UN'ASSOCIAZIONE INSEGNA IL FACTCHECKING A MIGLIAIA DI INDONESIANI
@Giornalismo e disordine informativo
> Bu Iroh è determinata a vedere suo nipote e a convincere suo marito a smettere di credere a ogni WhatsApp che trasmette informazioni fattuali. Vestita con un trench rosso e un berretto con una gigantesca lente d'ingrandimento in mano, porta il marito in giro per la città ascoltando le false idee della gente sul vaccino e sfatandole.
Mafindo ha un team centrale di nove persone, con migliaia di volontari in tutta l'Indonesia che aiutano a condurre corsi di formazione, verificare i fatti e coinvolgere più membri del pubblico nel lavoro dell'organizzazione.
This citizen-run organization is teaching thousands of Indonesians to fact-check
"During a casual conversation in an informal setting, people would listen to us."Nieman Lab
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Miliardi di dollari per i Paesi in via di sviluppo non hanno mai lasciato i paesi donatori.
Sara Harcourt, Senior Policy Director di ONE, movimento globale che si batte per porre fine alla povertà estrema e alle malattie prevenibili entro il 2030, ha denunciato come miliardi di dollari di donazioni da record del 2022 per i paesi in via di sviluppo non abbiano mai lasciato i paesi donatori.
Via social Sara, basandosi su dati OECD-Development Assistance Committee (DAC), ha denunciato in un thread quanto segue:
“I livelli record di aiuti nel 2022 per i quali i paesi donatori si congratulano con se stessi sono un miraggio. Le entrate sono in: 29,3 miliardi di dollari in aiuti non hanno mai lasciato i paesi donatori.“
Aggiungendo che:
“I livelli di aiuto hanno raggiunto il tetto record di 204 miliardi di dollari nel 2022, con un aumento del 13,6% in termini reali rispetto al 2021. Sembra incredibile, vero? Fino a quando non ti rendi conto che la maggior parte dell’aumento è dovuto ad aiuti che non hanno mai lasciato i paesi donatori.
Se si escludono gli aiuti spesi all’interno dei paesi donatori per i rifugiati, la spesa COVID e gli aiuti bilaterali all’Ucraina, l’APS è aumentato di appena il 3,5% nel 2022 (in termini di flusso).
Diversi tipi di “aiuti” in realtà non raggiungono mai i paesi in via di sviluppo
Diversi tipi di “aiuti” in realtà non raggiungono mai i paesi in via di sviluppo. Ma il maggior contributo alla spesa dei donatori nel 2022 sono stati i costi per i rifugiati a causa della guerra in Ucraina. Grazie alle regole #OECD, i donatori possono contare comesono stati stanziati i soldi spesi per sostenere i rifugiati all’interno del proprio paese.
Nel 2022, 29,3 miliardi di dollari, ovvero il 14,4% degli aiuti totali per i rifugiati, sono i costi andati per i donatori. Questo è senza precedenti. Durante la crisi dei rifugiati siriani nel 2016, i costi dei donatori hanno raggiunto il picco dell’11% dell’aiuto totale.
Nel frattempo, gli aiuti bilaterali destinati ai paesi meno sviluppati e ai paesi africani sono diminuiti nel 2022.
Nel frattempo, gli aiuti bilaterali destinati ai paesi meno sviluppati e ai paesi africani sono diminuiti nel 2022. Sostenere i rifugiati è assolutamente la cosa giusta da fare. Ma non dovrebbe andare a scapito degli aiuti ad altri paesi che soffrono di insicurezza alimentare, inflazione record e aumento del costo del debito.
Nel Regno Unito, sono stati spesi in patria 4,5 miliardi di dollari di aiuti, il che ha portato direttamente a tagli ai programmi nei paesi a basso reddito.
Approfondimento: UK aid budget ‘totally transformed’ as another £1.5B cut looms
I bilanci degli aiuti dovrebbero essere concentrati sulla fine della povertà e affrontare le crisi nei paesi vulnerabili, non saccheggiati per finanziare i costi interni. Non dovremmo permettere ai donatori di stabilire le regole a loro vantaggio.
Vuoi esplorare tu stesso i dati #globalaid ? Visita la dashboard APS di ONE Campaign con le cifre più recenti sugli aiuti, ricercabili per tipi di aiuti e donatori.”
FONTE: twitter.com/Sara_Harcourt/stat…
GERUSALEMME. Patriarca cattolico: il governo israeliano ha peggiorato la vita dei cristiani
della redazione
Pagine Esteri, 13 aprile 2023 – In una intervista all’agenzia stampa statunitense Associated Press (Ap) il Patriarca latino, capo della Chiesa cattolica in Terra Santa, Pierbattista Pizzaballa, ha denunciato che l’ascesa al potere del governo di destra del primo ministro Benyamin Netanyahu ha peggiorato la vita dei cristiani nella culla della loro religione. La comunità cristiana, ha detto Pizzaballa, è oggetto di attacchi crescenti da parte di estremisti ebrei israeliani incoraggiati, a suo dire, da esponenti dell’esecutivo guidato da Netanyahu.
L’aumento degli incidenti anticristiani arriva quando i gruppi di destra, galvanizzati dai loro alleati al governo, sembrano aver colto l’attimo per espandere gli sforzi per stabilire enclavi ebraiche nei quartieri arabi di Gerusalemme est.
“La frequenza di questi attacchi è diventata qualcosa di nuovo”, ha spiegato Pizzaballa, “queste persone (gli estremisti, ndr) si sentono protette… l’atmosfera culturale e politica ora giustifica o tollera azioni contro i cristiani”.
Le difficoltà per le minoranze cristiane non sono una novità nella brulicante Città Vecchia che Israele si è annessa unilateralmente, contro il diritto internazionale, nel 1967. Ma ora la situazione sembra peggiorata perché l’attuale governo di destra di Netanyahu include leader dei coloni in ruoli chiave, come il ministro delle finanze Bezalel Smotrich e il ministro della sicurezza nazionale Itamar Ben Gvir accusato di istigazione al razzismo anti-arabo.
Israele si proclama garante della libertà di culto a Gerusalemme. Ma i palestinesi cristiani ritengono che le autorità israeliane non proteggano i loro siti da attacchi mirati. Le tensioni sono aumentate dopo che la polizia israeliana, nei giorni scorsi, ha caricato con violenza i fedeli musulmani nel complesso della moschea di Al-Aqsa. A ciò si aggiunge il no di Israele all’arrivo a Gerusalemne per la Pasqua di 700 cristiani di Gaza e le proteste degli ortodossi per le restrizioni della polizia israeliana alle presenze nel S.Sepolcro per la cerimonia del “Fuoco sacro”.
Le aggressioni fisiche e le molestie al clero spesso non vengono denunciate ma sono stati documentati almeno sette gravi casi di vandalismo contro le proprietà delle chiese da gennaio a metà marzo, un forte aumento rispetto ai sei casi anticristiani registrati in tutto il 2022. I leader della chiesa incolpano gli estremisti israeliani per la maggior parte degli incidenti.
“Questa escalation porterà più violenza”, ha avvertito Pizzaballa. “Creerà una situazione che sarà molto difficile da correggere”.
A marzo, una coppia di israeliani ha fatto irruzione nella basilica accanto al Giardino del Getsemani, dove si dice sia stata sepolta la Vergine Maria. Entrambi si sono avventati su un prete con un’asta di metallo prima di essere arrestati. A febbraio, un religioso ebreo americano ha strappato dal piedistallo una rappresentazione di Cristo alta 3 metri e l’ha fracassata sul pavimento, colpendone la faccia con un martello, nella Chiesa della Flagellazione sulla Via Dolorosa, lungo la quale si crede Gesù abbia trascinato la sua croce. “Niente idoli nella città santa di Gerusalemme!” ha urlato l’aggressore. A gennaio, ebrei religiosi hanno abbattuto e vandalizzato 30 tombe contrassegnate da croci di pietra in uno storico cimitero cristiano della città.
I cristiani affermano che la polizia israeliana non ha preso sul serio la maggior parte degli attacchi. Pagine Esteri
L'articolo GERUSALEMME. Patriarca cattolico: il governo israeliano ha peggiorato la vita dei cristiani proviene da Pagine Esteri.
Pubblicata la newsletter #DigitalBridge di Mark Scott, giornalista di Politico!
Oggi si occupa di Meta, Moldavia, 6G, AI e tanto altro
— Meta ormai coinvolta in un gioco del pollo con i garanti Privacy europei sul come spostare i dati delle persone dall'Europa agli Stati Uniti.
— Moldavia che sta effettivamente vivendo ora una guerra ibrida mai così intensa, principalmente online (e la risposta delle piattaforme è stata minima)
— le battaglie politiche per il 6G già in corso (anche se nessuno se ne sta occupando)
— le preoccupazioni di Jen Easterly, direttore della US Cybersecurity and Infrastructure Security Agency, in riferimento a come gli hacker possono utilizzare strumenti di intelligenza artificiale in attacchi futuri
— L'Alan Turing Institute e il Consiglio d'Europa che scrivono un manuale su come l'IA influenzerà i diritti umani
— l'interessante sezione (da pagina 27 in poi) sull'autoritarismo digitale e l'influenza malevola, della valutazione annuale delle minacce della comunità dell'intelligence statunitense
QUI LA NEWSLETTER COMPLETA
Digital Bridge: Meta’s privacy standoff — Moldovan interference — 6G politics
POLITICO's weekly transatlantic tech newsletter uncovers the digital relationship between critical power-centers through exclusive insights and breaking news for global technology elites and political influencers.Mark Scott (POLITICO)
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Digital Bridge: Meta’s privacy standoff — Moldovan interference — 6G politics
POLITICO’s weekly transatlantic tech newsletter for global technology elites and political influencers.
By MARK SCOTT
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ARE YOU READY FOR ANOTHER DIGITAL BRIDGE? I’m Mark Scott, POLITICO’s chief technology correspondent, and as the months tick down to the summer, I’m getting myself in shape for those days at the beach. ICYMI, this is now my preferred exercise style. All I need now is to find a bear to train with.
There’s something for everyone this week:
— Meta is in a game of chicken with transatlantic privacy officials over how it can move people’s data from Europe to the United States.
— Everyone talks about hybrid warfare. But Moldova is actually living that reality out now, mostly online — and it’s not pretty.
— Here’s something no one has time for (but is already happening): the political battles for 6G have already begun.
WHO’S GOING TO BLINK FIRST? META OR PRIVACY OFFICIALS?
SOMETIME THURSDAY OR POSSIBLY FRIDAY, European Union data protection watchdogs will back a preliminary decision by Ireland’s Data Protection Commission to strip Meta of its last legal route for shipping data across the Atlantic. The company says that may force it to stop offering Facebook and Instagram within the 27-country bloc, though that’s a pretty empty threat (I’ll explain why below). But the decision marks the latest twist in a decade-long battle over privacy rights and how far American national security agencies can go when accessing information from non-U.S. citizens.
Here’s how the timing will work. After the European Data Protection Board, the pan-EU group of privacy regulators, makes its decision this week, Ireland (whose watchdog has the final say because that is where Meta is headquartered within the bloc) will have until mid-May to rubberstamp the decision. Two things will happen next. Meta almost certainly will appeal the ruling against its so-called standard contractual clauses, which are complex legal instruments required to move data between both regions. That will push any final decision against the company into the fall.
Ireland’s privacy regulator also has a lot of discretion over when that decision — banning Meta’s use of standard contractual clauses; imposing a sizable fine; and, potentially; forcing the company to delete people’s data transferred under that instrument — will come into force. Expect a three-to-six-month implementation period, again pushing Meta’s threat of shuttering its EU-focused services until the fall. That’s why that threat is so hollow. It’s not really what the company will do. It’s more of a public relations campaign to explain to its European users what’s at stake.
And that’s where the separate ongoing discussions around a new EU-U.S. data transfer deal come in. Ever since the White House published its executive order aimed at giving Europeans greater legal remedies to challenge how their data was accessed by U.S. national security agencies (more on that here), European officials have been reviewing those changes to eventually approve a new transatlantic data pact. Such an agreement would supersede Meta’s specific issues around standard contractual clauses, and end the legal uncertainty (for all) around such EU-U.S. transfers.
The new Data Privacy Framework was supposed to be done by July — more than enough time for either Meta to appeal this week’s separate privacy ruling or Ireland’s privacy regulator to give the company enough leeway to make this issue go away. But a last-minute snag may now scupper those plans. As part of the new transatlantic data pact, the U.S. Department of Justice is currently reviewing the surveillance practices of individual European countries. Its focus is on what legal remedies American citizens have to appeal such EU national security access — similar to what Europeans are about to get via U.S. courts, according to two people with direct knowledge of those discussions. They spoke on the condition of anonymity to outline the ongoing negotiations.
That oversight — which has become a precursor for American officials before they will grant Europeans access to the newly-created U.S. legal appeal process — is now likely to push back final ratification of the new EU-U.S. data agreement until September, one of those individuals added. Given that Meta is likely to win a reprieve in its own data transfer case until around that time, it’s added additional pressure on negotiations around transatlantic privacy issues that have been boiling away for more than a decade.
Does that mean Meta will turn off its services within Europe? No. Don’t believe the headlines that will say that this week. The issue, as you can see above, is a lot more complicated than that. It involves two separate processes (one involving Europe’s privacy regulators and Meta; another between EU and U.S. officials), which, while independent from one another, are also inextricably linked. For me, it’s another sign that maybe the current Western status quo on privacy matters (as discussed in last week’s newsletter) needs a rethink.
WELCOME TO MOLDOVA: THE HOT HYBRID WAR
DORIN [b]FRĂSĬNEANU WAS SCROLLING THROUGH FACEBOOK this week and saw what he and his fellow Moldovans have been bombarded with for months: ads via the social networking giant that promoted Russian disinformation. But as Frăsîneanu was, until February, foreign policy adviser to the country’s prime minister, Dorin Recean, a pro-Western politician, the ongoing Kremlin-backed propaganda flooding into the small Eastern European country represented an ongoing kick in the teeth.
“Facebook has the biggest reach because it’s where you can upload fake videos and spread them,” he told me. Other platforms like Telegram and Google’s YouTube also have allowed such messaging — mostly that Moldova should not side with Ukraine in its war with Russia; that the West is to blame for the conflict; and that Moldova would be better served by partnering with Russia. But it’s Facebook, whose users numbers in Romanian-speaking Moldova far outgun those of the other companies, that poses the biggest problem, according to Moldovan officials and independent social media experts who spoke to Digital Bridge.
Welcome to what hybrid war really looks like — far away from the headlines associated with the ongoing war in Ukraine or the political tussles around Russian interference (or Hunter Biden’s laptop) in the U.S., Moldova shares a border with Ukraine; Russian troops are located in Transnistria, a breakaway part of the country; and Russian-linked politicians, most notably Ilan Shor, have been sanctioned by Washington for their ties to Moscow (he denies those charges). Maia Sandu, Moldova’s president, has repeatedly warned that the Kremlin is interfering in the country to undermine its Western-focused government in favor of those who want closer ties to Russia.
This certainly goes beyond digitally-focused propaganda and disinformation. Moldova, for instance, relies heavily on its larger Eastern neighbor for energy imports, making it particularly susceptible to Kremlin-induced pressure. But as the potential threat of actual invasion has embedded away, the country now finds itself at the heart of an online interference campaign that has seen the EU, U.S. and United Kingdom all wade in to shore up a country on the frontline of this new form of warfare.
“Russian actors, some with current ties to Russian intelligence, are seeking to stage and use protests in Moldova as a basis to foment a manufactured insurrection against the Moldovan government,” John Kirby, the White House’s coordinator for strategic communications at the National Security Council, said earlier this month. Such protests — primarily in support of Shor’s pro-Kremlin ȘOR political party — have been promoted heavily via social media and Google search ads, according to research from Reset, a tech accountability campaigning group.
So far, the platforms’ response has been minimal. Google has removed scores of YouTube-related content associated with pro-Russian views in Moldova, but Facebook ads linked to Kremlin-friendly local politicians are still showing up daily, often through anonymous users, and not via accounts directly associated with the likes of Shor. In response, Meta said it worked with local fact-checkers in the Eastern European country and held meetings with Moldovan officials — even before the most-recent protests — to listen to their concerns. “We took away Ilan Shor’s ability to advertise on our apps when he was added to the U.S. sanctions list,” Al Tolan, a Meta spokesperson, added.
Still, Frăsîneanu, the former Moldovan official, told me his government’s interactions with the companies, at least while he was an adviser, had been minimal, at best. He and his team often tried to flag harmful material, but didn’t have a contact at the company to whom they could flag it. “It’s been difficult to get them to pay attention to what’s going on,” he added. “What do we do with Big Tech and how do we ensure that it’s used for good things and not, you know, for spreading fake news?”
That’s why Recean, the country’s prime minister, and leaders of seven other Eastern European countries recently penned an open letter to “CEOs of Big Tech” urging them to do more about the real-world consequences of online interference in countries with longstanding problematic ties to Russia. “Foreign information manipulation and interference, including disinformation is being deployed to destabilize our countries, weaken our democracies,” the politicians wrote. “All our countries are under attack, too, because while direct targets differ, the ultimate goals of information warfare are universal.”
BY THE NUMBERS
**Join online U.K. Editor Jack Blanchard as he speaks one-to-one with a senior cabinet minister on the future of tech within the U.K., on Wednesday, April 19 at 6:30 p.m. BST. Register today.**
LET’S GET READY FOR 6G POLITICS
I KNOW WHAT YOU’RE THINKING. It’s hard to get even a so-called 5G connection (I wrote this in 2016, and I’m still waiting), so why are we talking about the next generation of mobile telecommunication networks? Well, countries are already lining up their lobbying bandwagons for the initial standards meetings that will lay the groundwork to determine which companies’ intellectual property will underpin these networks when they start rolling out, at best, by the end of the decade. This will most likely pit European, Japanese, South Korean and U.S. companies against those from China in the latest round of tech-related geopolitics as Washington seeks to woo its international partners to push back against Beijing.
Already, China Mobile has issued 6G recommendationsin the hopes of convincing others to follow its technological approach. The way telecom standards works is that mostly industry-led groups determine which companies’ intellectual property should become the global standard, and that technology is then licensed, globally, for all to use. Europe has Nokia and Ericsson, arguably the West’s largest telecom standards players. Asia has the likes of Samsung, while the U.S. has Intel. But it’s China, whose local players Huawei and ZTE are still global players, that is making a coordinated play for 6G market share. Here’s one to look out for: Expect some form of 6G coordination between Washington and Brussels during next month’s EU-U.S. Trade and Tech Council summit in Sweden.
WONK OF THE WEEK
WE’RE BREAKING OUT THE LONG-HAUL FLIGHTS this week to head down to Aotearoa, a.k.a. New Zealand, where Jacinda Ardern, the country’s recently-departed prime minister, will become special envoy to the so-called Christchurch Call, a multistakeholder group dedicated to combating online extremism, on April 17.
The former Kiwi leader was instrumental in setting up that organization in the wake of the 2019 massacre in Christchurch that left 51 people dead and was livestreamed via social media. That tragedy, unfortunately, has been repeated over and over again in the subsequent years — most recently during a deadly shooting in Kentucky this week that was also shared widely online.
“Terrorist and violent extremist content online is a global issue, but for many in New Zealand it is also very personal,” Chris Hipkins, New Zealand’s current prime minister, said in a statement that made reference to the 2019 attack in Christchurch. “Jacinda Ardern’s commitment to stopping violent extremist content like we saw that day is key to why she should carry on this work. Her relationships with leaders and technology companies and her drive for change will help increase the pace and ambition of the work we are doing through the Christchurch Call.”
THEY SAID WHAT, NOW?
“I am really, really worried in a way that I’ve never been that worried, and I used to deal with ISIS all the time every day,” said Jen Easterly, director of the U.S. Cybersecurity and Infrastructure Security Agency, in reference to how hackers may use artificial intelligence tools in future attacks. “We just don’t know where this is going to end up, so I am more worried than I have been in a long time about the downstream potential of the use of this technology by bad actors.”
WHAT I’M READING
— In the wake of China’s new data protection rules, known as PIPL, the country’s app developers gave more consent to users to opt out of specific data collection practices, though many who did so were unable to use these specific apps, according to researchers from the University of Oxford and Tsinghua University.
— Russian-linked hackers targeted NATO digital infrastructure in a coordinated cyberattack, causing only minor damage to public-facing websites. Ferhat Dikbiyik has more.
— The European Commission’s antitrust proposals, which include requirements for interoperability between encrypted messaging services, do not appear to have a strong grasp on the technical implications of what has been proposed, according to a critique from Matthew Green.
— The Cyberspace Administration of China published draft rules for so-called generative artificial intelligence that would require companies to conduct security and risk assessments before implementing the technology. Read the text here.
— Confused about how AI is going to affect human rights, democracy and the rule of law (aren’t we all)? The Alan Turing Institute and the Council of Europe have written a primer on everything that you need to know.
— The annual threat assessment of the U.S. intelligence community has a section (page 27 onward) on digital authoritarianism and malign influence. It’s worth a read.
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EU Parliament’s Research Service confirms: Chat control violates fundamental rights
Today, the European Parliament’s Research Service (EPRS) presented a new study on the legality of the proposed Child Sexual Abuse / Chat Control Regulation to the European Parliament’s lead Committee on Home Affairs (LIBE). The legal experts conclude that “when weighing the fundamental rights affected by the measures of the CSA proposal, it can be established that the CSA proposal would violate Articles 7 and 8 of the Charter of Fundamental Rights with regard to users. This violation of the prohibition of general data retention and the prohibition of general surveillance obligations cannot be justified.” And also: „A detection order on the content of interpersonal data either on the device or the server will compromise the essence of the right to privacy under Article 7 CFR in the form of confidentiality of telecommunications. It constitutes a form of access on a generalised basis, pursuant to Schrems, where it involves an analysis of all communications going through the server.“
The experts made clear that an “increase in the number of reported contents does not necessarily lead to a corresponding increase in investigations and prosecutions leading to better protection of children. As long as the capacity of law enforcement agencies is limited to its current size, an increase in reports will make effective prosecution of depictions of abuse more difficult.”
In addition, the study finds: “It is undisputed that children need to be protected from becoming victims of child abuse and depictions of abuse online… but they also need to be able to enjoy the protection of fundamental rights as a basis for their development and transition into adulthood.” It warns: „With regards to adult users with no malicious intentions, chilling effects are likely to occur.“
In order to align the proposal with fundamental rights and make it court-proof, the experts recommend: „It should be noted that when the CSA proposal would address the above observations and would require detection orders to also be specific with regards to the group of individuals to be monitored, the detection of known material could be considered specific enough so as not to violate the prohibition of general monitoring obligations (for internet access services and hosting services) and would comply with communications secrecy (for interpersonal communication). Technically, it could be feasible to program detection technologies for known material to monitor only the exchanges of a particular type of group, thereby, preventing overly wide detection orders in terms of affected users. Such groups could for instance be members of a forum or chat group (where previously CSAM was exchanged).“
After the presentation of the study, critical questions on the proposal were voiced by Members of almost all political groups, including by Sven Simon (EPP), Paul Tang and Birgit Sippel (S&D), Moritz Körner (Renew), Patrick Breyer (Greens/EFA) and Swedish members Alice Kuhnke (Greens/EFA) and Charlie Weimers (ECR). The Commission representative was hashly criticised for admittedly not even having read the study.
Pirate Party MEP Patrick Breyer, shadow rapporteur (negotiator) for his group in the Civil Liberties Committee (LIBE) and long-time opponent of mass scanning of private communications, comments:
“The EU Parliament’s Scientific Service now confirms in crystal clear words what I and numerous human rights activists, law enforcement officials, legal experts, abuse victims and child protection organisations have been warning about for a long time: the proposed general, indiscriminate scanning of our private conversations and photos destroys the digital privacy of correspondence and violates our fundamental rights. A flood of mostly false suspicious activity reports would make effective investigations more difficult, criminalise children en masse and fail to bring the abusers and producers of such material to justice. According to this expertise, searching private communications for potential child sexual exploitation material, known or unknown, is legally feasible only if the search provisions are targeted and limited to persons presumably involved in such criminal activity.
I think negotiators understand that if we give in to the impulse and best intentions to do everything possible, but fail to respect the legal limits imposed by fundamental rights, detection provisions will be struck down by the Court of Justice altogether, and we’ll be left with nothing, and fail to achieve anything to better protect children and victims. This disaster must be avoided at all cost. No one is helping children with a regulation that will inevitably fail before the European Court of Justice.
What we really need instead of untargeted chat control and identification obligations for age verification is obliging law enforcement agencies to have known exploitation material removed from the internet, as well as Europe-wide standards for effective prevention measures, victim support and counselling, and for effective criminal investigations.”
Riapre i cancelli l’ambasciata iraniana a Riyadh
della redazione
Pagine Esteri, 13 aprile 2023 – L’ambasciata iraniana in Arabia saudita ha riaperto i cancelli ieri per la prima volta in sette anni nel quadro di un accordo volto a ristabilire i legami diplomatici tra Teheran e Riyadh e che dovrebbe allentare una lunga rivalità che ha alimentato crisi e conflitti in tutto il Medio oriente. L’agenzia Reuters ha scritto che ieri sono stati riaperti i pesanti cancelli dell’ambasciata iraniana a Riyadh e che alcune persone hanno ispezionato l’edificio. I due paesi avevano interrotto i rapporti nel 2016, dopo l’assalto all’ambasciata saudita a Teheran seguito all’esecuzione di un importante religioso sciita da parte di Riyadh. Ma i rapporti avevano iniziato a peggiorare un anno prima, dopo che l’Arabia saudita e gli Emirati erano intervenuti militarmente in Yemen, dove i ribelli sciiti Houthi, alleati dell’Iran, avevano preso il potere estromettendo da Sanaa il governo sostenuto dai sauditi. Negli anni successivi, Riyadh e Teheran sono giunte a pochi passi dallo scontro militare. Circa due anni fa l’inizio di colloqui tra i due paesi mediati dall’Iraq. Infine è giunto l’intervento della Cina che a marzo ha portato alla firma a Pechino di uno storico accordo di riconciliazione tra sauditi e iraniani.
La riconciliazione tra le due potenze regionali ha contribuito alla ridefinizione parziale dell’ordine mediorientale con la fine dell’isolamento arabo della Siria – che ha appena ripreso le relazioni diplomatiche con la Tunisia e sarà riammessa nella Lega araba – e il riavvicinamento tra Turchia ed Egitto. E ha frenato il progetto avviato da Israele e Usa attraverso gli Accordi di Abramo per la creazione di un fronte israelo-arabo contro l’Iran. Pagine Esteri
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Ministero dell'Istruzione
#Scuola, il Ministro Giuseppe Valditara ha firmato due decreti di riparto di risorse #PNRR destinati alla formazione di studenti, docenti e personale scolastico per un importo complessivo di 1 miliardo e 200 milioni.Telegram
Mosca sostituisce l’Europa con l’Africa e aumenta le esportazioni di benzina
di Redazione
Pagine Esteri, 13 aprile 2023 – Nel primo trimestre di quest’anno la Russia ha incrementato le esportazioni di benzina di quasi il 50% rispetto allo stesso periodo dell’anno scorso, spedendo i carichi direttamente in Africa e individuando nuove rotte commerciali dopo che l’Unione Europea ha sanzionato il petrolio russo.
Mosca ha incrementato le spedizioni di carburante soprattutto verso la Nigeria, la Tunisia e la Libia, dopo che il 5 febbraio l’Unione Europea ha vietato i prodotti russi.
La Russia è stata costretta a trovare acquirenti alternativi dopo che gli hub commerciali di Anversa-Rotterdam-Amsterdam e il porto lettone di Ventspils hanno evitato i suoi prodotti.
Un tetto di prezzo di 100 dollari al barile per la benzina e il gasolio russi, imposto dal Gruppo delle Sette Nazioni, dall’UE e dall’Australia, ha costretto Mosca a trovare nuovi mercati. In precedenza esportava circa 2,5 milioni di tonnellate (60.000 barili al giorno) di benzina all’anno in Europa.
Gli sforzi della Russia per incrementare le vendite di benzina in Africa sono stati favoriti dalla riduzione delle esportazioni dai Paesi Bassi, dove il 1° aprile sono entrate in vigore nuove normative che richiedono che le miscele di carburante per i mercati di esportazione rispettino gli standard sul contenuto di zolfo, benzene e manganese.
«Sembra che l’Europa stia perdendo quote di mercato a favore della Russia in termini di esportazioni di benzina verso la Nigeria», hanno dichiarato in una nota gli analisti della società di consulenza FGE.
Il limite di prezzo della benzina è più del doppio di quello imposto alla nafta, rendendo più redditizio per i venditori russi miscelare la nafta alla benzina, ha osservato FGE, e vendere a 100 dollari al barile piuttosto che a 45 dollari.
La Russia ha esportato 1,9 milioni di benzina tra gennaio e marzo di quest’anno, in aumento rispetto agli 1,3 milioni di tonnellate del primo trimestre del 2022, secondo i dati di Refinitiv.
Un altro tracker di navi, Kpler, stima le esportazioni di gennaio-marzo a 2,2 milioni di tonnellate, in aumento rispetto a circa 1,5 milioni di tonnellate nello stesso periodo dell’anno scorso.
Secondo i dati diffusi da Kpler, l’Africa ha importato volumi record di benzina russa nel primo trimestre, pari a 812.000 tonnellate, equivalenti a circa un terzo delle esportazioni totali russe di carburante.
La Nigeria è emersa come il primo acquirente africano di benzina russa, importando 488.000 tonnellate nel primo trimestre, rispetto alle 38.000 tonnellate dello stesso periodo dell’anno scorso. – Pagine Esteri
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China Files School 2023 – Capire il secolo asiatico
Dopo il successo delle passate formazioni (qui l'ultimo ciclo del 2022) arriva una nuova edizione della nostra China Files School. Si svolgerà tra l'8 e il 25 maggio e sarà focalizzata su tutti i luoghi e dossier più “caldi” legati a Cina e Asia. Le iscrizioni aprono ora, con 20 posti disponibili. Ecco come partecipare
L'articolo China Files School 2023 – Capire il secolo asiatico proviene da China Files.
Un acceleratore per il caccia del futuro. Ecco l’iniziativa della Difesa
Palazzo Baracchini accelera sul caccia di sesta generazione Global combat air programme (Gcap). Il ministero della Difesa ha infatti lanciato la Gcap acceleration initiative destinata a aziende e centri di ricerca per accrescere il network di eccellenze italiane a supporto dell’impegno nazionale volto a realizzare il velivolo del futuro con Regno Unito e Giappone. Quaranta esplorazioni tecnologiche che raccoglieranno le migliori proposte volte per la piattaforma che i tre Paesi stanno sviluppando insieme, destinato a sostituire i circa novanta caccia F-2 giapponesi e gli oltre duecento Eurofighter di Gran Bretagna e Italia.
Le aree di ricerca
Sistemi di propulsione, sistemi ottici e laser, sensori infrarossi, materiali e metamateriali per bassa osservabilità e a elevate performance termiche, sistemi di navigazione, generazione di modelli e sviluppo di digital twins di sistemi aeronautici, intelligenza artificiale applicata alla gestione di sistemi autonomi e sistemi di missione, cyber security e dispositivi elettronici integrati. Queste solo alcune delle principali aree di indagine che saranno sviluppate dalla Gcap acceleration initiative. Le migliori proposte saranno poi selezionate per la fase di co-progettazione insieme al ministero della Difesa e alle industrie già coinvolte nel programma Gcap.
Supporto industriale
L’iniziativa, infatti, è promossa in collaborazione con la Federazione aziende italiane per l’aerospazio, la difesa e la sicurezza (Aiad), le quattro aziende del consorzio italiano che lavorano sul Gcap, Leonardo, Avio Aero, Elettronica, MBDA Italia, e il Cefriel del Politecnico di Milano. Università, centri di ricerca, imprese e startup saranno coinvolte per condividere idee, competenze e tecnologie di frontiera per lavorare insieme a soluzioni innovative che possano essere applicate nel processo di maturazione tecnologica del Gcap. In particolare l’iniziativa potrà avvalersi di una orma informatica realizzata in collaborazione con Cefriel tramite la quale fare scouting tecnologico.
Il Gcap
Il progetto del Global combat air programme prevede lo sviluppo di un sistema di combattimento aereo integrato, nel quale la piattaforma principale, l’aereo più propriamente inteso, provvisto di pilota umano, è al centro di una rete di velivoli a pilotaggio remoto con ruoli e compiti diversi, dalla ricognizione, al sostegno al combattimento, controllati dal nodo centrale e inseriti in un ecosistema capace di moltiplicare l’efficacia del sistema stesso. L’intero pacchetto capacitivo è poi inserito all’intero nella dimensione all-domain, in grado cioè di comunicare efficacemente e in tempo reale con gli altri dispositivi militari di terra, mare, aria, spazio e cyber. Questa integrazione consentirà al Tempest di essere fin dalla sua concezione progettato per coordinarsi con tutti gli altri assetti militari schierabili, consentendo ai decisori di possedere un’immagine completa e costantemente aggiornata dell’area di operazioni, con un effetto moltiplicatore delle capacità di analisi dello scenario e sulle opzioni decisionali in risposta al mutare degli eventi.
Il programma congiunto
L’avvio del programma risale a dicembre del 2022, quando i governi di Roma, Londra e Tokyo hanno concordato di sviluppare insieme una piattaforma di combattimento aerea di nuova generazione entro il 2035. Nella nota comune, i capi del governo dei tre Paesi sottolinearono in particolare il rispettivo impegno a sostenere l’ordine internazionale libero e aperto basato sulle regole, a difesa della democrazia, per cui è necessario istituire “forti partenariati di difesa e di sicurezza, sostenuti e rafforzati da una capacità di deterrenza credibile”. Grazie al progetto, Roma, Londra e Tokyo puntano ad accelerare le proprie capacità militari avanzate e il vantaggio tecnologico.
Il mercato si mangia i servizi pubblici | Jacobin Italia
"Accade in Toscana: l’operazione Multiutility, promossa dai sindaci Pd con l’appoggio della destra, trasforma in Spa beni comuni e pezzi di welfare. Ma esiste un’opposizione dal basso che sta mettendo in discussione il progetto."
In Cina e in Asia – Xi: le forze armate si preparino per i combattimenti veri
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Arrestato per corruzione il giudice della corte suprema cinese
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La Cina riscrive la storia sulla pandemia
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COMMENTO. Israele, Edo Konrad: “Bezelel Smotrich non è una anomalia”
di Edo Konrad (+972)
traduzione dall’inglese di Luciano Galliano per Zeitun.info
Pagine Esteri, 13 aprile 2023 – Due settimane dopo aver invocato un’azione genocida contro i palestinesi, uno dei più potenti ministri del governo israeliano sbarcherà negli Stati Uniti dove è destinato a imbattersi in grandi proteste e affrontare quello che probabilmente sarà un rifiuto senza precedenti da parte dei funzionari statunitensi. Bezalel Smotrich, Ministro delle Finanze israeliano e sorvegliante de facto dei territori occupati, ha espresso pubblicamente la convinzione che la città di Huwara in Cisgiordania dovrebbe essere “spazzata via” dopo che due coloni vi sono stati uccisi mentre percorrevano in auto la strada principale. Smotrich ha fatto questi commenti pochi giorni dopo che più di 400 coloni, appoggiati dai soldati israeliani, hanno condotto un pogrom su Huwara e il vicino villaggio di Za’atara dando fuoco a case, attività commerciali e veicoli palestinesi e ucciso il 37enne Sameh Aqtesh.
La dichiarazione di Smotrich è stata ampiamente condannata dai leader dell’opposizione israeliana, dai giornalisti e persino dal Dipartimento di Stato americano, che ha descritto le sue affermazioni come “irresponsabili” e “ripugnanti”. Percependo la furia crescente, e dopo essere stato rimproverato pubblicamente dal Primo Ministro Benjamin Netanyahu, Smotrich ha provato spudoratamente due volte a ritrattare il suo commento, sostenendo che quando ha insistito esplicitamente che Huwara fosse spazzata via, in qualche modo non stava davvero chiedendo che fosse cancellata.
Con l’annuncio del suo arrivo il 12 marzo per una conferenza sugli Israel Bonds [sottoscrizione statunitense di titoli emessi dallo Stato di Israele, ndt.] a Washington D.C., le organizzazioni dell’establishment ebraico americano così come importanti gruppi sionisti liberali sono entrati in azione chiedendo che il Ministro delle Finanze israeliano fosse trattato come persona non grata. Oltre 120 leader ebrei americani hanno firmato una petizione chiedendo alle comunità ebraiche di boicottare la visita di Smotrich. Il gruppo di pressione J Street [gruppo liberale senza scopo di lucro per la leadership americana nel porre fine diplomaticamente ai conflitti arabo-israeliani, ndt.]. ha chiesto all’amministrazione Biden di “assicurarsi che nessun funzionario del governo degli Stati Uniti legittimerà incontrandolo l’estremismo [di Smotrich]” e che bisognerebbe interpretare quelle affermazioni come “motivi per il riesame di un visto per l’ingresso negli Stati Uniti.” Gruppi come T’ruah [organizzazione senza scopo di lucro di rabbini che si richiamano all’imperativo ebraico di rispettare e proteggere i diritti umani in Nord America, Israele e Territori palestinesi, ndt.] e Americans for Peace Now [organizzazione statunitense non-profit per la risoluzione politica globale del conflitto israelo-palestinese, ndt.] hanno chiesto apertamente la revoca del visto di Smotrich.
Nel frattempo organizzazioni tradizionali come l’Anti-Defamation League [organizzazione statunitense contro l’antisemitismo, ndt.] hanno affermato che “è imperdonabile che [Smotrich] inciti alla violenza di massa contro i palestinesi come forma di punizione collettiva”. William Daroff, l’amministratore delegato della Conferenza dei presidenti delle principali organizzazioni ebraiche americane, ha fatto eco alle parole del Dipartimento di Stato definendo i commenti di Smotrich “irresponsabili, ripugnanti e disgustosi”. Nonostante l’indignazione, Smotrich dovrebbe ancora parlare alla conferenza.
Va da sé che a Smotrich – un uomo che si definisce da sé “omofobo fascista” e ha una storia ben documentata di commenti chiaramente odiosi sui palestinesi, la comunità LGBTQ e altri gruppi – dovrebbe essere categoricamente condannato e vedersi negato l’ingresso negli Stati Uniti.
Questo è vero non solo per il puro sadismo genocida dei suoi commenti su Huwara, o per il fatto che Smotrich è diventato ufficialmente quello che lo studioso di diritto Eliav Leiblich ha soprannominato il “signore supremo della Cisgiordania”. Lo è anche perché, in un momento in cui l’incitamento all’omicidio contro i palestinesi continua a dare frutti mortali, la posizione degli ebrei americani sta dimostrando che ci sono passi reali che si possono fare contro un governo che sembra si dedichi oscenamente a bruciare tutto ciò che lo circonda per riconfigurare il paese a sua immagine e somiglianza.
Eppure ci si dovrebbe fermare e meravigliarsi dell’occasione singolarmente rara in cui le principali organizzazioni americane, da sinistra a destra, si uniscono per condannare e mettere in discussione la legittimità di un importante politico israeliano. Non c’è bisogno di sforzarsi per trovare altri funzionari israeliani che hanno analogamente invocato o giustificato retroattivamente massicce violenze contro i palestinesi. E questo è in parte dovuto al fatto che, a differenza di Smotrich, icona dell’estrema destra fondamentalista ebraica, molti di quei politici provengono in realtà dal centro israeliano e dalla sinistra sionista.
Ad esempio Benny Gantz, ex capo di Stato Maggiore dell’Esercito israeliano e poi Ministro della Difesa, ha lanciato la sua campagna elettorale del 2019 come sfida centrista a Netanyahu vantandosi di quanti palestinesi avesse ucciso e di come avesse riportato Gaza “all’età della pietra”. Oppure prendiamo Matan Vilnai del partito laburista, ex viceministro della Difesa, che all’inizio del 2008 avvertì che i palestinesi a Gaza avrebbero dovuto affrontare un “olocausto” meno di un anno prima che Israele lanciasse l’Operazione Piombo Fuso che uccise quasi 1.400 palestinesi in tre settimane.
C’è anche Mordechai Gur, Capo di Stato Maggiore dell’Esercito israeliano diventato Ministro della Difesa, anche lui laburista, che nel 1978 disse al quotidiano israeliano Al HaMishmar di aver fatto bombardare dalle sue forze quattro villaggi nel sud del Libano “senza autorizzazione” e senza fare distinzioni tra civili e combattenti; Gur ha inoltre affermato di “non aver mai avuto dubbi” sul fatto che i civili palestinesi in quelle aree dovessero essere puniti, dicendo al giornale “sapevo esattamente cosa stavo facendo”. Oppure prendiamo David Ben-Gurion, il primo Primo Ministro israeliano e artefice della Nakba, che quando nel 1948 gli fu chiesto cosa fare dei palestinesi di Lydd e Ramle dopo che le città erano state conquistate dalle milizie sioniste, fece il famigerato cenno con la mano per ordinare loro espulsione (decenni dopo Smotrich si sarebbe rammaricato pubblicamente che Ben-Gurion non avesse “finito il lavoro”).
Come non debellare la piaga
Non si tratta di grandi rivelazioni. La sinistra sionista (e quella parte che è diventata gran parte del centro) ha sempre chiamato in causa le proprie credenziali militariste contro la destra sionista. Il punto, quindi, non è costringere le organizzazioni a prendere posizioni retroattive su azioni passate, ma piuttosto capire che l’indignazione selettiva su Smotrich, sebbene giustificata, rischia di oscurare il fatto che è il prodotto di un sistema più ampio di espropriazione e sottomissione. Come Meir Kahane, che è stato trattato come inaccettabile e isolato nella società israeliana e in gran parte della comunità ebraica americana per il suo sfacciato fascismo, Smotrich viene presentato come un paria ma con l’effetto di legittimare l’apparato di apartheid che ha ereditato dai suoi predecessori .
Raffigurando uno o due politici estremisti come inaccettabili, le comunità ebraiche possono eludere la necessità di fare i conti con il modo in cui Smotrich e Kahane realizzano gli impulsi più profondi del progetto sionista. La stessa elusione si sta operando in luoghi come il Regno Unito, dove il Consiglio dei Deputati degli ebrei britannici, uno dei principali organi della classe dirigente della comunità ha apertamente respinto Smotrich ma continua a incontrare altri estremisti di estrema destra come l’ambasciatrice Tzipi Hotovely o il Ministro degli Affari della Diaspora Amichai Chikly.
In questo modo Smotrich diventa il cattivo contro cui gli ebrei americani possono mobilitarsi: messianico, razzista, impenitente. Personaggi come Ben-Gurion e Gur, nel frattempo, rimangono eroi piuttosto che uomini che hanno soppresso un numero incalcolabile di vite. E mentre i gruppi ebraici americani possono fare i picchetti contro Smotrich alla conferenza degli Israel Bonds di questo mese, nessuno ha chiesto agli Stati Uniti di revocare il visto a Benny Gantz che ha visitato la Casa Bianca l’anno scorso, pochi mesi dopo aver messo fuori legge sei importanti gruppi palestinesi per i diritti umani come “organizzazioni terroriste”. Per le istituzioni pubbliche ebraiche iniziare a mettere in discussione chi rappresenta il “buon Israele” rischia di sgretolare l’intero edificio psicologico del sostegno allo Stato.
Anche Washington, da parte sua, ha interesse a trasformare Smotrich in un evento anomalo. Nell’ambito della sua politica di pacificazione nei confronti del nuovo governo israeliano, l’amministrazione Biden sta cercando di esercitare una certa pressione su Netanyahu almeno per tenere in riga la sua coalizione. Ma in un momento in cui Israele è pervaso dall’instabilità – per la combinazione di un tentativo di colpo di stato giudiziario, incursioni dell’esercito israeliano nelle città palestinesi, violenza sfrenata dei coloni e attacchi palestinesi a soldati e civili – il meglio che la Casa Bianca può sperare è di convincere Israele ad allontanarsi dall’orlo dell’abisso in cui sembra desideroso di buttarsi a capofitto.
Per i funzionari statunitensi si tratta di uno specchietto per le allodole: operare accordi con leader israeliani come Netanyahu o il ministro della Difesa Yoav Galant ed evitare quelli “ripugnanti” come Smotrich o il Ministro della Sicurezza Nazionale Itamar Ben Gvir, tutto nell’interesse di “stabilizzare” la situazione – un compito che questo governo sta rendendo sempre più irrealizzabile ogni giorno che passa.
In un momento di grave crisi dello Stato israeliano sia gli ebrei americani che l’amministrazione Biden sperano che la loro strategia di controllo dei danni contro lo smotrichismo possa ricondurre Israele verso una versione più accettabile dell’apartheid israeliano. Una in cui l’esercito è legittimato a fare irruzione e uccidere i palestinesi nei campi profughi in cui Israele li ha segregati, ma in cui i massimi ministri non invitino attivamente i vigilantes dei coloni a “prendere in mano la situazione”. Una che mantenga la facciata di una magistratura indipendente, ma distolga lo sguardo quando i tribunali approvano quasi tutte le leggi discriminatorie e le politiche coloniali. Una in cui c’è sempre un individuo anomalo da incolpare, ma non il regime coloniale stesso.
Eppure il miope tentativo di categorizzare gli estremisti israeliani – di trattarli come intrinsecamente più ripugnanti dei falchi e dei nazionalisti “mainstream” – non è semplicemente destinato a fallire. In effetti, consentirà solo più violenza. La società israeliana ha rifiutato di ammettere che il kahanismo attinge dai fiumi del sionismo (e non il contrario) solo per scoprire che è tornato a dominare la vita pubblica. Le organizzazioni ebraiche americane stanno ora commettendo lo stesso errore.
Sperano che in qualche modo, con richiami minimi e forti condanne, sconfiggeranno il flagello Smotrich – senza affrontare l’ideologia e le strutture statali che sostengono la sua richiesta di genocidio e danno a lui e ai suoi successori il potere di realizzarlo. Si sbagliano tragicamente. Pagine Esteri
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PRIVACY DAILY 91/2023
L’Onu riaccende i riflettori sul Tibet
Secondo un rapporto dell'Onu, circa un milione di bambini tibetani sarebbe stato strappato alle famiglie, ufficialmente per motivi di studio. Il programma prevede l'inserimento dei piccoli in collegi statali dove sono costretti a completare corsi di "istruzione obbligatoria" in mandarino anziché in doppia lingua. Pechino si smarca. Per il ministero degli Esteri cinese, lo studio contiene "bugie” e “voci per diffamare e screditare la Cina".
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Così l’Italia potrebbe attirare investimenti nelle aziende tecnologiche
Come gli effetti della politica fiscale possono attrarre risorse ed investimenti dall’estero
L’aspettativa che la situazione economica-finanziaria in Israele si deteriori e l’attesa di eventuali azioni dell’attuale governo per limitare i trasferimenti di risorse finanziarie fuori dal proprio territorio nazionale ha generato molta apprensione nella “startup nation”. Il contesto di percepita instabilità ha determinato iniziative per ricollocare risorse finanziarie e parte delle operations in altri paesi.
Ne è un esempio Riskfied, azienda “tech” quotata al New York Stock Exchange con una capitalizzazione oggi non molto distante da 1 miliardo di dollari, che ha comunicato l’intenzione di trasferire 500 milioni di dollari fuori da Israele (Fonte Globes, 8 Marzo 2023), ha avviato un piano assunzioni nel dipartimento di ricerca e sviluppo a Lisbona e ha comunicato il pieno supporto ai dipendenti che hanno interesse al trasferimento in Portogallo. Certamente la percezione di instabilità internazionale, in particolare in un paese a noi vicino e importante come Israele, non giova al contesto generale, ed è auspicabile che la tensione possa risolversi nel minor tempo possibile.
E’ sempre più evidente, però, che la competitività di un’economia non può essere ridotta solo al PIL ma deve considerare anche la dimensione politica, sociale e culturale. La capacità di attrazione di investimenti esteri, e quindi la presenza di un ambiente caratterizzato da infrastrutture, istituzioni e politiche efficienti che incoraggino la creazione di valore sostenibile da parte delle imprese, consente l’evoluzione del sistema produttivo stesso.
In tale ottica, “l’attesa” riforma della politica fiscale rappresenta un elemento cardine per mantenere la competitività del nostro Paese. La riforma che ci si aspetta dovrebbe favorire la crescita delle imprese sia in termini di giro d’affari che in termini di consistenza patrimoniale, superando alcune delle principali criticità del tessuto produttivo nazionale, da tempo oramai note. In tal senso l’auspicata riduzione progressiva delle aliquote fiscali per le imprese, premiando quelle che investono e assumono a tempo indeterminato in Italia, va in questa direzione.
La riforma della politica fiscale, inoltre, dovrebbe auspicabilmente creare le condizioni per favorire l’ingresso di risorse e competenze da paesi esteri, fronteggiando anche la concorrenza sleale dei paradisi fiscali europei, che invece genera un flusso di risorse e di competenze inverso, ovvero dal nostro territorio nazionale verso altri paesi. Certamente, oltre al vincolo di bilancio dello Stato e dunque di sostenibilità nel tempo, gli interventi di politica fiscale focalizzati e sistemici su specifici settori produttivi o funzioni aziendali hanno mostrato nel tempo una maggiore efficacia e capacità di conseguire i risultati attesi.
Il settore tecnologico rappresenta uno degli elementi principali per mantenere la competitività del Paese, e la capacità di attrarre risorse e competenze qualificate da uno dei Paesi più avanzati in tale ambito, potrebbe rappresentare un’opportunità unica per generare un effetto moltiplicatore sulle competenze già presenti e la creazione di un ecosistema di innovazione attrattivo anche per altri Paesi. Lo sviluppo del settore tecnologico è quello che trasversalmente può generare una crescita in tutti i settori, generando un indotto capace di favorire un impatto sull’ammodernamento di tutto il Paese.
L’Italia ha da sempre un ruolo centrale, seppur faticoso, nell’area del mediterraneo e certamente può rappresentare la porta per l’integrazione europea, per un paese come Israele, con cui si condividono radici culturali e che certamente rispetto al Portogallo rappresenta un contesto economico più avanzato e dimensionalmente assai più consistente, considerato che il nostro PIL è maggiore di quello del Portogallo per circa nove volte.
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Def-inire.
C’è un filo che lega il Def (documento di economia e finanza), approvato ieri dal governo, l’impegno per il pieno successo del Pnrr e le nomine nelle imprese controllate dallo Stato. Che destano nervosismo nella maggioranza. E c’è una partita politica, che accompagna lo sgranarsi di quella collana.
I dati Eurostat confermano un dato positivo e un danno permanente. Il dato positivo è che, fra il 2021 e il 2022, l’occupazione è cresciuta più della media Ue (+1.9% rispetto a +1.5%). Il danno permanente è che in nessun Paese europeo si lavora in meno numerosi che in Italia: da noi il 60.1% della popolazione attiva; nella media Ue il 69.9; ma in Germania (la prima potenza industriale, noi siamo la seconda) il 77.2%. Queste sono medie, se guardiamo dentro la realtà italiana troviamo aree che superano la quota europea e aree d’inammissibile arretratezza. Non solo lavoriamo in pochi, ma non si trovano italiani disposti o capaci di fare molti lavori. Siccome la crescita della ricchezza è frutto del lavorare e dell’intraprendere, noi sommiamo una crescita inferiore al possibile e uno squilibrio territoriale non sostenibile. E questo ci porta al Def.
La dottrina spendarola, a destra e a sinistra, detta una solenne sciocchezza: più lo Stato spende e più si cresce. Se fosse vero, con il debito che ci ritroviamo e, quindi, la spesa in deficit fatta, dovremmo essere i campioni europei. Ma non è vero. Però è affasciante, specie se si punta a raccattare voti usando i soldi dei contribuenti onesti. Per questo è significativamente positivo che il Def descriva un calo progressivo del peso del debito pubblico sul prodotto interno lordo, in continuità con i conti del governo Draghi. Perché segnala che non si è abbracciata la dottrina spendarola. E questo origina già dalla campagna elettorale, quando Forza Italia e Lega reclamavano lo spendarolo “sfondamento di bilancio” e Fratelli d’Italia s’opponeva. Il partito d’opposizione era più draghista dei due al governo. E questo è il punto relativo alla partita politica. Ci arriviamo.
Nel Def il deficit resta alto (4.5), ma in linea con le previsioni. Il 2023 si conferma anno di crescita (l’opposto della recessione inesistente, di cui si strillazzava in campagna elettorale), semmai più marcata: 1%. Senza, però, che ci sia traccia dei soldi Pnrr. Non che il governo non pensi di utilizzarli (sarebbe una follia), ma, prudentemente, non ne contabilizza gli effetti nell’immediato, guarda un po’ oltre. Se tutto andrà per il meglio, insomma, si rivedrà al rialzo la crescita e il governo (giustamente) s’attaccherà una medaglia al petto. Ma può andare per il meglio? Qui si arriva alle nomine.
Sono sempre state politiche e sono sempre state spartitorie. I moralismi a intermittenza sono immorali. Preferirei meno Stato nel mercato e diversa procedura, ma questa è la zuppa ed è inutile far boccuccia. La novità è un’altra: da quelle grandi società passa parte significativa delle opere Pnrr. Qui non si giocano delle poltrone, ma la testa dell’operazione. Non è che Meloni, come taluni scrivono, voglia tutto per sé, è che non vuole si riproduca la divisione della campagna elettorale sullo sfondamento, per cui taluni puntano al fallimento per poi inscenare il vittimismo e la rottura europea (con il plauso del Cremlino). Sono forze che vogliono ingabbiare una Meloni già impastoiata con le proprie stesse parole sbagliate: si è ancora fermi sulla concorrenza e il 20 aprile si pronuncia la Corte di giustizia sui balneari.
L’interesse dell’Italia è che quegli investimenti riescano. Un dovere da definire e adempiere. Sarebbe interesse comune che anche l’opposizione se ne rendesse conto, anche perché governare dopo un fallimento sarebbe atroce. Ma, riuscendoci, il partito pragmatico di centro diventerà l’attuale destra e quelli che volevano stare al centro verranno sbattuti alla destra protestataria. A quel punto o si fa il salto, portando in Parlamento il dialogo istituzionale, o si resta nella marana delle false alleanze, incapaci di governare.
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Etiopia, 47.000 nuovi sfollati da 10 woreda del Tigray occidentale arrivano a Endabaguna, vicino Shire
“Ieri ho avuto una discussione molto produttiva con Claude Jibidar, direttore nazionale WFP – World Food Programme Ethiopia, sulle operazioni di WFP in Tigray e sulla necessità di coordinare i nostri sforzi per il futuro. Pur elogiando WFP Ethiopia per il suo impegno nei confronti del popolo del Tigray durante il nostro calvario negli ultimi anni, ho anche evidenziato quali aree vorremmo che i nostri partner estendessero il loro sostegno per aiutare i nostri concittadini laboriosi a rimettersi in piedi, contribuendo così a ridurre la pressione sulla comunità internazionale. Abbiamo anche sottolineato la necessità di lavorare insieme nell’affrontare la crescente sfida della diversione e della vendita di aiuti alimentari destinati ai bisognosi. Abbiamo anche concordato di adottare misure appropriate contro le persone coinvolte in tali comportamenti abominevoli e di garantire che gli aiuti raggiungano effettivamente i beneficiari target in modo tempestivo.”
Queste sono le parole di Getachew Reda, l’odierno capo amministratore regionale ad interim – IRA, dello stato regionale del Tigray, Etiopia. IRA istituita come prassi dettata dall’accordo di Pretoria firmato il 2 novembre 2022. Accordo di cessazione ostilità tra il governo federale etiope ed il TPLF – Tigray People’s Liberation Front dopo più di 2 anni di guerra genocida. Guerra che è stata denunciata come la più atroce degli ultimi anni e per cui è stato stimato un numero superiore alle 600.000 vittime tra i civili.
La dichiarazione di Getachew Reda è del 12 aprile 2023, l’incontro con il funzionario del WFP avvenuto il giorno precedente.
Sostituzione etnica, parole che non sono solo slogan di propaganda come quelle della premier italiana Giorgia Meloni
Il Tigray occidentale è ancora sotto occupazione Amhara. Il governo regionale amhara durante la guerra genocida in Tigray ha occupato quel territorio rivendicandolo storicamente sotto la sua giurisdizione.
Le forze speciali amhara sono state denunciate ed è stato confermato la loro attività di pulizia etnica nei confronti del popolo tigrino, come crimine di guerra per sfollarli forzatamente da quell’area.
Oggi, a più di 5 mesi dell’accordo di Pretoria e che impone il ritiro di tutte le forze esterne dal Tigray, gli amhara sono ancora presenti e stanno perpetrando ancora la loro volontà politica di pulizia etnica.
Tigrai TV in un recente servizio ha riportato la testimonianza per mezzo video delle preoccupazioni di etiopi di origine tigrina che denunciano questi atti rivendicati come atti di sostituzione etnica.
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47.000 nuovi sfollati da 10 woreda [distretti] del Tigray occidentale arrivano a Endabaguna, vicino Shire
Almeno 47.000 nuovi sfollati interni (IDP) che sono fuggiti da dieci woreda [distreetto] nel Tigray occidentale, che è sotto l’occupazione delle forze Amhara, sono arrivati a Endabaguna, vicino alla città di Shire nella zona del Tigray nordoccidentale nell’ultimo mese,
Questa è stata la dichiarazione di Getu Dejen, l’amministratore ad interim dell’Endabaguna Woreda, ad Addis Standard.
Secondo Getu, alcuni degli sfollati si trovavano nel centro per sfollati di Maitsebri, mentre altri hanno lasciato le loro case a Maigaba, Tselemti, Korarit, Welkayit e Qafta woredas, tra gli altri, dall’inizio di marzo a causa delle rinnovate persecuzioni e pressioni sull’etnia tigrina. Anche donne, ragazze e bambini sono tra gli sfollati.
Alcune testimonianze tra i migliaia di sfollati interni IDP
Nigus Teklay (nome cambiato per motivi di sicurezza) un 39enne, fuggito dalla woreda di Tselemti con 3 membri della sua famiglia, un mese fa, ha dichiarato:
“Me ne sono andato prima che accadesse qualcosa di peggio a me e alla mia famiglia”.
Ha aggiunto che un gruppo armato noto come “Fano” ha costretto i tigrini etnici a lasciare l’area.
“Ho contato un mese da quando sono stato trasferito a Endabaguna. Non ci sono aiuti umanitari, cibo e medicine. Sto nutrendo i miei figli chiedendo l’elemosina e vendendo alcuni materiali per strada “
Rahel Hayle, una ragazza di 20 anni, che ha raggiunto Endabaguna da Maitsebri a metà marzo dopo aver viaggiato a piedi per 10 giorni, ha detto che:
“I gruppi armati nella zona stavano molestando donne e ragazze e commettendo crimini contro i tigrini etnici”
Quindi e ha deciso di partire.
Rahel è tra gli sfollati che sono stati accolti nel centro IDP di Maitsebri da quando è scoppiata la guerra nel 2020.
La sua famiglia è fuggita in Sudan e ha vissuto in situazioni precarie senza molti aiuti umanitari per due anni a Maitsebri prima di arrivare a Endabaguna settimane fa.
“Anche dopo il mio arrivo qui tre settimane fa, non ho ricevuto alcuna assistenza. Dormo sul pavimento, è una sfida soprattutto per le ragazze e le donne”
Getu, l’amministratore ad interim, ha affermato che il numero di sfollati interni a Endabaguna era di circa 8000 all’inizio del mese di marzo, ed è salito a 47.000 nelle ultime settimane.
Ha aggiunto che questi sfollati appena arrivati non ricevono aiuti umanitari come cibo e medicine.
Nonostante la denuncia a diverse ONG e agenzie umanitarie, l’amministratore ad interim Getu ha segnalato che non sono state avanzate attività significativa per sopperire al problema ed alla mancanza di consegna di materiale salvavita.
Ha aggiunto che gli sfollati non hanno un riparo adeguato e vivono in condizioni di pericolo di vita con bambini e donne che chiedono cibo per le strade.
Surafel Araya, amministratore della zona nord occidentale del Tigray, ha confermato la gravità del contesto invitando gli organismi interessati a prestare la dovuta attenzione ai nuovi sfollati sfollati che arrivano nella zona.
La questione, la gravità e la precarietà di vita, di sussistenza di decine di migliaia di persone sfollate in Tigray stabile, ma altamente critica: una priorità assoluta quela della tutela alla vita.
Approfondimenti:
- Etiopia, 54.000 sfollati ad Abiy Addi senza cibo, medicinali e altre zone del Tigray senza aiuti
- Etiopia, le grosse lacune del supporto umanitario in Tigray dopo 5 mesi di tregua
- Etiopia, la disastrosa situazione degli sfollati in Tigray nonostante l’accordo di cessazione ostilità
- Etiopia, ancora blocchi sugli aiuti umanitari nel Tigray
- Etiopia, mancanza di aiuti adeguati agli sfollati interni (IDP) in Tigray
Tokyo finanzierà un polo industriale in Bangladesh
di Redazione
Pagine Esteri, 12 aprile 2023 – Il governo del Giapponeha proposto di sviluppare un polo industriale in Bangladesh con catene di approvvigionamento verso gli Stati nordorientali dell’India, privi di sbocco sul mare, e verso il Nepal e il Bhutan, realizzando un nuovo porto e i trasporti nella regione.
La proposta giunge dopo la visita, realizzata in Indiail mese scorso, del Primo Ministro giapponese Fumio Kishida. Durante il viaggio Kishida ha promosso l’idea di un nuovo polo industriale per la Baia del Bengala e l’India nord-orientale, che potrebbe sostenere lo sviluppo della regione abitata da 300 milioni di persone.
Dopo la visita di Kishida, il suo governo ha approvato un finanziamento al Bangladesh di 1,3 miliardi di dollari per tre progetti infrastrutturali, tra cui un nuovo porto commerciale nell’area di Matarbari con collegamenti agli Stati indiani adiacenti senza sbocco sul mare, tra cui il Tripura. Il progetto previsto di Matarbari consentirebbe la realizzazione del primo porto in acque profonde del Bangladesh in grado di ospitare navi di grandi dimensioni.
«Può essere un piano vantaggioso per l’India e il Bangladesh», ha detto martedì Hiroshi Suzuki, ambasciatore del Giappone in India, citando la proposta del polo industriale durante un incontro di funzionari indiani, bangladesi e giapponesi ad Agartala, la capitale dello Stato di Tripura (nel nord-est della penisola indiana).
Il rappresentante diplomatico ha detto che il porto marittimo dovrebbe diventare operativo entro il 2027 diventando la chiave per costruire un polo industriale che colleghi la capitale del Bangladesh, Dhaka, alle aree dell’India che non possiedono uno sbocco sul mare. Lo Stato di Tripura si trova a circa 100 chilometri dal porto marittimo proposto e potrebbe rivelarsi una porta d’accesso per gli esportatori regionali (in primis quelli giapponesi), ha dichiarato Sabyasachi Dutta, responsabile di Asian Confluence, un think tank che ha organizzato l’incontro di due giorni.
L’Indiae il Giappone hanno già sviluppato congiuntamente progetti infrastrutturali in Bangladesh, nello Sri Lanka e in Africa, come alternativa all’iniziativa Belt and Road promossa dalla Cina, al fine di contrastare la diffusione dell’influenza di Pechino. Alla fine di dicembre nella capitale Dhaka è stata inaugurata la prima linea di metropolitana attiva in Bangladesh, realizzata grazie a ingenti finanziamenti giapponesi.
Attualmente più di 300 aziende giapponesi operano già in Bangladesh e si prevede che i due Paesi firmino presto un accordo di partenariato economico che potrebbe dare ulteriore impulso all’industria manifatturiera ed attirare altre aziende straniere.
Il Primo Ministro del Bangladesh, Sheikh Hasina, visiterà il Giappone dal 25 al 28 aprile su invito di Kishida. – Pagine Esteri
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CHARLES MICHEL CONFERMA: L'EUROPA SI STA PREPARANDO ALL'"AUTONOMIA STRATEGICA"
@Politica interna, europea e internazionale
Il presidente del Consiglio europeo afferma che l'UE non può "seguire ciecamente e sistematicamente" Washington.
Mentre la polemica cresce intorno ai commenti di Macron secondo cui l'Europa dovrebbe resistere alle pressioni per diventare "seguace dell'America", Michel ha suggerito che la posizione del politico francese non era isolata tra i leader dell'UE. Mentre Macron ha parlato come presidente francese, le sue opinioni riflettono un crescente cambiamento tra i leader dell'UE, ha affermato Michel.
"C'è stato un balzo in avanti sull'autonomia strategica rispetto a diversi anni fa", ha detto Michel al programma televisivo francese La Faute à l'Europe (che ha una partnership con POLITICO) in un'intervista che andrà in onda mercoledì.
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MEPs to call for renegotiation of EU-US data transfer framework
EU lawmakers are set to adopt a non-binding resolution urging the European Commission not to endorse the Data Privacy Framework for transatlantic data flows until fundamental rights concerns are fully addressed. The draft motion, seen by EURACTIV, is expected to...
Dopo il riscontro ottenuto nelle prime tre settimane, l’esposizione de “Il libro del mese” dedicata al Centenario dell’Aeronautica Militare proseguirà fino al 28 aprile.
Qui tutti i dettagli ▶️ miur.gov.
Ministero dell'Istruzione
Dopo il riscontro ottenuto nelle prime tre settimane, l’esposizione de “Il libro del mese” dedicata al Centenario dell’Aeronautica Militare proseguirà fino al 28 aprile. Qui tutti i dettagli ▶️ https://www.miur.gov.Telegram
MYANMAR. Almeno 80 gli uccisi dall’attacco aereo contro raduno per democrazia
della redazione
Pagine Esteri, 12 aprile 2023 – Almeno 80 persone, incluse donne e bambini, sono state uccise a seguito di un raid aereo governativo contro un raduno pro-democrazia nel nord-ovest del Paese. Secondo il quotidiano Nikkei, l’attacco si è verificato durante una cerimonia per l’insediamento dell’amministrazione locale nella regione di Sagaing. Attorno alle 7:40 di ieri un jet ha sganciato bombe sui civili, sui quali poi ha aperto il fuoco anche un elicottero.
Alla fine del mese scorso, durante la parata militare per la Giornata delle forze armate, il capo della giunta Min Aung Hlaing aveva annunciato ribadito che l’esercito intraprenderà “un’azione decisiva” contro gli oppositori e i gruppi armati etnici che li sostengono facendo riferimento indiretto all’esecutivo ombra dell’opposizione formato dai dirigenti della Lega nazionale per la democrazia (Lnd) della deposta leader Aung San Suu Kyi.
La strage di civili è stata seguita da una ampia condanna internazionale della dittatura militare che controlla Myanmar. La giunta ha reagito respingendo accuse e critiche ma poco più di due anni dal golpe del primo febbraio 2021, che ha deposto il governo di Aung San Suu Kyi, il governo militare appare se,mpre più fragile. Il mese scorso la giunta aveva annunciato la proroga dello stato d’emergenza e il rinvio dei piani per un ritorno alle urne, inizialmente fissato per agosto 2023.
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Hikikomori. Un’indagine in Italia | La Città di Sotto
"I ragazzi e le ragazze in ritiro sociale volontario usano l’isolamento come forma di autodifesa, rispondendo con questa forma di resistenza ai principi, ai dettami, ai tempi e alle forme relazionali di una società che li vuole sempre prestazionali, impeccabili, senza possibilità di errore. Abbiamo voluto accendere una luce sulle loro storie e bussare a quelle porte chiuse. Non per giudicarli, ma per provare a riaccompagnarli al mondo."
Il carburante della Russia arriva in Iran su rotaia
Pagine Esteri, 12 aprile 2023 – È cominciata negli ultimi mesi l’esportazione di carburante russo verso l’Iran. Il massiccio accordo energetico tra Mosca e Teheran era stato siglato lo scorso anno, per un valore di 40 miliardi di dollari.
Con l’inizio della guerra in Ucraina e in seguito alle sanzioni imposte dai Paesi occidentali alla Russia, il Cremlino aveva necessità di trovare nuove vie di esportazione per i propri carburanti. E così, tra febbraio e marzo, secondo i dati diffusi, attraverso le proprie fonti, dall’agenzia Reuters, la Russia ha consegnato 30.000 tonnellate di gasolio e benzina all’Iran.
Carri cisterna per il trasporto di petrolio su rotaia
I carichi di carburante hanno attraversato il Kazakistan e il Turkmenistan su rotaia. Non senza difficoltà: è previsto per quest’anno un aumento delle forniture ma la congestione ferroviaria potrebbe rallentare il progetto. Un volta in Iran, parte dei carburanti sono stati inviati su camion ai paesi vicini, compreso l’Iraq.
Una raffineria di petrolio in Iran
Prima della guerra in Ucraina la Russia forniva piccole quantità di carburante a Teheran e tutte attraverso il Mar Caspio. Come è noto, l’Iran possiede grandi giacimenti e raffinerie ma a quanto pare la produzione interna non riesce più a soddisfare la domanda, che negli ultimi anni è aumentata.
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Gli stipendi devono crescere poco: il governo Meloni lo ha scritto davvero | L'Indipendente
«Il governo Meloni tutelerà la “moderazione della crescita salariale per prevenire una pericolosa spirale salari-prezzi”, come si legge nel comunicato stampa dell’ultimo Consiglio dei ministri. In poche parole, gli stipendi devono crescere poco perché tanto, prima o poi, l’inflazione si arresterà risolvendo il problema. A pagarne le spese, nel frattempo, è il potere di acquisto degli italiani che per sopravvivere tra inflazione e caro vita devono attingere ai propri risparmi.»
Informa Pirata
Unknown parent • •L'autonomia strategica europea è scritta nero su bianco in un documento di quest'anno, ma che due leader la tirino fuori in questa fase è chiaramente qualcosa che va oltre l'occasionalità
Informa Pirata
Unknown parent • •