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Gary #Lineker, un calcio al razzismo di stato inglese, Il post di @bottegabarbieri


Fine settimana senza interviste ai calciatori della Premier League britannica. Uno sciopero senza precedenti che ha lasciato tifosi e telespettatori senza il consueto e atteso appuntamento con le interviste del dopo partita nella massima serie di calcio.

@Notizie dall'Italia e dal mondo

La Bbc, per cui conduceva il programma, lo ha sospeso a causa di un tweet dell’ex atleta contro l’ennesima stretta anti migranti del governo del multi milionario e figlio di migranti Rishi Sunak. Il premier, in violazione delle normative internazionali ed europee aveva annunciato di voler impedire anche soltanto di presentare la domanda d’asilo chi fosse sbarcato sull’isola.

La reazione del mondo del calcio è stata inaspettata. “Match of the day”, il programma più visto da milioni di tifosi, è andato in onda senza le interviste a calciatori e allenatori del fine partita, per la prima volta in assoluto. Assenti anche presentatore e commentatori. Boicottaggio totale. E figuraccia di proporzioni epiche per la Bbc, visto che il mondo del calcio mobilita talmente milioni di persone, e quindi votanti, che adesso in discussione è finito proprio il tentativo del governo di destra di Sunak di condizionare l’informazione.

Qui il post completo sul blog di @Bottega Del Barbieri

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in reply to Informa Pirata

Quando i calciatori danno l'esempio, il paese deve proprio essere messo male


#NotiziePerLaScuola

È disponibile il nuovo numero della newsletter del Ministero dell’Istruzione e del Merito.



PODCAST CINA. Xi Jinping: opposizione a forze esterne, ruolo in affari globali


Rieletto per la terza volta dall'Assemblea Nazionale del Popolo, il presidente cinese avrà un potere paragonabile solo a quello di Mao. La Cina che ha in mente per il suo terzo mandato non sarà solo una potenza economica ma svolgerà, ha spiegato, un ruolo

di Michele Giorgio,

Pagine Esteri, 13 marzo 2023 – Si sono chiusi con la riconferma alla presidenza della Cina di Xi Jinping i lavori della seduta plenaria dell’Assemblea Nazionale del Popolo. Il capo della Repubblica popolare cinese ha ottenuto i poteri che chiedeva non solo per rilanciare l’economia ma anche per dare alla cina un ruolo sempre più decisivo nella diplomazia internazionale. E lo ha già dimostrato mediando con successo la riconciliazione tra Iran e Arabia saudita. Nell’agenda di Xi Jinping anche una maggiore opposizione a “forze esterne”, ossia gli Stati uniti, e ribadire che Taiwan resta un territorio cinese. Ce ne parla da Shanghai Michelangelo Cocco, analista e collaboratore di Pagine Esteri
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Demografia asiatica – Gli e-book di China Files n°18


Demografia asiatica – Gli e-book di China Files n°18 demografia asiatica e-book
Da domenica 12 marzo è disponibile il nuovo e-book di China Files dedicato ai trend demografici in Asia. Mentre una parte del continente continua a crescere, altri paesi devono affrontare la sfida di una popolazione sempre più anziana e con sempre meno figli. Sfide e prospettive nel domani del secolo asiatico

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È dedicata al tema dei diritti del fanciullo dell’ambiente digitale la riunione annuale sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza del Consiglio dei diritti umani dell’ONU. Incentrata su “Sfide e opportunità per il pieno godimento dei diritti dei minori nell’ambiente digitale”, la prima parte della giornata è iniziata con uno scambio tra l’Alto Commissario per i diritti...


Il karaoke della vergogna


Se parlare di ferocia può apparire eccessivo, bisogna guardare con maggiore attenzione a quello che è accaduto negli ultimi giorni in questo povero Paese. Solo per potervi mostrare. E per poter fare capire a chi legge che spesso e in questo caso è proprio così, spesso, come dico, la durezza, la fermezza, l’indifferenza, l‘arroganza sono solo […]

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Le implicazioni privacy sul tema del whistleblowing sono innumerevoli poiché le segnalazioni comportano un trattamento di dati personali di segnalanti, di segnalati ed di eventuali terzi interessati. Ne parliamo domani dalle ore 17.45 al webinar “Le tutele del segnalante e del segnalato. Le implicazioni privacy sul whistleblowing” organizzato da My Governance – Zucchetti. Per info e partecipare...


Il piano della Difesa per colmare le lacune italiane sui carri armati


L’Italia sta valutando la possibilità di acquistare 125 carri armati e veicoli da combattimento di fanteria per colmare alcune lacune in attesa di completare progetti di lungo termine, secondo quanto scritto da DefenseNews. Il conflitto in Ucraina ha ri

L’Italia sta valutando la possibilità di acquistare 125 carri armati e veicoli da combattimento di fanteria per colmare alcune lacune in attesa di completare progetti di lungo termine, secondo quanto scritto da DefenseNews.

Il conflitto in Ucraina ha riportato l’attenzione degli Stati maggiori e degli addetti ai lavori alle tradizionali operazioni belliche terrestri. Nel frattempo è cresciuta in Italia la preoccupazione per l’obsolescenza e l’esaurimento delle scorte di carri armati Ariete e di veicoli da combattimento Dardo. Giovedì scorso, davanti alla commissione parlamentare per la difesa, il Segretario generale della Difesa, generale Luciano Portolano, ha dichiarato che si stanno valutando soluzioni per colmare le lacune.

Sempre DefenseNews riporta che la Difesa italiana prevede un fabbisogno attuale di 250 main battle tanks, di cui 125 potrebbero essere carri Ariete aggiornati. Per quanto riguarda i rimanenti 125, il deputato di Forza Italia Giorgio Mulè, ex sottosegretario alla Difesa, ha affermato che la soluzione più pratica è il leasing, piuttosto che l’acquisto, dei carri armati. Dunque è probabile che Roma noleggerà carri Leopard da nazioni alleate. “Abbiamo bisogno di una modernizzazione urgente: l’ultima volta che abbiamo introdotto nuovi carri armati e veicoli da combattimento è stato negli anni ’80 con i veicoli Ariete e Dardo”, ha detto Mulè citato da DefenseNews.

Allo stesso tempo Portolano ha riferito al Parlamento che la Difesa sta lavorando sui requisiti per i carri armati e i veicoli da combattimento di “prossima generazione” che potrebbero essere sviluppati con il contributo dell’industria italiana. Nel caso dei carri armati, ha citato il Main Ground Combat System lanciato nel 2012 da Francia e Germania e destinato a essere sviluppato dalla tedesca Rheinmetall e da Knds, una joint venture tra la tedesca Kmw e la francese Nexter.

Proprio Rheinmetall ha dichiarato che se Roma acquisterà il suo nuovo veicolo da combattimento Lynx per sostituire l’obsoleto Dardo, potrebbe pensare di costruire il veicolo in Italia. La società tedesca ha infatti annunciato di voler fare un’offerta per acquisire una quota di minoranza del produttore italiano di cannoni Oto Melara. Leonardo aveva già espresso il desiderio di vendere una parte o la totalità dell’azienda, considerandola non-core in quanto intende concentrarsi sull’elettronica, sugli elicotteri, sugli aerei e sulla tecnologia informatica. Oto Melara produce torrette per veicoli da combattimento e cannoni navali che sono stati acquistati dalle marine militari di tutto il mondo.


formiche.net/2023/03/acquisto-…



RED STAR HISTORICAL RESEARCH GROUP – L’IRRISOLTO E MISTERIOSO OMICIDIO DEL CASORETTO-


Il primo fatto storico del quale ci siamo occupati è quello che abbiamo definito “L’irrisolto e misterioso omicidio del Casoretto”, ovvero il doppio omicidio dei diciannovenni Fausto Tinelli e Lorenzo “Iaio”Iannucci uccisi da colpi di arma da fuoco il 18 marzo 1978 in via Mancinelli nel popolare quartiere Casoretto a Milano.

iyezine.com/lirrisolto-e-miste…



+++ L'istanza mastodon.online (la cenerentola di Gargron e sorella minore di mastodon.social) è off line +++

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Energia, a Budapest parte il progetto Europeo della Fondazione Einaudi sui cambiamenti climatici – Promoting Power Purchase Agreements to achieve the net-zero target.


Simona Benedettini, in qualità di Energy Economist del Comitato Scientifico della Fondazione Luigi Einaudi, aprirà il 16 marzo a Budapest la prima sessione di lavori del progetto europeo “Promoting power purchase agreements to achieve the net- zero target

Simona Benedettini, in qualità di Energy Economist del Comitato Scientifico della Fondazione Luigi Einaudi, aprirà il 16 marzo a Budapest la prima sessione di lavori del progetto europeo “Promoting power purchase agreements to achieve the net- zero target”, promosso dall’European Liberal Forum e che vede, tra i partner coinvolti, anche la Friedrich Naumann Foundation (Germania).

Nel workshop ungherese Benedettini indicherà le linee guida per lo sviluppo di uno studio comparato volto ad individuare le migliori pratiche applicate negli accordi di fornitura di energia elettrica (fondamentali per raggiungere l’obiettivo di emissioni zero e per contrastare i cambiamenti climatici), nei diversi Stati aderenti alla ricerca. Parteciperanno, oltre all’Energy Economist che rappresenta la Fondazione Luigi Einaudi di Roma e che si occuperà di sviluppare l’analisi della situazione italiana, Gero Sheck per la Friedrich Naumann Foundation (Germania), Ricardo Silvestre per il Social Liberal Movement (Portogallo), William Hongsong Wang per la Fundacion para el Avance de Libertad (Spagna) e Tomas Babicz per l’Inditsuk Be (Ungheria).

L’incontro di Budapest segna l’avvio di un importante lavoro che si svilupperà durante tutto il 2023 con l’intento di dare un qualificato contributo al dibattito europeo sul clima. Già è in programma un secondo workshop a Lisbona nel mese di maggio, due pubblicazioni sul tema e relativi policy brief, per concludere con un grande evento a Roma entro la fine dell’anno.

Context


The recent REPowerEU Plan of the European Commission considers Power Purchase Agreements (PPAs) a key driver to achieve the new 2030 target of 45% share of renewable energy. According to the European Commission, such target is essential to ensure the timely and effective achievement of carbon neutrality in 2050. However, the diffusion of PPAs is facing several challenges across EU Member States due to both market and legislative barriers which are intrinsic to the long-term nature of PPAs. The project intends investigating the legislative and market framework for PPAs in different EU Member States (a preliminary and not conclusive list of countries might include Italy, Hungary, Germany, Spain, Portugal) to identify best practices for the diffusion of PPAs and to contribute to the EU debate on climate policies.

The theme of PPAs communities addresses issues common to the liberal political and ideological area many issues dear to the liberal area, from combating legislative and market barriers through a transnational and supra-national perspective to ecological challenges and economic savings.

Topics: Climate policies, Energy security, Climate neutrality, Net-zero future, FF55, REPowerEU, New Green Deal

VECTOR- Techno-Sustainability

About the event


The event consists in a workshop conceived as a follow up to discuss Power Purchase on a comparative frame and agree on a final publication. Simona Benedetttini (LEF project leader) will animate the workshop to explain to them how she conceived the project and to assist them in the realisation of a cohesive in-depth chapters on a European perspective. Benedettini will help authors reflecting on several issues such as:

  • Identifying policies and market interventions which proved to be effective in promoting PPAs in EU countries
  • Achieving an in-depth understanding on relevant barriers to the diffusion of PPAs
  • Promoting the dissemination of best practices for the diffusion of PPAs
  • Providing a relevant contribution to the EU debate on climate and energy policies

Programme


Wednesday 15 March 2023

10:00 – 19:00 Participants arrival to the Hotel Castle Garden, 40-41 Lovas utca, 1012 Budapest, Hungary

20:00 Meeting at the lobby for welcome and introduction

20:30 Dinner TBD

Speaker: Renata Gravina, Fondazione Luigi Einaudi

Thursday 16 March 2023

Indítsuk Be Magyarországot Foundation, 2 Rózsahegy utca 1024 Budapest, Hungary

09:30 Introductory Remarks

Speaker: Renata Gravina, Fondazione Luigi Einaudi

Speaker: Fjona Merkaj, European Liberal Forum Project Officer

09:45 Promoting Power Purchase Agreements to achieve the net-zero target purpose, objective, and scope

Speaker: Simona Benedettini, Energy Economist, Italy

11:00 Coffee Break

11:15 Dialogue with the participants of the workshop and follow-up in view of the publication of the volume Promoting Power Purchase Agreements

Speaker: Simona Benedettini, Energy Economist, Italy

Speaker: Ricardo Silvestre, MLS, Portugal

Speaker: William Hongsong Wang, Fundación para el Avance de la Libertad, Spain

Speaker: Gero Scheck, FNF, Germany

Speaker: Tamas Babicz, IBM, Hungary

12:30 Highlights of the event goals and conclusive remarks

Speaker: Renata Gravina, Fondazione Luigi Einaudi

13:00 End of event & lunch with participants

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Federico Tedeschini: le carriere dei nostri giudicanti – ladiscussione.it


L'articolo Federico Tedeschini: le carriere dei nostri giudicanti – ladiscussione.it proviene da Fondazione Luigi Einaudi. https://www.fondazioneluigieinaudi.it/federico-tedeschini-le-carriere-dei-nostri-giudicanti-ladiscussione-it/ https://www.fondazion


Mohammed bin Salman, il Principe ereditario saudita sul filo del rasoio


Il Principe ereditario saudita Mohammed bin Salman è diventato abile nel camminare sul filo del rasoio. L’ultimo atto di bilanciamento di Bin Salman potrebbe essere tra quelli più impegnativi. Con uno sviluppo a sorpresa, l’Arabia Saudita e l’Iran, insieme alla Cina, hanno annunciato che le due nazioni mediorientali stavano ristabilendo le relazioni diplomatiche. L’accordo saudita-iraniano è […]

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Arabia Saudita – Cina – Iran: la dichiarazione trilaterale congiunta


In risposta alla nobile iniziativa di Sua Eccellenza il Presidente Xi Jinping, Presidente della Repubblica Popolare Cinese, del sostegno della Cina allo sviluppo di relazioni di buon vicinato tra il Regno dell’Arabia Saudita e la Repubblica Islamica dell’Iran; E sulla base dell’accordo tra Sua Eccellenza il Presidente Xi Jinping e i vertici del Regno dell’Arabia […]

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Unione Popolare sostiene la lotta delle cittadine e dei cittadini di Piombino, di tutti i comitati contro la transizione ecologica alla rovescia del governo Mel


Il compagno Yanis Varoufakis è stato vittima ieri sera di una violenta aggressione squadrista su cui va fatta piena luce. Condividiamo da anni con Yanis la lo

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Il fallimento della Silicon Valley Bank è un altro ‘canarino nella miniera di carbone’?


Se hai visto il presidente della Fed Jerome Powell testimoniare davanti al Senato e alla Camera, hai sentito più e più volte che le banche sono ben capitalizzate. Il non sequitur dovrebbe ispirare la citazione shakespeariana “Penso che tu protesti troppo”. Il giorno successivo alle udienze, le azioni di SVB Financial Group, società madre della […]

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La Corte Suprema del Giappone ha stabilito che l’istituzione del sistema di identificazione individuale “My Number” non contrasta con la Costituzione. È stato, infatti, respinto il ricorso presentato da coloro che chiedevano l’abolizione del sistema. La legge sull’uso dei numeri per identificare un individuo specifico nelle procedure amministrative è stata istituita nel maggio 2013 e...


Afghanistan: USA vittima del proprio successo


La nuova Camera dei rappresentanti controllata dai repubblicani ha avviato le sue indagini sul disastroso ritiro americano dall’Afghanistan nell’agosto 2021. Il Presidente della commissione per gli affari esteri della Camera, Mike McCaul, ha riassunto al meglio la logica alla base dell’indagine: “Quello che è successo in Afghanistan è stato un crollo sistemico del governo federale […]

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Nuovo appuntamento con la rubrica #iprovvedimentispiegatisemplice su Agenda Digitale. In questo numero parliamo del diritto di accesso ai propri dati personali, una delle più importanti espressioni del diritto alla privacy.


Mondo multipolare. Petromonarchie in soccorso di Erdogan


In soccorso di Erdogan, alle prese con il duello elettorale del 14 maggio, accorrono Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti, a lungo nemici del regime turco. Una riconciliazione in nome del mondo multipolare L'articolo Mondo multipolare. Petromonarchie in

di Marco Santopadre*

Pagine Esteri, 10 marzo 2023 – Dopo il terremoto del 6 febbraio che solo in Turchia ha provocato quasi 50 mila morti, le petromonarchie sono state in prima fila nell’invio ad Ankara di ingenti aiuti. Nei giorni scorsi, poi, i paesi capofila del Consiglio di Cooperazione del Golfo – Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti – hanno compiuto dei passi molto significativi nel percorso di riavvicinamento alla Turchia iniziato nel 2021.

Storico accordo con gli Emirati
In particolare, il 3 marzo Abu Dhabi ha firmato con Ankara uno storico accordo commerciale – ribattezzato Comprehensive Economic Partnership Agreement (Cepa) – che punta a raddoppiare il volume attuale degli scambi tra i due paesi, portandolo a 40-45 milioni di dollari entro il 2028. Già ora, la Turchia è il sesto partner commerciale degli Emirati: nel 2022 gli scambi bilaterali hanno toccato quota 19 miliardi, con un aumento del 40% rispetto all’anno precedente.
L’accordo, firmato durante una visita del ministro del Commercio turco Mehmet Mus nella capitale emiratina, è incentrato su settori come l’agritech, la produzione di energia rinnovabile, la logistica e le costruzioni e include la riduzione dell’82% delle tariffe doganali tra i due paesi.
«Le barriere al commercio di beni e servizi verranno rimosse e le attività dei nostri investitori e imprenditori saranno agevolate. In questo modo costruiremo su basi solide un ponte economico che si estende dall’Europa al Nord Africa, dalla Russia al Golfo» ha commentato il presidente turco Erdogan.
«La Turchia ha un’enorme potenziale di crescita. Sarà una delle più grandi economie emergenti che domineranno i mercati globali tra 20 anni» ha invece dichiarato Thani al Zeyoudi, ministro emiratino per il Commercio Estero.
Abu Dhabi ha promesso massicci investimenti nell’economia turca attraverso entità dipendenti dal governo emiratino. La ricostruzione di un sesto del paese distrutto dal sisma di un mese fa rappresenta una vera e propria miniera d’oro per gli investitori che potranno contare su corsie preferenziali e sulle ingenti commesse delle istituzioni turche. Già nel 2022, grazie anche ai finanziamenti a pioggia varati da Erdogan in vista delle cruciali elezioni presidenziali del 14 maggio, il Pil del paese era cresciuto del 5,6%. D’altra parte gli Emirati puntano a diventare uno dei centri mondiali degli affari e della finanza, e allo scopo stanno varando accordi economici di carattere strategico con vari paesi, tra i quali Israele, l’India e l’Indonesia.

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Il presidente emiratino Mohamed bin Zayed insieme a quello turco Erdogan

Riad puntella la Lira turca
A causa del terremoto, nelle scorse settimane la Banca Centrale turca ha dovuto stanziare ingenti fondi per le operazioni di soccorso e assistenza e per i primi finanziamenti alle aree colpite. La Banca Mondiale ha calcolato che il sisma ha causato almeno 35 miliardi di dollari di danni. Inoltre il paese soffre ormai da anni di una cronica svalutazione della moneta nazionale, la Lira, che pesa sulla bilancia commerciale oltre che sul potere d’acquisto della popolazione. Solo nel 2022, la divisa turca ha perso circa il 30% del proprio valore nel cambio con il dollaro, mentre nel 2021 la diminuzione era stata addirittura del 44%. A febbraio, il tasso ufficiale annuo d’inflazione è stato in Turchia del 55%, anche se si calcola che quello reale sia assai più alto.
Lo scontento creato dall’inflazione e dalla svalutazione della Lira, alimentato dai ritardi e dalle insufficienze nell’assistenza prestata dalle istituzioni statali turche alle vittime del terremoto, potrebbero causare un crollo dei consensi nei confronti del regime del Partito della Giustizia e dello Sviluppo (Akp).

In soccorso di Erdogan, però, è intervenuta recentemente l’Arabia Saudita. Nei giorni scorsi, infatti, il ministro del Turismo di Riad, Ahmed Aqeel al Khateeb, ha firmato un accordo col governatore della Banca Centrale di Ankara, Sahap Kavcioglu, che contempla il deposito di 5 miliardi di dollari nelle casse turche da parte della potenza capofila del Consiglio di Cooperazione del Golfo. I fondi sono stati messi a disposizione dal Fondo Saudita per lo Sviluppo (Fsd) e la misura mira a ottenere una rivaluzione della Lira turca e ad aumentare le riserve di valuta estera di Ankara, ha spiegato l’agenzia di stampa saudita “Spa”.
Inoltre, la mossa di Riad tenta di rafforzare la credibilità di Erdogan a poche settimane dalle presidenziali, che vedranno il fronte governativo opposto ai diversi partiti dell’opposizione – dalla destra alla sinistra – coalizzati per tentare di disarcionare il “sultano” ormai al potere da più di 20 anni.
Da parte sua, l’agenzia di stampa ufficiale turca Anadolu ha elogiato il deposito saudita, affermando che riflette il «forte sostegno del regno al popolo turco e la sua fiducia nel futuro dell’economia turca».

Da nemici ad alleati?
Il duplice accordo con l’Arabia Saudita e con gli Emirati segna un progresso significativo delle relazioni con le petromonarchie dopo il disgelo del 2021, seguito ad un decennio circa di rapporti molto tempestosi. L’inimicizia è sfociata addirittura in uno scontro armato – per quanto indiretto – in territorio libico: mentre Ankara sostiene il governo di Tripoli riconosciuto dall’Onu, gli emiratini appoggiano i ribelli della Cirenaica guidati dal generale Khalifa Haftar. I due fronti sono stati in competizione anche nel quadrante siriano, nel quale tanto la Turchia quanto le petromonarchie hanno sostenuto la ribellione armata contro il regime di Bashar Assad ma puntando su forze in concorrenza tra loro. In generale, le capofila del Consiglio di Cooperazione del Golfo hanno tentato di contrastare l’influenza turca nel mondo arabo-islamico e in particolare il sostegno di Ankara alle correnti legate alla Fratellanza Musulmana, considerata una seria minaccia da parte delle petromonarchie. Quando nel giugno del 2017 l’Arabia Saudita – insieme a Bahrein, Emirati Arabi ed Egitto – ha fatto scattare un massiccio embargo nei confronti del troppo indipendente Qatar, il regime turco ha fortemente sostenuto Doha con il quale ha stretto un accordo di cooperazione militare, impegnandosi a difendere il paese in caso di conflitto con i vicini.

L’episodio clou dell’inimicizia tra i turchi e le potenze arabe del Golfo è stato probabilmente l’assassinio del giornalista saudita Jamal Khashoggi all’interno del consolato di Riad ad Istanbul il 2 ottobre del 2018. Del feroce omicidio dello scrittore, rifugiatosi in Turchia dopo l’autoesilio dal suo paese, Erdogan ha più volte accusato il principe ereditario saudita Mohammed bin Salman.

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Miliziani dell’Esercito Nazionale Siriano nel Nord della Siria

Un disgelo in nome del mondo multipolare
Nel 2021 è rientrata la spaccatura con il Qatar, con le altre petromonarchie hanno deciso di rimuovere l’embargo, avviando poi lentamente un processo di normalizzazione nei confronti della Turchia, nel nuovo clima internazionale creato dall’invasione russa dell’Ucraina.
L’esplosione del conflitto su larga scala, con la conseguente polarizzazione tra Stati Uniti e potenze concorrenti, ha infatti accelerato e amplificato la tendenza delle petromonarchie a configurare uno spazio geopolitico proprio, il più possibile autonomo da quello guidato da Washington. In quest’ottica il ruolo di potenza regionale autonoma della Turchia – da tempo sganciatasi dalla tradizionale sudditanza nei confronti dell’agenda statunitense – viene considerato utile da sostenere.

Già nel 2022, gli Emirati Arabi Uniti hanno concesso ad Ankara l’investimento nel paese di 10 miliardi di dollari e uno scambio di valuta pari a 5 miliardi. Contemporaneamente, Erdogan e Mohammed bin Salman hanno aperto la via ad «una nuova era di cooperazione nelle relazioni bilaterali in campo politico, economico, militare, securitario e culturale», come recitava la nota congiunta diramata al termine di un incontro tra il “sultano” e l’erede al trono saudita nel giugno dello scorso anno.

Un riavvicinamento tra Turchia e Siria?Negli ultimi mesi, inoltre, Ankara e Riad hanno manifestato la propria volontà di riallacciare le relazioni con il governo della Siria, che pure i due fronti hanno tentato per anni di rovesciare sostenendo l’insorgenza jihadista.
I contatti tra gli emissari turchi e quelli siriani sono già iniziati da qualche tempo, mentre l’Arabia Saudita sembra più cauta. Comunque proprio in queste ore Riad e Teheran hanno annunciato il ristabilimento delle relazioni diplomatiche – interrotte nel 2016 – e la riapertura delle ambasciate entro i prossimi due mesi.
Intanto il possibile riavvicinamento con la Siria ha destato la preoccupazione degli Stati Uniti, del Regno Unito, di Israele e dell’Unione Europea, che starebbero esercitando forti pressioni su Erdogan affinché blocchi la normalizzazione con Damasco.

Certamente, il percorso verso la riconciliazione tra Ankara e Damasco sembra tutt’altro che semplice. La Turchia infatti occupa militarmente una vasta porzione del territorio della Siria settentrionale e sostiene (e manovra) vari gruppi dell’opposizione armata jihadista al regime di Assad, per lo più riuniti nel cosiddetto Esercito Nazionale Siriano. Inoltre la Turchia ospita più di 3 milioni di rifugiati siriani, molti dei quali sono stati colpiti dal terremoto del 6 febbraio.

Nei giorni scorsi, comunque, il ministero degli Esteri turco ha convocato l’ambasciatore di Washington Jeff Blake per chiedergli chiarimenti in merito alla visita compiuta il 4 marzo dal capo dello Stato maggiore congiunto degli Stati Uniti, il generale Mark Milley, nella base militare statunitense di Al Tanf, nel nord-est della Siria vicino al confine con Giordania e Iraq. Il generale statunitense ha visitato a sorpresa l’installazione militare – occupata nel territorio siriano contro la volontà del governo del paese – dopo una missione in Israele.
In Siria operano un migliaio circa di militari statunitensi, che l’amministrazione Biden sembra intenzionata a mantenere per contrastare l’influenza nel paese delle forze fedeli all’Iran.
Secondo i media turchi, il rappresentante turco ha denunciato l’incontro tra il generale Milley e i dirigenti delle Forze Democratiche Siriane a guida curda. – Pagine Esteri

5879669* Marco Santopadre, giornalista e scrittore, già direttore di Radio Città Aperta di Roma, è un analista dell’area del Mediterraneo, del Medio oriente e dell’Africa. Scrive, tra le altre cose, di Spagna e movimenti di liberazione nazionale. Collabora con il Manifesto, Catarsi e Berria.

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ANALISI. La stretta di mano tra Riyadh e Teheran complica i piani di Usa e Israele


Ieri a Pechino l'annuncio che i due paesi ristabiliranno le relazioni diplomatiche interrotte nel 2016. Biden si dice compiaciuto ma vede l'alleata Riyadh sempre più autonoma e decisa a sviluppare i rapporti con Cina, Russia e ora anche l'Iran. L'articol

di Michele Giorgio

Pagine Esteri, 11 marzo 2023 – Joe Biden si mostra compiaciuto, non può fare altrimenti. Più il rapporto tra Teheran e Riyadh farà progressi e «meglio sarà per tutti», ha detto il presidente durante un intervento sull’occupazione negli Usa aggiungendo che «qualsiasi miglioramento delle relazioni tra Israele e gli Stati arabi della regione andrà a beneficio di tutti». Ma l’annuncio di ieri che due potenze regionali rivali, anzi nemiche, Iran e Arabia saudita, grazie alla mediazione di Pechino, ristabiliranno dopo anni i legami diplomatici è stata una doccia fredda per Washington e Tel Aviv. La notizia complica in particolare i piani del premier Benyamin Netanyahu nel momento in cui Biden si lascia trascinare da Israele verso l’opzione concreta di una «azione militare preventiva» contro Teheran. Inoltre, che sia stata proprio la nemica Cina l’artefice della riappacificazione, accresce il malumore statunitense.

«A seguito dei colloqui, l’Iran e l’Arabia saudita hanno concordato di riprendere le relazioni diplomatiche e riaprire le ambasciate (…) entro due mesi», ha comunicato l’agenzia di stampa ufficiale iraniana Iran. Un’altra agenzia iraniana, Nour News, ha pubblicato foto e video dell’incontro avvenuto in Cina: le immagini mostrano Ali Shamkhani, responsabile per la sicurezza nazionale dell’Iran, con un funzionario saudita e l’importante diplomatico cinese Wang Yi. L’agenzia saudita Spa ha diffuso una dichiarazione congiunta in cui si afferma che i due paesi non interferiranno negli affari interni l’uno dell’altro e riattiveranno l’accordo di sicurezza che firmarono nel 2001.

Le relazioni tra i due paesi si sono interrotte nel 2016, quando l’importante religioso sciita Nimr Baqir al Nimr venne giustiziato in Arabia saudita e, per rappresaglia, l’ambasciata saudita a Teheran fu presa d’assalto da una flotta inferocita. Ma da oltre venti anni, complice anche la diffidenza, se non l’avversione, tra sunniti e sciiti che spacca il mondo islamico, si sono combattuti a distanza soprattutto negli scenari di crisi e guerre in Libano, Siria e Yemen. Un fattore centrale dello scontro è stato il programma nucleare iraniano che da sempre preoccupa Riyadh tanto da avvicinarla a Israele. Su questo gli iraniani hanno, senza alcun dubbio, dovuto fornire ampie garanzie gli interlocutori sauditi.

I legami ripristinati hanno un significato innegabile per tutte le parti coinvolte e potrebbero innescare un effetto domino sul grande Medio oriente. L’intesa significa che l’Iran è in grado di aggirare l’isolamento regionale senza grandi modifiche alle sue politiche richieste in precedenza proprio dall’Arabia saudita. Per Riyadh il riavvicinamento è parte di una offensiva diplomatica su tutti i fronti che l’ha portata di recente a stabilire rapporti di amicizia (e di sostegno economico) con la Turchia di Erdogan impensabili fino a qualche anno fa. Ciò non esclude che la monarchia saudita possa aderire agli Accordi di Abramo firmati nel 2020 da quattro paesi arabi con Israele. Ma per quello vuole da Biden cose di eccezionale rilievo, come l’assistenza alla costruzione suo programma nucleare civile. E anche che i palestinesi sotto occupazione israeliana sia indipendenti, questione che Netanyahu vorrebbe aggirare. A Pechino si è confermata più di tutto la volontà dell’Arabia saudita, per decenni alleata di ferro degli Usa, di portare avanti una diplomazia autonoma da Washington, multipolare, sia per il prezzo del greggio che nei rapporti con Russia, Pechino e ora anche Teheran. Pagine Esteri

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Dalla UK all'UE: il dramma silenzioso della crittografia E2E


Due proposte di legge in UK e UE (Online Safety Bill e Chatcontrol) rischiano di far fuggire le aziende che offrono servizi di comunicazione sicura, come Signal.

Il famoso software di comunicazione sicura, Signal, potrebbe cessare i suoi servizi in UK e — presumibilmente — anche in UE. Il motivo è una legge chiamata Online Safety Bill.

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Dell’Online Safety Bill abbiamo già parlato insieme, ma per i nuovi lettori e per gli smemorati facciamo un breve riassunto degli episodi precedenti per capire cosa diavolo sta succedendo.

La cura per la sorveglianza di massa? Privacy Chronicles: due volte a settimana, anche a digiugno.

Tutto iniziò quando nel 2020 USA, UK, Nuova Zelanda, Australia e Canada decisero di sottoscrivere un accordo internazionale chiamato “Voluntary Principles to Counter Online Child Sexual Exploitation and Abuse”. Il documento affrontava il delicato tema di come combattere la diffusione di immagini e video pedopornografici online, con alcune proposte e principi che avrebbero dovuto guidare l’azione internazionale.

Nello stesso periodo, anche l’UE decise di fare lo stesso, emanando una strategia copia-carbone di quell’accordo internazionale. Stati Uniti, Regno Unito e Unione Europea pubblicarono così tre proposte di legge per combattere la pedopornografia online: EARN IT (USA), Online Safety Bill (UK) e Chatcontrol (UE).

Il trittico oggi propone, più o meno con le stesse modalità, di sottoporre a sorveglianza di massa e analisi automatizzata dei contenuti (testo, immagini, video) tutte le nostre comunicazioni elettroniche, per “scovare” potenziali pedofili.

In base a queste leggi, aziende come Signal sarebbero chiamate a introdurre nei loro sistemi delle modalità di scansione dei messaggi e rimozione dei contenuti su richiesta delle autorità.

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Il problema è che per farlo potrebbero essere obbligate a indebolire i loro stessi sistemi di crittografia end-to-end (E2E) con backdoor o fantasiosi mezzi per individuare questi contenuti pedopornografici, come affermato anche dal Garante Privacy europeo la scorsa estate:

[…] potrebbe incidere pesantemente sulle scelte tecniche dei prestatori, soprattutto in considerazione del tempo limitato a loro disposizione per conformarsi a tale ordine e delle pesanti sanzioni cui andrebbero incontro qualora non vi si conformassero. In pratica ciò potrebbe indurre alcuni prestatori a cessare l’utilizzo della E2EE.


Ecco allora che le aziende saranno poste di fronte a un tremendo bivio: rispettare la legge, violando la privacy e libertà delle persone oppure fuggire per evitare pesanti sanzioni?

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La piccola Sara, 9 anni, picchiata a sangue per aver indossato male il velo


È proprio vero quanto afferma nei suoi discorsi l’attivista iraniana per i diritti umani Mashi Alinejad. “Il velo è solo un simbolo della protesta, simboleggia l’oppressione ed è paragonabile al Muro di Berlino: se lo si abbatte, l’intero sistema crollerà

È proprio vero quanto afferma nei suoi discorsi l’attivista iraniana per i diritti umani Mashi Alinejad. “Il velo è solo un simbolo della protesta, simboleggia l’oppressione ed è paragonabile al Muro di Berlino: se lo si abbatte, l’intero sistema crollerà”, è questo il grido di libertà delle donne iraniane al mondo.

L’obbligo del velo è il pilastro più debole su cui si fonda la rigida applicazione delle leggi islamiche che costringono le donne alla segregazione e la polizia morale ha il compito di controllare l’abbigliamento delle persone e di arrestare soprattutto le donne che non rispettano leggi islamiche vigenti.

Il regime teocratico non può rinunciare all’applicazione rigida del suo codice di abbigliamento che segrega le donne confinandole in uno spazio di minorità: inferiori agli uomini, dunque. Non può sopportare che da sei mesi le ragazze del liceo e delle università non rispettano più la legge sul velo; con questa rivoluzione, infatti, le donne hanno di fatto già abolito l’obbligo di indossarlo. Ora le donne, quasi ovunque, soprattutto le più giovani, mostrano pubblicamente le loro ciocche al vento. Dopo sei mesi di una coraggiosa lotta a mani nude, al prezzo della vita, con la disobbedienza civile e con gesti gioiosi, ironici e densi di simbolismo, le donne, per le strade, sui mezzi pubblici, nelle scuole e nei campus universitari, ora ostentano i loro fluenti capelli, sciolti o a coda di cavallo, legati in crocchia o modellati in bob.

La cosiddetta polizia morale, tuttavia, continua a terrorizzare le donne di qualsiasi età, a partire dalle bambine di 7 anni.

Sara Shirazi, una fanciulla di appena 9 anni, verso le ore 12 e 40 di venerdì 24 febbraio, tornava a casa tutta allegra e sorridente canticchiando, con il suo scialle poggiato sulle spalle, dopo essere uscita dalla scuola elementare Isfahan. Nel suo percorso verso casa ha incontrato il suo orco impersonato da una donna agente del regime, di nome Razieh Haftbaradaran, che l’ha rimproverata perché il suo foulard non le copriva il capo. Sara non comprendeva il motivo del rimprovero e si è ribellata a questa imposizione ed è stata picchiata duramente al volto e spinta a terra; cadendo ha battuto la testa sul marciapiede.

Alcuni testimoni hanno ripreso la brutale aggressione in un video, diventato virale sui social, in cui si vede la povera Sara seduta sul bordo del marciapiede con i vestiti insanguinati mentre, singhiozzando, cercava con le mani di arginare il sangue che le usciva copiosamente dal naso.

I passanti che l’avevano soccorsa e poi trasportata in ospedale hanno denunciato la donna che l’aveva brutalmente picchiata.

I genitori della bambina sono stati subito minacciati dalle forze volontarie paramilitari basij che hanno loro intimato di non diffondere la notizia dell’aggressione “altrimenti Sara avrebbe fatto la stessa fine di Mahsa Amini”.

L’autrice di tale efferatezza ha cercato di negare l’accaduto e ha inventato una storia di un presunto litigio tra coetanee.

Ma le numerose testimonianze hanno rivelato l’orribile realtà dell’accaduto. Razieh è stata arrestata e Sara portata in ospedale.

Dopo qualche ora, la donna è stata rilasciata e la famiglia minacciata.

Non importa quale sia la loro età, le donne in Iran sono tutte in pericolo, sono segregate come prigioniere nelle mani di un regime orrifico.

La signora, che in nome di un credo religioso aggredisce con violenza una bambina che poteva essere sua figlia, probabilmente non sarà incriminata perché le sue convinzioni coincidono con quelle della Guida Suprema Ali Khamenei che ha promesso tolleranza zero sull’obbligo dell’uso dell’hijad, secondo il codice di abbigliamento islamico reso ancora più rigido subito dopo l’arrivo al potere del presidente Raisi.

Da oltre tre mesi sono in atto veri e propri attacchi con avvelenamento da agenti nervini in diversi licei del paese.

Sono oltre 800 le ragazze senza velo di 120 scuole dell’Iran, in particolare a Qom e a Borujerd, che hanno accusato sintomi da avvelenamento respiratorio. Molte di esse sono finite in ospedale e una ragazza di 11 anni di una delle scuole religiose più prestigiose di Qom, città santa per gli sciiti, è morta. Il suo nome è Fatemeh Rezaei, la sua famiglia sarebbe stata minacciata di non divulgare la notizia e di rimanere in silenzio.

Il movimento giovanile di protesta accusa il regime della Repubblica islamica di volersi vendicare del coraggioso attivismo delle donne che hanno generato un moto di ribellione nonviolenta che sta scardinando le fondamenta ideologiche su cui si basa la teocrazia.

L’opposizione sia in patria che in esilio sostiene che dietro questi gravissimi atti criminali vi sia la mano del regime che avrebbe incaricato gruppi di estremisti religiosi di mettere in atto tali azioni terroristiche nei confronti delle studentesse che si oppongono all’obbligo dell’hijab per escluderle dalle scuole e tenere dunque lontane dall’istruzione pubblica le alunne senza velo che hanno di fatto abbattuto l’apartheid di genere in Iran.

Sotto accusa è l’organizzzazione sciita Hamian-e Velayat, un gruppo estremista religioso che nel passato aveva lanciato attacchi contro i derwishi. Hamian-e Velayat è molto legata al figlio della guida suprema, l’ayatollah Ali Khamenei e ai pasdaran. L’obiettivo della parte più radicale del regime sarebbe quelli di terrorizzare la popolazione.

L’avvelenamento di massa degli studenti sta rivelando una strategia terroristica mirante a costringere le adolescenti a indossare l’hijab e a dissuaderle dal manifestare.

Alcuni medici hanno confermato la sintomatologia tipica da avvelenamento da agenti organofosfato che provoca forte sudorazione, eccesso di salivazione, vomito, ipermotilità intestinale, diarrea, perdita momentanea della vista, difficoltà respiratorie e paralisi, fino all’esito della morte. Tali sintomi si possono presentare anche a distanza di due settimane.

La rete Shargh sostiene che durante l’attacco chimico gli assistenti scolastici indossavano mascherine, ma nessuna mascherina era stata distribuita ai ragazzi.

Gli attacchi con avvelenamento da agenti nervini si sono registrati nelle università e nei licei di Tehran, del Khuzestan, Lorestan, Khorasan Razavi, Fars, Isfahan, Alborz, Markazi, Ardabil, Golestan, Yazd, Hamedan, Azerbaigian occidentale e orientale e perfino il Conservatorio femminile di Kardanesh a Tabriz.

Il viceministro della Sanità, Yunus Panahi, è stato costretto a rilasciare una dichiarazione. Ha confermato i casi di avvelenamento e ha ammesso che si tratta di azioni deliberate avanzando sospetti su alcuni gruppi islamisti sciiti estremisti contrari a che le ragazze adolescenti frequentino la scuola. Qualcosa di simile sta accadendo in Afganistan. Ma i manifestanti sostengono che è in atto una strategia da parte delle autorità iraniane mirante a terrorizzare le donne che non intendono osservare l’obbligo del velo. “Vogliono che tutte le scuole, in particolare quelle femminili, vengano chiuse”, affermano.

Il procuratore generale Mohammad Jafar Montazeri ha ordinato un’indagine penale su tali accadimenti. Il portavoce del regime Ali Bahadori Jahromi ha confermato che i Ministeri dell’Intelligence e dell’Istruzione stanno indagando per scoprire la causa degli avvelenamenti.

Ma al momento le autorità della Repubblica islamica sembrano tollerare questi casi di avvelenamento seriali. Nonostante siano trascorsi più di tre mesi dall’inizio degli attacchi chimici nelle scuole, non hanno ancora identificato e arrestato gli autori di tali orribili atti.

Il regime non riuscendo più a far rispettare l’odioso codice di abbigliamento starebbe ricorrendo alla strategia terroristica per costringere le mamme a fare indossare il velo alle loro figlie o a non mandarle più a scuola.

Nei parchi, nei caffè, nei ristoranti, nei centri commerciali, e in tutti i luoghi frequentati dai giovani, le ragazze mostrano il loro capo scoperto.

Per gran parte delle giovani donne, comprese celebrità del mondo dell’arte, dello spettacolo e dello sport, “l’era dell’hijab forzato è ormai finita”.

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Putin ha sostenuto finanziariamente l’odio razziale contro i kazaki tra i russi


Durante la conferenza stampa congiunta con il segretario di Stato americano Antony Blinken, svoltasi il 28 febbraio ad Astana, il ministro degli Esteri del Kazakistan Mukhtar Tileuberdi si è trovato in una situazione in cui ha dovuto chiarire le cose sull’impatto della guerra russo-ucraina sul Kazakistan. Rispondendo alla domanda: “Fino a che punto senti una […]

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Borsa: canapa, Canada bene, USA in perdita


Continua il momento di difficile perscrutabilità dei mercati borsistici internazionali, in tanti settori merceologici, canapa e principali titoli azionari legati alla lavorazione della cannabis compartecipano questo momento lungo e scuro che regna nelle piazze mondiali. In questa settimana, a parte la persistente volatilità di molti titoli, la caratterizzazione principale è che gli USA chiudono in […]

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Cannabis ad uso ricreativo: tema ancor oggi molto divisivo negli Stati Uniti


Mentre il programma di cannabis medica dello Stato è ancora in vigore, gli elettori dell’Oklahoma non sembrano ancora pronti per la cannabis ricreativa. All’inizio di questa settimana, gli elettori si sono pronunciati sulla questione statale 820 dell’Oklahoma, l’iniziativa per la legalizzazione della marijuana. Una vittoria del sì avrebbe approvato la legalizzazione della marijuana a scopo […]

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Il potere americano e la difesa di Taiwan


I funzionari americani sono sempre più preoccupati per il crescente potere e l’assertività della Cina. Mentre i palloni spia sopra gli Stati Uniti continentali possono essere la crisi attuale, Washington dovrebbe rimanere concentrata sul punto critico più probabile nelle relazioni bilaterali: la possibilità di un’invasione cinese di Taiwan. Taiwan è un interesse critico per entrambe le […]

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Innovazione nella scuola e per la scuola: si è conclusa oggi l’edizione 2023 di Fiera Didacta...

Innovazione nella scuola e per la scuola: si è conclusa oggi l’edizione 2023 di Fiera Didacta Italia!

L’evento ha visto la partecipazione del Ministero con un’area dedicata all’accoglienza e all’informazione e circa 70 eventi organizzati fra convegn…

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Leadership empatica e inclusiva. La lezione del Casd per i comandanti di domani


Chi è un buon leader, e quali sono le caratteristiche che deve possedere per riuscire a guidare le società e le organizzazioni a loro affidate al successo? Sono stati questi gli interrogativi al centro del convegno La mia Leadership promosso dal Centro al

Chi è un buon leader, e quali sono le caratteristiche che deve possedere per riuscire a guidare le società e le organizzazioni a loro affidate al successo? Sono stati questi gli interrogativi al centro del convegno La mia Leadership promosso dal Centro alti studi per la Difesa (Casd), in collaborazione con Elettronica, e dedicato al delicato tema dell’arte del comando. Lo ha fatto rivolgendosi alle riflessioni di esperti provenienti da realtà molto diverse perché, come ricordato dal presidente del Casd in apertura, l’ammiraglio Giacinto Ottaviani, “la leadership è trasversale, è per quanto gli ambiti siano differenti, esiste sempre il fattore comune della necessità di gestire le risorse”. Non è del resto un caso che il convegno si sia tenuto presso il prestigioso ente militare, come ricordato da Ottaviani infatti, “la leadership è di casa qui”. L’istituto infatti forma i comandanti delle nostre Forze armate e non solo, ricomprendendo militari esteri e dirigenti civili.

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L’intelligenza emotiva

Ad aprire il convegno è stata la presentazione del professor Daniel Goleman, che ha illustrato le caratteristiche dell’intelligenza emotiva, quella capacità empatica di cui lo studioso è considerato il teorico fondatore. Per Goleman, infatti, la domanda di partenza per i suoi studi è stata “perché un comandante è più efficace di altri”, a parità di conoscenze tecniche? La risposta sta nell’uso intelligente delle emozioni, nella capacità di auto-coscienza, e nell’empatia, che consente di costruire relazioni efficaci con le persone che si ha intorno. Tutte capacità che sempre più spesso sono ricercate anche dalle aziende, con la richiesta delle cosiddette soft skill che è aumentata negli ultimi anni del 30%, a fronte di un calo della richiesta di hard skill del 40%. Le capacità tecniche, infatti, possono essere considerate il punto di partenza, ma quello che davvero fa la differenza è l’empatia di un leader. “Se le persone amano quello che stanno facendo, si sentono coinvolte, lavorano meglio, e questo aumenta non solo la soddisfazione, la salute fisica e mentale, ma anche i risultati, che in un’azienda significano profitti”. Al contrario, bullizzare, ignorare i bisogni altrui, pretendere dagli altri quello che non si pretende per sé creano leader peggiori. “La leadership, infatti – ha chiosato Goleman – comincia con il saper guidare sé stessi”.

La persona al centro

Al centro di tutte le riflessioni è sempre rimasto costante il ruolo della persona. Come ricordato dal video messaggio inviato dal presidente del Coni, Giovanni Malagò, “sono le persone a fare il ruolo, e non viceversa”, ricordando come troppo spesso si assiste a un abuso della carica senza che vi sia una sostanziale riconoscibilità dell’autorevolezza del leader. L’importanza della persona al centro della riflessione emerge soprattutto in un secolo come questo, “un momento di trasformazione sociale e tecnologico” come ricordato dal ceo di Elettronica, Domitilla Benigni, per cui il leader deve essere in grado di capire e interpretare il cambiamento. Le caratteristiche “di assertività e leader gerarchica” non sono adatte alla nuova società, dove c’è bisogno non di “leader eroi soli al comando, ma gruppi coinvolti in processi diffusi”, più veloci e flessibili. Questo è tanto più importante nel momento in cui si affronta il delicato equilibrio tra umani e macchine, con il ruolo del leader che deve “potenziare il fattore umano nella civiltà delle macchine e digitale”, ha detto ancora Benigni. In questo, dunque, il leader deve essere inclusivo, un tema che si lega anche a quello della leadership al femminile “un aspetto sottovalutato, ma le donne hanno delle caratteristiche distintive di leadership visionaria, con una maggiore visione inclusiva” capace di stimolare e valorizzare il potenziale dei propri collaboratori.

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Le qualità di un comandante

E sono proprio i collaboratori i giudici della qualità di un buon leader. “Per rispondere alla domanda se sono stato all’altezza degli uomini e delle donne che ho avuto l’onore di guidare bisogna chiederlo proprio a loro”, ha infatti sottolineato il capo di Stato maggiore della Difesa, ammiraglio Giuseppe Cavo Dragone. “Tutti cerchiamo un leader” ha aggiunto l’ammiraglio, ricordando come i leader sono coloro “che in un secondo fanno la differenza, capaci di salvare le vite dei propri commilitoni e delle popolazioni loro affidate”. Saper scegliere buoni leader, tra l’altro, è l’arduo compito che spetta ai comandanti. “Ma come si trova un buon leader?” si è domandato Cavo Dragone. La storia aiuta con gli esempi, alcuni citati dall’ammiraglio, da Giovanna D’Arco a Martin Luther King e Nelson Mandela. Il leader, dunque, è chi sa distinguere in un attimo la scelta giusta da quella sbagliata, dando priorità al bene comune, mettendo la dignità al primo posto e pronto al sacrificio per gli altri, “e con una rigida bussola etica e morale, altrimenti ricadrebbe inesorabilmente nella categoria dei tiranni”. Per Cavo Dragone, tra l’altro, il leader spesso si trova nelle ultime file “ma che quando parla fa calare il silenzio” pronto a una vita di responsabilità. Per il capo di Stato maggiore della Difesa, dunque, le virtù di un buon comandante militare sono “principi etici e morali, professionalità, la capacità di pretendere il merito e riconoscerlo negli altri, e l’attitudine militare, il coraggio di optare per la scelta migliore anche e difficile”.

Le virtù di un leader

A guidare il leader, il presidente emerito del Pontificio consiglio della Cultura, Cardinale Gianfranco Ravasi, deve esserci anche una bussola morale ed etica. Una serie di stelle-guida, racconta il sacerdote, già teorizzate dagli autori classici, a partire da Platone, Socrate, fino a Cicerone e passata a Sant’Agostino. “La prima stella è il verum, la verità” la costante ricerca di ciò che è vero nel mondo. “La seconda è il bonum, l’etica, la capacità di distinguere il bene dal male”, spiega ancora Ravasi, che conclude con la terza stella, “il pulchrum, il bello”. Il leader, infatti, deve possedere anche una dignità esteriore, un linguaggio capace di rappresentare in modo coinvolgente il proprio messaggio. Naturalmente, però, per il cardinale il leader deve possedere anche una quarta capacità, l’umiltà, “in latino le due parole che indicano la leadership sono magister, il capo, dal latino magis ‘più’, ma anche minister, che viene da minus ‘meno’, e indica la capacità di mettersi spalla a spalla con i propri subalterni”.


formiche.net/2023/03/empatia-i…



USA – Cina: la guerra può attendere?


Ormai da diversi mesi, i rapporti fra Cina e Stati Uniti sono caratterizzati da una evidente tensione, che trova espressione in campo politico, economico e, per certi aspetti, anche militare. In questo, l’amministrazione Biden non si è discostata molto dalla strada aperta, negli anni scorsi, da Donald Trump, che del contrasto all’ascesa globale di Pechino […]

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La vittoria di Pirro dell’Europa sugli USA


« Non vogliamo alimentare guerre commerciali con l’Inflation Reduction Act ma solo un po’ di concorrenza amichevole. Per questo ripetiamo all’Europa, fate come noi, aiutate di più la vostra industria» ha esortato l’altro ieri Jennifer Granholm, la segreta

«Non vogliamo alimentare guerre commerciali con l’Inflation Reduction Act ma solo un po’ di concorrenza amichevole. Per questo ripetiamo all’Europa, fate come noi, aiutate di più la vostra industria» ha esortato l’altro ieri Jennifer Granholm, la segretaria Usa all’Energia, alla vigilia della missione americana di Ursula von der Leyen. Che l’ha letteralmente presa in parola. Quasi in contemporanea all’incontro alla Casa Bianca con il presidente Joe Biden, la presidente della Commissione ha fatto annunciare a Bruxelles il nuovo codice europeo per gli aiuti di Stato, più flessibile per permettere all’industria europea di recuperare i suoi ritardi competitivi e cavalcare al meglio le sfide del clean tech e della transizione climatica e digitale.

È questa la prima risposta concreta dell’Unione europea all’Inflation Reduction Act, il piano americano da 370 miliardi di dollari di sovvenzioni e prestiti per accelerare la conquista della frontiera verde nella produzione di energia, infrastrutture, prodotti puliti, auto elettrica in testa. «Nessuno però intende cadere nella trappola della corsa ai sussidi pubblici a suo tempo orchestrata da Boeing e Airbus» precisa uno dei negoziatori europei. Che avverte una sostanziale sintonia sugli altri temi in agenda, dagli aiuti all’Ucraina all’aggiramento delle sanzioni alla Russia da parte di Paesi terzi – Cina inclusa – alla sicurezza economica.

Dopo gli scontri ad alta tensione, tra le sponde dell’Atlantico spira vento di cooperazione: in tempi di guerra nessuno può uscire troppo dal seminato se non a proprio rischio. E così, dopo le concessioni già fatte in dicembre sui veicoli commerciali Ue in leasing, ammessi al credito di imposta IRA da 7.500 dollari, ora l’Amministrazione Biden è pronta a un passo ulteriore a favore dell’industria europea: l’apertura di negoziati su un nuovo tipo di accordi di libero scambio, di portata limitata, con i Paesi alleati: Ue, Giappone e Gran Bretagna.

Obiettivo, estendere gli incentivi dell’IRA, fino a 3.750 dollari, anche ai fornitori Ue di materie prime sensibili necessarie per produrre batterie di auto elettriche “made in Usa”, riducendo così il quasi monopolio della Cina nel settore. La guerra russa in Ucraina ha ricompattato e arricchito di nuovi membri l’alleanza militare Nato. Ora sicurezza economica e autonomia strategica nelle catene del valore impongono un percorso parallelo di crescente integrazione dell’Occidente sotto lo schiaffo dall’antagonismo cinese nelle industrie e tecnologie del futuro.
Peccato che alla partita a scacchi sul nuovo ordine mondiale, che viaggia verso il vecchio schema dei blocchi contrapposti, l’Europa si sieda, nonostante la grande resilienza mostrata in questo anno di guerra, con troppi ritardi e fragilità irrisolte.

Costretta di fatto a raddoppiare la vecchia scelta dell’opzione americana senza veri margini di potere negoziale con gli Stati Uniti – e men che meno con la Cina – favorendo così di fatto la morte del multilateralismo di cui pure resta fervente e ormai inascoltata paladina. Più nell’immediato, la rappacificazione euro-americana sull’IRA rischia nei fatti di rivelarsi una vittoria di Pirro: la riduzione dei danni ottenuta sulla carta per l’industria europea rischia di fatto di volatilizzarsi al canto delle sirene Usa.

Peggio, di annegare nella guerra degli aiuti di Stato intra-Ue dopo aver scongiurato formalmente quella transatlantica. Da un lato, nonostante l’ammortizzatore del riorientamento flessibile nell’uso dei fondi Ue per i Paesi con pochi margini di manovra finanziaria, la potenza di fuoco dei bilanci di Germania e Francia rischia di far saltare il mercato unico e di avvelenare i rapporti tra i 27 creando di fatto un’Europa economico, industrial-tecnologica a più velocità di sviluppo e di competitività. Dunque, più vulnerabile alle divisioni interne e meno incline alla fiducia reciproca, già faticosa.

Dall’altro lato, le concessioni degli Stati Uniti all’Europa non potranno certo cambiare la realtà di una partnership obbligata, ma decisamente sbilanciata, tra gli scatti della gazzella americana lanciatissima nella corsa al futuro e i riflessi torpidi del pachiderma Europa frenato da regole, burocrazia e governance istituzionale troppo tortuose. Sono passati soltanto 7 mesi dal varo dell’IRA e già più di 100 società dell’indotto dell’auto elettrica hanno annunciato investimenti negli Stati Uniti.

Josu Imaz, amministratore delegato della spagnola Repsol, sedotto dalla «semplicità dell’IRA», quest’anno destinerà il 40% delle spese di bilancio alla scommessa americana e il 25% a quella iberica. Volkswagen potrebbe decidere di rinunciare alla produzione di batterie nell’Europa dell’Est per trasferirsi negli Usa incassando 9-10 miliardi di sovvenzioni IRA: attende solo di sapere la controfferta Ue consentita dal nuovo codice degli aiuti. La giapponese Mitsubishi definisce il sistema americano «un magnete irresistibile per l’industria». Se poi si aggiungono recenti dubbi e ripensamenti legislativi sui ritmi della transizione verde dopo l’esaltazione iniziale, quella europea oggi più che una rincorsa a troppi ostacoli, sembra un labirinto dalle misteriose vie d’uscita.

Il Sole 24 Ore

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