Arabia saudita. Eseguite altre due condanne a morte per “terrorismo”
della redazione
Pagine Esteri, 30 maggio 2023 – L’Arabia Saudita ha comunicato di aver giustiziato due cittadini del Bahrain accusati di aver pianificato atti di “terrorismo”. Secondo le autorità saudite, Jaafar Sultan e Sadeq Thamer sono stati condannati a morte perché presunti membri “di una cellula terroristica” e “per ricevuto addestramento in campi appartenenti a entità terroristiche che mirano a destabilizzare la sicurezza dell’Arabia Saudita e del Bahrain”.
Condannando le esecuzioni, Amnesty International ha riferito che Sultan e Thamer erano stati arrestati in Arabia Saudita l’8 maggio 2015 e condannati nell’ottobre 2021. Il gruppo per la difesa dei diritti umani ha aggiunto che i due bahraniti “avevano detto ai giudici di essere stati torturati e che le loro confessioni sono state estorte con la forza”.
Sayed Ahmed Alwadaei, direttore del Bahrain Institute for Rights and Democracy, ha dichiarato al portale Middle East Eye che le due esecuzioni devono essere classificate come “uccisioni arbitrarie”. “I due uomini hanno confessato sotto tortura e le loro dichiarazioni sono state poi utilizzate come prova contro di loro durante un processo iniquo, una pratica vietata dal diritto internazionale”, ha detto. “La leadership saudita – ha proseguito Alwadaei – si sente immune da qualsiasi conseguenza quando giustizia le persone che ha torturato. Il regime del Bahrein è complice poiché non è intervenuto per salvare le vite dei suoi cittadini, dando il via libera ai sauditi”.
L’Arabia Saudita ha eseguito più di 40 esecuzioni quest’anno. L’uso della pena di morte in Arabia Saudita è quasi raddoppiato dall’ascesa al potere del principe ereditario Mohammed bin Salman. Dal 2015 sono state eseguite più di 1.000 condanne a morte. Solo questo mese, il regno ha condotto nove esecuzioni.
La scorsa settimana, il ministero dell’interno ha annunciato che tre cittadini sauditi Hassan bin Issa al-Muhanna, Haidar bin Hassan Muwais e Mohammed bin Ibrahim Muwais erano stati messi a morte. Pare inoltre imminente l’esecuzione di tre membri della tribù Howeitat nella provincia di Tabuk, nel nord-ovest dell’Arabia Saudita, accusati di aver resistito allo sgombero per far posto al progetto della megacittà di Neom. Pagine Esteri
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Anne Applebaum – La grande carestia
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In un’aula di giustizia occorre tenere le distanze. Separazione delle carriere nodale per la svolta – Il Piccolo
“Io che non amo solo te. I nuovi confini dell’infedeltà” di Selina Zipponi (Edizioni Il Saggiatore)
In Cina e Asia – Shangri-La Dialogue, salta l’incontro tra i ministri della difesa cinese e Usa
I titoli di oggi:
Shangri-La Dialogue, la Cina nega l'incontro tra i ministri della difesa cinese e Usa
Cina, troppi autisti per il ride-hailing: alcune città chiudono l'accesso ai nuovi lavoratori
La Cina e le aste d'arte, raccontate attravero un dipinto di Van Gogh scomparso
Cina-Afghanistan, riaprono i voli diretti
Spazio, partito il nuovo equipaggio della stazione cinese
Giappone, il figlio del premier si dimette per "un comportamento inappropriato"
Corea del Sud, ospitato il primo forum dedicato agli stati insulari del Pacifico
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Digitango – Rainews 24
Ieri sono stato ospite di Digitango la rubrica di RAINEWS 24 condotta da Diego Antonelli con Luciano Floridi e Walter Quattrociocchi per parlare di privacy e tecnologia Qui il link per rivedere la puntata completa rainews.it/rubriche/digitango/…
Le mosse di Xi sulla via della "riunificazione” di Taiwan
Quali nuovi strumenti per Pechino? Dopo quasi 9 mesi di silenzio, la Procura Suprema del Popolo di Pechino ha comunicato l’incriminazione di Yang Chih-yuan. La sua colpa sarebbe quella di aver sostenuto un referendum sull’indipendenza e aver partecipato alla fondazione del Partito Nazionalista di Taiwan, Non ci sono solo le armi militari. Xi Jinping mira a fare passi avanti sulla ...
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ARTIFICIAL INTELLIGENCE DAY: LA RIVOLUZIONE DE- GENERATIVA?
Tra poco avrò il piacere di intervenire all’ evento ARTIFICIAL INTELLIGENCE DAY: LA RIVOLUZIONE DE- GENERATIVA?Ripensare il digitale, rispettare i diritti, organizzato da Class Editori. Inquadrando il QR code potrete seguire la diretta .
Violenze dei coloni, 200 palestinesi lasciano il loro villaggio
di Michele Giorgio*
Pagine Esteri, 30 maggio 2023 –Ne hanno di motivi i coloni israeliani per essere soddisfatti dalla legge di bilancio preparata dal governo di estrema destra religiosa e approvata la scorsa settimana dalla Knesset. Nei prossimi due anni il governo di estrema destra religiosa guidato da Benyamin Netanyahu investirà 3,5 miliardi di shekel (circa 940 milioni di dollari) per gli insediamenti coloniali e altre infrastrutture per i trasporti dei coloni nella Cisgiordania occupata, a cominciare dalle superstrade che aggireranno i centri abitati palestinesi.
A ciò si aggiungono il probabile via libera definitivo alla ricostruzione della colonia di Homesh, nel distretto di Nablus – evacuata e demolita dall’esercito israeliano durante il “ridispiegamento” da Gaza e in Cisgiordania, ordinato nel 2005 dal governo di Ariel Sharon – dove i coloni nei giorni scorsi hanno già allestito un collegio rabbinico e le ruspe sono al lavoro per preparare i siti dove edificare nuove case, e i finanziamenti aggiuntivi per l’espansione degli insediamenti coloniali.
Eppure, ciò che con ogni probabilità soddisfa la destra e i coloni – circa 500 mila in Cisgiordania, oltre ai 250mila a Gerusalemme Est – persino più dei piani faraonici che ha in cantiere il governo Netanyahu, è una notizia in apparenza secondaria ma significativa. Gli abitanti di Ein Samiya, una comunità povera di circa 200 palestinesi, molti dei quali vivono in tende, ad una ventina di chilometri da Gerico, sul versante orientale della Cisgiordania, hanno deciso di lasciare le case in cui vivono dagli anni ’80 perché, spiegano, sono stanchi di dover affrontare le intimidazioni e talvolta violenze vere e proprie da parte di giovani dell’avamposto coloniale di Habladim, nei pressi dell’insediamento di Kochav Hashahar. La ong israeliana per i diritti umani B’Tselem ha documentato diversi attacchi di coloni e soldati. «I residenti della comunità di Ein Samiya – denuncia – hanno subito anni di violenze da parte delle forze israeliane…l’espulsione è un crimine di guerra».
Il trasferimento di piccoli nuclei palestinesi verso le città più grandi è visto con favore dal movimento dei coloni, poiché concentra la popolazione «araba» lasciando libero più territorio all’espansione degli insediamenti. Un esempio noto è quello della comunità beduina di Khan el Ahmar – alle porte di Gerusalemme Est, in cui si trova la Scuola di gomme costruita dalla ong Vento di Terra – di cui sono soprattutto i coloni che vivono in quella zona a chiedere lo sgombero (congelato dal governo, per il momento, a causa di pressioni internazionali).
Due abitanti di Ein Samiya, parlando al quotidiano Haaretz, hanno raccontato che i problemi, iniziati circa cinque anni fa, sono peggiorati nell’ultimo anno. «Abbiamo deciso di andarcene per paura, per il bene dei miei figli. Uno di loro mi ha detto ‘Non voglio vivere qui, i coloni vengono e lanciano pietre’», ha spiegato Khader, padre di nove figli. L’uomo ha riferito che giorni fa, i coloni sono venuti di notte al villaggio e hanno lanciato pietre contro tende e case, alcune delle quali abitate da famiglie con bambini. Mustafa ha detto che alcuni anni fa è arrivato a Ein Samiya un colono che si è definito «il loro manager». «Gli ho detto, diventiamo amici qui: io ti aiuterò e tu mi aiuterai. Lui ha risposto: che tu viva qui non mi va bene. Vai da un’altra parte». La notizia della partenza dei 200 palestinesi è stata salutata con entusiasmo sul gruppo Whatsapp dei «Giovani delle colline» composto da coloni estremisti. «Buone notizie! Due accampamenti beduini che avevano preso il controllo della terra vicino a Kochav Hashahar stanno lasciando il posto», si legge in un messaggio.
Per gli abitanti di Ein Samiya, originari di Bir Saba (oggi Beersheva), non è il primo trasferimento. Prima vivevano sulle terre dove poi è stato costruito Kochav Hashahar. L’esercito israeliano li obbligò ad andarsene perché, spiegò, proprio lì era prevista la costruzione di una sua base. Invece fu edificato l’insediamento coloniale. Pagine Esteri
*Questo servizio è un aggiornamento per Pagine Esteri dell’articolo, firmato sempre da Michele Giorgio, pubblicato il 26 maggio dal quotidiano Il Manifesto ilmanifesto.it/violenze-dei-co…
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PRIVACYDAILY
Kosovo. Scontri serbi-Kfor, almeno 50 i feriti
della redazione
Pagine Esteri, 29 maggio 2023 – Sarebbero almeno 50, secondo l’emittente serba Rst, le persone rimaste ferite oggi nei violenti scontri scoppiati a Zvecan, nel nord del Kosovo, dopo che i sindaci neoeletti nei giorni scorsi avevano cercato di insediarsi pur non essendo riconosciuti dalle popolazioni locali. 25 dei feriti sono militari del Kfor, il contingente a guida Nato agli ordini del generale Angelo Michele Ristuccia. Tra i militari feriti ci sono anche degli italiani.
Il comando della Kfor sostiene di aver ordinato di disperdere gruppi di cittadini serbi che si erano radunati davanti al Comune di Zvecan. Quando ha fatto uso di lacrimogeni e granate stordenti, la folla avrebbe reagito con il lancio di bottiglie e altri oggetti. Il Kfor ha detto che le unità della missione erano state schierate nelle quattro municipalità del nord del Kosovo per contenere le proteste organizzate per impedire l’ingresso nei loro uffici ai sindaci neoeletti nella parte settentrionale di quella che Belgrado considera sempre una sua provincia, non riconoscendone l’indipendenza decretata nel 2008 dopo l’intervento militare della Nato nel 1999.
Da parte serba invece si sostiene che le truppe del Kfor avrebbero fatto uso della forza senza giustificazione. Secondo Rts, inoltre, non ci sarebbero state tensioni a Leposavic e Zubin Potok, dove i cittadini si sono dispersi e hanno annunciato un nuovo raduno per domani. L’ambasciatore Usa a Pristina, Jeffrey Hovenier, dopo l’incontro degli ambasciatori dei Paesi del Quintetto (Francia, Germania, Italia, Regno Unito e Stati Uniti) con il primo ministro Albin Kurti, ha invitato i sindaci eletti del nord a non recarsi negli uffici comunali per non alimentare la tensione.
Per il presidente serbo Aleksandar Vucic ad innescare la tensione sarebbe proprio Albin Kurti. Vuole “portare a spargimenti di sangue nell’intera regione, pochi vogliono sentire la verità e capire il contesto di ciò che sta accadendo”, ha detto Vucic. Il leader serbo ha accusato il primo ministro kosovaro di voler provocare “un grande conflitto tra i serbi e la Nato”, ed “è l’unico da incolpare per tutto ciò che sta accadendo”.
Più di 50.000 serbi che vivono in quattro comuni del nord del Kosovo, tra cui Zvecan, hanno disertato le urne il 23 aprile scorso per protestare contro il fatto che le loro richieste di maggiore autonomia non erano state soddisfatte.
Nei quattro comuni a maggioranza serba l’affluenza elettorale è stata soltanto del 3,47% e la popolazione ha affermato che non collaborerà con i nuovi sindaci – tutti di partiti di etnia albanese – perché non li rappresentano. Se gli albanesi costituiscono quasi il 90% della popolazione totale del Kosovo, i serbi rappresentano di gran lunga la maggioranza nella regione settentrionale. Pagine Esteri
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Erdogan rieletto già agita il pugno contro l’opposizione
della redazione
Pagine Esteri, 29 maggio 2023 – Il presidente turco Tayyip Erdogan ha prolungato i suoi due decenni al potere ottenendo ieri un nuovo mandato per perseguire le sue politiche autoritarie che hanno polarizzato la Turchia ma anche rafforzato la sua posizione di potenza militare regionale.
Il suo sfidante, Kemal Kilicdaroglu, l’ha definita “l’elezione più ingiusta degli ultimi anni” ma ha riconosciuto il risultato. Kilicdaroglu ha ottenuto il 47,9% dei voti contro il 52,1% di Erdogan, risultati che mostrano una nazione profondamente divisa.
L’elezione è stata tra le più importanti per la Turchia contemporanea, con l’opposizione che credeva fino a qualche settimana fa di avere un’ottima possibilità di spodestare Erdogan, in crisi di popolarità per la crisi economica, e di bloccare le sue politiche. Invece, la vittoria ha rafforzato l’immagine di Erdogan che nei suoi lunghi anni al potere ha ridisegnato la politica interna, economica, di sicurezza ed estera della Turchia, paese con 85 milioni di abitanti e membro della Nato
Nel discorso di vittoria pronunciato ad Ankara, Erdogan si è impegnato a lasciarsi alle spalle tutte le controversie e ha invitato il paese ad unirsi dietro i valori e i sogni nazionali. In precedenza, rivolgendosi ai sostenitori esultanti dall’alto di un autobus a Istanbul, aveva detto che “l’unico vincitore oggi è la Turchia”. “Ringrazio ognuno degli elettori che ci ha dato la responsabilità di governare il Paese per altri cinque anni”, ha detto.
Allo stesso tempo Erdogan si è scagliato contro l’opposizione, accusando Kilicdaroglu di essersi schierato con i terroristi, in riferimento al sostegno elettorale offerto dai curdi al suo rivale. E ha detto che il rilascio dell’ex leader del partito filo-curdo Selahattin Demirtas, che ha etichettato come “terrorista”, non avverrà sotto il suo governo.
Secondo Erdogan l’inflazione è il problema più urgente della Turchia.
La sconfitta di Kilicdaroglu con ogni probabilità è stata accolta con dispiacere dagli alleati Nato della Turchia, allarmati dai legami di Erdogan con il presidente russo Vladimir Putin, che si è congratulato con il suo “caro amico” per la sua vittoria.
Comunque sia il presidente degli Stati uniti Joe Biden ha scritto su Twitter: “Non vedo l’ora di continuare a lavorare insieme come alleati della Nato su questioni bilaterali e sfide globali condivise”. Le relazioni degli Usa con Ankara sono state segnate da ripetuti disaccordi, come l’obiezione di Erdogan all’adesione della Svezia alla Nato, ma soprattutto lo stretto rapporto del rieletto presidente turco con Mosca, oltre alle divergenze sulla Siria.
Con il rinnovo del suo mandato, Erdogan diventa il leader più longevo da quando Mustafa Kemal Ataturk ha fondato la Turchia moderna sulle rovine dell’Impero ottomano un secolo fa. Si tratta di un anniversario di eccezionale significato politico che Erdogan, indubbiamente legato al passato ottomano, celebrerà al comando del paese.
Erdogan, capo del partito AK di matrice islamista, ha fatto appello agli elettori con una retorica nazionalista e conservatrice durante una campagna controversa che ha distolto l’attenzione dai profondi problemi economici.
Kilicdaroglu, che aveva promesso di portare il Paese su un percorso più democratico e di rispettare i diritti umani, ha detto che il voto ha mostrato la volontà della gente di cambiare un governo autoritario. “Tutti i mezzi dello stato sono stati posti ai piedi di un uomo”, ha detto.
I sostenitori di Erdogan, che si sono riuniti fuori dalla sua residenza di Istanbul, hanno cantato Allahu Akbar, o Dio è il più grande. E un po’ tutti si sono detti convinti che con lui in carica la Turchia diventerà più forte per altri cinque anni.
Ma la Turchia è divisa a metà e chi ha votato per Kilicdaroglu pensa che la speranza di un cambiamento non sia svanita ieri e che esistano ancora le possibilità di rimuovere dal potere Erdogan. La performance del presidente rieletto però ha spiazzato gli oppositori convinti che gli elettori lo avrebbero punito per la crisi economica, la risposta inizialmente lenta dello Stato ai devastanti terremoti di febbraio, in cui sono morte più di 50.000 persone. Non solo, al primo turno di votazioni del 14 maggio, che includeva le elezioni parlamentari, il partito AK del presidente a sorpresa è emerso al vertice in 10 delle 11 province colpite dai terremoti e potrà continuare a governare assieme agli alleati.
Il presidente francese Emmanuel Macron, che spesso ha avuto contrasti con Erdogan si è congratulato, affermando che Francia e Turchia hanno “enormi sfide da affrontare insieme”. I presidenti di Iran, Israele e il re saudita Salman sono stati tra i primi leader a congratularsi con Erdogan per anni in disaccordo con numerosi governi della regione ma che negli ultimi anni ha assunto una posizione più conciliante. Pagine Esteri
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Digitango – Rainews 24
A partire dalle 20.30 avrò il piacere di essere ospite di Digitango la rubrica di RAINEWS 24 condotta da Diego Antonelli con Luciano Floridi e Walter Quattrociocchi per parlare di privacy e tecnologia Vi aspetto anche on line rainews.it/rubriche/digitango
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Le iniziative delle altre Autorità
L’insano aumento dei magistrati a presidio del Ministero della Giustizia
La riforma dell’ordinamento giudiziario firmata dal precedente ministro, Marta Cartabia, non ha rappresentato certo una rivoluzione. “Timidi passi nella giusta direzione, ovvero a garanzia dei principi cardine dello Stato di diritto”: è così che il mondo forense l’ha grossomodo valutata. Tuttavia l’Associazione nazionale magistrati ne ha paventato effetti dirompenti e ha fatto fuoco e fiamme per impedirne l’approvazione.
La riforma Cartabia è stata approvata sul finire della scorsa legislatura, ma gli addetti ai lavori danno per scontato che non vedrà mai la luce. Il motivo è semplice: i magistrati fuori ruolo che occupano le funzioni apicali del ministero della Giustizia lo impediranno. La tesi non è peregrina. Lo conferma il fatto che lo scorso ottobre la Cartabia non è entrata in vigore a causa, ma guarda un po’, della mancanza dei relativi decreti attuativi che avrebbero dovuto essere licenziati dal Ministero. Non era mai successo prima.
Ebbene, la notizia è che lo strapotere informale della magistratura sulle scelte politiche del ministro della Giustizia di turno non è destinata ad affievolirsi, ma ad accrescersi. Nel Palazzo circola, infatti, un emendamento firmato dal governo che, col pretesto del Pnrr, fa saltare il tetto previsto dal decreto legge 143 del 2008 portando da 65 a 75 il numero massimo di magistrati che possono essere destinati a ricoprire funzioni apicali nel ministero della Giustizia. Dieci magistrati in meno ad occuparsi della giurisdizione, dieci magistrati in più ad impedire che qualsivoglia riforma prenda vita contro il parere della corporazione togata.
Un secondo emendamento governativo prevede la costituzione di una nuova Direzione generale presso il gabinetto del ministro al costo di poco meno di 300mila euro, ed è chiaro a tutti che a ricoprire quella funzione sarà un magistrato. Altri due emendamenti, questa volta di iniziativa parlamentare, firmati da senatori Lega e di FdI, aggira il divieto, previsto della legge Cartabia, di rientro in ruolo per i magistrati che hanno assunto incarichi di governo.
C’è n’è abbastanza per dichiarare ufficialmente defunto l’antico principio del primato della politica. Questione che in tempi ormai lontani il presidente emerito della Repubblica Francesco Cossiga così riassunse: “La funzione legislativa è stata ormai usurpata manu militari dalla magistratura, che, con la complicità di politici timorosi delle conseguenze in caso di diniego, impedirà qualsivoglia riforma vagamente seria dell’ordinamento giudiziario”.
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Una donna a guida delle operazioni navali Usa? Chi è Lisa Franchetti
Sarà forse una donna a guidare lo Stato maggiore della Marina statunitense? Non è ancora dato saperlo con certezza, ma si tratterebbe della prima a ricoprire tale incarico oltreoceano. A dare l’anticipazione sul nome di Lisa Franchetti è stato Breaking defense, definendola “il candidato più probabile” per il ruolo di prossimo capo delle operazioni navali del Paese a stelle e strisce. Ufficiale di carriera della guerra di superficie (surface warfare), Franchetti è attualmente già vice-capo delle operazioni navali e in precedenza ha comandato la Sesta Flotta degli Stati Uniti con sede a Napoli, tra il 2018 e il 2020. È stata, inoltre, la seconda donna (dopo Michelle Howard) a essere promossa ammiraglio a quattro stelle per la Us Navy, rientrando così nell’ancora ristretto alveo delle dieci donne nella storia americana a poter vantare tale grado. Insieme a lei, sembrerebbe esserci l’ammiraglio Samuel Paparo, comandante della Flotta del Pacifico degli Stati Uniti, come altro nome più papabile per guidare le operazioni navali Usa.
In attesa della conferma
Nonostante vi sia la possibilità che le circostanze cambino ancora prima dell’ufficiale nomina di Franchetti e quindi l’annuncio ufficiale da parte della Casa Bianca, sembra essere proprio il suo il nome più papabile secondo gli osservatori e analisti americani. Succederebbe all’ammiraglio Michael Gilday, l’ex comandante della decima Flotta la cui nomina ad ammiraglio maggiore della Marina, quattro anni fa, fu inaspettata e preceduta da uno scandalo che costrinse la prima scelta della Casa Bianca a ritirarsi dal processo.
Il profilo
Nonostante le chiare origini italiane, l’ammiraglio Franchetti è nata a Rochester, nello Stato di New York. Oltre agli incarichi già citati, ha ricoperto il ruolo di direttore per la strategia, i piani e la politica dello Stato maggiore. In qualità del suo ruolo di comando è stata responsabile delle forze nel Mar Nero e zone limitrofe, in particolare in prossimità della Marina russa. Tale esperienza, acquisita operando nel Mediterraneo e vicino alla flotta di Mosca sarà più che mai rilevante, soprattutto ad oggi che perdura da oltre un anno la guerra russo-ucraina. L’ammiraglio Franchetti, tuttavia, non è famosa per stare sotto i riflettori, soprattutto in confronto a Gilday, se non durante le udienze del Congresso e in poche altre occasioni. Quali una recente intervista rilasciata alla Cbs (in compagnia di tre sue colleghe del Pentagono) e nel corso dell’esposizione annuale Sea air space. Non è quindi facile cercare di capire come potrebbe comportarsi nel nuovo ruolo di capo delle operazioni navali per gli Stati maggiori riuniti, in particolare per quanto riguarda il rapporto con il comparto industriale.
Alla guida della VI flotta statunitense
“Lavoriamo per mantenere la pace per un anno in più, un mese in più, una settimana e un giorno in più”, così nel 2018 Lisa Franchetti aveva assunto il ruolo di comandante della Sesta Flotta degli Stati Uniti, l’armata marittima di pronto intervento su tutti gli scacchieri globali, in particolare in Europa e nel Mediterraneo. Contemporaneamente, con il comando della sesta flotta, Franchetti era diventata anche vice comandante delle Forze navali americane in Europa e delle Forze navali statunitensi in Africa.
(Foto: Us Navy)
Nava, Giacalone e Cangini al seminario su Einaudi e la sua idea di giornalismo – Corriere della Sera
Guerra dell’acqua tra Talebani e Iran
della redazione
Pagine Esteri, 29 maggio 2023 – I talebani afghani minacciano di invadere l’Iran se non saranno risolte le dispute tra Kabul e Teheran sul controllo dell’acqua che hanno già fatto tre morti lungo il confine.
In un video, un alto comandante talebano ha avvertito che i talebani sono pronti a combattere la Guardia rivoluzionaria della Repubblica islamica “con più passione” di quanto abbiano combattuto le forze statunitensi in Afghanistan. Ha aggiunto che i talebani “invaderanno presto l’Iran se riceveranno il via libera dai loro comandanti”.
Un altro video dai talebani che schernisce il presidente iraniano Ebrahim Raisi è virale sui social media. In esso un talebano riempie d’acqua una tanica gialla, dicendo sarcasticamente “Signor Raisi, prendi questo barile d’acqua e non attaccare, siamo terrorizzati”.
I media iraniani hanno spiegato gli scontri con la lotta sul confine al traffico di droga generato in Afghanistan. Teheran afferma inoltre che i talebani hanno sparato per primi ai militari della Guardia Repubblicana. I talebani sostengono il contrario.
Gli scontri a fuoco in realtà sono avvenuti per una disputa sull’acqua. All’inizio di maggio, Raisi ha avvertito i talebani di non violare i diritti dell’Iran sul fiume Helmand, condiviso dai due paesi. “Avverto i governanti dell’Afghanistan di concedere immediatamente alla gente i loro diritti sull’acqua”, ha detto. “Prendete sul serio le mie parole o non lamentatevi dopo”, ha aggiunto perentorio.
Le tensioni intorno al fiume sono aumentate negli ultimi due anni da quando i talebani hanno preso il controllo dell’Afghanistan dopo il ritiro delle forze statunitensi.
Un trattato del 1973 tra i due paesi stabilisce che l’Afghanistan deve fornire all’Iran una certa quantità di acqua dal fiume. Kabul però ha violato il trattato e l’Iran ha ricevuto solo il quattro percento dell’acqua dovuta. La mancanza d’acqua è particolarmente significativa per l’Iran che fa i conti una lunga siccità, un problema che riguarda anche l’Afghanistan.
Sullo sfondo ci sono anche le ampie differenze religiose tra le due parti. Sunniti ultraortodossi e molto rigidi, i Talebani guardano con ostilità l’Iran e gli Sciiti. Sono stati responsabili di massacri e abusi a danno della minoranza sciita Hazara in Afghanistan. Pagine Esteri
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Le due eredità di un uomo per bene
Con la partecipazione di Francesca Scopelliti, compagna di Enzo Tortora e presidente della Fondazione per la giustizia «Enzo Tortora»
Modera Salvo La Rosa, Giornalista e conduttore televisivo
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Ambidestri
Dunque la a lungo bistrattata Unione europea è una cosa buona ed è necessario averne di più, che abbia più competenze, che estenda le proprie funzioni. Mica una cosa da poco. E accipicchia se sono significative le parole del ministro della Difesa Guido Crosetto, cui plaudo: «Nessun Paese europeo può difendersi da solo (…). I tempi ci stanno obbligando a mettere insieme le forze armate dei 27 Paesi dell’Unione sul modello Nato». Bravo, ma bravo anche a contestare la tesi di chi gli fa osservare che l’Italia va a rimorchio e conta poco o nulla: «Contiamo moltissimo, assolutamente». Molto bene. È il contrario di quanto gli antieuropeisti hanno salmodiato per anni, esponenti della destra ora al governo compresi; è il contrario dell’Ue in cui non si conta nulla e dalla cui moneta unica si deve uscire. Ma va benissimo così.
Nel mentre Crosetto parlava a Trento, Giorgia Meloni era in Romagna con Ursula von der Leyen, annunciando che accederemo al fondo di garanzia. Giusto. Non che sia una bella cosa, perché si tratta di fondi per far fronte alle disgrazie, ma l’Italia è quella che ha usato il fondo più di ogni altro e ora torna a farlo. L’esistenza di quel fondo è la non nuova dimostrazione della natura solidale dell’Ue. L’opposto di quel che dissero. Del resto, uno dei più grandi meriti di Meloni (e uso il suo nome, anziché quello del suo partito, perché sono sicuro che molti dei suoi – così come i suoi alleati – la pensavano diversamente) è stato quello di assicurare in campagna elettorale che non ci sarebbe stato sfondamento di bilancio, che non avremmo fatto più deficit. Nei successivi atti del governo s’è confermato il percorso di rientro dal debito, già delineato dal governo precedente. E questo è il riconoscimento della validità e utilità dei vincoli di bilancio europei, senza i quali il singolo Paese si troverebbe esposto alla speculazione e soccomberebbe. Come Crosetto ben vede sul fronte militare. Anche in questo caso è il contrario di quel che sostennero, ma va benissimo così. Lo hanno capito tutti e lo hanno capito i mercati. Difatti regna la quiete.
Anche sull’immigrazione s’è capito che non ha senso puntare sulla redistribuzione – perché non funziona e perché già è illegittimamente praticata – ma sui confini comuni, quindi su più Europa. Alla faccia dei paventati e impossibili blocchi navali. E anche qui: bene.
La destra di governo somiglia soltanto nelle pose alla destra di opposizione. Che poi lottizzino la Rai lo trovo disdicevole tanto quanto lo era quando a lottizzarla erano altri. Che il loro elenco di intellettuali di destra sia divertente quanto quello di sinistra (che un intellettuale non si fa intruppare e se si fa intruppare è un corista) era ed è scontato. Si ersero a difensori dell’italianità della mitica “compagnia di bandiera” e ora ne cedono il 90% ai tedeschi di Lufthansa. Va benissimo così. Gianni Agnelli sostenne che la sinistra fa le cose che la destra non può fare. Non che faccia cose di sinistra, ma cose ovvie che agli altri non riescono perché la sinistra s’oppone. Il giochino vale anche al contrario: la destra fa le cose che la sinistra non può fare. Si stanno impiccando alla ratifica della riforma del Mes non perché non sappiano come sciogliere il nodo, ma perché provano a usare furbescamente quel che sanno di dovere fare sommessamente. Meglio non tirare e mollare, tanto più che il cappio non è il Mes – come avventatamente dissero – ma la sceneggiata che stanno facendo.
Dove casca l’asino? In quello che la politica, di destra e di sinistra, non sa fare. La classe dirigente è da troppo tempo selezionata nell’arte parolaia, ma quell’arte serve a nulla quando si ha in mano il Pnrr. Servono competenze, che ci sono ma non fanno politica. E l’occasione è buona per rinsanguare un mondo divenuto anemico. Sperando che, nel frattempo, la sinistra non si metta a fare la destra quand’era all’opposizione, rinunciando a spingere perché i fatti seguano alle parole e sperando di rifarsi gonfiando parole senza sostanza.
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RiOrdino
Non è normale che quando una cosa non si può non farla in tempi ragionevoli, automaticamente si pensi a un commissario. Se poi ci si mette a cincischiare sul colore partitico del commissario stesso è segno che all’imperizia s’unisce l’incoscienza. Non sono due questioni diverse, ma due facce della medesima moneta. Cattiva.
Che un evento disgraziato, terremoto o alluvione, arrivi senza preavviso rientra nell’ordine naturale delle cose. Non sai cosa, non sai quando, ma sai che le disgrazie hanno questa caratteristica e che, pertanto, occorre prepararsi all’imprevedibile. Lo sappiamo e lo facciamo anche bene, visto che protezione civile, pompieri, esercito e forze dell’ordine hanno assicurato – ancora una volta – un soccorso efficiente e immediato. La cosa curiosa (talmente curiosa da non destare neanche curiosità) è che nessuno pensa che un commissario possa fare alcunché nella fase dell’immediata emergenza, quando le cose sono tutte anormali, ma lo si invoca per la fase successiva, quando le cose vanno tornando alla normalità.
E ci sono cose ancora più curiose, che raccontano moltissimo dell’Italia. Quel che più appassiona il legislatore è concepire un bel pensiero, mettere a fuoco una cosa giusta e quindi scriverla in una legge. Fine. Che il Parlamento abbia anche poteri e doveri di controllo ci se ne ricorda quando si tratta di fare Commissioni d’inchiesta pittoresche o eterne. Eppure il governo è un potere “esecutivo” e ci sono amministrazioni preposte alla concretizzazione di quanto legiferato, ad esempio alimentando le banche dati sulle condizioni territoriali o redigendo i piani triennali per quell’assetto. Poi si dovrebbe controllare che i dati siano gestiti correttamente e i piani realizzati. Qui manco li si è raccolti e preparati. E a farlo sarebbero dovuti essere, in diversi casi, dei commissari. Nominati perché prima non lo si faceva.
È un gravissimo errore credere che questa sia “burocrazia”: è la mascheratura dell’incapacità realizzativa e dell’incompetenza politica. Il che porta ad avere tanti soldi a disposizione e a spenderne pochi secondo quanto pianificato, poi correndo a spenderli a piffero per non perderne la disponibilità. I soldi non spesi, a loro volta, restando in cassa diventano “tesoretti”, che i governi di turno sventolano come loro miracolose scoperte, laddove sono il residuato contabile di miserabili fallimenti.
Non è normale che, passata l’emergenza, si dia per certo che la ricostruzione non si possa fare utilizzando i protagonisti istituzionali esistenti. Si dice: bisogna coordinare Comuni, Provincie, Regioni, enti territoriali e azione governativa. Giusto, e allora? In realtà si sta dicendo: tutta quella roba non funziona, quando qualche pezzo funziona sarà l’inerzia degli altri a bloccarlo; quindi, ora che c’è bisogno di fare e fare subito, saltiamoli tutti e facciamo un commissario, anzi no: facciamo un commissario che parli con tutti loro, ma poi decida. Come dire che l’intera macchina istituzionale e amministrativa è da buttare.
All’apice delle curiosità si trova la superstizione secondo cui, invece, tutto funzionerebbe se il capo dell’Italia – ovunque s’allochi (che il costituzionale e comparato non lo si maneggia con disinvoltura) – lo eleggesse trionfalmente il popolo. Ma è un’allucinazione: la legge stabilisce cosa sia l’autorità; la capacità e la serietà creano l’autorevolezza; il fallimento di autorità e autorevolezza genera autoritarismo. Non è un rimedio, è il monumento al male.
Aggiungete lo spettacolo della discussione sul colore del commissario, con il grottesco immaginarne uno “competente” contrapposto a uno “democratico” e avrete la spiegazione del perché la politica appassiona i fanatici delle tifoserie ma disaffeziona quanti restano convinti che un Paese che fa i nostri risultati non meriti una tale condizione, che un riordino non debba essere una rivoluzione ideologica ma una evoluzione pragmatica. E hanno ragione. Popolando il torto di non sapere come cambiare andazzo.
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Ucciso poliziotto Anp a Jenin. Israele ha bombardato in Siria
della redazione
Pagine Esteri, 29 maggio 2023 – Un ufficiale dell’intelligence dell’Autorità nazionale palestinese, Ashraf Ibrahim, 36 anni,è stato ucciso oggi da colpi dall’esercito israeliano penetrato nella notte nella città di Jenin per compiere arresti. Combattenti palestinesi hanno provato a respingere il raid. Nel successivo scontro a fuoco, Ibrahim è stato colpito da due proiettili ed è morto durante il trasporto in ospedale. Altri cinque palestinesi sono rimasti leggermente feriti
A Jenin è stato annunciato uno sciopero generale in seguito all’incidente.
L’ucciso era un militante del partito Fatah e aveva trascorso 11 anni nelle carceri israeliane prima di essere rilasciato nel 2019. Come molti altri ex prigionieri politici di Fatah, si era unito poi unità alle forze di sicurezza palestinesi.
Ieri la Siria ha denunciato un attacco israeliano con missili partiti dalle Alture del Golan, un’area parte del territorio siriano che Israele occupa dal 1967. I missili, in parte abbattuti dalle difese antiaeree siriane, hanno colpito nei pressi di Damasco. Non si ha notizie di vittime. Israele ha condotto negli ultimi anni centinaia di raid aerei in Siria contro quelli che descrive postazioni militari dell’Iran, alleato di Damasco. Pagine Esteri
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La forza del gioco di squadra – Codice di condotta
Oggi abbiamo fatto un altro piccolo passo per contrastare il telemarketing. Non può essere e non sarà la panacea di tutti i mali del telemarketing ma potrà contribuire a promuovere l’attività degli onesti e complicare la vita ai disonesti. Sono felice di esser parte della “squadra” che sta giocando questa partita!
LiberaLibri 2023 – “Jane Eyre” di Charlotte Brontë
Nell’ambito del Maggio dei Libri, Giulia Savarese legge un estratto di “Jane Eyre” di Charlotte Brontë, pubblicato nel 1847.
La lettura è tratta dal capitolo 23.
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Disponibile la nuova puntata del format “Il #MinistroRisponde” 📲
In questo sesto...
Disponibile la nuova puntata del format “Il #MinistroRisponde” 📲
In questo sesto appuntamento si parla degli interventi del Ministero a sostegno delle scuole colpite dall’alluvione in Emilia-Romagna, delle attività a supporto degli studenti in mater…
Ministero dell'Istruzione
Disponibile la nuova puntata del format “Il #MinistroRisponde” 📲 In questo sesto appuntamento si parla degli interventi del Ministero a sostegno delle scuole colpite dall’alluvione in Emilia-Romagna, delle attività a supporto degli studenti in mater…Telegram
Venti di guerra nel Pacifico? Intervista all’ammiraglio Sandalli
Dunque si preparano davvero scenari di guerra nel Mar cinese Orientale e Meridionale? E in che tempi? Qual è la situazione soprattutto da un punto di vista militare nelle acque dove sorge Taiwan, l’isola che la Cina considera una provincia ribelle? La Repubblica Popolare Cinese dispone di una flotta da guerra in grado di competere con quella USA? Ne abbiamo parlato con l’ammiraglio Paolo Sandalli della Marina Militare Italiana, ora in congedo ma a lungo operativo nel Sud est asiatico e dunque attivo per la nostra Marina in quel teatro Estremo Orientale
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In Cina e Asia – Il nuovo ambasciatore cinese fa visita a Kissinger
Xie Feng fa visita a Henry Kissinger
Gli Usa rafforzano le catene di approvvigionamento dei settori critici
Bill Gates: la Cina può dare un contributo unico alle sfide globali
Il primo aereo a fusoliera stretta realizzato in Cina fa il suo esordio nella tratta Shanghai-Pechino
La Corea del Nord fortifica i suoi confini con Cina e Russia
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Erdogan rieletto già agita il pugno contro l’opposizione
della redazione
Pagine Esteri, 29 maggio 2023 – Il presidente turco Tayyip Erdogan ha prolungato i suoi due decenni al potere ottenendo ieri un nuovo mandato per perseguire le sue politiche autoritarie che hanno polarizzato la Turchia ma anche rafforzato la sua posizione di potenza militare regionale.
Il suo sfidante, Kemal Kilicdaroglu, l’ha definita “l’elezione più ingiusta degli ultimi anni” ma ha riconosciuto il risultato. Kilicdaroglu ha ottenuto il 47,9% dei voti contro il 52,1% di Erdogan, risultati che mostrano una nazione profondamente divisa.
L’elezione è stata tra le più importanti per la Turchia contemporanea, con l’opposizione che credeva fino a qualche settimana fa di avere un’ottima possibilità di spodestare Erdogan, in crisi di popolarità per la crisi economica, e di bloccare le sue politiche. Invece, la vittoria ha rafforzato l’immagine di Erdogan che nei suoi lunghi anni al potere ha ridisegnato la politica interna, economica, di sicurezza ed estera della Turchia, paese con 85 milioni di abitanti e membro della Nato
Nel discorso di vittoria pronunciato ad Ankara, Erdogan si è impegnato a lasciarsi alle spalle tutte le controversie e ha invitato il paese ad unirsi dietro i valori e i sogni nazionali. In precedenza, rivolgendosi ai sostenitori esultanti dall’alto di un autobus a Istanbul, aveva detto che “l’unico vincitore oggi è la Turchia”. “Ringrazio ognuno degli elettori che ci ha dato la responsabilità di governare il Paese per altri cinque anni”, ha detto.
Allo stesso tempo Erdogan si è scagliato contro l’opposizione, accusando Kilicdaroglu di essersi schierato con i terroristi, in riferimento al sostegno elettorale offerto dai curdi al suo rivale. E ha detto che il rilascio dell’ex leader del partito filo-curdo Selahattin Demirtas, che ha etichettato come “terrorista”, non avverrà sotto il suo governo.
Secondo Erdogan l’inflazione è il problema più urgente della Turchia.
La sconfitta di Kilicdaroglu con ogni probabilità è stata accolta con dispiacere dagli alleati Nato della Turchia, allarmati dai legami di Erdogan con il presidente russo Vladimir Putin, che si è congratulato con il suo “caro amico” per la sua vittoria.
Comunque sia il presidente degli Stati uniti Joe Biden ha scritto su Twitter: “Non vedo l’ora di continuare a lavorare insieme come alleati della Nato su questioni bilaterali e sfide globali condivise”. Le relazioni degli Usa con Ankara sono state segnate da ripetuti disaccordi, come l’obiezione di Erdogan all’adesione della Svezia alla Nato, ma soprattutto lo stretto rapporto del rieletto presidente turco con Mosca, oltre alle divergenze sulla Siria.
Con il rinnovo del suo mandato, Erdogan diventa il leader più longevo da quando Mustafa Kemal Ataturk ha fondato la Turchia moderna sulle rovine dell’Impero ottomano un secolo fa. Si tratta di un anniversario di eccezionale significato politico che Erdogan, indubbiamente legato al passato ottomano, celebrerà al comando del paese.
Erdogan, capo del partito AK di matrice islamista, ha fatto appello agli elettori con una retorica nazionalista e conservatrice durante una campagna controversa che ha distolto l’attenzione dai profondi problemi economici.
Kilicdaroglu, che aveva promesso di portare il Paese su un percorso più democratico e di rispettare i diritti umani, ha detto che il voto ha mostrato la volontà della gente di cambiare un governo autoritario. “Tutti i mezzi dello stato sono stati posti ai piedi di un uomo”, ha detto.
I sostenitori di Erdogan, che si sono riuniti fuori dalla sua residenza di Istanbul, hanno cantato Allahu Akbar, o Dio è il più grande. E un po’ tutti si sono detti convinti che con lui in carica la Turchia diventerà più forte per altri cinque anni.
Ma la Turchia è divisa a metà e chi ha votato per Kilicdaroglu pensa che la speranza di un cambiamento non sia svanita ieri e che esistano ancora le possibilità di rimuovere dal potere Erdogan. La performance del presidente rieletto però ha spiazzato gli oppositori convinti che gli elettori lo avrebbero punito per la crisi economica, la risposta inizialmente lenta dello Stato ai devastanti terremoti di febbraio, in cui sono morte più di 50.000 persone. Non solo, al primo turno di votazioni del 14 maggio, che includeva le elezioni parlamentari, il partito AK del presidente a sorpresa è emerso al vertice in 10 delle 11 province colpite dai terremoti e potrà continuare a governare assieme agli alleati.
Il presidente francese Emmanuel Macron, che spesso ha avuto contrasti con Erdogan si è congratulato, affermando che Francia e Turchia hanno “enormi sfide da affrontare insieme”. I presidenti di Iran, Israele e il re saudita Salman sono stati tra i primi leader a congratularsi con Erdogan per anni in disaccordo con numerosi governi della regione ma che negli ultimi anni ha assunto una posizione più conciliante. Pagine Esteri
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PRIVACYDAILY
Siena, lo stadio della vergogna
Scuole del Tigray in rovina, 3.846 studenti, insegnanti uccisi nel conflitto genocida
Il conflitto nella regione etiope del Tigray è costato la vita a oltre 3.846 insegnanti e studenti, è quanto rivela l’Ethiopian Institution of the Ombudsman
Le valutazioni dei danni in corso dipingono un quadro cupo di devastazione per le scuole e le strutture educative.
Il rapporto, presentato il 25 maggio 2023, ha rivelato che la guerra nel Tigray aveva causato la morte di 2.146 studenti e 1.700 insegnanti in due anni. La sostanziale perdita di vite umane minaccia di interrompere gravemente l’apprendimento per una generazione di giovani del Tigray.
Sei mesi dopo la fine dei combattimenti con l’accordo di Pretoria, oltre 2,8 milioni di tigrini sono ancora sfollati dalle loro case.
I risultati sono emersi una settimana dopo che gli sfollati interni e i residenti del Tigray hanno organizzato massicce proteste chiedendo il ritiro delle forze eritree e amhara che occupavano parti del Tigray.
Funzionari dell’Amministrazione provvisoria del Tigray hanno affermato che finché queste truppe rimarranno, gli sfollati interni non potranno tornare ai loro precedenti mezzi di sussistenza, comprese le scuole lasciate in frantumi all’indomani del conflitto.
Un milione dei 2,8 milioni di sfollati interni proviene dal Tigray nordoccidentale, che secondo quanto riferito rimane sotto il controllo delle forze eritree e amhara.
Tuttavia, anche vicino al capoluogo regionale Mekelle, rimangono oltre 419.000 sfollati interni, oltre a 299.000 nel Tigray centrale, 256.000 nel Tigray orientale, 195.000 nel sud-ovest e oltre 45.000 nel sud.
Inoltre, gli sfollati interni non ricevono aiuti e sostegno adeguati, secondo Adane Belay, direttore della prevenzione degli abusi presso l’Ethiopian Institution of the Ombudsman. L’istituto ha condotto la ricerca tra il 30 aprile e il 10 maggio 2023.
Adane ha affermato che durante la guerra, il 96% dei banchi degli studenti, il 95% delle lavagne, l’88% delle aule degli studenti (sia completamente che parzialmente), il 63% dei libri di testo e il 31% degli edifici amministrativi sono stati distrutti nella regione del Tigray.
I danni alle strutture sanitarie sono stimati a 65 miliardi di birr etiopi, mentre i danni alle infrastrutture elettriche sono stimati a tre miliardi di birr, alle infrastrutture di telecomunicazione a 1,3 miliardi di birr e alle infrastrutture idriche a 489 milioni di birr.
Proprietà del valore di 69 miliardi di birr sono state distrutte in quattro settori, secondo il rapporto.
FONTE: thereporterethiopia.com/34244/
Due news interessanti sulla #privacy da @EUCourtPress su @iusEmanagement: la norma italiana che vincola il risarcimento a un livello minimo di gravità e quella sul conoscere i destinatari dei dati
La Corte di Giustizia dell’Unione Europea emette sentenze che hanno un impatto notevole anche sugli ordinamenti nazionali, ma che non vengono adeguatamente rilevate dai radar dell'informazione mainstream.
Oggi segnaliamo due notizie riportate e commentate da Dario De Maria su #IusEManagement.
La prima riguarda l'illegittimità della norma nazionale che subordina il risarcimento in tema di #privacy ad un livello minimo di gravità; la seconda invece afferma ch il diritto di accesso ai dati personali comporta il diritto di conoscere i nomi dei destinatari dei dati, non solo la categoria di appartenenza.
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Mosca e Kyiv non sono uguali. Crosetto cita don Milani sulla guerra
Guido Crosetto, ministro della Difesa, ha scritto una lettera al direttore de l’Unità, Piero Sansonetti, pubblicata domenica sul quotidiano. Crosetto parla della situazione in Ucraina e delle missioni militari all’estero dell’Italia: “Non si può chiedere la pace senza l’abbandono e la rinunzia ai territori che la Russia ha occupato, il riconoscimento che l’invasione è stato un atto illegittimo, in violazione di ogni norma internazionale, che ha causato danni e sofferenze indicibili alle popolazioni civili. Stabilito che credo che il solo tentativo di mediazione serio, in campo e che bisogna aiutare in tutti i modi sia quello del cardinale [Matteo Maria] Zuppi e del Vaticano, resta il punto: ‘Non c’è ingiustizia più grande che fare parti uguali tra diseguali’”, dice citando don Lorenzo Milani.
IL DEBOLE E IL FORTE
“Immagino già un vecchio pacifista come te che sobbalza sulla sedia: ma come, Crosetto che mi cita don Milani?! Eh sì, non solo perché ricorrono i cento anni dalla nascita, questa frase di don Lorenzo Milani, tratto dal suo pamphlet più famoso, Lettera a una professoressa, mi frulla in testa da giorni. La citazione, come ben sai, si riferisce, principalmente, al mondo della scuola […]. Se ci pensi, però, le parole di don Milani si possono prendere e traslare sul piano politico, diplomatico e internazionale: l’Ucraina è la parte debole, aggredita, invasa (tanto che viene aiutata dall’Occidente, democrazie libere e basate sul consenso e il gioco democratico, non autocrazie), la Russia è la parte forte, l’aggressore, l’invasore. Non si possono, cioè, fare parti uguali tra diseguali, neppure nei rapporti tra le Nazioni”, ribadisce Crosetto.
LE GUERRE GIUSTE
“Naturalmente, citando don Milani, potrei subire facilmente la critica di appropriarmi del pensiero di un autore famoso, anche, per il suo pacifismo e il suo antimilitarismo (…). Per don Milani non esistono guerre ‘giuste’. Non ne ravvisa la possibilità neppure nella Costituzione. Non sono, ovviamente, d’accordo. Le guerre ‘giuste’ (quelle per la difesa della Patria, come la lotta di Liberazione, e quelle per stabilire un ordine internazionale democratico, libero, pacifico, come la lotta al terrorismo, agli Stati canaglia, o quella di autodifesa dell’Ucraina) esistono eccome. Ma capisco e rispetto la posizione di un pacifismo ‘totale’, ‘intransigente’ e che rifiuta la guerra combattuta con ogni mezzo e per qualsiasi fine. Rispetto molto meno partiti e giornali (non farò nomi) che, fino a ieri, quando erano al governo o appoggiavano partiti al governo, approvavano a occhi chiusi l’aumento delle spese militari e l’invio di armi all’Ucraina mentre, oggi, che sono all’opposizione, si sono ‘riscoperti’ pacifisti integrali, integerrimi, totali. Ridicoli…”, prosegue il ministro.
IL RICORDO DI CICCIOMESSERE
“Resta che le parole e i libri di don Milani sono alla base dell’introduzione, anche in Italia, del diritto all’obiezione di coscienza, portato a dama da un deputato radicale morto di recente, Roberto Cicciomessere. Oggi, l’esercito di leva, da molti decenni, non esiste più. Abbiamo forze armate professionali e composte da professionisti che scelgono – bontà loro! – sacrificando molto della loro vita privata, di servire per difendere la Patria in Italia e fuori. E proprio su questo tema, sulle nostre missioni militari all’estero, vorrei spendere due parole. Ovunque vanno le nostre Forze Armate, nei Paesi stranieri in cui svolgono operazioni di peaceforcing e di peacekeeping, vengono trattate e vissute come ‘amici’, non come stranieri ‘invasori’. È il modello italiano che, nato nell’operazione militare in Libano, ormai fa scuola in mezzo mondo. Il mio compito, quello che mi sono prefisso, è di connettere, sempre di più, l’azione dei nostri militari con quella dei territori e delle popolazioni in cui operano, nel rispetto e nella gratitudine di tutti”, sottolinea Crosetto.
LE NUOVE FORZE ARMATE
“La mia idea, un’idea ‘nuova’ per l’impiego delle nostre forze armate, è quella di aiutare i Paesi stranieri dilaniati da guerre civili, lotte intestine, terrorismi di varia natura, spesso privati dei più elementari diritti di democrazia, libertà, crescita economica e sociale, a crescere e svilupparsi. Condizioni che, purtroppo, in troppi teatri esteri, solo la presenza militare può davvero garantire. Penso soprattutto all’Africa, a quel grande continente, dove non a caso il governo Meloni ha lanciato un importante e serio ‘Piano Mattei’. Il lavoro del governo, in Italia come in Africa come altrove, mira a fare ‘uguali’ cittadini, nazioni, continenti. Proprio perché fare le parti uguali fra diseguali vuol dire commettere l’ingiustizia maggiore”, conclude il ministro.
Francesco Meloni, professione avventuriero
Le riviste cartacee da dieci anni almeno chiudono a grappoli (e non sempre si tratta di onorevoli uscite di scena) e da altrettanti anni la roba per serve si ammucchia nei supermercati e nelle poche edicole rimaste con tirature a rotta di collo. Nel maggio 2023 il per nulla glorioso "#Gente" (la un tempo concorrente "#Oggi" pare abbia cambiato linea editoriale abbandonando monarchi monegaschi, principi britannici e altra roba del genere) dedica una copertina alla madre non sposata all'epoca Primo Ministro nello stato che occupa la penisola italiana.
Il signor Francesco #Meloni vi viene definito #avventuriero.
Alla madre tocca la definizione di scrittrice.
Nel 1995 Meloni fu beccato mentre cercava di introdurre nel #Regno di #Spagna una quantità di hashish tale da rallegrare le serate di tutta la #Castiglia e di tre quarti dell'#Andalusia per un anno di fila (qui su Archive). La #FirenzeCheNonConta lo avrebbe chiamato #cialtrone, #sprovveduto, #improvvisato, #sfortunato o puramente e semplicemente #bìschero. Se non fosse stato il padre di un individuo politicamente intoccabile le gazzette lo avrebbero relegato nelle pagine interne e a distanza di trent'anni (e di un decesso, avvenuto nel 2012) dai fatti sarebbe stato ancora tacciato di #trafficante o di #spacciatore.
E Francesco Meloni era un uomo. Con buona pace di chi segue la moda del "#linguaggio #inclusivo" il vocabolo #avventuriera, al pari di #esperta, #cortigiana, #intrattenitrice, #cubista e chissà quanti altri, non va usato come complimento.
Neuralink: gli USA autorizzano Musk a testare i microchip cerebrali sull’uomo | L'Indipendente
"Dopo anni di annunci circa l’inizio imminente di test clinici sull’uomo, la società di impianti cerebrali di Elon Musk – Neuralink – ha reso noto che la Food and Drug Administration (FDA) ha autorizzato la sperimentazione umana di chip cerebrali negli Stati Uniti. L’obiettivo è quello di creare un’interfaccia tra l’uomo e il computer con l’inserimento di un chip – tramite un foro di 8 mm nel cranio – collegato al cervello con fili più sottili di un capello umano, che possono essere “iniettati” con un ago di 24 micron per rilevare l’attività dei neuroni. L’operazione sarà condotta da un robot per ridurre al minimo i rischi d’errore. L’azienda del magnate americano aveva chiesto l’autorizzazione all’FDA all’inizio del 2022, ma l’agenzia aveva respinto la domanda a causa di diverse preoccupazioni che dovevano essere affrontate prima di dare l’avvio alle sperimentazioni."