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Etiopia, Dopo il Disarmo del TDF, l’Accusa di Gruppo Terrorismo al TPLF Sarà Tolta // Redwan Hussien


Quando il processo di disarmo del TPLF sarà completato, la categoria di terrorismo sarà revocata e le accuse saranno ritirate, per pura formalità politica e…

Quando il processo di disarmo del TPLF sarà completato, la categoria di terrorismo sarà revocata e le accuse saranno ritirate, per pura formalità politica e diplomatica, come ha sottolineato Redwan Hussien.

Redwan Hussain, consigliere per la sicurezza nazionale del primo ministro (ambasciatore), che venerdì 21 dicembre 2015 ha tenuto un briefing con i leader dei partiti di opposizione sull’accordo di pace raggiunto con il TPLF, ha affermato che uno dei prossimi passi per attuare l’accordo di pace sarebbe quello di ritirare la categoria terrorismo e far cadere le accuse contro il TPLF.

Fonti hanno riferito che al briefing oltre a Redwan (Ambasciatore) erano presenti all’incontro con i membri della Camera dei Rappresentanti venerdì scorso, anche il Presidente della Camera, Sig. Tagese Chafon e il Ministro della Giustizia, Gideon Timoteos (Dr.)

Secondo Redwan (Ambasciatore), poiché non è possibile sedersi intorno ad un tavolo e parlare con una persona che è stata classificata come terrorista ed è stata accusata di un crimine, le accuse dovrebbero essere abbandonato e la categoria di terrorismo dovrebbe essere eliminata.

Secondo l’accordo di pace raggiunto in Sud Africa e siglato dalle parti il 3 novembre 2022, quando sarà raggiunto il processo di completo disarmo delle forze tigrine e subentreranno discussioni politiche, la categoria di terrorismo imposta al partito TPLF – Tigray People’s Liberation Front, dovrà essere revocata e anche le accuse penali contro i massimi leader del TPLF dovranno decadere.

Redwan ha aggiunto:

“Ci saranno alcuni modi amari per portare la pace. Questo è il prezzo da pagare per portare la pace”


Ha anche affermato che tra le questioni principali su cui concentrarsi quando si entrerà nella fase delle discussioni politiche, nello step successivo al disarmo delle forze tigrine, ci sarà da capire e pianificare come verrà istituito il governo di transizione e quando si terranno le nuove elezioni per il Tigray.

È stato riferito che il TPLF ha consegnato le sue armi pesanti alle forze di difesa etiopi, ed è noto che i leader delle forze di difesa federale etiope hanno recentemente riferito ai media che un loro battaglione ha preso in consegna ed in custodia tali armamenti.

Oltre a ciò, membri della polizia federale e delle forze di difesa sono stati dispiegati in varie aree, tra cui Mekele, la capitale della regione del Tigray, per mantenere la pace e proteggere le istituzioni federali.

Attualmente, è noto che oltre alla città di Mekele, la polizia federale è dispiegata nelle aree di Adigrat e Keze, così come nelle città da Maichiwe a Mekele.

Precedentemente Redwan (Ambasciatore) ha sottolineato che il lavoro per garantire la sicurezza [nel Tigray] sarebbe stato svolto congiuntamente con le forze del ‘TPLF’, selezionate e addestrate a questo scopo.


Approfondimenti:

Etiopia, Perseguire Crimini Contro l’Umanità: Dov’é La Legge?


FONTE: ethiopianreporter.com/114511/


tommasin.org/blog/2023-01-05/e…



Le previsioni sulla privacy per l’anno nuovo sono difficili ma qualche trend si può già individuare: al centro dell’attenzione il rapporto tra dati e libertà dei cittadini, gli interventi a livello europeo per applicare il GDPR e il nodo del cookie wall nell’editoria online Continua a leggere qui su Agenda Digitale


Sanzione da 8 milioni di euro del Garante francese (CNIL) a Apple Il 29 dicembre 2022, il Garante privacy francese (CNIL) ha inflitto una sanzione da 8 milioni di euro ad Apple Distribution International per aver utilizzato gli identificatori memorizzati sui devices degli utenti francesi di iPhone (versione iOS 14.6) a fini pubblicitari. A seguito...


Operation Unthinkable: Il Piano di Churchill per distruggere l’URSS


La c.d. Operation Unthinkable è stato un piano di guerra concepito dall’Alto Comando delle Forze Armate britanniche durante la Seconda Guerra Mondiale, al fine di preparare una possibile offensiva contro l’Unione Sovietica. Il piano, concepitoContinue reading

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Kevin McCarthy: perché i repubblicani gli stanno impedendo di diventare speaker del Congresso USA


Per la prima volta in 100 anni , la Camera dei rappresentanti degli Stati Uniti non è riuscita a eleggere uno speaker dopo il primo turno di votazioni. In effetti, al momento in cui scrivo, la Camera ha tenuto sei votazioni in due giorni e non ha ancora concordato chi dovrebbe essere il suo presidente. […]

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VIDEO. Scarcerato dopo 40 anni Karim Younis. Ministro chiede revoca cittadinanza israeliana


Era il detenuto palestinese da più tempo in prigione. Aveva ucciso nel 1980 un soldato. Il ministro dell'interno Arie Deri vuole revocargli la cittadinanza, provvedimento che potrebbe poi portare all'espulsione. Intanto ieri a Balata ucciso un altro adole

di Michele Giorgio –

Pagine Esteri, 5 gennaio 2022 – Accolto da decine di parenti e conoscenti, Karim Younis questa mattina poco dopo le 5 è stato scarcerato e, dopo 40 anni, è tornato a casa ad Arara in Galilea e si è poi recato a far visita alla tomba della madre scomparsa nei mesi passati.

Cittadino israeliano, Younis assieme a due parenti – Maher e Sami Younis – nel 1980 uccise un soldato israeliano, Avraham Bromberg. Condannato a morte, pena poi commutata in 40 anni di carcere, Karim Younis è stato spesso negli elenchi di detenuti politici palestinesi da liberare sulla base di accordi con Israele per lo scambio di prigionieri. Le autorità israeliane hanno sempre respinto la possibilità di una sua scarcerazione anticipata. Considerato un simbolo da tanti palestinesi per la sua lunga prigionia, Younis potrebbe vedersi revocata la sua cittadinanza israeliana se sarà accolta dai giudici la richiesta in quella direzione formulata dal neo-ministro dell’interno Arie Deri.

Intanto la scorsa notte è salito a quattro il bilancio dall’inizio dell’anno di palestinesi uccisi durante incursioni dell’esercito israeliano nei centri abitati cisgiordani. Nel campo profughi di Balata (Nablus) un ragazzo di 16 anni, Amer Abu Zaitun, è stato colpito alla testa da un proiettile sparato, denunciano i palestinesi, da soldati israeliani. Secondo la versione dell’esercito invece l’adolescente sarebbe stato ucciso da un colpo vagante nel fuoco incrociato tra forze israeliane e combattenti palestinesi “durante l’arresto di un ricercato”.

youtube.com/embed/HwnlpS5WWRM

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Sicurezza online: quali regole seguire per navigare sicuri?


Oggigiorno, il web è diventato lo strumento primario per soddisfare qualsiasi esigenza: si ricorre ad esso se si vuole fare un acquisto, progettare un viaggio, cercare nuovi modi di intrattenimento e svago o semplicemente per fare una ricerca. Non tutti sanno che, purtroppo, Internet è un mezzo tanto utile quanto pericoloso: negli ultimi anni, infatti, […]

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Twitter intende riaprire alla pubblicità politica dopo che nel 2019 aveva deciso di vietare la maggior parte degli annunci politici. Nelle prossime settimane, la società “allineerà la politica pubblicitaria a quella della TV e di altri media”, secondo alcuni tweet dell’account Twitter Safety, a riprova che Elon Musk sta intervenendo anche su questo tipo di...


BREAKING: Meta prohibited from use of personal data for advertising


BREAKING: Meta vieta l'uso dei dati personali per la pubblicità Dopo quasi cinque anni, il DPC irlandese ha deciso di presentare un reclamo noyb e ha imposto a Facebook, Instagram e WhatsApp di smettere di utilizzare i dati personali degli utenti per la pubblicità nell'UE. Privacy Win


noyb.eu/en/breaking-meta-prohi…

Nicola Piscopo reshared this.



La macchina della propaganda | La Fionda

"A dispetto delle apparenze, tuttavia, anche nelle cosiddette democrazie, l’obiettivo è il medesimo, controllare il disagio della maggioranza contro i privilegi della minoranza, cambia solo la tecnica, una tecnica basata sulla Menzogna, che opera in modo sofisticato, creando notizie dal nulla, mescolando bugie e verità, omettendo fatti e circostanze, rimestando abusivamente passato e futuro, paragonando ostriche a elefanti."

lafionda.org/2023/01/05/la-mac…




#uncaffèconLuigiEinaudi☕ – Che nell’Europa contemporanea…


Che nell’Europa contemporanea possono esistere una trentina di stati sovrani è altrettanto anacronistico come lo divenne la coesistenza di centinaia di città-stato e di principati-stato nell’Italia del Quattrocento Ancora il commento al programma. L’Eur
Che nell’Europa contemporanea possono esistere una trentina di stati sovrani è altrettanto anacronistico come lo divenne la coesistenza di centinaia di città-stato e di principati-stato nell’Italia del Quattrocento

Ancora il commento al programma. L’Europa di domani, «L’Italia e il secondo Risorgimento», 13 maggio 1944

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fondazioneluigieinaudi.it/unca…



Mattarella, ‘amnesia costituzionale’ in corso?


Nello scrivere ieri del discorso di Mattarella agli italiani, dove parlavo di evidente ‘stanchezza’, stanchezza morale intellettuale, intendevo e intendo, temevo di avere esagerato, di non aver colto la profondità del messaggio. Vedevo la stampa esaltarlo, mentre io ne parlavo male. Vabbè, mi dicevo, non ho capito nulla, chiedo scusa. Poi, quasi a rispondermi, due […]

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Kevin McCarthy bocciato per la quarta volta come Speaker della Camera, nonostante l’appello di Donald Trump ai suoi: “votalelo”.


Ucraina: Putin si sta preparando per una guerra lunga


Vladimir Putin ha da poco ammesso che la Russia è in guai seri. Un confronto tra il suo recente discorso di Capodanno e il discorso pronunciato solo un anno prima rivela un drammatico cambiamento di tono, concentrazione e linguaggio che allude a un crescente allarme dietro le quinte del Cremlino per l’invasione dell’Ucraina che si […]

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Riuscirà Chris Dodd ad aiutare il suo amico Biden a salvare le relazioni USA-Cuba?


I prossimi nove mesi offrono una finestra di opportunità per migliorare le relazioni USA-Cuba se i leader di Washington e dell’Avana avranno la volontà politica e il coraggio di coglierla. I diplomatici sia del Dipartimento di Stato che del Ministero degli Esteri cubano affermano di voler costruire una relazione più costruttiva per sostituire quella velenosa […]

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L’Esercito Eritreo Se Ne Andrà Mai dal Tigray e dall’Etiopia? Con quali garanzie?


Punto cardine dell’accordo di Pretoria è l’uscita, la ritirata delle “forze esterne” dallo stato regionale settentrionale etiope. Accordo siglato il 3 novembre dai portavoce del…

Punto cardine dell’accordo di Pretoria è l’uscita, la ritirata delle “forze esterne” dallo stato regionale settentrionale etiope. Accordo siglato il 3 novembre dai portavoce del governo federale etiope e dai rappresentanti dello stato regionale del Tigray.

Ad oggi, mentre vari media internazionali indicano una tiepida movimentazione ed uscita delle truppe eritree da varie aree del Tigray, testimonianze (anche per mezzo video e foto) parlano di storie diverse.

29 dicembre 2022


Il giornalista Dawit Kebede pubblica un post via facebook dove segnala che:4622384

“Oggi, il disgustoso Ara*wit dell’Eritrea sta dispiegando centinaia di veicoli speciali shumen #Obama FSR per ritirare le sue truppe da diverse città nelle regioni centrali e nord-occidentali. Secondo le ultime informazioni, si sono ritirati completamente da Adwa, Aksum, Shire, Sheraro, Endabaguna, Selekleka, Upper e Lower Adiyabo, Lower Koraro e Medebay Zana woreda.”


Dal report di Martin Plaut si apprende che:

“Gli eritrei continuano inoltre a riferire di essere chiusi fuori dalle loro case perché i loro figli o mariti non si sono presentati alle loro unità militari.

Le famiglie sono chiuse fuori dalle loro case e le case sono chiuse a chiave.”


30 dicembre 2022


Aljazeera rilancia la notizia di Reuters sul ritiro dei soldati eritrei da varie aree del Tigray.

“I soldati eritrei, che hanno combattuto a sostegno del governo federale etiope durante i due anni di guerra civile nella regione settentrionale del Tigray, si stanno ritirando da due grandi città e si stanno dirigendo verso il confine, hanno riferito testimoni e un funzionario etiope all’agenzia di stampa Reuters.

Venerdì il ministro dell’Informazione dell’Eritrea, Yemane Gebremeskel, ha detto a Reuters che non può né confermare né smentire l’informazione. Un altro funzionario etiope, parlando a condizione di anonimato, ha confermato che le truppe eritree si stavano ritirando da Axum e Shire.

Getachew Reda, portavoce delle forze tigrine, non ha risposto immediatamente alle richieste di commento.”


Un mio contatto mi ha chiesto se ero a conoscienza del ritiro delle truppe eritree segnalandomi l’articolo di Reuters: me lo ha chiesto perché a lui suonava strano visto la testimonianza ricevuta direttamente da un testimone in Shire.

“Oggi ho chiamato Shire e mi è stato detto che i soldati eritrei sono ovunque lungo la strada, nelle aree rurali e sulle strade dentro e intorno a Shire. Sulle strade di Axum e Adwa.”


2 Gennaio 2023


Il Premier etiope Abiy Ahmed Ali ha detto che l’Etiopia avrebbe utilizzato il porto eritreo di Assab. Un paese del Medio Oriente doveva ricostruire il porto, ma il dittatore eritreo Isayas Afewerki non sta rispettando questo accordo. L’Etiopia doveva fornire energia elettrica all’Eritrea, ma Isayas rifiutò. Abyi ha detto che l’Eritrea sta addestrando la milizia amhara Fano, Afar e OLF – Oromo Liberation Front, che mina il governo etiope.

3 gennaio 2023


Dimitsi Weyane segnala per mezzo social che:

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“Brutalità indicibile dell’esercito eritreo !! La bestia dell’esercito eritreo ha continuato il suo obiettivo di sterminare il popolo del Tigray e oggi ha brutalmente assassinato due giovani innocenti nella città di Aksum. Hanno deliberatamente brutalmente ucciso giovani innocenti che stavano pedalando sull’asfalto della loro città natale nel primo pomeriggio. Ci sono ancora alcuni membri dell’esercito di stanza nell’area dell’ospedale Araya Kahsu nella città di Aksum.”


Lo stesso giorno Tghat condivide un video in cui si vedono soldati con divisa eritrea camminare e pascolare asini, animali utilizzati per trasportare materiale rubato ai civili tigrini:

“Le truppe eritree continuano a saccheggiare il Tigray ea trasportare il bottino in Eritrea. Anche gli asini e i cammelli che usano per il trasporto vengono saccheggiati dal Tigray. Mentre le truppe eritree continuano a spostarsi da un’area all’altra, la notizia della loro partenza dal Tigray è falsa.”


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e due foto con la descrizione:

“Truppe eritree che vagano per le strade di Shire.”


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Riguardo al video, un utente prova a geolocalizzare dove potrebbe essere stato filmato e indica:

“Penso che questo sia stato girato ad Adwa (14°09’45″N 38°54’03″E)”


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4 gennaio 2023


Tghat per mezzo social, segnala la presenza di forze esterne alla regione tigrina, soldati eritrei ed amhara:

“A Shire, le forze eritree e amhara rapiscono persone che vedono provenire dalle banche e confiscano i loro soldi. Fanno lo stesso anche con chi arriva in aereo. Queste forze scompaiono e uccidono chiunque vogliano. La gente chiede aiuto all’ENDF, ma senza successo.”


Con le notizie ed indiscrezioni di questi giorni, diversi osservatori della situazione in Tigray si chiedono come sia possibile avere garanzie della ritirata dell’esercito eritreo da qeul territorio e sal resto d’Etiopia, visto che la storia precedente parla di una presenza radicata anche in altre zone etiopi.

Militari eritrei non solo in Tigray


Nel novembre fu indetto dal governo federale lo stato di emergenza nazionale in Etiopia, dichiarata nel novembre 2021, mentre in Tigray era in atto ancora la guerra genocida.


Approfondimenti:


Nel dicembre 2021 segnalai un aggiornamento su Focus On Africa riguardo scontri su linea di confine tra esercito etiope, ENDF e quello sudanese che erano avvenuti sabato 28 novembre 2021. In quella data è stata segnalata da fonti militari ascoltate da Sudan Tribune la presenza di truppe eritree, come alleate dell’esercito etiope e delle forze speciali amhara, stimate in 6000 unità.

Sudan, scontro con le truppe etiopi ed eritree nell’area contesa di Fasqha: 23 morti

Nel Luglio 2022 Martin Plaut segnalava che:

“I rinnovati scontri a Fashaga, quali che siano le loro apparenti scuse, sono vere minacce alla pace regionale. Gli scontri di Fashaga hanno coinvolto un vigoroso alleato dell’Eritrea: le milizie Amhara “Fano”, gli acerrimi nemici delle forze tigrine.

L’Eritrea è attualmente impegnata nell’addestramento e nell’armamento di queste milizie. Gli eritrei stanno mettendo in stand-by le loro forze. Le fonti di Radio Erena da Asmara hanno confermato che le divisioni delle forze di difesa eritree sono attualmente impegnate in pesanti addestramenti notturni e marce attraverso il paese.

L’addestramento intensivo coincide con i rastrellamenti nei villaggi e nelle città e il richiamo delle truppe in pensione. Insieme a queste misure, la polizia ha rilasciato più di 500 prigionieri dal carcere di Adi Abeto ad Asmara e li ha inviati immediatamente ai campi militari per l’addestramento.“


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Soldati eritrei con uniformi dell’esercito federale etiope

Gennaio 2021


Nel gennaio 2021 nel report di Martin Plaut, viene segnalata la presenza di militari eritrei a Mekelle.

Situazione di guerra segnalata (come confermato al 27 gennaio)

  • Arbi Harnet (un gruppo di fonti clandestine in Eritrea) avverte che i preparativi sono in corso e sono già “quasi completati” per una “rinnovata offensiva finale” nel Tigray.
  • L’offensiva è in fase di finalizzazione e gli implementatori vengono informati che questa sarà “l’offensiva finale per annientare il TPLF”, orchestrata come quella che viene chiamata “l’offensiva finale”, afferma il gruppo.
  • Segnala che ieri un gran numero di uniformi etiopi è arrivato a Mekelle e che i soldati eritrei stavano cambiando le uniformi durante la chiusura delle telecomunicazioni. Altri soldati eritrei sono arrivati ​​a Mekelle.
  • Si teme che i soldati eritrei possano essere istruiti a combattere in uniformi etiopi in alcuni luoghi. Le truppe eritree erano vestite con uniformi ENDF nelle battaglie di Hawzen e Nebelet e furono catturate dalle forze regionali del Tigray che indossavano queste uniformi.
  • All’aeroporto di Mekelle, le truppe eritree, che effettuano la sicurezza, sono vestite con uniformi ENDF.
  • La notizia arriva mentre altre fonti riferiscono che il generale di brigata Abraha Kassa, direttore della sicurezza nazionale dell’Eritrea, era ad Addis Abeba il 25/1. C’è stato un disaccordo tra alti funzionari eritrei ed etiopi durante l’incontro al 4 Killo Palace, sede e residenza del PM. Diverse fonti hanno riferito di alterchi, con alcuni che hanno riferito di colpi di arma da fuoco e un rapporto di persone colpite, forse anche uccise; il numero esatto delle vittime è sconosciuto a causa della varianza nei rapporti .”

Fin dall’inizio della guerra genocida in Tigray, dal 4 novembre 2020, il Premier etiope Abiy Ahmed Ali ha negato la presenza di soldati e dell’esercito eritreo in Etiopia, più specificatamente in Tigray. Per mesi ha sostenuto questa tesi anche rispondendo in sede internazionale. Dopo mesi, in sede parlamentare etiope, sotto pressione della comunità occidentale, USA ed Europa, ha confessato quello che era già confutato e confermato da vari osservatori della guerra genocida in Tigray.

Febbraio 2021


Con il massacro di Axum del 28-29 novembre 2020, le investigazioni, confutazioni e conferme da parte di Amnesty Int. che ha prodotto e condiviso un report nel febbraio 2021, hanno appurato la presenza di soldati eritrei che hanno preso parte alle uccisioni di massa e che si sono macchiati di crimini verso i civili etiopi di etnia tigrina.

Maggio 2021


Le truppe eritree travestite da militari etiopi stanno bloccando gli aiuti critici nel Tigray

Così titolava un articolo della CNN del 13 maggio 2021, frutto di approfondimenti della giornalista Nima Elbagir e del suo team che erano riusciti ad accedere in Tigray, territorio, regione isolata dalla linea telefonica, internet, elettrica e dall’accesso umanitario bloccato e politicizzato per volontà politiche.

Queste riportate solo alcune evidenze per far notare quanto radicate siano le forze militari eritree nel territorio etiope e quanti dubbi possano creare dall punto di vista delle garanzie di ritirata dei soldati.

Settembre 2022


Durante la grande ed ultima offensiva in Tigray, in quel periodo ci sono state mobilitazioni importanti di truppe eritree e reclutamento forzato. Il 5 settembre govani studenti presi dai loro dormitori nella chiesa di Medhanie Alem e portati via dall’esercito PFDJ – People’s Front for Democracy and Justice. COstretti con la forza all’addestramento militare.


Approfondimenti:


tommasin.org/blog/2023-01-04/l…





Se vogliamo costruire una alternativa libera e federata a #reddit, questa è sicuramente l'opportunità migliore al momento!
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Non c’è forca che tenga. L’Iran non riesce a soffocare la rivolta nel sangue


A ogni assassinio di Stato, la protesta si alimenta. Il regime in difficoltà. Ma la discesa in campo del figlio dello Scià complica l’intesa fra le opposizioni A Javānrūd una ragazza curda senza l’hijab è in piedi davanti alle forze basij durante la cer

A ogni assassinio di Stato, la protesta si alimenta. Il regime in difficoltà. Ma la discesa in campo del figlio dello Scià complica l’intesa fra le opposizioni

A Javānrūd una ragazza curda senza l’hijab è in piedi davanti alle forze basij durante la cerimonia del quarantesimo giorno di fine del lutto per la morte di sette martiri che in questa città hanno preso parte alla rivoluzione scoppiata in Iran quasi quattro mesi fa. Gridano slogan contro Alì Khamenei e maledicono Ruhollah Khomeini: “Morte al Velayat-e Motlaqe Fagih” (morte alla tutela della guida suprema sulla vita sociale e politica). In questo slogan è racchiuso tutto il significato della pacifica rivoluzione scoppiata il 16 settembre 2022 dopo l’assassinio della ventiduenne Mahsa Amini, curda di Saqqez, avvenuta dopo che era stata massacrata di botte in un furgone della cosiddetta “polizia morale” che tre giorni prima l’aveva arrestata perché non indossava il velo come prescrive la legge islamica.

Le manifestazioni di protesta contro questa barbara uccisione, partite dalle città curde dell’Iran, si sono subito estese in tutto il paese, compresa la provincia a maggioranza sunnita del Belūcistān, fino a sfociare in una vera e propria rivoluzione che ora vede queste due regioni ancora come traino della battaglia per il rovesciamento della Repubblica islamica.

Questo elemento costituisce un aspetto molto significativo che non va ignorato. Gridare “Morte al Velayat-e Motlaqe Fagih” ha un doppio significato. Non è solo l’espressione del rifiuto della massima autorità religiosa del paese e dell’oppressione della religione nella vita sociale e politica di un popolo, ma esprime il rifiuto di ogni autoritarismo. Esprime la rivendicazione di una piena democrazia laica rispettosa dei diritti di ogni persona e di ogni minoranza.

Non vi è alcun dubbio sul fatto che è nel Sīstān-Belūcistān e nel Kurdistan iraniano che la rivoluzione per la liberazione dell’Iran dal regime teocratico, guidata dalla cosiddetta “generazione Z”, sia un passo avanti rispetto al resto del paese. In queste regioni è l’intero popolo, sempre a mani nude, ad essere insorto contro la Repubblica islamica. Alcuni centri delle province curde come quelli di Javānrūd, Sanandaj, Bukan, Mahabad, nel Kurdistan iraniano, sono di fatto in mano agli insorti e la situazione è drammatica.

Mentre nella megalopoli di Teheran, così come a Esfahan, a Karaj e a Mashad, le proteste non sono estese e costanti, e i manifestanti non hanno per nulla il controllo delle strade e delle piazze, il fuoco della rivoluzione è tenuto vivo dai curdi e dai beluci. Non è un caso se sono le città curde e quelle del Belūcistān a pagare il prezzo più elevato della feroce repressione. Buona parte dei cittadini arrestati, torturati e uccisi dalle forze paramilitari pasdaran sono appunto curdi o della minoranza beluci, così come la maggior parte dei condannati a morte.

A Javānrūd le guardie rivoluzionarie hanno trasferito migliaia di loro uomini equipaggiati con armi da guerra e hanno arruolato numerose milizie straniere filoiraniane da loro addestrate. Si tratta di milizie sciite provenienti da Iraq, Siria, Libano e dall’Afghanistan. Attaccano le abitazioni dei civili, irrompono nelle loro case e portano via intere famiglie.

A Mahabad si è celebrato il quarantesimo giorno trascorso dall’assassinio di Shamal Kahramaneh al grido di “Javānrūd non è sola, Mahabad è la sua sostenitrice”.

Cerimonia funebre anche per Mehran Basir, un giovane di 29 anni ucciso a Foman il 24 novembre. Il 31 dicembre si è svolta la cerimonia del quarantesimo giorno anche per Mehdi Kabuli, un adolescente di 15 anni ucciso dagli agenti di sicurezza a Gorgan. Il 5 gennaio a Izeh si terrà la cerimonia funebre per il quarantesimo giorno dall’assassinio di Hamed Selahshur, di 22 anni, torturato in prigione fino alla morte. Il giovane Hamed era stato segretamente sepolto fuori città perché la sua famiglia temeva che le autorità sequestrassero il suo corpo per estorcere una confessione forzata, ora lo hanno riesumato per seppellirlo nel “cimitero di famiglia” a Izeh.

Come è noto il regime sequestra i corpi dei manifestanti uccisi e chiede ai familiari una sorta di riscatto per la loro restituzione e precisamente chiede una confessione pubblica che smentica la voce di un loro decesso per mano dello stato. La Repubblica islamica ha paura anche dei morti e dei loro funerali perché le cerimonie funebri si trasformano in imponenti manifestazioni. Insomma, il regime teocratico ha comportamenti e organizzazione di tipo mafioso.

La rivoluzione sembra inarrestabile, ogni funerale produce una manifestazione a cui partecipa un oceano di persone e ciò fa desistere il regime dall’infliggere nuove impiccagioni. Le autorità iraniane pensavano di soffocare le rivolte con l’arma del terrore, ma ciò non sta riuscendo perché ad ogni assassinio la risposta è una ulteriore crescita della ribellione. Crescono la rabbia e l’indignazione, cresce l’odio verso questo orribile regime sanguinario considerato semplicemente criminale e del tutto privo di legittimità, dunque destinato ad essere spazzato via.

Intanto, sabato 31 dicembre 2022, diverse personalità di spicco in esilio che si oppongono alla Repubblica islamica hanno pubblicato una dichiarazione congiunta sui loro social definendo l’anno 2023 come quello della liberazione dell’Iran. “Il 2022 è stato l’anno glorioso della solidarietà degli iraniani di ogni credo, lingua e orientamento. Con lo stesso impegno e solidarietà, il 2023 sarà l’anno della vittoria per la nazione iraniana”, si legge nella dichiarazione firmata dal principe Reza Ciro Pahlavi, dalle attrici Nazanin Boniadi e Golshifteh Farahani, dall’attivista per i diritti umani e giornalista Masih Alinejad, da Hamed Esmaeilion, portavoce dell’Associazione delle famiglie delle vittime del volo PS752 abbattuto dai pasdaran esattamente tre anni fa (l’8 gennaio 2020) e dall’ex calciatore Ali Karimi. Il principe Reza Pahlavi in risposta alle critiche di coloro che sostengono che non vi è una voce unitaria contro il regime, ha detto: “Ecco perché dobbiamo unirci affinché le forze pro-democrazia aprano il dialogo con il mondo”.

E Nazanin Boniadi a “Iran International” ha sottolineato i continui tentativi con vari gruppi di opposizione per lavorare uniti e formare una coalizione.

Questa dichiarazione che invita le forze pro-democrazia a formare una coalizione non è stata sottoscritta da alcun esponente di partiti politici come quelli curdi, repubblicani o radicali. C’è solo un personaggio politico ad aver firmato questa dichiarazione, ed è il principe Reza Pahlavi, un personaggio carismatico a cui i repubblicani e i curdi guardano con sospetto perché non valutano positivamente la passata esperienza monarchica. Questo metodo di escludere alcune componenti fondamentali della società e della politica iraniana attive nella pacifica rivoluzione in corso ricorda quello seguito nel 1979, quando la speranza di una rivoluzione democratica per liberare il paese dall’oppressivo regime monarchico dei Pahlavi, fu vanificata e il moto rivoluzionario fu egemonizzato da una personalità religiosa fondamentalista carismatica come quella di Khomeini.

Per questo incomincia a serpeggiare, in particolare nella comunità curda, preoccupazione per il tentativo di alcuni esponenti della borghesia persiana in esilio, in particolare residente negli Stati Uniti e in Europa, di monopolizzare la rivoluzione ignorando partiti, minoranze e le entità non persiane presenti nel paese che rappresentano la componente più attiva e agguerrita di questo spontaneo movimento rivoluzionario partito dal basso.

Si teme quindi che all’interno della diaspora iraniana vi sia un tentativo di favorire la discesa in campo del principe Reza Pahlavi ritenuto forse in grado di risvegliare il sentimento nazionalista e di una Grande Persia che sia in grado di riscattarsi da quarantaquattro anni di disonore e di oscurantismo rappresentato dal regime teocratico.

Davanti a un movimento rivoluzionario senza leader, per una componente molto influente della borghesia iraniana in esilio, puntare sul nazionalismo persiano e sulla figura del principe Reza Pahlavi potrebbe rappresentare la strada più veloce e sicura per il cambio di regime. Ma i curdi, perseguitati da sempre sotto ogni dittatura, non vogliono essere servitori di nessuno: non intendono morire per un “Re persiano”, questo è il messaggio che arriva dal Kurdistan che vede la dichiarazione di un principe, di due attrici e di un giocatore di calcio, come un tentativo di scippare la rivoluzione e di presentare Reza Ciro Pahlavi, che per i monarchici è ancora il pretendente al trono, come il suo capo politico forte anche del sostegno che riceve grazie ai canali televisivi finanziati dai sauditi e che hanno sede a Londra.

Anche se il principe dichiara di non avere alcuna intenzione di ritornare sul trono, per il suo entourage e per il partito monarchico è pur sempre “Reza II” e dunque si preme fortemente per un ritorno della dinastia dei Pahlavi.

Ma gli slogan che si odono nelle piazze e nelle strade di tutte le città del paese, da Teheran a Sanandaj e da Esfahan a Zahedan e che gridano “Curdi, beluci, azeri; libertà e uguaglianza”, fanno intendere che per la “generazione Z” sono maturi i tempi affinché tutte le componenti etniche e religiose come quelle del Kurdistan e del Belūcistān, che da circa quattro mesi stanno dando un contributo fondamentale alla rivoluzione, dovrebbero avere un pieno riconoscimento e una piena collocazione di un assetto statuale consistente in una democrazia laica con una forte impronta federalistica.

Hugginfton Post

L'articolo Non c’è forca che tenga. L’Iran non riesce a soffocare la rivolta nel sangue proviene da Fondazione Luigi Einaudi.



BREAKING: Meta prohibited from use of personal data for advertisment


BREAKING: Meta vieta l'uso dei dati personali per la pubblicità Dopo quasi cinque anni, il DPC irlandese ha deciso di presentare un reclamo noyb e ha imposto a Facebook, Instagram e WhatsApp di smettere di utilizzare i dati personali degli utenti per la pubblicità nell'UE. Privacy Win


noyb.eu/en/breaking-meta-prohi…



Carceri: la strage non si ferma


Provate a immaginare la scena. Carcere di Bollate. Sono le tre del pomeriggio. In cella non c’è nessuno.Un detenuto di 34 anni cerca di togliersi la vita impiccandosi. Quasi ce la fa, non fosse che all’ultimo minuto gli agenti della polizia penitenziaria si accorgono di quello che accade. L’uomo viene portato in codice rosso all’ospedale […]

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Eugen Rochko: "Non sono così convinto sulla questione delle citazioni come lo ero nel 2018. Personalmente, non sono un fan, ma è chiaro che c'è molta richiesta in tal senso. La stiamo prendendo in considerazione."

"Se lo facessimo, vorremmo che fosse possibile scegliere di non farlo, in modo simile a come intendiamo consentire la disabilitazione delle risposte. Non è del tutto banale."


I don't feel as strongly about quote posts as I did in 2018. Personally, I am not a fan, but there is clearly a lot of demand for it. We're considering it.

informapirata ⁂ reshared this.



VIAGGI E STORIA. I Balcani, dalla Slavonia ai monasteri ortodossi del Fruska Gora


Nel primo articolo della nuova rubrica di Pagine Esteri, Paolo Pantaleoni ci guida tra i paesaggi, le bellezze naturalistiche e la complessa geopolitica della penisola balcanica L'articolo VIAGGI E STORIA. I Balcani, dalla Slavonia ai monasteri ortodossi

di Paolo Pantaleoni* –

Pagine Esteri, 4 gennaio 2022 – La pianura della Sava disegna paesaggi monotoni in una Slavonia avvolta dal caldo di metà settembre.

Ciò che per secoli è stato il frutteto d’Europa oggi è ostaggio della monocoltura maidicola che disegna il nuovo orizzonte.

L’autostrada A3, che da Zagabria corre verso la frontiera orientale dell’Unione Europea, attraversa una pianura che sembra non avere fine.

Le roveri bianche che resero celebre la Slavonia nei tre secoli passati non ci sono quasi più, vittime di una gestione dissennata dei tagli delle risorse boschive.

Mai come in questo periodo, nel nuovo millennio, Zagabria e Belgrado sono distanti tra loro, nonostante le due città sorgano paradossalmente lungo le sponde dello stesso fiume.

La Sava è una sorta di cordone ombelicale che unisce tre differenti paesi slavi e che ha fatto da confine tra la dominazione ottomana e quella austriaca.

Un legame che Zagabria reciderebbe volentieri per avvicinarsi alla Mitteleuropa germanofona e rigorista, mentre Belgrado, che ha conosciuto in tempi recenti la devastazione delle bombe della Nato, continua a guardare sempre più ad Oriente ed alla Russia.

Nella direzione di un taglio netto con le radici degli slavi del sud guardava il lavoro dell’Istituto di Lingua e Linguistica Croata, nato nel 1991 per realizzare la separazione linguistica tra croato e serbo-croato.

Vennero coniati dei neologismi, introdotti nuovi vocaboli con il risultato di ridurre la mutua intellegibilità tra serbo e croato.

Nelle varie facoltà di lingue in molti paesi del mondo, se si fa eccezione per le sole università croate, non esistono cattedre di croato, e nemmeno di serbo.

Per i linguisti le torsioni nazionaliste restano lontane, e la lingua serbo-croata è sopravvista alla dissoluzione della ex Jugoslavia, nonostante i tentativi del governo di Zagabria di procedere nel senso opposto, creando una neolingua che è oggi un elemento portante dell’identità nazionale.

Quella croata è un’identità nazionale di recente creazione.

Nella Jugoslavia socialista del dopoguerra, un croato difficilmente si sarebbe definito tale, dato che per secoli tra i croati è stata prevalente l’identità territoriale rispetto a quella nazionale.

Sarebbe stato facile incontrare persone che si sarebbero definite dalmate, oppure istriane, oppure ancora zagabresi ma la piccola patria di Tudjman aveva bisogno di una nuova narrazione capace di alimentare lo spirito nazionalista in chiave indipendentista.

Alla frontiera tra Croazia e Serbia, in entrata verso i confini dell’Unione Europea, incontriamo una fila chilometrica di auto con targa tedesca, con a bordo le famiglie turche che rientrano in Germania dopo le ferie estive nel paese di origine.

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Fruska Gora – Foto di Paolo Pantaleoni

L’Unione Europea non si limita a finanziare il controllo delle frontiere sul versante croato, ma finanzia abbondantemente il governo serbo, affinché vigili sulla rotta balcanica dove chi fugge dai conflitti dal Medio Oriente, o dall’Asia Centrale, incontra la violenza e la brutalità di poliziotti e volontari serbi, bulgari, croati ed ungheresi (a seconda della tratta percorsa), in cui soprusi e vessazioni appesantiscono ulteriormente il bagaglio di sofferenza di chi cerca un futuro migliore.

La violenza di una classe politica, che in Italia disquisisce tra profughi veri e non veri, e tra rifugiati e migranti economici, è solo una vessazione ulteriore che irride la dignità umana.

Oltre la frontiera della UE, si apre la piana dello Srem dove la retorica nazionalista di Milosevic diede accoglienza ai serbi in fuga dalle Kraijne.

Era l’agosto del 1995, la guerra in Bosnia stava volgendo al termine (sarebbe terminata entro tre mesi), e per fare coincidere la realtà sul campo con quanto sarebbe stato sottoscritto nel testo finale dell’accordo di pace a Dayton (che deve il nome ad un’anonima base militare statunitense dell’Ohio), quei mesi finali furono caratterizzati da episodi di violenza inaudita per creare aree etnicamente omogenee prima del cessate il fuoco definitivo.

Serbi e croati lanciarono offensive violente per prendere il controllo di territori che sapevano non avrebbero dovuto cedere nel processo negoziale.

Fu quello il periodo in cui massacri e pulizia etnica ebbero un’impennata drammatica e qualche settimana prima, nell’indifferenza della comunità internazionale, a Srebrenica era avvenuto un genocidio.

Quello che Milosevic chiamava “il popolo celeste” era un ammasso infinto di contadini in fuga; persone semplici e con pochi soldi al seguito, che formavano colonne sterminate di trattori e mezzi di fortuna, in fuga dalla pulizia etnica croata e bosniaca dell’Operacjia Oluja (Operazione Tempesta).

Per quelle persone, che sui rimorchi dei trattori avevano tutti i loro beni, il governo di Milosevic allestì delle tendopoli improvvisate, immerse nel freddo e nel fango della piana dello Srem, in cui una massa di disperati si offriva per pochi dinari ai proprietari terrieri serbi per i lavori agricoli, in condizioni di sfruttamento e vessazione.

Quelle tendopoli della piana dello Srem, a metà anni ’90, anticiparono la vergogna dei ghetti del bracciantato agricolo nel sud Italia ed in Andalusia.

Oltrepassata la piana dello Srem il nostro percorso devia a nord verso le foreste di tiglio ed i monasteri ortodossi del Fruska Gora, oggi patrimonio Unesco, diventati in tempi recenti il luogo dell’identità ultranazionalista serba.

Con il collasso dell’ex Jugoslavia molti serbi, rimasti orfani dell’identità collettiva data da un partito che era anche riferimento totemico ed elemento di identificazione collettiva, hanno spostato lo spazio e la dimensione della propria identità dal partito alla religione, nello specifico quella largamente maggioritaria tra i popoli slavi.

Come per il festival degli ottoni a Gucka, anche il Fruska Gora è ostaggio della peggior propaganda nazionalista, e capita, la domenica mattina, di incontrare a messa persone in divisa da cetnico, o di venire salutati con il saluto cetnico fatto con pollice, indice e medio della mano destra a mimare un tre e con le restanti dita piegate.

Il gesto simboleggia le tre C (che diventano tre S nella translitterazione latina) che fanno da acronimo a Sloga Srbina Spasava (traducibile con l’Unità Salva la Serbia).

Ci saluta così un ragazzo sulla trentina, il fisico appesantito, esce da un minimarket non lontano da uno dei monasteri patrimonio Unesco, ci fornisce informazioni stradali e, nel congedarsi, ci saluta con le tre dita della mano su cui ha tatuata la data del 1389.

Per la retorica nazionalista serba la battaglia di Kosovo Polje (la piana dei merli) è una colpa collettiva da cui occorre redenzione.

Non a caso il criminale Mladic chiamava i musulmani bosniaci “i turchi”, e la memoria del genocidio di Srebrenica da parte serba semplicemente non esiste, ed il negazionismo di un crimine spaventoso coincide con il racconto della rivincita dei serbi sui turchi, 610 anni dopo Kosovo Polije.

Nel giugno del 1389 i serbi guidati da Lazar Hrebeljanovic provarono a fermare l’avanzata ottomana nei Balcani (Sofia era caduta in mano turca cinque anni prima) venendo sconfitti, ma riuscendo comunque ad uccidere il sultano Murad I grazie al gesto eroico del cavaliere Milos Obilic.

Il nazionalismo ultraconservatore serbo si autoalimenta anche con figure storicamente più recenti.

Le foto ed i gadget di Draza Mihajlovic campeggiano in tutti i monasteri, quando venni la prima volta una decina di anni fa, Mihajlović era ancora bandito dalla memoria collettiva serba, condannato a morte e fucilato nel 1946 per alto tradimento e collaborazione con il nemico.

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Monastero di Šišatovac – © Foto di Paolo Pantaleoni

Nel Maggio del 2015 la Corte Suprema Serba lo ha pienamente riabilitato, per compiacere la chiesa ortodossa e la galassia nazionalista che sosteneva l’allora presidente Nikolic e che oggi sostiene in larga parte l’attuale presidente Aleksandar Vucic.

L’Esercito Jugoslavo in Patria di Mihajlovic si costituì nel 1941, dopo il collasso del regio esercito Jugoslavo successivo all’invasione tedesca.

Costituito su base etnica, e su valori conservatori, riunì gli ufficiali e le truppe serbe fedeli al re Pietro II.

Il disegno iniziale dei cetnici di Mihajlovic era quello di costituire una resistenza nazionalista all’invasione nazifascista, per arrivare alla costituzione di un Regno di Serbia sulle ceneri del Regno di Jugoslavia.

Inizialmente sostenuti dagli alleati con lanci di armi e viveri, le truppe di Mihajlovic trovarono rapidamente un accordo con italiani e tedeschi, pur non dichiarandosi mai alleati degli invasori, e dirottarono i loro sforzi nella guerra antipartigiana, in chiave anticomunista, e contro i nazionalisti croati per fare della Serbia una nazione etnicamente omogenea.

Formalmente non belligeranti con Italiani e Tedeschi, più volte (come nella battaglia della Neretva) i cetnici di Mihajlovic combatterono a fianco di fascisti, nazisti ed ustasha croati contro le formazioni partigiane del Maresciallo Tito.

Aiutati informalmente dai servizi segreti italiani (che temevano rivendicazioni nazionaliste da parte degli alleati croati su Istria e Dalmazia), i cetnici combatterono una guerra parallela contro gli ultranazionalisti croati, i quali, istituito stato fantoccio con a guida Ante Pavelic, si adoperarono per eliminare dal territorio sotto il proprio controllo le popolazioni non croate e non cattoliche a partire da serbi ed ebrei.

Quelle che nacquero nel Fruska Gora come fortezze della fede ai tempi della dominazione Ottomana, per preservare l’identità religiosa ed i tesori dell’arte sacra ortodossa, furono edificate tra il XV ed il XVII secolo.

Le bombe della Nato del 1999 fecero ciò che gli Ottomani nemmeno tentarono, danneggiando diversi monasteri con i bombardamenti diffusi su tutto il paese. (Fine prima parte)

________________

4614020*Paolo Pantaleoni, nato e cresciuto a Rimini. Di formazione umanistica, ha studiato presso l’Università di Bologna, abbandonando con successo gli studi in Scienze Politiche a favore di quelli in Storia. Militante sociale, per un decennio si è occupato di cooperazione decentrata in Palestina. Appassionato di cucina, per lavoro si occupa di sicurezza nei luoghi di lavoro ed igiene degli alimenti in una società di ristorazione. Nel tempo libero si divide tra il guardare il mondo con curiosità e lentezza e praticare le proprie passioni. Viaggiatore, camminatore, escursionista ed apicoltore ha una venerazione per la pesca con la mosca artificiale.

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Gli errori cinesi sul virus


È al tempo stesso spaventoso e rassicurante il clamoroso fallimento cinese nella gestione della pandemia. È spaventoso per le conseguenze sanitarie: quel fallimento sta facendo ammalare milioni di cinesi e mette tutto il resto del mondo a rischio di una n

È al tempo stesso spaventoso e rassicurante il clamoroso fallimento cinese nella gestione della pandemia. È spaventoso per le conseguenze sanitarie: quel fallimento sta facendo ammalare milioni di cinesi e mette tutto il resto del mondo a rischio di una nuova ondata pandemica. È invece rassicurante per due motivi. Il primo è geo-politico. I teorici dell’inevitabile tramonto dell’Occidente forse si sbagliano. Forse la Cina non riuscirà a diventare, nemmeno fra qualche decennio, una superpotenza così forte da poter davvero tenere testa agli Stati Uniti. Né, come hanno previsto alcuni, la Cina tornerà presto ad essere, come era nel Seicento e nel Settecento (prima che iniziasse la Rivoluzione industriale in Gran Bretagna), il Paese più ricco e prospero del globo. L’autocrazia ha un prezzo. Il prezzo è l’eccesso di rigidità che impedisce ai governanti di fronteggiare sfide impreviste con pragmatismo e capacità di correggere, in corso d’opera, gli errori.

Il secondo motivo è che il fallimento cinese dimostra urbi et orbi la superiorità delle società aperte e democratiche rispetto alle autocrazie. Una superiorità molto concreta, non astratta o ideologica: è impietoso il confronto fra il modo efficace – una volta superata la prima fase di disorientamento e di sbandamento – con cui il mondo occidentale ha saputo fronteggiare la pandemia e il fallimento cinese. Fallimento che i cinesi, a dispetto di ogni evidenza, si ostinano a negare.

Come mostrano anche le proteste delle autorità cinesi contro quei Paesi che, come l’Italia, sottopongono a controllo sanitario i viaggiatori in arrivo dalla Cina. Nonché il loro rifiuto di accettare i vaccini occidentali offerti dalla Ue. Hanno una cosa in comune la mala gestione cinese dell’emergenza Covid e l’incapacità russa disconfiggere l’Ucraina. Pur con le loro grandi differenze le autocrazie cinese e russa sono accomunate dalla incapacità/impossibilità di comprendere quale potente risorsa sia la libertà individuale, quale forza essa sprigioni e con quali benefici effetti per i gruppi umani in cui essa è sufficientemente tutelata. I paralleli storici sono sempre arditi ma si può dire che Putin sia incorso in un errore simile a quello commesso, all’inizio del quinto secolo avanti Cristo, dal potente impero persiano quando invase la Grecia: venne sconfitto perché sottovalutò quanta energia potessero accumulare e spendere in battaglia gli uomini liberi delle città greche.

Per le stesse ragioni, Putin ha sottovalutato gli ucraini. Nonché gli occidentali, ivi compresi i pacifici europei, consapevoli, fin dall’inizio del conflitto, del fatto che sostenendo l’Ucraina stanno proteggendo le proprie libertà. Che le autocrazie non comprendano quali conseguenze benefiche per la collettività sia in grado di generare la libertà individuale è normale, scontato. Ma che dire di tutti quegli occidentali
che pur da sempre abituati a godere delle libertà che le nostre società assicurano anche a loro, tuttavia le disprezzano o comunque non ne comprendono i vantaggi? Da dove nasce questa specie di blocco mentale?

I nemici occidentali delle libertà occidentali, per lo più, non dicono oggi, come dicevano un tempo, che le democrazie liberali rappresentino il male. Ma, proprio come allora, la loro bestia nera è sempre il mercato. Come se, senza mercato, possano sussistere società aperta, democrazia, libertà individuali. Puntano il dito contro i «fallimenti del mercato» (che certamente, periodicamente, si verificano) ma vogliono curarli a colpi di Stato, espandendo il ruolo e la presenza dello Stato. Fingono di non sapere che i «fallimenti dello Stato» (da Pechino a Mosca, da Teheran a Caracas, e in tanti altri posti) provocano conseguenze infinitamente più gravi, più devastanti, e durature. Anche lasciando da parte i casi più drammatici ed evidenti, per limitarci a un esempio di casa nostra, quanto è servito fin qui l’eccesso di statualità che da sempre affligge l’economia del Mezzogiorno d’Italia per curarne i mali?

Dietro l’ostilità per il mercato si intravvede la diffidenza per la libertà individuale e per il mondo «caotico» che, apparentemente, essa alimenta. Un caos da curare, secondo certi medici, con dosi massicce di statualità, sostituendo il comando statale (inevitabilmente di pochi) alla libertà di azione dei tanti. Grazie a quella libertà d’azione le società aperte occidentali hanno un dinamismo che manca ad altre società e, in più, i loro sistemi democratici hanno la capacità di correggere gli errori e gli effetti perversi che le azioni dei tanti possono provocare. Proprio la pandemia dimostrai vantaggi della società aperta, e del mercato che ne è una componente indispensabile. È grazie alla libertà di
impresa che, in brevissimo tempo, abbiamo potuto disporre di vaccini in grado di combattere la malattia. Dove non c’è società aperta, dove lo Stato pretende di sostituirsi al mercato, niente del genere può accadere. Non solo la mancanza di libertà impedisce di trovare soluzioni efficaci per fronteggiare le emergenze. Ma, per giunta, le misure adottate dalle autocrazie risultano sempre aberranti, impongono costi sociali altissimi e aggravano anziché risolvere i problemi.

La «cura» usata a lungo dalle autorità cinesi, la chiusura totale e feroce di intere città, l’imprigionamento dei propri sudditi, è servita a generare sofferenza nella popolazione ma non a debellare la malattia. Si è trattato di misure praticabili solo ove non esistono cittadini ma sudditi, ove la libertà individuale è inesistente. Misure che le democrazie occidentali non avrebbero mai potuto adottare. È sufficiente pensare che qui da noi sono bastate certe blande, ma necessarie, misure emergenziali per fare gridare alcuni allo scandalo: ricordate il green pass e le sciocchezze sulla «dittatura sanitaria»? Per sapere cosa fosse una vera dittatura sanitaria bisognava visitare la Cina. Giusto a proposito di «fallimenti dello Stato». Non si può dare per scontato che nel conflitto fra società aperte e società chiuse, fra democrazie e autocrazie, la vittoria finale debba andare necessariamente alle prime. Ma, per lo meno, sappiamo che il nostro mondo possiede risorse (morali prima ancora che materiali) che altri non hanno.

Il Corriere della Sera

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Materia oscura, nuove misurazioni vanno a favore della gravità modificata - Passione Astronomia

"Uno studio delle curve di rotazione delle galassie segna un punto a favore della gravità modificata, teoria alternativa alla materia oscura prevista dal modello cosmologico standard."

passioneastronomia.it/materia-…



Parte la “costituente” centrista: paga l’UE


Il formato non è dei più agevoli, anche se forse + un omaggio al contemporaneo (e tormentato) confresso del Partito democratico. Ma nelle sette ore e mezza di dibattiti previste a Milano per il 14 gennaio, Matteo renzi e Carlo Calenda intendono lanciare l

Il formato non è dei più agevoli, anche se forse + un omaggio al contemporaneo (e tormentato) confresso del Partito democratico. Ma nelle sette ore e mezza di dibattiti previste a Milano per il 14 gennaio, Matteo renzi e Carlo Calenda intendono lanciare la prima tappa della “assemblea costituente dei Liberali e Democratici Europei” (per citare alcuni dei promotori). Tradotto: il partitone unico riformista, centrista, europeista, azionista, eccetera. Con una buona stella a benedere la partenza: a finanziare parte del maxi-evento di Milano – a cui parteciperà anche la candidata alle regionali Letizia Moratti – sarà il Parlamento europeo, attraverso i fondi del gruppo Renew Europe.

Un passo indietro. Da tempo l’area centrista sogna una rassemblement. Alle elezioni del 25 settembre Renzi e Calenda si sono presentati insieme e poi hanno unito Azione e Italia Viva in una federazione aperta anche a diverse sigle della galassia liberale e ancora in attesa di Più Europa, ormai in rotta col PD.

Con l’anno nuovo, il progetto dovrebbe portare alla nascita di un nuovo partito sul modello del gruppo Renew Europe (che a Bruxelles unisce i liberali dell’Alde e il Partito democratico europeo), nato attorno a En Marche! di Emmanuel Macron. Per farlo, serve appunto un percorso costituente.

In questo contesto si arriva all’appuntamento del 14 gennaio a Milano, dove Renzi e Calenda interverranno come “invitati” della rete “Liberali democratici europei” per accelerare il progetto. Con loro anche Letizia Moratti, sostenuta da Azione e IV alle regionali lombarde ma già pronta ad essere uno dei volti nazionali del partito che sarà, complici sondaggi che al momento la vedono ben lontana dal poter diventare governatrice.

In campagna elettorale però ogni evento è prezioso, a maggior ragione se “spesato”. Come specificato in fondo alla locandina di presentazione dell’incontro, infatit, la giornata è organizzata “con il sostegno finanziario del Parlamento europeo”. In particolare, spiegano fonti di Renew Europe, con i soldi destinati da Bruxelles alle attività dei gruppi parlamentari, dato che l’incontro verterà su “come rafforzare Renew Europe e Partito democratico Europeo” e su “L’unità dei liberaldemocratici” (e tra i relatori ci sarà l’eurodeputato renziano Sandro Gozi).

Detto di Renzi, Calenda e Moratti, a Milano ci sarà pure Benedetto Della Vedova, segretario nazionale di Più Europa, a testimonianza della nuova collocazione centrista del partito di Emma Bonino, che per le regionali ha mollato Pierfrancesco Majorino e la coalizione sinista-M5S.

E poi, come ogni percorso federativo richiede, non mancherà un pantheon intellettuale dei riformisti: il giornalista Oscar Giannino; il presidente della Fondazione Luigi Einaudi Giuseppe Benedetto; l’avvocato (con sfilza di incarichi, tra cui quello nel board dello studio legale Orrick) Alessandro De Nicola. Tutti convinti che questa sia la volta buona per il grande Centro.

Lorenzo Giarelli

Il Fatto Quotidiano, 4 gennaio 2023, pag 7

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FedelMente e LaicaMente


Non ho mai capito, da laico, la distinzione fra pontefici conservatori e progressisti. Sono pur sempre i custodi di una dottrina bimillenaria, che viene letta e riletta, interpretata e reinterpretata, ma sempre con l’impegno, o la pretesa, di aderire a qu

Non ho mai capito, da laico, la distinzione fra pontefici conservatori e progressisti. Sono pur sempre i custodi di una dottrina bimillenaria, che viene letta e riletta, interpretata e reinterpretata, ma sempre con l’impegno, o la pretesa, di aderire a quanto scritto nei testi di riferimento. Sfuggendomi la distinzione guardo con scetticismo l’automatica catalogazione di Joseph Ratzinger fra i conservatori, quando non direttamente fra i reazionari. Il che non riguarda solo chi lo ha criticato, ma anche chi lo ha per quello apprezzato. Ho l’impressione che tutto ciò si basi più su equivoci che sui fatti e i pensieri.

È stato un teologo, in quanto tale apprezzato da Karol Wojtyla (progressista o conservatore?) e per quello chiamato a presidiare la dottrina e la fede. Wojtyla fu pontefice con un marcato ruolo politico, uno dei protagonisti della fine dell’impero sovietico. Oltre che tante altre cose, naturalmente. Spero non sia blasfemo osservare che dopo quel pontificato è come se avessero chiamato il capo ufficio studi a ricoprire il ruolo di amministratore delegato: non gli mancava la competenza, ma l’approccio. Difatti incontrò notevoli ostacoli, dovette vedersela con faide interne al Vaticano (al punto che il suo braccio destro, Georg Gänswein, parla esplicitamente di <<presenze demoniache>>) e perse, introducendo per primo l’istituto delle dimissioni. Più che una innovazione una capitolazione.

Molti, in occasione della sua morte, hanno ricordato il discorso di Ratisbona, tenuto nel 2006. I più, però, ammirandolo per quel che volle chiarire fosse un errore, tralasciando il più succoso resto. Ratzinger, citando altre fonti, sembrò sostenere che l’Islam non potesse che essere sopraffazione e morte. Ma lui stesso si disse <<vivamente rammaricato>> per quella interpretazione e precisò che era stata <<una citazione di un testo medioevale, che non esprime in nessun modo il mio pensiero>>. Non si vede perché cancellare quelle sue parole.

Il resto del discorso, assai interessante, si riferiva ad un duplice possibile accesso alla divinità: ragionato o assoluto. Disse che <<non agire secondo ragione, non agire con il logos, è contrario alla natura di Dio>>. Teneva assieme fede e mente. Su quella natura non sono titolato a discettare, ma è la storia a dirci che la ragione costò a non pochi il rogo, sicché era ed è da salutarsi con gioia il riconoscimento della sua liceità e opportunità. Naturalmente non vi è “ragione” senza libertà di ragionare.

Il nodo profondo del pontificato di Ratzinger era il suo ragionare interno alla cultura e alla storia europee, con i lumi e con il sangue, con gli ideali e le guerre di religione, talché all’ecclesia toccasse essere comunità di fede e non altro. Ho l’impressione sia quello il nodo cui lo legarono. Scelsero un successore, gesuita, proveniente dall’America Latina, slegato da quei dilemmi e pronto a dire <<chi sono io per giudicare>>.

Cosa c’entri il conservatorismo e il progressismo resta oscuro, benché la distinzioni richiami l’entusiasmo di quanti ammirano la chiesa, purché non faccia, né coi fedeli né con gli infedeli, la chiesa.

La Ragione

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Il 4 gennaio è la Giornata mondiale del Braille. La giornata viene celebrata in memoria della nascita di Louis Braille, inventore del rivoluzionario metodo di scrittura e lettura per non vedenti e ipovedenti.


Google verserà allo Stato dell’Indiana $ 20 milioni nella battaglia legale che ha visto contrapporsi lo Stato del Midwest e Big G per presunte pratiche ingannevoli di tracciamento della posizione. Gli Hoosier, come vengono chiamati gli abitanti dell’Indiana, “verranno protetti in ogni modo dalle intrusioni delle Big Tech” ha affermato il procuratore generale dello Stato...


Vanity Fair, sul numero in edicola, con la bella penna di Nina Verdelli affronta la questione spinosa dei test genetici, inclusi quelli ormai venduti online per pochi euro o offerti – si fa per dire – gratis ai lavoratori e ha voluto sentirmi.


#uncaffèconLuigiEinaudi☕ – Si formino, oltre ed accanto ai partiti…


Si formino, oltre ed accanto ai partiti, comitati e movimenti intesi a propugnare idee che non trovano luogo od accoglimento nei programmi dei partiti da I limiti ai partiti, «L’Italia e il secondo Risorgimento», 20 maggio 1944 L'articolo #uncaffèconLuig
Si formino, oltre ed accanto ai partiti, comitati e movimenti intesi a propugnare idee che non trovano luogo od accoglimento nei programmi dei partiti


da I limiti ai partiti, «L’Italia e il secondo Risorgimento», 20 maggio 1944

L'articolo #uncaffèconLuigiEinaudi☕ – Si formino, oltre ed accanto ai partiti… proviene da Fondazione Luigi Einaudi.


fondazioneluigieinaudi.it/unca…



La ‘stanchezza’ gioca brutti scherzi … anche a Mattarella!


Se non fosse, come noto, prerogativa indiscussa del direttore la titolazione degli articoli, suggerirei, con riferimento al discorso del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, un titolo che alluda al dato di fatto storico che, col tempo, anche i migliori possono essere stanchi. Tra l’altro, la ‘regia’, forse intesa a sottolineare i cambiamenti di argomento, serviva […]

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OK, parliamo di quell'editoriale. Quello che ha insistito non solo sul fatto che la privacy è pericolosa, ma anche sul fatto che non inserire affermativamente la sorveglianza negli strumenti di comunicazione è una posizione ideologica radicale.

Schiacciare gli argomenti dell'editoriale è facile. Sono SHALLOW. E molti hanno schiacciato, spesso con la gentilezza di un professore che valuta una bozza di saggio di uno studente che non volevano scoraggiare completamente. Ti indirizzerò al thread successivo... 1/

web.archive.org/web/2023010119… dorseys-twitter-signal-privacy.html

Ma quello che sta succedendo qui non è sostanza. Ed è su questo che voglio concentrarmi. Quelli di noi che hanno investito nella difesa della privacy devono capire che questo editoriale non è stato scritto per persone con esperienza e il suo scopo non sarà turbato dalla confutazione degli esperti. Non siamo il pubblico. 2/

L'editoriale funziona per creare l'apparenza di un "dibattito" su una questione più o meno risolta. E questa è una funzione potente, rafforzata dalla sua collocazione nel NYT. In questo modo, può fungere da "citazione Potemkin", fornendo un riferimento apparentemente credibile a sostegno di cattive leggi e piattaforme sulla privacy. 3/

Quali leggi? Quali piattaforme politiche? Non lo so. Ma il requisito dell'identificazione dell'età approvato in CA questa settimana e le normative che richiederebbero alle app di comunicazione di scansionare e sorvegliare i contenuti attualmente in corso nell'UE e nel Regno Unito ci danno alcuni indizi. 4/

Soprattutto perché queste leggi, in effetti, impedirebbero alle persone che sviluppano tecnologia di NON costruire capacità di sorveglianza e censura di massa. Che, sebbene estremamente mal argomentato, è effettivamente la spinta principale dell'editoriale.

In breve, abbiamo ragione, le nostre argomentazioni sono solide e abbiamo fatto la lettura. Ma se vogliamo difendere la privacy, dovremo essere coordinati e audaci, e non commettere l'errore di presumere che essere corretti sia di per sé una strategia. Abbiamo molto lavoro da fare nel 2023! FINE

mastodon.uno/@Mer__edith@masto…

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Il Giappone raddoppia le spese militari


Il governo di Tokyo decide un aumento record delle spese militari. Il Giappone spenderà il 2% del Pil e avrà missili in grado di colpire la Cina. Gli Stati Uniti plaudono L'articolo Il Giappone raddoppia le spese militari proviene da Pagine Esteri. http

di Marco Santopadre*

Pagine Esteri, 22 dicembre 2022 – Non è la prima volta, negli ultimi anni, che il Giappone aumenta la spesa militare e decide di rafforzare il suo esercito, contravvenendo alle imposizioni “pacifiste” dettate dagli alleati – in particolare dagli Stati Uniti – dopo la sconfitta di Tokyo nella Seconda Guerra Mondiale.

Spese militari al 2% del Pil
Questa volta, però, il governo di Fumio Kishida ha deciso l’aumento più consistente dalla fine del secondo conflitto mondiale delle spese per la Difesa, che passano nel 2023 da 5200 miliardi a 6500 miliardi di yen, l’equivalente di 47 miliardi di dollari.
Come se non bastasse, il boom della spesa militare aprirà la strada ad un aumento fino al 2% del Prodotto interno lordo, portandola al livello dei paesi della Nato, alleanza militare di cui pure il paese non fa parte.

Il premier punta infatti ad aumentare il bilancio della Difesa per gli anni che vanno dal 2023 al 2027 fino a 318 miliardi di dollari, con un raddoppio di fatto rispetto al quinquennio che si sta chiudendo. Poco importa che l’articolo 9 della Costituzione giapponese, analogamente a quanto previsto dall’articolo 11 della Magna Carta italiana, reciti che «Il popolo rinuncia per sempre alla guerra come diritto sovrano della nazione e alla minaccia o all’uso della forza come mezzo per risolvere le controversie internazionali».

Le opposizioni denunciano il carattere militarista della decisione e il pericolo che questa scateni un’ulteriore escalation con Pechino e Pyongyang, e sottolineano che l’aumento delle spese militari sottrae importanti risorse ad un paese già sottoposto ad una forte crisi fiscale e ad un indebitamento pubblico da record. L’approvazione dell’aumento delle spese per la Difesa è stata preceduta da una polemica interna al Partito Liberal Democratico – principale forza del governo insieme al Komeito – tra coloro che proponevano di utilizzare i titoli di stato per coprire le nuove spese e il premier che invece ha optato per un aumento delle tasse. La Legge Finanziaria include un aumento graduale della tassazione sulle imprese a partire dal 2024 e altri provvedimenti volti a reperire le necessarie risorse addizionali.

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Manifestazione pacifista a Tokyo

Pronti a colpire la Cina
Il boom delle spese militari servirà a rafforzare le forze armate e a finanziare un piano di massiccio riarmo per sostenere la competizione militare nella regione dell’Indo-Pacifico. L’obiettivo del Giappone, affermano fonti del governo Kishida, è dotarsi di una forza convenzionale di deterrenza in grado di tenere testa alle ambizioni militari della Repubblica Popolare Cinese e di difendersi dalle minacce della Corea del Nord.

Tokyo intende aumentare significativamente la proiezione a lungo raggio della propria capacità militare, e a questo scopo ha deciso l’acquisto dagli Stati Uniti di alcune centinaia di Tomahawk; i missili da crociera statunitensi hanno infatti una gittata massima di 1600 km, che permetterebbe al Giappone di colpire obiettivi in territorio cinese in caso di conflitto.
L’esecutivo Kishida si è inoltre impegnato ad aumentare la gittata dei propri missili anti-nave, a sviluppare armi ipersoniche e a creare una forza speciale di auto-difesa contro i cyber-attacchi. Tokyo si è detta anche interessata a partecipare alla realizzazione dei caccia di sesta generazione Tempest, alla quale partecipano già la britannica BAE Systems e l’italiana Leonardo.

A spingere Tokyo ad adottare una politica di difesa più aggressiva, afferma il Washington Post, sarebbe stata anche l’invasione russa dell’Ucraina. «Il Giappone voleva limitare la sua spesa in materia di difesa ed evitare l’acquisto di sistemi d’arma d’attacco. Tuttavia, la situazione internazionale non ci consente di farlo» ha spiegato al quotidiano l’ex ambasciatore giapponese a Washington Ichiro Fujisaki.

Nella scia di Shinzo Abe
La realtà è che già durante il lungo governo del nazionalista Shinzo Abe, esponente della corrente più conservatrice del Partito Liberal Democratico (al governo quasi ininterrottamente dal 1955), Tokyo ha intrapreso il cammino verso una politica estera più aggressiva e militarista.
Prima del suo assassinio nel luglio scorso, Abe ha operato per centralizzare le politiche di sicurezza; ha riformato la Costituzione per affermare il cosiddetto “diritto all’autodifesa collettiva” del paese consentendo alle forze armate di intervenire in un conflitto non solo per difendere il Giappone ma anche un alleato contro un attacco esterno; infine, ha più volte aumentato gli stanziamenti per la Difesa fino a portare Tokyo al nono posto della classifica mondiale della spesa militare.
È anche vero, però, che l’invasione russa dell’Ucraina e i timori di un imminente attacco cinese a Taiwan hanno fatto aumentare il sostegno dell’opinione pubblica giapponese – tradizionalmente pacifista – al riarmo e alla creazione di un esercito forte e moderno.
All’inizio di dicembre una fonte del governo giapponese aveva già rivelato che l’esecutivo intende aumentare la presenza del proprio esercito nell’isola sudoccidentale di Okinawa “in previsione di un possibile scontro con la Cina su Taiwan». Il Ministro della Difesa Yasukazu Hamada prevede di portare a due il numero di reggimenti di fanteria di stanza sull’isola. Inoltre Tokyo prevede di triplicare le unità di difesa contro i missili balistici nelle Nansei, un arcipelago in parte contiguo a Taiwan, mentre le Forze di autodifesa aerea giapponesi sono state inviate per la prima volta nelle Filippine per partecipare a esercitazioni congiunte.

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Il premier giapponese Fumio Kishida

Gli Usa plaudonoLa nuova versione della Strategia di sicurezza nazionale varata dal governo di Fumio Kishida – a lungo ministro degli Esteri nei governi di Shinzo Abe – definisce la Cina «una sfida strategica senza precedenti», allineandosi così alla visione di Washington.

Non stupisce quindi l’entusiasmo manifestato nei confronti della storica decisione da parte degli Stati Uniti, che nel paese del Sol Levante mantengono da sempre un sostanzioso contingente militare dislocato in diverse basi. Da tempo la Casa Bianca chiede a Tokyo un maggiore protagonismo militare nel Pacifico in funzione anti-cinese. L’ambasciatore di Washington a Tokyo, Rahm Emanuel, ha definito la misura «una pietra miliare epocale» nelle relazioni tra i due paesi, indispensabile per fare dell’Indo-Pacifico un «territorio libero e aperto». Per il Consigliere per la Sicurezza Nazionale di Joe Biden, Jake Sullivan, «L’obiettivo del Giappone di aumentare significativamente gli investimenti nella difesa rafforzerà e modernizzerà anche l’alleanza Usa-Giappone».

Pechino: “non siamo una minaccia”Di segno opposto, ovviamente, la reazione di Pechino. Il governo cinese ha infatti denunciato che Tokyo «accusa falsamente la Repubblica Popolare Cinese di ricattare il Giappone attraverso misure economiche coercitive e di intraprendere attività militari minacciose che destano grande preoccupazione nella comunità internazionale».
L’ambasciata cinese in Giappone ha affermato che la nuova Strategia di sicurezza di Tokyo viola numerose intese raggiunte negli ultimi anni tra i due governi e alimenta le tensioni regionali invece di promuovere la stabilizzazione e la pace. «La Cina ha sempre aderito alla strada dello sviluppo pacifico, ha perseguito una politica nazionale di natura difensiva e non ha mai istigato né partecipato a una corsa agli armamenti», ha affermato la sede diplomatica di Pechino, difendendo la posizione del proprio governo su Taiwan e sulle isole Senkaku, che la Cina considera parte del proprio territorio nazionale. L’ambasciata ha infine invitato il Giappone a non giustificare il proprio riarmo con la «teoria della minaccia cinese» e a scegliere la strada del consenso politico considerando i due Paesi come «partner e non come reciproche minacce».

Ma proprio nei giorni scorso le unità navali del Giappone sono entrate in stato di allerta dopo l’individuazione di alcune unità militari cinesi, tra le quali la portaerei Liaoning, nelle acque territoriali rivendicate sia da Tokyo sia da Pechino. Secondo il Ministero della Difesa giapponese si tratterebbe della nona “incursione” cinese da novembre.

Nel tentativo di frenare le rivendicazioni di Pechino nel Mar cinese meridionale, Tokyo ha negli ultimi anni rafforzato la cooperazione diplomatica e militare con le Filippine e il Vietnam, paesi coinvolti in altrettanti contenziosi con Pechino per il controllo di alcune aree. Nei mesi scorsi, inoltre, Tokyo ha tentato di stringere i rapporti con l’Indonesia che finora ha sempre cercato di porsi come mediatrice nei conflitti regionali.

Anche la Repubblica Popolare di Corea ha reagito negativamente all’aumento record delle spese militari da parte del Giappone, definendolo un «pericoloso errore che muterà in maniera netta il contesto di sicurezza regionale». «Il Giappone sta causando una grave crisi di sicurezza nella Penisola coreana e nell’Asia orientale, adottando una nuova strategia di sicurezza che ammette a tutti gli effetti l’attacco preventivo contro Paesi terzi» afferma una nota del Ministero degli Esteri di Pyongyang. – Pagine Esteri

4602434* Marco Santopadre, giornalista e scrittore, già direttore di Radio Città Aperta di Roma, è un analista dell’area del Mediterraneo, del Medio oriente e dell’Africa. Scrive, tra le altre cose, di Spagna e movimenti di liberazione nazionale. Collabora con il Manifesto, Catarsi e Berria.

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Come il nome stesso dell’esperimento suggerisce, Universe 25, ce ne sono stati altri 24 prima, e quasi tutti hanno portato al medesimo risultato. Il paradiso, inevitabilmente, diventava un inferno.

UNIVERSO 25 - FEDERICO FRANCO

Nel 1962, il ricercatore John B. Calhoun realizzò l’habitat ideale per roditori. Un luogo dove le cavie non avrebbero mai dovuto preoccuparsi di nulla, con cibo, acqua e un rifugio a disposizione per tutti. Un’utopia a misura di topo, la cui società nel giro di un anno raggiunse il suo massimo splendore, per poi ...

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in reply to Antonino Campaniolo 👣

penso che il morale della favola fosse che dovremmo evitare di comportarci da topi e prevenire il collasso della società
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