Ecco come cresce l’intesa militare Italia-Iraq. La visita di Crosetto
Rafforzamento della collaborazione tra Forze armate e cooperazione nella lotta al terrorismo, da realizzare anche attraverso la collaborazione in ambito economico e commerciale. Sono questi i temi al centro dell’incontro a Baghdad del ministro della Difesa, Guido Crosetto, con il primo ministro dell’Iraq, Muhammad Shia’a Al-Sudani, e l’omologo ministro, Thabet Muhammad Saeed Al-Abbasi. Il ministro Crosetto, accolto dall’ambasciatore italiano nel Paese mediorientale, Maurizio Greganti, ha portato i saluti del presidente del Consiglio italiano, Giorgia Meloni, al primo ministro iracheno, esprimendo anche “il desiderio di una maggiore cooperazione reciproca tra i due Paesi”. Nel corso della visita, il ministro ha anche incontrato il personale militare italiano operativo nel Paese nel contesto dell’operazione Prima Parthica.
(GUARDA LE FOTO DELLA VISITA DI CROSETTO)
Prossima visita in Italia
Nel corso del vertice è stata anche annunciata da Al-Sudani la prossima visita di una delegazione irachena di alto livello in Italia. Per il primo ministro iracheno, infatti, l’incontro ha riguardato i progressi delle relazioni tra i due Paesi amici e i modi per consolidare la cooperazione congiunta nei settori della sicurezza, a vari livelli. “Le illustri relazioni tra l’Iraq e l’Italia attraverso la cooperazione bilaterale in vari settori – ha detto Al-Sudani – sottolineano il desiderio dell’Iraq di lavorare all’interno di questi binari, in un modo che serva gli interessi comuni e la sicurezza della regione e del mondo”. Da parte sua, il ministro Crosetto ha accolto positivamente l’annuncio della visita irachena: “La ricerca di numerosi dossier di cooperazione contribuiranno allo sviluppo delle relazioni tra i due Paesi”.
Un fitto programma
Nel corso della visita, Crosetto ha incontrato diversi vertici istituzionali iracheni e le forze italiane impiegate sul territorio. Oltre ai già citati, il ministro ha infatti avuto un colloquio con il Presidente della Repubblica dell’Iraq, Abdul Latif Rashid, ponendo l’accento sul fatto che “Italia e Iraq sono legati da storici rapporti basati su grande collaborazione. L’auspicio è che tali legami possano intensificarsi ulteriormente attraverso nuove forme di cooperazione”. Successivamente, il ministro ha avuto inoltre l’occasione di incontrare il personale italiano impiegato nella missione Nato in Iraq (Nmi), il cui “prezioso operato a favore della stabilità dell’Iraq rappresenta un onore per il nostro Paese, ma anche una grande responsabilità”, secondo Crosetto. Ad accoglierlo, il generale italiano a comando della missione, Giovanni Maria Iannucci. In ultimo, il ministro Crosetto ha visitato l’Ambasciata d’Italia a Bagdad, per rendere omaggio ai caduti dell’attentato del 12 novembre 2003: “La Difesa è una grande famiglia in cui il ricordo dei propri caduti ne perpetua l’eroismo ed il senso del dovere”.
Cooperazione a tutto campo
Partendo dall’importante centralità strategica del Paese per l’Asia occidentale, il ministro Crosetto ha evidenziato come “l’Iraq sia cruciale per la stabilità regionale”. È proprio da questa premessa che si può ancor più intensificare la cooperazione bilaterale tra i due Paesi in diverse direzioni: lotta al terrorismo, sinergie private, sicurezza delle infrastrutture, sviluppo di partenariati industriali e addestramento delle forse del Paese. A ribadire il ruolo di primo piano del nostro Paese in questi e in altri campi è stato lo stesso premier Al-Sudani, che ha infatti elogiato il ruolo dell’Italia “nella lotta al terrorismo, nell’eliminazione delle forze Isis e nell’addestramento delle forze di sicurezza irachene nell’ambito della missione Nato”. Aggiungendo inoltre che sono “grandi e promettenti” le opportunità di cooperazione tra Roma e Bagdad, sottolineando così la “prosecuzione della cooperazione di sicurezza con l’Iraq nel campo dell’addestramento delle forze di sicurezza irachene”.
Elicotteri e missili, ecco il contratto che avvicina Madrid agli F-35
Un contratto di quasi un miliardo di euro per l’acquisto di elicotteri multi-missione e missili per la difesa terra-aria. È quanto assegnato da Madrid al gigante statunitense della Difesa, Lockheed Martin, per l’acquisto di otto elicotteri MH-60R Romeo e un nuovo lotto di missili Patriot. Con questo accordo, il governo spagnolo sembra essersi definitivamente orientato verso l’acquisizione di materiale militare made in Usa, una scelta che assume anche una valenza politica alla vigilia dell’incontro tra il premier Pedro Sanchez e il presidente Usa Joe Biden il 12 maggio alla Casa bianca, dove all’ordine del giorno ci sarà, tra le altre cose, la collaborazione militare e industriale.
L’intesa con Lockheed
All’interno del contratto con Lockheed, il ministero della Difesa madrileno ha autorizzato l’acquisto di otto MH-60R Romeo con 820,5 milioni di euro, destinati a sostituire la flotta di SH-60B attualmente in uso, anch’essi – tra l’altro – prodotti dalla Lockheed Martin. L’obbiettivo è fornire alla Marina militare spagnola, presso cui gli elicotteri sono stanziati, di coprire le sue necessità e potenziare le sue capacità multi-missione e di appoggio logistico. Accanto agli elicotteri, Madrid ha anche disposto l’acquisto, con 145 milioni, di nuovi Patriot, missili terra-aria per la difesa tattica di punto e uno dei principali prodotti del gigante statunitense. Attualmente, una delle batterie missilistiche spagnole è schierata in Turchia, parte dello schieramento di difesa aerea della Nato.
F-35 per Madrid
Accanto a questi sistemi e piattaforme già assegnati, importante sarà anche un’altra partita che vedrà il governo di Madrid interagire con Lockheed. La Marina militare spagnola ha infatti la necessità di sostituire i suoi attuali aerei AV-8B Harrier, caccia a decollo corto e atterraggio verticale di quarta generazione destinati a venire ritirati. Nonostante il contratto da sei miliardi e 250 milioni non sia ancora stato aggiudicato, il favorito è il caccia di quinta generazione F-35B, attualmente l’unico aereo di quinta generazione sul mercato capace di operare sulle portaerei. Una scelta simile, insomma, a quella operata dalla Marina militare italiana, anche lei impegnata nella sostituzione dei suoi AV-8B+ con i Lightning II.
L’interesse spagnolo
L’interesse spagnolo per l’F-35 era già stato manifestato l’anno scorso quando il quotidiano spagnolo El Pais, commentando sui ritardi accumulati dal programma Future combat air system (Fcas), in cui la Spagna è impegnata dal 2019 insieme a Francia e Germania, rivelò come le Forze armate di Madrid sarebbero state interessate ad acquistare un’alternativa per poter sostituire gli attuali F-18. Secondo il giornale, gli ufficiali dell’Aeronautica militare “non hanno dubbi sulle loro preferenze: l’F-35, il velivolo di quinta generazione prodotto dalla Lockheed Martin americana, è il loro preferito”.
I tre paradossi che hanno reso la politica impotente
Nel suo editoriale di sabato, il direttore Mattia Feltri ci ha ricordato i due paradossi su cui si è fondata la cosiddetta Seconda repubblica, nelle cui trentennali code ancora ci dibattiamo. Il primo consiste nell’aver cancellato per via giudiziaria i partiti espressione delle culture liberal-democratiche che fino a quel momento avevano governato il Paese lasciando in campo solo gli “eredi delle macellerie novecentesche”. Cioè i post comunisti del Pds e i post fascisti del Msi. Il secondo paradosso consiste nel non aver capito che la gragnola di monetine lanciate sulla testa di Bettino Craxi avrebbe delegittimato non solo il leader socialista ma l’intera politica, condannando il dibattito pubblico ad un’inarrestabile deriva demagogica e l’Italia intera all’inevitabile stallo in un eterno presente.
Aggiungerei un terzo paradosso, la cancellazione dei partiti politici in quanto tali. Cioè in quanto strutture organizzate e appositamente finanziate. Strutture da cui dipende(va) la formazione, attraverso un lungo cursus honorum, del ceto politico e la definizione, attraverso un duro ma regolato confronto interno, della linea politica. E con esse la svalutazione dell’idea stessa del professionismo in politica, frettolosamente sostituita con un leaderismo presunto autoreggente e con un nuovismo pericolosamente prossimo al nichilismo.
Formalmente, a determinare quest’ultima involuzione parossistica sono stati gli stessi politici, ma lo hanno fatto incalzati dalla demagogia populistica di un sistema mediatico ignaro del fatto che politica e informazione sono facce della stessa moneta, sì che a svalutarne una si svaluta inesorabilmente anche l’altra. Non c’è, pertanto, da sorprendersi se i partiti oggi perdono iscritti tanto quanto i giornali perdono lettori. Una nemesi.
Questi, dunque, i vizi d’origine della “nuova” stagione politica, e con tutta evidenza da quei vizi non ci siamo più ripresi. Lo testimoniano le difficoltà sostanziali delle due leader del momento, momento teoricamente costituente un nuovo ordine interno ed internazionale. Giorgia Meloni ed Elly Schlein sono, infatti, l’una il negativo dell’altra e per certi aspetti rappresentano due facce della medesima medaglia. La prima, Giorgia Meloni, è appesantita da un’identità politica e trattenuta da radici culturali passate da cui fatica a liberarsi. La seconda, Elly Schlein, è talmente priva di identità politica e di radici culturali da essere identificata in un trench dal colore indefinibile.
Entrambe faticano a darsi un registro politico e un’identità coerenti con la realtà della fase storica che le vede protagoniste; entrambe appaiono imprigionate nella rete della demagogia, dell’irrealtà e delle semplificazioni esasperate tessuta filo dopo filo con ordinaria irresponsabilità negli anni trascorsi all’opposizione l’una del governo l’altra del partito. Una rete che gli ha consentito di arrivare dove sono, ma che ora sembra impedirgli di muoversi per giungere dove vorrebbero.
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sConcerto
La fregola dell’annuncio ha giocato un brutto scherzo ma, a parte l’inciampo maldestro e la segnalazione del sotterraneo sobbollire nelle file della maggioranza parlamentare, è il merito che induce a dubitare. In vista del primo maggio, per far concorrenza al concerto (divertimento & retorica), il governo ha seminato lo sconcerto nel correre ad assicurare un taglio del cuneo fiscale. Se per farlo è necessario uno scostamento di bilancio – quindi un maggiore deficit, quindi un maggiore debito (a tassi più alti) – l’annuncio sarà un mezzo raggiro.
Il cuneo fiscale è la differenza fra il costo del lavoratore per il datore di lavoro e la cifra netta che il lavoratore stesso effettivamente incassa. Tale differenza è alta in tutti i grandi Paesi europei e l’Italia non è in testa a questa classifica del prelievo (guida la Francia). È alta perché sono i Paesi con sistemi sociali e previdenziali più ampi e costosi, a cominciare dalla spesa per le pensioni (non a caso in Francia la necessaria riforma e restrizione ha creato scompiglio). In teoria quei prelievi sono una forma di assicurazione forzosa: sei obbligato a versare oggi quel che potrai avere domani. In realtà non funziona così, perché i sistemi a ripartizione (come il nostro) utilizzano i versamenti odierni non per accantonarli e conservarli per il futuro, ma per pagare i pensionati di oggi. Quelli di domani saranno pagati dai lavoratori di domani, che è poi la ragione per cui se diminuiscono i lavoratori e aumentano i pensionati il sistema non regge. In queste condizioni il prelievo previdenziale è molto simile a un prelievo fiscale, talché paghi non per quel che avrai ma per quel che si spende ora. Se faccio diminuire il cuneo non diminuendo le spese ma aumentando deficit e debito, sto promettendo maggiore pressione fiscale futura. Chi la pagherà? I lavoratori dipendenti, come i dati Irpef confermano anno dopo anno. Ovvero gli stessi che oggi dovrebbero essere grati per il beneficio. Se ne fossero consapevoli la gratitudine scemerebbe.
Stabilire chi e quanto tassare – quindi poi chi e quanto beneficiare – è una scelta eminentemente politica. Destra e sinistra è giusto ed è bene che siano diverse. Se solo ne parlassero e se solo alle parole seguissero atti coerenti. Quando la coperta è corta si deve scegliere chi coprire e chi lasciare all’agghiaccio. Ma quando la sindrome della coperta corta si produce su un unico corpo di lavoratori (talché la scelta è fra gli alluci e il naso) somiglia a un raggiro. Non è più una scelta politica, ma un politicismo che spera di non essere sgamato.
La magra parlamentare sarà presto dimenticata, come il trambusto vistosi ieri, ma l’ingrassare del debito non diretto a investimenti e non creatore di ricchezza – figlio dell’incapacità di ridurre la spesa corrente e contrastare decentemente l’evasione fiscale – peserà negli anni a venire e sarà indimenticabile. Come già lo è.
Il che innesca un circolo vizioso. Perché se il governo evita le scelte e sposta incassi e spese, al sindacato non resta che chiedere “di più”, mentre l’opposizione si guarda bene dal richiamare la realtà dei conti, sperando di raccogliere voti promettendo altri sconti. È così che una grande società industriale nega la realtà a sé stessa e usa il bilancio pubblico non per recuperare gli scompensi, ma per produrli e rimandarli. Una politica che rinuncia alla visione del futuro e un sindacato che rinuncia a ricordarsi che lavoratori e contribuenti sono le medesime persone.
L’alternativa c’è, consistendo nel far vedere in cosa la spesa per investimenti e le riforme che aggiornino e spianino il letto del fiume su cui scorre l’acqua del lavoro e dell’impresa possono costare oggi e giovare subito dopo. Ma non viene praticata in un Paese in cui nessuno crede che altri siano in grado di assicurare nulla già soltanto per domani mattina. Quindi ci si tiene lo sconcerto e si va al concerto. Così si festeggia il lavoro e gli si fa la festa in un colpo solo.
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L’inciviltà via social contro l’inciviltà in treno: il danno esponenziale
Andrea Cangini-Coca web
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Il referendum sulle armi in Ucraina è a rischio ammissibilità, perché in una democrazia matura non ci sono scorciatoie
@Politica interna, europea e internazionale
Alcune considerazioni in punta di diritto sui referendum la cui raccolta delle firme è iniziata il 23 aprile scorso, con due quesiti sull’invio di armamenti
È iniziata il 23 aprile scorso la raccolta delle firme per il cosiddetto referendum pacifista, con due quesiti sull’invio di armamenti.Il primo, promosso dal comitato “Generazioni future”, si propone di abrogare la disposizione (d.l. n. 185/2022, convertito in l. n. 8/2023) che proroga «fino al 31 dicembre 2023, previo atto di indirizzo delle Camere, l’autorizzazione alla cessione di mezzi, materiali ed equipaggiamenti militari in favore delle autorità governative dell’Ucraina». Il secondo quesito, presentato dal comitato Ripudia la Guerra, intende revocare all’esecutivo il potere di derogare al divieto di esportazione, transito e via dicendo di armi a paesi coinvolti nei conflitti. Il passaggio è nella norma della legge sull’invio di armamenti che consente tale deroga qualora essa sia disposta con «deliberazioni del Consiglio dei Ministri, da adottare previo parere delle Camere» (n. 185/90).
L'articolo su @Valigia Blu a firma di @Vitalba è il miglior filo d'Arianna nel labirinto della complessità normativa
Qui il testo completo
Il referendum contro l’invio di armi all’Ucraina è a rischio inammissibilità
Il referendum contro l'invio di armi in Ucraina presenta due quesiti che potrebbero non essere ammessi dalla Corte costituzionale.Valigia Blu
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Hamas rinuncia alle criptovalute, impone nuove tasse a Gaza
di Michele Giorgio
(questo articolo è stato pubblicato il 30 aprile dal quotidiano Il Manifesto)
Pagine esteri, 2 maggio 2023 – Le Brigate Ezzedin Al Qassam, l’ala militare del movimento islamico Hamas, rinuncia alle donazioni in botcoin, una delle sue principali fonti di sostegno economico per proteggere i donatori sul punto di essere individuati da Israele. «Lo facciamo per la sicurezza dei donatori e per evitare loro qualsiasi danno», spiega in un comunicato il gruppo armato. La notizia ha fatto emergere un campo di battaglia poco conosciuto dello scontro tra Hamas e Israele. Da tempo le due parti utilizzano strumenti digitali per la propaganda e la disinformazione ma il ruolo delle criptovalute è rimasto abbastanza in ombra. A Gaza dicono che le agenzie di intelligence israeliane sarebbero in grado di arrivare alle persone che hanno trasferito fondi grazie ai bitcoin. Il pericolo ha indotto le Brigate Al Qassam a ritornare a metodi di finanziamento più tradizionali sebbene siano apparse, per un lungo periodo di tempo, un passo avanti rispetto agli sforzi di Israele per bloccare l’accesso o smantellare la sua rete finanziaria online. A marzo 2022 il canale Telegram «Izz al-Din al-Qassam Brigades» aveva sollecitato circa centottantamila dei suoi follower online a inviare bitcoin a un account registrato dall’organizzazione. «Prenota una quota a sostegno della resistenza tramite il link per la donazione di bitcoin», scrisse il movimento islamico in un messaggio. Poi le cose sono cambiate.
Colpire l’avversario nei bitcoin è uno strumento già utilizzato in altre guerre non convenzionali. Nel 2020, sollecitato da Israele, il Dipartimento di Giustizia degli Stati uniti smantellò diverse reti, inclusa quella di Hamas, rintracciando e sequestrando tutti i 150 conti di criptovaluta che spostavano fondi verso le casse delle Brigate Al Qassam. Il colpo rallentò ma non bloccò la capacità di Hamas di raccogliere fondi con la criptovaluta. Poi nel luglio 2021 il ministro della difesa israeliano Benny Gantz ha ordinato il sequestro di una «rete di portafogli elettronici». Il governo israeliano ha quindi ordinato il blocco di 30 portafogli di criptovaluta di proprietà di una società di Gaza. Le criptovalute, come Bitcoin, forniscono un alto grado di anonimato e ciò le rende attraenti. Ma negli ultimi anni è diventato più facile tracciare il loro movimento e identificare le fonti dei trasferimenti. Fino a spingere l’ala armata di Hamas a puntare su altre fonti di finanziamento.
«Chi si occupa delle finanze per le Brigate Al Qassam ha visto che le attività di contrasto di Israele si sono fatte molto efficaci. Ora dovrà trovare altre strade» ci diceva ieri un giornalista di Gaza che ha chiesto l’anonimato. I bitcoin, ha aggiunto, hanno garantito l’autonomia finanziaria al gruppo armato, permettendo all’esecutivo di Hamas di governare gli oltre due milioni di civili a Gaza, compito che si è rivelato più complesso nel corso degli anni e non solo per il rigido blocco israeliano di quella porzione di territorio palestinese. La necessità di reperire fondi per il funzionamento, almeno parziale, di ministeri e servizi pubblici, ha spinto il movimento islamista a prendere decisioni impopolari, a cominciare l’introduzione di nuove tasse e dazi doganali su vari tipi di merci importate che aggravano la condizione degli abitanti. Di recente non sono mancati gli scioperi, in particolare dei commercianti che già facevano i conti con l’inflazione causata da problemi alla catena di approvvigionamento globale generati dalla guerra Russia-Ucraina. «La nostra gente affronta la fame, la povertà e la disoccupazione da 16 anni, con un tasso di disoccupazione del 47% che tra i giovani sale al 70%. Queste tasse complicano ulteriormente la vita di tutti», spiega l’economista Samir Abu Mudallah, ricordando che circa i due terzi della popolazione di Gaza sopravvivono con pacchi alimentari. Pagine Esteri
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Cina-Mondo: Gli e-book di China Files n°19
È ora disponibile il nuovo e-book di China Files, un dossier che offre alcune riflessioni sulla politica estera cinese degli ultimi anni. Ecco come ottenere una copia e sostenere il lavoro della redazione con un contributo libero
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In Cina e Asia – Marcos è arrivato negli Usa
I titoli di oggi:
Marcos è arrivato negli Usa
Ding Liren è il primo cinese campione del mondo di scacchi
Cina, la ledership presterà maggiore attenzione ai reclami dei cittadiniù
Uzbekistan, vince il "si" al referendum costituzionale
Onu, la Cina chiede più rappresentanza per i paesi in via di sviluppo nel Consiglio di sicurezza
Corea del Sud e Cina i due paesi dove è più costoso crescere figli, rivela uno studio
Myanmar, Qin: "Non c'è una soluzione rapida"
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PRIVACY DAILY 105/2023
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TERRITORI OCCUPATI. Morto in prigione Khader Adnan, faceva lo sciopero della fame
della redazione
Pagine Esteri, 2 maggio 2023 – Il prigioniero politico palestinese Khader Adnan (Jihad) è morto in un carcere israeliano dopo 86 giorni di sciopero della fame contro la sua “detenzione amministrativa” (senza processo). Adnan, figura politica molto nota in Cisgiordania, già in passato aveva fatto in carcere altri quattro lunghi digiuni di protesta contro la detenzione senza processo. Sciopero generale a Gaza, in Cisgiordania, Gerusalemme Est.
Tre razzi lanciati da Gaza sono caduti nel sud di Israele senza causare danni. In Cisgiordania due coloni israeliani sono stati feriti da colpi sparati da un’auto.
Si attendono manifestazioni e raduni di protesta ovunque nei Territori palestinesi occupati. Pagine Esteri.
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Thailandia al voto: scelta tra riforme e status quo filo-militare
È tutto pronto per le elezioni in Thailandia del 14 maggio. Il Pheu Thai domina nei sondaggi ma è difficile che riuscirà a governare da solo, mentre i partiti filo-militari sanno di poter contare sui 250 voti del senato non elettivo
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News da Marte #15 - Coelum Astronomia
"Bentornati su Marte! Oggi abbiamo parecchia carne al fuoco con aggiornamenti da terra, dall’aria e dallo spazio. Iniziamo con questi ultimi. Non solo MRO In questa rubrica vediamo spesso immagini e resoconti del Mars Reconnaissance Orbiter della NASA, ma ci sono numerosi altri satelliti artificiali attorno a Marte."
Missioni internazionali, Meloni conferma linea transatlantica e interesse nazionale
Ucraina, Libia, Niger, Burkina Faso e non solo. Il Consiglio dei ministri, su proposta del presidente Giorgia Meloni e del ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale Antonio Tajani, ha deliberato la prosecuzione delle missioni internazionali e delle iniziative di cooperazione allo sviluppo in corso e l’avvio di nuove missioni internazionali per il 2023.
La deliberazione – si legge sul comunicato del Consiglio dei ministri – è stata approvata previa comunicazione al Presidente della Repubblica ed è accompagnata da una relazione analitica che ha il fine di riferire alle Camere sull’andamento delle missioni internazionali delle Forze armate e delle Forze di polizia, nonché sullo stato degli interventi di cooperazione allo sviluppo a sostegno dei processi di pace e di stabilizzazione, per il periodo 1° gennaio 2022 – 31 dicembre 2022, riportando, nelle schede allegate per ciascuna missione, le informazioni di sintesi. Il documento indica inoltre le missioni internazionali che il governo intende proseguire nel periodo 1° gennaio 2023-31 dicembre 2023, nonché gli interventi di cooperazione allo sviluppo a sostegno dei processi di pace e di stabilizzazione da porre in essere nel medesimo periodo.
Per quanto riguarda la prosecuzione delle missioni in corso, l’Italia, in considerazione del complesso quadro geo-strategico, contraddistinto da persistenti e duraturi fattori di instabilità e aggravato dal conflitto russo-ucraino, continua a operare nella zona del cosiddetto Mediterraneo allargato. All’esterno del Mediterraneo allargato, permane l’esigenza di mantenere una presenza navale nell’area indo-pacifica.
“La strategia di impiego dello strumento militare continua a basarsi sulla tradizionale adesione alle iniziative delle Organizzazioni Internazionali di riferimento per il nostro Paese (Onu, Nato, Eu), non tralasciando la possibilità di cooperare, all’interno di coalizioni ad hoc, con Paesi e attori con i quali condividiamo rapporti di collaborazione o alleanze”, viene specificato nel comunicato del cdm.
Le nuove missioni per l’anno 2023 riguardano la partecipazione di personale militare alle seguenti: missione Ue denominata European Union Military Assistance Mission in Ucraina (Eumam Ucraina); missione Ue denominata European Union Border Assistance in Libya (Eubam Libia); missione Ue denominata European Union Military Partnership Mission in Niger (Eumpm Niger); missione bilaterale di supporto nella Repubblica del Burkina Faso.
L’Italia conferma dunque la sua presenza all’interno del quadro di impegno complesso transatlantico, con il governo Meloni che batte un colpo sul posizionamento atlantista. Ma non solo, perché l’impegno in quei quadranti per Roma è fortemente strategico. Al di là del conflitto russo Ucraina, dove la necessità strategica italiana è appunto mostrarsi affidabile con gli alleati del blocco Nato e con parte dei Paesi like-minded dell’Indo Pacifico, come Giappone e Corea del Sud; per l’Italia c’è parecchio altro.
Se le attività venture all’interno della regione indo-pacifica sono parte di un ampliamento in divenire delle visioni di politica estera, quelle nel quadrante del Mediterraneo allargato sono una conferma della volontà italiana di segnare la presenza nella fascia di diretta proiezione geopolitica. E allora su tutte, la più simbolica, quella in Libia. E più quelle nel Sahel (Niger, Burkina Faso). La fascia è soggetta a pesanti destabilizzazioni di carattere securitario, indotte dal proliferare due gruppi armati e dal moltiplicarsi di crisi istituzionali — come quella recentissima in Sudan. Qui l’Italia trova interessi che vanno dal tema sicurezza stretto (potenziali rischi di sviluppi terroristici e immigrazione) a perdita di influenza a beneficio di attori rivali (con riflessi sul quadro economico/commerciale e politico).
L'elettrico è il futuro (checchè ne dicano i no-tutto)
L'imprenditore del settore mobilità avveduto ha già capito questo e si è già dato da fare. Da buoni italiani però ci prendiamo sempre all'ultimo e allora corriamo da mamma a piangere inventandoci scuse bambinesche.
lamborghini.com/it-en/modelli/…
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“Privacy and Data Protection in Software Services” di Roberto Senigaglia, Claudia Irti, Alessandro Bernes (Springer)
Le iniziative delle altre Autorità
🔊 #Risentiamoli ⏩ JINGO DE LUNCH "PERPETUUM MOBILE"
Quella dei Jingo De Lunch sarà una parabola ascendente rapidissima, che li consacrerà quasi immediatamente tra le realtà più interessanti, per poi vederli sparire in modo quasi improvviso.
iyezine.com/riascoltiamoli-jin…
RIASCOLTIAMOLI - JINGO DE LUNCH "PERPETUUM MOBILE" 1987
RIASCOLTIAMOLI - JINGO DE LUNCH "PERPETUUM MOBILE" - Quella dei Jingo De Lunch sarà una parabola ascendente rapidissima, che li consacrerà quasi immediatamente tra le realtà più interessanti, per poi vederli sparire in modo quasi improvviso.Marco Valenti (In Your Eyes ezine)
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Il confronto Usa-Cina, tra Nato globale, ruolo dell’Ue e competizione sulle tecnologie
Nel 2017 un famoso politologo americano, Graham Allison, pubblicò un libro intitolato “Destined for war. Can America and China escape Thucydides’s trap?“, che suscitò tra gli esperti un ampio e acceso dibattito. Citando Tucidide e la guerra del Peloponneso, l’autore ipotizzava che Stati Uniti e Cina, potenze sempre più concorrenti nello scenario globale, potessero entrare violentemente in rotta di collisione. Con il rischio di una guerra, come documentato nel libro con vari esempi storici precedenti.
L’ipotesi di un possibile scontro militare tra Cina e Stati Uniti è ormai molto diffusa nella comunità degli studiosi di politica internazionale. Di certo le tensioni nel corso degli ultimi anni sono andate crescendo enormemente, al netto del colore delle amministrazioni americane, e con la guerra in Ucraina non hanno fatto altro che aumentare. E la vicenda Taiwan potrebbe essere solo uno dei possibili elementi di frattura anche in futuro.
Il recente incontro tra Xi Jinping e Vladimir Putin e il ruolo assunto a livello globale dalla Cina palesano sempre di più le intenzioni cinesi di rivendicare una postura di primaria importanza sul piano internazionale, in alternativa al ruolo svolto dall’occidente. E anche le recenti affermazioni cinesi nei confronti degli Usa, per quanto possano essere viziate da una certa strumentalità, evidenziano un chiaro tentativo di costruire un fronte politico anti-occidentale di cui la Cina sembra volersi candidare a guida. Se nel tempo possa diventare un nuovo polo antagonista al mondo libero è difficile da dire. Certamente l’eterogeneità tra i diversi regimi autocratici che potrebbero comporlo è ben maggiore di quella che caratterizzava nel Novecento il fronte comunista. Questa eterogeneità ideologica e culturale, che spesso nasconde diversi interessi nazionali, potrebbe non impedire la formazione di una coalizione di Paesi non democratici contrapposta a quelli democratici, ma potrebbe anche essere un limite.
Negli ultimi anni, soprattutto sul versante economico e tecnologico, lo scontro si è fatto sempre più aspro. E non a caso la stessa Nato, e l’Europa, hanno iniziato a guardare alla Cina come a una rivale strategica. La “Nato globale” disegnata con il nuovo Concetto strategico sarà protagonista di questa nuova stagione di competizione tra potenze globali di cui Usa e Cina saranno, inevitabilmente, i principali attori. E potrà essere anche il consesso perfetto per unire i Paesi democratici euro-atlantici.
In futuro la temperatura del confronto potrebbe scaldarsi ancora, con alcuni possibili punti di rottura. Dalla crisi ucraina, la cui soluzione è ancora lontana, alle tensioni nel Pacifico. Ma sarà soprattutto la competizione sulle nuove tecnologie, dal digitale all’energia, a rappresentare il cuore dello scontro tra i contendenti.
Anche per questo il fronte dei Paesi occidentali non dovrà solo rafforzarsi cementando alleanze e collaborazioni con i Paesi del Pacifico come Corea del Sud, Giappone e Australia, ma dovrà anche tentare di riaprire il dialogo e rafforzare i legami con i Paesi africani e mediorientali, aree del mondo dove la Cina è sempre più attiva.
In tutto questo restano due grandi incognite, fondamentali per i futuri equilibri globali: da un lato il ruolo che in questa sfida vorrà giocare l’Europa, al fianco dei suoi alleati; dall’altro il destino del gigante indiano, un Paese democratico e in grande ascesa, che sta giocando un ruolo sempre più autonomo sul piano internazionale. I contorni di questa sfida sono comunque già ben delineati ed è chiaro quale sia la posta in gioco: il futuro degli equilibri geopolitici globali.
Questo articolo è stato pubblicato nell’ultimo numero di Airpress
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Ministero dell'Istruzione
Un augurio speciale da parte del Ministero a chi lavora nella scuola, a tutto il personale che accompagna studentesse e studenti nel loro percorso di studi e di vita. Buon #1maggio!Telegram
Cosa ci dice la telefonata tra Xi e Zelensky?
Prima la mediazione tra Iran e Arabia Saudita, poi il corteggiamento dei leader europei: dove possibile, la Cina ha cercato in ogni modo di ripristinare la propria reputazione internazionale in risposta al rapido deterioramento dei rapporti con gli Stati Uniti. Ora non è escluso che anche la guerra in Ucraina venga sfruttata come palcoscenico per promuovere l’immagine di una Cina superpotenza responsabile.
L'articolo Cosa ci dice la telefonata tra Xi e Zelensky? proviene da China Files.
Le cinque poesie di Pasolini pubblicate su Paese Sera il 5 gennaio 1974
Il significato del rimpianto
Poesia popolare
Appunto per una poesia lappone
La recessione
Appunto per una poesia in terrone
Pier Paolo Pasolini, La nuova gioventù. Poesie friulane 1941-1974, Torino, Einaudi, 1975
archive.org/details/glistruzzi…
( Gli Struzzi) Pier Paolo Pasolini La Nuova Gioventu Poesie Friulane 1941 1974 Einaudi ( 1975) : Pier Paolo Pasolini : Free Download, Borrow, and Streaming : Internet Archive
La nuova gioventù: poesie friulane 1941-1974, Turin: Einaudi, 1975.Description:La nuova gioventù è l’ultimo libro pubblicato in vita da Pier Paolo...Internet Archive
La lettera di Pasolini a Calvino, intitolata “Quello che rimpiango”
Caro Calvino,
Maurizio Ferrara dice che io rimpiango un’«età dell’oro», tu dici che rimpiango l’«Italietta»: tutti dicono che rimpiango qualcosa, facendo di questo rimpianto un valore negativo e quindi un facile bersaglio.
Ciò che io rimpiango (se si può parlare di rimpianto) l’ho detto chiaramente, sia pure in versi («Paese sera», 5-1-1974). Che degli altri abbiano fatto finta di non capire è naturale. Ma mi meraviglio che non abbia voluto capire tu (che non hai ragioni per farlo). Io rimpiangere l’«Italietta»? Ma allora tu non hai letto un solo verso delle Ceneri di Gramsci o di Calderón, non hai letto una sola riga dei miei romanzi, non hai visto una sola inquadratura dei miei films, non sai niente di me! Perché tutto ciò che io ho fatto e sono, esclude per sua natura che io possa rimpiangere l’Italietta. A meno che tu non mi consideri radicalmente cambiato: cosa che fa parte della psicologia miracolistica degli italiani, ma che appunto per questo non mi par degna di te.
L’«Italietta» è piccolo-borghese, fascista, democristiana; è provinciale e ai margini della storia; la sua cultura è un umanesimo scolastico formale e volgare. Vuoi che rimpianga tutto questo? Per quel che mi riguarda personalmente, questa Italietta è stata un paese di gendarmi che mi ha arrestato, processato, perseguitato, tormentato, linciato per quasi due decenni. Questo un giovane può non saperlo. Ma tu no. Può darsi che io abbia avuto quel minimo di dignità che mi ha permesso di nascondere l’angoscia di chi per anni e anni si attendeva ogni giorno l’arrivo di una citazione del tribunale e aveva terrore di guardare nelle edicole per non leggere nei giornali atroci notizie scandalose sulla sua persona. Ma se tutto questo posso dimenticarlo io, non devi però dimenticarlo tu…
D’altra parte questa «Italietta», per quel che mi riguarda, non è finita. Il linciaggio continua. Magari adesso a organizzarlo sarà l’«Espresso», vedi la noterella introduttiva («Espresso», 23-6-1974) ad alcuni interventi sulla mia tesi («Corriere della Sera», 10-6-1974): noterella in cui si ghigna per un titolo non dato da me, si estrapola lepidamente dal mio testo, naturalmente travisandolo orrendamente, e infine si getta su me il sospetto che io sia una specie di nuovo Plebe: operazione di cui finora avrei creduto capaci solo i teppisti del «Borghese».
Io so bene, caro Calvino, come si svolge la vita di un intellettuale. Lo so perché, in parte, è anche la mia vita. Letture, solitudini al laboratorio, cerchie in genere di pochi amici e molti conoscenti, tutti intellettuali e borghesi. Una vita di lavoro e sostanzialmente perbene. Ma io, come il dottor Hyde, ho un’altra vita. Nel vivere questa vita, devo rompere le barriere naturali (e innocenti) di classe. Sfondare le pareti dell’Italietta, e sospingermi quindi in un altro mondo: il mondo contadino, il mondo sottoproletario e il mondo operaio. L’ordine in cui elenco questi mondi riguarda l’importanza della mia esperienza personale, non la loro importanza oggettiva. Fino a pochi anni fa questo era il mondo preborghese, il mondo della classe dominata. Era solo per mere ragioni nazionali, o, meglio, statali, che esso faceva parte del territorio dell’Italietta. Al di fuori di questa pura e semplice formalità, tale mondo non coincideva affatto con l’Italia. L’universo contadino (cui appartengono le culture sottoproletarie urbane, e, appunto fino a pochi anni fa, quelle delle minoranze operaie – ché erano vere e proprie minoranze, come in Russia nel ’17) è un universo transnazionale: che addirittura non riconosce le nazioni. Esso è l’avanzo di una civiltà precedente (o di un cumulo di civiltà precedenti tutte molto analoghe fra loro), e la classe dominante (nazionalista) modellava tale avanzo secondo i propri interessi e i propri fini politici (per un lucano – penso a De Martino – la nazione a lui estranea, è stato prima il Regno Borbonico, poi l’Italia piemontese, poi l’Italia fascista, poi l’Italia attuale: senza soluzione di continuità).
È questo illimitato mondo contadino prenazionale e preindustriale, sopravvissuto fino a solo pochi anni fa, che io rimpiango (non per nulla dimoro il più a lungo possibile, nei paesi del Terzo Mondo, dove esso sopravvive ancora, benché il Terzo Mondo stia anch’esso entrando nell’orbita del cosiddetto Sviluppo).
Gli uomini di questo universo non vivevano un’età dell’oro, come non erano coinvolti, se non formalmente con l’Italietta. Essi vivevano quella che Chilanti ha chiamato l’età del pane. Erano cioè consumatori di beni estremamente necessari. Ed era questo, forse che rendeva estremamente necessaria la loro povera e precaria vita. Mentre è chiaro che i beni superflui rendono superflua la vita (tanto per essere estremamente elementari, e concludere con questo argomento).
Che io rimpianga o non rimpianga questo universo contadino, resta comunque affar mio. Ciò non mi impedisce affatto di esercitare sul mondo attuale così com’è la mia critica: anzi, tanto più lucidamente quanto più ne sono staccato, e quanto più accetto solo stoicamente di viverci.
Ho detto, e lo ripeto, che l’acculturazione del Centro consumistico, ha distrutto le varie culture del Terzo Mondo (parlo ancora su scala mondiale, e mi riferisco dunque appunto anche alle culture del Terzo Mondo, cui le culture contadine italiane sono profondamente analoghe): il modello culturale offerto agli italiani (e a tutti gli uomini del globo, del resto) è unico. La conformazione a tale modello si ha prima di tutto nel vissuto, nell’esistenziale: e quindi nel corpo e nel comportamento. È qui che si vivono i valori, non ancora espressi, della nuova cultura della civiltà dei consumi, cioè del nuovo e del più repressivo totalitarismo che si sia mai visto. Dal punto di vista del linguaggio verbale, si ha la riduzione di tutta la lingua a lingua comunicativa, con un enorme impoverimento dell’espressività. I dialetti (gli idiomi materni!) sono allontanati nel tempo e nello spazio: i figli sono costretti a non parlarli più perché vivono a Torino, a Milano o in Germania. Là dove si parlano ancora, essi hanno totalmente perso ogni loro potenzialità inventiva. Nessun ragazzo delle borgate romane sarebbe più in grado, per esempio, di capire il gergo dei miei romanzi di dieci-quindici anni fa: e, ironia della sorte!, sarebbe costretto a consultare l’annesso glossario come un buon borghese del Nord!
Naturalmente questa mia «visione» della nuova realtà culturale italiana è radicale: riguarda il fenomeno come fenomeno globale, non le sue eccezioni, le sue resistenze, le sue sopravvivenze.
Quando parlo di omologazione di tutti i giovani, per cui, dal suo corpo, dal suo comportamento e dalla sua ideologia inconscia e reale (l’edonismo consumistico) un giovane fascista non può essere distinto da tutti gli altri giovani, enuncio un fenomeno generale. So benissimo che ci sono dei giovani che si distinguono. Ma si tratta di giovani appartenenti alla nostra stessa élite, e condannati a essere ancora più infelici di noi: e quindi probabilmente anche migliori. Questo lo dico per una allusione («Paese sera», 21-6-1974) di Tullio De Mauro, che, dopo essersi dimenticato di invitarmi a un convegno linguistico di Bressanone, mi rimprovera di non esservi stato presente: là, egli dice, avrei visto alcune decine di giovani che avrebbero contraddetto le mie tesi. Cioè come a dire che se alcune decine di giovani usano il termine «euristica» ciò significa che l’uso di tale termine è praticato da cinquanta milioni di italiani.
Tu dirai: gli uomini sono sempre stati conformisti (tutti uguali uno all’altro) e ci sono sempre state delle élites. Io ti rispondo: sì, gli uomini sono sempre stati conformisti e il più possibile uguali l’uno all’altro, ma secondo la loro classe sociale. E, all’interno di tale distinzione di classe, secondo le loro particolari e concrete condizioni culturali (regionali). Oggi invece (e qui cade la «mutazione» antropologica) gli uomini sono conformisti e tutti uguali uno all’altro secondo un codice interclassista (studente uguale operaio, operaio del Nord uguale operaio del Sud): almeno potenzialmente, nell’ansiosa volontà di uniformarsi.
Infine, caro Calvino, vorrei farti notare una cosa. Non da moralista, ma da analista. Nella tua affrettata risposta alle mie tesi, sul «Messaggero», (18 giugno 1974) ti è scappata una frase doppiamente infelice. Si tratta della frase: «I giovani fascisti di oggi non li conosco e spero di non aver occasione di conoscerli.» Ma: 1) certamente non avrai mai tale occasione, anche perché se nello scompartimento di un treno, nella coda a un negozio, per strada, in un salotto, tu dovessi incontrare dei giovani fascisti, non li riconosceresti; 2) augurarsi di non incontrare mai dei giovani fascisti è una bestemmia, perché, al contrario, noi dovremmo far di tutto per individuarli e per incontrarli. Essi non sono i fatali e predestinati rappresentanti del Male: non sono nati per essere fascisti. Nessuno – quando sono diventati adolescenti e sono stati in grado di scegliere, secondo chissà quali ragioni e necessità – ha posto loro razzisticamente il marchio di fascisti. È una atroce forma di disperazione e nevrosi che spinge un giovane a una simile scelta; e forse sarebbe bastata una sola piccola diversa esperienza nella sua vita, un solo semplice incontro, perché il suo destino fosse diverso.
8 luglio 1974
Calvino e Pasolini. Una polemica letteraria.
Calvino e Pasolini. Una polemica letteraria.
Calvino e Pasolini. Una polemica letteraria. Città PasoliniCittà Pasolini (Pier Paolo Pasolini)