare solo un argomento – piuttosto marginale nella struttura dell’intero dialogo – che, nel contesto del tema “fede e ragione”, mi ha affascinato e che mi servirà come punto di partenza per le mie riflessioni su questo tema.
Nel settimo colloquio (διάλεξις – controversia) edito dal prof. Khoury, l’imperatore tocca il tema della jihād, della guerra santa. Sicuramente l’imperatore sapeva che nella sura 2, 256 si legge: “Nessuna costrizione nelle cose di fede”. È probabilmente una delle sure del periodo iniziale, dice una parte degli esperti, in cui Maometto stesso era ancora senza potere e minacciato. Ma, naturalmente, l’imperatore conosceva anche le disposizioni, sviluppate successivamente e fissate nel Corano, circa la guerra santa. Senza soffermarsi sui particolari, come la differenza di trattamento tra coloro che possiedono il “Libro” e gli “increduli”, egli, in modo sorprendentemente brusco, brusco al punto da essere per noi inaccettabile, si rivolge al suo interlocutore semplicemente con la domanda centrale sul rapporto tra religione e violenza in genere, dicendo: “Mostrami pure ciò che Maometto ha portato di nuovo, e vi troverai soltanto delle cose cattive e disumane, come la sua direttiva di diffondere per mezzo della spada la fede che egli predicava”.[3] L’imperatore, dopo essersi pronunciato in modo così pesante, spiega poi minuziosamente le ragioni per cui la diffusione della fede mediante la violenza è cosa irragionevole. La violenza è in contrasto con la natura di Dio e la natura dell’anima. “Dio non si compiace del sangue – egli dice -, non agire secondo ragione, „σὺν λόγω”, è contrario alla natura di Dio. La fede è frutto dell’anima, non del corpo. Chi quindi vuole condurre qualcuno alla fede ha bisogno della capacità di parlare bene e di ragionare correttamente, non invece della violenza e della minaccia… Per convincere un’anima ragionevole non è necessario disporre né del proprio braccio, né di strumenti per colpire né di qualunque altro mezzo con cui si possa minacciare una persona di morte…”
[4]L’affermazione decisiva in questa argomentazione contro la conversione mediante la violenza è: non agire secondo ragione è contrario alla natura di Dio.[5] L’editore, Theodore Khoury, commenta: per l’imperatore, come bizantino cresciuto nella filosofia greca, quest’affermazione è evidente. Per la dottrina musulmana, invece, Dio è assolutamente trascendente. La sua volontà non è legata a nessuna delle nostre categorie, fosse anche quella della ragionevolezza.[6] In questo contesto Khoury cita un’opera del noto islamista francese R. Arnaldez, il quale rileva che Ibn Hazm si spinge fino a dichiarare che Dio non sarebbe legato neanche dalla sua stessa parola e che niente lo obbligherebbe a rivelare a noi la verità. Se fosse sua volontà, l’uomo dovrebbe praticare anche l’idolatria.
[7]A questo punto si apre, nella comprensione di Dio e quindi nella realizzazione concreta della religione, un dilemma che oggi ci sfida in modo molto diretto. La convinzione che agire contro la ragione sia in contraddizione con la natura di Dio, è soltanto un pensiero greco o vale sempre e per se stesso? Io penso che in questo punto si manifesti la profonda concordanza tra ciò che è greco nel senso migliore e ciò che è fede in Dio sul fondamento della Bibbia. Modificando il primo versetto del Libro della Genesi, il primo versetto dell’intera Sacra Scrittura, Giovanni ha iniziato il prologo del suo Vangelo con le parole: “In principio era il λόγος”. È questa proprio la stessa parola che usa l’imperatore: Dio agisce „σὺν λόγω”, con logos. Logos significa insieme ragione e parola – una ragione che è creatrice e capace di comunicarsi ma, appunto, come ragione. Giovanni con ciò ci ha donato la parola conclusiva sul concetto biblico di Dio, la parola in cui tutte le vie spesso faticose e tortuose della fede biblica raggiungono la loro meta, trovano la loro sintesi. In principio era il logos, e il logos è Dio, ci dice l’evangelista. L’incontro tra il messaggio biblico e il pensiero greco non era un semplice caso. La visione di san Paolo, davanti al quale si erano chiuse le vie dell’Asia e che, in sogno, vide un Macedone e sentì la sua supplica: “Passa in Macedonia e aiutaci!” (cfr At 16,6-10) – questa visione può essere interpretata come una “condensazione” della necessità intrinseca di un avvicinamento tra la fede biblica e l’interrogarsi greco.
In realtà, questo avvicinamento ormai era avviato da molto tempo. Già il nome misterioso di Dio dal roveto ardente, che distacca questo Dio dall’insieme delle divinità con molteplici nomi affermando soltanto il suo “Io sono”, il suo essere, è, nei confronti del mito, una contestazione con la quale sta in intima analogia il tentativo di Socrate di vincere e superare il mito stesso.[8] Il processo iniziato presso il roveto raggiunge, all’interno dell’Antico Testamento, una nuova maturità durante l’esilio, dove il Dio d’Israele, ora privo della Terra e del culto, si annuncia come il Dio del cielo e della terra, presentandosi con una semplice formula che prolunga la parola del roveto: “Io sono”. Con questa nuova conoscenza di Dio va di pari passo una specie di illuminismo, che si esprime in modo drastico nella derisione delle divinità che sarebbero soltanto opera delle mani dell’uomo (cfr Sal 115). Così, nonostante tutta la durezza del disaccordo con i sovrani ellenistici, che volevano ottenere con la forza l’adeguamento allo stile di vita greco e al loro culto idolatrico, la fede biblica, durante l’epoca ellenistica, andava interiormente incontro alla parte migliore del pensiero greco, fino ad un contatto vicendevole che si è poi realizzato specialmente nella tarda letteratura sapienziale. Oggi noi sappiamo che la traduzione greca dell’Antico Testamento, realizzata in Alessandria – la “Settanta” –, è più di una semplice (da valutare forse in modo addirittura poco positivo) traduzione del testo ebraico: è infatti una testimonianza testuale a se stante e uno specifico importante passo della storia della Rivelazione, nel quale si è realizzato questo incontro in un modo che per la nascita del cristianesimo e la sua divulgazione ha avuto un significato decisivo.[9] Nel profondo, vi si tratta dell’incontro tra fede e ragione, tra autentico illuminismo e religione. Partendo veramente dall’intima natura della fede cristiana e, al contempo, dalla natura del pensiero greco fuso ormai con la fede, Manuele II poteva dire: Non agire “con il logos” è contrario alla natura di Dio.
Per onestà bisogna annotare a questo punto che, nel tardo Medioevo, si sono sviluppate nella teologia tendenze che rompono questa sintesi tra spirito greco e spirito cristiano. In contrasto con il cosiddetto intellettualismo agostiniano e tomista iniziò con Duns Scoto una impostazione volontaristica, la quale alla fine, nei suoi successivi sviluppi, portò all’affermazione che noi di Dio conosceremmo soltanto la voluntas ordinata. Al di là di essa esisterebbe la libertà di Dio, in virtù della quale Egli avrebbe potuto creare e fare anche il contrario di tutto ciò che effettivamente ha fatto. Qui si profilano delle posizioni che, senz’altro, possono avvicinarsi a quelle di Ibn Hazm e potrebbero portare fino all’immagine di un Dio-Arbitrio, che non è legato neanche alla verità e al bene. La trascendenza e la diversità di Dio vengono accentuate in modo così esagerato, che anche la nostra ragione, il nostro senso del vero e del bene non sono più un vero specchio di Dio, le cui possibilità abissali rimangono per noi eternamente irraggiungibili e nascoste dietro le sue decisioni effettive. In contrasto con ciò, la fede della Chiesa si è sempre attenuta alla convinzione che tra Dio e noi, tra il suo eterno Spirito creatore e la nostra ragione creata esista una vera analogia, in cui – come dice il Concilio Lateranense IV nel 1215 –certo le dissomiglianze sono infinitamente più grandi delle somiglianze, non tuttavia fino al punto da abolire l’analogia e il suo linguaggio. Dio non diventa più divino per il fatto che lo spingiamo lontano da noi in un volontarismo puro ed impenetrabile, ma il Dio veramente divino è quel Dio che si è mostrato come logos e come logos ha agito e agisce pieno di amore in nostro favore. Certo, l’amore, come dice Paolo, “sorpassa” la conoscenza ed è per questo capace di percepire più del semplice pensiero (cfr Ef 3,19), tuttavia esso rimane l’amore del Dio-Logos, per cui il culto cristiano è, come dice ancora Paolo „λογικη λατρεία“ – un culto che concorda con il Verbo eterno e con la nostra ragione (cfr Rm 12,1).
[10]Il qui accennato vicendevole avvicinamento interiore, che si è avuto tra la fede biblica e l’interrogarsi sul piano filosofico del pensiero greco, è un dato di importanza decisiva non solo dal punto di vista della storia delle religioni, ma anche da quello della storia universale – un dato che ci obbliga anche oggi. Considerato questo incontro, non è sorprendente che il cristianesimo, nonostante la sua origine e qualche suo sviluppo importante nell’Oriente, abbia infine trovato la sua impronta storicamente decisiva in Europa. Possiamo esprimerlo anche inversamente: questo incontro, al quale si aggiunge successivamente ancora il patrimonio di Roma, ha creato l’Europa e rimane il fondamento di ciò che, con ragione, si può chiamare Europa.
Alla tesi che il patrimonio greco, criticamente purificato, sia una parte integrante della fede cristiana, si oppone la richiesta della deellenizzazione del cristianesimo – una richiesta che dall’inizio dell’età moderna domina in modo crescente la ricerca teologica. Visto più da vicino, si possono osservare tre onde nel programma della deellenizzazione: pur collegate tra di loro, esse tuttavia nelle loro motivazioni e nei loro obiettivi sono chiaramente distinte l’una dall’altra.
[11]La deellenizzazione emerge dapprima in connessione con i postulati della Riforma del XVI secolo. Considerando la tradizione delle scuole teologiche, i riformatori si vedevano di fronte ad una sistematizzazione della fede condizionata totalmente dalla filosofia, di fronte cioè ad una determinazione della fede dall’esterno in forza di un modo di pensare che non derivava da essa. Così la fede non appariva più come vivente parola storica, ma come elemento inserito nella struttura di un sistema filosofico. Il sola Scriptura invece cerca la pura forma primordiale della fede, come essa è presente originariamente nella Parola biblica. La metafisica appare come un presupposto derivante da altra fonte, da cui occorre liberare la fede per farla tornare ad essere totalmente se stessa. Con la sua affermazione di aver dovuto accantonare il pensare per far spazio alla fede, Kant ha agito in base a questo programma con una radicalità imprevedibile per i riformatori. Con ciò egli ha ancorato la fede esclusivamente alla ragione pratica, negandole l’accesso al tutto della realtà.
La teologia liberale del XIX e del XX secolo apportò una seconda onda nel programma della deellenizzazione: di essa rappresentante eminente è Adolf von Harnack. Durante il tempo dei miei studi, come nei primi anni della mia attività accademica, questo programma era fortemente operante anche nella teologia cattolica. Come punto di partenza era utilizzata la distinzione di Pascal tra il Dio dei filosofi ed il Dio di Abramo, Isacco e Giacobbe. Nella mia prolusione a Bonn, nel 1959, ho cercato di affrontare questo argomento[12] e non intendo riprendere qui tutto il discorso. Vorrei però tentare di mettere in luce almeno brevemente la novità che caratterizzava questa seconda onda di deellenizzazione rispetto alla prima. Come pensiero centrale appare, in Harnack, il ritorno al semplice uomo Gesù e al suo messaggio semplice, che verrebbe prima di tutte le teologizzazioni e, appunto, anche prima delle ellenizzazioni: sarebbe questo messaggio semplice che costituirebbe il vero culmine dello sviluppo religioso dell’umanità. Gesù avrebbe dato un addio al culto in favore della morale. In definitiva, Egli viene rappresentato come padre di un messaggio morale umanitario. Lo scopo di Harnack è in fondo di riportare il cristianesimo in armonia con la ragione moderna, liberandolo, appunto, da elementi apparentemente filosofici e teologici, come per esempio la fede nella divinità di Cristo e nella trinità di Dio. In questo senso, l’esegesi storico-critica del Nuovo Testamento, nella sua visione, sistema nuovamente la teologia nel cosmo dell’università: teologia, per Harnack, è qualcosa di essenzialmente storico e quindi di strettamente scientifico. Ciò che essa indaga su Gesù mediante la critica è, per così dire, espressione della ragione pratica e di conseguenza anche sostenibile nell’insieme dell’università. Nel sottofondo c’è l’autolimitazione moderna della ragione, espressa in modo classico nelle “critiche” di Kant, nel frattempo però ulteriormente radicalizzata dal pensiero delle scienze naturali. Questo concetto moderno della ragione si basa, per dirla in breve, su una sintesi tra platonismo (cartesianismo) ed empirismo, che il successo tecnico ha confermato. Da una parte si presuppone la struttura matematica della materia, la sua per così dire razionalità intrinseca, che rende possibile comprenderla ed usarla nella sua efficacia operativa: questo presupposto di fondo è, per così dire, l’elemento platonico nel concetto moderno della natura. Dall’altra parte, si tratta della utilizzabilità funzionale della natura per i nostri scopi, dove solo la possibilità di controllare verità o falsità mediante l’esperimento fornisce la certezza decisiva. Il peso tra i due poli può, a seconda delle circostanze, stare più dall’una o più dall’altra parte. Un pensatore così strettamente positivista come J. Monod si è dichiarato convinto platonico.
Questo comporta due orientamenti fondamentali decisivi per la nostra questione. Soltanto il tipo di certezza derivante dalla sinergia di matematica ed empiria ci permette di parlare di scientificità. Ciò che pretende di essere scienza deve confrontarsi con questo criterio. E così anche le scienze che riguardano le cose umane, come la storia, la psicologia, la sociologia e la filosofia, cercavano di avvicinarsi a questo canone della scientificità. Importante per le nostre riflessioni, comunque, è ancora il fatto che il metodo come tale esclude il problema Dio, facendolo apparire come problema ascientifico o pre-scientifico. Con questo, però, ci troviamo davanti ad una riduzione del raggio di scienza e ragione che è doveroso mettere in questione.
Tornerò ancora su questo argomento. Per il momento basta tener presente che, in un tentativo alla luce di questa prospettiva di conservare alla teologia il carattere di disciplina “scientifica”, del cristianesimo resterebbe solo un misero frammento. Ma dobbiamo dire di più: se la scienza nel suo insieme è soltanto questo, allora è l’uomo stesso che con ciò subisce una riduzione. Poiché allora gli interrogativi propriamente umani, cioè quelli del “da dove” e del “verso dove”, gli interrogativi della religione e dell’ethos, non possono trovare posto nello spazio della comune ragione descritta dalla “scienza” intesa in questo modo e devono essere spostati nell’ambito del soggettivo. Il soggetto decide, in base alle sue esperienze, che cosa gli appare religiosamente sostenibile, e la “coscienza” soggettiva diventa in definitiva l’unica istanza etica. In questo modo, però, l’ethos e la religione perdono la loro forza di creare una comunità e scadono nell’ambito della discrezionalità personale. È questa una condizione pericolosa per l’umanità: lo costatiamo nelle patologie minacciose della religione e della ragione – patologie che necessariamente devono scoppiare, quando la ragione viene ridotta a tal punto che le questioni della religione e dell’ethos non la riguardano più. Ciò che rimane dei tentativi di costruire un’etica partendo dalle regole dell’evoluzione o dalla psicologia e dalla sociologia, è semplicemente insufficiente.
Prima di giungere alle conclusioni alle quali mira tutto questo ragionamento, devo accennare ancora brevemente alla terza onda della deellenizzazione che si diffonde attualmente. In considerazione dell’incontro con la molteplicità delle culture si ama dire oggi che la sintesi con l’ellenismo, compiutasi nella Chiesa antica, sarebbe stata una prima inculturazione, che non dovrebbe vincolare le altre culture. Queste dovrebbero avere il diritto di tornare indietro fino al punto che precedeva quella inculturazione per scoprire il semplice messaggio del Nuovo Testamento ed inculturarlo poi di nuovo nei loro rispettivi ambienti. Questa tesi non è semplicemente sbagliata; è tuttavia grossolana ed imprecisa. Il Nuovo Testamento, infatti, e stato scritto in lingua greca e porta in se stesso il contatto con lo spirito greco – un contatto che era maturato nello sviluppo precedente dell’Antico Testamento. Certamente ci sono elementi nel processo formativo della Chiesa antica che non devono essere integrati in tutte le culture. Ma le decisioni di fondo che, appunto, riguardano il rapporto della fede con la ricerca della ragione umana, queste decisioni di fondo fanno parte della fede stessa e ne sono gli sviluppi, conformi alla sua natura.
Con ciò giungo alla conclusione. Questo tentativo, fatto solo a grandi linee, di critica della ragione moderna dal suo interno, non include assolutamente l’opinione che ora si debba ritornare indietro, a prima dell’illuminismo, rigettando le convinzioni dell’età moderna. Quello che nello sviluppo moderno dello spirito è valido viene riconosciuto senza riserve: tutti siamo grati per le grandiose possibilità che esso ha aperto all’uomo e per i progressi nel campo umano che ci sono stati donati. L’ethos della scientificità, del resto, è – Lei l’ha accennato, Magnifico Rettore – volontà di obbedienza alla verità e quindi espressione di un atteggiamento che fa parte delle decisioni essenziali dello spirito cristiano. Non ritiro, non critica negativa è dunque l’intenzione; si tratta invece di un allargamento del nostro concetto di ragione e dell’uso di essa. Perché con tutta la gioia di fronte alle possibilità dell’uomo, vediamo anche le minacce che emergono da queste possibilità e dobbiamo chiederci come possiamo dominarle. Ci riusciamo solo se ragione e fede si ritrovano unite in un modo nuovo; se superiamo la limitazione autodecretata della ragione a ciò che è verificabile nell’esperimento, e dischiudiamo ad essa nuovamente tutta la sua ampiezza. In questo senso la teologia, non soltanto come disciplina storica e umano-scientifica, ma come teologia vera e propria, cioè come interrogativo sulla ragione della fede, deve avere il suo posto nell’università e nel vasto dialogo delle scienze.
Solo così diventiamo anche capaci di un vero dialogo delle culture e delle religioni – un dialogo di cui abbiamo un così urgente bisogno. Nel mondo occidentale domina largamente l’opinione, che soltanto la ragione positivista e le forme di filosofia da essa derivanti siano universali. Ma le culture profondamente religiose del mondo vedono proprio in questa esclusione del divino dall’universalità della ragione un attacco alle loro convinzioni più intime. Una ragione, che di fronte al divino è sorda e respinge la religione nell’ambito delle sottoculture, è incapace di inserirsi nel dialogo delle culture. E tuttavia, la moderna ragione propria delle scienze naturali, con l’intrinseco suo elemento platonico, porta in sé, come ho cercato di dimostrare, un interrogativo che la trascende insieme con le sue possibilità metodiche. Essa stessa deve semplicemente accettare la struttura razionale della materia e la corrispondenza tra il nostro spirito e le strutture razionali operanti nella natura come un dato di fatto, sul quale si basa il suo percorso metodico. Ma la domanda sul perché di questo dato di fatto esiste e deve essere affidata dalle scienze naturali ad altri livelli e modi del pensare – alla filosofia e alla teologia. Per la filosofia e, in modo diverso, per la teologia, l’ascoltare le grandi esperienze e convinzioni delle tradizioni religiose dell’umanità, specialmente quella della fede cristiana, costituisce una fonte di conoscenza; rifiutarsi ad essa significherebbe una riduzione inaccettabile del nostro ascoltare e rispondere. Qui mi viene in mente una parola di Socrate a Fedone. Nei colloqui precedenti si erano toccate molte opinioni filosofiche sbagliate, e allora Socrate dice: “Sarebbe ben comprensibile se uno, a motivo dell’irritazione per tante cose sbagliate, per il resto della sua vita prendesse in odio ogni discorso sull’essere e lo denigrasse. Ma in questo modo perderebbe la verità dell’essere e subirebbe un grande danno”.[13] L’occidente, da molto tempo, è minacciato da questa avversione contro gli interrogativi fondamentali della sua ragione, e così potrebbe subire solo un grande danno. Il coraggio di aprirsi all’ampiezza della ragione, non il rifiuto della sua grandezza – è questo il programma con cui una teologia impegnata nella riflessione sulla fede biblica, entra nella disputa del tempo presente. “Non agire secondo ragione, non agire con il logos, è contrario alla natura di Dio”, ha detto Manuele II, partendo dalla sua immagine cristiana di Dio, all’interlocutore persiano. È a questo grande logos, a questa vastità della ragione, che invitiamo nel dialogo delle culture i nostri interlocutori. Ritrovarla noi stessi sempre di nuovo, è il grande compito dell’università.
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Dieci notizie e dieci fatti per ricordare il 2022
Dicevano gli antichi che dieci sono le dita delle mani e dieci quelle dei piedi. Venti, dunque, è il numero della sufficienza, cioè un primo orizzonte di realtà con cui vivere e camminare. Mi attengo a questa regola, andando a ritroso nell’anno che abbiamo appena attraversato. Difficile dire anno buono o cattivo. Bisognerebbe compararlo. E […]
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Due pesi, due misure: continua l'occupazione illegale dell'Iraq. Qualcuno se n’è accorto? - Kulturjam
"A differenza dell’Ucraina, per difendere la propria sovranità l’Iraq non può contare sulla concessione massiccia di aiuti umanitari e di materiali bellici, a suon di miliardi, da parte dell’Unione Europea per liberare il proprio Nord Est dalle truppe occupanti, perché quelle truppe sono europee e sono proprio i Paesi europei, oltre a Israele, a beneficiare principalmente del petrolio iracheno sottratto illecitamente da quella zona."
La fotografia di Jungjin Lee
La fotografa sud coreana Jungjin Lee crea paesaggi fotografici che mescolano tecniche e materiali della tradizione orientale e occidentale.
Le immagini di Lee sono paesaggi che rappresentano uno stato mentale. Ogni fotografia è il risultato di un processo fortemente mediato, che accentua e nasconde le capacità mimetiche della fotografia, per creare un'estetica che si avvicina alla tradizionale pittura a inchiostro asiatica.
In certe immagini, terra e cielo sembrano aver smarrito il loro orizzonte. Il grigio si fonde con il grigio, fino a dissolversi. Cieli, nuvole, mari diventano spesso astrazioni, bande di luce e oscurità. Universi vuoti, che nonostante tutta la loro fisicità, rimangono unici e misteriosi. Immagini ricche di metafore che sembrano rendere accessibile l'invisibile.
fotografiaartistica.it/fotogra…
Festeggiare Capodanno distruggendo quattro auto più la propria, cercando anche di fare finta di nulla
Il 1 gennaio le gazzette hanno ripreso un comunicato stampa dal sito del Comune di Firenze.
Questo il testo.
Con #Ferrari danneggia quattro auto e se ne va, individuato dalla Polizia municipale - Per l’uomo anche il ritiro della #patente
Durante la notte di #Capodanno ha danneggiato quattro auto andandoci a sbattere con una Ferrari e poi è scappato, ma è stato rintracciato dalla Polizia municipale poche ore dopo e multato.
L’uomo è il proprietario della Ferrari, un #imprenditore fiorentino. Durante i festeggiamenti di Capodanno, per cause in corso di accertamento, è uscito di strada in via #Paisiello e si è scontrato con quattro auto in sosta provocando loro gravi danni. Ma invece di lasciare le proprie generalità se ne è andato abbandonando lì la Ferrari, anch’essa incidentata. Alla scoperta dell’accaduto, la Polizia municipale ha in poco tempo rintracciato il proprietario dell’auto che è stato multato per eccesso di velocità e rifiuto di dare i propri dati. Avendo poi esaurito i punti residui sulla #patente, questa gli è stata ritirata.
Uscito da chissà quale mescita e chissà in che condizioni, un ricco è andato a sbattere contro quattro auto in sosta e ha cercato di fare il ricco anche dopo: l'attenzione della gendarmeria è bene sia riservata a quegli importuni che vendono fazzoletti ai semafori. Ovviamente l'hanno rintracciato in pochi minuti e gli hanno redatto un verbale comprensivo di tutto.
E non doveva essere la prima volta che faceva il ricco: esaurire i punti sulla patente (normalmente venti) richiede una determinazione e una costanza nei comportamenti da ricco degne di cause assai migliori.
Visto che negli ultimi anni la "libera informazione" ha dato ancora più spazio del solito a imprenditori che non facevano che lamentarsi del #fatturato e che giuravano di essere a un passo dalla rovina, c'è anche da lasciarsi andare a qualche illazione sull'utilizzo degli #incentivi alle #imprese.
Poliverso & Poliversity reshared this.
#uncaffèconluigieinaudi☕ – Guardiamoci dall’adorare sotto nuovi nomi il vecchio idolo…
Guardiamoci dall’adorare sotto nuovi nomi il vecchio idolo. La libertà non si ottiene e non si conserva se non nella lotta di ogni giorno e di ogni ora
da I limiti ai partiti, «L’Italia e il secondo Risorgimento», 20 maggio 1944
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2023: Mattarella detta l’agenda
Misurato nei toni, istituzionale come l’occasione e il tempo esige, preciso, sobrio, austero; curato nella forma che – non ci si stancherà mai di ripeterlo – in democrazia è l’essenza della sostanza, il messaggio di fine/inizio anno del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella chiaramente è rivolto al Paese e alla classe politica di governo e di […]
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Dall’Etiopia meridionale al Sudafrica // La migrazione dei giovani
In ottobre e novembre, in Malawi e Zambia sono stati ritrovati più di 50 cadaveri di etiopi. Le indagini condotte in ciascun paese indicano che gli etiopi trovati morti sulla strada erano diretti in Sudafrica. Questa discussione esamina la natura del percorso di viaggio, i fattori trainanti dietro la migrazione e la sofferenza degli etiopi.
Lo scorso ottobre, in Malawi sono stati trovati 29 cadaveri. Secondo la polizia dell’epoca, 25 dei morti erano etiopi. Circa un mese dopo, si è ripetuto lo stesso incidente scioccante. La polizia dello Zambia ha annunciato di aver trovato i corpi di 27 uomini ritenuti rifugiati etiopi a novembre. I corpi sono stati trovati abbandonati in una fattoria vicino alla capitale dello Zambia.
Le indagini finora indicano che questi etiopi hanno perso la vita mentre viaggiavano per entrare in Sudafrica. La maggior parte di coloro che si recano in Sud Africa attraverso questa rotta migratoria sono originari dell’Etiopia meridionale, in particolare delle aree di Hadia e Kembata. Oltre ai giovani che muoiono dall’Etiopia e attraversano i confini, le foreste e gli oceani di diversi Paesi per raggiungere il Sudafrica, le sofferenze ei soprusi sono intensi, ma la migrazione non ha mostrato una tendenza a diminuire.
L’Organizzazione internazionale per le migrazioni (IOM) ha pubblicato uno studio lo scorso maggio. Lo studio è stato condotto intervistando 382 su 793 etiopi in dieci carceri in Tanzania. L’86% degli intervistati era single. Il 99 per cento di loro sono uomini. La loro età media è di 20 anni. Il 30 per cento ha completato la scuola superiore. Il 99 per cento degli intervistati sono migranti della regione meridionale, in particolare delle zone di Hadia e Kembata.La migrazione dei giovani: dall’Etiopia meridionale al Sudafrica.
Questa preparazione della discussione esamina la natura del percorso di viaggio, i fattori trainanti della migrazione e la sofferenza degli etiopi. Uno di quelli che hanno partecipato alla discussione è Ato Ghezhegne Sumamo, che ha fatto la sua vita nella città di Johannesburg, in Sud Africa. Ato Gheheghne è un attivista della comunità etiope e lavora con il governo del paese nella prevenzione della criminalità in Sud Africa.
La direttrice dell’Istituto per gli studi sulla pace e la sicurezza dell’Università di Addis Abeba, la dott.ssa Fana Gebresenbat, è una ricercatrice senior del progetto Migration for Equality and Development (MIDEQ). Alla discussione ha partecipato Yordanos Almaz Seifu, uno scienziato sociale che studia la rotta migratoria dall’Etiopia al Sudafrica.
Audio e video sull’argomento:
discussione: La migrazione dei giovani: dall’Etiopia meridionale al Sudafrica
ውይይት፤ ወጣቶቹን የሚያረግፈው ስደት፦ ከደቡብ ኢትዮጵያ ወደ ደቡብ አፍሪካ
FONTE: dw.com/am/%E1%8B%88%E1%8C%A3%E…
Governo Meloni: migranti e vaccinati alla ‘gogna’
E cominciamo questo nuovo anno con una domanda, anzi due. Due domande di logica elementare, non polemiche: semplicemente a fondamento logico. Io, vale la pena di precisarlo checché ne diciate, non faccio mai polemiche: magari uso parole forti ironiche sbeffeggianti, ma cerco sempre di essere razionale e ragionevole. Certo, lo vedete bene anche io ho […]
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Non siamo partiti bene
Etiopia, Perseguire Crimini Contro l’Umaintà: Dov’é La Legge?
Per mantenere la sua promessa di combattere l’impunità, l’Etiopia deve emanare una legislazione che criminalizzi le gravi violazioni dei diritti umani.
Nel giugno 2018, il primo ministro etiope Abiy Ahmed Ali ha dichiarato al Parlamento che il governo post 1991 ha usato torture e uccisioni per terrorizzare il suo popolo. Perpetrate nei centri di detenzione della polizia, nelle segrete e nelle carceri di tutto il paese, le violenze sanzionate dallo stato raccontate dal primo ministro equivalgono a crimini contro l’umanità nel diritto penale internazionale . Cioè, un attacco diffuso o sistematico diretto contro la popolazione civile.
La dichiarazione di Abiy rappresentava un caso eccezionale di un leader del governo etiope in carica che ammetteva pubblicamente il coinvolgimento dello Stato in crimini contro l’umanità. Seguirono promesse di responsabilità. Il (allora) procuratore generale usò esplicitamente l’espressione “crimini contro l’umanità” quando giurò di assicurare alla giustizia i presunti colpevoli.
A differenza delle promesse di responsabilità, le accuse di crimini contro l’umanità in Etiopia non sono nuove. Tali affermazioni sono state recentemente ascoltate da organizzazioni precedentemente silenziose come la Commissione etiope per i diritti umani (EHRC).
Nel 2021, l’EHRC ha concluso che i crimini contro l’umanità sono stati perpetrati in relazione alla violenza seguita all’assassinio del famoso cantante oromo Hachalu Hundessa. L’EHRC e il Joint Investigation Team (JIT) delle Nazioni Unite hanno scoperto nel marzo 2022 che tutte le parti coinvolte nel conflitto nel Tigray avevano perpetrato crimini contro l’umanità.
Approfondimenti:
- Etiopia, report ONU sui crimini di guerra e violazione dei diritti umani in Tigray
- Etiopia, ennesimo attacco aereo dopo report ONU su crimini contro l’umanità in Tigray
- Etiopia: crimini contro l’umanità nella zona del Tigray occidentale
- Etiopia, la Giustizia Non Deve Essere Uccisa Da Un Accordo di Pace
Per perseguire efficacemente i crimini contro l’umanità, è necessaria una legislazione nazionale
Le conclusioni della SIC sono in fase di revisione da parte della Task Force interministeriale ( IMTF ), istituita dal governo alla fine del 2021 per indagare sulle gravi violazioni dei diritti umani internazionali e delle leggi umanitarie commesse nel conflitto nel nord dell’Etiopia. Il governo ha promesso di consegnare i colpevoli alla giustizia se l’inchiesta condotta dall’IMTF sulla guerra del Tigray confermerà le conclusioni del JIT.
L’Etiopia ha compiuto sforzi per mantenere le sue promesse. Nel dicembre 2020, il ministero della Giustizia ha organizzato un seminario di brainstorming ad Addis Abeba per esaminare le sfide e le prospettive di perseguire i crimini contro l’umanità nei tribunali etiopi. Hanno partecipato diversi funzionari ed esperti delle forze dell’ordine, tra cui l’autore di questo ISS Today .
Il seminario ha ribadito una scoperta già ben nota negli ambienti accademici: il diritto penale etiope non vieta i crimini contro l’umanità. In effetti, l’espressione “crimini contro l’umanità” ai sensi dell’articolo 28 della Costituzione etiope è un termine improprio inteso a denotare crimini internazionali. Il riferimento alla frase di cui all’articolo 44 del codice penale etiope è un altro malinteso che si riferisce agli altri due fondamentali crimini internazionali, genocidio e crimini di guerra.
Sebbene il seminario abbia evidenziato che l’integrazione completa dei crimini contro l’umanità nella legge etiope fosse fondamentale, non c’è stato uno sforzo significativo per farlo. Il ritardo potrebbe essere attribuito alle riserve di alcuni pubblici ministeri e partecipanti al seminario che non erano entusiasti di avere una legge nazionale. Hanno ritenuto che l’Etiopia sarebbe in grado di perseguire i crimini contro l’umanità facendo riferimento al diritto penale internazionale pertinente o concentrandosi sui reati sottostanti/presupposto.
La richiesta ai pubblici ministeri di concentrarsi sui reati presupposti è inutile poiché molti sono sconosciuti nella legge etiope
Tuttavia, per perseguire efficacemente i crimini contro l’umanità, è necessaria una legislazione nazionale. In primo luogo, i tribunali etiopi non possono applicare direttamente il diritto penale internazionale consuetudinario, che incarna le norme che disciplinano i crimini contro l’umanità. Possono utilizzare disposizioni penali sancite da convenzioni internazionali di cui l’Etiopia è parte. Ma l’Etiopia non è uno stato parte dello Statuto di Roma della Corte Penale Internazionale, che include i crimini contro l’umanità. Inoltre, a differenza del genocidio e dei crimini di guerra , non esiste una convenzione internazionale sui crimini contro l’umanità.
In secondo luogo, concentrarsi sul perseguimento dei reati presupposto dei crimini contro l’umanità trascura le nozioni fondamentali e l’origine del crimine. Reati presupposti quali omicidio, stupro e lesioni colpose gravi sono “reati ordinari”. I crimini contro l’umanità sono crimini internazionali più gravi in termini di gravità e danno, e portano elementi contestuali unici – come l’attacco diffuso o sistematico – che non sono da imputarsi per nessuno dei suoi reati sopra citati.
Criminalizzando crimini così orrendi, la comunità internazionale cerca di salvaguardare la pace, la sicurezza e il benessere del mondo. Il ruolo del governo nel perseguire i crimini contro l’umanità è, quindi, quello di agire non solo per conto delle vittime ma anche della comunità internazionale. Ciò non può realizzarsi quando il reato è erroneamente qualificato e perseguito come un reato ordinario che porta interessi puramente nazionali.
Contrariamente alle promesse dell’Etiopia, perseguire i crimini contro l’umanità come crimini ordinari difficilmente può essere considerato diverso dall’incapacità o dalla riluttanza a perseguirli. Potrebbe essere visto come un tentativo di proteggere i colpevoli dalla giustizia senza considerare le norme pertinenti su limitazioni legali, immunità, ordini superiori e responsabilità di comando.
Comunque sia, la richiesta ai pubblici ministeri di concentrarsi sui reati presupposti è inutile in quanto molti di essi sono sconosciuti nella legge etiope. L’apartheid, la tortura, la sparizione forzata, lo sfollamento interno, la deportazione, lo sterminio e la persecuzione non sono criminalizzati come reati distinti.
L’assenza del diritto sui crimini contro l’umanità ha portato alla politicizzazione della violenza e dei processi
L’assenza della legge sui crimini contro l’umanità nel Paese non pone solo un problema ipotetico. Ha praticamente portato alla politicizzazione della violenza e dei processi, afferma un alto procuratore che ha parlato con l’Istituto per gli studi sulla sicurezza in condizione di anonimato.
Temesgen Lapiso, ex direttore generale del ministero della Giustizia, concorda. Dice che i potenziali casi di crimini contro l’umanità sono stati spesso descritti erroneamente come crimini contro l’ordine costituzionale e la sicurezza interna dello stato. Ciò include violenze e sfollamenti contro Amharas nella regione di Benishangul-Gumuz (2015), Oromos nella regione somala etiope (2017) e Gedeos nell’Etiopia meridionale (2020).
Approfondimenti:
- Etiopia, il governo ha bloccato dichiarazioni di carestia per il Tigray
- Etiopia invitata dalla UE a ricollegare la regione del Tigray al mondo
- Etiopia, Cina, Russia hanno ritardato riunioni ONU sulla carestia in Tigray
- Etiopia, gli ospedali del Tigray continuano a chiudere per mancanza delle forniture sanitarie
Allo stesso modo, i casi di crimini contro l’umanità riconosciuti da Abiy nel 2018 sono stati perseguiti come reati ordinari. L’ex capo dell’intelligence Getachew Assefa e diversi imputati sono stati incriminati per corruzione e abuso di potere.
Nonostante i suoi impegni, l’Etiopia non sarà in grado di mantenere le sue promesse a meno che il suo diritto interno non consideri i crimini contro l’umanità. Ciò potrebbe essere fatto in un processo legislativo relativamente semplice, in quanto comporta essenzialmente l’adozione delle definizioni internazionali del reato. Supponendo che esista la volontà politica, una bozza del ministero della Giustizia potrebbe essere approvata dal Consiglio dei ministri e trasmessa senza indugio al Parlamento.
Autore: Tadesse Simie Metekia, ricercatore senior, progetto ENACT, ISS Addis Abeba
FONTE: issafrica.org/iss-today/prosec…
L’Eritrea Risponde all’Articolo dell’Ex Inviato Speciale USA al Corno, Jeffrey Feltman
Lettera aperta alla rivista Foreign Affairs
30 dicembre 2022
Il 26 dicembre di questa settimana, il Foreign Affairs Magazine ha pubblicato un articolo intitolato: “La dura strada verso la pace in Etiopia”, dell’ex inviato speciale degli Stati Uniti, Jeffrey Feltman.
Nonostante il titolo fuorviante, le intenzioni implicite e trasparenti di Feltman sono di alimentare una nuova e più ampia guerra nella regione.
Questo non è sorprendente in molti modi. In effetti, quando Feltman è stato nominato inviato speciale degli Stati Uniti presso l’HOA, il suo primo e imbarazzante atto pubblico è stato quello di denigrare ed etichettare in termini molto peggiorativi i suoi potenziali ospiti: i governi e i leader di Eritrea, Etiopia e Somalia. Per lui, i vertici tripartiti tra Eritrea, Etiopia e Somalia erano architetture maligne che rappresentavano, nella sua prospettiva distorta, “una minaccia per la pace e la stabilità regionali”. Lo storico accordo di pace e amicizia tra Eritrea ed Etiopia è stato gettato nella stessa luce negativa.
Approfondimenti sull’accordo di pace Etiopia Eritrea:
- La pace tra Etiopia ed Eritrea: un enigma ancora da risolvere
- Eritrea e Etiopia a due anni dagli accordi di pace
- L’Etiopia e il conflitto nel Tigrai
Queste dichiarazioni pubbliche provocatorie non potevano essere scrollate di dosso, nemmeno allora, come gaffe diplomatiche che derivavano dalla mancanza di tatto o esperienza. Hanno illustrato, fin dall’inizio, i sinistri obiettivi della sua missione che si riducevano a resuscitare il TPLF con ogni mezzo e attraverso vari sotterfugi.
I sogni irrealizzabili di Feltman sono stati ovviamente completamente frustrati con la scomparsa del TPLF. La sua ira irrazionale è quindi diretta, in questo momento, principalmente contro l’Eritrea.
L’attuale fissazione di Feltman per l’Eritrea è, in effetti, un’ossessione borderline. Nell’articolo che avrebbe dovuto discutere del processo di pace in Etiopia, cita l’Eritrea più di trenta volte e il presidente Isaias Afeworki più di venticinque volte. Cerca volutamente di demonizzare l’Eritrea; è la leadership e la sua gente insistendo costantemente e soprannominando l’Eritrea come il “più grande potenziale spoiler”. Questo è un caso lampante di “la pentola che chiama il bollitore nero”. Nella sua storia, anche prima della sua indipendenza, l’Eritrea è sempre stata coerente e basata sui principi nella promozione della pace e della stabilità regionali; sulla costruzione di meccanismi e modalità per legami reciprocamente vantaggiosi di cooperazione economica regionale; sull’azione regionale concertata e collettiva per combattere e sradicare l’estremismo fondamentalista, ecc.
Approfondimanti sul regime eritreo:
- Eritrea, appello di HRW sui diritti umani violati nel paese e nella guerra in Tigray
- Etiopia, il governo minaccia l’Irlanda di tagliare i legami per presunto “attacco contro la sua sovranità, integrità territoriale”
- Eritrei braccati mentre si intensifica la chiamata militare per la guerra del Tigray in Etiopia
- La guerra del Tigray in Etiopia: la storia breve, media e lunga
Incapace di controllare le sue frustrazioni, Feltman vira verso atti orribili di estrema caccia alle streghe dell’Eritrea. Sostiene la “solidarietà e l’azione internazionale” per strangolare l’Eritrea. Raccomanda la “reimposizione” della sanzione illecita del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite contro l’Eritrea e la privazione del suo seggio sovrano presso l’HRC delle Nazioni Unite. Egli istiga i vicini dell’Eritrea nel Corno e nella più ampia regione del Medio Oriente/Golfo a rinunciare ai loro interessi naturali e ad allearsi contro questo piccolo paese. Cerca di fomentare la discordia e il conflitto tra Eritrea ed Etiopia attraverso perfide insinuazioni e congetture.
E nel frattempo, Feltman finge di ignorare le origini e le dinamiche della guerra di insurrezione e della scelta del TPLF; perché la regione è stata immersa in questo pantano in primo luogo. In tal caso, è importante sottolineare nuovamente questi fatti salienti per mettere le cose nella giusta prospettiva:
- La feroce guerra durata quasi due anni nel nord dell’Etiopia è stata innescata solo e soltanto perché il TPLF ha lanciato attacchi militari massicci, premeditati e coordinati contro tutti i contingenti del Comando Nord nella notte del 3 novembre 2020. Il TPLF ha dispiegato 250.000 miliziani e Forze speciali che aveva addestrato nel corso degli anni per l’operazione che i suoi comandanti hanno soprannominato “blitzkrieg”.
- Gli obiettivi dichiarati del TPLF nel lanciare la sua spericolata guerra di insurrezione erano di neutralizzare totalmente il comando settentrionale; catturare tutte le sue armi pesanti (che costituivano circa l’80% dell’ordinanza totale dell’EDF) e rovesciare il governo federale.
- L’annullamento dello storico accordo di pace e amicizia tra Eritrea ed Etiopia e i successivi atti di continua destabilizzazione dell’Eritrea sono stati parte integrante e pronunciata della guerra di insurrezione del TPLF.
- La guerra di insurrezione del TPLF non si è limitata ai suoi sconsiderati assalti militari nel novembre 2020. Anche quando la prima offensiva è stata sventata e sullo sfondo di successivi cessate il fuoco unilaterali e umanitari dichiarati dal governo federale, il TPLF ha persistito nella sua guerra sforzi per scatenare la seconda offensiva da giugno a settembre nel 2021 e la terza offensiva il 24 agosto di quest’anno. In tutti questi atti, il TPLF ha sequestrato e incanalato l’assistenza umanitaria ei camion del WFP per i suoi sforzi bellici; e, ha arruolato decine di migliaia di bambini soldato come carne da cannone nelle sue costose tattiche di guerra a ondate umane.
Questi fatti illustrano, al di là di ogni ombra di dubbio, che i malvagi obiettivi di Feltman sono distruggere la pace permanente e irreversibile nella nostra regione. La domanda scottante è se si tratti di una sua posizione isolata o di una posizione comune, condivisa, magari con una confezione più sottile, da altri ambienti dell’amministrazione statunitense.
Ambasciata dello Stato dell’Eritrea
Negli Stati Uniti d’America
Washington DC
30 dicembre 2022
FONTE: shabait.com/2022/12/30/open-le…
Etiopia, la guerra ha creato 8 milioni di etiopi dipendenti dagli aiuti, 5 nel Tigray
Cinque milioni di persone sono nel Tigray
Le autorità etiopi stimano che oltre otto milioni di persone dipendano ora dagli aiuti umanitari a causa della guerra nel nord del paese.
È stato pubblicato un rapporto quando la situazione umanitaria nell’Etiopia settentrionale ha iniziato a migliorare dopo che è stato raggiunto un accordo di pace tra il governo federale e l’amministrazione del Tigray People Liberation Front nel Tigray.
Quasi un miliardo di birr in contanti è stato finora trasportato nel Tigray, con il 75% del denaro destinato a Mekelle e il resto a Shire.
In una conferenza stampa tenutasi a dicembre, Shiferaw Teklemariam, capo della Commissione nazionale per la gestione del rischio di catastrofi, ha affermato che “il governo e i partner per lo sviluppo sono stati in grado di raggiungere il 100% del loro obiettivo fornendo aiuti a oltre otto milioni di persone bisognose di cure urgenti”. assistenza.”
“È stato formato anche un comitato ministeriale per gli sforzi di ricostruzione. Mentre esiste un comitato ministeriale formato per le operazioni umanitarie, un altro comitato, guidato dal ministero delle Finanze, dovrebbe cercare finanziamenti per i lavori di ricostruzione nelle regioni colpite dalla guerra”, ha affermato.
Il Tigray ha 5,2 milioni degli otto milioni di persone che sono diventate dipendenti dagli aiuti a causa della guerra. Circa 2,4 milioni di persone provengono dalla regione di Amhara, mentre oltre 715.100 si trovano nella regione di Afar.
La guerra nell’Etiopia settentrionale ha causato danni significativi all’economia, con almeno 20 miliardi di dollari previsti per gli sforzi di ricostruzione sulla base di una stima ufficiale.
Il 20 dicembre 2022, USAID ha riferito che un milione di persone colpite dalla crisi in Afar, Amhara e Tigray avevano ricevuto assistenza alimentare dal WFP dal 1° novembre 2022. Questo è lontano dal rapporto fatto da Shiferaw, che ha affermato che cinque milioni di persone hanno stato raggiunto finora.
“Nel primo round, che ha richiesto sei settimane, abbiamo consegnato 169.000 metri cubi di aiuti”, ha affermato.
Approfondimenti:
- Etiopia, colpito un camion umanitario del WFP da un attacco drone in Tigray
- Etiopia, colloqui di pace falliti prima di iniziare mentre in Tigray si muore per mancanza di medicinali
- Il costo umano della pace nel Tigray // Duke Burbridge per TGHAT
- Etiopia, Affamati di Pace : la Risposta Umanitaria nel Tigray dopo l’Accordo di Pretoria
- Etiopia, la lenta agonia dell’accesso umanitario in Tigray
FONTE: thereporterethiopia.com/29260/
Il costo umano della pace nel Tigray // Duke Burbridge per TGHAT
Sono passati due mesi da quando il governo etiope ha promesso accesso umanitario e protezione senza ostacoli al popolo del Tigray come parte dell’accordo di cessazione delle ostilità firmato a Pretoria, in Sudafrica. Per la maggior parte dei tigrini, l’accesso umanitario e la protezione promessi non si sono ancora concretizzati. L’ultimo aggiornamento sulla distribuzione del cibo ha riguardato la settimana terminata il 21 dicembre . Purtroppo, l’area del Tigray bloccata dagli aiuti umanitari è rimasta invariata. Fino a quando il governo etiope non sarà costretto a onorare le sue promesse, la strada per la pace in Etiopia continuerà ad essere fiancheggiata dalle tombe anonime di civili innocenti che stanno ancora morendo nel genocidio del Tigray in corso.
L’area del Tigray che rimane bloccata dagli aiuti ha recentemente ospitato milioni di persone che vivono in comunità pacifiche e piccole città. Ora nessuno sa quanti ne rimangono. Le famiglie nel nord del Tigray avevano bisogno di cibo e medicine l’anno scorso e invece hanno ricevuto legioni d’invasione di soldati nemici scarsamente addestrati. Molti [tigrini] sono stati sfollati più volte. Coloro che non avevano le risorse per sfuggire agli eserciti genocidi o alla carestia sono costretti a sopravvivere senza alcuna assistenza esterna. L’attuale area di divieto di accesso comprende l’intera patria del popolo Irob e quasi tutta la comunità Kunama del Tigray. Se il blocco non viene revocato, l’Irob potrebbe cessare di esistere come cultura e comunità e l’intera popolazione di Kunama sarà intrappolata in Eritrea. Questi gruppi sono stati presi di mira specificamente per la violenza e sono stati intenzionalmente affamati insieme alla popolazione del Tigray.
Le famiglie che rimangono nelle aree rurali ancora bloccate dall’accesso umanitario un tempo costituivano la spina dorsale del sistema alimentare locale. Molti hanno perso tutto negli ultimi due mesi , compreso il bestiame e persino il prossimo raccolto di cui il Tigray ha un disperato bisogno per sopravvivere. Anche se in pochi hanno potuto recuperare quanto era già stato venduto per sopravvivere alla carestia e al successivo blocco; o saccheggiati o distrutti durante la precedente invasione etio-eritrea.
Sfollati con niente
Secondo il Programma Alimentare Mondiale (PAM) c’erano 1,55 milioni di civili nella zona nord-occidentale che avevano bisogno di assistenza alimentare poco prima dell’invasione. Molte di queste persone erano già sfollate e sopravvivevano solo grazie alla generosità delle comunità ospitanti. Tra questa popolazione vi sono numeri estremamente elevati di minori non accompagnati, vittime di traumi, donne e ragazze sopravvissute a orribili violenze sessuali e persone con problemi di salute cronici che non hanno potuto ricevere farmaci o cure per anni. La maggior parte di queste famiglie ha ricevuto un paniere alimentare del WFP per sei settimane solo una o due volte l’anno precedente. Nella maggior parte dei casi la razione è stata notevolmente ridotta. Spesso questo era solo un sacco di grano, che molte famiglie non hanno la possibilità di macinare e devono mangiare bollito.
Come mostrato nella tabella sottostante, alla fine del mese scorso, il WFP ha ridotto di 630.244 unità (-40%) l’obiettivo di distribuzione alimentare nella zona nord-occidentale. Le richieste al WFP su questo cambiamento sono rimaste senza risposta durante le vacanze, ma forse una risposta arriverà presto. Anche la prossima valutazione dell’insicurezza alimentare del WFP è in ritardo e dovrebbe aggiungere chiarezza sulla causa di un cambiamento così drastico. La riduzione è molto probabilmente dovuta allo sfollamento di massa, poiché le popolazioni bisognose sono aumentate altrove nel Tigray. Tuttavia, c’è stato un blocco di tre mesi sull’intera regione del Tigray e molte aree sono ancora bloccate, il che significa che la popolazione target per l’assistenza alimentare dovrebbe essersi spostata in ogni zona.Fonte: Etiopia Food Security Cluster ( Round 1 ) ( Round 2 )
Al momento non è possibile sapere quante persone siano fuggite dal Nordovest. Gli ultimi dati affidabili sugli spostamenti dal Tigray risalgono a giugno 2021 , da allora tutti gli aggiornamenti della Displacement Tracking Matrix (DTM) dell’OIM hanno escluso il Tigray interamente a causa di “sfide logistiche”.
Anche dove ci sono sacche di progresso, il vantaggio non è uniforme. Nelle aree in cui sono stati consegnati cibo e medicine, semplicemente non è sufficiente all’urgente bisogno delle numerose persone. Le famiglie vengono allontanate dai siti di distribuzione o se ne vanno con molto meno del normale paniere alimentare del WFP. Coloro che sono abbastanza fortunati da ricevere cibo generalmente ricevono solo una piccola quantità di grano e gli ospedali ricevono farmaci e forniture mediche solo per alcuni giorni per volta . Nelle città del Tigray settentrionale, dove è migliorato l’accesso ai servizi di base come elettricità e acqua, servizi igienici e igiene (WASH), non vi è alcuna indicazione che il beneficio stia raggiungendo le popolazioni sfollate, che potrebbero essere molto più numerose della comunità ospitante di ciascuna città.
È imperativo che il WFP e l’IPC possano condurre immediatamente valutazioni sull’insicurezza alimentare nel Tigray senza alcun ostacolo o influenza da parte del governo etiope. Questa non è scienza missilistica. Questo tipo di valutazioni sono state condotte nel Tigray per decenni.
Difetti evidenti e fallimento prevedibile
Il processo di pace si è mosso a un ritmo glaciale per ragioni apparentemente prevedibili. L’accordo di Pretoria è stato un’estensione di questa tendenza. Firmandolo, il governo etiope si è legalmente impegnato a proteggere il popolo del Tigray e a consentire un accesso umanitario senza ostacoli. Eppure, due mesi dopo, la fame armata è ancora utilizzata per affamare i civili del Tigray e i soldati eritrei e il gruppo estremista di Fano occupano ancora vasti territori all’interno del Tigray.
L’esercito eritreo è noto per essere stato nel Tigray dal 2020. L’accordo di Pretoria non ha nominato l’esercito eritreo ma ha incluso un vago impegno da parte del governo etiope a rimuovere questo nemico straniero che è stato credibilmente accusato di atrocità di massa tra cui massacri di civili, e violenza a base sessuale (G/SBV) e il saccheggio e la distruzione di massa. Ci sono diversi resoconti di testimoni oculari di quello che sembra essere uno sforzo per “spopolare” il cuore di Irob di giovani maschi. Secondo i rapporti della maggior parte delle principali organizzazioni per i diritti umani focalizzate sul Corno d’Africa, questo massacro si è ripetuto in tutto il Tigray. Com’era prevedibile, i civili tigrini in tutto il Tigray settentrionale, compreso il distretto di Irob, rimangono sotto l’occupazione eritrea e vulnerabili a una minaccia quotidiana di violenze e abusi.
Approfondimenti:
- Tigray, rischiano di sparire le minoranze etniche Irob e Kunama
- Etiopia invitata dalla UE a ricollegare la regione del Tigray al mondo
- Etiopia, la guerra sui servizi di base per la pace in Tigray
- Etiopia, la lenta agonia dell’accesso umanitario in Tigray
- Etiopia, la disastrosa situazione umanitaria del Tigray
Lo scorso settembre, una commissione su mandato delle Nazioni Unite ha confermato che l’Etiopia sta deliberatamente affamando i civili del Tigray. Nel 2022, gli aiuti sono stati completamente bloccati per sei mesi all’anno mentre il WFP segnalava costantemente un’insicurezza alimentare dilagante e grave. Quando è stato firmato l’accordo di Pretoria, nessun convoglio di aiuti era entrato nel Tigray per più di due mesi. A settembre, la fame armata era già stata accettata come condizione preliminare per la partecipazione del governo etiope ai negoziati di pace. Com’era prevedibile, due mesi dopo l’accordo di Pretoria, dopo che è trascorso un tempo più che sufficiente per un giro completo di distribuzione di cibo per i 5,4 milioni di tigrini attualmente identificati dal WFP come bisognosi urgenti.
Dopo l’accordo di Pretoria, non dovrebbe sorprendere che il blocco che non poteva essere riconosciuto non sia stato revocato; l’esercito che non poteva essere riconosciuto, non ha lasciato il Tigray; e il genocidio che l’intera comunità internazionale ha rifiutato di riconoscere, non è finito. Ciò che sta accadendo in questo momento nel Tigray è il prevedibile risultato della pacificazione. Le persone che sono sopravvissute a più di due anni di inferno rischiano di morire di fame in Etiopia per evitare che il processo di pace diventi troppo scomodo per le parti interessate dell’élite. Questo non costruisce la pace. Crea sofferenza umana e alimenta la guerra. Il costo umano della pace nel Tigray è troppo alto per essere sostenuto.
Autore: Duke Burbridge è stato Senior Research Associate presso l’International Center for Religion & Diplomacy (ICRD) per quindici anni, dove ha fornito supporto alla ricerca per programmi di costruzione della pace basati sulla comunità in paesi colpiti da conflitti come Pakistan, Yemen e Colombia. Durante la sua permanenza all’ICRD, Burbridge ha anche condotto ricerche sul ruolo dell’istruzione nella radicalizzazione e nel reclutamento in gruppi estremisti violenti in Arabia Saudita e Pakistan e sul ruolo dei leader religiosi conservatori nel contrastare l’estremismo violento nello Yemen e nell’Africa settentrionale e orientale. Ha lasciato il campo nel 2021 per scrivere un libro sulla riforma della costruzione della pace guidata dall’esterno. Ha sospeso il libro per aumentare la consapevolezza del genocidio in atto nel Tigray.
FONTE: tghat.com/2022/12/31/the-human…
Settembre
che le nuvole del settembre
lente percorrono
mentre le prime foglie
crollano giù dai rami
e adunano umidore per i sentieri
intanto che nel cielo
gli alberi si denudano
così come di sera
quando cadono le ombre
giù dalle cime
s'incupisce la terra
e in alto si rivelano
i disegni dei monti
e delle stelle
miei boschi
vi è tanta pace
in questa vostra muta
rovina
che in pace ora alla mia
rovina penso
e sono come chi
stia sulla riva di un lago
e guardi miti le cose
rispecchiate dall'acqua.
Eleonora reshared this.
Non credo che si riuscirà mai a fare abbastanza giustizia delle calunnie che ha ricevuto ma è curioso che Benedetto XVI venga criticato non per la sua manifesta incapacità di poter gestire la macchina Vaticana, affidando tutto alla coppia b&b Bagnasco e Bertone, ma per ciò che non ha mai fatto: avere occultato quelle infamie che lui per primo non solo è riuscito a svelare, ma che è anche riuscito a combattere quasi sempre con successo.
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Tutto ciò, chiamiamolo il contesto", rende anzi ancora più eccezionale la sua lucidità nel combattere come ha fatto lui la pederastia impunita di così tanta parte del clero.
Molte disposizioni del Digital Markets Act riguardano pratiche dei fornitori di servizi di piattaforme di base (c.d. gatekeepers) aventi ad oggetto i dati personali. Pertanto, è naturale domandarsi se i diversi obblighi definiti nel DMA siano compatibili con il GDPR e se i gatekeeper possano ottemperare senza problemi ad entrambi i provvedimenti normativi. Sebbene il DMA affermi che esso coesisterà armoniosamente con il GDPR, sorgono comunque interrogativi sull’interazione tra questi due strumenti.
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Propaganda governativa sul MSI
"Il M.S.I. ha trasportato verso la #democrazia milioni di italiani usciti dalla sconfitta della seconda guerra mondiale, che il Movimento Sociale Italiano è stato un movimento della #destra sempre presente nelle dinamiche democratiche di questa Nazione, che è arrivato al #Governo addirittura prima del congresso che lo trasformò in Alleanza Nazionale; ha infine tamponato, nei momenti più bui degli anni di piombo, le derive terroristiche".
Alessandro Draghi, consigliere comunale a Firenze per il partito di maggioranza relativa.
Il MSI alle elezioni del 1948 ebbe cinquecentomila voti alla Camera e duecentomila al Senato; una discrepanza in cui i "ragazzi di Salò", adolescenti nel 1945, ebbero certamente un loro peso. Il rimanente dell'elettorato scelse altri traghetti e non volle saperne di avere come Caronte il partito che raccoglieva parecchi fra i superstiti decision makers
di una guerra peggio che persa perché iniziata in modo vergognoso, condotta in modo vergognoso e infine persa in modo vergognoso.Il MSI fu sempre presente nelle istituzioni grazie alla stessa democrazia rappresentativa che avrebbe voluto stroncare, non certo nelle dinamiche democratiche in cui veniva abitualmente evitato.
Nei momenti più bui degli anni di piombo il FUAN della romana via Siena tamponò le derive terroristiche dando vita ai Nuclei Armati Rivoluzionari. Chissà cosa non avrebbe fatto se si fosse trattato di agevolarle. L'esecutivo in carica non ama le lingue straniere, assicura un San Giuliano livoroso verso i radical chic invece che verso i "progressisti eleganti".
Il che è ottimo motivo per ricorrervi ogni volta possibile.
Isole dei pirati e utopie cripto-anarchiche
Come facciamo noi estremisti — amanti della libertà e della non violenza — a creare una comunità di persone che condividono gli stessi principi, se tutto il mondo è spartito tra violente bande armate che si fanno chiamare stati-nazione e non c’è alcun luogo in cui rifuggiarsi?
La storia ci insegna che non è facile, seppur esistano esempi di successo. In alcuni casi frutto di una fortunata serie di eventi, come nel caso di Cospaia. In altri, frutto di colonizzazione di nuovi territori inesplorati, come nel caso dell’America, che nel 1776 si rese infine indipendente dal Regno Unito.
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Oggi però il mondo è molto diverso da quello che conoscevano gli abitanti di Cospaia o da Thomas Jefferson, John Adams, Benjamin Franklin, Robert R. Livingston e Roger Sherman.
Eppure, non tutto è perduto. Anzi — forse per la prima volta nella storia umana abbiamo gli strumenti per ribaltare completamente i paradigmi creare delle vere e proprie comunità libertarie. Per vedere come, ripercorreremo insieme brevemente il pensiero di Timothy May, uno dei fondatori dei Cypherpunk.
Pirate Utopias
Ma cosa ci vieta oggi di colonizzare un’isola sperduta nel pacifico e creare lì una comunità libertaria? Niente — è pieno di bellissime isole in vendita. Sarebbe però un esperimento estremamente complicato e destinato a non durare nel tempo.
Prima di tutto, l’isola dei pirati non potrebbe dichiararsi indipendente da ogni altro Stato al mondo, sarebbe una condanna a morte. Chi ha guardato la serie “Black Sails” saprà bene quale potrebbe essere la reazione degli Stati limitrofi. Gli amici pirati-libertari sarebbero presto dichiarati pericolosi terroristi da eliminare al più presto, per non dare il cattivo esempio.
L’era delle sanzioni Usa è arrivata al capolinea? - Contropiano
"Per molti anni, gli USA hanno usato efficacemente l’arma delle sanzioni (unilaterali, non decisa dall’Onu) per imporre il loro ordine mondiale e mettere in riga i Paesi ribelli.
[...]
Ma, fatalmente, questo approccio ha indotto a poco a poco il resto dal mondo a organizzarsi e cercare scappatoie per liberarsi dallo strapotere statunitense."
Dadi Romani: 2 Esemplari
Sono moltissimi i dadi romani giunti fino ai giorni nostri, da quelli ordinari a sei facce fino agli icosaedri che vedete qui sotto (icosaedri). Insomma, delle piccole opere d’arte che farebbero la felicità di ogniContinue reading
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Qatar 2022 ha messo a tacere il mito della separazione tra sport e politica. Come in Qatar, è probabile che i diritti umani, dei lavoratori e LGBT siano a sinistra, a destra e al centro mentre altri Stati del Golfo e del Nord Africa si spostano al centro della scena come ospiti e offerenti di […]
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Barfly
in reply to Andrea Russo • •Andrea Russo likes this.
Andrea Russo
in reply to Barfly • •@Barfly sì, hai ragione... il link è sparito pochi minuti dopo la pubblicazione
EDIT: è finalmente tornato attivo il link 😀